ANNO LXX - N. 2 APRILE - GIUGNO 2018 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello - Lorenzo D’Ascia - Gianni De Bellis - Francesco De Luca - Wally Ferrante - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Massimo Bachetti, Raffaele Cantone, Gabriele Carlotti, Antonino Cimellaro, Michele Gerardo, Michela Giachetti Fantini, Federico Maria Giuliani, Paolo Grasso, Thomas Jardin, Enrico Manzon, Mariangela Mastrogregori, Andrea Mazzitelli, Antonio Mitrotti, Francesca Muccio, Gaetana Natale, Federica Nocilla, Anna Pascale, Stefano Sbordoni, Michelangelo Strazzeri, Federico Silvio Toniato, Francesco Vitali Gentilini. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice - sommario CONVEGNO Per un osservatorio del contenzioso come strumento di qualità normativa. Contenimento della spesa pubblica e sviluppo economico. Roma, Avvocatura Generale dello Stato, 24 maggio 2018 Prefazione: francesco Vitali Gentilini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Relazione introduttiva: Massimo Bachetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Interventi: Enrico Manzon, Il valore della certezza del diritto nell’attuazione dei tributi e nel processo. Qualche idea per una nomofilachia “virtuosa”. . . . Gabriele Carlotti, La “nuova” attività consultiva del Consiglio di Stato federico Silvio Toniato, Contenzioso e tecniche legislative . . . . . . . . . . Gaetana Natale, Il rapporto di collaborazione tra magistrati ed avvocati. Nomofilachia verticale ed orizzontale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mariangela Mastrogregori, L’analisi del contenzioso tributario come strumento di “monitoraggio qualitativo” (e sue potenzialità in termini di compliance ed effetti deflattivi del contenzioso) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Michela Giachetti fantini, La misurazione degli Oneri Amministrativi (MOA) e l’Analisi di Impatto della Regolazione sulla Concorrenza (AIRC) come strumenti di better regulation e fattori di competitività. Il contributo dell’analisi economica del diritto per la valutazione dell’impatto del contenzioso pubblico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Andrea Mazzitelli, Analisi statistica del contenzioso: alcune regole per una qualità del dato prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Sbordoni, AIR e VIR: strumenti di implementazione della qualità della normazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Diritto di accesso ex L. n. 241/1990, Circolare S.G. del 20 giugno 2018 prot. 332694 n. 33. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Autorità Nazionale Anticorruzione: Relazione annuale anno 2017. Intervento del Presidente Raffaele Cantone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Antonio Mitrotti, La possibile confusione tra il provvedimento di modifica delle circoscrizioni comunali e la determinazione dei confini tra comuni (C. cost., sent. 9 febbraio 2018 n. 21). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 2 ›› 3 ›› 24 ›› 30 ›› 38 ›› 46 ›› 54 ›› 63 ›› 88 ›› 93 ›› 105 ›› 108 ›› 123 Antonio Mitrotti, Sulla natura giuridica della FIGC come organismo di diritto pubblico (T.a.r. Lazio, Sez. I ter, sent. 13 aprile 2018 n. 4100). . . Anna Pascale, Il diritto di accesso civico generalizzato: una sentenza del TAR Lazio sull’interpretazione dell’art. 5, co. 2 d.lgs. 33/2013 (T.a.r. Lazio, Sez. III quater, sent. 16 marzo 2018 n. 2994) . . . . . . . . . . . . . . . . Piero Vitullo, francesca Muccio, Il divieto di accesso agli atti strumentale a precostituire prova in sede civile nella sentenza n. 296/2018 emessa dal T.A.R. Molise (T.a.r. Molise, Sez. I, sent. 21 maggio 2018 n. 296) . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Michele Gerardo, Il direttore generale degli Enti del Servizio Sanitario. Compiti, natura giuridica del rapporto e relative vicende. . . . . . . . . . . . Michelangelo Strazzeri, L’actio finium regundorum in materia di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Thomas Jardin, Attribuzione di un’opera d’arte, garanzia e rimedi nell’ordinamento giuridico italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA francesco Meloncelli, La natura del contributo unificato raddoppiato e il suo ambito d’applicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonino Cimellaro, Il superamento del dissenso nelle materie “sensibili” in Conferenza di servizi. Un possibile conflitto tra legge generale e legge speciale. Il caso delle opere statali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . federico Maria Giuliani, Letteratura giuridica sul WTO e ...s.. del dogma neoliberista, inclusivo dell’integrazione monetaria di Maastricht (e di un’idea dell’interesse di gruppo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . federica Nocilla, Titolarità di immobili abusivi e regime di tutela di diritti nell’ordinamento civilistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 132 ›› 151 ›› 171 ›› 179 ›› 206 ›› 224 ›› 235 ›› 259 ›› 268 ›› 278 Convegno Per un osservatorio del contenzioso come strumento di qualità normativa. Contenimento della spesa pubblica e sviluppo economico Roma, avvocatuRa GeneRale dello Stato, 24 maGGio 2018 Prefazione: Francesco Vitali Gentilini Relazione introduttiva: Massimo Bachetti interventi: Enrico Manzon, il valore della certezza del diritto nell’attuazione dei tributi e nel processo. Qualche idea per una nomofilachia “virtuosa” Gabriele Carlotti, la “nuova” attività consultiva del consiglio di Stato Federico Silvio Toniato, contenzioso e tecniche legislative Gaetana Natale, il rapporto di collaborazione tra magistrati e avvocati. nomofilachia verticale ed orizzonatale Mariangela Mastrogregori, l’analisi del contenzioso tributario come strumento di “monitoraggio qualitativo” (e sue pontenzialità in termini di compliance ed effetti deflattivi del contenzioso Michela Giachetti Fantini, la misurazione degli oneri amministrativi (moa) e l’analisi di impatto della Regolazione sulla concorrenza (aiRc) come strumenti di better regulation e fattori di competitività. il contributo dell’analisi economica del diritto per la valutazione dell’impatto del contenzioso pubblico RASSEGNA AVVOCATuRA 2 DELLO STATO - N. 2/2018 Andrea Mazzitelli, analisi statistica del contenzioso: alcune regole per una qualità del dato prodotto Stefano Sbordoni, aiR e viR: strumenti di implementazione della qualità della normazione. Prefazione Francesco Vitali Gentilini* L’evento è stato organizzato da “Res magnae”, un’associazione senza scopo di lucro che riunisce al suo interno studiosi e professionisti di molteplici settori al fine di promuovere nella società italiana un intenso dibattito sia a livello scientifico che culturale, nonché di organizzare iniziative per la formazione e la specializzazione nei campi in cui opera l’associazione, in collaborazione con enti di ricerca pubblici o privati, scuole di alta specializzazione, università. Il tema del convegno riprende e sviluppa le problematiche affrontate in precedenti incontri organizzati da Res magnae, a partire da quello su “i dati inesplorati della criminalità organizzata”, tenutosi a Roma presso la sede della Civiltà Cattolica nel maggio del 2014, e dal convegno “emergenza corruzione: analisi e prospettive future”, organizzato nel mese di settembre dello stesso anno. Nel confronto interno e con altri esperti del settore, è emersa la consapevolezza della necessità di promuovere un “uso intelligente dei dati” del contenzioso nel settore pubblico, adottando un approccio interdisciplinare e avvalendosi del supporto delle moderne tecnologie, al fine di rendere più efficiente la gestione dei giudizi e realizzare una maggiore uniformità delle decisioni, nonché di fornire elementi di valutazione per la qualità della regolazione e per correggere prassi amministrative disfunzionali. Appare chiaro, infatti, che una più approfondita analisi del contenzioso consentirebbe di portare alla luce, ad esempio, cattive prassi amministrative, la difettosa formulazione delle norme, fenomeni di sindacato giurisdizionale sulle dinamiche del mercato, nonché forme di controllo giurisdizionale sulla corretta gestione delle risorse. Si ritiene quindi utile adottare un procedimento induttivo che parta dai casi singoli - nel rispetto dei differenti livelli di riservatezza previsti dalla normativa italiana ed europea, in particolare di quella in materia di protezione dei dati personali - individuando gli elementi comuni che rendono ad esempio omogenee determinate tipologie di ricorsi ed i relativi indicatori. Occorre approfondire la serialità delle cause, quasi sempre sintomatiche di un problema normativo più ampio, al fine di ridurre condotte opportunistiche che sfruttano disfunzioni amministrative e normative. Tutto ciò ha un indubbio im- (*) Consiglio Direttivo Res magnae. CONVEGNO 3 patto sull’uniformità delle decisioni assunte nell’ambito del processo, nella prospettiva di una più efficace nomofilachia orizzontale e verticale. un percorso di analisi che prende spunto da strumenti già in essere per la competitività e la better regulation - come la Misurazione degli Oneri Amministrativi (MOA) e l'Analisi di Impatto della Regolazione sulla Concorrenza (AIRC) - per integrarli con metodologie di analisi statistica sui dati estratti dai contenziosi. A tale scopo, risulta evidente la necessità di migliorare la fruibilità e la qualità stessa degli archivi informatici delle sentenze valorizzando le esperienze di informatica giuridica applicata all’analisi del contenzioso, integrandole con nuove tecniche di analisi, anche georeferenziate, sia di tipo quantitativo sia di tipo qualitativo. È opportuna la più ampia interazione e cooperazione fra i vari attori istituzionali, valorizzando le preziose esperienze di centri già esistenti, come l’Osservatorio della Giustizia Civile, l'ufficio del massimario presso la Corte di Cassazione, l’ufficio Studi della Giustizia Amministrativa, l’Osservatorio AIR, l’uVI presso il Senato. In questo processo, è fondamentale il ruolo di istituzioni come la Corte di Cassazione, l’Avvocatura dello Stato, il Consiglio di Stato - il quale interviene sia a monte, nella fase nomogenetica con la sua funzione consultiva al legislatore, sia a valle, con il monitoraggio della fase attuativa della normativa - il CNF e il Parlamento. Da questi spunti nasce l’idea di promuovere un osservatorio del contenzioso pubblico come strumento di analisi della qualità della normativa, anche in una prospettiva di contenimento della spesa pubblica e della c.d. “spending review”. Si intende così affrontare il tema della complessità degli apparati pubblici senza subire passivamente le tortuose dinamiche esistenti, offrendo al decisore politico e al legislatore strumenti utili per l’individuazione e il contrasto dei cosiddetti “fallimenti della regolamentazione”. Relazione introduttiva Massimo Bachetti* Il contenzioso della Pubblica Amministrazione costituisce un osservatorio particolarmente significativo per individuare le patologie (questioni interpretative ed i problemi applicativi delle norme) dell'azione amministrativa ed elaborare ipotesi d'interventi innovativi o correttivi che possono avere notevoli ricadute sull'Erario. Ciononostante, nella prassi non è svolta un'analisi sistematica per valutare la qualità della regolazione e l'impatto della stessa su cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione in termini di contenimento della (*) Avvocato dello Stato. RASSEGNA AVVOCATuRA 4 DELLO STATO - N. 2/2018 spesa pubblica e sviluppo economico. Il convegno vuole essere un'occasione per una riflessione e confronto sul tema fra i vari attori istituzionali: Avvocatura dello Stato, Suprema Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Senato, avvocati ed università anche in una ottica interdisciplinare. La questione fondamentale che vorrei richiamare all'attenzione, e che dovrebbe costituire il filo conduttore del convegno, è la mancanza di una visione sistematica del contenzioso (1) da parte delle istituzioni del mondo della Giustizia e che il potenziale osservatorio sulle criticità non è utilizzato per l’analisi della qualità della normazione (2). La trattazione dei giudizi continua a essere ispirata ad un criterio casistico (3). Ciò deriva dall'impostazione culturale dell'operatore del diritto che tende alla parcellizzazione. Le moderne tecnologie offrono opportunità che si stanno con lentezza iniziando a sfruttare. I criteri di classificazione sono sempre ancorati a una logica atomistica, dipendente dalla dinamica del processo ed alla ricerca di soluzioni tecniche per il singolo giudizio (4). Il fascicolo elettronico è funzionale a una migliore e più agevole (1) «un sistema che dia molte informazioni vaghe o contraddittorie è quantitativamente ricco, anzi sovrabbondante, ma qualitativamente povero: la sua potenzialità informativa, per paradosso, è bassa e inaffidabile proprio perché è troppo alto il numero delle informazioni fornite. un sistema di questo genere, in sintesi, è entropico», V. FERRARI, “Diritto e società. Elementi di sociologia del diritto”, Bari, Laterza, 2010, p. 58. un sistema di questo genere in sintesi è entropico in quanto presenta una grande quantità di unità informative tendenzialmente equiprobabili (eco 1994 p. 25). Nel 1979 un illustre giurista Natalino Irti affermava che l’entropia sistemica aveva raggiunto culmini inusitati, che stavamo vivendo l’età della decodificazione dal momento che le norme vigenti nel Paese erano più di 2.000.000 e pertanto tali da accrescere anziché risolvere i dubbi… Come ogni sistema in particolare informativo i sistemi giuridici oscillano fra ordine ed entropia (Van de Kerchove, Ost, 1988). (2) In tal senso è opportuno segnalare quanto emerso dal gruppo di lavoro della XII Assemblea Nazionale degli Osservatori - Roma 2017, dal quale sono emersi vari temi, tra cui l’utilizzo di meccanismi diretti a favorire un dialogo consapevole e uniforme tra gli uffici di merito e tra questi ultimi e quelli di legittimità, ad esempio attraverso tavoli di lavoro e confronti periodici. Si segnala, inoltre, l’intervento di A. COSENTINO, Consigliere della Corte di Cassazione, sulle buone prassi nella gestione del contenzioso, su Questione Giustizia del 17 marzo 2017. (3) GIOVANNI PASCuzzI, “Il problem solving nelle professioni legali” il Mulino, 2017, p. 113 … le comunità umane sono sistemi complessi che interagiscono fra di loro contemporaneamente provocano effetti non predicabili in maniera automatica. Proprio sulla base di questa consapevolezza a metà degli anni 70 del secolo scorso giuristi provenienti dalle varie discipline (ad esempio Edgar Morin, Ilya Prigogine, Isabelle Stengers) hanno dato vita a nuovi filoni di pensiero comunemente definiti “la teoria della complessità” … chi studia la complessità si sforza di trovare una terza via tra il determinismo meccanicistico dell’ordine dettato dalla logica causa-effetto ed il disordine di quanto è assolutamente imprevedibile perché determinato dal caso. (4) Dal 1970 nel nostro Paese si pubblica una rivista che si intitola proprio “Politica del diritto”. Di seguito riportiamo i passaggi trattati dall’editoriale del primo numero “ … i giuristi hanno lavorato accettando il presupposto della netta separazione tra diritto e politica perdendo così ogni rapporto con i problemi reali della società italiana … Questa è la vera responsabilità di una scienza giuridica non timorosa di incontro con altre scienze sociali, e che essa stessa come il luogo in cui non solo si apprestano strumenti tecnici che pretendono alla neutralità ma si operano pure coraggiose scelte politiche capaci di restituire a quegli strumenti la funzione di attuare i valori che soli possono condurre alla trasformazione della società …”. Vedi anche GIOVANNI PASCuzzI, “Il problem solving nelle professioni legali”, il Mulino, 2017, p. 78 … gli esperti di legistica ci insegnano come devono essere scritte le norme. Ma il tema delle CONVEGNO 5 gestione del giudizio, al risparmio di spesa per l'acquisto di materiale cartaceo, alla maggiore velocità di comunicazione. I software si sono adeguati alla logica parcellizzante del sistema. Tuttavia, le intelligenze artificiali offrono immense opportunità che vanno sfruttate al meglio per aggregazione dei dati secondo criteri di classificazione funzionali non solo alla gestione del processo ma anche per un'indagine sulla validità della regolazione. 1. Soluzioni per nomofilachia e confronto fra le istituzioni. L'Avvocatura dello Stato ha sottoscritto un protocollo d'intesa (5) con la Suprema Corte di Cassazione per una mappatura dei giudizi, da identificare con l'attribuzione di codici in ragione delle questioni giuridiche, anche avvalendosi del contributo dell'Agenzia delle Entrate. L'affare è identificato con uno specifico codice condiviso con la Suprema Corte, il sistema cattura il dato e lo classifica secondo un meccanismo automatico. La realizzazione di quanto previsto nel protocollo consentirebbe di aggregare i dati dei giudizi inerenti medesima questione giuridica, utili per l'individuazione di cause pilota e fissazione di udienze tematiche. Questo sistema potrebbe essere esteso ad altre sezioni della Suprema Corte e ai giudici di merito. La condivisione delle banche dati, anche attraverso comuni codici d'identificazione in ragione delle questioni giuridiche, costituisce un supporto fondamentale sia per la razionalizzazione della gestione dei giudizi che per una verifica sulla qualità della normazione. Le forme di collaborazione fra istituzioni non si esauriscono nell'uso condiviso delle moderne tecnologie. Lo scambio d'informazioni e il confronto possono avvenire anche attraverso la costituzione di tavoli di lavoro. In tal senso dal 2003 sono sorti presso varie sedi di Corte di appello per iniziative di alcuni magistrati e del CNF, i c.d. "osservatori per la giustizia" (6). L'attività ha assunto sempre maggiore consistenza. Si è costituita una strutscelte in ordine al loro contenuto sostanziale non viene enfatizzato perché si ritiene esclusivo appannaggio del decisore politico. Come se per il giurista le regole fossero un dato esistente a priori ed il suo lavoro si sviluppi tutto a valle della sua emanazione come è stato fatto acutamente notare (Lipari 2008, XI). una delle opere più significative della civilistica del secolo scorso non contiene neanche una riga sulle fonti del diritto quasi che esse non costituiscano un problema meritevole di approfondimento, comunque soluzioni alternative, ma siano un presupposto incontestato sul quale fondare i procedimenti teorici e ricostruttivi. (5) Protocollo d’Intesa sottoscritto con la Corte di Cassazione (Primo Presidente Santacroce) nel dicembre 2015, che prevede una collaborazione tra Cassazione e Avvocatura dello Stato per l’attribuzione di un codice argomento per ciascuna causa e l’indicazione di cause pilota ai fini dell’unitaria trattazione. (6) Si tratta di aggregazioni nate spontaneamente in molti distretti giudiziari d’Italia allo scopo di favorire il confronto e la collaborazione tra i soggetti coinvolti nella gestione del processo e di elaborare e sostenere determinate scelte operative, pratiche e concrete, ritenute idonee a migliorare la qualità e l’efficienza della giustizia. Si veda, da ultimo, il verbale della riunione dell’Osservatorio di Roma svoltasi in data 13 dicembre 2017, nella quale si sono stabilite le tematiche dei gruppi di lavoro per l’anno 2018. RASSEGNA AVVOCATuRA 6 DELLO STATO - N. 2/2018 tura centrale di coordinamento degli osservatori che interagisce con la magistratura e con il Governo. I più recenti lavori dell'osservatorio a Roma hanno identificato alcune questioni che ai fini della verifica della qualità della normazione (7), appaiono particolarmente significative: monitoraggio sullo stato dell’arte dell’ADR, sia per la raccolta dei dati che per eventuali iniziative e proposte legislative; gruppo di lavoro per la chiarezza e sinteticità degli atti finalizzato a proposte normative e funzionale a una più efficace gestione dei giudizi (8); adozione di misure volte a garantire una maggiore uniformità delle decisioni. Sotto questo ultimo profilo è da considerarsi molto utile la proposta di costituzione di tavoli di lavoro fra Presidenti di sezione di Corte di Appello con i Presidenti di sezione di Tribunale, e di Cassazione con i Presidenti delle 26 Corti d’Appello. Questo modello organizzativo, fondato sullo scambio di informazioni per l'individuazione dei nodi critici, è volto ad assicurare una nomofilachia sia orizzontale che verticale (9). un contributo importante alla uniformità delle decisioni può venire dall’utilizzo dello strumento di cui all’art. 363 del c.p.c. (10). Esistono poi forme di collaborazione fra la Corte Suprema di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti per il coordinamento del lavoro e per assicurare l’uniformità del diritto (11). Come anche con le Corti di Strasburgo e Corte di Giustizia (12). (7) Assemblea degli Osservatori Roma 2017, Gruppo giurisdizione e ADR. Nel documento finale dell’assemblea citata sono emerse alcune proposte sintetizzate in tre punti: informazione (iniziative per il coinvolgimento di enti territoriali e cittadini, sessioni informative di accesso alla giustizia), formazione (per avvocati e magistrati) ed educazione negli istituti scolastici promossa da enti, associazioni e circoli. Inoltre, sono anche fornite alcune indicazioni per la realizzazione degli strumenti di ADR, ossia il buon utilizzo degli strumenti endoprocessuali di definizione del processo, la garanzia di autonomia del mediatore, la risoluzione di conflitti fuori dal processo. (8) Si veda la relazione conclusiva del gruppo di lavoro sulla chiarezza e la sinteticità degli atti processuali, il cui mandato è stato conferito con D.M. 18 settembre 2017 dal Ministro della Giustizia Orlando. Si veda inoltre la sentenza del Consiglio di Stato n. 6002/2016 secondo la quale la risorsa giudiziaria è un bene non suscettibile di uso di beni sovralimentati o dispersivi. (9) XII Assemblea Nazionale degli Osservatori - Roma 2017 - Gruppo di lavoro “Prevedibilità delle decisioni e dialogo fra i diversi gradi della giurisdizione”. La discussione del gruppo di lavoro riunitosi il 20 maggio 2017 riguarda la nomofilachia verticale ed orizzontale. (10) Con una recente missiva il Procuratore Generale ha stimolato la collaborazione di tutti al fine del rilevamento delle questioni su cui è opportuna una pronuncia di diritto nell’interesse della legge. Lo aveva già fatto nel 2011-12 ma senza effetto. Riprova oggi sull’onda dei casi desunti da fonti diverse: segnalazioni di una organizzazione di giudici minorili, dal difensore di una parte, dalla casistica disciplinare in tema di contrasti interpretativi fra giudici. (11) Cfr. il memorandum “La nomofilachia nelle tre giurisdizioni” (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti), Associazione per la qualità delle Politiche Pubbliche, pp. 9-10 ... un apposito gruppo di lavoro, costituito da alti esponenti delle tre giurisdizioni su mandato dei loro predecessori, con il supporto di italiadecide, associazione per la qualità delle politiche pubbliche, in ragione del suo carattere super partes, ha svolto un impegnativo percorso di approfondimento dei problemi comuni attraverso: CONVEGNO 7 Per la classificazione delle questioni giuridiche, potrebbe anche attingersi all’esperienza del massimario delle Suprema Corte di Cassazione (13) od ad - un primo seminario, svoltosi a porte chiuse il 22 giugno 2012, presso la camera dei deputati, sulla base di relazioni dei costituzionalisti massimo luciani e nicolò Zanon i cui esiti sono riassunti nel documento intitolato: “Giurisdizioni, costituzione e sistema politico” nel quale si auspica una maggiore cooperazione tra i poteri e tra le giurisdizioni superiori per migliorare il funzionamento del sistema di giustizia; - un secondo seminario, svoltosi a porte chiuse il 3 febbraio 2014, presso la camera dei deputati, con la partecipazione dei vertici delle giurisdizioni superiori, nel quale si è discussa una ampia relazione del gruppo di lavoro sulle questioni comuni alle tre giurisdizioni e si è concordato di uscire dalla logica del confronto interno, che aveva caratterizzato il precedente lavoro, e di proseguire allo scopo di avviare un dialogo tra le giurisdizioni e gli altri poteri dello Stato sul tema di fondo della giurisdizione come servizio alla comunità e al cittadino; che su queste basi il gruppo di lavoro ha proceduto a: a. ricomporre l’esperienza più recente delle tre giurisdizioni in un unico quadro conoscitivo da offrire come base di confronto; b. elaborare proposte condivise per migliorare il contributo delle giurisdizioni superiori al funzionamento del sistema di giustizia; c. ribadire l’esigenza di armonizzare l’esercizio della funzione nomofilattica in un sistema storicamente basato sulla pluralità di giurisdizioni e avanzare a tal fine proposte volte a sistematizzare il dialogo ed i raccordi organizzativi e funzionali, principalmente attraverso processi paralleli e concordati di autoriforma; …nel corso di una riunione tenutasi il 29 febbraio 2016 i vertici delle tre giurisdizioni e il vice presidente del cSm hanno tutti concordemente preso atto del lavoro fin lì svolto e hanno confermato l’impegno a sostenere con la loro attiva partecipazione una iniziativa conclusiva di alto profilo istituzionale; che il gruppo di lavoro ha provveduto alla elaborazione della Relazione conclusiva composta da note tematiche sottoscritte dai singoli partecipanti e dalla nota di sintesi, che contiene uno schema del quadro conoscitivo condiviso e l’elenco delle proposte del pari condivise in seno al gruppo di lavoro alla luce della discussione finale. (12) L’ufficio studi, ai sensi dell’art. 13, comma 2, del regolamento di organizzazione degli uffici amministrativi della Giustizia Amministrativa, “cura i rapporti con le organizzazioni internazionali, l'Unione europea e gli Stati stranieri, quale autorità referente della giustizia amministrativa”. I contenuti specifici e le modalità di svolgimento di tali competenze sono state ulteriormente dettagliate dalla delibera del CPGA 11 maggio 2012, recante: Linee guida e direttive per l'attività dell'ufficio studi, massimario e formazione, tabella a), la quale prevede all’art. 8, comma 1, la nomina all’interno dell’ufficio studi dei magistrati referenti per i rapporti con gli Stati stranieri e le Istituzioni internazionali. Le Linee guida dedicano particolare attenzione alla disciplina dei criteri di selezione dei magistrati. (13) un importante passo in questa direzione è stato fatto con delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 31 ottobre 2017 relativa a “Linee guida volte alla individuazione delle modalità di ricostituzione di una banca dati della giurisprudenza di merito”. La Settima Commissione referente ha chiesto ed ottenuto l’apertura di una pratica avente ad oggetto la possibilità di elaborare delle linee guida o comunque dei criteri di carattere generale in ordine alla costituzione di una banca dati della giurisprudenza di merito. La Commissione ha preliminarmente attivato una interlocuzione con il direttore del C.E.D. innanzitutto per conoscere l’esistenza di progetti già elaborati presso la Corte di Cassazione, quanto ai criteri di selezione ed alle relative modalità operative, nonché per individuare gli ambiti di collaborazione del Consiglio Superiore con il C.E.D. della Cassazione per elaborare, integrare, migliorare, implementare i progetti in materia, in modo da condividere le reciproche esperienze e competenze. È stato istituito un gruppo di lavoro finalizzato alla individuazione delle modalità di ricostituzione, nel’ambito del sistema ItalgiureWeb, gestito dal C.E.D. della Corte di Cassazione dell’archivio della giurisprudenza di merito. Compito principale ed iniziale del gruppo è stato quello di individuare criteri di selezione e di classificazione dei provvedimenti di merito da inserire nella banca dati; di individuare, da un lato, i soggetti deputati alla raccolta ed alla selezione dei suddetti provvedimenti e alla loro clas RASSEGNA AVVOCATuRA 8 DELLO STATO - N. 2/2018 analoghe esperienze di altre giurisdizioni come Consiglio di Stato e Corte dei Conti. Per l’indagine sulla qualità della regolazione nel versante delle Pubbliche Amministrazioni, possono costituire utili strumenti i protocolli d’intesa fra Avvocatura dello Stato e le Agenzie fiscali (14), che prevedono incontri periodici in cui viene esaminata l’evoluzione del contenzioso e si discute sulle modalità di cooperazione informatica. La visione d'insieme dei giudizi, anche attraverso la condivisione delle banche dati con comuni codici di identificazione e classificazione degli atti, è particolarmente importante per assicurare la gestione razionale dei giudizi in materia tributaria e favorire la funzione nomofilattica della Suprema Corte. Può ipotizzarsi l’estensione di questo modello organizzativo e di cooperazione ad altre amministrazioni per una più organica disciplina dei rapporti, anche potenziando il raccordo fra Avvocatura dello Stato ed uffici legislativi dei ministeri. Per un migliore coordinamento di queste forme di cooperazione, dovrebbe farsi puntuale applicazione dell’art. 4 ter del codice deontologico degli avvocati e procuratori dello Stato (15). 2. normativa di riferimento. Sul piano della normativa primaria, vanno evidenziati, in primo luogo, gli articoli 13 e 15 della l. n. 103/1979. L’art. 13 del R.D. n. 1611/1933 riguarda le competenze in sede consultiva dell’Avvocatura dello Stato. La norma stabilisce che l’Avvocatura dello Stato “provvede alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni e inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi: esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle amministrazioni, quando ne sia richiesta; predispone transazioni d’accordo con le amministrazioni interessate; esprime pareri sugli atti redatti dalle amministrazioni; prepara contratti, suggerisce provvedimenti intorno a reclami e questioni sorte amministrativamente che sificazione e dall’altro, le strutture alle quali affidare il trattamento informatico dei documenti e loro eventuale atomizzazione; di definire le modalità operative per garantire il funzionamento della banca dati a regime. (14) Gli accordi con le Agenzie Fiscali trovano formalizzazione all’interno di Protocolli d’intesa in cui si regola l’attività consultiva, i confini dell’assistenza e della rappresentanza in giudizio dinanzi alle varie giurisdizioni, la notifica degli atti, gli incontri periodici per l’esame dell’evoluzione dei contenziosi e, infine, la cooperazione informatica. (15) Deliberazione del Comitato Nazionale dell’Associazione unitaria degli avvocati e procuratori dello Stato del 5 maggio 1994 e modifiche della Giunta e del Comitato Nazionale dell’Associazione ex art. 54 del T.u. 165 del 2001 come modificato dalla legge n. 190 del 2012 - Deliberazione del Comitato direttivo dell’Associazione Nazionale Avvocati e Procuratori dello Stato del 12 luglio 2013, l’art. 4 ter stabilisce che …… L’avvocato o procuratore dello Stato titolare di un incarico interno o esterno di consulenza, redige annualmente una relazione sui profili di criticità nonché sulle proposte di razionalizzazione del contenzioso e di miglioramento della strategia difensiva della sede - sezione di appartenenza o dell’Amministrazione presso la quale ha svolto l’incarico. CONVEGNO 9 possono dar luogo a litigi”. L’art. 15 stabilisce che “l’Avvocato Generale ha il compito di riferire periodicamente al Presidente del Consiglio dei Ministri sull’attività svolta dall’Avvocatura dello Stato, presentando apposite relazioni e segnalare le eventuali carenze legislative e i problemi interpretativi che emergono nel corso dell’attività dell’Istituto”. Dal combinato disposto delle due norme deriva che l’Avvocatura dello Stato è ex lege tenuta a svolgere il monitoraggio sugli affari legali per offrire al Governo un quadro sistematico ed esprime il proprio punto di vista su progetti di legge e regolamenti. Altra importante competenza per il monitoraggio sugli affari legali, che riguarda specificamente il settore degli appalti pubblici, è da rinvenirsi nell’art. 19, co. 5, del d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni nella l. n. 114/2014. La norma prevede in capo al singolo Avvocato dello Stato l’obbligo di inviare all’Autorità nazionale anticorruzione “notizie e segnalazioni” in ordine a “violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie e irregolarità”, di cui questo venga a conoscenza, nell’esercizio delle proprie funzioni, con riferimento ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Il concetto di “anomalia” è stato interpretato dall’Avvocatura dello Stato come “contemplare tutte le ipotesi, anche atipiche, in cui sia dato ravvisare, nella materia dei contratti pubblici, un significativo scostamento rispetto al corretto agire pubblico, che potrebbe costituire il sintomo di una condotta rilevante in chiave di anticorruzione” (16). (16) L’Avvocatura Generale dello Stato sull’interpretazione della norma con parere n. 41458 del 28 gennaio 2015 si è così espressa “ … di difficile collocazione dogmatica si rivela il concetto di “anomalia”, almeno nel senso suggerito dalla norma in esame… come contributo alla ricostruzione giuridica del concetto di anomalia, e più in generale dell’intera disposizione in esame, può essere rammentato che il ministero dell’interno ha pubblicato nella Gazz. uff. 18 luglio 2014, n. 165 le “Prime linee guida per l'avvio di un circuito collaborativo tra anac-Prefetture -utG e enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l'attuazione della trasparenza amministrativa”. nell’ambito di tale provvedimento, ha espresso degli orientamenti interpretativi per l'applicazione delle misure straordinarie di gestione e sostegno delle imprese di cui all'art. 32 del decreto-legge n. 90/2014, spiegando che l’art. 32 del decreto legge n. 90/2014 ha attribuito al Presidente dell'anac il potere di richiedere al Prefetto l'adozione di misure dirette ad incidere sui poteri di amministrazione e gestione dell'impresa coinvolta in procedimenti penali per gravi reati contro la pubblica amministrazione o “nei cui confronti emergano situazioni di anomalia sintomatiche di condotte illecite o criminali”. Secondo l’impostazione del ministero, la ratio dell'intervento legislativo è rivolta al principale ... sono comunque suscettibili di palesare “significativi e gravi discostamenti rispetto agli standard di legalità e correttezza”, l'esecuzione del contratto pubblico non venga oltremodo a soffrire di tale situazione. alla luce dei suesposti elementi, appare verosimile che il legislatore abbia inteso inserire nella disposizione in commento le categorie della “irregolarità” e della “anomalia”, accanto a quella più grave della “violazione di disposizioni di legge o di regolamento”, come una sorta di clausola di chiusura che potesse contemplare tutte le ipotesi, anche atipiche, in cui sia dato ravvisare, nella materia dei contratti pubblici, un significativo scostamento rispetto al corretto agire pubblico, che potrebbe costituire il sintomo di una condotta rilevante in chiave di anticorruzione. invero, l’esercizio dell’attività istituzionale di prevenzione e di repressione del fenomeno della corruzione da parte dell’autorità impone l’acquisizione di elementi significativi anche ulteriori rispetto a quelli che configurano vizi tipici di legittimità dell’azione ammi RASSEGNA AVVOCATuRA 10 DELLO STATO - N. 2/2018 La “anomalia”, così intesa, consente all’Avvocatura dello Stato di fornire informazioni all’ANAC utilizzando i metodi di rilevazione del rischio corruzione elaborati nell’analisi di impatto della regolazione: adeguatezza degli oneri burocratici, chiarezza delle norme, appropriatezza potere discrezionale (17). 3. indicatori per valutazione impatto sulla spesa pubblica e controversie sul tema. Per quanto riguarda l’impatto in termini di contenimento della spesa pubblica non risultano elaborati criteri di aggregazione. Può però farsi riferimento ad una serie di elementi indicativi. Dovendosi indicare per ogni ricorso o domanda giudiziale il valore della controversia per il calcolo del contributo unificato, l’inserimento del relativo ammontare in banca dati per ciascun affare legale potrebbe consentire un calcolo di massima. Per quanto riguarda, invece, le cause di valore indeterminato, va operata distinzione fra casi di assoluta indeterminabilità e quelli in cui, al fine di calcolare l’importo, è necessario acquisire ulteriori dati. Ad esempio le controversie in materia di classamento massivo di immobili nelle grandi città vengono classificate come “di valore indeterminato”. Per la quantificazione del valore è sufficiente l’acquisizione del dato sulla rendita catastale in contestazione che può desumersi dal ricorso o dagli atti. Il dato può essere utilizzato per il calcolo del maggior gettito. Questo profilo è rilevante anche ai fini della difesa in giudizio in Corte Costituzionale sulle norme che hanno un impatto di ampia portata sulla finanza pubblica (18). Il dato, ai fini della quantificazione dell’impatto sulla qualità della regolazione, va incrociato con quello relativo al monitoraggio di criticità e disfunzioni che emergono dall’analisi del contenzioso. Altro elemento rilevante è il rapporto fra giudizi pendenti e soluzioni alternative delle controversie o ricorso all’autotutela. un calcolo in tal senso per nistrativa, elementi che, quand’anche inidonei a condurre ad una pronuncia demolitoria del giudice amministrativo, rivelino in qualche modo sintomi di una cattiva gestione della funzione che possa essere stigmatizzata attraverso l’esercizio dei poteri attribuiti all’autorità”. L’ANAC con nota 39200 datata 1 aprile 2015 ha rappresentato che il Consiglio dell’Autorità nell’Adunanza del 17-19 marzo 2015 ha ritenuto condivisibili le considerazioni ivi espresse. (17) “L’analisi di impatto della corruzione (AIC): un nuovo strumento per i regolatori?”, LuCA DI DONATO, in Federalismi - Rivista di diritto Pubblico italiano comparato europeo, novembre 2015, p. 13. (18) Con ordinanza del 16 dicembre 2016, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dell’art. 1, comma 335, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», il quale prevede che «La revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, …». La corte costituzionale con sentenza 249 del 2017 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 335, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione. CONVEGNO 11 la pubblica amministrazione può dare indicazione sulle capacità amministrative di modificare prassi consolidate e sulle relative ricadute sull’Erario (19). Anche la serialità delle cause può costituire un elemento indicativo per la verifica della qualità della normazione in quanto sintomatiche di un problema generale. Spesso vengono proposti ricorsi con le medesime censure che danno luogo a filoni che sovraccaricano di adempimenti l’amministrazione della Giustizia e che durano finchè non si consolida specifica giurisprudenza. un caso significativo è accaduto presso la Corte di Appello di Brescia per pretese azionate sia avanti al TAR Lazio che ai giudici ordinari di merito dei tribunali territoriali. Si tratta di docenti in possesso del titolo di scuola magistrale che chiedevano di essere inseriti nella graduatoria ad esaurimento. Avevano impugnato l’atto generale a monte avanti al TAR Lazio e lo specifico provvedimento di rigetto della istanza di inserimento nella graduatoria innanzi al Tribunale di Brescia. Vi era una sostanziale identità del “petitum”. La circostanza della doppia pendenza veniva taciuta ad entrambe le giurisdizioni. La Corte di appello condannava i ricorrenti per abuso del mezzo processuale al risarcimento del danno a favore dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c. (20). Talvolta la serialità è generata da condotte opportunistiche delle parti private che tendono a reiterare giudizi per trarre vantaggi da ritardi o disfunzioni amministrative oppure costituiscono semplicemente normale conseguenza di una disfunzione o di una cattiva formulazione della norma. Si pensi al caso degli indennizzi da irragionevole durata del processo che, non avendo lo Stato programmato risorse per pagamento delle somme oggetto di condanna, hanno (19) Vedi Cassazione Sez. un. 6820 del 2017 che ha affermato che le valutazioni su efficacia ed economicità assumono la valenza normativa e quindi vanno valutate sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione amministrativa ai sensi dell’art. 1 co. 1 legge 241 del 1990. Tribunale di Roma Sez. XIII del 22 giugno 2015 e 10 marzo 2016 in un caso di una mediazione demandata ex art. 5 comma 2 decreto legislativo 27/10 ha affermato il seguente principio “che una condotta agnostica, immotivatamente anodina e deresponsabilizzata dell’amministrazione pubblica potrebbe esporre a danno erariale sotto il profilo delle conseguenze del mancato accordo sulla proposta del giudice ed invio a mediazione comparativamente valutato rispetto al contenuto della sentenza”. (20) Cfr. Corte di Appello di Brescia sezione Lavoro sentenza 94/17. Osserva la Corte "il fatto che la legge non disponga un divieto di agire sia davanti al giudice amministrativo, sia davanti al giudice ordinario, non toglie che nella specie la pendenza dei due giudizi integri un abuso, in particolare sotto il profilo di un ingiustificato aggravamento del sistema giurisdizionale, causa di inutile spreco di tempo e di energie da parte del suddetto sistema (si osservi infatti che in ogni caso una delle due sentenze risulterà sostanzialmente inutile, o perché di esito uguale all’altra o perché, se di esito diverso, consentirà al ricorrente di scegliere quale delle due far valere). In definitiva, essendo mancata la dimostrazione di un interesse oggettivamente valutabile alla medesima tutela processuale raddoppiata avanti il giudice amministrativo e al giudice ordinario, ricorrono, con riferimento agli appellanti specificati in dispositivo, tutti gli estremi sia soggettivi che oggettivi che, ai sensi dell’art. 93, co. 3, c.p.c. consentono al giudice, in ogni caso in cui condanna la parte soccombente alle spese, di condannare la stessa al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, che nella specie si ritiene di determinare in € 500,00 per ciascuno". RASSEGNA AVVOCATuRA 12 DELLO STATO - N. 2/2018 determinato insorgenza di numerose procedure esecutive con addebito di ulteriori oneri per spese legali ed interessi, abuso del mezzo processuale per avvio di plurime procedure con il medesimo titolo (21). La serialità strumentale è talvolta favorita dalla prassi di certi magistrati di non procedere alla riunione di giudizi riguardanti medesimi profili di diritto (22). Il valore e le disfunzioni possono anche desumersi dall’analisi di singoli giudizi sintomatici di criticità di carattere generale. Per la Pubblica Amministrazione le ricadute sono assolutamente evidenti in termini di contenimento della spesa pubblica e sviluppo economico. In tal senso significativo è da ritenersi il contenzioso dell’Agenzia delle Entrate in materia di tributi (23), i giudizi generati dagli interventi per ridurre la spesa pubblica secondo i criteri stabiliti nel documento sulla revisione della spesa del Commissario per la spending review redatto il 20 giugno 2017 (24), come (21) La Cassazione con sentenza 6078/15 affermava che “è da ritenersi che all'elevatissimo dispendio energetico e di risorse che lo Stato ha impiegato per fronteggiare le istanze dei creditori (impedendo a costoro di percepire tempestivamente le liquidazioni), poteva sostituirsi una task force di uomini e mezzi con il fine di velocizzare i pagamenti: ciò avrebbe evitato l'enorme spreco di denaro che invece si è avuto con la proliferazione crescente di contenzioso su contenzioso”. (22) Vedi su Questione Giustizia, magistratura democratica misure organizzative e buone prassi nella gestione del contenzioso. Si commenta una sentenza delle sezioni unite 29548/16 con cui la Suprema Corte si è pronunciata sulla richiesta di cassazione di una decisione della sezione disciplinare del CSM che aveva condannato un giudice di tribunale per il ritardo nel deposito delle sentenze. Secondo l’incolpato ricorrente la sezione disciplinare non aveva adeguatamente considerato come i ritardi a lui addebitati non dipendessero né dalla scarsa laboriosità (perché anzi le sue definizioni con e senza sentenza erano tra le più alte del proprio ufficio e largamente superiori alle medie nazionali ) né da incapacità organizzativa, al contrario costituivano l’effetto di una precisa scelta organizzativa tendente a spostare il collo di bottiglia del giudizio civile dalla fase istruttoria a quella decisoria, riducendo al massimo la durata del rinvio per precisazione delle conclusioni. Le Sezioni unite accoglievano la tesi del ricorrente ritenendo la validità delle scelte organizzative stante la limitatezza delle risorse. (23) V.d. relazione del MEF, Dipartimento delle Finanze, sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario e sull’attività delle commissioni tributarie relativo all’anno 2015, da cui emerge che, man mano che si sale nel valore, diminuisce la percentuale di ricorsi favorevoli al contribuente e che la durata media dei giudizi davanti alle Commissioni tributarie è dai 150 ai 180 giorni. Come caso significativo dell’impatto vedi sentenza delle sezioni unite n. 23397/2016 che ha affermato il principio secondo il quale la scadenza del termine/perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l'effetto della c.d. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti - comunque denominati di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti relativi ad entrate dello Stato tributarie ed extra tributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 cod. civ., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo. Questa decisione ha impatto in termini di ricadute sulla spesa pubblica per numerosi miliardi di euro. I ritardi dell’Agenzia nel recupero dei crediti sono stati causati dalle oscillazioni giurisprudenziali e dall’enorme carico di lavoro che grava sugli uffici fiscali che impone una scelta di scadenzare i recuperi trattando in via prioritaria quelli di più prossima scadenza. CONVEGNO 13 la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi (25), l'accorpamento dei Comuni (26), identificazione di costi standard e di fabbisogni standard (27), il blocco del turn over (28). (24) V.d. apposita relazione della PCM e del MEF su obiettivi, attività e risultati, annualità 2014- 2016. (25) V.d. Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 3162/2017 relativa all’impugnazione di una determina della Stazione unica Appaltante della Regione Basilicata concernente l’indizione di una procedura di gara per l’affidamento quinquennale del servizio di pulizia di un’azienda ospedaliera. Sul medesimo lotto vi era stata una precedente delibera di aggiudicazione da parte della Consip. Il Consiglio di Stato censura la normativa nazionale art. 1, comma 449 e ss., l. 296/2006 perché non impone un espresso onere della centrale di committenza regionale di regolarsi con la centrale di committenza nazionale. (26) V.d. TAR Lazio, sez. I-ter, sentenza n. 1027/2017 riguardante un ricorso proposto contro il Ministero dell’Interno avente ad oggetto l’esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali dei Comuni mediante unioni e convenzioni reciproche. Il TAR riemette alla Corte costituzionale la legittimità dell’art. 14, commi 26-31, D.L. n. 78/2010 perché incide unilateralmente sull’assetto organizzativo dei Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, prevedendo l’obbligo in forma associata delle funzioni fondamentali. (27) Si veda da ultimo la sentenza n. 141/2016 della Corte costituzionale in base alla quale: “non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale - promosse dalla Regione lombardia in riferimento agli artt. 3, 117, sesto comma, e 119 cost. - dell'art. 1, commi 398, 555, 556 e 557, della legge n.190 del 2014, i quali prevedono nel caso di mancato raggiungimento dell'intesa in sede di auto coordinamento regionale per la riduzione della spesa regionale, che l'individuazione degli importi e degli ambiti in cui effettuarla, oltre alla rideterminazione dei livelli di finanziamento di tali ambiti e delle modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato avvenga attraverso l'adozione di un d.P.c.m.; e che gli eventuali risparmi nella gestione del Servizio sanitario nazionale conseguiti dalle Regioni rimangono nella disponibilità di queste ultime per scopi sanitari. alla stregua degli indici sostanziali elaborati dalla giurisprudenza, l'atto attraverso cui lo Stato, in via residuale, opera la determinazione del taglio della spesa sanitaria e l'assegnazione dei relativi risparmi all'erario, non ha natura regolamentare, difettando del requisito dell'astrattezza (intesa quale indefinita ripetibilità, nel tempo, delle regole contenute nell'atto, ovvero quale attitudine dell'atto stesso ad essere applicato tutte le volte in cui si verifichino i presupposti da esso indicati). È, dunque, da escludere che il d.P.c.m., cui la disposizione impugnata rinvia, produca norme intese a disciplinare stabilmente, nel tempo, rapporti giuridici. al contrario, il decreto in questione non può che contenere determinazioni puntuali, di rilievo essenzialmente tecnico, volte ad individuare aspetti concreti non aventi portata innovativa del sistema normativo, perché diretti a fissare, per una durata temporanea, la ripartizione delle riduzioni di spesa già individuate, in via di massima, nella disposizione di legge; si è pertanto al di fuori del modulo regolamentare. né ha pregio l'osservazione che i criteri individuati per la riduzione unilaterale da parte dello Stato, in assenza di qualsiasi riferimento ai costi ed ai fabbisogni standard regionali, irrazionalmente porterebbero a premiare le Regioni con una più ingente spesa sanitaria. il tenore letterale della disposizione non vieta affatto né alle Regioni, in sede di auto coordinamento, né allo Stato, in sede di intervento sussidiario, di tenere conto dei costi e dei fabbisogni standard regionali, in modo da onerare maggiormente le Regioni caratterizzate da una "spesa inefficiente". Quanto alla previsione che eventuali risparmi nella gestione del Servizio sanitario nazionale, effettuati dalle Regioni, rimangano nella disponibilità delle stesse per finalità sanitarie, essa costituisce pedissequa attuazione del cosiddetto Patto per la salute, frutto dell'intesa sancita, in data 10 luglio 2014, in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di trento e di Bolzano. va pertanto esclusa, non solo qualsiasi violazione dell'autonomia finanziaria regionale - anche perché la disposizione appare neutrale in termini di incidenza sul bilancio regionale - ma anche qualsiasi imposizione statale unilaterale della finalità cui destinare i risparmi conseguiti nel settore sanitario. né, infine, c'è contraddizione tra la disposizione relativa ai risparmi in materia sanitaria e quelle che individuano la finalità cui destinarli, in quanto la norma non prevede un trasferimento diretto allo Stato dei risparmi conseguiti nei settori interessati dalla riduzione della spesa, ma soltanto una ragionevole rideterminazione dei livelli di finanziamento degli ambiti così individuati, RASSEGNA AVVOCATuRA 14 DELLO STATO - N. 2/2018 Poi, significativa appare anche la giurisprudenza costituzionale sul contenimento della spesa pubblica, i conflitti Stato Regioni (29), il contenzioso delle autorità indipendenti (30), quello dei contratti pubblici (31), della materia e delle modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato. Sull'ammissibilità del ricorso avverso una norma statale che impone la sottoscrizione di un accordo tra Stato e Regioni, in quanto detta stipula, proprio perché imposta, non produce un effetto di acquiescenza”. (28) V.d. Corte costituzionale n. 91/2012: “non è fondata, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge della Regione Puglia n. 5 del 2011, con la quale è stato modificato l'art. 2 della legge regionale 24 settembre 2010, n. 12, disponendo la soppressione, al comma 1 del citato art. 2, delle parole "aziende ospedaliero- universitarie". tale ultima disposizione era stata fatta oggetto di impugnativa davanti alla corte, che, successivamente all'entrata in vigore dell’impugnato art. 3 della legge regionale n. 5 del 2011, l'ha dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 217 del 2011) nella parte in cui includeva fra le strutture sanitarie oggetto del divieto anche le aziende ospedaliero-universitarie, riconoscendo che il rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica, che impone l'osservanza dei Piani di rientro oggetto di accordo, non può essere realizzato, con riguardo alle aziende ospedaliero-universitarie, in violazione dell'autonomia universitaria, costituzionalmente tutelata all'art. 33 cost.; sicché , le misure necessarie a garantire il rispetto degli obiettivi di contenimento della spesa di cui al Piano di rientro concordato con lo Stato dovranno essere individuate, quanto alle suddette aziende ospedaliero-universitarie, mediante appositi protocolli d'intesa fra la Regione e le specifiche università. orbene, sulla base di tali argomenti, la questione proposta nei confronti della norma impugnata risulta priva di fondamento, in quanto frutto di un'erronea interpretazione della disposizione medesima, poiché detta norma si è solo limitata ad escludere dal novero degli enti automaticamente assoggettati, per unilaterale volontà della Regione, alla misura del blocco del turn-over anche le aziende ospedaliero-universitarie, per le quali la determinazione del regime del personale non può che essere il frutto di una collaborazione con le università mediante appositi protocolli di intesa”. (29) V.d. Corte costituzionale n. 163/2011: “Questa corte, con riferimento all'art. 1, comma 796, lettera b), della legge n. 296 del 2006, ha affermato che tale norma «può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica» (sentenze n. 123 del 2011, n. 100 e n. 141 del 2010), poiché la «esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario» determina una situazione nella quale «l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa» (sentenza n. 193 del 2007). ciò in quanto le «norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario (sentenze n. 237 e n. 139 del 2009)», per cui il legislatore statale può «legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari». Caso in cui il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale in via principale dell'art. 1 della legge della Regione Calabria 13 luglio 2010, n. 16 (Definizione del sistema di finanziamento della Stazione unica Appaltante), in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. La norma impugnata, prevedendo genericamente che il sistema di finanziamento della Stazione unica Appaltante è definito dalla Giunta regionale, anche in deroga alla misura dell'1% dei singoli provvedimenti di gara, di cui all'art. 10, comma 1, della legge regionale 7 dicembre 2007, n. 26 (Istituzione dell'Autorità regionale denominata "Stazione unica Appaltante" e disciplina della trasparenza in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture), violerebbe i principi fondamentali nella materia «coordinamento della finanza pubblica» desumibili dall'art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), non avendo rispettato gli specifici vincoli, strumentali al conseguimento dell'equilibrio economico del sistema sanitario, contenuti nel piano di rientro oggetto dell'accordo stipulato il 17 dicembre 2009 dalla Regione Calabria. CONVEGNO 15 creditizia e valutaria (32), la vicenda dei precari nella pubblica amministrazione (33), le sanzioni avverso lo sforamento dei Comuni dal patto di stabilità (30) F. CINTOLI, osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’autorità garante della concorrenza e del mercato ex art. 21-bis della legge n. 287/1990 e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in il nuovo diritto amministrativo, n. 2/2012; R. CIFARELLI, verso un nuovo protagonismo delle autorità indipendenti? Spunti di riflessione intorno all’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990, in amministrazione in cammino. (31) Come riportato dal Sole 24 ore del 30 gennaio 2018, da un’indagine statistica effettuata combinando i dati forniti dall’Anac sul numero di gare bandite e quelli presenti sul sistema informativo della giustizia amministrativa emerge che nel settore degli appalti pubblici la percentuale d’impugnazione delle procedure di appalto è del circa 2,7% del PIL. (32) Si vedano le cause in corso sul cambio delle lire in euro. Infatti, in attuazione della sentenza n. 216/2015 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittima la norma che anticipava dal 28 febbraio 2012 al 6 dicembre 2011 il termine di conversione delle lire, il 22 gennaio 2016 sono iniziate presso le Filiali della Banca d’Italia le operazioni di cambio. Ai sensi dei Trattati europei, la conversione può solo avvenire impiegando risorse finanziarie dello Stato al quale la Banca d’Italia, a suo tempo, ha versato il controvalore delle lire ancora in circolazione al 6 dicembre 2011. Le operazioni di conversione sono effettuate da questo Istituto sulla base delle istruzioni impartite dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 21 gennaio 2016. A partire dalla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale, sono arrivate numerose richieste di chiarimenti e segnalazioni attraverso la casella dedicata (conversionelireeuro@ bancaditalia.it), alcune indirizzate anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze, alle quali la Banca d’Italia risponde alla luce delle istruzioni ricevute. Nel dare esecuzione alla sentenza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, al fine di garantire certezza e trasparenza alle operazioni di conversione, ha esplicitamente previsto l’obbligo di dimostrare di aver presentato la richiesta di cambio tra il 6 dicembre 2011 e il 28 febbraio 2012, specificandone l’importo. In base alla normativa vigente la Banca d’Italia può pertanto procedere alla conversione delle lire solo se tale obbligo è rispettato. Oppure si veda anche la questione degli interessi su beni postali, in merito ai quali si rimanda all’ordinanza n. 49/2007 della Corte costituzionale che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1974, n. 460 (Modifica dell'articolo 173 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156), convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1974, n. 588, nonché dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 284 (Riordino della Cassa depositi e prestiti, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) . (33) Il fenomeno del precariato nel pubblico impiego ha dato origine ad un vasto contenzioso nazionale e sovranazionale avente ad oggetto l’abusiva reiterazione di contratti a termine e le eventuali conseguenze relative all’illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro. Spesso, infatti, le assunzioni a termine hanno di fatto costituito un vero e proprio sistema parallelo di reclutamento del personale, utilizzato per eludere il principio del concorso pubblico, il rispetto delle dotazioni organiche ed i vincoli di bilancio e di contenimento della spesa pubblica. In data 13 luglio 2017, a Lussemburgo si è tenuta un’udienza di discussione concernente la tematica del precariato dei dipendenti pubblici italiani. La questione affrontata dai giudici europei concerne la vicenda di una donna che per anni ha prestato la propria attività lavorativa nel settore pubblico, alle dipendenze di un’amministrazione Comunale (il Comune di Valderice). Più precisamente, la donna era stata assunta sin dal 1996 come Lavoratrice socialmente utile (Lsu), dal 2005 con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co.) ed, infine, con plurimi e successivi contratti a tempo determinato. Evidente quindi che la donna abbia subito per anni un’illegittima precarizzazione del proprio rapporto di lavoro. Detta situazione di illegittimità non è sfuggita al Tribunale di Trapani al quale la donna si era rivolta per far valere i propri diritti. In sostanza, secondo il Tribunale di Trapani, posto che la donna ha subito per oltre venti anni un’abusiva situazione di precariato, del tutto insufficiente si rivelerebbe l’indennità quantificata tra le 2,5 e 12 RASSEGNA AVVOCATuRA 16 DELLO STATO - N. 2/2018 (34), il rapporto fra diritti sociali e esigenze di contenimento della spesa pubblica nei limiti del parametro di cui all’art. 81 Cost. (35), ecc., le sentenze che impattano sulla spesa pubblica in modo notevole (36), le condanne della Corte di Giustizia per inadempimenti nell’attività di bonifica dei rifiuti (37), per il mancato recupero dei prelievi supplementari sulle quote latte (38), per i ritardi nei recuperi di aiuti di Stato (39). mensilità. Alla donna, di contro, dovrebbe essere riconosciuto il diritto alla stabilizzazione e/o comunque un risarcimento molto superiore il cui valore dovrebbe per lo meno eguagliare il valore economico del posto di lavoro per troppo tempo negatole. Ciò posto, detto Tribunale, schieratosi dalla parte della lavoratrice ha rimesso - con apposita ordinanza - la questione ai giudici europei. La Corte di Lussemburgo rileva che gli Stati membri hanno un margine di discrezionalità nella scelta degli strumenti per contrastare l’abuso dei contratti a termine e che il diritto dell’unione non prevede alcun obbligo di far conseguire a detto abuso la stabilizzazione del rapporto di lavoro, sia esso pubblico o privato. (34) Le disposizioni legislative previste dagli articoli 30, 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183, sono tese a disciplinare il patto di stabilità interno al fine di assicurare il concorso degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, di cui agli artt. 117, terzo comma e 119, secondo comma, della Costituzione, conformemente agli impegni assunti dal nostro Paese in sede comunitaria. In particolare l’art. 31 dopo aver individuato i soggetti preposti al rispetto del patto di stabilità interno, prevede al comma 26 che, in caso di mancato rispetto del patto di stabilita interno, l’ente locale inadempiente nell’anno successivo a quello dell’inadempienza resta assoggettato ad alcune sanzioni. (35) V.d. Corte costituzionale n. 205/2013, secondo cui le “norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi”. (36) La sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015 che ha inciso sulla legge Fornero c.d. riforma delle pensioni sulla rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici ha suscitato una vasta eco negli organi di informazione per via dell’impatto che la pronuncia avrebbe causato sulle casse dello stato stimato in circa cinque miliardi di euro; altra sentenza con forte impatto è quella che ha deciso il conflitto di attribuzioni fra Procura della Repubblica di Taranto sulla vicenda dello stabilimento siderurgico dell’ILVA … Il problema dell’impatto sulle casse erariali si è posto anche in molti altri casi tanto che si è ipotizzata che l’art. 81 co. 3 debba valere anche per la Corte Costituzionale. (37) V.d. Corte di Giustizia uE, Sez. Grande, sentenza 2 dicembre 2014, C-196/13, la quale ha condannato l’Italia. Oltre a una somma forfettaria di 40 milioni di euro, la Corte ha inflitto all'Italia una penalità di 42,8 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie a dare piena esecuzione alla sentenza del 2007. In altre parole, l'Italia dovrà continuare a pagare fino a quando continuerà la permanenza in stato di infrazione. Da quest’importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e 200.000 per ogni altra discarica che nel frattempo sarà stata messa a norma. (38) La «tassa» che gli allevatori devono versare nelle casse della ue se superano la quota produttiva assegnata ai singoli Stati. Le quote latte sono state istituite nel 1984 per ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta. Ma gli allevatori italiani, che fino alle ultime campagne hanno sforato il tetto produttivo, hanno pagato le multe col contagocce accumulando così un arretrato di 4,4 miliardi. Con due accordi siglati in sede ECOFIN, nel 2003 e nel 2009, sono stati autorizzati piani di rateizzazione delle multe arretrate, ma tra ricorsi giudiziari e proroghe i risultati non sono ancora arrivati. (39) La Commissione europea ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia per non aver eseguito una decisione della Corte di Giustizia dell'unione europea che ordina il recupero di aiuti di Stato illegali e incompatibili da imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico. Benché la sentenza della Corte risalga al 2006 e nonostante i recenti progressi compiuti nel recupero, le autorità italiane non hanno ancora notificato alla Commissione l'avvenuto completamento di tale operazione. CONVEGNO 17 In particolare, vanno poi esaminate le relazioni della Corte dei Conti e ministeriali sui contenziosi tributari di merito e di legittimità (40), del Consiglio di Stato sul contenzioso amministrativo in materia di appalti (41). Sotto questo punto di vista, un dato interessante è costituito dal contenzioso amministrativo delle gare bandite dalla CONSIP (42) che, nel 2016, ammonta a 2,6 miliardi di euro. Poco meno del 30% delle procedure bandite sono state impugnate. Il giudizio cautelare ha tempi estremamente rapidi e decide sulla proseguibilità o meno della realizzazione dell’appalto. Nei grandi appalti la percentuale delle sospensive accolte è sensibilmente più bassa della media. Il valore complessivo del contenzioso è pari al 2,7% del PIL. La percentuale di sospensive accolte è pari all’1% rispetto ai ricorsi di valore elevato. Però si assiste spesso alla prassi di autosospensione della procedura in assenza di provvedimenti giurisdizionali che li impongano. In sintesi, l’esito sfavorevole dei giudizi per l’Amministrazione è confinato ad una percentuale minimale. Le diseconomie sono prevalentemente prodotte dai comportamenti bloccanti delle Amministrazioni dovute alla situazione fisiologica di incertezza per la pendenza del giudizio. In questi casi si arriva raramente ad una transazione e si preferisce attendere che il giudice “tolga le castagne dal fuoco”. Per il contenzioso tributario, invece, va evidenziato che la stragrande maggioranza dei giudizi ha un valore di scarsa rilevanza, inferiore ai 20.000,00 euro (43). La percentuale di giudizi di valore elevato, che è inferiore al 2% della quantità complessiva, in termini di valore ammonta circa al 70%. Inoltre, Trattandosi di un deferimento alla Corte per il mancato rispetto di una precedente sentenza della Corte, la Commissione ha deciso di chiedere alla Corte di imporre il pagamento di una penalità di 65.280 euro per giorno di ritardo successivo alla seconda sentenza della Corte fino al giorno della regolarizzazione dell'infrazione e di una somma forfettaria di 7.140 euro al giorno per il periodo intercorso tra la sentenza della Corte del 2006 e la seconda sentenza della Corte. Tali pagamenti fungerebbero da incentivo a garantire il rapido recupero degli aiuti illegali dai beneficiari. (40) Secondo la relazione della Corte dei Conti anno 2016 (in particolare, pagg. 91-92), al fine di deflazionare il contenzioso, è necessario elevare la qualità delle iscrizioni al ruolo, utilizzare appieno l’istituto dell’autotutela, identificare e valutare le fattispecie di contenzioso più ricorrenti o di tipo seriale. (41) Dalla relazione di analisi di impatto del contenzioso in materia di appalti del Consiglio di Stato emerge che la percentuale di impugnazioni in relazione al monte complessivo delle gare bandite in Italia è oggettivamente bassa (una media del 2,7%) e che, più elevato è il valore dell’appalto, minore è la percentuale delle sospensive accolte. Si ricorre spesso a condotte di autosospensione da parte dell’Amministrazione fino alla definizione del giudizio pur in assenza di provvedimento cautelare. (42) Di rilevante interesse sono i dati riportati dalla relazione datata 27 ottobre 2017, in base alla quale il valore dei contratti “bloccati” da ricorsi dei fornitori è di 2,6 miliardi di euro, pari allo 0,2% del PIL nazionale. Il monitoraggio effettuato mette in luce che nel quinquennio 2012-2017 sono stati notificati a Consip 547 ricorsi da parte di 265 ricorrenti. Di tali ricorsi, 190 risultano ancora pendenti, il che significa che il 35% delle questioni sollevate dalle imprese devono essere ancora risolte. (43) un articolo del Sole 24 ore, redatto da Vittorio Nuti del 26 febbraio 2018, mette in evidenza come più di un terzo dei nuovi procedimenti presentati nel 2017 riguardano materie fiscali, comportando un “ingolfamento” della Sezione tributaria della Corte di Cassazione. Per quanto riguarda l’esito dei procedimenti in Cassazione, la percentuale di successo per l’Erario è dei due terzi, contro un terzo a favore del contribuente. RASSEGNA AVVOCATuRA 18 DELLO STATO - N. 2/2018 criticità particolari derivano dal fatto che spesso l’amministrazione non riesce ad incassare il gettito derivante da atti impositivi divenuti definitivi (44). 4. Sinergie con aiR e viR. importanza della valorizzazione dell’attività di analisi e valutazione dell’impatto della regolazione. Le attività di AIR e VIR svolte dalla PCM (45) e dai competenti uffici legislativi dei ministeri sono state oggetto di maggior attenzione istituzionale negli ultimi tempi tanto che si è introdotta una nuova regolamentazione (46). In questo contesto non vi è alcuna analisi sistematica del contenzioso, che costituisce ai fini della valutazione della legislazione (drafting formale [47] e (44) V.d. nota su Relazione Corte dei Conti. (45) L’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) o drafting sostanziale è uno strumento di supporto alle scelte dell’organo politico di vertice per mezzo del quale viene realizzata una verifica ex ante dei possibili effetti dell’intervento normativo che ricadranno sia nei confronti dell’attività dei cittadini ovvero nei confronti del funzionamento e dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni. La verifica dell’impatto regolatorio (VIR) consiste nella valutazione del raggiungimento delle finalità di uno o più atti normativi, nonché nella stima degli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. La finalità della VIR è, dunque, di fornire, a distanza di un certo periodo di tempo dall’introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull’impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di valutare possibili revisioni della regolazione in vigore. (46) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 settembre 2017, n. 169. Regolamento recante disciplina sull’analisi dell’impatto della regolamentazione, la verifica dell’impatto della regolamentazione e la consultazione (G.u. Serie 280/17). L’art. 12 c. 6 stabilisce che l'Amministrazione assicura il monitoraggio dell'attuazione degli atti normativi, attraverso la costante raccolta ed elaborazione delle informazioni e dei dati necessari all'effettuazione della VIR, con particolare riguardo a quelli relativi agli indicatori individuati nelle corrispondenti AIR. Da questo punto di vista i dati sul contenzioso non possono non essere significativi. Si pensi a quanto i contenziosi su conferenza di servizi, legge 241 del 1990, in materia di SCIA coinvolgano profili di valutazione sulla riduzione degli oneri amministrativi o su efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, cfr. sentenza Consiglio di Stato sez. IV 5044 del 2016 che ha affermato il principio che “La conferenza di servizi… non costituisce solo un "momento" di semplificazione dell'azione amministrativa (come indicato dal capo IV della Legge n. 241/1990) ma anche e soprattutto un momento di migliore esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione, attraverso una più completa ed approfondita valutazione degli interessi pubblici (e privati) coinvolti, a tal fine giovandosi dell'esame dialogico e sincronico degli stessi. In altre parole, la valutazione tipica dell'esercizio del potere discrezionale (e la scelta concreta ad essa conseguente) si giova proprio dell'esame approfondito e contestuale degli interessi pubblici di modo che la stessa, ove avvenga in difetto di tutti gli apporti normativamente previsti, risulta illegittima perché viziata da eccesso di potere per difetto di istruttoria, che si riverbera sulla completezza ed esaustività della motivazione”. Cfr. Tar Lazio 3742/17 e 9230/18 sulla questione della legittimità della motivazione dell’atto amministrativo fondata sulle risultanze degli algoritmi secondo il quale un algoritmo non può decidere il trasferimento dei docenti. Il Tar Lazio conclude che le procedure informatiche, anche se rasentassero la perfezione, non possono soppiantare l'attività cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un'istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere. Cfr. Tar toscana ordinanza 677 del 2017 con cui i giudici hanno sottoposto alla Consulta la questione della legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, L. n. 241/1990, nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla SCIA, per violazione degli artt. 3, 11, 97, 119 comma 1 Cost. La possibilità di avanzare l’istanza di sollecitazione sine die è secondo i giudici in grado di violare l’affidamento di chi intraprende legittimamente un’attività economica, confliggendo una tale situazione con il principio del buon andamento della P.A. e con il principio di ragionevolezza e tutela dei livelli essenziali di prestazioni. CONVEGNO 19 drafting sostanziale [48]) l’emblema del momento applicativo della norma in cui le criticità si presentano con solare evidenza. A giudizio dello scrivente, l'analisi sull'impatto di una legge non può prescindere da indagini sulle criticità emergenti dai giudizi a cui essa ha dato luogo. Spesso è proprio la non perfetta formulazione delle norme od una non puntuale valutazione dell'impatto a determinare l'insorgenza di giudizi, come anche accade che il legislatore intervenga con norme interpretative oppure con modifiche legislative per far fronte ad emergenze causate dalle pendenze di giudizi. Adottando i criteri di analisi e valutazione dell’impatto elaborati dalle Amministrazioni e recepiti dalla normativa in materia, si potrebbe creare una griglia di riferimento per l’analisi dei contenziosi ai fini della valutazione sulla qualità della regolazione (49). L’analisi del contenzioso dovrebbe confluire nella valutazione dell’impatto su cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione, anche per un giudizio sulla virtuosità dell’operato delle amministrazioni nel monitoraggio e manutenzione della regolazione (50). Da questo punto di vista i criteri di valutazione su fatti- (47) Per “drafting formale” s'intende l'arte di redigere in modo formalmente ineccepibile un testo normativo. Il problema si è posto in Italia dopo gli anni '70, il Ministro Giannini nel 1979, correlando la produttività e l'efficienza della P.A. alla qualità della legislazione pose l'attenzione sulla buona formulazione delle leggi. Col tempo è cresciuta l'attenzione verso il drafting mediante l’introduzione di normative ed appositi uffici istituiti per la corretta redazione dei testi legislativi. (48) Per “drafting sostanziale” l’analisi e valutazione dell’impatto della regolazione su cittadini, imprese e pubblica amministrazione. (49) Vedi DPR 169 del 2017, Regolamento recante disciplina sull'analisi dell'impatto della regolamentazione, la verifica dell'impatto della regolamentazione, l’art. 13 che disciplina i criteri di svolgimento della VIR: “a) analisi della situazione attuale e dei problemi, ricorrendo a evidenze quantitative e verificando anche il grado di attuazione della normativa in esame, con riferimento, se del caso, ai diversi livelli istituzionali coinvolti; b) ricostruzione della logica dell'intervento, in relazione ai problemi che si intendevano affrontare e agli obiettivi che si intendevano conseguire, alle azioni poste in essere, ai soggetti direttamente e indirettamente coinvolti, all'evoluzione registrata nel contesto di riferimento; c) valutazione dell'intervento, applicando i seguenti criteri: 1) efficacia, verificando il grado di raggiungimento degli obiettivi e la misura in cui gli effetti osservati derivano dalla regolazione in esame o da ulteriori fattori che sono intervenuti nel tempo; 2) efficienza, in relazione alle risorse impiegate; 3) perdurante utilità della regolazione rispetto alle esigenze e agli obiettivi delle politiche attuali; 4) coerenza dell'insieme delle norme che disciplinano l'area di regolazione in esame, anche con riferimento ad eventuali lacune, inefficienze, sovrapposizioni, eccesso di costi di regolazione; d) definizione di ipotesi di revisione, abrogazione, miglioramento dell'attuazione delle norme in esame, alla luce dei risultati del processo valutativo. 2. Nello svolgimento della VIR l'Amministrazione ricorre alla consultazione, secondo quanto stabilito dagli articoli 16 e 18, nonchè ad evidenze di tipo quantitativo, ivi comprese quelle desumibili da relazioni degli organi di controllo o di vigilanza”. Questi criteri si attagliano perfettamente all’esame del contenzioso. In particolare attuazione della normativa, logica dell’intervento, grado di raggiungimento degli obiettivi, efficienza delle risorse impiegate, utilità della regolazione rispetto alle esigenze e agli obiettivi delle politiche, coerenza dell’insieme delle norme ed ipotesi di revisione, consultazione attraverso i punti di vista dei destinatari che coincidono spesso con le parti del giudizio. (50) Vedi Parere sezione consultiva degli atti normativi, Adunanza del 7 giungo 2017 che a p. 35 prevede l’analisi comportamentale delle Amministrazioni applicata alla regolamentazione, introducendo un approccio da “behavioural regulation” che richiama il concetto di “bias cognitivo”. Il bias è una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale di una persona presenta “bias” laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami RASSEGNA AVVOCATuRA 20 DELLO STATO - N. 2/2018 bilità della regolazione con giudizio ex ante ed efficacia con giudizio ex post (51) potrebbero essere utilizzati anche per l’analisi del contenzioso in termini di misurazione della riduzione degli oneri amministrativi o per verifica dell’efficacia delle opzioni regolative. Occorre, quindi, costruire un modello organizzativo che si articoli in rapporti di sinergica collaborazione fra le varie istituzioni del mondo della Giustizia, uffici legislativi della PCM e dei singoli ministeri, uffici parlamentari (52). Molto importante è anche il contributo che può essere fornito da u.V.I., S.N.A., dall'Osservatorio AIR e dalla preziosa esperienza maturata dalle Autorità Indipendenti su analisi e valutazione d'impatto (53). L’indagine sulla qualità della regolazione non può, poi, prescindere logici e validi. Cfr. “La spinta gentile” autori ThALER e SuNSTEIN, Feltrinelli. Ogni giorno prendiamo decisioni sui temi più disparati: come investire i nostri soldi, cosa mangiare per cena, dove mandare i figli a scuola, con che mezzo di trasporto raggiungere il centro della città. Purtroppo facciamo spesso scelte sbagliate. Mangiamo troppo, usiamo la macchina quando potremmo andare a piedi, scegliamo il piano tariffario peggiore per il nostro telefonino o il mutuo meno conveniente per comprare una casa. Siamo esseri umani, non calcolatori perfettamente razionali, e siamo condizionati da troppe informazioni contrastanti, dalla complessità della vita quotidiana, dall'inerzia e dalla limitata forza di volontà. È per questo che abbiamo bisogno di un "pungolo", di una spinta gentile che ci indirizzi verso la scelta giusta: di un nudge, come l'hanno battezzato l'economista Thaler e il giurista Sunstein in questo libro. L'idea di Thaler e Sunstein è semplice ma geniale: per introdurre pratiche di buona cittadinanza, per aiutare le persone a scegliere il meglio per sé e per la società, occorre imparare a usare a fin di bene l'irrazionalità umana. I campi d'applicazione sono potenzialmente illimitati: dal sistema pensionistico allo smaltimento dei rifiuti, dalla lotta all'obesità al traffico, dalla donazione di organi ai mercati finanziari, non c'è praticamente settore della vita pubblica o privata che non possa trarre giovamento dal "paternalismo libertario". (51) A.I.R. (Analisi impatto regolazione) V.I.R. (Valutazione impatto regolazione) ed A.I.R.C. (Analisi impatto regolazione concorrenza). Cfr. Relazione Osservatorio AIR 2016 su buone prassi dell’Autorità per la Concorrenza e Mercato, ANAC, Banca d’Italia e Consob, Autorità per l’Energia ed il Gas. (52) FABIANADI PORTO, “Regolazione del rischio, informazione e certezza giuridica” su rivista di diritto alimentare, anno V, numero 4 (Ottobre-Dicembre) 2011, p. 5 “…. l’organizzazione di tipo reticolare consente la circolazione delle informazioni fra i singoli partecipanti - o nodi - sia al fine di accrescere le conoscenze sul rischio della regolazione, e quindi ridurre l’incertezza, sia per attenuare l’impatto su soggetti derivanti dall’evento dannoso, ove verificatosi”. (53) L'uVI (ufficio Valutazione Impatto Regolazione) è una struttura costituita presso il Senato che realizza analisi d'impatto e di valutazione delle politiche pubbliche, con l'obiettivo di diffondere, sviluppare e potenziare la "cultura della valutazione" dentro il perimetro istituzionale. La SNA (Scuola Nazionale Amministrazione) ha stipulato un protocollo d’intesa con la PCM per l’applicazione delle scienze comportamentali all’azione amministrativa, firmato nell’estate del 2017. L'Osservatorio sull’Analisi di Impatto della Regolazione (Osservatorio AIR) nasce nel 2009, sulla base di una convenzione stipulata tra il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’università degli Studi della Tuscia di Viterbo (ora Dipartimento di studi linguistico-letterari, storico-filosifici e giuridici - DISTu) e la Facoltà di Giurisprudenza dell’università degli Studi di Napoli “Parthenope”. La convenzione è stata rinnovata nel 2016. Il 10 ottobre 2013 si è costituito in associazione. Nel 2016, l’Osservatorio è diventato membro dell’International Institute of Administrative Sciences (IIAS). L’obiettivo dell’Osservatorio è esaminare, con cadenza periodica, le tematiche della qualità della regolazione, con particolare riferimento all’impiego della metodologia di Analisi di impatto della regolazione (AIR) e di Verifica di impatto della regolazione (VIR) da parte delle amministrazioni italiane e di produrre indagini, paper, studi di caso, nonché approfondimenti e confronti con le esperienze internazionali più significative. Esso si propone di contribuire allo sviluppo delle attività di ricerca in materia di AIR e di formazione post-universitaria per studiosi e funzionari pubblici. Sulle autorità indipendenti cfr. “La faticosa costruzione di un sistema CONVEGNO 21 da un’interazione con gli istituti di studio e di ricerca universitari, anche per un approccio interdisciplinare con professionalità dotate di competenze statistiche, di analisi economica, informatiche e di ingegnerizzazione dei processi (54). Del resto la rilevanza di AIR e VIR ai fini della validità degli atti amministrativi generali è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza. Infatti per gli atti regolatori delle Autorità Indipendenti si è affermato il principio che le Autorities devono garantire forme di “partecipazione rinforzata” (55) ed adeguate modalità di “pubblica consultazione” (56). In sede consultiva poi il Consiglio di Stato si è orientato per un controllo sempre più penetrante sui contenuti di AIR e VIR (57). Sulla rilevanza dell’osservatorio del contenzioso per i pareri sugli atti di regolazione sono da menzionarsi come circostanze particolarmente significative la costituzione delle c.d. “Commissioni Speciali” composte da magistrati delle sezioni atti normativi e sezioni giurisdizionali, così da poter abbinare le competenze (58); e le valutazioni contenute nel parere 2282 del 2016 sullo schema di decreto del MIT su approvazione delle linee guida recanti “Il Direttore dei Lavori: modalità di svolgimento delle funzioni di direzione e controllo tecnico contabile ed amministrativo dell’esecuzione per la regolazione indipendente” di ELEONORA CAVALIERI ed EDOARDO ChITI “che ne valorizzano le preziose esperienze,certamente più evolute nella cultura della analisi e valutazione rispetto alle Amministrazioni Ministeriali”. (54) Cfr. Senato della Repubblica, ufficio Valutazione impatto. “La valutazione degli atti normativi in Italia: criticità, prospettive e buone pratiche”, p. 6, di MELISSO BOSChI e DAVIDE zAOTTINI. Dal punto di vista organizzativo si dà l’indicazione di dotare le istituzioni di competenze interdisciplinari, accrescere la collaborazione fra istituzioni ed enti di ricerca ed unificare le funzioni di coordinamento. (55) Cfr. TAR Lombardia sez. III nn. 2310, 11, 12, 13 del 2013 che ha affermato che l’attività regolatoria posta in essere dalle autorità indipendenti senza il rispetto delle garanzie partecipative è da ritenersi viziata per violazione del principio di “legalità procedimentale”. (56) A partire dal 2014 sia il Consiglio di Stato che i Tar hanno iniziato a valutare anche le modalità con cui le consultazioni pubbliche erano state condotte ed il concreto utilizzo da parte delle AI delle informazioni raccolte nel corso delle stesse. Cfr. Consiglio di Stato Sez. VI 1532 del 2015 che peraltro ha precisato che il mancato rispetto delle procedure partecipative determina ex se l’illegittimità dell’atto senza che sia possibile per l’autorità invocare a sua difesa una sorta di giudizio ex post controfattuale. In altri termini non si ammette in sede giudiziale una verifica di prognosi postuma circa gli esiti che la partecipazione dei “stakeholder” avrebbe prodotto laddove fosse stata correttamente svolta. In senso conforme vedi anche Tar Lazio 9981 e 9982 del 2014 e Tar Lombardia 1245 e 1246 del 2014. (57) Come è noto il Consiglio di Stato esprime pareri sugli atti normativi del Governo ai sensi dell’art. 14 legge 246 del 2005. Prima del 2015 il Consiglio di Stato si era limitato ad un controllo meramente formale sull’esistenza delle relazioni. Nel 2015 si è registrato un aumento dei pareri c.d. “interlocutori” in cui la sezione sospendeva il parere in attesa della trasmissione della relazione. Pareri 713, 1040, 1332, 1945 e 2764 del 2015. Nel 2016 il Consiglio di Stato ha iniziato a pronunciarsi sull’idoneità delle norme giuridiche a perseguire in concreto gli interessi pubblici prefissati dalla legge. Per esempio su schemi provvedimenti attuativi della legge 124 del 2015 sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (c.d. legge Madia) in cui sono state valutate le informazioni contenute nelle relazioni AIR e fornito indicazioni per migliorarne la qualità. Nello stesso senso pareri 929/16, 764/16 e 1502/16 in cui si è attuato un controllo sostanziale sulle procedure di consultazione. (58) In particolare nel 2016 vi sono state 28 commissioni speciali: 17 su legge di riforma Madia ed 11 in materia di contratti pubblici. RASSEGNA AVVOCATuRA 22 DELLO STATO - N. 2/2018 del contratto”. In questo parere si valutava insufficiente l’analisi d’impatto mancando l’esame dei procedimenti penali e contabili (59). Il coinvolgimento dei vari attori della giurisdizione nell’analisi di impatto della regolazione assume particolare importanza nei casi di governance giudiziaria dell’economia (60). Il giudice, oltre alla funzione di compositore, ha il ruolo di regolatore sostituendosi in tal modo all’autorità politica. La complessità del sistema e l’esistenza di una pluralità di fonti multilivello crea spesso problemi interpretativi per una composizione della regolazione in un quadro razionale. Questa operazione, soprattutto nei contenziosi avanti al giudice amministrativo sui contratti pubblici e delle autorità indipendenti, viene svolto dalla giurisdizione che si fa carico, da una parte, delle esigenze di sviluppo economico e di crescita, dall’altra, delle ragioni di interesse pubblico legate all’azione amministrativa e dei diritti di cittadini e di imprese, supplendo alla perdita della centralità statuale. In questo contesto il dialogo fra sistema Giustizia e sistema politico economico ha una sua ragion d’essere anche per la costruzione di una visione completa del quadro regolatorio. L’A.I.R. e la V.I.R. sono svolte da personale che ha una formazione prevalentemente giuridica. L’attività di consultazione è spesso svolta in modo ap- (59) Cfr. Relazione osservatorio AIR anno 2016 capitolo VII, SIMONAMORETTINI, p. 238 “Queste linee guida riguardano una figura cruciale per il buon esito dei contratti pubblici, il direttore dei lavori/dell’esecuzione, i cui compiti e la cui interlocuzione vanno individuati con chiarezza e rigore. La prassi pregressa, infatti ha evidenziato che le pratiche corruttive nei pubblici appalti trovano un terreno di elezione nella fase di esecuzione, mediante “relazioni pericolose” tra direttore dei lavori ed esecutore. Per prevenire il perpetuarsi di prassi scorrette ed illecite occorre, quindi, conoscere in modo adeguato il fenomeno ed individuare i pertinenti anticorpi normativi”. A pag. 240 è evidenziato “Secondo la Commissione, contrariamente a quanto fatto dal ministero nel caso specifico, l’analisi avrebbe potuto essere condotta mediante: un esame della copiosa giurisprudenza contabile in tema di danno erariale arrecato dal direttore dei lavori/dell’esecuzione; l’acquisizione di dati statistici sui procedimenti contabili e penali che coinvolgono il direttore dei lavori/dell’esecuzione; una indagine sui principali comportamenti patologici in fase esecutiva da parte del direttore dei lavori /dell’esecuzione; un esame della giurisprudenza penale ed arbitrale sul direttore dei lavori e dell’esecuzione”. (60) Con tale espressione sono identificate quelle dinamiche istituzionali che contribuiscono a forgiare le regole giuridiche, sia all’interno degli Stati, sia nei rapporti internazionali. Per una breve ma importante lettura sul tema si rimanda a quanto scritto da A. PAjNO, “Giustizia amministrativa ed economia”, pp. 9-11, in cui l’Autore mette in evidenza lo stretto rapporto tra la crisi della legislazione, i problemi dell’economia e della finanza, e il c.d. dialogo tra le Corti nazionali ed europee. Al riguardo va anche menzionato che, per quanto concerne la verifica della corretta elaborazione della relazione AIR, si è consolidata una giurisprudenza secondo la quale l’AIR può essere sottoposta a sindacato giurisdizionale solo nel caso in cui vi sia un contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica, vedi Consiglio di Stato Sez. VI n. 2521 del 2012 e Sez. VI n. 6153 del 2014. Così in un caso relativo ad un atto dell’AEEGSI, il Consiglio di Stato (Sez. VI n. 162 del 2016) ha avuto modo di precisare che “le scelte regolatorie compiute dall’Autorità per l’energia e per il Gas, specie quelle che incidono sui meccanismi tariffari, sono spesso caratterizzate da un elevato tasso di complessità tecnica, in quanto normalmente presuppongono o sottendono questioni specialistiche la cui risoluzione richiede l’impiego di concetti o nozioni appartenenti a discipline di settore, di carattere prevalentemente economico e finanziario. A fronte di valutazioni tecnicamente complesse il sindacato giurisdizionale deve avvenire “con gli occhi dell’esperto”. CONVEGNO 23 prossimativo e manca un’analisi interdisciplinare (socio-economico e statistico). Analisi e valutazione di impatto si esauriscono, il più delle volte, in meri adempimenti burocratici, che non hanno alcuna valenza ai fini del procedimento legislativo (61). Non è solo la mancata integrazione con il sistema Giustizia a dare incompletezza al lavoro di analisi e valutazione della qualità della normazione ma un’inadeguatezza complessiva del modello organizzativo. Eppure, questo tipo di indagine potrebbe avere un’importanza decisiva al fine di qualificare la correttezza del processo democratico. “Conoscere per deliberare”, questo dovrebbe essere il motto che accompagna l’analisi e valutazione della qualità di legislazione e regolazione. La scelta sull’obiettivo da perseguire e sul programma da realizzare spetta ovviamente all’autorità politica, invece, l’individuazione dei mezzi più adeguati pertiene all’indagine tecnica perché presenta elementi di complessità che richiedono una precipua competenza professionale. una democrazia compiuta potrà realizzarsi soltanto quando sarà creato un sistema che appronta per i decisori politici le misure più adeguate per realizzare i loro obiettivi e programmi (62). Per questa ragione non appare peregrina l’ipotesi che possano profilarsi questioni di illegittimità costituzionale per irragionevolezza della scelta di opzioni regolative in contrasto con le valutazioni di analisi di impatto della regolazione. Assicurando adeguata pubblicità o trasparenza a questa attività, si consente all’opinione pubblica di poter esprimere un giudizio circostanziato sull’operato degli organi legislativi. Da questo punto di vista assume particolare pregnanza il ruolo dell’Avvocatura dello Stato in quanto espressione dello Stato-comunità (63), sensibile ad assicurare al massimo livello l’attuazione dei principi di legalità e buona amministrazione. (61) Relazione sullo stato di applicazione dell’AIR anno 2015. Fra i limiti che il DAGL riscontra nelle AIR comunicate ai Ministeri si rileva un’eccessiva enfasi sulle motivazioni giuridiche piuttosto che sugli aspetti sostanziali che motivano l’intervento accompagnata da una “debole attenzione agli impatti dell’intervento pubblico, anche solo in termini di quantificazione dei destinatari diretti ed indiretti”. Nella relazione del 2016 emergono criticità sulla valutazione in ordine agli effetti anticoncorrenziali. (62) Vedi DANIELAMONE “Qualità normativa fra tecnocrazia ed effettività della democrazia rappresentativa” jovene, Napoli 2010, pp. 97 ss. (63) F. CARAMAzzA, “Le nuove frontiere della giurisdizione amministrativa (dopo la sentenza della Corte Costituzionale 8 luglio 2004 n. 204)” in Rass. avv. St. 2004, 741. L’Avvocatura dello Stato è, infatti, da un lato, difensore dello Stato, soprattutto dinanzi al giudice amministrativo (recessive apparendo le funzioni del giudice ordinario nei giudizi con lo Stato) con una posizione da avvocato tendenzialmente equiordinata a quella del difensore privato. Essa acquista e potenzia, poi, una dimensione diversa e più squisitamente pubblicistica in quelli che sono i giudizi di costituzionalità (in cui opera più come amicus curiae che come avvocato) ed i giudizi dinanzi alle corti internazionali e sovranazionali in cui rappresenta non già lo Stato-amministrazione, sebbene lo Stato come personificazione anche esterna di tutta la Comunità nazionale; per non parlare, da ultimo, delle cause in cui difende le Autorità indipendenti, e che presentano problematiche tutte particolari. RASSEGNA AVVOCATuRA 24 DELLO STATO - N. 2/2018 Il valore della certezza del diritto nell’attuazione dei tributi e nel processo. Qualche idea per una nomofilachia “virtuosa” Enrico Manzon* 1. il valore della certezza del diritto (tributario). L’art. 65, della c.d. “legge base” sull’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) così dispone: «La Corte suprema di cassazione .. assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale ..». L’art. 111, settimo comma, Cost. “copre” costituzionalmente questa disposizione legislativa formalmente ordinaria con la previsione di ricorribilità in Cassazione contro «le sentenze .. per violazione di legge». I due enunciati normativi esprimono un “valore”, dunque costituzionalizzato, che è poi quello, comunemente individuato, della certezza del diritto ed indica la Corte di cassazione quale organo giudiziario precipuamente e primariamente deputato alla sua salvaguardia, così affermandone la funzione di nomofilachia. La certezza del diritto e la correlativa funzione nomofilattica rivestono anzitutto un aspetto prettamente “giuridico”, che pure di consueto viene suddistinto in due articolazioni: per un verso, la tutela interpretativa “dei diritti soggettivi” (individuali/collettivi) ossia degli jura litigatorum; per altro verso quello della certezza del diritto in senso stretto, quale espressione dello jus constitutionis («uniforme interpretazione della legge .. unità del diritto oggettivo nazionale»). La “crasi giuridica” di questi due aspetti nella materia tributaria significa attuazione, diretta, del principio - generale - di capacità contributiva ex art. 53, primo comma, Cost., che a sua volta deve considerarsi espressione “specifica” dei principi - supremi - di cui all’art. 2, (adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale) e 3, primo comma, (eguaglianza di fronte alla legge) della Costituzione medesima. In sintesi, si può quindi affermare che la mission specifica della nomofilachia tributaria è la concretizzazione della giusta imposta, sia nella dimensione dello jus litigatoris sia in quella dello jus constitutionis. Per il suo ruolo istituzionale la Corte di cassazione quindi è il punto terminale dell’attuazione di detti valori costituzionali fondamentali, che inizia con le attività dei contribuenti (autotassazione) e degli Enti impositori, poi nelle eventuali “crisi di cooperazione” passa attraverso la giurisdizione speciale di merito e, statuendo principi di diritto, orienta sia le prassi attuative, private e pubbliche sia la giurisprudenza meritale, della quale è un essenziale punto di riferimento. (*) Consigliere Sezione Tributaria della Corte di Cassazione. CONVEGNO 25 In questi termini la Corte concretizza la certezza del diritto come “valore giuridico”. Vi è tuttavia un secondo, affatto minusvalente, aspetto della nomofilachia funzionalizzata all’affermazione della certezza del diritto: quello “economico”. Orientare le prassi e la giurisprudenza produce infatti rilevanti effetti “di fatto” - sui patrimoni personali dei soggetti contribuenti e sulle finanze pubbliche - sancendo in concreto (jus litigatoris) e conformando in astratto (jus constitutionis) i crediti/debiti fiscali, in ultima analisi incidendo sulla loro “certezza” (oltre che “liquidità ed esigibilità/esazione”). È dunque evidente, e non abbisogna di particolare argomentazione, l’ importanza economica della giurisprudenza tributaria di legittimità. 2. idee per una nomofilachia “virtuosa”. Qualche premessa. Di cosa sia la nomofilachia si è detto in premessa, essendo peraltro un concetto chiaro e di comune uso. Ma cosa possiamo intendere per “virtuosa” ? Essenzialmente, due obiettivi “produttivi”: la chiarezza e l’omogeneità delle decisioni (in particolare la prevenzione dei contrasti interpretativi), quindi la prevedibilità delle decisioni stesse; la tempestività ossia in termini costituzionali e convenzionali/unionali la ragionevole durata del giudizio. In sostanza, la Corte deve parlare chiaro e farlo quanto più rapidamente ciò sia possibile. In siffatta maniera si possono/devono realizzare i due aspetti (giuridico/economico) della certezza del diritto. In astratto. In concreto, oggi siamo lontani da questa modalità attuativa del principio. Le cause sono invero molteplici e remote. Da quelle pregiuridiche (forte difetto della compliance fiscale, fenomeno accentuato di evasione/elusione tributaria) a quelle giuridiche (legislazione alluvionale ed erratica; mancanza di codificazione, anche sull’esempio straniero: Francia, Germania) per giungere alle giurisdizionali (strutturazione dell’apparato giudiziario, rispettivamente di merito e di legittimità). In particolare, sotto quest’ultimo profilo, nella (non)architettura o, se si preferisce, nell’architettura “sbilenca” della giurisdizione troviamo senz’altro le cause più prossime, che sono essenzialmente e soprattutto la bassa qualità media delle decisioni delle Commissioni tributarie ed il (correlativo) sovraccarico della Cassazione. Può sicuramente ritenersi che quest’ultima sia la più immediata e prossima di tutte. In questo senso i numeri sono impietosamente chiari: 53mila ricorsi pendenti, il 50% del carico civile complessivo della Corte; trend “storico” dei flussi in entrata, costante, di 11/12mila ricorsi all’anno. Più precisamente nel primo semestre 2018 le iscrizioni di ricorsi destinati alla sezione tributaria ammontano a 7.086, pari al 38% della sopravvenienza totale. RASSEGNA AVVOCATuRA 26 DELLO STATO - N. 2/2018 Sono indubbiamente numeri che schiacciano anche le migliori intenzioni e che hanno origini storiche abbastanza evidenti, su tutte la soppressione del “filtro” (in realtà un vero è proprio “tappo”) della Commissione tributaria centrale, disposta con la riforma del ’92. Si tratta quindi di una situazione alquanto compromessa - con particolare riguardo ai tempi di giustizia, ma anche senz’altro rispetto all’effettiva qualità/ omogeneità della giurisprudenza - che non ha né può avere soluzioni semplici. Vediamone comunque qualcuna, almeno tra le più rilevanti. Non senza tuttavia una premessa metodologica: l’analisi propositiva va suddistinta tra aspetti attinenti alle risorse umane e quelli attinenti la gestione del “magazzino” ossia dell’arretrato e della sopravvenienza. Ovvio che le prime incidano in misura determinante sulla seconda, ma la seconda ha necessità di un approccio non solo “quantitativo”, ma anche “qualitativo” ossia dev’essere una gestione attiva, ben oltre il metodo first in first out. 3. le misure organizzative interne. Ciò posto, riferiamoci anzitutto alle possibili misure organizzative interne alla Corte ed in particolare alla Sezione specializzata e quindi concentriamo la riflessione sulla questione delle risorse umane. Va rilevato in primo luogo che l’organico della Sezione Quinta civile-tributaria, dalla sua istituzione nel 1999 per via “tabellare” ossia per provvedimento organizzativo interno secondo le norme, primarie e secondarie, di ordinamento giudiziario, è stato progressivamente aumentato sino a giungere alle attuali circa 41 unità, compresi i Presidenti di sezione, di cui 11 assegnati in via esclusiva alla Sezione Sesta per le sue specifiche attività. Va precisato, in quanto si tratta di un rilievo senz’altro significativo, che tale dotazione di magistrati è pari al 22% dell’organico complessivo dei magistrati assegnati alle sezioni civili. Peraltro, con la legge di bilancio 2018 a tale dotazione “ordinaria” si sono aggiunti, in via straordinaria e temporanea (tre anni), i magistrati (con una certa anzianità di servizio) addetti all’ufficio del Massimario e del Ruolo presso la Corte e 50 giudici ausiliari scelti tra i magistrati in pensione (con specifici presupposti). Va tuttavia precisato che i primi ammontano, allo stato, a 22 unità (impiegabili in base alla stessa previsione normativa in questione al 50% ossia per non più di due udienze mensili). Allo stato entrambe tali disposizioni normative primarie sono state attuate, mediante la correlativa normazione secondaria ed attività provvedimentale organizzativa. Di conseguenza si sono aggiunti 22 magistrati dell’ufficio del Massimario e 24 giudici ausiliari, i primi selezionati in base alle previsioni della citata legge ed i secondi quali risultanti dalla selezione operata dal Csm sulla base del relativo bando ministeriale. CONVEGNO 27 La Sezione tributaria della Corte può dunque ora contare su 87 magistrati addetti, delle varie “categorie”, su 182 complessivamente destinati alle sezioni civili.È ovvio che grandi speranze vengano riposte sullo spiegamento di una tale “massa critica”, quantomeno sul piano dell’abbattimento dell’arretrato e quindi dei tempi della giustizia tributaria di legittimità, ora davvero molto dilatati e di molto superiori a quelli delle altre sezioni civili della Corte. Non possono tuttavia nascondersi delle problematiche potenzialmente limitative degli effetti di questo nuovo ed ampio dispiegamento di forze. La prima ha origini per così dire “storiche” e rappresenta una vera e propria “cronicità negativa”, ancorchè, quantomeno allo stato, poco evitabile, della situazione della Sezione tributaria e consiste nell’accentuato turn over dei consiglieri (nonché assai minore, anche dei Presidenti di sezione “non titolari”). La Quinta civile è infatti tradizionalmente una “sezione di passaggio” che accoglie i cassazionisti di vocazione/formazione civilistica solo come primo step verso le tre sezioni del “civile ordinario”. Il che crea appunto un primo problema che è quello della perdita costante di professionalità specialistiche acquisite e della contemporanea necessità di formarne costantemente di nuove, con tutto ciò che comporta in termini di stabilità della giurisprudenza ed in ultima analisi inevitabilmente ed oggettivamente anche della sua qualità. La seconda riguarda l’applicazione dei massimatori. Questa, che per un verso si presenta come una soluzione di “buona amministrazione”, poiché consente l’impiego di magistrati di elevata qualità professionale, ma in buona parte non addetti alla massimazione della giurisprudenza sezionale tributaria, a ben vedere nasconde una vera e propria “trappola”. È infatti evidente che queste sono risorse sottratte al fondamentale lavoro di massimazione ufficiale della giurisprudenza, civile e penale, quindi anche tributaria, la cui rilevanza ordinamentale generale - in termini di esternazione della nomofilachia e perciò dell’attuazione concreta di quei valori che compongono la “certezza del diritto” di cui si è detto dianzi - non necessita certamente di argomentazione. Questa, in ultima analisi, è veramente una logica da “coperta corta”, dunque intrinsecamente autolimitativa e perciò depotenziata/depotenziante. La terza riguarda l’impiego dei magistrati pensionati. Tale scelta non può che considerarsi se non una “scommessa”, che certo non è campata in aria, ma che ha varie incognite. Non può comunque considerarsi una certezza, anche se è ragionevole la previsione che si riveli una scommessa vincente, almeno sul piano degli obiettivi, pur sempre limitati, che essa si è posta. In questo quadro, la dirigenza giudiziaria sezionale ha riorganizzato lo spoglio sezionale, costituendo nuclei operativi ad hoc nei tre gruppi di lavoro (imposte dirette, IVA, imposta di registro/tributi locali); ha avviato l’istituzione di un archivio informatico sezionale; ha strutturato un nuovo sistema per la RASSEGNA AVVOCATuRA 28 DELLO STATO - N. 2/2018 gestione dei ruoli di udienza, sia in considerazione della distinzione post riforma processuale del 2016 tra udienze camerali e pubbliche (rispettivamente non nomofilattiche e nomofilattiche) sia in previsione della piena entrata “a regime” delle citate misure straordinarie introdotte dalla legge di bilancio 2018 (impiego dei massimatori e dei giudici ausiliari); ha disposto in ordine ad un più stretto collegamento con l’ufficio del Massimario per un servizio di “pronta massimazione” delle pronunce di maggior impatto verso l’utenza. L’indirizzo, chiaro, di questo complesso di scelte organizzative ha un obiettivo dichiarato, che non è solo quello “quantitativo” dell’abbattimento dell’arretrato (e quindi della riduzione dei tempi processuali), ma allo stesso tempo appunto quello della “gestione qualitativa” del magazzino, con la mira, ambiziosa e necessaria, di stimolare la deflazione del contenzioso, anche di merito, e comunque, al fondo, di migliorare lo standard nomofilattico e quindi la certezza del diritto (tributario). In ogni caso va necessariamente precisato che, in virtù delle limitazioni derivanti dalla stessa normazione primaria (art. 1, commi 963-980, legge di Bilancio 2018), i magistrati del Massimario ed i giudici ausiliari non possono essere impiegati nella stessa misura che i magistrati addetti alla sezione in via ordinaria. In questa indubbiamente “virtuosa” direzione, tali misure potrebbero forse essere ulteriormente potenziate da una nuova suddivisione dei gruppi di lavoro interni alla sezione. Ferma rimanendo l’attribuzione ad un gruppo dell’imposta di registro (e connesse) e dei tributi locali, le grandi imposte erariali, invece che come attualmente (II.DD./IVA), potrebbero essere diversamente suddivise in due gruppi, dei quali l’uno per IRES/IVA e l’altro per IRPEF/IVA. Tale diversa ripartizione pare infatti maggiormente funzionale alla trattazione specialistica delle imposte erariali, da un lato sull’impresa mediogrande (società di capitali), dall’altro sulla piccola impresa (società di persone) e sul lavoro autonomo, oltre che sui redditi non di impresa. E quindi a generare un “ritorno” in termini di ulteriore miglioramento dell’attività nomofilattica di pertinenza della sezione tributaria. 4. le necessarie interazioni istituzionali. Anche la Cassazione si deve però arrendere ad un evidenza: la scarsità delle risorse a disposizione degli apparati giudiziari implica necessariamente una politica di partenariato istituzionale. Il tempo delle turres eburnae è finito e non da ora. Per la verità la Corte, con le ultime Presidenze, si è già consapevolmente avviata su questa nuova strada. Per quanto riguarda specificamente il contenzioso tributario di legittimità, basilare è senz’altro il Protocollo con l’Avvocatura generale dello Stato del 3 dicembre 2015. CONVEGNO 29 Tuttavia, questo atto, sicuramente meritorio, è comunque troppo poco, apparendo invece necessaria una “concertazione” molto più ampia, che coinvolga, assieme e/o separatamente, tutte le Istituzioni coinvolte nella gestione di tale contenzioso: il Csm, il Cpgt, il Ministero della giustizia, il MEF, l’Agenzia delle entrate, l’Avvocatura dello Stato, il CNF. Appare infatti necessario costruire una “rete settoriale” per la giustizia tributaria che scambi, dati, informazioni, idee organizzative; adotti protocolli per realizzare sinergie e prassi condivise. Va anzitutto colmato il gap, attualmente ancora assai pronunciato, tra la giustizia speciale di merito e quella ordinaria di legittimità; vanno fortemente potenziate le “linee di comunicazione” intragiurisdizionale; bisogna mirare ad un operatività concertata. Insomma appare necessario creare un vero e proprio “sistema” che oggi sicuramente non esiste, con effetti negativi piuttosto evidenti e come tali noti. Cosa si può fare subito in questa direzione ? Sono prospettabili un paio di idee, ancorchè ad uno stato meramente embrionale, che sembrano le più immediate ed immediatamente efficaci: a) costituire un Osservatorio (tavolo tecnico) permanente per il costante monitoraggio dell’andamento generale della giustizia tributaria ed in particolare di quella di legittimità, con la missione di elaborarne coerenti proposte organizzative alle Istituzioni rispettivamente competenti; b) creare un sistema informatico che, previa classificazione dei ricorsi per cassazione, ne consenta la gestione intelligente a partire dallo spoglio “preliminare” in Sesta sezione e poi di quello sezionale della Quinta. In particolare, questo sistema nella giustizia civile ordinaria di merito, ha “nome e cognome”: processo telematico, quindi consolles (del magistrato, del cancelliere). 5. osservazioni conclusive. L’attuale distanza da una concreta, soddisfacente, dunque “virtuosa”, attuazione nomofilattica della certezza del diritto tributario “oggettivo” e dei diritti soggettivi che ne derivano/dipendono può essere significativamente diminuita ed in prospettiva tendenzialmente colmata se: - si adeguano le risorse umane della sezione specializzata, ma non solo in termini quantitativi; - si adottano modalità di impiego più efficaci delle risorse medesime sia sul piano della distribuzione interna sia sulla base di rinnovati, potenziati ed ammodernati metodi di gestione del carico di affari in giacenza ed in entrata. Di qui si può trarre una proposta concreta: lanciare la sperimentazione del processo telematico di cassazione proprio a partire dalla materia tributaria. Nel complesso e tirando le somme, risulta quindi evidente la necessità di una “piccola rivoluzione” del funzionamento interno della Corte, anche basata sulla cooperazione (partenariato) istituzionale con gli altri attori comprimari in questo settore giurisdizionale. RASSEGNA AVVOCATuRA 30 DELLO STATO - N. 2/2018 È tuttavia innegabile che, in parte qua, l’“obiettivo finale” (certezza del diritto/certezza dei diritti), nella sua dimensione effettiva e globale, implica una più “grande rivoluzione” del sistema italiano di giustizia tributaria ossia necessita di una riforma, vera e radicale, della giurisdizione di merito. Ma questa è un’ “altra storia”, che non è nel “perimetro narrativo” di questo contributo. La “nuova” attività consultiva del Consiglio di Stato Gabriele Carlotti* SommaRio: 1. la funzione consultiva e la qualità della normazione - 2. la recente evoluzione della funzione consultiva - 3. le novità di ordine quantitativo - 4. le innovazioni di carattere qualitativo - 4.1. le innovazioni di metodo - 4.2. le novità dei contenuti: l’attenzione alla fase attuativa - 4.3. la “fattibilità” quale nuova dimensione della legittimità delle norme - 5. Gli strumenti per contrastare i “fallimenti della regolamentazione” - 6. conclusioni. 1. la funzione consultiva e la qualità della normazione. Potrebbe sembrare eccentrico un intervento avente ad oggetto l’attività consultiva del Consiglio di Stato nell’ambito di un convegno dedicato al contenzioso pubblico e, specialmente, a quello tributario, quale osservatorio privilegiato per l’individuazione delle patologie dell’azione amministrativa e dei possibili rimedi, nella prospettiva del contenimento della spesa pubblica e dello sviluppo economico. In effetti avrei potuto parlarvi del contenzioso amministrativo, la cui quotidianità offre una ricchissima crestomazia delle patologie che affliggono le nostre pubbliche amministrazioni. Avrei potuto, ad esempio, soffermarmi sull’analisi del (reale) impatto dei giudizi amministrativi sulle procedure di (*) Consigliere di Stato. Le opinioni contenute nel presente contributo sono espresse a titolo personale e, quindi, non sono in alcun modo riconducibili all’Istituto al quale l’Autore ha l’onore di appartenere. Il presente contributo riproduce, con l’aggiunta delle note e con minimali adattamenti, il breve intervento svolto in occasione del convegno. Il testo dell’intervento è in gran parte debitore dell’opera di LuIGI CARBONE, i pareri del consiglio di Stato, in E. D’ALTERIO, B.G. MATTARELLA (a cura di), la riforma della pubblica amministrazione, cap. 5, il Sole-24 ore, 2017 (reperibile anche sul sito istituzionale della Giustizia amministrativa, www.giustizia- amministrativa.it, con il titolo i pareri del consiglio di Stato sulla riforma madia: verso un'evoluzione delle funzioni consultive?), Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, già Presidente della Sezione consultiva per gli atti normativi, con il quale chi scrive ha avuto la fortuna di collaborare negli anni 2016 e 2017. Si ometteranno, pertanto, nel prosieguo le citazioni degli specifici riferimenti al contenuto dell’opera richiamata, alla quale integralmente si rinvia per gli eventuali, ulteriori approfondimenti. CONVEGNO 31 affidamento delle commesse pubbliche. Se avessi scelto questo tema, avrei potuto agevolmente dimostrare, sulla base di dati statistici affidabili e aggiornati di fonte ANAC e Consiglio di Stato (1), quanto sia errata la vulgata mediatica che indica nei processi amministrativi un fattore di rallentamento della realizzazione delle opere pubbliche. Sennonché, a ben vedere, la scelta dell’argomento è assolutamente pertinente rispetto a uno dei temi centrali del convegno odierno, ossia quello relativo alla “qualità della normazione”, poiché proprio il miglioramento di tale qualità costituisce un snodo fondamentale di ogni serio progetto di riduzione del contenzioso. 2. la recente evoluzione delle funzione consultiva. Ebbene il Consiglio di Stato si occupa, fin dalle sue lontane origini (2), della qualità della normazione, specialmente (ma non solo) di quella di rango secondario (3). E se ne occupa non solo “a valle”, come tutte le altre Magistrature - cioè in occasione dell’applicazione delle regole, in sede di giudizio - ma anche “a monte”, nella fase nomogenetica, attraverso l’esercizio della funzione consultiva. A differenza, però, di quella giurisdizionale, che è costantemente sulla ribalta mediatica, l’attività consultiva dell’Istituto è molto meno conosciuta; così come poco nota è la parabola evolutiva che l’ha interessata, a decorrere dal 2016, proprio nel solco di una innovativa riflessione sul tema della qualità della normazione (4). Per entrare nel vivo delle questioni, segnalo che i recenti profili di novità (1) Si allude allo studio dal titolo analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti, documento dell’ufficio Comunicazione del Consiglio di Stato, redatto in collaborazione con l’ufficio Studi. L’analisi è stata elaborata sulla base dei dati dell’ANAC (con riferimento al numero complessivo degli appalti banditi negli anni 2015 e 2016, suddivisi per regione, tipologia e importo), messi a confronto con i dati presenti nella banca dati della Giustizia amministrativa. Il documento è stato anche pubblicato sul Giornale di diritto amministrativo, 2/2018, pp. 249-255. (2) Come è noto, il Consiglio di Stato fu istituito da Carlo Alberto di Savoia con l'editto del 18 agosto 1831. (3) Il parere obbligatorio del Consiglio di Stato sui regolamenti dello Stato è previsto, in via generale, dall’art. 17 della l. 23 agosto 1988, n. 400 (disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del consiglio dei ministri) ed è reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi, istituita dall’art. 17, comma 28, della l. 15 maggio 1997, n. 127. Inoltre il parere obbligatorio del Consiglio di Stato è spesso contemplato dalle leggi di delega e ha ad oggetto, in questi casi, gli schemi dei decreti legislativi la cui adozione è delegata al Governo (a mero titolo di esempio, si cita l’art. 44 della l. 18 giugno 2009, n. 69, recante «disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile»). In aggiunta, come si indicherà nel testo, il Consiglio di Stato può essere chiamato, a richiesta delle pubbliche amministrazioni (qualora esse formulino i c.d. “quesiti”), a rendere pareri anche su atti normativi in corso di predisposizione. (4) un lusinghiero bilancio di tale stagione consultiva è stato tratto da L. TORChIA, Funzione consultiva e cultura amministrativa: un bilancio di fine legislatura, in Giornale di diritto amministrativo, 2/2018, pp. 129-130. RASSEGNA AVVOCATuRA 32 DELLO STATO - N. 2/2018 dell’attività consultiva del Consiglio di Stato riguardano sia gli aspetti quantitativi sia, specialmente, quelli di carattere qualitativo. Il tema è stato ripetutamente al centro dei discorsi tenuti dal Presidente del Consiglio di Stato nelle ultime cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario: fin dalla Relazione del 2016 (5), è stata sottolineata l’importanza strategica di un “rilancio” dell’attività consultiva, anche attraverso l’istituto dei “quesiti” quale strumento di problem solving, in funzione di contrasto preventivo dei fenomeni dell’inflazione normativa e della proliferazione del contenzioso. Sull’argomento il Presidente del Consiglio di Stato si è intrattenuto anche nelle successive Relazioni del 2017 (6) e del 2018 (7), nelle quali, in linea di continuità con quella del 2016, si è delineato il ruolo dell’Alto Consesso amministrativo, una volta ricollocato nel circuito della formazione delle regole, quale advisory board delle Istituzioni repubblicane, nel contesto di un ordinamento giuridico multilivello e fortemente caratterizzato dal pluralismo, anche delle fonti. 3. le novità di ordine quantitativo. Sul versante quantitativo va registrato lo straordinario impegno profuso dal Consiglio di Stato nel rendere i pareri, in tempi assai brevi, su molti degli schemi dei decreti attuativi della legge n. 124 del 2015 (c.d. “Riforma Madia”). Nello stesso periodo il Consiglio di Stato ha reso anche i pareri sul nuovo Codice dei contratti pubblici e sul “Correttivo”, oltre a numerosi pareri facoltativi, in risposta a quesiti formulati dalle amministrazioni interessate alla soluzione di problematiche giuridiche di rilievo generale e anche di ordine normativo. Del ricorso allo strumento dei quesiti ha fatto un ottimo esempio di best practice l’ANAC, che ormai in maniera sistematica, richiede il parere del Consiglio di Stato sulle Linee Guida di volta in volta emanate. L’attività consultiva dell’Istituto ha in definitiva accompagnato, contribuendo a migliorarne la qualità normativa e l’implementazione, il percorso delle principali riforme amministrative avviate nella precedente Legislatura. 4. le innovazioni di carattere qualitativo. Ben più rilevanti, tuttavia, sono state le innovazioni di carattere qualitativo dell’attività consultiva, innovazioni che hanno riguardato sia il metodo seguito per rendere i pareri sia l’articolata riflessione sul macrotema dell’ana- (5) V. l’intero §. 8 del discorso di “insediamento del Presidente del consiglio di Stato. inaugurazione dell’anno giudiziario 2016”, in www.giustizia-amministrativa.it (sezione “inaugurazioni anni giudiziari”). (6) V. l’intero §. 3 del discorso di “inaugurazione dell’anno giudiziario 2017”, in www.giustiziaamministrativa. it (sezione “inaugurazioni anni giudiziari”). (7) V. l’intero §. 4 del discorso di “inaugurazione dell’anno giudiziario 2018”, in www.giustiziaamministrativa. it (sezione “inaugurazioni anni giudiziari”). CONVEGNO 33 lisi d’impatto della regolamentazione, con specifico riferimento alla verifica ex post della concreta attuazione delle norme e al controllo ex ante (ma in prospettiva applicativa) sulla c.d. “fattibilità” degli interventi normativi. 4.1. le innovazioni di metodo. Per quanto riguarda il primo profilo, diverse sono le innovazioni metodologiche intervenute. Innanzitutto, vi è stato un ricorso massiccio all’istituto delle commissioni speciali, con il coinvolgimento, nell’espressione dei pareri, anche dei magistrati assegnati alle sezioni giurisdizionali. In questo modo si è potuto attingere, ai fini della valutazione ex ante dei testi normativi, a quel formidabile “osservatorio sul contenzioso amministrativo” - per usare il titolo del convegno - che costituisce il patrimonio di conoscenze dei consiglieri di Stato impegnati nell’attività giurisdizionale, onde poter individuare con il loro aiuto (e, se del caso, emendare) i profili regolamentari a maggior rischio di innesco di litigiosità. Si è fatto anche un uso notevole, in sede istruttoria, delle audizioni: sono stati infatti spesso convocati i responsabili degli uffici di staff di vari dicasteri o i responsabili delle strutture amministrative di vertice delle amministrazioni pubbliche per consentire loro di illustrare, in via diretta e informale, le finalità complessive degli interventi e le loro criticità, oltre alle difficoltà incontrate nella redazione dei testi normativi sottoposti al vaglio consultivo dell’Istituto. una grande innovazione rispetto al passato è stata quella di “aprire” la funzione consultiva al contributo degli stakeholders, cioè a quelle figure rappresentative delle categorie dei destinatari delle regole da emanare; è stata così ammessa l’acquisizione e la valutazione di eventuali contributi scritti di soggetti, diversi dalle amministrazioni pubbliche, ma comunque interessati ai testi normativi di volta in volta esaminati. Attraverso tale forma di partecipazione in funzione collaborativa è stato possibile arricchire, in poco tempo e a basso costo, il patrimonio di dati e di informazioni sui contesti giuridici e fattuali incisi dalle regolamentazioni. Infine, profili di novità metodologica sono stati introdotti anche con riferimento alla comunicazione istituzionale: tutti i pareri, non appena depositati, sono stati anche pubblicati sul sito internet della Giustizia Amministrativa, con l’accompagnamento di brevi sintesi esplicative, in un linguaggio semplice e accessibile a tutti, al fine di esporre le questioni giuridiche affrontate e le soluzioni prospettate dal Consiglio di Stato. 4.2. le novità dei contenuti: l’attenzione alla fase attuativa. Ma, come già accennato, le innovazioni qualitative hanno, soprattutto, riguardato i contenuti dei pareri. In primo luogo, il Consiglio di Stato ha sempre raccomandato le amministrazioni di prestare attenzione a ciò che accade dopo il varo di un provve RASSEGNA AVVOCATuRA 34 DELLO STATO - N. 2/2018 dimento normativo, nella fase - delicata e cruciale per il successo di ogni riforma - dell’attuazione delle regole. L’idea forte alla base di questo reiterato monito è che il compito dei regolatori non termina con l’entrata in vigore di un testo normativo, e che, al contrario, tale momento segna solo “l’inizio” delle riforme. Sicché le amministrazioni non possono disinteressarsi di quel che accade dopo la pubblicazione dei testi normativi nella Gazzetta ufficiale. È invece sempre necessario verificare se le regole abbiano realmente comportato mutamenti dell’azione sociale e, in caso affermativo, di che tipo; è, in ogni caso, indispensabile che gli effetti prodotti dalle norme siano accuratamente monitorati e “misurati” con strumenti statistici, anche al fine di operare, se del caso, un successivo fine tuning. 4.3. la “fattibilità” quale nuova dimensione della legittimità delle norme. Il Consiglio di Stato ha poi esplorato e approfondito una nuova dimensione del controllo preventivo di legittimità delle norme, contribuendo all’elaborazione del concetto propriamente giuridico, di “fattibilità” degli interventi normativi, che costituisce il punto più innovativo e più alto di tutta la recente esperienza consultiva. Muovendo dalla considerazione che l’attuazione delle regole immesse nel circuito giuridico può condurre al miglior risultato in termini di efficienza e di efficacia dell’intervento normativo soltanto se quest’ultimo nasca già provvisto di tutte le condizioni di “fattibilità”, il Consiglio di Stato, in plurimi pareri, ha affermato che la garanzia della qualità della normazione poggia anche sulla verifica preventiva dell’idoneità delle norme a perseguire in concreto gli interessi pubblici prefissati dalla legge. Siffatta verifica, che deve essere condotta sulla base di un’analisi rigorosa (e non giuridica) del determinato contesto sociale ed economico inciso dalle nuove regole, può anche condurre alla conclusione che le medesime regole siano prevedibilmente votate all’irrilevanza applicativa o, peggio, alla complicazione del quadro di riferimento. Sono molti, invero, i casi di provvedimenti normativi, anche ben congegnati, destinati tuttavia all’insuccesso, perché privi di concreta fattibilità, ossia, in altri termini, inapplicabili. Si pensi alla prescrizione di standard prestazionali delle amministrazioni eccessivi rispetto alle reali capacità operative degli apparati pubblici (tipico è il caso della introduzione di termini brevissimi, per determinati adempimenti, che nella prassi vengano poi sistematicamente inosservati); oppure alla creazione di nuove funzioni senza prevedere risorse, umane e strumentali adeguate per il loro esercizio; o, ancora, al caso di riforme tradite da prassi applicative distorte ed elusive, a causa dell’omessa percezione e della mancata modifica dei fattori “culturali” avversi. Nell’interpretazione offerta dal Consiglio di Stato, la nuova dimensione CONVEGNO 35 giuridica della “fattibilità” è assurta - ed è questa, in estrema sintesi, la vera novità - a condizione sostanziale di legittimità della regolamentazione (così nella Relazione del 2017 (8)), quale declinazione del principio cardine di buon andamento sancito dall’art. 97 della Costituzione. Il percorso teorico, culminato con l’erezione della fattibilità a parametro di valutazione di legittimità del singolo provvedimento normativo, ha preso l’abbrivo dalla considerazione che anche la funzione normativa deve tradursi in atti che siano suscettibili di applicazione efficiente ed efficace. Là dove, invece, sussistano consistenti indici sintomatici, percepibili ex ante, che tale favorevole esito applicativo non possa prodursi, allora le disposizioni esaminate dovranno ritenersi viziate per violazione del canone fondamentale di buon andamento. In altri termini, il “test di fattibilità” è in grado di far emergere i casi di sviamento dalla funzione normativa per irragionevolezza. Molti “fallimenti delle regolazioni” si spiegano sulla base del vizio di “non fattibilità”: si pensi alle carenze informative della progettazione normativa, all’inadeguata organizzazione amministrativa o alla mancanza di risorse umane ed economico-finanziarie (9): ipotesi emblematiche di testi giuridicamente perfetti, ma inutili perché concretamente inapplicabili. 5. Gli strumenti per contrastare i “fallimenti della regolamentazione”. Per fronteggiare il rischio di regulatory failure, il Consiglio di Stato ha anche suggerito alle amministrazioni di seguire alcuni accorgimenti tecnici. Si tratta di metodiche di applicazione preventiva e successiva rispetto all’innesto nell’ordinamento giuridico delle nuove norme. Più in dettaglio, nella scia degli studi e delle migliori pratiche, nazionali e internazionali, il Consiglio di Stato ha delineato un vero e proprio kit di strumenti utili (10) per confezionare norme di buona idoneità applicativa; strumenti di carattere multidisciplinare che dovrebbero essere utilizzati sinergicamente nell’ambito di un vero e proprio “ciclo della regolazione”. Accenno soltanto a quattro di tali strumenti: a) l’analisi preventiva e successiva della regolamentazione; b) la consultazione; c) il monitoraggio normativo; d) l’informazione, nei sensi di comunicazione istituzionale e formazione. a) La misurazione ex ante degli effetti attesi dall’intervento normativo è (8) V. il §. 3.4. (9) Appartiene alla mitologia politico-giuridica lo slogan delle “riforme a costo zero”, posto che ogni nuovo diritto e ogni nuova funzione amministrativa, se effettivi, comportano inevitabili costi per la finanza pubblica. (10) Gli strumenti ai quali si accenna nel testo sono indicati anche nella Relazione 2017 del Presidente del Consiglio di Stato (ibidem). RASSEGNA AVVOCATuRA 36 DELLO STATO - N. 2/2018 affidata a una tecnica, ben conosciuta, ma non sempre ben applicata. Si allude all’AIR (Analisi di Impatto della Regolamentazione), che si articola in un ampio spettro di metodiche per la qualità della normazione, quali il test di proporzionalità, la compliance analysis, il confronto costi-benefici e così via. Sebbene introdotta anche a livello legislativo già da alcuni anni (11), nondimeno l’AIR non ha ancora sortito gli effetti rilevanti che potenzialmente potrebbe produrre perché essa viene ancora concepita come un adempimento burocratico e cartolare, essenzialmente affidato agli uffici legislativi degli staff ministeriali. Anche in questo caso, le criticità dell’AIR e le ragioni della sua attuale inefficacia non attengono al disegno giuridico, ma a resistenze di ordine culturale, a specifiche carenze formative dei regolatori (gli uffici legislativi dovrebbero occuparsi della sola ATN, ossia dell’analisti tecnico-normativa, e non dell’AIR!), a deficit informativi dovuti soprattutto alla mancanza delle competenze occorrenti sia per procurare i dati sia per analizzarli dopo averli raccolti. In plurime occasioni, il Consiglio di Stato ha dato atto, nei suoi pareri, di essersi imbattuto in schemi di provvedimento non sorretti da una preventiva e solida indagine comparativa circa le possibili differenti soluzioni regolatorie, ivi inclusa l’“opzione zero”, oppure privi dell’esatta indicazione degli obiettivi perseguiti dagli interventi normativi e della valutazione dei vantaggi attesi o, ancora, totalmente sprovvisti di una misurazione degli oneri amministrativi e di indicatori per misurare gli effetti di una normativa. b) Fondamentale è il secondo strumento: le consultazioni. Se trasparenti, aperte e partecipate, le consultazioni permettono di coinvolgere nella progettazione delle norme i destinatari delle stesse e in tal maniera ne rafforzano la compliance, cioè l’attitudine all’osservanza delle regole per adesione spontanea. Le consultazioni inoltre consentono, attraverso la partecipazione collaborativa dei soggetti interessati, di acquisire molte informazioni sul fenomeno da regolare. Ovviamente, se si sa che cosa chiedere e a chi. Purtroppo, invece, la consultazione è sovente percepita dalle amministrazioni come un’inutile perdita di tempo. Non sono stati infrequenti casi in cui si è considerata alla stregua di una consultazione la mera interlocuzione documentale tra gli stessi uffici legislativi dei Ministeri concertanti. Si sono anche registrati casi di consultazioni rivolte solo a una parte dei potenziali destinatari di una normativa o di consultazioni non seguite dalla valutazione delle segnalazioni dei soggetti partecipanti e delle proposte emendative da questi formulate. c) ho già accennato all’importanza del monitoraggio degli interventi normativi. Occorre comprendere quali siano stati gli effetti prodotti dal testo normativo una volta entrato in vigore e verificare se essi corrispondano a quelli avuti di mira. Bisogna poi indagare, in caso di mancato raggiungimento degli (11) V. l’art. 14 della l. 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005). CONVEGNO 37 obiettivi prefissati, sulle cause del fallimento e, ove possibile, porre rimedio agli eventuali malfunzionamenti delle regole, attraverso la messa in atto di interventi correttivi e integrativi. A questo fine è molto utile lo strumento della VIR (Verifica di Impatto della Regolamentazione), ad oggi però molto poco utilizzato. La valorizzazione degli strumenti dell’AIR e della VIR postula però un indispensabile intervento sul modello culturale delle amministrazioni, giacché la consapevolezza dell’importanza di tali metodologie, ai fini del miglioramento della qualità normativa, stenta a entrare nella weltanshaaung dei regolatori. Questo gap culturale è, in gran parte, la conseguenza di una carenza formativa: le burocrazie non credono nella AIR e nella VIR anche perché sono prive di personale provvisto di adeguate conoscenze. Per mutare tale situazione occorrerebbe allora investire seriamente in un vasto programma di formazione pratica e permanente che consenta agli apparati burocratici di acquisire maggiore dimestichezza con le tecniche di analisi, con i principi della better regulation e della semplificazione. d) Sotto questo profilo si rivela focale l’ultimo strumento del kit: l’informazione e la comunicazione istituzionale, che dovrebbero essere, in primo luogo, finalizzate a diffondere la conoscenza degli strumenti di qualità della regolamentazione tra i cittadini allo scopo di stimolarne la partecipazione ai procedimenti normativi. Così come essenziale è la comunicazione istituzionale allorquando sia necessario portare a conoscenza della società civile i contenuti giuridici introdotti da nuove discipline: tanto sul presupposto che una consapevole conoscenza, da parte dei cittadini, dei diritti loro riconosciuti è un ingrediente immancabile per il successo di ogni riforma. Solo l’ampia partecipazione degli stakeholders permette inoltre di esercitare un controllo diffuso sulle amministrazioni onde contrastarne le cattive prassi applicative e per scongiurare che esse cedano alle lusinghe delle varie lobbies che mirano a “catturarle”. 6. conclusioni. Mi avvio a concludere. ho provato a tracciare un quadro delle nuove modalità con cui il Consiglio di Stato esercita la sua funzione consultiva sugli atti normativi. A proposito dei contenuti può affermarsi, in sintesi, che del vaglio consultivo è mutato l’oggetto principale, posto che ormai il Consiglio di Stato pone la maggiore attenzione sulla verifica preventiva e successiva del funzionamento concreto dei testi normativi più che sui soli aspetti giuridico-formali (12). L’auspicio è che un’incisiva funzione consultiva, attenta alla nuova di- (12) Il Consiglio di Stato è comunque molto attento ai profili del drafting normativo, dal momento che le buone regole richiedono un’elevata qualità redazionale. RASSEGNA AVVOCATuRA 38 DELLO STATO - N. 2/2018 mensione della “fattibilità” delle norme, consenta di selezionare le disposizioni qualitativamente migliori, concorrendo in tal modo a deflazionare il contenzioso, a semplificare i procedimenti, a ridurre i costi e gli oneri amministrativi. Molto resta ancora da fare, ma molto è stato fatto. Le considerazioni sopra succintamente svolte sono state compendiate dal Consiglio di Stato, nel parere n. 1458/2017 del 7 giugno 2017 (13), reso sullo schema di provvedimento poi divenuto il d.P.C.M. 15 settembre 2017, n. 169 (Regolamento recante disciplina sull’analisi di impatto della regolamentazione, la verifica di impatto della regolamentazione e la consultazione). Tale regolamento è già stato attuato nella parte in cui l’art. 3, comma 1, prevedeva che, con direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, fossero indicate le tecniche di analisi e di valutazione, nonché determinati i modelli di relazione da utilizzare per l'AIR e per la VIR, anche con riguardo alle fasi di consultazione e di monitoraggio. Tale direttiva (del 16 febbraio 2018) è stata approvata dal Consiglio dei Ministri ed è stata pubblicata nella G.u.R.I. del 10 aprile 2018, n. 83. La recente e rapida approvazione del regolamento e della direttiva sono un buon viatico. Il Consiglio di Stato ha chiarito che si tratta di un punto di partenza e non di arrivo. Ora non resta che “inverare” il regolamento nella concreta attività normativa delle istituzioni, innescando un cambiamento culturale e adottando le soluzioni organizzative adeguate. Siamo fiduciosi. Contenzioso e tecniche legislative Federico Silvio Toniato* introduzione. "Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare". Sono passati più o meno 60 anni dalla pubblicazione della più famosa delle Prediche inutili di Luigi Einaudi, in cui il grande economista piemontese, nonché secondo presidente della Repubblica italiana, poneva il quesito ancora oggi fondamentale per ogni buon legislatore: "Come si può deliberare senza conoscere?" Einaudi si dava, e ci dava, una risposta chiarissima: non si può! "Alla deliberazione immatura nulla segue", scriveva infatti. "Le leggi frettolose partoriscono nuove leggi intese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, (13) Menzionato dal Presidente del Consiglio di Stato nella Relazione del 2018 (v. il §. 4.3) e reperibile sul sito www.giustizia-amministrativa.it. (*) Consigliere Parlamentare. Vice Segretario Generale del Senato della Repubblica. CONVEGNO 39 essendo dettate dall'urgenza di rimediare a difetti proprii di quelle male studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d'uopo perfezionarle ancora, sicché ben presto il tutto diventa un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi [...]". Sembra la descrizione di quel contenzioso pubblico che siamo qui oggi a discutere e che rappresenta una delle emergenze della politica e della pubblica amministrazione italiana. Conoscere per deliberare, dunque. In questo mezzo secolo, per il legislatore nazionale il precetto einaudiano è diventato, se possibile, ancora più cogente. Ma come conoscere? La valutazione delle politiche pubbliche rappresenta oggi una risposta possibile, una sfida importante. Il Senato della Repubblica ha istituito l'uVI, ufficio valutazione impatto, con la finalità di fornire alle Commissioni e all'Assemblea lo strumentario necessario per la valutazione delle policy e con l'obiettivo di diffondere, sviluppare e potenziare la "cultura della valutazione" dentro il perimetro istituzionale. Valutare non significa dare giudizi di meritevolezza, ma verificare la validità di una politica pubblica rispetto alle finalità che la stessa si è prefissa di perseguire. La valutazione è infatti lo strumento che, senza sostituirsi alla decisione politica all'interno del circuito democratico, consente al legislatore di adottare decisioni informate e consapevoli. Il suo obiettivo non è influenzare il decisore politico, quanto piuttosto renderlo edotto delle conseguenze delle proprie scelte, promuovendo la conoscenza e la trasparenza di informazioni fondamentali per il processo decisionale. La valutazione può essere ex ante, ex post, in itinere, e comprendere altri tipi ancora di analisi. In ogni caso non si limita alla sola misurazione di cosa è stato realizzato, il che è compito del monitoraggio, ma verifica - basandosi sulla raccolta e sull'interpretazione di informazioni - se e quanto i cambiamenti prodotti da una policy - siano essi positivi o negativi, voluti o inattesi - possono essere attribuibili, esclusivamente o in quale misura, alla sua azione, o per contro, se queste modifiche si sarebbero comunque realizzate anche in assenza dell'intervento (cosiddetto giudizio controfattuale). Questo nuovo imprinting culturale e operativo ha già cominciato a permeare, al Senato, anche l'attività parlamentare della XVII legislatura. Ne è un esempio l'esperienza della Commissione monocamerale di inchiesta sugli infortuni sul lavoro, che ha valutato l'efficacia degli interventi contenuti nel decreto legislativo n. 81 del 2008 sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Con riguardo all'articolo 11 (Attività promozionali), agli articoli 36 (Informazione dei lavoratori) e 37 (Formazione dei lavoratori e loro rappresentanti), ci si è proposti di verificare se, grazie alla realizzazione delle attività attuate dai progetti finanziati, si è prodotto un aumento dei livelli di sicurezza nelle imprese che hanno beneficiato dell'intervento. RASSEGNA AVVOCATuRA 40 DELLO STATO - N. 2/2018 È un terreno nuovo per un'inchiesta parlamentare, molto diverso dagli ambiti tradizionali, ma sicuramente segue l'insegnamento einaudiano di fornire una conoscenza che possa effettivamente sorreggere il legislatore nel compiere scelte consapevoli e responsabili. valutazione delle politiche pubbliche, qualità della legislazione e contenzioso. La valutazione è strettamente connessa al processo di miglioramento della qualità della legislazione: per rendere più efficace la produzione legislativa occorre curare non solo la qualità delle norme da un punto di vista giuridico e linguistico, ma anche e soprattutto il monitoraggio e la verifica dei risultati ottenuti rispetto agli obiettivi attesi. Sempre maggiore attenzione riveste, pertanto, il problema della qualità della legislazione e della regolazione in generale, che deve essere affrontato secondo diverse coordinate: - buona qualità del linguaggio con il quale la norma si presenta nella sua veste esteriore, assicurando coerenza, chiarezza e conoscibilità delle "regole" (qualità in senso formale) (1); - necessità e adeguatezza del disposto normativo, ossia il cuore e l'essenza del precetto, quale presupposto per la sua più efficace attuazione (qualità in senso sostanziale); - stretto legame tra qualità della legge e il principio della certezza del diritto - riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 171 del 1987) - che entra in sofferenza quando la voce della legge appare oscura, ambigua ed equivoca; - partecipazione e trasparenza nelle procedure che conducono all'elaborazione e all'adozione delle norme (qualità in senso procedurale e cultura della progettazione normativa). In tal senso, quindi, la cattiva qualità degli atti normativi - aggravata dall'instabilità, frammentarietà e precarietà dell'assetto della regolazione, ossia da un cattivo ed irrazionale uso della discrezionalità legislativa (sentenza della Corte costituzionale n. 70/2013) - alimenta l'incertezza del diritto, misurabile in termini di: - maggiore insicurezza nei rapporti tra i cittadini e maggiore sfiducia di imprese ed investitori; (1) Peraltro, la chiarezza delle leggi non riguarda solo l'enunciazione linguistica dei suoi contenuti, ma anche il procedimento: "la tecnica normativa - a seguito della quale, dopo che è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, è stata solo apparentemente abrogata la disposizione contenente la norma in giudizio (la quale, infatti, ricompariva in un'altra disposizione del medesimo atto legislativo) e sono stati fatti salvi gli effetti pregressi prima ancora che scadesse il termine per la conversione del decreto-legge originario che la conteneva - reca pregiudizio alla chiarezza delle leggi e alla intelligibilità dell'ordinamento" (Corte costituzionale n. 58/2018 sul caso ILVA). CONVEGNO 41 - incremento della litigiosità, delle controversie interpretative e del contenzioso giurisdizionale, nei diversi ambiti e settori, con conseguente proliferazione di istanze, esposti, ricorsi e cause. Il peso del contenzioso rappresenta indubbiamente un ostacolo al corretto ed efficiente funzionamento di diversi segmenti della pubblica amministrazione. Basta considerare i ritardi che derivano dalla definizione dei procedimenti che vengono avviati e i relativi oneri che si producono, traducibili in ritardi e pagamenti di indennizzi e risarcimenti. Ne deriva che la finalità di ridimensionare quanto meno il groviglio di controversie che impaccia il naturale e salutare sviluppo della vita economica e sociale del Paese può davvero costituire una sorta di bisogno trasversale che accomuna le politiche e gli interventi legislativi in differenti settori (sanità pubblica, appalti, liti tributarie). Si tratta, peraltro, di un'indicazione di scopo che realizza pienamente l'aspirazione di una moderna politica della legislazione che necessariamente deve oggi confrontarsi con fenomeni globali che vedono l'interazione (e la conflittualità) di diversi attori (pubblici e privati, sovranazionali e locali) in uno spazio geografico accorciato dalla velocità delle comunicazioni e degli scambi e in un orizzonte temporale sempre più ridotto poiché i tempi di risposta del legislatore a bisogni complessi esigono maggiore rapidità. In questo scenario, la tradizionale funzione di controllo attribuita al Parlamento si arricchisce e si rinnova proprio attraverso lo strumento - che si configura in modo autonomo e distinto rispetto alle variegate attività di sindacato ispettivo e di indirizzo parlamentare - dell'analisi e valutazione delle politiche pubbliche secondo un doppio registro: "valutare per decidere", acquisendo ed elaborando una solida base scientifica, costruita con indagini statistiche, dati e misuratori, che consenta di offrire al decisore politico una bussola per orientare le proprie scelte; "decidere di valutare", come indirizzo programmatico da perseguire e affinare nell'ottica di verificare il destino di una legge e di una politica, dopo la sua formale approvazione, non riducendo l'interesse alla sua sola corretta e tempestiva attuazione/applicazione, ma allargando lo sguardo alla sua reale efficacia. La valutazione di un determinato intervento legislativo, nel caso di specie, può essere orientata a comprendere: - in primo luogo, come l'obiettivo che si prefigge il legislatore in termini di abbattimento del contenzioso si sia tradotto in concreto nella disposizione normativa, ossia come è stata confezionata e costruita la norma avente questo scopo; - in secondo luogo, e in una fase successiva più propriamente valutativa, come la norma ha risposto alle attese, se ha davvero contribuito a ridurre il carico dei ricorsi e delle cause, in base a precisi indicatori. Il rapporto tra la produzione legislativa e il contenzioso va osservato anche all'interno di una cornice meno virtuosa e più problematica: accade che l'intervento legislativo agisca con la nobile intenzione di superare le disfun RASSEGNA AVVOCATuRA 42 DELLO STATO - N. 2/2018 zioni della giustizia e le difficoltà, legate alla risoluzione del contenzioso civile, penale e amministrativo attraverso il processo. Il veicolo-legge (soprattutto quando si presenta come decreto-legge), viaggiando a una velocità più sostenuta del veicolo-processo/sentenza, è impiegato secondo questa finalità preventiva e anti-contenzioso, ma può produrre effetti collaterali dannosi e, comunque, indesiderati: si pensi al circolo vizioso interpretativo spesso generato proprio dalle norme di interpretazione autentica o alla pretesa salvifica di norme eccessivamente analitiche, iper-speciali o specialistiche, le quali, anziché regolare ogni ipotesi, circostanza o fattispecie, lasciano spazi vuoti dove si annida l'elusione o la violazione delle stesse norme di legge. Si tenga presente, sempre in una dimensione critica, il rapporto che può innestarsi tra il formante legislativo e il formante giurisprudenziale, ossia il corto circuito tra il diritto radicato esclusivamente nella sua apparente letteralità dalla fonte legislativa e il diritto integrato e interpretato dal giudice, dall'operatore del diritto, dalla comunità dei consociati. In tale contesto è quasi automatico che la frattura creatasi tra la fonte e l'interpretazione e la distanza, fino all'antinomia, che allontana tra di loro decisione, giudizio, interpretazione e applicazione delle leggi finiscono per incentivare, piuttosto che attenuare, le diverse tipologie di contenzioso. Il cortocircuito legge e interpretazione deriva dal paralogismo irrealistico di considerare la norma sinonimo di proposizione ed in quanto tale prius rispetto all'attività ermeneutica, che invece rappresenta il presupposto di esistenza dello stesso precetto. In parallelo, come evidenziato nell'ultima Relazione annuale sulla giustizia amministrativa, è in atto ormai da tempo un processo di dequotazione delle fonti del diritto nel quale la legge tende a farsi provvedimento amministrativo, perdendo i suoi connotati di generalità e astrattezza. In un sistema "a legislazione confusa" così si modificano anche i rapporti tra giudice amministrativo e amministrazione: l'amministrazione ha paura di decidere; tende a difendersi più che a fare; quando non si "amministra per legge", al giudice si impone talvolta, suo malgrado, di "amministrare per sentenza". L'obiettivo legislativo di riduzione del contenzioso può pertanto essere un filo conduttore che si irradia nelle diverse politiche pubbliche di settore, come testimoniato da alcune situazioni emblematiche. Si avverte, in tutta la sua problematicità, lo scivolamento da forme di crescente destrutturazione legislativa - decodificazione, deregolamentazione, deresponsabilizzazione amministrativa - a tendenze di ipertecnicismo normativo, dove la stessa definizione cosiddetta tecnica ovvero pseudoscientifica viene catapultata nel tessuto regolatorio con tutt'altra finalità rispetto alla descrizione fattuale, ossia quella di ricostruire una disciplina cogente, così ipostatizzando i concetti fino al punto di trasformarli in fendente ideologico. Senza pretesa di esaustività possono richiamarsi alcuni esempi. CONVEGNO 43 Sanità. Gli operatori sanitari hanno per diversi anni invocato un intervento del Parlamento per l'approvazione di una legge in grado di deflazionare il contenzioso giudiziario, ridurre la spesa sanitaria in campo assicurativo, restituire al cittadino la fiducia nella classe medica e nelle professioni sanitarie, europeizzare la gestione italiana del contenzioso in ambito sanitario e limitare il ricorso allo strumento penale. Secondo l'Associazione nazionale imprese assicuratrici (ANIA), ogni anno si registrano 34mila denunce per danni dovuti a cure mediche, soprattutto nei confronti di ginecologi e ortopedici. una cifra triplicata negli ultimi 15 anni. Ogni risarcimento si aggira tra i 25mila e i 40mila euro, per un valore complessivo di circa 2 miliardi, senza trascurare poi i costi assicurativi sostenuti dai medici con alcune specializzazioni (in primis anestesisti e ginecologi) e la fuga delle compagnie dal settore sanitario. Inoltre, il costante ricorso alla cosiddetta "medicina difensiva", ossia la prassi di prescrivere una serie di accertamenti e terapie al solo scopo di tutelarsi dal rischio di azioni legali, determina un costo stimato di circa 10 miliardi di euro all'anno. una prima risposta legislativa a questa esigenza fu contenuta nell'articolo 3 del decreto-legge n. 158 del 2012, il cosiddetto Decreto Balduzzi (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012) che prevedeva che l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo. Dopo molto tempo, nella scorsa legislatura, si è quindi approvato un intervento organico in materia, con la legge sulla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie (n. 24 del 2017). contenzioso giudiziario. un altro esempio in tema è dato dal decreto-legge n. 168 del 2016, recante misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di Cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 197 del 2016. appalti e contratti pubblici. un altro ambito nel quale il contenzioso ha un peso significativo è rappresentato dagli appalti pubblici. Gli ultimi interventi in tale settore - con il nuovo codice degli appalti (decreto legislativo n. 50 del 2016, e il successivo decreto legislativo correttivo n. 57 del 2017) - hanno agito anche su questo fronte. Qui l'incidenza dei ricorsi e dei procedimenti aperti non sempre viene RASSEGNA AVVOCATuRA 44 DELLO STATO - N. 2/2018 spiegata attraverso i dati disponibili. In questo particolare settore si registra una sorta di "contenzioso percepito" se è vero - come attestato dall'ultima relazione annuale sulla giustizia amministrativa e da un'indagine statistica basata su dati ANAC, elaborati su richiesta del Consiglio di Stato (dicembre 2017) - che la percentuale di impugnazione (giudizio cautelare) delle procedure d'appalto è pari a circa il 2,7% e che i provvedimenti del giudice amministrativo che sospendono provvisoriamente le procedure di gara sono in media pari allo 0,75%. Le procedure di maggiore impatto, inoltre, sono anche quelle relativamente più contestate. In ogni caso, l'impatto del contenzioso è rilevante. Secondo l'ANAS, principale stazione appaltante, nel periodo 2012-2014, su 1107 gare di lavori, sono stati attivati 258 contenziosi (pari al 23%); l'onere economico ammonta a 5,4 miliardi di euro di petitum su 978 contenziosi pendenti al 31 dicembre 2015; nel periodo 2010-2015 sono state avanzate pretese per 4,1 miliardi di euro. In virtù della nuova normativa gli strumenti adottati per il decongestionamento del contenzioso hanno riguardato una più rapida definizione delle controversie (con l'introduzione di un nuovo rito camerale tramite il ricorso immediato) e la valorizzazione di misure alternative, assegnando, tra l'altro, all'ANAC un ruolo attivo. mercato del lavoro. L'esigenza di una semplificazione e razionalizzazione normativa nel mercato del lavoro può essere inquadrata valutando gli interventi legislativi che si sono succeduti in un dato arco temporale e che, pur approvati da maggioranze parlamentari di opposti schieramenti e pur oggetto di frequenti schermaglie polemiche tra avversari politici, hanno dato luogo a effetti di una certa coerenza e stabilità proprio nell'abbattimento del contenzioso. È il caso esemplare della legislazione intervenuta negli ultimi anni, dalla cosiddetta legge Fornero (legge n. 92 del 2012) al cosiddetto jobs act, con particolare riferimento al decreto legislativo n. 81 del 2015. Grazie a una disciplina, ritenuta da autorevoli esperti, chiara e univoca, secondo i dati elaborati dal Ministero della giustizia si sono ridotte sensibilmente, presso i tribunali ordinari italiani, le controversie relative ai rapporti a tempo determinato (passate da 8019 nel 2012 ad appena 490 nel primo semestre 2017). conclusioni. "Si è fatto il conto delle leggi rimaste lettera vana, perché al primo tentare di attuarle sorgono difficoltà che si dovevano prevedere, che erano state previste, ma le critiche erano state tenute in non cale [...]?" si chiedeva Einaudi. L'attività di analisi e valutazione delle politiche pubbliche intrapresa dal Senato con l'istituzione dell'ufficio Valutazione Impatto rappresenta un'importante novità nel quadro istituzionale italiano ed europeo. L'uVI supporta CONVEGNO 45 il processo legislativo fornendo evidenza analitica e scientifica sull'efficacia delle politiche esistenti. Attraverso la definizione del nesso tra qualità della legislazione, risultati delle politiche, individuazione preventiva di eventuali effetti indesiderati, l'attività di analisi e valutazione delle politiche pubbliche può contribuire a ridurre il contenzioso che scaturisce dalla cattiva qualità delle norme. In realtà, la valutazione delle politiche pubbliche apre un varco inedito per lo stesso parlamentarismo contemporaneo. L'alternativa, intesa come dicotomia, tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta nasconde una fragilità concettuale, da un lato, e, dall'altro, una paura, mista a terrore, che non può certamente trovare soluzione attraverso apodittiche e contrapposte prese di posizione di segno ideologico. Il rischio di considerare la forza attrattiva dell'opinione pubblica come l'espediente più attraente per impostare politiche finalizzate prevalentemente al mantenimento o al rafforzamento del consenso rappresenta un ostacolo alla razionale programmazione di una legislazione, che abbia un carattere meno capriccioso e intermittente rispetto alla continua rincorsa degli umori, spesso non duraturi, e più stabile sia in termini di sistema sia in ragione dei risultati perseguiti e realizzati a beneficio degli stessi cittadini. La valutazione è in definitiva la "porta aperta" che consente tanto di raccogliere la voce dei destinatari delle norme all'esterno del perimetro istituzionale, quanto di parlare, dall'interno delle Assemblee legislative, alla società civile. A fondamento della valutazione resta l'obiettivo primario della conoscenza, che per non cadere in tecnicismo o moda passeggera ha bisogno di indipendenza, imparzialità, credibilità e, all'un tempo, di reciprocità, intesa come comunicazione dei risultati, delle evidenze empiriche, dei nessi causali tra politiche ed effetti, nonché della consultazione dei cittadini, interpretata come diritto e dovere ad essere informati in modo inclusivo, accessibile, pubblico, chiaro, tempestivo e leale. La valutazione rende protagonista il legislatore, sottraendolo alla prigionia di se stesso sia rispetto all'analisi tecnica sia rispetto alla mobilità dell'opinione pubblica, poiché gli consente un dialogo corretto e franco, anche laddove la logica del pregiudizio tenda ad affermarsi rispetto a quella del giudizio. In conclusione, la valutazione delle politiche pubbliche consente alla tecnica di non piegarsi a una burocratica calligrafia normativa spacciata per qualità legislativa; afferma la centralità del decisore pubblico in chiave di responsabilità, all'interno del circuito democratico, così come verso l'esterno del Parlamento, ossia i cittadini tutti; supera le tentazioni di agnosticismo giuridico e approcci rinunciatari o formalistici, per trasformare l'efficacia normativa in effettività di cambiamento nel tessuto socio economico. Le potenzialità della valutazione delle politiche pubbliche possono centrare gli obiettivi di ammodernamento e salvaguardia delle strutture democratiche e delle Istituzioni parlamentari, solo a condizione che non si incorra in RASSEGNA AVVOCATuRA 46 DELLO STATO - N. 2/2018 alcune trappole. Innanzitutto, è necessario non considerare l'analisi di impatto come nicchia iperspecialistica e tecnicistica fine a se stessa, alla stregua di una sorta di ambito ristretto e limitato ai soli esperti. Occorre, inoltre, scongiurare ogni forzatura tesa a rendere l'attività valutativa una moda, o peggio una ideologia postmoderna, che inevitabilmente renderebbe la valutazione stessa un onere aggiuntivo, uno stilema, un ricciolo liturgico ridondante. Infine, vanno preservati con nitida linearità l'ambito proprio della decisione di merito e la dimensione non-partisan, né parziale, della ricerca valutativa. La valutazione delle politiche pubbliche che dovesse trasformarsi in contrapposizione fittizia tra diverse "politiche della valutazione" sancirebbe il fallimento più eclatante di un tentativo di riconciliazione, tanto necessario quanto urgente, tra democrazia rappresentativa, democrazia partecipata e conoscenza della realtà, dimensioni tra loro distinte e indefettibilmente complementari e integrate. La misura concreta della validità della valutazione delle politiche pubbliche è nient'altro che la capacità di tradurre il "sapere" nel "saper fare". Il rapporto di collaborazione tra magistrati ed avvocati. nomofilachia verticale ed orizzontale Gaetana Natale* Negli ultimi due anni l’Avvocatura Generale dello Stato, nella sua qualità di Pubblic Attorney deputato alla cura degli interessi pubblici, ha partecipato costantemente all’attività dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile, cercando in un’ottica di reciproca collaborazione con gli organi giudicanti, di individuare nei settori più critici del contenzioso civile le c.d. best practice, ossia le buone prassi, le regole c.d. operazionali, volte a realizzare quella che sempre più spesso è invocata come “giurisdizione condivisa e partecipata”. L’elevato numero delle cause civili pendenti, l’esigenza di conciliare il diritto giurisprudenziale con l’esigenza di prevedibilità ed uniformità delle decisioni, il livello alluvionale della produzione legislativa ha indotto gli operatori del diritto, nel rispetto della autonomia di loro ruoli, a realizzare la c.d. “alleanza dei cervelli” in una fase economica-sociale sempre più tesa al controllo delle risorse pubbliche. Tale attività di collaborazione è svolta nella consapevolezza che in un diritto post-moderno (come è stato definito dal prof. Grossi) il giudice non può essere solo la bouche de la loi, bocca della legge, secondo la concezione illuministica, ma anche voce della collettività, atteso che il livello qualitativo della (*) Avvocato dello Stato. CONVEGNO 47 giustizia è dato sia dal grado di resistenza di una decisione nei vari gradi di giudizio sia dall’accettazione sociale delle decisioni. Secondo un approccio multilivello tale esigenza risponde, nell’ottica del diritto euronitario, ai criteri di effettività e di efficacia della tutela invocata dinanzi al Giudice riconducibile all’art. 13 CEDu (Diretto ad un ricorso effettivo), all’art. 47 della Carta di Nizza ed al punto 31 del Capitolo V della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa del 17 novembre 2010 trasfuso nella Magna Corte dei Giudici Europei (punto 15) secondo il quale i giudici devono pronunciare in tempi ragionevoli provvedimenti di qualità che siano efficaci, idonei a rimuovere la lesione subita. La Suprema Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 174/15 ha avuto modo di affermare che: “… l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta da un Giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non possa mai costituire limite alla attività esegetica esercitata da un altro Giudice, dovendosi richiamare al proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dalla efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 c.c. rispetto a quello imposto in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello “stare decisis” (cioè del “precedente giurisprudenziale vincolante”) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale”. Accanto a tale enunciazione la Suprema Corte di legittimità ha, però, fatto riferimento al principio affermato dalla Corte di Strasburgo secondo il quale, a fronte dell’assoluta fisiologia connessa alla diversità di orientamenti giurisprudenziali fra le corti di merito e quelle di legittimità “non è tollerabile che vi siano marcate diversità di vedute all’interno dell’organo che ha il compito di dare uniformità alla giurisprudenza”. Anche la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 230/12 ha puntualizzato che l’orientamento espresso dalla decisione delle Sezioni unite della Corte di Cassazione “aspira indubbiamente ad acquisire stabilità e generale seguito” pur riconoscendo che si tratta di una efficacia non cogente, ma di tipo essenzialmente “persuasivo”. Sul piano processuale l’esigenza di prevedibilità ed uniformità delle decisioni si è tradotta nella previsione di norme tecniche che, seppure nel rispetto dell’autonomia valutativa e decisionale del giudice, hanno contenuto la possibilità di pronunzie di legittimità tra loro contrastanti, capaci di minare la fiducia di cui le autorità giudiziarie devono godere in uno Stato di diritto. Tale norme sono quelle contenute nell’art. 374, comma 3, c.p.c. (c.d. meccanismo di “stare decisis attenuato”), nell’art. 360 bis c.p.c. (nella parte in cui prevede che il ricorso è inammissibile “quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”; nell’art. 363 c.p.c. che consente al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di chiedere alla Corte, anche se il ri RASSEGNA AVVOCATuRA 48 DELLO STATO - N. 2/2018 corso si appalesa inammissibile, “di enunciare nell’interesse della legge, il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi”. Sul piano organizzativo occorre ricordare che hanno avuto grande rilievo per la realizzazione di un dialogo processuale teso a costituire l’“aide a la decision”, (aiuto alla decisione) i Protocolli Processuali (si ricorda il Protocollo del 17 dicembre 2015 e Protocollo del 15 dicembre 2016 tra Consiglio Nazionale Forense, Corte Suprema di Cassazione e Avvocatura Generale dello Stato, da ultimo Protocollo del 12 dicembre 2017 sulla “Sinteticità degli atti e dei provvedimenti del giudice nel giudizio di primo grado” stilato tra Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Roma e il Presidente del Tribunale di Roma). Sul piano delle soluzioni organizzative interne alla magistratura volte a favorire il dialogo fra i diversi gradi della giurisdizione sono da segnalare: la valorizzazione dell’art. 47 quater ord. giud., teso a stimolare periodiche riunioni all’interno delle sezioni giurisdizionali per la puntualizzazione di ricorrenti questioni giuridiche; il funzionamento del massimario, le massime c.d. certa lex, la specializzazione ex art. 244 circolare CSM tabella di organizzazione 2017/19. Nell’ambito di un concetto ampio di predittività delle decisioni e della circolarità dei dati come requisito di qualità della giurisprudenza si è invocato anche il ripristino dell’Archivio Merito contenuto in Italgiure (sistema dell’information retrieval), non più alimentato dal 2004/2005. Ma aldilà di tali apprezzabili soluzioni processuali e organizzative, occorre considerare che gli Osservatori sulla Giustizia oggi, alimentati essenzialmente da una sentita e reciproca collaborazione tra magistrati ed avvocati rappresentano anche la chiave di volta, l’indice di evoluzione sistemica della giurisprudenza tesa ad un’analisi attenta e critica dei mutamenti socio-economici di un paese. Gli Osservatori contribuiscono alla realizzazione di una nomofilachia verticale ed orizzontale, nella consapevolezza che l’uniformità della giurisprudenza, collegata al principio di uguaglianza e di certezza del diritto, non significa staticità ed immutabilità, ma “tendenziale stabilità”: il diritto in quanto scienza storica, non può che adeguarsi ai mutamenti sociali ed economici di un Paese, è per cosi dire, una scienza dinamica. Gli Osservatori nella realizzazione di una giurisdizione condivisa e partecipata, attraverso un’attenta analisi delle pronunce giurisprudenziali che parte dal basso, consentono di evidenziare le criticità che molte riforme normative presentano nella loro concreta applicazione. La necessità delle audizioni, delle consultazioni degli stakeholders, intesi come soggetti di diritto e/o operatori economici direttamente coinvolti da una riforma normativa, è stata molto avvertita anche nell’ambito dell’attività consultiva del Consiglio di Stato, ex art. 100 Cost. definito dal Presidente Paino nella relazione relativa all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2018 “advisory board delle istituzioni in un ordinamento profondamente innovato e pluralizzato”. CONVEGNO 49 Ciò è stato particolarmente evidente in relazione all’articolato parere (n. 1458 del 19 giugno 2017) reso dalla Sezione normativa del Consiglio di Stato sullo schema di nuovo regolamento in materia di AIR, VIR e consultazioni (entrato in vigore lo scorso 10 aprile 2018). Il ruolo delle consultazioni è divenuto centrale nell’ambito della c.d. “manutenzione delle riforme” ossia nell’attività del loro monitoraggio, attuazione, fattibilità, analisi e verifica d’impatto tra indirizzi di policy e normativa di dettaglio per la realizzazione di quello che è stata definita la “decision making process”. Si pensi all’attuazione della riforma dei contratti pubblici: con l’emanazione di un ampio decreto correttivo del codice del 2016; con l’approvazione di svariati provvedimenti attuativi del Governo e con l’approvazione di numerose altre linee guida dell’ANAC, la quale ha continuato a chiedere in via facoltativa il parere del CdS, considerandolo innovativamente come “elemento costitutivo” del processo di emanazione. Quanto ai pareri sulle linee guida dell’ANAC, vanno ricordati quelli sugli affidamenti in house, il partneriato pubblico-privato, il contraente generale. In queste delicate materie il contributo degli osservatori c.d. “dal basso”, ossia direttamente coinvolti nell’attuazione delle riforme è stato determinante. Si ricorderà che nel noto parere del 30 marzo 2017 del CdS, teso a chiarire su cosa può e su cosa non può incidere un decreto correttivo, il Supremo Consesso ha precisato che una particolare tipologia compatibile con lo strumento del decreto correttivo è rappresentata dalle correzioni finalizzate «a rimediare a difficoltà insorte nella prima applicazione dei nuovi istituti, come emerso dalle audizioni, dal dibattuto dottrinale e dalla prima giurisprudenza». Ecco cha allora l’attività degli Osservatori diventa centrale ed imprescindibile, qualificandosi come strumento essenziale per mettere a fuoco le criticità delle riforme varate dal legislatore. Nel contempo gli Osservatori, individuando le linee evolutive della giurisprudenza, consentono di porre in essere anche un’attenta analisi economica del diritto. Per citare un esempio concreto, si segnala che nel corso dell’attività dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Roma, nell’anno giudiziario in corso, si è posta molta attenzione sulla questione della compensatio lucri cum danno, sulla quale si sono pronunciate di recente le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 12565 del 22 maggio 2018. Il tema della “compensatio lucri cum danno” ha posto sia i giudici che gli avvocati di fronte ad un problema basilare nell’ambito della tematica della responsabilità civile, ossia quello di definire cosa è effettivamente il “danno risarcibile”. Il principio dell’aliunde perceptum (principio non previsto nelle fonti romane, ma elaborato per la prima volta in una glassa di Bortolo e poi dalla pandettistica) non è sancito espressamente in uno specifico articolo del co RASSEGNA AVVOCATuRA 50 DELLO STATO - N. 2/2018 dice civile italiano del 1942 (contrariamente al codice tedesco, 249 BGB Shadensersatz), ma risponde ex art. 1223 c.c. ad una logica redistributiva degli effetti positivi e negativi scaturenti non solo dal fatto illecito produttivo del danno, ma anche dall’inadempimento qualificato in tema di responsabilità contrattuale. La questione della compensatio si pone in questi termini: è possibile sottrarre dal complessivo importo dovuto al danneggiato a titolo di risarcimento del danno gli emolumenti di carattere indennitario versati dagli assicuratori privati o sociali ovvero da enti pubblici, specie se previdenziali. L’orientamento tradizionale (e maggioritario) della Suprema Corte di Cassazione - al quale ha sostanzialmente aderito il Giudice Amministrativo (CdS. Ad. Plen. n. 1/2018) - ha dato una rigorosa interpretazione del requisito dell’unità (ovvero identità) della causa. Secondo Cass. Civ. sez. III 30 settembre 2014 n. 20458 “in tema di risarcimento del danno da illecito, il principio della compensatio lucri cum danno trova applicazione unicamente quando sia il pregiudizio che l’incremento patrimoniale siano conseguenze del medesimo fatto illecito, sicché non può essere detratto quando già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di invalidità o di reversibilità, ovvero a titolo di assegni, di equo indennizzo o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o all’invalidità, trattandosi di attribuzioni che si fondano su un titolo diverso dall’atto illecito e non hanno finalità risarcitoria”. Questo orientamento rappresenta l’applicazione pratica del “principio della indifferenza o del c.d. teorema della “terza”, ossia il principio secondo il quale dopo il risarcimento il patrimonio del danneggiato non deve subire mutamenti: in altri termini il risarcimento deve ricostituire il patrimonio del danneggiato nella sua configurazione originaria e non costituire arricchimento. Più precisamente per “teorema della terza” si fa riferimento a quella elaborazione dottrinaria che propone una rilettura dell’art. 2043 c.c. nei seguenti termini: «Qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, sempre che tale danno non sia stato risarcito da un terzo per legge o per contratto».Alla base di tale conclusione è, tra l’altro, l’assunto che laddove il danno sia anche elemento costitutivo di una fattispecie di fonte normativa o negoziale, costitutiva di una provvidenza a favore del danneggiato, non può essere negato che, alla luce dell’unitaria teoria della causalità regolare, accolta nel nostro ordinamento (artt. 40 e 41 c.p.), siffatta provvidenza sia un effetto giuridico “immediato e diretto” della condotta che quel danno ha provocato, giacché da esso deriva secondo un processo di lineare regolarità causale. Ma come mai in questo momento socio-economico tale problematica con ben quattro ordinanze di rimessione è stata sottoposta all’attenzione delle Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione? CONVEGNO 51 Nel corso dell’attività di analisi e di studio dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Roma ci si è chiesti in una prospettiva valoriale se la compensatio sia un principio generale o se sia solo una regola operazionale, ossia una tecnica di liquidazione del danno. una prima considerazione nasce dalla constatazione che la responsabilità civile è una parte consistente del sistema economico-sociale di allocazione dei costi e delle risorse secondo un’analisi economica del diritto. Si pensi alla teoria della “loss distribution” della dottrina nord-americana di Coleman e Fleming e alla necessità di individuare il c.d. «primary cost bearer» e il «gap. filler» o anche alla teoria di Shavell, teorie secondo le quali occorre che il risarcimento del danno, secondo una logica non solo di compensazione, ma anche di deterrente, riporti i costi sociali sulla curva di indifferenza, intesa come punto di equo contemperamento tra costi sociali e risorse economiche, tra esternalità negative ed esternalità positive. La prassi delle assicurazioni contro gli infortuni ha da tempo adottato le clausole di rinuncia al diritto di surrogazione ex art. 1916 c.c. che consente il cumulo, importante driver commerciale (vedi anche art. 142, IV comma cod. ass. private n. 205/2005) delle polizze assicurative. La Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 12565/18 del 22 maggio attraverso un approccio multilivello ha fatto riferimento al c.d. “the purpose of the benefit” (richiamato dai principes of European Tort Law- PETL art. 10:103), ossia allo scopo o “ragione giustificatrice del beneficio”, al fine di approdare ad un risarcimento che rappresenti un equo ristoro delle conseguenze dannose subite dal danneggiato, ma non occasione di ingiustificato arricchimento. La Suprema Corte di legittimità ha optato per una valutazione del rapporto danno/vantaggio “per classi omogenee o per ragioni giustificatrici”, attraverso la previsione di un meccanismo di surroga, di rivalsa o di recuperi che instaura la correlazione tra classi attributive altrimenti disomogenee. L’attività dell’Osservatorio sarà allora in futuro rivolta ad individuare nell’analisi della giurisprudenza quali siano le “classi omogenee”, al di là dei casi specificamente risolti dalle SS.uu. Tale attività di analisi non sarà certamente semplice, perché il criterio di omogeneità, come scrive chiaramente il relatore, non deve essere individuato solo attraverso l’identità del soggetto erogatore o attraverso il criterio causale (“si avrebbe una sofferenza del sistema, finendosi con il premiare, senza merito specifico, chi si è comportato in modo negligente”), ma attraverso altre indicazioni di sistema (nei tre casi affrontati, la legislazione previdenziale, l’art. 1916 e la normativa Inail). Allo stesso modo nella delicata materia della responsabilità sanitaria l’attività dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Roma ha sottolineato la necessità di un’adeguata prova sul nesso causale (si vedano la RASSEGNA AVVOCATuRA 52 DELLO STATO - N. 2/2018 sentenza Corte di Cass. III Sez. Civile n. 18392 del 26 luglio 2017 e n. 26284 del 14 novembre 2017) con la consapevolezza e la presa d’atto delle criticità che l’orientamento dettato dalle sentenze delle Sezioni unite nn. 576-586 dell’11 gennaio 2008, ispirato al favor creditoris hanno determinato (si pensi alla medicina difensiva o alla fuga delle compagnie dal mercato), criticità che le nuove leggi Gelli Bianco sulla responsabilità sanitaria ha cercato di risolvere, attraverso il superamento della nozione di “contatto sociale”. Nell’ambito di una riflessione più generale, se è vero ed indiscutibile, da un lato, che la salute è un bene primario da tutelare ex art. 32 Cost., ci si deve chiedere, dall’altro, se addonare alle strutture sanitarie oneri probatori gravosi, sia davvero la scelta giusta per la collettività dei cittadini o se, per converso, un tale meccanismo non vada ad incidere un più ampi e delicati equilibri della finanza pubblica. Il rigore probatorio imposto dalle recenti sentenze della Corte di Cassazione in tema di prove del nesso causale nasce dalla figura dei “diritti finanziariamente condizionati” introdotti dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 455/1990: a fronte di finanziamenti limitati, ogni risorsa sottratta al sistema della sanità pubblica per il tramite di automatismi risarcitori che prescindono da una verifica in concreto del nesso causale - si traduce alla fine nella riduzione dei servizi erogati, e quindi in un vulnus per tutti i cittadini - pazienti che chiedono di essere assistiti e curati. La constatazione che le pronunce dei giudici possano rappresentare un corretto contrappeso rispetto alle criticità del sistema economico trova la sua ulteriore conferma nel settore tributario, settore in cui è centrale la “funzione nomofilattica” della Suprema Corte di Cassazione. Il riferimento più evidente è dato dalla recente sentenza del 18 aprile 2018 n. 9672 della Cassazione Sez. Tributaria la quale, con una articolata argomentazione processuale fondata sulla differenza tra il concetto di legittimazione passiva e quella di interesse ad agire, ha affermato che, anche se i soci non hanno percepito alcunché in sede di bilancio finale di liquidazione, l’Agenzia delle Entrate può evocarli in giudizio per farne affermare la responsabilità “sussidiaria” rispetto alla società ormai estinta. Si ricorderà che l’art. 2495 c.c. del Codice Civile dispone che, dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, per i debiti sociali rimasti insoddisfatti possono essere chiamati a rispondere anche i soci, ma solo nei limiti degli importi ad essi corrisposti con il bilancio finale di liquidazione. Le successive novità di sistema introdotte con la riforma del diritto societario, in combinazione con quella organica del diritto fallimentare del 2006, fanno sì che oggi si determini una sorta di efficacia (impropriamente) “costitutiva” della cancellazione dal registro delle imprese, con la conseguenza che, dopo un anno dalla cancellazione, non è più possibile per i creditori insoddisfatti provocare la dichiarazione di fallimento della società cancellata. CONVEGNO 53 La prassi applicativa ha visto un uso distorto di questa previsione che ha spesso provocato l’estinzione di società cariche di debiti (soprattutto tributari) con la conseguente impossibilità di soddisfacimento degli stessi per due ordini di motivi: il primo, perché la società non è più soggetta a dichiarazione di fallimento per il decorso dell’anno, il secondo perché i soci non avendo ricevuto nulla in sede di bilancio finale di liquidazione - non possono essere chiamati a rispondere dei debiti sociali. Per ovviare a tale situazione il legislatore si è trovato nella necessità di introdurre l’art. 28, comma 4, del D.lgs. 175/2014: tale articolo ha previsto che, riguardo alla riscossione dei tributi e contributi, l’estinzione della società ha effetto solo dopo 5 anni dalla cancellazione dal registro delle imprese. In un tale quadro la sentenza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione la n. 9672 del 18 aprile 2018 assume una notevole rilevanza e comprova la funzione nomofilattica che nel nostro ordinamento deve svolgere la Suprema Corte di Cassazione. Tale pronunzia fa menzione del significativo contrasto all’interno della stessa Corte di Cassazione sulla validità del principio affermato, ma sente la necessità di richiamare la sentenza delle Sezioni unite la n. 6070 del 12 marzo 2013 che per l’appunto aveva sottolineato la sopra menzionata differenza tra legittimazione passiva ed interesse ad agire. A prescindere dalla particolarità e complessità del settore tributario, gli Osservatori sulla Giustizia Civile hanno certamente alimentato la c.d. ortopedia interpretativa nell’applicazione degli ADR (alternative dispute Resolutions), in particolare la mediazione delegata ex art. 5, co. 2 D.lgs. 28/2010, particolare strumento di deflazione del contenzioso volto a realizzare quella che il prof. Sander aveva denominato la “multi door court house” l’accesso differenziato alla Giustizia. Si è data particolare importanza alla proposta conciliativa del giudice ex art. 185 bis c.p.c. e un’analisi complessa è stata condotta anche sugli strumenti ADR previsti nel nuovo codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 50/2016) ex art. 205 e ss. (Accordo bonario, transazione, arbitrati e Pareri di contenzioso dell’ANAC). Sul piano più strettamente procedurale nel corso del corrente anno giudiziario il Gruppo “uniformità e Prevedibilità delle decisioni” dell’Osservatorio sulla Giustizia Civile ha cercato di predisporre prassi condivise relative al processo civile telematico e, in particolare, ha affrontato il tema della prova della notificazione effettuata con modalità telematiche ex lege 53/1994. Si ricorderà che il noto art. 9, co. 1 ter legge 53/1994 prevede che la prova della notificazione deve essere fornita “con modalità telematica”, potendo essere fornita altrimenti (ossia: copia cartacea o.p.d.g. della ricevuta di avvenuta consegna) solo quando “non sia possibile”. In quest’ultimo caso, peraltro, è necessaria l’attestazione della conformità della copia sul supporto analogico ai documenti informatici ex art. 23 co. 1 D.lgs. 82/2005. RASSEGNA AVVOCATuRA 54 DELLO STATO - N. 2/2018 L’Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Roma ha rilevato la sussistenza di prassi difformi alle disposizioni citate. Laddove alcuni giudici richiedono la produzione degli originali informatici ex art. 9 co. 1 ter legge n. 53/1994 - altri giudici ritengono sufficiente la produzione della copia analogica, anche senza attestazione di conformità. Ciò determina incertezza da parte della utenza che non è in grado di sapere prima della udienza di prima comparizione quale sia la forma di prova (analogica o informatica) ritenuta sufficiente per la declaratoria di contumacia. L’Osservatorio in un apposito documento ha chiarito che è indispensabile l’adozione di una regola chiara e prevedibile conforme alle disposizioni di legge sopra richiamate: produzione dell’originale telematico della notificazione come default; produzione dell’analogico cartaceo con attestazione di conformità, nel caso di impossibilità della parte o dei giudici (ad esempio, indisponibilità o malfunzionamento dei sistemi informatici). Da quanto sopra esposto, emerge con molta evidenza che l’attività degli Osservatori, luogo privilegiato di collaborazione fra magistrati ed avvocati, risulta oggi essenziale sia nell’analisi delle questioni giuridiche sia nella predisposizione di uniformi meccanismi procedurali e organizzativi. È auspicabile che tale sinergia tra i vari operatori del diritto continui in futuro, creando magari anche nel settore del diritto amministrativo un apposito Osservatorio sulla Giustizia amministrativa, con la profonda convinzione da parte di tutti che solo attraverso la reciproca comprensione delle difficoltà operative, si può migliorare la governance del sistema giustizia nel nostro Paese. L’analisi del contenzioso tributario come strumento di “monitoraggio qualitativo” (e sue potenzialità in termini di compliance ed effetti deflattivi del contensioso) Mariangela Mastrogregori* 1. Premessa. Gli strumenti di “monitoraggio” del contenzioso tributario: a) le relazioni del ministero dell’economia e delle Finanze: attuale analisi di tipo “quantitativo”; b) la relazione della corte dei conti sul contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie: strumento di analisi di tipo “qualitativo”. Ringrazio l’Avvocatura dello Stato e in particolare l’Avv. Bachetti per l’opportunità di partecipare al Convegno di oggi e, soprattutto, per il coinvolgimento in questo progetto, volto alla costituzione di un “Osservatorio del (*) Studio Legale e Tributario Avv. Cataldo D’Andria e Associati. CONVEGNO 55 contenzioso pubblico” che possa operare non solo come strumento di contenimento della spesa pubblica (secondo quanto sottolineato anche dall’Avv. Salvatorelli, nella sua introduzione di questa mattina) ma anche come strumento di sviluppo economico. Aspetto, quest’ultimo, assolutamente rilevante per imprese e professionisti che, proprio attraverso le analisi e gli spunti di riforma che potrebbero essere forniti dall’Osservatorio, potrebbero ricevere un consistente ed efficace apporto in termini di risoluzione preventiva delle conflittualità o di definizione stragiudiziale delle controversie, con conseguente “liberazione” di energie positive ed incremento della produttività. Questo progetto trova, nel Convegno di oggi, il necessario punto di partenza e di confronto, mediante una prima ricognizione condivisa, attraverso i differenti punti di vista coinvolti - giuridico, economico, politico, statistico - e con un profilo di analisi necessariamente interdisciplinare, delle questioni che il costituendo Osservatorio potrà affrontare e delle possibili metodologie con cui lo stesso potrà operare. Con questa finalità, nel ricercare il punto di partenza da cui muovere, in vista della costituzione, all’interno di un “Osservatorio del contenzioso pubblico” di uno specifico “Osservatorio del contenzioso tributario”, ho pensato di partire dalla ricognizione dei principali strumenti di “monitoraggio” del contenzioso tributario a nostra disposizione. Questi strumenti sono, da un lato, le relazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze sullo stato del contenzioso e sull’attività delle commissioni tributarie; dall’altro, una recente relazione della Corte dei Conti, citata anche dall’Avv. Bachetti nel suo intervento (avente ad oggetto “Il contenzioso dinanzi alle Commissioni tributarie. Effetti sulle entrate. Anni 2011-2016”) (1). a) Per quanto riguarda le relazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, si tratta di relazioni sia annuali (2) - quella che ho preso in esame è, in particolare, l’ultima pubblicata alla data di questo Convegno, relativa al 2016 (3) - che di rapporti trimestrali (4) nell’ambito dei quali, ai fini del- (1) Corte dei Conti, Deliberazione 20 giugno 2017, n. 7/2017/G. (2) “la Relazione annuale sul monitoraggio dello stato del contenzioso tributario e sull'attività delle commissioni tributarie è una pubblicazione che ha lo scopo di rappresentare lo stato del contenzioso tributario. essa contiene l'evoluzione del contenzioso tributario attraverso l'analisi delle controversie pervenute, definite e pendenti e l'analisi del dimensionamento delle attività delle commissioni tributarie e degli uffici di segreteria. la Relazione è corredata da appendici statistiche che mostrano nel dettaglio i dati quantitativi” (Cfr. www.giustiziatributaria.gov.it/gt/relazione-annuale-sullo-statodel- contenzioso-tributario). (3) La relazione annuale relativa al 2017 è stata pubblicata il 15 giugno 2018, secondo il calendario delle pubblicazioni statistiche del MEF con riferimento al contenzioso tributario (cfr. sempre www.giustiziatributaria. gov.it); ci si riserva di svolgere un’analisi di detta relazione in un successivo articolo, in fase di elaborazione, nel quale le argomentazioni sintetizzate nella presente relazione illustrata nella giornata di studi del 24 maggio 2018 potranno trovare ulteriore approfondimento e sviluppo. RASSEGNA AVVOCATuRA 56 DELLO STATO - N. 2/2018 l’odierna giornata di studi, ho preso in esame quello di più recente pubblicazione, relativo al periodo ottobre-dicembre 2017. L’approccio di analisi e la metodologia di ricognizione del contenzioso e delle attività delle commissioni tributarie, che caratterizzano sia le relazioni annuali che i rapporti trimestrali risultano, sin da una prima lettura, di tipo marcatamente “quantitativo”, in connessione con lo scopo espressamente individuato nelle relazioni di “rappresentare lo stato del contenzioso tributario” e di prospettarne le linee di evoluzione in una prospettiva dinamica, realizzando in particolare: a) l’analisi dei flussi in entrata e in uscita; b) l’analisi delle strutture delle commissioni tributarie e delle relative attività amministrative; c) l’analisi degli organi giudicanti e delle relative attività giurisdizionali, corredate da appendici statistiche e da una “Guida all’interpretazione dei dati”. In questa prospettiva, di ricognizione del contenzioso di tipo “quantitativo”, gli indicatori utilizzati e i dati forniti attengono in primo luogo al numero dei ricorsi presentati e alla variazione di detto numero nel periodo sottoposto ad analisi; e, con riguardo a detto indicatore, sia nella relazione annuale 2016, che nel rapporto relativo all’ultimo trimestre 2017 esaminati per l’odierna giornata di studi, nei dati anticipati, con riferimento in via complessiva al 2017, con comunicato stampa del 20 marzo 2018, il dato che emerge è quello di un progressivo e costante decremento del contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie (5). Nelle relazioni e nei rapporti esaminati, questo dato è accompagnato dalla precisazione che la diminuzione segnalata è concentrata principalmente nello scaglione dei ricorsi di valore fino a ventimila euro (6) (caratterizzati dalla preventiva fase di reclamo/mediazione di cui all’art. 17-bis D.lgs. n. 546/1992, applicabile con riferimento agli atti notificati a partire dal primo gennaio 2018 per effetto delle disposizioni del D.L. n. 50/2017 a controversie di valore elevato a cinquantamila euro); e dalla precisazione che, pur in un contesto di complessiva, generale diminuzione del contenzioso tributario nei due gradi di merito, in controtendenza rispetto ad essa si evidenzia, tra il 2014 e il 2016, un consistente aumento del dato riguardante specificamente il contenzioso avente ad oggetto atti di riscossione (contenzioso quindi nei confronti dapprima di Equitalia, Agente della Riscossione e, oggi, di Agenzia delle Entrate - Riscossione) con una diminuzione, però, di detto contenzioso nel 2017 (7). (4) “la pubblicazione statistica analizza i dati relativi ai trimestri di ciascun anno. essa contiene l'evoluzione del contenzioso tributario attraverso l'analisi delle controversie pervenute, definite e pendenti” (cfr. www.giustiziatributaria.gov.it, cit.). (5) In particolare, nelle relazioni esaminate emerge la costante riduzione del volume complessivo dei nuovi contenziosi: meno 10,75% di controversie pendenti, nel 2017 rispetto all’anno 2016; meno 11,6% nel 2016 rispetto al precedente anno 2015. (6) In particolare, come emerge dalla relazione annuale per il 2016 il 72,1% dei ricorsi pervenuti alle Commissioni tributarie provinciali nel 2016 riguarda controversie di valore inferiore o uguale a ventimila euro (per un totale di 460 milioni di euro) mentre solo l’1,4% dei ricorsi riguarda controversie di valore superiore a 1 milione di euro (per un totale di 13,2 miliardi di euro). CONVEGNO 57 Altri indicatori utilizzati negli strumenti di monitoraggio in parola sono poi il numero delle “controversie definite” (8) accompagnato dalla ricognizione delle percentuali di definizione in favore della Amministrazione e del contribuente sia in via generale, che con ripartizione a seconda delle diverse tipologie di Enti (in particolare, Agenzie fiscali - Agenzia delle Entrate (9) e Agenzia del Territorio, Agente di Riscossione ora Agenzia delle Entrate-Riscossione, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (10); Enti locali) e delle diverse tipologie di tributi (11); altro indicatore è rappresentato dalla ricognizione delle aree geografiche di riferimento ed altro indicatore, infine, consiste nella durata dei procedimenti (12) (con obiettivo specifico di detto indicatore, secondo quanto espressamente indicato nelle relazioni, volto a inquadrare la capacità degli uffici di dare risposta alla domanda di giustizia). b) Per quanto riguarda, invece, la Relazione della Corte dei Conti (Deliberazione del 20 giugno 2017, richiamata già dall’Avv. Bachetti e su cui tornerà anche il Prof. Mazzitelli), la tipologia di analisi e metodologia di ricognizione utilizzate segnano il passaggio ad un approccio anche di tipo “qualitativo”: nel quale, cioè, oltre ai dati relativi ai “flussi” in entrata o in uscita, e al loro andamento e tipologia di definizione, se ne evidenzia l’interrelazione e si prospettano le possibili cause e funzioni, con l’obiettivo di fornire una ricostruzione sistematica. In particolare, vengono esposti i dati relativi alle singole tipologie degli atti impugnati anche in correlazione con la distribuzione territoriale (13), o relativi alla evidenziazione dei “volumi” della riscossione correlati al contenzioso, nella parte in cui viene sottolineato il positivo risultato complessivo del riscosso correlato alla mediazione tributaria e alla conciliazione giudiziale; ed ancora, si trovano sviluppati i dati relativi alla analisi qualitativa del processo telematico, definito nella relazione come innovazione diretta a favorire la semplificazione del rapporto fisco/cittadino e l’efficientamento del servizio. (7) Decremento segnalato, da ultimo, con riferimento al 2017 e correlato ai provvedimenti normativi del 2017 in punto di “definizione agevolata dei ruoli”. (8) Anche il numero dei ricorsi complessivamente definiti dalle Commissioni tributarie nel 2017 mostra una flessione del 10,69% rispetto all’anno precedente: cfr. comunicato stampa n. 47 del 20 marzo 2018. (9) Con individuazione dei relativi indici di “vittoria” nel contenzioso, pari a circa il 70% nella relazione annuale esaminata. (10) Con individuazione dei relativi indici di “vittoria” nel contenzioso, pari a circa il 90% nella relazione annuale esaminata. (11) Con individuazione, al primo posto - per numero di controversie - delle imposte sui redditi delle persone fisiche; seguite dai tributi per lo smaltimento dei rifiuti; tributi sulle proprietà immobiliari; altri tributi erariali; IVA; IRAP; IRES ed IRPEG. (12) Come indicato nella relazione MEF per il 2016, in tale annualità la durata media del processo tributario nel primo grado di giudizio è stata di 781 giorni (pari a 2 anni e due mesi) con un miglioramento di 76 giorni rispetto al 2015 e di 180 giorni rispetto al 2014. (13) In particolare, mediante individuazione selettiva dei territori in cui si assiste ad esempio ad una riduzione degli accertamenti e all’aumento dei ricorsi contro avvisi di liquidazione e riscossione. RASSEGNA AVVOCATuRA 58 DELLO STATO - N. 2/2018 Ma soprattutto, nella Relazione della Corte dei Conti vengono compiute un’analisi e una ricognizione che risultano fondamentali ai fini di un costituendo Osservatorio del contenzioso tributario e, segnatamente, l’indicazione delle “questioni ricorrenti oggetto di contenzioso” (14) accompagnata dalla seguente considerazione conclusiva, che sintetizza, molto efficacemente, l’obiettivo e la stessa funzione di un costituendo Osservatorio del contenzioso: “con riferimento al contenzioso nel suo complesso, appare necessaria l’identificazione e l’approfondimento delle specifiche fattispecie di contenzioso più frequenti o di tipo seriale (come è stato per l’iRaP dei professionisti, con riferimento al parametro della autonoma organizzazione) per superarle ove possibile, ad esempio, con norme interpretative se la regola fiscale non è chiara, o con altro tipo di intervento”. Del pari risultano centrali, sempre ai fini della delimitazione degli obiettivi del costituendo Osservatorio, prima anche delle sue metodologie di operatività, le raccomandazioni conclusive della Relazione della Corte dei Conti, tutte volte ad esprimere il carattere fondamentale degli interventi deflattivi del contenzioso tributario: infatti, “per un corretto funzionamento di un sistema fiscale incentrato sull’adempimento spontaneo” secondo la Relazione in commento è indispensabile “deflazionare ulteriormente il contenzioso” (15). In questa prospettiva, un ruolo centrale viene assegnato dalla Corte da un lato all’identificazione delle “fattispecie di contenzioso più ricorrenti o di tipo seriale” per tentare di superarle, come già poc’anzi rilevato, mediante una norma interpretativa in caso di regola fiscale non chiara o con “altro tipo di intervento”; dall’altro lato, all’istituto dell’autotutela, “che deve essere attivato per ripristinare la legalità violata tutte le volte che l’amministrazione si avveda dell’illegittimità anche parziale della pretesa tributaria, in coerenza con il carattere vincolato dell’attività impositiva (la mediazione non può essere un surrogato dell’autotutela, con un onere aggiuntivo ingiustificato per il contribuente)”. E proprio il tema dell’autotutela tributaria potrebbe essere un primo “banco di prova” per un costituendo Osservatorio del Contenzioso. Allo stato attuale, infatti, la stessa conformazione e funzione dell’istituto è caratterizzata da un dato normativo di riferimento specifico ma, in larga parte, non attuato; da un disallineamento tra ricostruzione dottrinale dell’istituto in (14) Cfr., in particolare, la Tabella 17, p. 46 della Relazione, nella quale spicca al primo posto l’abnorme numero di “questioni concernenti gli altri atti dell’Agente della Riscossione: intimazione di pagamento, sollecito di pagamento, avviso di mora, estratto di ruolo, accompagnato dalla considerazione secondo cui “l’abnorme frequenza del contenzioso avverso gli atti dell’agente della riscossione fa supporre la strumentalità di molti ricorsi, probabilmente finalizzati a poter fruire di future sanatorie (vedi “rottamazione delle cartelle”) o comunque proposti con scopi dilatori”. (15) Dalla Tabella sopra citata emerge il significativo valore definito con gli strumenti deflattivi e con la conciliazione giudiziale (il 20 per cento) con un recupero mediante versamenti diretti del 94,72%. CONVEGNO 59 termini di istituto nevralgico per l’attuazione di una giusta imposizione e sua invece sostanziale “riduzione” applicativa, nell’orientamento giurisprudenziale di legittimità (soprattutto concentrato sul tema della impugnabilità o meno del diniego di autotutela); infine, da uno stesso “disallineamento”, sul tema dell’impugnabilità o meno del diniego di autotutela, tra interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, anche alla luce del recente intervento della Corte Costituzionale, e un’interpretazione contraria e più estensiva di parte della giurisprudenza di merito; con un’incertezza applicativa che comporta, invero, il sostanziale non utilizzo, o blocco di operatività di questo invece fondamentale strumento, e con conseguente vanificazione, ad oggi, della centrale funzione deflattiva ad esso espressamente assegnata, invece, dalla stessa Corte dei Conti. 2. il “caso” dell’autotutela tributaria: l’osservatorio del contenzioso come strumento di “monitoraggio qualitativo”. un costituendo “osservatorio del contenzioso tributario” dovrebbe operare, in particolare, individuando e trattando in maniera condivisa e multidisciplinare le questioni maggiormente ricorrenti nella patologia della conflittualità tra Fisco e contribuenti, al fine di individuare i possibili interventi per superarle, anche mediante articolazione di proposte di intervento normativo: in questo senso, dunque, l’Osservatorio può essere definito come vero e proprio strumento di monitoraggio “qualitativo” del contenzioso, nella prospettiva di indagine in cui si colloca la più volte citata Relazione della Corte dei Conti e con gli obiettivi anche in essa sanciti. In particolare, compito dell’Osservatorio sarà l’individuazione di “filoni di controversie” nelle quali il contenzioso è alimentato dal riferimento - giurisprudenziale e di tipo atomistico - a concetti non sufficientemente individuati e delimitati, seppure richiamati come risolutivi in determinate controversie. Si pensi, ad esempio, al concetto di “autonoma organizzazione” nel vasto contenzioso relativo alla debenza dell’IRAP da parte dei professionisti; oppure, ancor più a quanto accade con riferimento proprio all’autotutela tributaria, che sembra poter rappresentare un “caso” tipico di efficace operatività della ricognizione condivisa nell’ambito dell’Osservatorio, utilizzabile al fine di individuare e soprattutto concretamente delimitare - mediante il confronto tra professionisti, Avvocatura, Agenzie fiscali - la nozione di “rilevante interesse generale” che, secondo l’interpretazione più volte fornita dalla Corte di Cassazione, “giustifica l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio” (16). (16) “È infatti insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “in tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria” (cfr. ex multis Cass., 13 ottobre 2017, n. 24222 e la giurisprudenza ivi citata). RASSEGNA AVVOCATuRA 60 DELLO STATO - N. 2/2018 Il punto di partenza per l’analisi dell’Osservatorio, volta alla ricognizione di quali siano i casi in cui sia ravvisabile il “rilevante interesse generale” che debba condurre all’esercizio dell’annullamento d’ufficio di un atto impositivo, anche nell’ipotesi in cui lo stesso risulti già definitivo, può essere individuato nella qualificazione dell’autotutela non già come “strumento di protezione” e tutela del contribuente (qualificazione invero esclusa, dopo l’intervento della Corte Costituzionale (17), dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (18)); ma come strumento per l’Amministrazione finanziaria di attuazione della giusta imposta (19), come strumento di preventiva e unilaterale risoluzione di conflitti, potenziali o attuali, con i contribuenti (20). L’autotutela nel diritto tributario è, come noto, normativamente disciplinata dall’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564 e, soprattutto, dal D.M. n. 37 del 1997, regolamento recante “norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’amministrazione Finanziaria”. Ebbene, troviamo proprio nel citato regolamento una disposizione, l’art. 6, alla cui attuazione concreta proprio un costituendo Osservatorio del Contenzioso tributario, operante come piattaforma condivisa tra i diversi attori istituzionali (Agenzie fiscali, Avvocatura dello Stato) e le parti private coinvolte, per l’attuazione effettiva dello strumento dell’autotutela tributaria, potrebbe contribuire efficacemente. Viene infatti previsto espressamente, in tale disposizioni, che le direzioni regionali e compartimentali avvalendosi del servizio automatizzato di cui all’art. 36, comma 1, del D.Lgs. n. 545/1992 sono tenute a far pervenire trimestralmente alle stesse Direzioni centrali relazioni periodiche nelle quali si “rilevano i motivi per i quali più frequentemente i ricorsi avverso gli atti degli uffici periferici e centrali sono accolti o respinti dalle commissioni tributarie”; e soprattutto si precisa che “tenuto conto delle rilevazioni previste dall’articolo 6 e della giurisprudenza consolidata nella materia, le direzioni dei dipartimenti impartiscono direttive per l’abbandono delle liti già iniziate, sulla base del criterio della probabilità della soccombenza e della conseguente condanna (17) Cfr. Corte Costituzionale, n. 181 del 13 luglio 2017. (18) Cfr. da ultimo Cass., n. 4160 del 21 febbraio 2018. (19) Cfr. la Relazione accompagnatoria del Consiglio Superiore delle Finanze allo schema di decreto ministeriale sull’autotutela dell’Amministrazione finanziaria (approvato il 10 maggio 1996) laddove, nell’escludersi la prefigurabilità di un interesse pubblico all’indiscriminato conseguimento di maggiori introiti, si rileva che “se così dovesse opinarsi è evidente che non vi sarebbe alcuno spazio per l’esercizio del potere di autotutela, che nella maggior parte dei casi concerne o dovrebbe concernere la restituzione di imposte indebitamente percepite o pretese nonostante che il contribuente non abbia fatto o non abbia potuto fare validamente ricorso al giudice”. Tale Relazione individua, in particolare, il fondamento dell’autotutela dell’Amministrazione finanziaria nel combinato disposto degli articoli 53 e 97 della Costituzione. (20) Come recentemente rilevato dalla stessa Guardia di Finanza in un intervento di prassi amministrativa, circolare n. 1/2018. CONVEGNO 61 dell’amministrazione finanziaria al rimborso delle spese di giudizio. ad analoga valutazione è subordinata l’adozione di iniziative in sede contenziosa”, prendendo in considerazione “anche l’esiguità delle pretese tributarie in rapporto ai costi amministrativi connessi alla difesa delle pretese stesse”. Ed infine, con l’art. 8 che conclude il regolamento dell’autotutela tributaria si prevede che “con successivi decreti sono stabiliti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o abbandona l’attività dell’amministrazione, in relazione a predeterminate categorie generali o astratte”. In tutte queste aree di intervento, normativamente devolute all’Amministrazione finanziaria e alle sue articolazioni interne, estremamente efficace sarebbe l’approccio di un tavolo condiviso aperto invece all’esterno, cui partecipi la stessa Amministrazione, unitamente all’Avvocatura e ai professionisti del settore in rappresentanza dei contribuenti: dunque, l’approccio dell’Osservatorio, mediante il quale realizzare il fondamentale compito di monitoraggio qualitativo, ai fini dell’individuazione dei possibili interventi di risoluzione anche di carattere normativo; al fine di poter dare finalmente avvio e impulso ad un efficace utilizzo dell’autotutela, come strumento di attuazione della giusta imposta e di prevenzione dei conflitti, e anche al fine di risolvere il problema - evidenziato nella più volte citata Relazione della Corte dei Conti come grave e idoneo a minare la complessiva “tenuta del sistema” - del “non riscosso” derivante dall’alta percentuale di atti di accertamento non impugnati e divenuti definitivi (21). conclusioni. L’importante progetto in cui l’Avv. Bachetti ci ha coinvolto, che consiste nella prossima costituzione di un “Osservatorio del contenzioso pubblico” e, all’interno di esso, di un “Osservatorio del contenzioso tributario” - anche mediante utilizzazione delle metodologie e prassi applicative di altri Osservatori di recente affermazione con positivi risultati, soprattutto di carattere deflattivo o di risoluzione alternativa delle liti (come illustrato nella relazione dell’Avvocato Natale) - trovi nella odierna giornata di studi un ottimo punto di avvio metodologico e di progressivo consolidamento degli obiettivi individuati, di contenimento della spesa pubblica da un lato e di sviluppo economico dall’altro. (21) Si tratta del “non contenzioso” - secondo la definizione fornita dalla Corte dei Conti - “.. che può definirsi patologico (il 48,52 per cento di accertato non impugnato e in massima parte non pagato, come si è detto)” per il quale “è essenziale l’attività di prevenzione. Occorre indurre comportamenti di massa più coerenti all’assolvimento degli obblighi tributari per ridurre drasticamente la platea degli inadempienti (attualmente oltre 20 milioni) attivando tutti gli interventi legislativi e le misure amministrative in direzione di una crescita della tax compliance, con un impegno dell’amministrazione finanziaria per un miglioramento dei rapporti con il contribuente e una crescita dell’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali, attraverso la semplificazione degli adempimenti (la facilità di adempiere gioca, infatti, un ruolo determinante nell’adempimento), la cooperazione e il dialogo con il contribuente sia nella fase dell’adempimento che successivamente in sede di autotutela” [il neretto è redazionale]. RASSEGNA AVVOCATuRA 62 DELLO STATO - N. 2/2018 Le parole che più sono state ribadite e utilizzate questa mattina sono “confronto” ed “effettività” di azione. Mediante l’Osservatorio, quale idoneo strumento di confronto tra tutte le parti coinvolte si potrà ulteriormente, e con efficacia, sviluppare l’attuale e positiva esperienza applicativa dei Protocolli di Intesa, nell’ultimo periodo sempre più frequenti ma che hanno prevalentemente carattere “bilaterale”: l’Osservatorio può, invece, rappresentare l’effettiva realizzazione di un “tavolo multilaterale”, nel quale periodicamente si lavora su di una “piattaforma condivisa” al fine di individuare e realizzare differenti ipotesi di riforma: a) mediante interventi di modifica normativa, con inserimento di definizioni e delimitazioni condivise di nozioni di carattere generale, altrimenti destinate a rimanere indeterminate; b) mediante impulso all’utilizzo degli strumenti deflattivi del contenzioso e, in particolare, della conciliazione giudiziale, anche nel giudizio di legittimità secondo le ipotesi de iure condendo più volte recentemente prospettate; c) mediante impulso a strumenti di velocizzazione del giudizio tributario che, in assenza di una ricognizione preventiva e condivisa di particolari questioni giuridiche nell’ambito dell’Osservatorio, continuerebbero a risultare di difficile attuazione pratica (si pensi al “ricorso per saltum”, di recente introduzione nel giudizio tributario (22) e di finora esigua applicazione, a quanto consta: sotto questo profilo la operatività dell’Osservatorio, nell’espletamento della sua funzione di chiarimento e condivisione preventiva delle linee guida interpretative sulle più rilevanti questioni giuridiche, potrebbe agevolare fortemente il ricorso a detto strumento di velocizzazione del giudizio, incentrato sul previo accordo delle parti, Amministrazione e contribuenti). Emerge dunque, in questa giornata di studi, l’assoluta necessità, con riferimento al contenzioso pubblico, in cui si contrappongono parte pubblica e parti private, e nell’ambito di esso soprattutto con riferimento al contenzioso tributario, di lavorare su di una piattaforma condivisa tra tutti gli operatori coinvolti - mondo accademico, operatori istituzionali, professionisti privati - idonea a fungere da impulso sia per l’utilizzo di istituti deflattivi del contenzioso, che di incremento della compliance fiscale: “adempimento spontaneo” dell’obbligazione tributaria che, oggi, rappresenta l’obiettivo principale del sistema, come incisivamente evidenziato nella più volte citata Relazione della Corte dei Conti, in conformità al centrale principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione. (22) L’art. 9, comma 1, lett. z) del D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015 ha inserito infatti all’art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992 - concernente le norme applicabili al ricorso per Cassazione - il comma 2- bis, il quale prevede che “sull’accordo delle parti la sentenza della commissione tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile”, per i casi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto. CONVEGNO 63 La Misurazione degli oneri Amministrativi (MoA) e l’Analisi di Impatto della Regolazione sulla Concorrenza (AIRC) come strumenti di better regulation e fattori di competitività. Il contributo dell’analisi economica del diritto per la valutazione dell’impatto del contenzioso pubblico Michela Giachetti Fantini* 1. Premessa. Come rilevato nell’introduzione di questo Convegno dal titolo “Per un osservatorio del contenzioso come strumento di qualità normativa. contenimento della spesa pubblica e sviluppo economico”, nella prassi applicativa non viene svolta un’analisi sistematica per valutare l’impatto della qualità della regolazione su cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione in termini di contenimento della spesa pubblica e sviluppo economico. Tuttavia sul piano normativo sono stati disciplinati alcuni istituti di better regulation, quali la MOA e l’AIRC, deputati ad hoc alla valutazione degli effetti economici della regolazione, di cui però non vengono valorizzate pienamente le potenzialità, e che potrebbero fungere da strumento di prevenzione dell’insorgenza di liti tra imprese e Pubbliche Amministrazioni, nonché arricchire la “cassetta degli attrezzi” di cui potrebbe avvalersi un Osservatorio sulla qualità normativa per l’analisi del contenzioso pubblico da istituire all’interno dell’Avvocatura dello Stato. 2. la moa, il bilancio degli oneri e gli elenchi degli oneri introdotti ed eliminati. La MOA (1) consiste nella misurazione degli oneri amministrativi, cioè dei costi sostenuti da cittadini e imprese per rispettare gli adempimenti che comportino la raccolta, l’elaborazione, la produzione, la trasmissione e la conservazione di informazioni e documenti alla Pubblica Amministrazione (2). Per le amministrazioni statali la MOA è stata introdotta in via sperimentale nel 2005 e in modo sistematico nel 2007, quando il Piano di azione per la (*) Dottore di ricerca in Diritto Pubblico dell’Economia presso l’università degli Studi di Roma “La Sapienza”. (1) In generale sulla MOA si veda C. IuVONE, la misurazione e la riduzione degli oneri amministrativi nel contesto delle politiche di semplificazione, in R. zACCARIA (a cura di), Fuga dalla legge? Seminari sulla qualità della legislazione, capitolo VIII La qualità della legislazione regionale, Grafo, Brescia, 2011, pp. 282-285; F. FERRONI, la misurazione degli oneri amministrativi nelle politiche di better regulation europee, in R. zACCARIA (a cura di), Fuga dalla legge?, cit., pp. 286-290; F. SARPI, S. SALCI, i risultati e le aspirazioni della misurazione degli oneri amministrativi, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, n. 10, pp. 1072-1076. (2) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, in Giornale di diritto amministrativo, 2018, n. 1, pp. 21 ss.; M. BENEDETTI, la misurazione degli oneri amministrativi, in A. NATALINI, F. SARPI, G. VESPERINI (a cura di), osservatorio air, l’analisi di impatto e gli altri strumenti per la qualità della regolazione, Annuario 2013, ed. 2014, pp. 73 ss. RASSEGNA AVVOCATuRA 64 DELLO STATO - N. 2/2018 semplificazione e la qualità della regolazione ha recepito l’obiettivo di riduzione del 25% dei costi a carico delle imprese entro il 2012 fissato dal Consiglio europeo (3) e ha individuato le aree di regolazione sulle quali avviare la MOA (4). La metodologia impiegata nella MOA è quella dello SCM (Standard Cost Model) che prevede la misurazione degli oneri sia ex ante, nella forma dell’analisi degli effetti di nuove ipotesi di regolazione, sia ex post, come stima degli oneri introdotti ed eliminati attraverso l’attività di regolazione (5). Il meccanismo di semplificazione collegato alla misurazione degli oneri amministrativi è stato messo a regime a livello statale con il c.d. “taglia oneri” introdotto dal d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008 (6). La l. n. 180/2011, recante lo Statuto delle imprese, ha previsto uno strumento di quantificazione degli oneri introdotti ed eliminati attraverso l’attività di regolazione, il c.d. “bilancio degli oneri” (7), che si configura come declinazione particolare della MOA. Il bilancio degli oneri si basa sul principio di compensazione sancito dall’art. 8 dello Statuto delle imprese, in cui si stabilisce che per gli atti normativi e provvedimenti amministrativi a carattere generale che regolano l’esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l’accesso ai servizi pubblici ovvero la concessione dei benefici, non possono essere introdotti nuovi oneri regolatori, informativi o amministrativi a carico di cittadini e imprese e altri soggetti privati senza contestualmente ridurre o eliminare altri oneri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo arco temporale. Si tratta della regola c.d. “one-in, one-out” diffusa a livello internazionale (8). (3) Nel considerando n. 43 della direttiva n. 123/2006/CE, meglio nota come “Direttiva Bolkestein”, attuata nell’ordinamento nazionale con il d.lgs. n. 59/2010, si osserva che “una delle principali difficoltà incontrate, in particolare dalle PMI, nell’accesso alle attività di servizi e nel loro esercizio, è rappresentata dalla complessità, dalla lunghezza e dall’incertezza giuridica delle procedure amministrative”. La richiamata direttiva è volta a ridurre i vincoli procedimentali e sostanziali gravanti sugli operatori commerciali, al fine di favorire la creazione di un regime comune inteso a dare concreta applicazione ai principi di libertà di stabilimento, libera prestazione di servizi, nonché di libera concorrenza. (4) Le attività di misurazione sono coordinate dall’apposita task force dell’ufficio per la semplificazione amministrativa del Dipartimento della funzione pubblica con l’assistenza tecnica dell’Istat. (5) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 23. (6) L’art. 6 del d.l. n. 170/2011, convertito con modificazioni nella l. n. 106/2011, ha esteso la MOA alle Regioni, agli enti locali e alle autorità amministrative indipendenti e ha istituto nell’ambito della Conferenza unificata un Comitato paritetico per il coordinamento delle metodologie di misurazione e riduzione degli oneri. (7) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 22. (8) Nel Regno unito tale regola è stata introdotta dal 1° gennaio 2011. Essa è stata poi sostituita nel 2013 dalla regola “one-in, two-out”, secondo cui si impone di compensare i costi introdotti con risparmi pari al doppio, con riguardo a tutte le misure adottate, ad eccezione delle norme tributarie, fiscali e di emergenza, delle norme di derivazione europea che non introducono gold-plating e di quelle che non hanno un impatto sulle imprese e sul terzo settore. CONVEGNO 65 L’art. 8, co. 2-bis, della l. n. 180/2011, come introdotto dall’art. 3, co. 1, della l. n. 35/2012, dispone che il Dipartimento della funzione pubblica, a partire dalle relazioni delle amministrazioni sul bilancio degli oneri introdotti ed eliminati con gli atti normativi approvati nel corso dell’anno precedente, predispone una relazione complessiva, contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti ed eliminati, che evidenzia il risultato con riferimento a ciascuna amministrazione. Inoltre si prevede che la suddetta relazione è comunicata al Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi (DAGL) della Presidenza del Consiglio dei Ministri e pubblicata sul sito istituzionale del Governo entro il 31 marzo di ciascun anno. Si stabilisce altresì che il Dipartimento della funzione pubblica procede alla redazione della relazione complessiva sul bilancio degli oneri previa consultazione con le associazioni imprenditoriali e con le associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale ai sensi del d.lgs. n. 206/2005, recante il Codice del Consumo. La consultazione permette alle amministrazioni di avere un riscontro sulla ricognizione dei provvedimenti che introducono ed eliminano oneri, di acquisire informazioni utili sull’entità degli oneri stimati, di colmare lacune e correggere errori nelle stime compiute. Mediante la consultazione le associazioni fungono da pungolo per le amministrazioni, concorrendo al miglioramento delle attività di monitoraggio e valutazione degli oneri esercitate dalle stesse (9). L’analisi delle relazioni sul bilancio degli oneri predisposte dalle amministrazioni evidenzia un ridotto grado di attuazione della l. n. 180/2011: nel 2016 due amministrazioni centrali non hanno provveduto alla trasmissione della relazione sul bilancio degli oneri non solo entro il termine normativamente previsto (31 gennaio) (10) ma neppure entro il termine di redazione In Canada la regola “one-for-one”, equivalente a quella “one-in, one-out”, è stata introdotta dal 1° aprile 2012. Essa è stata poi introdotta in Francia dal 1° luglio 2013, con la denominazione moratoire “1 pour 1”, in Portogallo con il D.L. n. 72 del 2 settembre 2014, in Germania a partire dal 1° luglio 2015. Al riguardo si veda Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Relazione complessiva contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti ed eliminati. anno 2016, Roma, 2017, pp. 2 ss. Negli Stati uniti l’Executive Order del Presidente Trump del 30 gennaio 2017, rubricato “Reducing Regulation and Controlling Regulatory Costs”, ha introdotto il budget regolatorio e la regola “one-in, oneout”, che prevede l’obbligo per le Agenzie di individuare per ogni nuova proposta regolatoria, almeno due norme esistenti da abrogare. Al riguardo si veda F. SARPI, i primi passi della Regulatory Reform firmata trump, in osservatorio sull’analisi di impatto della Regolazione, Rassegna trimestrale, Roma, aprile 2017, pp. 6 ss.; A. RENDA, one Step Forward, two Steps Back? the new u.S. Regulatory Budgeting Rules in light of the international experience, in Journal of Benefit cost analysis, Volume 8, Issue 3, pp. 291-304; S. KATzEN, Benefit-cost analysis Should Promote Rational decisionmaking, in the Regulatory Review, 24 aprile 2018. (9) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, p. 25. (10) L’art. 8, co. 2, della l. n. 180/2011, come sostituito dall’art. 3, co. 1, della l. n. 35/2012, stabilisce che entro il 31 gennaio di ogni anno, le amministrazioni statali provvedono a trasmettere alla RASSEGNA AVVOCATuRA 66 DELLO STATO - N. 2/2018 della relazione complessiva da parte del Dipartimento della Funzione pubblica (31 marzo) (11). Le amministrazioni inadempienti sono state una nel 2015 e tre nel 2014. Si riscontra poi che, in ordine ai contenuti, non tutti i bilanci degli oneri predisposti dalle amministrazioni presentano informazioni complete, riferite cioè alla stima degli oneri di tutti i provvedimenti adottati nell’anno, con la conseguenza che i saldi di bilancio risultano talvolta parziali e, quindi, potenzialmente fuorvianti. In particolare nel 2016 su otto amministrazioni che hanno presentato un bilancio degli oneri introdotti ed eliminati, tre di esse hanno proceduto alla stima degli oneri solo di alcuni dei provvedimenti adottati (12). Allo scopo di far fronte a queste carenze nell’applicazione dello Statuto delle imprese, il Dipartimento della funzione pubblica ha previsto, già a partire dal 2014, dopo cioè solo un anno dall’entrata in funzione del bilancio degli oneri, una nota di aggiornamento alla relazione del bilancio per consentire alle amministrazioni di completare l’attività di stima e valutazione degli oneri. Tuttavia persistono ancora significative inadempienze, posto che una amministrazione centrale nel 2016 e nel 2015 e due nel 2014 non sono state in grado di predisporre la propria relazione di bilancio neppure entro “i tempi supplementari”, la cui scadenza è stata individuata nel 31 maggio di ogni anno (13). Parimenti la circostanza che solo in pochi casi le segnalazioni formulate dalle associazioni di imprese e cittadini consultate dal Dipartimento della funzione pubblica ai fini della redazione della relazione complessiva sul bilancio degli oneri (14) abbiano avuto un effettivo seguito, testimonia la scarsa atten- Presidenza del Consiglio dei Ministri una relazione sul bilancio complessivo degli oneri amministrativi a carico di cittadini e imprese, introdotti o eliminati per effetto degli atti normativi adottati nell’anno precedente e oggetto di valutazione nelle relative analisi di impatto della regolamentazione. (11) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Relazione complessiva contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti ed eliminati. anno 2016 (art. 8, comma 2 bis, legge 11 novembre 2011, n. 180), Roma, 2017, p. 13. (12) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Relazione complessiva contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti ed eliminati. anno 2016 (art. 8, comma 2 bis, legge 11 novembre 2011, n. 180), nota di aggiornamento al 31 maggio 2017, Roma, 2017, p. 6. (13) Inoltre si rileva che negli anni 2014, 2015 e 2016 quattro amministrazioni hanno dichiarato di non avere né introdotto né eliminato oneri. Nel complesso i bilanci degli oneri presentano un risultato negativo nel senso che mostrano la prevalenza degli oneri eliminati su quelli introdotti. La consistenza degli oneri appare poi assai eterogenea, variando dai 753 milioni di euro di oneri eliminati per i cittadini dal Ministero della salute con le semplificazioni delle prescrizioni dei medicinali per il trattamento di patologie croniche ad opera dell’art. 26 del d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni nella l. n. 114/2014, ai 3.500 milioni di oneri introdotti dal Ministero della difesa nel 2015 per effetto del D.M. 11 maggio 2015, n. 82, recante la definizione dei criteri per l’accertamento dell’idoneità delle imprese ai fini dell’iscrizione all’albo delle imprese specializzate in bonifiche da ordigni esplosivi residuati bellici. Sul punto si veda S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 25. CONVEGNO 67 zione rivolta dalle amministrazioni statali all’attività di misurazione degli oneri. un’ulteriore specificazione della MOA è costituita dalla previsione recata dall’art. 7 della l. n. 180/2011, che sancisce l’obbligo per le amministrazioni di pubblicare gli elenchi degli oneri introdotti ed eliminati (15) e che mira ad assicurare a cittadini e imprese la conoscibilità degli effetti dell’adozione dei singoli provvedimenti in termini di oneri introdotti ed eliminati (16). In quest’ottica la trasparenza è quindi funzionale alla semplificazione (17). In particolare si prevede che i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché i provvedimenti amministrativi a carattere generale adottati dalle amministrazioni dello Stato al fine di regolare l’esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l’accesso ai servizi pubblici ovvero la concessione dei benefici, devono recare in allegato l’elenco di tutti gli oneri informativi gravanti su cittadini e imprese introdotti o eliminati. Inoltre all’art. 7 si dispone che i suindicati atti, che devono essere corredati dell’elenco degli oneri amministrativi introdotti ed eliminati, anche se pubblicati in Gazzetta ufficiale, sono pubblicati sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione secondo i criteri e le modalità definiti con apposito regolamento da emanare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della l. n. 180/2011, cioè dal 15 novembre 2011. La pubblicazione degli elenchi degli oneri, nella forma prevista dal D.P.C.M. n. 252/2012, è effettuata contestualmente all’adozione dei provvedimenti adottati dalle amministrazioni statali in modo tutt’altro che sistematico (18): nel 2016 i provvedimenti che hanno introdotto, modificato o eliminato (14) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 24. (15) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 23, in cui si osserva che con la previsione dell’obbligo per le amministrazioni di pubblicazione degli elenchi degli oneri introdotti ed eliminati, l’Italia si è allineata alle migliori pratiche internazionali in tema di better regulation, affiancando all’attività di misurazione degli oneri svolta sulla regolazione esistente il controllo degli adempimenti di nuova introduzione che necessitano di essere attentamente monitorati, poichè rischiano di mettere a repentaglio il mantenimento dei risultati raggiunti mediante gli interventi di semplificazione già realizzati. (16) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 23. (17) La trasparenza sui procedimenti amministrativi costituisce di per sé uno strumento di riduzione degli oneri, nella misura in cui concorre ad abbattere una specifica attività, quella della “comprensione degli adempimenti”, che rappresenta una componente degli oneri informativi gravanti su cittadini e imprese e che si riferisce al tempo speso dall’impresa o ai costi sostenuti per il ricorso ad intermediari per comprendere quale è la disciplina in vigore, quali sono le fasi della procedura da avviare e quali sono gli obblighi informativi da rispettare. Al riguardo si veda FORMEz, linee guida per la misurazione di tempi e oneri nelle amministrazioni regionali, Roma, 2011, p. 28. (18) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di riduzione e trasparenza degli adempimenti amministrativi a carico di cittadini e imprese. Anno 2015, Roma, 2016, p. 4. RASSEGNA AVVOCATuRA 68 DELLO STATO - N. 2/2018 oneri, per i quali sono stati pubblicati i relativi elenchi, ammontano a circa uno su quattro (14 su 58) (19). In particolare si registra un peggioramento rispetto agli anni precedenti, in cui i provvedimenti corredati dell’elenco degli oneri erano oltre la metà del totale, rispettivamente 39 su 70 nel 2015 e 40 su 70 nel 2014. Emerge la tendenza delle amministrazioni ad assolvere alle prescrizioni dettate dall’art. 7 dello Statuto delle imprese in termini scolastici secondo la logica del mero adempimento (20). Ciò è dimostrato dal fatto che gli elenchi degli oneri, ove pubblicati, si riferiscono, salvo rare eccezioni, a singoli provvedimenti. Al contrario, alcuni dei provvedimenti, spesso adottati nello stesso anno solare, sono connessi tra loro in relazione agli oneri che introducono o eliminano: un esempio tipico è quello di un decreto ministeriale che prevede oneri a carico di cittadini e imprese introdotti o eliminati disciplinati da un successivo provvedimento cui espressamente rinvia (un decreto direttoriale, una circolare). L’analisi svolta dal Dipartimento della Funzione pubblica ha evidenziato la presenza di 17 casi su 138 provvedimenti censiti nel 2015, e di 15 casi su 126 censiti nel 2016, di due o più provvedimenti correlati tra loro che intervengono ad introdurre e a eliminare oneri. Lo Statuto delle imprese stabilisce che la pubblicazione degli elenchi degli oneri introdotti ed eliminati avvenga contemporaneamente alla pubblicazione dei provvedimenti sulla Gazzetta ufficiale. Tuttavia alcuni provvedimenti sono pubblicati dalle amministrazioni sulla Gazzetta ufficiale solo per “comunicato”, circostanza, quest’ultima, che potrebbe essere strumentalizzata per eludere l’adempimento della pubblicazione degli elenchi degli oneri (21). Invero si attesta che al comunicato sulla Gazzetta ufficiale fa seguito la pubblicazione del provvedimento sul sito istituzionale dell’amministrazione, corredato però dell’elenco degli oneri solo nel 50% dei casi nel 2014 (per 2 provvedimenti su 4) e nel 2015 (per 9 provvedimenti su 18). un miglioramento si registra nel 2016, anno in cui su 6 provvedimenti pubblicati in Gazzetta ufficiale per comunicato, 5 sono stati pubblicati sul sito web dell’amministrazione corredati dell’elenco degli oneri (22). (19) Nella Relazione del Dipartimento della funzione pubblica sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di riduzione e trasparenza degli adempimenti amministrativi a carico di cittadini e imprese, per l’anno 2016, a pp. 8-9, si rileva, con riguardo alla pubblicazione degli oneri introdotti e eliminati che “L’attuazione di questo strumento di monitoraggio e trasparenza non ha ancora consentito, a cinque anni dalla sua introduzione, il raggiungimento dell’obiettivo di assicurare la piena conoscibilità dei nuovi oneri per i cittadini e le imprese e non ha prodotto impatti sostanziali in termini di semplificazione degli adempimenti e di riduzione degli oneri informativi per i cittadini e le imprese”. (20) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 26. (21) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 26. (22) In generale non si riscontra la piena conformità delle amministrazioni alla normativa sulla CONVEGNO 69 Il d.lgs. n. 97/2016 ha abrogato l’art. 34 del d.lgs. n. 33/2013, abolendo l’obbligo per le amministrazioni di pubblicazione sui propri siti istituzionali degli elenchi degli oneri introdotti ed eliminati. Dinanzi all’incertezza della legislazione statale, la quale ha ingenerato il dubbio se la misura di semplificazione degli obblighi di trasparenza in materia di oneri che comporta il superamento della pubblicazione degli elenchi sui siti istituzionali delle amministrazioni, introdotta dal d.lgs. n. 97/2016, si estenda o meno all’analoga disposizione dello Statuto delle imprese, si è chiarito che tale modifica normativa non incide sulla disciplina sostanziale la cui fonte rimane l’art. 7 della l. n. 180/2011 (23). Tuttavia, a seguito dell’introduzione della nuova disciplina in materia di trasparenza, le amministrazioni hanno operato scelte diverse. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ritenuto opportuno eliminare dalla sezione “Trasparenza”, la sottosezione “Oneri per cittadini e imprese”; il Ministero dell’Economia e delle Finanze (24) ha mantenuto la sottosezione ma ha continuato ad aggiornare solo la parte dello scadenzario degli oneri. Altre amministrazioni hanno scelto di conservare la sottosezione ma non di aggiornarla, rendendo nota l’abolizione dell’obbligo della pubblicazione degli elenchi per effetto dell’abrogazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 33/2013 ad opera del d.lgs. n. 97/2016 (25). Solo il Ministero dello Sviluppo economico ha continuato a dare conto degli effetti in termini di oneri della propria attività di regolazione su cittadini e imprese, trasformando la sottosezione “Oneri per cittadini e imprese” nella sottosezione denominata “Oneri introdotti ed eliminati” (26), che riporta gli elenchi degli oneri associati ai nuovi provvedimenti normativi, distinti per anno e per unità organizzativa che li adotta. L’abbandono da parte delle amministrazioni della pratica della pubblicazione sui propri siti istituzionali dell’elenco degli oneri introdotti ed eliminati mostra il ridotto interesse delle stesse rispetto al tema dell’accountability degli oneri (27). pubblicazione degli elenchi degli oneri introdotti ed eliminati, contenuta nella l. n. 180/2011: nel 2015 per meno di 1 provvedimento su 4 (23%) è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale l’elenco degli oneri introdotti ed eliminati, mentre per quasi 2 provvedimenti su 2 (59%) sono stati pubblicati i suddetti elenchi sul sito web dell’amministrazione. I casi di elenchi degli oneri introdotti ed eliminati pubblicati sia in Gazzetta ufficiale che sul sito istituzionale dell’amministrazione sono pari al 18%. Nel 2016 solo per 1 provvedimento su 7 (14%) sono stati pubblicati gli elenchi degli oneri in Gazzetta ufficiale. (23) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, Relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di riduzione e trasparenza degli adempimenti amministrativi a carico di cittadini e imprese, Anno 2016, Roma, 2017, p. 8. (24) La medesima condotta è stata seguita dal Ministero dell’interno, dal Ministero della difesa, dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. (25) Ministero delle politiche agricole e forestali, Ministero della salute, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero della giustizia, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. (26) La sottosezione è inserita nell’area “Trasparenza” ma è collocata all’interno della sezione “Atri contenuti. Dati ulteriori”. RASSEGNA AVVOCATuRA 70 DELLO STATO - N. 2/2018 La MOA ha prodotto in Italia risultati significativi ma al di sotto delle aspettative elevate di cittadini e imprese, che avevano ravvisato in essa uno strumento per la “riduzione della burocrazia”, a causa del ridotto livello di compliance delle amministrazioni alla l. n. 180/2011, dovuto anche alla scarsa percezione da parte delle stesse dell’utilità di tale strumento di better regulation (28). La MOA, originariamente concepita come istituto di semplificazione, ha prodotto a sua volta una “burocrazia della misurazione degli oneri” (29), poiché le attività di valutazione e monitoraggio in cui essa si sostanzia richiedono per essere presidiate uffici dedicati appositamente a tali funzioni, relazioni annuali da presentare e programmi da definire (30). Inoltre emergono alcune criticità della MOA. In primo luogo si registra una notevole complessità e una conseguente difficoltà nell’attività di misurazione degli oneri. Gli oneri di cui si intende dare una rappresentazione quantitativa devono essere calcolati sia in termini di stock che di flusso, sia in relazione ai singoli provvedimenti che al complesso di quelli che disciplinano uno specifico settore di intervento di politica pubblica (31). Inoltre sussiste il problema riguardante la determinazione dell’equivalente monetario (32). Invero la misurazione degli oneri richiede il ricorso ad un mix di tecniche e metodologie diverse, da individuare in relazione alla differente natura degli stessi oneri, che possono assumere la forma della “perdita di tempo” da valorizzare in termini monetari delle ore/lavoro dei dipendenti dell’impresa o dei consulenti, ai quali quest’ultima si trova costretta a ricorrere per rispondere concretamente alle richieste della Pubblica Amministrazione (33). (27) Gli elenchi degli oneri introdotti ed eliminati e il bilancio degli oneri perseguono in astratto l’obiettivo di obbligare le amministrazioni a rendere conto degli oneri derivanti dai provvedimenti adottati, responsabilizzandole e dissuadendole dall’imporre oneri eccessivi o sproporzionati. Sul punto si veda S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 23. (28) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 27. (29) L’assenza di un chiaro commitment politico ha portato le amministrazioni statali a considerare le disposizioni dello Statuto delle imprese sul bilancio degli oneri e sulla pubblicazione degli oneri introdotti ed eliminati un inutile appesantimento procedurale. Al riguardo si veda MONDO PA, il fallimento delle norme sulla valutazione degli oneri amministrativi, in http://www.mondopa.it/news.aspx?news=288; A. ChERChI, Se le semplificazioni rimangono una bandiera, in il Sole 24 0re, 1° settembre 2014. (30) A. ChERChI, Se le semplificazioni rimangono una bandiera, cit. (31) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 28. (32) Sulla questione relativa alla determinazione dell’equivalente monetario nell’ambito della misurazione degli oneri si veda C.R. SuNSTEIN, Simpler: the Future of Government, Simon and Schuster, New York, 2013, traduzione italiana, Semplice. l’arte del governo nel terzo millennio, Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 215 ss. (33) La quantificazione dei costi dei singoli adempimenti è stata agevolata grazie all’adozione con il D.P.C.M. del 25 gennaio 2013 di un tariffario, che prevede fattori di conversione del tempo speso per adempiere all’obbligo informativo in costo monetario. Permane la difficoltà nella stima della popo CONVEGNO 71 In secondo luogo l’ambito di applicazione del bilancio degli oneri introdotto in Italia è limitato, dato che attualmente sono esclusi dallo stesso gli obblighi di natura fiscale, ossia quelli che consistono nel versamento di somme di denaro a titolo di imposte di varia natura e gli obblighi che discendono dall’adeguamento di comportamenti, di processi produttivi o di prodotti, quali ad esempio quelli concernenti l’adozione di misure di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Come rilevato dalle associazioni imprenditoriali e dalle associazioni dei consumatori, l’esclusione dal bilancio degli oneri dei provvedimenti in materia di fisco inficia pesantemente la significatività dello strumento, poiché rende invisibile una delle principali fonti di oneri per le imprese e i cittadini (34). Con riferimento al bilancio degli oneri, si è quindi osservato criticamente che esso si configura come un bilancio “a metà” (35). Pertanto si evidenzia la necessità di estendere l’ambito oggettivo di applicazione del bilancio degli oneri ai provvedimenti in materia di fisco. In terzo luogo non appare sufficiente un unico presidio della misurazione e della valutazione degli oneri amministrativi collocato presso gli uffici legislativi dei Ministeri, né l’ampliamento e il potenziamento delle sole competenze del personale di questi uffici, in ragione della varietà dei provvedimenti che introducono ed eliminano oneri, adottati ai vari livelli organizzativi. Ciò si giustifica in ragione del fatto che per gestire la misurazione degli oneri amministrativi sono necessarie competenze ulteriori e diverse rispetto a quelle strettamente giuridiche, che risultano ancora prevalenti (36). In definitiva occorre rilanciare la MOA attraverso la semplificazione dell’attività di misurazione, l’ampliamento della rilevanza informativa, il rafforzamento delle competenze e della capacità amministrativa (37). L’attività della misurazione degli oneri deve essere “significativa” e “selettiva”, in modo da rendere i contenuti informativi prodotti rilevanti per i cittadini e le imprese ma anche per le stesse amministrazioni. In questo senso si può prevedere l’esclusione dal bilancio degli oneri degli adempimenti a “basso impatto”, fissando soglie minime per la popolazione a cui gli oneri amministrativi si riferiscono e per i relativi costi unitari, al di sotto delle quali non oclazione di riferimento, cioè del numero di cittadini e di imprese interessati dall’introduzione o dall’eliminazione degli oneri. Sul punto si veda S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 24. (34) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 31. (35) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 22. (36) SS. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., pp. 30-31. (37) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., pp. 29-32. RASSEGNA AVVOCATuRA 72 DELLO STATO - N. 2/2018 correrebbe procedere nella stima degli oneri (38). Potrebbero poi essere esclusi dal bilancio gli oneri derivanti da adempimenti facoltativi finalizzati a ottenere benefici, come quelli riferiti a domande di sussidi e contributi (39). Inoltre si sottolinea la necessità di estendere l’ambito soggettivo di applicazione del bilancio degli oneri, oltre alle amministrazioni centrali che adottano provvedimenti, anche ad amministrazioni diverse, che spesso hanno il compito di specificare in provvedimenti attuativi gli oneri introdotti ed eliminati. Sotto questo profilo appare paradigmatico l’esempio del Codice degli appalti di cui al d.lgs. n. 50/2016 che, ai fini della sua attuazione, rimanda alle Linee Guida dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) (40). Allo scopo di accrescere la portata informativa del bilancio degli oneri, è necessario altresì evidenziare, in sede di recepimento delle direttive comunitarie, l’introduzione da parte del legislatore nazionale di oneri e adempimenti ulteriori rispetto a quelli previsti dal regolatore comunitario (c.d. “gold plating”) (41). Occorre poi proiettare l’attività di misurazione degli oneri in una prospettiva pluriennale in modo da consentire una visione retrospettiva che è indispensabile per verificare “il cumulo degli adempimenti” ed evitare il rischio che i provvedimenti attuativi di norme rilevanti in termini di oneri introdotti ed eliminati “sfuggano” al bilancio (42). Inoltre alcune azioni di miglioramento della misurazione degli oneri amministrativi possono essere promosse dal Dipartimento della funzione pubblica in sede di attuazione del Programma Operativo Nazionale (PON) “Governance e capacità istituzionale 2014-2020”, che prevede il rafforzamento delle risorse destinate dalle amministrazioni alla semplificazione delle procedure e alla riduzione degli oneri amministrativi. Al fine di conseguire l’obiettivo specifico della riduzione degli oneri regolatori, il Dipartimento della funzione pubblica ha progettato e realizzato sia interventi di affiancamento alle amministrazioni tesi ad aumentare la capacità, ai diversi livelli di governo, di elaborare e attuare proposte di semplificazione e monitorane gli effetti, sia iniziative volte ad accrescere le conoscenze e le competenze dei singoli, mediante la promozione di “reti di semplificatori” e “centri di competenza” (43). (38) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 30. (39) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 30. (40) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 31. (41) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 32. (42) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 32. (43) S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 31. CONVEGNO 73 Nell’ottica di elevare il grado di compliance delle amministrazioni allo Statuto delle imprese, appare poi opportuno ripensare il sistema sanzionatorio predisposto per garantire l’osservanza delle disposizioni in materia di misurazione degli oneri. In particolare sarebbe consigliabile prevedere l’applicazione di sanzioni reputazionali per le amministrazioni che adempiono agli obblighi di misurazione degli oneri amministrativi solo parzialmente o in modo eminentemente formale, nonché stabilire per i pubblici dipendenti che l’assolvimento dei suddetti adempimenti sia oggetto di misurazione della performance e, quindi, di valutazione (44). Emerge poi l’esigenza di coordinare la MOA, il bilancio degli oneri e l’elenco degli oneri introdotti ed eliminati, con gli altri strumenti di better regulation (45) e, in particolare, con l’AIR (46). Come rilevato dal Consiglio di Stato nel parere Numero Affare 807/2017, il nuovo regolamento AIR, recato dal D.P.C.M. n. 169/2017 (47), pur menzionando nel Preambolo la l. n. 180/2011, si rivela carente nella misura in cui non enfatizza, in una dimensione applicativa, il meccanismo compensativo previsto dal bilancio degli oneri in sede di analisi di impatto della regolamentazione. 3. l’aiRc. un altro strumento utile per valutare gli effetti economici della regolazione è costituito dall’Analisi di Impatto della Regolazione sulla Concorrenza (AIRC), che può essere definita come quella sezione dell’AIR finalizzata a definire gli effetti prodotti da una certa regolamentazione sul livello di concorrenza in un certo settore o mercato da essa regolato (48). Rispetto all’AIR, però, l’AIRC richiede un’analisi più approfondita, dato (44) S. S. ANGELETTI, I. GRELLA, la contabilità degli oneri amministrativi nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 31. (45) S. SALVI, la misurazione e la riduzione degli oneri regolatori: verso un allineamento alle migliori pratiche europee, in Giornale di diritto amministrativo, 2012, n. 7, pp. 696-701. (46) Ai sensi dell’art. 14, co. 1 e 2, della l. n. 246/2005, l’Air consiste nella valutazione ex ante degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sull’attività dei cittadini e delle imprese, nonché sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazioni di opzioni alternative, e costituisce un supporto alla decisione dell’organo politico di vertice dell’amministrazione in ordine all’opportunità dell’adozione della proposta normativa. (47) Consiglio di Stato, Numero Affare 00807/2017. Oggetto: Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi - Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante “Disciplina sull’analisi di impatto della regolamentazione, la verifica dell’impatto della regolamentazione e la consultazione”, Roma, 2017, 39-40. Nel summenzionato parere, a pag. 9, il Consiglio di Stato ha sottolineato la necessità di valorizzare il regulatory budget, che costituisce “un meccanismo utilissimo per il controllo sugli oneri regolatori, informativi e amministrativi”. Già nel parere n. 515 del 2016, il Consiglio di Stato aveva riconosciuto il ruolo del bilancio degli oneri quali strumento idoneo ad accrescere la qualità della normazione. (48) G. MAzzANTINI, l’analisi di impatto della regolazione sulla concorrenza, in F. CACCIATORE e F. DIMASCIO (a cura di), osservatorio air, l’analisi di impatto e gli altri strumenti per la qualità della regolazione, Annuario 2015, ed. 2016, p. 83. RASSEGNA AVVOCATuRA 74 DELLO STATO - N. 2/2018 che non si limita a verificare che la misura proposta sia giustificata, in quanto nel complesso i benefici superano i costi, ma è volta anche ad accertare quale sia il livello di restrizione ottimale della concorrenza ai fini del conseguimento dell’obiettivo politico prefissato. In altri termini, l’AIRC ha la funzione di selezionare, tra le molteplici opzioni regolatorie, quella caratterizzata dalla minore intrusività sui naturali meccanismi di libero mercato, attribuendo uno specifico rilievo all’impatto sulla dinamica competitiva (49). L’AIRC è uno strumento di better regulation ex ante che consente al regolatore di limitare le restrizioni alla concorrenza. In particolare devono essere eliminate le restrizioni inconsapevoli, cioè le restrizioni introdotte involontariamente dal regolatore senza che ne sussista un’effettiva necessità, e le restrizioni consapevoli introdotte per tutelare la rendita e la posizione di gruppi di interesse costituiti e incumbent. In sostanza bisogna limitare le restrizioni concorrenziali a quelle effettivamente necessarie, cioè alle restrizioni introdotte volutamente per tutelare interessi generali, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario (50). La considerazione riservata nell’AIRC agli effetti della regolazione sulla concorrenza si fonda sulla convinzione che l’economia di mercato, basata sulla libera concorrenza, permetta di raggiungere il più ampio benessere collettivo possibile, tanto che, laddove la concorrenza debba essere sacrificata, “si è venuto rafforzando [..] il dovere delle autorità pubbliche di giustificare l’adozione e il mantenimento di misure di regolazione dei mercati aventi contenuti ed effetti generali” (51). L’attenzione sull’AIRC è stata posta dall’Ocse e dalla Commissione europea nell’ambito della loro attività di promozione e diffusione dei principi di better regulation. Nel 2011 l’Ocse ha elaborato un Manuale per la valutazione dell’impatto concorrenziale della regolazione che individua una metodologia generale utile, da un lato, ad identificare le restrizioni eccessivamente intrusive e non giustificate e, dall’altro, a sviluppare politiche economiche alternative meno restrittive, ma ugualmente efficaci rispetto agli obiettivi perseguiti dai policy makers (52). Nel 2015 la Commissione europea ha elaborato le Better Regulation Guidelines che, all’interno della procedura di AIR, prevedono uno specifico focus sulla stima degli effetti prodotti dalle regolamentazioni sulla concorrenza (53). Con riguardo all’introduzione dell’AIRC in Italia va rilevato che l’art. 6, (49) Sul punto sia consentito rinviare a M. GIAChETTI FANTINI, la regolazione proconcorrenziale come nuovo paradigma della disciplina pubblica dell’economia, in Scritti in onore di claudio Rossano, jovene, Napoli, 2013, p. 2124. (50) G. MAzzANTINI, l’analisi di impatto della regolazione sulla concorrenza, cit., pp. 84-85. (51) M. D’ALBERTI, Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 99. (52) Il suddetto Manuale si compone di due volumi: il primo contenente i principi di valutazione dell’impatto concorrenziale, il secondo contenente le linee guida per la valutazione dell’impatto concorrenziale. Al riguardo si veda OCSE, competition assessment toolkit, Parigi, OECD Publishing, 2011, Vol. I e II. CONVEGNO 75 co. 2, della l. n. 180/2011, nel modificare l’art. 14 della l. n. 246/2005, ha aggiunto un periodo al primo comma della suddetta disposizione, in cui si prevede esplicitamente che “nell’individuazione e comparazione delle opzioni le amministrazioni competenti tengono conto della necessità di assicurare il corretto funzionamento concorrenziale del mercato e la tutela della libertà individuali”. Inoltre è stato inserito il comma 5-bis, a tenore del quale “la relazione Air [..] dà conto, tra l’altro, in apposite sezioni, della valutazione dell’impatto sulle piccole e medie imprese e degli oneri informativi e dei relativi costi amministrativi, introdotti o eliminati a carico di cittadini e imprese” (54). Il contenuto delle suindicate disposizioni è stato sostanzialmente riprodotto nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 gennaio 2013 che, in sede di aggiornamento del modello di AIR, ha specificato che le opzioni regolatorie alternative a quella proposta dall’Amministrazione devono “assicurare il corretto funzionamento concorrenziale del mercato e la tutela delle libertà individuali”, mentre all’opzione prescelta deve essere dedicata un’intera sezione che valuti l’incidenza sul corretto funzionamento concorrenziale del mercato e sulla competitività del Paese. Come specificato nell’allegato A della direttiva, “la sezione dà conto della coerenza e compatibilità dell’opzione prescelta con il corretto funzionamento concorrenziale dei mercati, anche utilizzando delle apposite liste di controllo analitico (check lists) volte e prevenire possibili distorsioni della concorrenza derivanti dall’intervento di regolazione. Tali liste devono consentire di rispondere in modo puntuale alle seguenti domande: - la norma/regolazione limita il numero o la tipologia dei fornitori di un determinato bene o servizio (restrizioni all’accesso)? - la norma/regolazione riduce le possibilità competitive dei fornitori (restrizioni dell’attività)? - la norma/regolazione riduce gli incentivi dei fornitori a competere (restrizioni delle possibilità competitive)? L’art. 8 del nuovo regolamento AIR, recato dal D.P.C.M. n. 169/2017 che (53) Commissione europea, Staff Working Document, Better regulation Guidelines, 19 maggio 2015, SWD (2015) 111 final, Strasbourg. (54) L’introduzione della valutazione preventiva degli oneri amministrativi in sede di analisi di impatto della regolamentazione, prevista dall’art. 14 della l. n. 246/2005 come modificato dall’art. 6 della l. n. 180/2011, è rimasta sostanzialmente lettera morta. La qualità tendenzialmente bassa della relazione di Air condiziona la relazione sul bilancio degli oneri, dal momento che l’analisi di impatto della regolamentazione rappresenta la base di partenza per la misurazione degli oneri amministrativi. Al riguardo si veda Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Relazione complessiva contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti ed eliminati. anno 2015 (art. 8, comma 2 bis, legge 11 novembre 2011, n. 180), Roma, 2016, p. 14; Consiglio di Stato, Numero Affare 00807/2017. Oggetto: Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi - Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante “disciplina sull’analisi di impatto della regolamentazione, la verifica dell’impatto della regolamentazione e la consultazione”, Roma, 2017, p. 9. RASSEGNA AVVOCATuRA 76 DELLO STATO - N. 2/2018 ha abrogato il D.P.C.M. n. 170/2008, prevede, al co. 2, lett. f), che una delle fasi in cui si articola l’AIR è “la comparazione delle opzioni attuabili, valutandone e, ove possibile, quantificandone i principali impatti di natura sociale, economica, ambientale e territoriale”. Inoltre si dispone che “la valutazione tiene conto degli effetti sulle PMI, degli oneri amministrativi, degli effetti sulla concorrenza e del rispetto dei livelli minimi di regolazione europea”. L’art. 7 del nuovo regolamento AIR prevede che il DAGL possa autorizzare l’esenzione dall’AIR in relazione al ridotto impatto dell’intervento in presenza di condizioni, congiuntamente considerate ma individualmente motivate, consistenti, tra le altre, nella limitata incidenza sugli assetti concorrenziali del mercato (lett. d). In proposito va rilevato che è stata accolta l’osservazione espressa nel parere n. 807 del 7 giugno 2017 dal Consiglio di Stato, ad avviso del quale, a rigor di logica, il primo periodo del comma 1 dell’art. 7 del nuovo regolamento AIR, ponendo quale presupposto della richiesta di esenzione dall’AIR il “ridotto impatto dell’intervento”, rende superflua la previsione di cui al comma 2 dello stesso articolo, che esclude l’esenzione per iniziative normative con un “significativo impatto concorrenziale”. In Italia si assiste ad un’“esternalizzazione” dell’AIRC da parte dei regolatori che affidano per competenza questo specifico tipo di analisi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’Antitrust è chiamata dunque a svolgere un ruolo di consulente esterno delle amministrazioni pubbliche sul tema dell’analisi di impatto della regolamentazione sulla concorrenza (55). L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha pubblicato nel 2007 le linee guida sull’AIRC. Esse sono contenute in un documento che riporta un caso di studio basato sulla collaborazione con la Regione Toscana che, nel 2006, ha sottoposto ad AIRC, con la consulenza dell’Antitrust, un disegno di legge regionale che avrebbe dovuto regolamentare la possibilità per i veterinari di allestire presso i propri studi medici i c.d. “pet corner”, vale a dire degli spazi riservati alla vendita al pubblico di beni inerenti la salute degli animali. Tuttavia tali linee guida risultano datate e necessiterebbero di un aggiornamento. Comunque alla luce dell’esperienza realizzata in collaborazione con la Regione Toscana, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha elaborato alcune raccomandazioni intese ad assicurare ai policy makers una maggiore fruibilità dell’AIRC. La prima raccomandazione consiste nell’applicare l’AIRC, non alla proposta normativa nella sua interezza, bensì ai singoli capi in cui essa si articola, i quali possono presentare criticità diverse sotto il profilo concorrenziale. La seconda raccomandazione attiene allo svolgimento del- (55) G. MAzzANTINI, l’analisi di impatto della regolazione sulla concorrenza, in F. CACCIATORE e F. DIMASCIO (a cura di), osservatorio air, l’analisi di impatto e gli altri strumenti per la qualità della regolazione, cit., p. 86. CONVEGNO 77 l’AIRC nella fase di individuazione dei capi di legge, ed alla conseguente identificazione in tale stadio di avanzamento della proposta normativa del momento più opportuno ai fini dell’effettuazione della valutazione di impatto concorrenziale. La terza raccomandazione riguarda la previsione di un monitoraggio ex post sui risultati dell’AIRC, cioè di una valutazione delle ricadute delle modifiche normative introdotte sul sistema economico, intesa a perfezionare l’expertise acquisito in vista di future applicazioni di tale strumento a nuovi provvedimenti (56). Inoltre è necessario rilevare che l’art. 21 bis della l. n. 287/1990, come introdotto dall’art. 35 del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni nella l. n. 214/2011, attribuisce un nuovo potere all’Autorità garante della concorrenza e del mercato legittimandola ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi pubblica amministrazione che siano in contrasto con le norme a tutela della concorrenza e del mercato. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette entro sessanta giorni un parere motivato nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura di Stato, ricorso al giudice amministrativo entro i successivi trenta giorni (57). (56) In proposito sia consentito rinviare a M. GIAChETTI FANTINI, la regolazione proconcorrenziale come nuovo paradigma della disciplina pubblica dell’economia, cit., pp. 2140-2141. (57) Il riconoscimento all’Antitrust di un’eccezionale legittimazione a ricorrere dinanzi agli organi della giustizia amministrativa si inquadra nell’ottica di una potenziale «oggettivizzazione» del processo amministrativo volta ad assicurare una più intensa forma di tutela dell’interesse generale della libera concorrenza, in cui si consolida il ruolo del giudice amministrativo come «giudice naturale dell’interesse pubblico dell’economia», ovvero come «giudice regolatore del mercato». Cfr. A. ARGENTATI, concorrenza e liberalizzazioni, in Rivista trimestrale di diritto dell’economia, 2012, n. 1, pp. 13 ss.; R. CIFARELLI, verso un nuovo protagonismo delle autorità indipendenti?, 2012, su www.amministrazioneincammino.luiss.it, pp. 1 ss.; F. CINTIOLI, osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in Federalismi.it, 2012, n. 12, su www.federalismi.it, pp. 1 ss.; M. CLARICh, i nuovi poteri affidati all’antitrust, in Quaderni costituzionali, 2012, pp. 117-118; A. hEIMLER, l’autorità garante della concorrenza e del mercato e i decreti del Governo monti, in mercato concorrenza regole, 2012, n. 2, pp. 367 ss.; M. LIBERTINI, i nuovi poteri della autorità antitrust, in Federalismi.it, 2011, n. 24, su www.federalismi.it, pp. 1 ss.; G. NAPOLITANO, la rinascita della regolazione per autorità indipendenti, in Giornale di diritto amministrativo, 2012, n. 3, pp. 229 ss.; R. POLITI, Ricadute processuali a fronte dell’esercizio dei nuovi poteri rimessi all’agcm ex art. 21-bis della legge 287/1990, in Federalismit.it, 2012, n. 12, su www.federalismi.it, pp. 1 ss.; P. QuINTO, un pubblico ministero nel processo amministrativo, 2011, su www.giustamm.it, pp. 1 ss.; ID., l’art. 35 del decreto monti e il codice del processo amministrativo, 2011, su www.giustizia-amministrativa.it, p. 2; Id., le imprese protagoniste nel processo amministrativo, 2012, su www.giustizia-amministrativa.it, p. 1; M.A. SANDuLLI, il processo davanti al giudice amministrativo nelle novità legislative della fine del 2011, in Federalismi.it, 2012, n. 4, su www.federalismi.it, p. 4; Id., introduzione a un dibattito sul nuovo potere dei legittimazione al ricorso dell’aGcm nell’art. 21 bis l. n. 287 del 1990, su Federalismi.it, 2012, n. 12, su www.federalismi.it, p. 1 ss. RASSEGNA AVVOCATuRA 78 DELLO STATO - N. 2/2018 Si tratta di un particolare caso di difesa in giudizio da parte dell’Avvocatura dello Stato di un’Autorità amministrativa indipendente, quale è l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in sede di impugnazione di atti potenzialmente distorsivi della concorrenza adottati da una pubblica amministrazione. Nella prassi la valutazione degli effetti economici delle norme appare ancora deficitaria (58). Come si evince dalla Relazione sullo stato di attuazione dell’AIR per l’anno 2015, fra i limiti che ancora si riscontrano nelle relazioni di AIR si rileva un’eccessiva enfasi sulle motivazioni giuridiche piuttosto che sugli aspetti sostanziali (socio-economici) che giustificano l’intervento, accompagnata da una debole attenzione agli impatti dell’intervento pubblico, anche solo in termini di quantificazione dei destinatari diretti e indiretti. Nella relazione sullo stato di attuazione dell’AIR per l’anno 2016, si evidenziano difficoltà nell’analisi degli effetti concorrenziali e carenze nella valutazione degli oneri amministrativi introdotti o eliminati e in ordine agli impatti degli interventi normativi sulle piccole medie imprese. 4. il contributo dell’analisi economica del diritto per la valutazione del contenzioso pubblico. L’analisi economica del diritto può offrire un valido contributo per la valutazione del contenzioso pubblico. È opportuno premettere che l’analisi economica del diritto “richiede [..] di avvicinarsi al problema giuridico con la mentalità e gli strumenti dell’economista, offrendo in cambio un promettente bagaglio di opportunità ricognitive” (59). L’analisi economica del diritto mira a individuare la regola più efficiente (60), cioè quella in grado di perseguire un determinato obiettivo socialmente rilevante a costi più bassi, sia per l’individuo che per la collettività (61). L’analisi economica del diritto si caratterizza per il tentativo di descrivere il sistema legale come un insieme di vincoli ed incentivi miranti a orientare il comportamento di individui “razionali” (62), ovvero interessati alla massimiz- (58) G. MAzzANTINI, l’analisi di impatto della regolazione sulla concorrenza, in F. CACCIATORE e F. DIMASCIO (a cura di), osservatorio air, l’analisi di impatto e gli altri strumenti per la qualità della regolazione, cit., p. 99. (59) R. PARDOLESI, voce analisi economica del diritto, in dig. disc. Priv., sez. civile, Vol. I, Torino, 1987, pp. 309 ss. (60) F. DENOzzA, le norme efficienti: l’analisi economica delle regole giuridiche, Milano, Giuffrè, 2002; G. NAPOLITANO, M. ABRESCIA, analisi economica del diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 2009. (61) G. CALABRESI, il futuro dell’analisi economica del diritto, in Soc. dir., nn. 1-2, 1990, pp. 47 ss.; R. COOTER, V. MATTEI, R. PARDOLESI, T. uLEN, P.G. MONATORI, il mercato delle regole. analisi economica del diritto civile, Il Mulino, Bologna, 2006; G. NAPOLITANO, analisi economica del diritto pubblico, in dizionario di diritto pubblico, I, diretto da S. CASSESE, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 299 ss. (62) La cost-benefit analisys presuppone un comportamento razionale dei destinatari e, dunque, l’assenza di errori cognitivi (biases), a differenza dell’economia comportamentale, che considera componenti psicologiche e irrazionali alla base dell’agire degli individui e che rappresenta uno sviluppo CONVEGNO 79 zazione della propria utilità e, quindi, attenti a ponderare costi e benefici derivanti dalle proprie azioni (63). Nell’ambito dell’analisi economica del diritto un criterio di valutazione che riveste un’importanza centrale, sebbene non esclusiva, è l’efficienza, intesa comunemente come massimizzazione della somma dei benefici ricevuti, al netto dei costi sostenuti, da tutte le parti coinvolte. Altra dimensione rilevante è quella dell’equità, intesa come “equità distributiva”, che pone attenzione a come i costi e i benefici sono ripartiti tra gli individui in relazione alle caratteristiche che ne definiscono la condizione socio-economica, quali ad esempio la ricchezza e il reddito. un intervento normativo difficilmente comporta un vantaggio per tutti i membri di una collettività dato che esso spesso tende a favorire una certa categoria di agenti a scapito di altri (quali ad esempio i conducenti di autoveicoli a scapito dei pedoni, i proprietari di immobili a scapito degli inquilini). Pertanto nell’analisi economica del diritto bisogna considerare il trade off tra efficienza ed equità (64). Con specifico riguardo all’analisi ex ante dell’impatto del contenzioso si pone il problema di valutare i costi e benefici dell’opzione della transazione in luogo di quella dell’azione giudiziaria. La transazione è generalmente vantaggiosa sia dal punto di vista individuale che dal punto di vista sociale, poichè essa consente di risparmiare sulle spese legali e di funzionamento dell’apparato giudiziario. Tuttavia il ricorso sistematico alla transazione, con effetto “deflattivo” della litigiosità, potrebbe determinare una riduzione della capacità deterrente dei comportamenti dannosi che costituisce il principale beneficio del sistema giudiziario (65). Il fallimento di un processo di negoziazione anche in presenza di un mutuo vantaggio è poi riconducibile dall’analisi economica del diritto alla presenza di un’informazione asimmetrica tra le parti (ad esempio riguardante i mezzi di prova di cui è possesso la controparte, ma anche la sua disponibilità ad affrontare il rischio del processo e i costi che esso comporta, nonché concernente l’urgenza di chiudere la vertenza) (66). L’analisi economica del diritto si fonda sulla valutazione della funzionalità economica e della giustificazione razionale delle norme (67). Si aderisce ad un approccio “funzionalistica” nello studio dei problemi giuridici che, seevolutivo dell’analisi preventiva dell’impatto, quale strumento di supporto ai regolatori. Sul punto si veda M. DE BENEDETTO, M. MARTELLI, N. RANGONE, la qualità delle regole, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 190-197. (63) M. D’ANTONI, l’analisi economica del contenzioso civile, in Politica del diritto, 2005, n. 2, p. 327. (64) M. D’ANTONI, l’analisi economica del contenzioso civile, cit., p. 327. (65) M. D’ANTONI, l’analisi economica del contenzioso civile, cit., p. 336. (66) M. D’ANTONI, l’analisi economica del contenzioso civile, cit., pp. 338-339. (67) D. MONE, Qualità normativa tra tecnocrazia ed effettività della democrazia rappresentativa, jovene, Napoli, 2010, p. 204. RASSEGNA AVVOCATuRA 80 DELLO STATO - N. 2/2018 condo l’insegnamento di Bobbio (68), considera lo scopo che viene perseguito e raggiunto dall’ordinamento giuridico e la congruenza della norma con una funzione. L’analisi economica del diritto ha finalità conoscitive, volte alla spiegazione dei fenomeni giuridici, finalità normative, di elaborazione di soluzioni giuridiche migliori (69), finalità predittive, di previsione degli effetti delle regole giuridiche (70). L’analisi economica dell’attività normativa non può prescindere dal previo esame del contenzioso pubblico, il quale, da una parte, rappresenta ex ante un importante canale di informazione per introdurre regole correttive degli aspetti patologici emersi nell’applicazione giurisprudenziale; dall’altra, un essenziale elemento di verifica ex post della validità stessa della scelta operata dal legislatore, nell’interesse dell’economia nazionale, del mercato e per la tutela del cittadino e del consumatore (71). Se la norma non è correttamente formulata oppure è irragionevole poichè non è stata effettuata dal legislatore un’adeguata ponderazione degli interessi, se la Pubblica Amministrazione ha commesso errori nell’interpretarla, ciò non può non emergere dall’analisi delle azioni giudiziarie proposte. Inoltre il ricorso alla tutela giudiziaria può essere anche sintomatico di esigenze e bisogni a cui il legislatore non ha voluto o potuto dare risposta e che l’operato della Pubblica Amministrazione non ha saputo soddisfare (72). Sono poi difetti legati all’oscurità delle leggi anche il conferimento di posizioni giuridiche scarsamente giustiziabili, poichè l’equivocità degli atti normativi favorisce decisioni facilmente riformabili nei successivi gradi di giudizio (73). La verifica sulla correttezza della formulazione normativa non va effet- (68) N. BOBBIO, l’analisi funzionale del diritto: tendenze e problemi, in IDEM (a cura di), dalla struttura alla funzione. nuovi studi di teoria del diritto, Edizioni di Comunità, Milano, 1977 . (69) R. COOTER, le migliori leggi giuste: i valori fondamentali dell’analisi economica del diritto, in G. ALPA, P. ChIASSONI, A. PERICu, F. PuLITINI, S. RODOTà, F. ROMANI, (a cura di), analisi economica del diritto privato, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 464 ss. (70) L’analisi economica del diritto non ha per oggetto solo la norma già adottata o in fieri, ma anche gli effetti degli atti normativi. La valutazione prospettica degli effetti di una determinata regola giuridica costituisce proprio la motivazione in base alla quale si è avvertito il bisogno di utilizzare strumenti economici per lo studio del diritto. Sul punto si veda P. ChIASSONI, R. Posner: pragmatismo e analisi economica del diritto, in G. zANETTI (a cura di), Filosofi del diritto contemporanei, Raffaello Cortina, Milano, 1999, pp. 87 ss. (71) In proposito si veda il Convegno “l’analisi economica del contenzioso pubblico….la statistica vince la crisi?”, svoltosi il 15 gennaio 2004 presso l’Avvocatura dello Stato, organizzato da AGEIE (Associazione Giuristi Economisti d’Impresa Europei), d’intesa con Co.VALORI (Comitato interassociativo per la Valorizzazione di Professionalità, Etica e Qualità) ed insieme a ACCADEMIA EuROPEA. (72) M. BAChETTI, Rapporto tra gestione del contenzioso e tecnica legislativa nei parametri dell’analisi economica, in www.covalori.net. (73) M. BAChETTI, Rapporto tra gestione del contenzioso e tecnica legislativa nei parametri dell’analisi economica, cit. CONVEGNO 81 tuata in astratto ma in concreto attraverso l’esame dell’attività contenziosa. Infatti solo nell’applicazione pratica si può testare la bontà del dettato normativo, impiegando, quindi, un procedimento induttivo che dai singoli casi risale alla correttezza della formulazione della fattispecie. L’analisi del contenzioso risulta funzionale all’adozione di modifiche di norme preesistenti ai fini della scelta della formulazione normativa più adeguata; se, invece, si tratta di adottare normative che non si innestino su un contesto già esistente, il contenzioso costituisce uno strumento di analisi importante per gli elementi conoscitivi che esso è in grado di fornire con riguardo a fattispecie analoghe. In sostanza l’esame del contenzioso può essere una fonte di dati utili per la scelta in ordine all’intervento normativo da attuare, per decidere cioè se innovare il quadro normativo con una nuova disciplina, o incidere in via interpretativa con circolari od atti interni dell’Amministrazione (74). I dati che emergono dall’esame delle controversie giudiziarie devono essere esaminati ed elaborati. L’analisi delle esigenze economiche e sociali nonché delle esigenze delle pubbliche amministrazioni sono effettuate con le tecniche di rilevazione sociologiche (focus group, panel, indagini campionarie); la visione del contenzioso pubblico nella sua globalità secondo la prospettazione del giurista potrebbe costituire in un’ottica interdisciplinare un elemento di integrazione e di confronto con altre professionalità che, a loro volta, potrebbero utilizzare le informazioni sulle controversie della Pubblica Amministrazione per operare una rivalutazione alla luce della loro specifica metodologia professionale (75). Va poi rilevato che un’applicazione particolare dell’analisi economica ai fini della stima dell’impatto del contenzioso pubblico consiste nella valutazione del rendimento dell’amministrazione del sistema giudiziario, attraverso specifici indicatori relativi alla durata dei procedimenti, alla prevedibilità delle decisioni e alla produttività del personale (quali il tasso di ricambio, la durata media dei procedimenti, i tassi di impugnazione e di riforma, la produttività media dei magistrati). Inoltre si segnala che è stato pubblicato sul sito web della Giustizia amministrativa un Report sull’Analisi di impatto del contenzioso amministrativo in materia di appalti (76), la quale è finalizzata a verificare quale sia l’impatto delle decisioni giurisdizionali sulle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, in modo da poter comprendere se i processi produttivi pubblici risentano di eccezionali fattori di blocco o, piuttosto, di un fisiologico momento (74) M. BAChETTI, Rapporto tra gestione del contenzioso e tecnica legislativa nei parametri dell’analisi economica, cit. (75) M. BAChETTI, Rapporto tra gestione del contenzioso e tecnica legislativa nei parametri dell’analisi economica, cit. (76) Il suddetto Rapporto è stato redatto a cura dell’ufficio Stampa e Comunicazione e dell’ufficio Studi, Massimario e Formazione del Consiglio di Stato. RASSEGNA AVVOCATuRA 82 DELLO STATO - N. 2/2018 di controllo e correzione. In particolare si è rilevato che le percentuali di “blocco” effettivamente determinate da una pronuncia del giudice amministrativo appaiono compatibili con il margine fisiologico di errore delle amministrazioni, qualora si consideri che si tratta di procedure complesse con numerosi partecipanti (77). 5. la rilevanza degli strumenti di qualità normativa, quali la moa, l’aiRc e l’analisi economica del contenzioso pubblico, nell’ambito dell’attività dell’avvocatura dello Stato. Strumenti di qualità normativa, quali la MOA, l’AIRC e l’analisi economica del contenzioso pubblico, possono assumere rilevanza nell’ambito dell’attività dell’Avvocatura dello Stato. In primo luogo si può ipotizzare un’interlocuzione tra l’Avvocatura dello Stato e le amministrazioni statali (ad esempio Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell’economia e delle finanze) in ordine ai profili anticoncorrenziali degli atti normativi e all’esigenza di riduzione degli oneri amministrativi dagli stessi introdotti, in sede di esercizio della funzione consultiva dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 13 del R.D. n. 1611/1933. Tale disposizione stabilisce che l’Avvocatura dello Stato “provvede alle consultazioni legali richieste dalle amministrazioni e [..] a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi: esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle amministrazioni, quando ne sia richiesta; predispone transazioni d’accordo con le amministrazioni interessate; esprime pareri sugli atti redatti dalle amministrazioni; prepara contratti, suggerisce provvedimenti intorno a reclami e questioni sorte amministrativamente che possono dar luogo a litigi”. Condizione di efficacia di tale attività è la tempestività della consultazione che è stata regolamentata con particolare riguardo all’adozione dei pareri di massima. Peraltro, sempre più spesso, la funzione consultiva dell’Avvocatura dello Stato è svolta in via breve, soprattutto qualora sia richiesta in via d’urgenza, attraverso il contatto diretto dell’avvocato incaricato con il funzionario dell’amministrazione interessata. In secondo luogo giova evidenziare che l’art. 19, co. 5, del d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni nella l. n. 114/2014, configura in capo al singolo Avvocato dello Stato l’obbligo di inviare all’Autorità nazionale anticorruzione “notizie e segnalazioni” in ordine a “violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie e irregolarità”, di cui questo venga a conoscenza, nell’esercizio delle proprie funzioni, con riferimento ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. (77) In proposito si veda il documento disponibile sul sito https://www.giustiziaamministrativa. it/cdsintra/wcm/idc/.../nsiga_4581622.docx. CONVEGNO 83 La suindicata norma si riferisce tanto all’attività svolta in sede di “tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato” (funzioni contenziose), quanto a quella esercitata nelle “consultazioni legali richieste dalle amministrazioni” (funzioni consultive). Il riferimento alle anomalie ed alle irregolarità presente nella richiamata disposizione deve essere letta come un’endiadi, a fianco della violazione di legge o di regolamento, allo scopo di ampliare l’ambito di rilevanza della patologia del provvedimento in oggetto. È opportuno chiarire che il fenomeno dell’irregolarità del procedimento o del provvedimento amministrativo non è estraneo all’ordinamento giuridico, dato che generalmente con tale termine si definiscono le ipotesi di violazione delle disposizioni che regolano la corretta redazione degli atti amministrativi; l’atto amministrativo irregolare non è però di norma né annullabile, né inefficace, ma può solo determinare, in alcune ipotesi, l’irrogazione di sanzioni a carico dell’autore dell’atto stesso. Nella comune accezione per anomalia si intende la “irregolarità, difformità dalla regola generale, o da una struttura, da un tipo che si considera normale”. Dunque anomalia significa difformità da ciò che si ritiene normale, abnormità, atipicità, deviazione, eccezione, particolarità, singolarità. Appare verosimile che il legislatore abbia inteso inserire nell’art. 19, co. 5, del d.l. n. 90/2014 le categorie dell’“irregolarità e dell’anomalia”, accanto a quella più grave della “violazione di disposizioni di legge o di regolamento”, come una sorta di clausola di chiusura che possa contemplare tutte le ipotesi, anche atipiche, in cui sia dato ravvisare, nella materia dei contratti pubblici, un significativo scostamento rispetto al corretto agire pubblico, che potrebbe costituire il sintomo di una condotta rilevante in chiave di anticorruzione. Tra le irregolarità e le anomalie che l’Avvocatura dello Stato è tenuta a segnalare all’Anac potrebbero rientrare anche i profili concernenti le restrizioni anticoncorrenziali o gli oneri amministrativi eccessivi introdotti dall’atto normativo, tali da richiedere la valutazione dell’impatto concorrenziale dello stesso e la misurazione degli oneri gravanti su cittadini e imprese. In terzo luogo occorre ricordare che, sensi dell’art. 15 della l. n. 103/1979, l’Avvocato Generale ha il compito di riferire periodicamente al Presidente del Consiglio dei Ministri sull’attività svolta dall’Avvocatura dello Stato, mediante la presentazione di apposite relazioni, e di segnalare le eventuali carenze legislative e i problemi interpretativi che emergono nel corso dell’attività dell’Istituto. La suindicata disposizione rappresenta la base giuridica su cui potrebbe fondarsi l’obbligo di redigere una relazione sullo stato del contezioso, a cui peraltro sarebbe preposto il costituendo Osservatorio sulla qualità normativa dell’Avvocatura dello Stato. Fin dalla sua istituzione l’Avvocatura ha pubblicato annualmente le rela RASSEGNA AVVOCATuRA 84 DELLO STATO - N. 2/2018 zioni sulla propria attività, le quali hanno carattere prevalentemente statistico e contengono notizie sui principali giudizi in corso. Inoltre l’Avvocatura pubblica, con carattere di pubblicazione di servizio, ma diffusa oltre che presso le amministrazioni anche fra i cultori di diritto pubblico, una rassegna mensile nella quale sono esaminati i problemi giuridici, che più direttamente interessano la difesa dello Stato, e si forniscono informazioni sulle più importanti pronunce giurisprudenziali. Tale pubblicazione costituisce un importante strumento per assicurare l’unità di indirizzo delle varie Avvocature e far conoscere il punto di vista dell’Istituto sulle questioni giuridiche in cui esso è coinvolto (78). Indicativa della crescente rilevanza che sta assumendo la qualità normativa nell’ambito dell’attività dell’Avvocatura dello Stato è poi la proficua partecipazione della stessa agli Osservatori sul processo civile, da cui spesso hanno origine orientamenti di prassi e significative iniziative normative adottate per realizzare un miglior funzionamento del processo (ad esempio, in tema di mediazione e negoziazione assistita). Inoltre si segnala la partecipazione dell’Avvocatura dello Stato al “Gruppo di lavoro sulla chiarezza e la sinteticità degli atti processuali”, istituito dal Ministro della Giustizia, che svolge attività tese non solamente a contribuire ad una semplificazione degli atti del processo, ma a promuovere la qualità formale (drafting) degli stessi. 6. l’utilizzo degli strumenti di qualità normativa in chiave di rafforzamento della vocazione tecnico-professionale e della funzione giustiziale dell’avvocatura dello Stato. L’impiego da parte dell’Avvocatura dello Stato di strumenti di qualità normativa, quali la MOA, l’AIRC e l’analisi economica del contenzioso pubblico, può rafforzare la sua vocazione tecnico-professionale e la sua funzione giustiziale. L’Avvocatura dello Stato esercita una funzione che non è né amministrativa né di giustizia, ma “giustiziale”, di raccordo cioè tra le due suesposte attività, dovendo, da un lato, in sede di consulenza, indirizzare l’azione pubblica istituzionale verso l’osservanza della legalità e, dall’altra, in sede giudiziaria, sostenere le ragioni di legalità dell’operato amministrativo a tutela degli interessi pubblici generali coinvolti nel giudizio (79). L’Avvocatura opera formalmente non a tutela dello Stato-amministrazione ma dello Stato-ordinamento. Invero essa, nei contenziosi in cui è chiamata ad intervenire, non si pone come mera "controparte", che esercita la difesa giudi- (78) G. BELLI, avvocatura dello Stato (Voce), in enciclopedia del diritto, IV, Giuffrè, Milano, pp. 678-679. (79) G. MANzARI, avvocatura dello Stato (Voce), in digesto delle discipline Pubblicistiche, 1987, II, utet Giuridica, Torino, p. 113. CONVEGNO 85 ziaria a favore dell’interesse parziale della singola amministrazione, ma agisce come “parte rappresentativa della collettività e dei suoi interessi” (80). La Carta costituzionale non contempla l’Avvocatura dello Stato tra gli organi ausiliari del Governo nel Titolo III, Parte I, agli artt. 99 e 100. Ciononostante, dopo l’entrata in vigore della Carta costituzionale repubblicana, si è andata via via realizzando l’attrazione dell’Avvocatura dello Stato nella costituzione materiale. Pur nel silenzio della Carta del 1948, l’Avvocatura dello Stato occupa quindi un posizione ben delineata nella costituzione materiale della Repubblica con riferimento alla molteplicità e alla natura dei soggetti ausiliati, così come delle funzioni ad essa commesse ed alle modalità istituzionali di assolvimento di tali attività, essendo deputata ad esercitare, accanto alla contingente funzione di assistenza del soggetto pubblico, un’immanente funzione di giustizia nel sistema unitario e indivisibile dello Stato-ordinamento (81). L’evoluzione del sistema giuridico-costituzionale ha portato l’Avvocatura dello Stato a svolgere da un’elementare funzione di mediazione tra amministrazione e giurisdizione ad un compito di attiva presenza in tutti i campi in cui si verifica il confronto tra enti dotati di potestà pubbliche o in cui si presenta comunque una necessità di tutela legale del pubblico interesse (82). L’Avvocatura dello Stato può dunque qualificarsi come “Avvocato pubblico istituzionale”, preposto - a guisa di cerniera allo snodo giuridico dei rapporti tra i diversi poteri e tra le pluralistiche articolazioni dello Stato - alla tutela della legalità in sede giudiziaria e consultiva, allo scopo di concorrere alla salvaguardia dell’unitarietà e integrità dello Stato-ordinamento e del suo assetto costituzionale (83). 7. osservazioni conclusive. La MOA, l’AIRC e l’analisi economica del contenzioso pubblico segnano il passaggio dalla “regulatory reform”, che è finalizzata al miglioramento della qualità della regolazione, al “regulatory management”, che ha come obiettivo il governo complessivo dei processi regolativi (84). La MOA e l’AIRC favoriscono la competitività internazionale, nella misura in cui contrastano la crescita ipertrofica degli adempimenti burocratici e dei carichi regolativi che costituiscono uno dei fattori rilevanti della crisi di competitività dei sistemi economici. (80) G. MANzARI, avvocatura dello Stato (Voce), cit., p. 114. (81) G. MANzARI, avvocatura dello Stato (Voce), cit., p. 114. (82) G. MANzARI, avvocatura dello Stato (Voce), cit., p. 114. (83) G. MANzARI, avvocatura dello Stato (Voce), cit., p. 114. (84) Cfr. R. GONENC, M. MAhER, G. NICOLETTI, the implementation and the effects of Regulatory Reform: past experience and current issues, in oecd economics department Working Papers, n. 24, 2000. RASSEGNA AVVOCATuRA 86 DELLO STATO - N. 2/2018 Inoltre la MOA e l’AIRC si rivelano strumenti idonei al contenimento della spesa pubblica, considerato che l’impiego degli stessi da parte dei policy makers dimostra come l’aumento della spesa pubblica, dovuto all’ampliamento delle prestazioni di servizi da parte dello Stato sociale, abbia richiesto l’applicazione di criteri di razionalizzazione economico-finanziaria agli interventi normativi, imponendo la verifica dell’efficienza delle regole giuridiche attraverso l’analisi costi-benefici. La MOA, l’AIRC e la consultazione degli interessati costituiscono principi di better regulation intesi a scongiurare un contenzioso inutile tra imprese e pubbliche amministrazioni. La significatività di tali istituti emerge alla luce dello scenario delineato dai rapporti internazionali sul sistema della giustizia italiana. Il Rapporto della Banca Mondiale “Doing Business” del 2016 colloca l’Italia in posizione drammaticamente negativa per il contenzioso economico (oltre il 100% della media dei Paesi Ocse ad alto reddito). Il Rapporto del Fondo Monetario Internazionale “judicial System Reform in Italy” del 2014 analizza i caratteri del sistema giudiziale del nostro Paese con esclusione della giustizia amministrativa, rilevando che, malgrado taluni progressi, l’inefficienza del sistema giudiziario italiano ha contribuito a ridurre gli investimenti, a rallentare la crescita e a creare un ambiente difficile per le imprese. Il Rapporto annuale dell’Ocse “What makes civil justice effective?” sottolinea le varie disfunzioni del sistema italiano di garanzie giurisdizionali e il loro impatto negativo sui risultati economici del Paese. In particolare il Rapporto dell’Ocse si concentra sui seguenti aspetti: la durata dei processi e la conseguente influenza sull’incremento dei costi legali (omettendo però di considerare i costi di entrata dei processi, cioè i c.d. “costi di giustizia”); le risorse pubbliche di bilancio destinate alla giustizia; l’efficienza della gestione giudiziaria da parte dei Presidenti delle Corti e la diffusione delle best practices amministrative; le tariffe professionali. L’Ocse manifesta un chiaro indirizzo a favore del miglioramento della gestione amministrativa degli uffici giudiziari, che rappresenta una condizione essenziale, al pari delle riforme processuali, per una buona giustizia (85). Nel Rapporto della Commissione europea sui risultati della giustizia nell’uE - che esamina anche la giustizia amministrativa oggetto di scarsa attenzione nei rapporti internazionali - si indaga sulla qualità dei sistemi di giustizia attraverso una serie originale di indicatori: informazioni sull’accesso alla giurisdizione; comunicazioni elettroniche; relazioni tra corti e media; gratuito patrocinio. (85) M.P. ChITI, l’efficienza in un sistema di tutele multilivello nazionale, europeo e internazionale, in Giustizia amministrativa ed economia. efficienza del sistema e soddisfazione dei cittadini. Profili di diritto interno e comparato, a cura dell’ufficio Studi della Giustizia Amministrativa, Gruppo Sole 24 Ore, 2017, p. 53. CONVEGNO 87 Il suesposto quadro denota l’esigenza di adottare un diverso approccio culturale, nel senso che da un atteggiamento ancorato a logiche strettamente giuridiche bisogna passare ad un approccio di tipo economico-manageriale. Occorre realizzare una “programmazione” delle risorse umane e finanziarie destinate alla giustizia, in funzione del raggiungimento di determinati obiettivi, nella consapevolezza che il buon funzionamento del sistema giurisdizionale rappresenta una componente fondamentale del buon funzionamento del mercato (86). Con specifico riguardo all’Avvocatura dello Stato, è necessario attuare un’effettiva politica del contenzioso con conseguente eliminazione dei fattori di distorsione, consistenti nella gestione degli affari legali fondata sulla memoria storica degli avvocati e nella non adeguata circolazione di informazioni fra gli avvocati e fra l’Avvocatura dello Stato e l’Amministrazione. Come rilevato nella circolare n. 37/2017 dell’Avvocatura generale dello Stato, gli obiettivi di contenimento della spesa e di digitalizzazione degli atti sono enunciati nel Piano della Performance della struttura amministrativa dell’Istituto per gli anni 2017-2019. Si è realizzata la modernizzazione della piattaforma tecnologica dell’Avvocatura dello Stato, con il duplice obiettivo, da un lato, di migliorare e accelerare la gestione dei servizi interni e, dall’altro, di “aprire l’Istituto all’esterno”, attraverso la consultabilità delle sue banche dati da parte delle pubbliche amministrazioni (87). L’iter di dematerializzazione della carta e l’ausilio dell’informatica costituiscono passaggi essenziali della strategia volta a consentire la gestione dell’ingente volume del contenzioso mediante la riduzione dei tempi e dei costi dei processi di lavoro (88). Peraltro il raggiungimento dell’obiettivo della completa digitalizzazione delle procedure può essere agevolato dalla costituzione della c.d. “Intermagistratura Telematica”, un importante tavolo congiunto di tutte le magistrature (civile, amministrativa, tributaria e contabile) e dell’Avvocatura dello Stato deputato all’analisi e alla risoluzione di problemi comuni in materia informatica. (86) E. FERRARI, Garanzia e regolazione dei mercati di fronte al sindacato dei giudici, in E. FERRARI, M. RAMAjOLI, M. SICA (a cura di), il ruolo del giudice di fronte alle decisioni amministrative per il funzionamento dei mercati, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 341 ss.; G. NAPOLITANO, il grande contenzioso economico nella codificazione del processo amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, n. 6, p. 678. (87) Discorso di insediamento dell’Avvocato Generale Ignazio Francesco Caramazza, Roma, 14 ottobre 2010, disponibile su http://www.avvocaturastato.it/node/847. (88) Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Michele Giuseppe Dipace in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2014, Roma, 24 gennaio 2014, disponibile su http://www.avvocaturastato.it/node/847. RASSEGNA AVVOCATuRA 88 DELLO STATO - N. 2/2018 Analisi statistica del contenzioso: alcune regole per una qualità del dato prodotto Andrea Mazzitelli* 1. la qualità della produzione statistica dei dati giuridici. La tendenza a misurare la dimensione economica di fenomeni giuridicosociali non sempre genera stime e valutazioni statisticamente affidabili. Non sempre, infatti, si osserva un adeguato rigore metodologico. Il problema della validità scientifica di talune stime è legato non solo ad una mancanza di dati o al difficile reperimento degli stessi uniti alla tempestività con cui vengono pubblicati dalle fonti ufficiali, ma anche al fatto che spesso tali documenti riflettono l’orientamento e il sentiment degli autori e di conseguenza i risultati prodotti risultano parziali e incompleti (1). Oltre alle difficoltà di reperimento dei dati ufficiali esistono problemi di aggregazione e interpretazione dei risultati. La misurazione economica di tali fenomeni richiede, inizialmente, il superamento di ostacoli di natura concettuale e definitoria e, successivamente, la scelta, non banale, tra il limitarsi a fornire una misura di natura analitica, rappresentata da un sistema di indicatori semplici, oppure costruire una misura sintetica che, mediante un’opportuna funzione di aggregazione sia capace di raccogliere i molteplici aspetti del fenomeno oggetto di studio. D’altra parte, si deve sottolineare che ciascun dato da solo non è in grado di fornire tutta l’informazione necessaria né tale informazione è possibile desumerla da un’unica fonte per quanto ufficiale e attendibile. Per una migliore comprensione dei fenomeni socio-economici è utile armonizzare coerentemente le diverse fonti ufficiali: le singole informazioni contenute in ciascuna fonte devono rispettare un quadro di coerenza metodologica e non possono risultare contradditorie per costruzione (zuliani, 2006). 1.1 le fonti. Le fonti di dati possono essere raggruppate in due grandi categorie:. 1. le statistiche economiche e sociali ufficiali; 2. i dati sistematici e non prodotti da altri soggetti. I dati prodotti dalle istituzioni della Statistica ufficiale rispondono a requisiti di qualità concordati a livello internazionale, sono adatti a descrivere fenomeni a livello macro, sono caratterizzati da un grado elevato di accessibilità e cercano di rispondere all’esigenza di tempestività e accuratezza (necessitano di revisione). (*) Ricercatore di Statistica Economica presso “università Mercatorum”. (1) Cfr. MARBACh G. (2001) introduzione, in KOOP G. (2000) logica statistica e territorio: un’analisi ragionata dei dati socio-economici, trad. it. a cura di zELLI R., uTET, Torino. CONVEGNO 89 Al contrario, i dati prodotti da altri soggetti non ufficiali non sono in generale sottoposti a procedure di validazione, sono prodotti occasionalmente ed hanno un tasso di evoluzione elevato. Il riconoscimento della qualità nonché la reputazione del soggetto produttore di dati è affidata esclusivamente agli utilizzatori. In altri termini, la credibilità dell’informazione si riferisce alla fiducia che gli utilizzatori ripongono nel soggetto che l’ha prodotta (Giovannini, 2006, pag. 190). Seguendo tale approccio si può comprendere quanto una definizione di qualità della produzione statistica sia articolata e complessa e costituisca una sfida ben più complessa di quella derivata dalla semplice produzione di dati accurati. Tale sfida investe l’intera filiera produttiva del prodotto statistico, a partire dalla sua progettazione, passando per la sua realizzazione e diffusione (Giovannini, 2006, pag. 191). Diversamente, a causa dell’enorme mole di dati che oggi è possibile avere a disposizione grazie anche alla presenza di numerosi strumenti elettronici di diffusione, l’informazione finale che giunge agli utenti finali (agenti economici) è distorta, ovvero caratterizzata da asimmetria informativa. È necessario, quindi, saper “trasformare” bene un dato statistico, sia esso di natura economica, giuridica o sociale, in “conoscenza”. 1.2 Requisiti essenziali. Oltre alla pertinenza, attendibilità e tempestività, i requisiti richiesti per la qualità dei dati riguardano l’accessibilità, vale a dire la facilità con cui l’informazione può essere individuata ed utilizzata dall’utente finale e l’interpretabilità che riflette la facilità con cui l’utente può comprendere le caratteristiche fondamentali del dato rilevato e quindi valutarne l’utilità in relazione ai propri fini conoscitivi. La completezza, infine, consiste nella capacità dei vari processi di integrarsi per fornire un quadro informativo soddisfacente del dominio di interesse. Spesso legato al concetto di dati mancanti e, in termini dinamici, al cambiamento e aggiornamento dei dati, il criterio della completezza afferma che, per domini con dati disponibili, le offerte statistiche devono riflettere i bisogni e le priorità espresse dagli utenti. Pertanto, si deve avere una copertura sufficiente sia in termini di fenomeni rilevati, che di disponibilità di dati nel tempo e nello spazio. Ne consegue che l’informazione anche se proveniente da fonti attendibili e ufficiali deve essere sempre armonizzata e standardizzata al fine da comporre una “filiera” logica e razionale della conoscenza da mettere a disposizione dell’utente finale (2). (2) Per maggiori dettagli sull’argomento si rimanda a FORTINI M. (2000) linee guida metodologiche per le rilevazioni statistiche, Istat, Roma. RASSEGNA AVVOCATuRA 90 DELLO STATO - N. 2/2018 2. informazione giuridica e contenzioso. In tale contesto, appare urgente la necessità di costruire un archivio informatico delle sentenze ancor prima di effettuare analisi di impatto che rischiano di risultare distorte se non vengono rispettati i requisiti di accuratezza, puntualità, tempestività del dato prodotto su cui tali analisi si basano. Nel comprendere a fondo il fenomeno del contenzioso e i suoi riflessi in campo economico e sociale come freno allo sviluppo del Paese è evidente che si avverte la mancanza di un’analisi sistematica del problema che non permette di valutare la qualità e la significatività dei risultati prodotti. In breve, l’analisi del contenzioso e il giudizio si basa più sulla memoria del giudice e sulla sua sensibilità piuttosto che su criteri più oggettivi, quali la storicità del dato e la sua dimensionalità ricavabili solo se esistesse un archivio informatico che non solo armonizza e standardizza l’informazione ufficiale ma che viene altresì utilizzato da soggetti pubblici autorizzati nell’ambito dell’azione amministrativa. La complessità dell’operazione risiede quindi nel produrre informazione robusta, capace di armonizzare e integrare diverse fonti ufficiali. La differenza tra informazione ufficiale e ufficiosa è di fondamentale importanza: molti dati giuridici ad esempio non sono liberamente accessibili sul web, in quanto raccolti in banche dati accessibili solo a pagamento. In tal caso non consultando accuratamente le fonti, si rischia di effettuare una ricerca sul web non impostando correttamente i parametri di ricerca, con una conseguente inevitabile incertezza sull’affidabilità dei risultati ottenuti, in quanto non sempre sono noti caratteristiche e confini dei documenti consultati on line. Tuttavia, uno dei problemi irrisolti dei sistemi elettronici di documentazione giuridica è la quasi totale assenza di interoperabilità tra le diverse banche dati che non comunicano tra loro, a causa dei diversi sistemi di concettualizzazione e classificazione dell’informazione, spesso disallineata a livello temporale tra i medesimi database. Di conseguenza i risultati ottenuti con i medesimi criteri di ricerca cambiano radicalmente in base alla diversa configurazione informatica dei metadati prodotti. È allora necessario armonizzare e standardizzare i diversi archivi digitali, incrociando e confrontando le informazioni, in modo tale che la consapevolezza critica di un giudice, che non deve mai mancare nel momento interpretativo e applicativo del diritto, sia supportata da una completezza dei dati e da un criterio di valutazione più oggettivo. 3. l’analisi delle sentenze e l’incertezza delle regole. Il tema del contenzioso sui contratti pubblici, anche a causa della grave recessione economico-finanziaria che ha investito l’Italia a partire dal 2008, è di estrema attualità sia perché da un lato vi è una certa difficoltà dell’ammini CONVEGNO 91 strazione di assumersi la responsabilità della scelta, sia perché vi è una certa difficoltà del sistema delle imprese ad accettare il principio di concorrenza, dal momento che talvolta esse sembrano utilizzare il processo per sfuggire ad una competizione sul piano economico e produttivo, e mirano ad escludere il concorrente dalla gara (Pajno, 2018). Il documento sulla posizione del Consiglio di Stato dello scorso 28 giugno 2017 nel rapporto tra Consip e le centrali regionali di committenza nel sistema aggregato degli acquisti di beni e servizi (sentenza n. 3162/2017 pronunciata dalla sezione III) evidenzia alcune problematiche irrisolte. Nell’ottica della razionalizzazione della spesa pubblica che interessa soprattutto il servizio sanitario nazionale, la principale criticità che emerge dalla lettura della sentenza è la possibilità per le Regioni di costituire proprie centrali di committenza in parallelo a Consip. D’altra parte, in tema di spending review non sempre è chiaro il problema sul rapporto e, soprattutto, sulla gerarchia tra Consip e le varie centrali regionali di committenza in particolare nell’ambito del settore sanitario. Nello specifico, il Consiglio di Stato ritiene che nell’attuale sistema delle acquisizioni aggregate per beni e servizi (in particolare rivolti al servizio sanitario nazionale) non esiste un rapporto gerarchico che ponga Consip al di sopra delle centrali di committenza regionali che, laddove costituite, hanno un rango parificato a quello della centrale nazionale. Di conseguenza, le centrali regionali possono indire procedure di gara autonome rispetto a Consip, senza alcun obbligo di motivare il proprio operato. In sintesi, non vi è l’obbligo da parte delle Regioni di creare centrali di committenza in favore degli enti del servizio sanitario e di costituire unitamente a Consip un sistema a rete per armonizzare la razionalizzazione della spesa, né vi è l’obbligo da parte della Regione di motivare le ragioni per l’indizione di una autonoma procedura di acquisizione regionale, anche qualora esistessero analoghi iter da parte della Consip. Non si avverte da parte del Consiglio di Stato, la necessità di coordinamento tra iniziative assunte dai predetti soggetti aggregatori sia allo scopo di evitare onerose duplicazioni sia allo scopo di non frustrare l’affidamento dei soggetti che abbiano preso parte a procedure già avviate. Il problema per il Consiglio di Stato è di ordine ontologico e non di modello organizzativo ed economico, vale a dire la questione organizzativa, di accordi e di intese di massima tra i vari attori sembra interessare poco. La posizione del TAR, che aveva dato ragione all’operatore economico ricorrente, e quella del Consiglio di Stato sono diametralmente opposte rispetto alla funzione e al ruolo che deve svolgere la Consip: quali sono i suoi diritti e doveri, quali le sue mansioni, quali i suoi limiti. Si è di fronte a due logiche: la logica economica e la logica del diritto. Generalizzando e non limitando l’analisi solo agli enti del servizio sani RASSEGNA AVVOCATuRA 92 DELLO STATO - N. 2/2018 tario nazionale, diverse amministrazioni non si rivolgono alla Consip né esistono sanzioni per chi aggira le norme, né controlli mirati. Seguendo la logica del Consiglio di Stato si è ben lontani dalla realizzazione di economie di scala con l’istituzione di una Centrale unica per gli acquisti di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione. I contenziosi, inoltre, si traducono in maggiori costi per lo Stato per ritardi e diseconomie di sistema, minore conformità alla disciplina vigente per effetto delle (conseguenti) proroghe tecniche, e servizi meno efficienti per i cittadini. Questo genera incertezza nelle regole creando non poche difficoltà e tensioni tra le imprese: si va da intese anticoncorrenziali a situazioni di sopravvivenza per il sistema delle piccole e medie imprese che vedono avvantaggiate nel ricorso allo “strumento” Consip da parte delle amministrazioni soprattutto le grandi imprese e le multinazionali. Tuttavia, dalla lettura della sentenza sopra richiamata e in generale anche per altre sentenze analoghe, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa non è mai analizzato e approfondito, né è chiaro se la Consip stessa possieda una struttura ad hoc che analizza i dati di spesa stabilendo dei benchmark e lo spread tra i vari beni e servizi da mettere al servizio della Pa. Diversamente, se tale struttura esistesse, potrebbe non essere considerata in fase di giudizio se offrisse alle diverse amministrazioni prodotti a prezzi non competitivi, anche se di qualità, o se i criteri per la determinazione di tali prezzi e per la selezione e valorizzazione delle aziende fossero poco chiari. In tal senso l’opacità della Consip non aiuta il processo della razionalizzazione delle risorse nell’ottica della tanto invocata spending review. Bibliografia FORTINI M. (2000) linee guida metodologiche per le rilevazioni statistiche, Istat, Roma. GIOVANNINI E. (2006) in le statistiche economiche, Il Mulino, Bologna. MARBACh G. (2001) introduzione, in KOOPG. (2000) logica statistica e territorio: un’analisi ragionata dei dati socio-economici, trad. it. a cura di zELLI R., uTET, Torino. zuLIANI A. (2006) in le statistiche economiche (Prefazione), di GIOVANNINI E., Il Mulino, Bologna. PITONI A. (2018) consip, un ricorso ogni tre appalti. contratti bloccati per 2,3 miliardi, intervista al Presidente del Consiglio di Stato, Pajno. la notizia, 31 gennaio. CONVEGNO 93 AIR e vIR: strumenti di implementazione della qualità della normazione Stefano Sbordoni* 1. introduzione. La qualità della produzione di norme e regole rappresenta oggi una questione tra le più nodali all’attenzione delle agende politiche nazionali e della stessa uE. È noto, infatti, che una “cattiva qualità” della normazione, nelle sue diverse accezioni, quando non comporti una vera e propria ipertrofia di sistema, implichi una “complicazione” in luogo della “semplificazione”, ritenuta fattore fondamentale ai fini dello sviluppo sociale e della competitività economica e produttiva. È in questo senso che la nozione di “qualità” della normazione non viene più riferita solo a quella “formale” dei testi normativi, che debbono essere chiari, intellegibili, accessibili, bensì anche a quella “sostanziale”: ad una “qualità” cioè che garantisca un livello qualitativo elevato del rapporto Autorità- cittadini e Autorità-imprese, per il tramite di regole “buone” in quanto il loro contenuto sia conseguente ad una adeguata progettazione in vista del raggiungimento di obiettivi condivisi, in grado perciò di assicurare l’effettività dei diritti e delle libertà fondamentali. È a questo scenario che vanno allora rapportate, oggi, le tematiche della qualità della normazione e della regolazione generalmente intesa, le tematiche di quella che l’uE ha definito better regulation; è in siffatto scenario che vanno ricercati gli strumenti più idonei, a seconda della peculiarità dei singoli sistemi, a favorire scelte razionali attraverso processi decisionali pubblici (ed anche privati) informati, trasparenti e pertanto accountable. È su questo tema che si è avuto modo di confrontarsi nel corso del convegno, tenutosi a Roma in data 24 maggio 2018 presso la sede dell’Avvocatura generale dello Stato, intitolato: “Per un osservatorio del contenzioso come strumento di qualità normativa. contenimento della spesa pubblica e sviluppo economico”. Si è dibattuto circa l’importanza di tale strumento, per la prevenzione delle liti giudiziarie, che insorgono quotidianamente tra cittadini e pubblica amministrazione. Ci si è soffermati sull’importanza di una visione globale del contenzioso, come espediente per la soluzione dei problemi che sono alla radice dell’ordinamento giuridico: - normative poco chiare e comprensibili, che si prestano a molteplici interpretazioni; (*) Sbordoni & Partners Studio Legale. RASSEGNA AVVOCATuRA 94 DELLO STATO - N. 2/2018 - mancanza di considerazione da parte del potere politico di strumenti di partecipazione alla vita politica da parte dei cittadini; - eccessiva durata dei processi, ecc. 2. la qualità della normazione e le istituzioni internazionali. I problemi della qualità della normazione hanno interessato anche il livello internazionale e dell’unione Europea, intervenuti in materia soprattutto attraverso l’adozione di strumenti di soft law (1). Si può riconoscere che la spinta decisiva, che ha suscitato in Italia una rinnovata attenzione per i suddetti problemi, è giunta proprio dall’esterno dei confini nazionali. L’OCSE, in particolare, a partire dalla metà degli anni Novanta, ha sostenuto numerose campagne di promozione della semplificazione normativa in connessione con l’obiettivo di garantire una maggiore stabilità economica (2), sul presupposto dell’esistenza di un nesso imprescindibile sussistente tra il miglioramento della qualità della normazione e il benessere economico della collettività nazionale. Le linee-guida predisposte dall’OCSE hanno offerto, e offrono ancora oggi, numerose indicazioni operative per un’implementazione della qualità della normazione favorendo l’introduzione in Europa di alcuni istituti già esistenti nelle esperienze anglosassoni. In una raccomandazione OCSE del 1995, in particolare, vengono indicati alcuni criteri di buona regolamentazione ispirati ai principi di efficacia, efficienza e trasparenza delle decisioni pubbliche, soffermandosi sulla fattibilità degli interventi normativi, sulla partecipazione nei processi decisionali delle parti interessate, sulla chiarezza e accessibilità dei testi normativi e sull’apprezzamento dei costi/benefici attesi da ciascuna regolamentazione. Nel 1997 è stato presentato il Report “on regulatory reform”, nel quale, tra l’altro, si formulano alcune raccomandazioni per una buona regolamentazione (3). Non sono mancate, da parte dell’OCSE, le verifiche circa il seguito delle sue raccomandazioni nei singoli ordinamenti. Significativo, a tale proposito, che l’OCSE abbia riconosciuto il rilevante progresso realizzatosi negli ultimi (1) T. GALLAS, interventi dell’ocse e della ue sulle procedure da seguire per rendere più efficiente l’attività normativa dei governi degli Stati membri e dell’unione europea, in E. CATELANI - E. ROSSI (a cura di), l’analisi di impatto della regolamentazione (aiR) e l’analisi tecnico normativa (atn) nell’attività normativa del Governo, Giuffré, Milano, 2003, pp. 277 ss. (2) C(95)21 Recommendation of the Council on improving the quality of government regulation, in iter legis, n. 4/1995, pp. 69 ss. (3) Ove si legge che la buona regolamentazione è quella, tra l’altro, che è “necessaria in funzione di obiettivi chiari ed efficace nel perseguirli”, e che presuppone una “solida base giuridica”, produce “benefici che giustificano i costi”, “riduce le distorsioni del mercato”, è “chiara e semplice e pratica per gli utenti”. Nel Report vengono inoltre sollecitati gli Stati a dotarsi dello strumento di analisi di impatto della regolamentazione. CONVEGNO 95 anni in Italia grazie, tra l’altro, all’istituzione di strumenti riguardanti l’analisi dell’impatto della regolamentazione quali l’AIR. Venendo al fronte dell’unione Europea, numerose sono state le iniziative del Consiglio e della Commissione soprattutto in materia predisposizione di regole di tecnica legislativa (4). Nel 1992 il Consiglio europeo ha affermato solennemente la necessità di una legislazione comunitaria più “semplice, chiara e rispondente alla buona prassi legislativa”, mentre nel 1997, si invitavano le istituzioni europee “ad adottare orientamenti per un miglioramento della qualità redazionale della legislazione comunitaria”. Nel 2000 gli Stati membri sono stati invitati a “definire, entro il 2001, una strategia volta, attraverso una nuova azione coordinata, a semplificare l’ambiente regolamentare, compreso il funzionamento dell’amministrazione pubblica, sia a livello nazionale che comunitario”; nella stessa occasione si è segnalata altresì l’esigenza di dare avvio a concrete politiche per la legislazione con particolare riguardo alla necessità di prendere delle contromisure rispetto alla progressiva perdita di posizione, nell’ambito della decisione legislativa, dei Parlamenti rispetto ai Governi. Da tale iniziativa è scaturito un Rapporto per la definizione di un approccio comune in materia di qualità della regolamentazione, presentato nel 2001 (5), che dedica ampio spazio ai sistemi di valutazione preventiva e successiva dei provvedimenti normativi. Sono poi del 2002, le comunicazioni della Commissione europea in tema di “valutazione di impatto normativo” (COM2002, n. 276) e di “semplificazione e miglioramento della legislazione” (COM2002 n. 278). A partire dal 2005 la Commissione ha predisposto periodicamente delle linee guida per l’analisi di impatto (6) e, nel 2006, ha istituito un organismo (Impact Assessment Board), composto di alti funzionari, con il compito di valutare la qualità delle analisi di impatto. Ancora, nel 2007 è stato pubblicato il Rapporto sulla valutazione del sistema delle analisi di impatto, una sorta di resoconto sul metodo seguito negli anni precedenti, mentre nel 2010 la Commissione ha prodotto un nuovo documento, sotto forma di comunicazione, dal titolo “legiferare con intelligenza nell’unione europea”. Da ricordare inoltre che, alla fine del 2014, sotto la Presidenza italiana, il Consiglio dell’unione europea, nella formazione dedicata al rafforzamento della competitività e della crescita (il cosiddetto Consiglio Competitività), ha adottato un documento di conclusioni con il quale i governi dell’unione hanno (4) A. VEDASChI, istituzioni europee e tecnica legislativa, Giuffrè, Milano, 2001. (5) Final Report, presentato al Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001. (6) Impact Assessment Guidelines, parzialmente modificato nel 2009. RASSEGNA AVVOCATuRA 96 DELLO STATO - N. 2/2018 espresso una serie di orientamenti comuni sulle politiche per la qualità della regolazione (7). Infine, nell’aprile del 2016 è stato adottato dai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione il nuovo Accordo inter-istituzionale “legiferare meglio” (8). Il documento ha inteso favorire la cooperazione tra le tre istituzioni durante il processo di produzione e attuazione del diritto dell’unione, osservando i principi della legittimità democratica, della sussidiarietà, della proporzionalità e della certezza del diritto. Le tre istituzioni firmatarie concordano nel promuovere la qualità della normativa dell’unione e la trasparenza del processo legislativo, convenendo sulla necessità di una legislazione “comprensibile e chiara”. 3. i requisiti di una policy credibile di better regulation. Secondo tutte le raccomandazioni internazionali, una buona policy di better regulation, per costituire una strategia credibile, deve avere alcune caratteristiche che prescindono dalla natura giuridica dei singoli Paesi che la attuano: - deve rivestire carattere bipartisan, poiché mira alla qualità delle regole, qualunque sia il loro contenuto politico; - deve, pertanto, essere svolta con continuità, anche nei cambi di maggioranza politica, poiché non consiste in una “one shot policy”, ma in uno sforzo continuo e paziente contro le continue “ricomplicazioni” introdotte dalle burocrazie di settore o dai gruppi di pressione; - deve fondarsi sulla multidisciplinarità: i giuristi, gli economisti, gli statistici, devono lavorare assieme, essendo tutte le loro professionalità necessarie e nessuna, da sola, sufficiente; - deve consistere in una “strategia organica” e collocare in un unico contesto i diversi strumenti di better regulation che sono almeno quattro: a) la semplificazione degli oneri burocratici; b) la codificazione e l’abbattimento dello stock normativo; c) l’AIR, l’analisi ex ante dell’impatto della regolazione, seguita da una verifica ex post (la cd. VIR); d) la consultazione dei destinatari delle regole (imprese, lavoratori, consumatori, etc.). 4. la qualità della normazione in italia: aiR e viR. Nell’ordinamento italiano le principali iniziative istituzionali in tema di (7) Cfr. F. CACCIATORE - S. SALVI (a cura di), l’analisi di impatto e gli altri strumenti per la qualità della regolazione. Annuario 2014, in www.osservatorioair.it, 2016. (8) Cfr. unione europea: il nuovo Accordo interistituzionale “legiferare meglio”, a cura del Servizio studi per la qualità degli atti normativi del Senato della Repubblica, consultabile in www.astridonline. it, 2016. CONVEGNO 97 qualità della normazione si sono prodotte, all’indomani della spinta registratasi in ambito internazionale e dell’unione Europea, essendo ormai risultato evidente lo stretto legame tra qualità della regolazione e crescita economica del Paese. È così che sono nati anche in Italia gli istituti dell’AIR e della VIR (9). La disciplina di rango primario in materia di analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) e di verifica dell'impatto della regolamentazione (VIR) è contenuta principalmente nell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 2461 (la legge di semplificazione 2005) (10), che ha introdotto una normativa a regime dopo la fase di sperimentazione dell'AIR effettuata sulla base dell'articolo 5, comma 1, della legge 8 marzo 1999, n. 50 (11). L'AIR consiste nella valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative. Nella individuazione e comparazione delle opzioni le amministrazioni competenti tengono conto della necessità di assicurare il corretto funzionamento concorrenziale del mercato e la tutela delle libertà individuali. Essa costituisce un supporto alle decisioni dell'organo politico di vertice dell'amministrazione in ordine all'opportunità dell'intervento normativo. È sottoposta all'AIR l'elaborazione degli schemi di atti normativi del Governo, salvo i casi di esclusione previsti dai decreti attuativi e i casi di esenzione autorizzati, su motivata richiesta dell'amministrazione interessata, dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri (DAGL), che in materia di AIR e VIR assicura il coordinamento delle amministrazioni. L'amministrazione competente a presentare l'iniziativa normativa provvede all'AIR e ne comunica i risultati al DAGL. Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della già ricordata legge n. 50 del 1999, le Commissioni parlamentari competenti possono richiedere una relazione contenente l'AIR per schemi di atti normativi e progetti di legge al loro esame, ai fini dello svolgimento dell'istruttoria legislativa. (9) Esperienze n. 32 “la nuova disciplina dell'analisi e della verifica dell'impatto della regolamentazione” - ufficio Valutazione Impatto - Senato della Repubblica, aprile 2018. (10) Si veda anche l'articolo 3 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante "Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo", convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35. (11) "delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1998". L'articolo 5, comma 1, poi abrogato dall'articolo 14, comma 11, della legge n. 246 del 2005, prevedeva che: "con decreto del Presidente del consiglio dei ministri sono definiti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e a titolo sperimentale, tempi e modalità di effettuazione dell'analisi dell'impatto della regolamentazione (aiR) sull'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull'attività dei cittadini e delle imprese in relazione agli schemi di atti normativi adottati dal Governo e di regolamenti ministeriali o interministeriali". RASSEGNA AVVOCATuRA 98 DELLO STATO - N. 2/2018 Anche le autorità amministrative indipendenti, cui la normativa attribuisce funzioni di controllo, di vigilanza o regolatorie, devono dotarsi, nei modi previsti dai rispettivi ordinamenti, di forme o metodi di analisi dell'impatto della regolamentazione per l'emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione, e, comunque, di regolazione, e trasmettere le relative relazioni al Parlamento. La vIR consiste invece nella valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni. I metodi di analisi e i modelli di AIR, nonché i metodi relativi alla VIR, sono adottati con direttive del Presidente del Consiglio dei ministri e sono sottoposti a revisione, con cadenza non superiore al triennio. Le amministrazioni, nell'ambito della propria autonomia organizzativa e senza oneri aggiuntivi, devono individuare l'ufficio responsabile del coordinamento delle attività connesse all'effettuazione dell'AIR e della VIR di rispettiva competenza. Nel caso non sia possibile impiegare risorse interne o di altri soggetti pubblici, le amministrazioni possono avvalersi di esperti o di società di ricerca specializzate, nel rispetto della normativa vigente e, comunque, nei limiti delle disponibilità finanziarie. Entro il 31 marzo di ogni anno, le amministrazioni comunicano al DAGL i dati e gli elementi informativi necessari per la presentazione al Parlamento, entro il 30 aprile, della relazione annuale del Presidente del Consiglio dei ministri sullo stato di applicazione dell'AIR. Con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definiti: a) i criteri generali e le procedure dell'AIR, da concludere con apposita relazione, nonché le relative fasi di consultazione. La relazione deve dare conto, tra l'altro, del rispetto dei livelli minimi di regolazione comunitaria, nonché della valutazione dell'impatto sulle piccole e medie imprese e degli oneri informativi e dei relativi costi amministrativi, introdotti o eliminati a carico di cittadini e imprese; b) le tipologie sostanziali, i casi e le modalità di esclusione dell'AIR; c) i criteri generali e le procedure, nonché l'individuazione dei casi di effettuazione della VIR; d) i criteri e i contenuti generali della relazione al Parlamento. Sulla base di tale previsione, erano stati inizialmente adottati due diversi provvedimenti: il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 settembre 2008, n. 170, recante "Regolamento recante disciplina attuativa dell'analisi dell'impatto della regolamentazione (aiR), ai sensi dell'articolo 14, comma 5, della legge 28 novembre 2005, n. 246", e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 novembre 2009, n. 212, recante "Regolamento recante CONVEGNO 99 disciplina attuativa della verifica dell'impatto della regolamentazione (viR), ai sensi dell'articolo 14, comma 5, della legge 28 novembre 2005, n. 246". I suddetti D.P.C.M. sono stati abrogati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2017, n. 169, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 280 del 30 novembre 2017, che ha introdotto una nuova disciplina dell'AIR, della VIR e - per la prima volta - delle correlate fasi di consultazione. Gli elementi che hanno caratterizzato la riforma sono: - il nuovo regolamento ha abrogato i due previgenti e riunito in un unico provvedimento la disciplina dell'AIR e della VIR, nonché delle correlate fasi di consultazione, che vengono disciplinate per la prima volta; - il nuovo regolamento si applica alle amministrazioni statali, con esplicita esclusione delle Autorità amministrative indipendenti; - in sede di Conferenza unificata saranno definite forme di cooperazione su tecniche, modelli e procedure di analisi e verifica dell’impatto della regolamentazione, nonché in materia di scambio di esperienze, di messa a disposizione di strumenti e di basi informative, di procedure di valutazione congiunta, riferite anche alla regolazione europea; - il nuovo regolamento si fonda sul principio che AIR, VIR e consultazione sono strumenti che, tra loro integrati, concorrono alla qualità del processo normativo, dall'individuazione dei fabbisogni e delle priorità, all'ideazione degli interventi, alla loro attuazione, sino alla loro revisione, secondo un approccio circolare alla regolamentazione. Per tale motivo, l'AIR deve tenere conto degli esiti delle VIR eventualmente realizzate, anche con riferimento a norme connesse per materia e, viceversa, le amministrazioni devono assicurare il monitoraggio dell'attuazione degli atti normativi attraverso la costante raccolta ed elaborazione delle informazioni e dei dati necessari all'effettuazione della VIR, con particolare riguardo a quelli relativi agli indicatori individuati nelle corrispondenti AIR; - entro il 30 giugno e il 31 dicembre di ogni anno, ciascuna amministrazione deve comunicare al Sottosegretario di Stato con funzioni di Segretario del Consiglio dei ministri, per il tramite del DAGL, il Programma normativo semestrale che contiene l'elenco delle iniziative normative previste nel semestre successivo, fatti salvi i casi di necessità ed urgenza, indicando per ciascuna di esse: a) una sintetica descrizione dell'oggetto e degli obiettivi; b) la sussistenza di eventuali cause di esclusione dall'AIR, esplicitandone le motivazioni; c) le procedure di consultazione programmate; d) le amministrazioni coinvolte nel procedimento; e) i pareri da acquisire, inclusi quelli delle autorità indipendenti; f) gli eventuali termini legislativamente previsti per l'adozione dell'atto; - al fine di concentrare l'impegno delle amministrazioni sulle analisi di maggiore impatto, l'AIR è riservata ad iniziative normative di impatto significativo su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. RASSEGNA AVVOCATuRA 100 DELLO STATO - N. 2/2018 Sono stati dunque ampliati i casi di esclusione. Oltre che per i disegni di legge costituzionale (e all'espressa previsione dell'esclusione per le norme di attuazione degli statuti delle Regioni a statuto speciale), per i quali già non si procedeva ad effettuare l'AIR, sono state escluse nuove categorie di atti, ossia: tutti i disegni di legge di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali; le norme di mero recepimento di disposizioni recate da accordi internazionali ratificati; le leggi di approvazione di bilanci e rendiconti generali; i testi unici meramente compilativi; i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 17, commi 4-bis e 4-ter, della legge n. 400 del 1988, relativi, rispettivamente, all'organizzazione e disciplina degli uffici dei Ministeri e al riordino delle disposizioni regolamentari. Con riferimento, invece, alla materia della sicurezza interna ed esterna dello Stato, mentre il regolamento n. 170 del 2008 escludeva tutti gli atti normativi ad essa relativi, il nuovo regolamento esclude le sole disposizioni direttamente incidenti su interessi fondamentali relativi a tale materia. Per quanto concerne l'esenzione, il nuovo regolamento è ispirato ad un'ottica opposta rispetto a quella precedentemente adottata. Mentre infatti il regolamento n. 170 del 2008 prevedeva che il DAGL potesse autorizzare l'esenzione dall'AIR "nelle ipotesi di peculiare complessità e ampiezza dell'intervento normativo e dei suoi possibili effetti", il nuovo regolamento stabilisce, al contrario, che l'esenzione possa essere richiesta in relazione al ridotto impatto dell'intervento, in presenza delle seguenti condizioni, congiuntamente considerate (ma individualmente motivate): a) costi di adeguamento attesi di scarsa entità in relazione ai singoli destinatari, tenuto anche conto della loro estensione temporale; b) numero esiguo dei destinatari dell'intervento; c) risorse pubbliche impiegate di importo ridotto; d) limitata incidenza sugli assetti concorrenziali del mercato. L'esenzione può essere richiesta anche con riferimento a specifici aspetti della disciplina; - è stata introdotta una disciplina specifica e semplificata per i decreti legge, che si concentra sulla valutazione dell'intervento e sui principali impatti attesi, senza richiedere l'elaborazione e la valutazione di tutte le possibili opzioni alternative; - è stata introdotta la programmazione dell'attività di verifica dell'impatto della regolamentazione, prevedendo che ogni amministrazione predisponga, sentito il DAGL, un Piano biennale per la valutazione e la revisione della regolamentazione relativo agli atti normativi di competenza in vigore su cui intende svolgere la VIR, nel quale devono rientrare le leggi di conversione dei decreti legge; gli atti normativi nei quali sono previste clausole valutative; gli atti normativi nei quali è prevista l'adozione di disposizioni correttive o integrative. L'individuazione degli atti da includere nel Piano biennale è effettuata sulla base dei seguenti criteri: a) rilevanza rispetto agli obiettivi perseguiti dalle politiche a cui gli atti si riferiscono; b) significatività degli effetti, anche con riferimento alle previsioni delle relazioni AIR, ove disponibili; c) problemi e profili CONVEGNO 101 critici rilevati nell'attuazione; d) modifiche nel contesto socio-economico di riferimento, incluse quelle derivanti dal progresso tecnologico e scientifico; - il nuovo regolamento non prevede più che la VIR debba essere necessariamente effettuata su tutti i provvedimenti in relazione ai quali sia stata effettuata l'AIR, né che la VIR debba essere svolta a cadenze biennali; - la VIR potrà essere svolta anche con riguardo ad un insieme di atti normativi, tra loro funzionalmente connessi, rendendo così possibile l'estensione dell'oggetto della verifica da un singolo provvedimento ad una intera policy o ad un suo ambito; - al fine di acquisire in tempo utile elementi informativi volti ad evidenziare gli effetti attesi dalle proposte normative all'esame delle istituzioni europee e di supportare il Governo nel corso delle procedure di consultazione avviate da tali istituzioni, nonché nell'ambito dell'attività legislativa a livello europeo, le amministrazioni svolgono analisi di impatto sui progetti di atti dell'unione europea significativi per il loro impatto nazionale. Del risultato di tali analisi di impatto si dà conto nelle relazioni trasmesse dal Governo alle Camere in occasione dell'esame dei progetti di atti legislativi dell'unione europea. Analogamente, il nuovo regolamento prevede che le amministrazioni partecipino, anche coinvolgendo altri livelli istituzionali, alle attività di valutazione della normativa promosse dalle istituzioni dell'unione europea, con specifico riguardo a quelle relative a norme che disciplinano materia di particolare rilievo per le politiche nazionali. Esse dovranno valutare gli effetti della normativa europea a livello nazionale, anche partecipando ai gruppi di lavoro e alle consultazioni che le istituzioni dell'unione europea pongono in essere per valutare la normativa europea; - l'amministrazione proponente deve consultare i destinatari dell'intervento nel corso dell'AIR, salvo i casi straordinari di necessità e urgenza, nonché della VIR, con l'obiettivo di acquisire elementi sui seguenti profili: a) nell'AIR: aspetti critici della situazione attuale; opzioni di intervento; valutazione degli effetti attesi; b) nella VIR: valutazione dell'efficacia dell'intervento, della sua attuazione e dei suoi principali impatti. La consultazione può essere rivolta a chiunque abbia interesse a parteciparvi (consultazione aperta) o a soggetti predefiniti dall'amministrazione sulla base degli interessi coinvolti (consultazione ristretta). L'amministrazione può ricorrere alle due modalità di consultazione in via alternativa o congiunta, tenendo conto dell'ambito e dei destinatari dell'intervento normativo, nonché dei fabbisogni informativi correlati al processo valutativo. Le consultazioni si svolgono secondo princìpi di trasparenza, chiarezza e completezza dell'informazione, nel rispetto delle esigenze di speditezza connesse al processo di produzione normativa e di congruenza dei temi introdotti rispetto alle questioni oggetto dell'iniziativa regolatoria. RASSEGNA AVVOCATuRA 102 DELLO STATO - N. 2/2018 I contributi forniti dai soggetti consultati sono finalizzati ad arricchire le informazioni a disposizione dell'amministrazione procedente, senza obbligo di riscontro, e non costituiscono vincolo per l'istruttoria normativa; - al fine di garantire maggiore trasparenza in ogni fase del procedimento, il nuovo regolamento prevede la pubblicazione nei siti internet istituzionali delle amministrazioni procedenti e del Governo: dei Programmi normativi semestrali elaborati da ciascuna amministrazione e delle loro eventuali modifiche; delle richieste di esenzione dall'AIR; delle relazioni AIR verificate dal DAGL; dei Piani biennali per la valutazione e la revisione della regolamentazione e dei loro eventuali aggiornamenti; delle relazioni VIR validate dal DAGL; delle iniziative di consultazione; - per quanto riguarda il coinvolgimento del Parlamento, si prevede, tra l'altro, che, nei casi in cui non sia prevista nel Piano biennale per la valutazione e la revisione della regolamentazione, la VIR debba essere comunque effettuata ove ciò sia richiesto dalle Commissioni parlamentari (o dal Consiglio dei ministri). Al nuovo regolamento è stata data attuazione con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 2018, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 83 del 10 aprile 2018, la quale: - ha introdotto nuovi modelli di relazione AIR e VIR; - ha approvato la nuova "Guida all'analisi e alla verifica dell'impatto della regolamentazione", che fornisce indicazioni tecniche e operative alle amministrazioni statali per l'applicazione degli strumenti per la qualità della regolamentazione. In allegato alla Guida sono riportati: un vademecum contenente le modalità con cui svolgere la valutazione degli impatti specifici (effetti sulle piccole e medie imprese; oneri informativi prodotti su cittadini e imprese; impatto concorrenziale; rispetto dei livelli minimi di regolazione europea); la checklist per lo svolgimento dell'AIR; la checklist per lo svolgimento della VIR; il modello di Piano biennale per la valutazione e la revisione della regolamentazione; - ha abrogato la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 16 gennaio 2013, recante "disciplina sul rispetto dei livelli minimi di regolazione previsti dalle direttive europee, nonché aggiornamento del modello di relazione aiR, ai sensi dell'art. 14, comma 6, della legge 28 novembre 2005, n. 246". I due nuovi modelli di relazione presentano due sezioni comuni. La prima riguarda le consultazioni, che costituiscono un'attività indispensabile e trasversale all'interno dei processi di analisi e di valutazione dell'impatto e, quindi, non possono essere collocate in una specifica fase. Definita una strategia di consultazione, l'amministrazione decide, alla luce delle caratteristiche dell'intervento, quali e quante consultazioni svolgere. La sezione relativa alle consultazioni deve contenere: la descrizione delle CONVEGNO 103 consultazioni svolte e delle relative modalità di realizzazione; l'elenco dei soggetti che hanno partecipato a ciascuna delle consultazioni; i periodi in cui si sono svolte le consultazioni. La seconda sezione comune concerne il percorso di valutazione e, tra l'altro, deve illustrare il gruppo di lavoro, indicando gli uffici e le professionalità coinvolte. A tal proposito, l'ufficio responsabile del coordinamento delle attività connesse all'effettuazione dell'AIR e della VIR, istituito presso ogni amministrazione statale, deve assicurare il coordinamento e la pianificazione delle attività di valutazione, nonché la coerenza delle metodologie applicate con le indicazioni contenute nella Guida e nel nuovo regolamento. 5. Statistiche. I numeri, circa lo stato di attuazione degli istituti di cui si è sin qui parlato, sono contenuti nella “Relazione al Parlamento sullo stato di applicazione dell'analisi dell'impatto della regolamentazione” (anno 2017), laddove si legge che il rapporto fra il numero delle valutazioni di impatto ex post (VIR) e le analisi preventive (AIR) effettuate da amministrazioni centrali è relativamente basso (per l’anno 2016, 25 relazioni VIR contro 101 relazioni AIR; mentre per l’anno 2017, 29 relazioni VIR contro 113 relazioni AIR ). Per comprendere meglio questo dato è importante considerare che, in linea teorica, mentre l'AIR viene realizzata in caso di nuovi atti normativi, per cui il massimo numero di analisi effettuate in un anno coincide con il numero degli atti approvati, la VIR può essere realizzata rispetto al complesso delle disposizioni in vigore, per cui l'orizzonte per la realizzazione dei processi di valutazione successiva è molto più ampio. 6. conclusioni. In queste pagine si è cercato di osservare il quadro degli strumenti di valutazione degli atti normativi nei suoi punti di forza e di debolezza, evidenziando alcuni miglioramenti in atto insieme agli elementi di maggiore criticità per via dei quali i processi decisionali continuano a essere appesantiti più che irrobustiti dagli strumenti in argomento. È lo stesso ufficio Valutazione Impatto (uVI) del Senato ad individuare le linee di azione, che potrebbero portare ad un rafforzamento circa la valutazione degli atti normativi, soprattutto al fine di renderla utilizzabile per una più ampia stima delle politiche pubbliche (12). A parere del Senato, pertanto, sarà necessario: Dal punto di vista procedurale: (12) Per approfondimenti: ufficio Valutazione Impatto, “l'incompiuta. dalla teoria alla prassi: la valutazione degli atti normativi in italia” - aprile 2018 - Senato della Repubblica. RASSEGNA AVVOCATuRA 104 DELLO STATO - N. 2/2018 - adottare un approccio ciclico e seguire i singoli atti fino all'attuazione e alla identificazione degli effetti, focalizzando le risorse sulla valutazione successiva più che su quella preventiva; - ridurre la frammentazione delle fonti e rendere più efficiente la governance dei processi di valutazione in seno alle istituzioni; - adottare un approccio selettivo alla valutazione per garantire l'efficienza allocativa; Dal punto di vista organizzativo: - dotare le istituzioni di competenze multidisciplinari, anche attraverso percorsi di formazione del personale; - accrescere la collaborazione fra le istituzioni e gli enti di ricerca per realizzare con l'aiuto esterno quanto non può essere gestito internamente; - unificare le funzioni di coordinamento del ciclo della valutazione in una specifica struttura amministrativa, eliminando le attuali frammentazioni nella governance istituzionale, almeno per le amministrazioni statali; Dal punto di vista dei contenuti: - costruire un patrimonio condiviso di conoscenze e linguaggi, a partire dalla gestione istituzionale dei database, che consenta di integrare le analisi e le valutazioni sugli atti normativi per specifiche politiche pubbliche; - strutturare i processi di selezione delle tecniche da utilizzare, bilanciando il ricorso alla consultazione e alla ricerca scientifica, quando la rilevanza degli interventi è molto alta; - estendere la valutazione ai benefici percepiti dai cittadini, senza la quale l'intero esercizio valutativo può risultare inutile se non dannoso. Molto è stato fatto ma ancora tanto bisognerà fare per attuare la normativa sin qui richiamata. Ciò che si auspica è che tali strumenti non rimangano inutilizzati e che la loro concreta attuazione sia in grado di colmare il Gap esistente tra l’Italia e gli altri paesi Europei in termini di efficienza della performance della Pubblica Amministrazione, nonché della qualità della normazione. Ciò inciderebbe, come si è accennato in precedenza, sullo sviluppo sociale, competitività economica e produttiva del Paese, con notevoli risvolti positivi in termini di risparmio di denaro pubblico. Temi isTiTuzionali Avvocatura Generale dello Stato CIRCOLARE N. 33/2018 Oggetto: Diritto di accesso ex L. n. 241/1990. Con riferimento alle disposizioni operative di cui alla circolare n. 4/2018 e tenuto conto delle interazioni dell'accesso civico con il diritto di accesso ex L. a. 241/1990 (cd. accesso documentale) si ritiene opportuno, a maggior chiarimento delle relative procedure, richiamare le modalità di esercizio del diritto di accesso documentale. 1) Caratteristiche dell'accesso documentale. Ambito soggettivo: Il diritto di accesso documentale è riconosciuto a tutti i soggetti privati che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è richiesto l'accesso. Quindi a differenza dell'accesso civico, l'accesso documentale è necessariamente correlato ad una situazione soggettiva giuridicamente tutelata. Ambito oggettivo: L'accesso riguarda i documenti amministrativi formati o stabilmente detenuti dall'Avvocatura dello Stato in conformità a quanto stabilito nel capo V della legge 7 agosto 1990 n. 241, e successive modificazioni. Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data dall'Avvocatura dello Stato. Non sono ammesse richieste generiche relative ad intere categorie di documenti. 2) Presentazione della domanda di accesso (accesso formale). L'istanza di accesso può essere presentata a mano, per posta ordinaria o per via telematica all'ufficio dell'Avvocatura Generale o delle Avvocature Distrettuali che detiene l'atto. La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite dell'Ufficio Relazioni con il Pubblico che provvederà a inoltrarla alla struttura competente. L'istanza deve contenere gli elementi di cui all'allegato modulo di richiesta. RASSEGNA AVVoCAtURA 106 DELLo StAto - N. 2/2018 Il termine di trenta giorni, previsto dall'art. 6 del d.p.r. n 184/2006, per il riscontro della richiesta, decorre dalla data di acquisizione al protocollo dell'Avvocatura dello Stato. 3) accesso informale. Il diritto di accesso può essere esercitato in via informale, mediante richiesta anche verbale, qualora, in base alla natura del documento richiesto, non risulti l'esistenza di controinteressati. Per 'controinteressati' si intendono, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 241/1990, 'tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza'. L'interessato sarà invitato a presentare richiesta d'accesso formale qualora non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell'interesse, sull'accessibilità del documento o sull'esistenza di controinteressati. 4) Registro dell'accesso documentale. Un apposito registro cartaceo, da redigere secondo i contenuti riportati nel modello allegato, sarà conservato presso ogni sede Distrettuale e per la sede Generale (in attesa della predisposizione di un unico registro informatico condiviso) presso ogni ufficio che detiene il documento oggetto della richiesta di accesso documentale. Si ricorda che il contenuto del registro, a differenza dell'accesso civico generalizzato, non è sottoposto a pubblicazione. Nel caso di richieste irregolari o incomplete il Segretario Generale o gli Avvocati Distrettuali, in ossequio a quanto previsto dal comma 5 dell'art. 6 del d.p.r. n. 184/2006, devono darne, entro dieci giorni, comunicazione al richiedente tramite raccomandata o altro mezzo idoneo ad accertare la ricezione. In tal caso il termine ricomincia a decorrere dalla presentazione della domanda corretta. Analogamente va annotato sul registro l'avvenuto accesso informale ovvero il diniego controfirmato dal soggetto richiedente. 5) Controinteressati. Se dall'esame della richiesta di accesso vengono individuati soggetti controinteressati, il Segretario Generale o gli Avvocati Distrettuali provvederanno a darne comunicazione agli stessi, inviando copia dell'istanza. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione i controinteressati possono presentare una motivata opposizione alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, accertata l'avvenuta ricezione della comunicazione, l'Ufficio provvede sulla richiesta. 6) Competenza a decidere sull'istanza di accesso. La competenza a decidere sull'istanza di accesso è del Segretario Generale, per l'Avvocatura Generale dello Stato, e degli Avvocati Distrettuali, per le Avvocature Distrettuali. L'accoglimento della richiesta di accesso è comunicata all'interessato dal Segretario Generale o dagli Avvocati Distrettuali. La comunicazione del differimento, della limitazione o del rigetto dell'accesso richiesto, deve essere adeguatamente motivata con specifico riferimento alla normativa vigente, alle tipologie tEMI IStItUzIoNALI 107 di documenti sottratti all'accesso e alle circostanze di fatto per cui la richiesta non può essere accolta cosi come proposta. 7) Disciplina dei casi di esclusione. I casi di esclusione dell'accesso sono individuati dal Regolamento per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell'ambito delle attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso adottato con D.P.C.M. 26 gennaio 1996 n. 200, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1996 n. 89. 8) modalità di accesso. L'accesso al documento richiesto avverrà secondo la modalità richiesta all'atto della domanda. Nel caso di documenti contenenti, in parte, informazioni non accessibili all'interessato, possono essere rilasciate copie parziali dei documenti. tali copie devono comprendere la prima e l'ultima pagina del documento e le pagine omesse devono essere indicate. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia degli stessi è subordinato al rimborso del costo di riproduzione di cui al successivo punto 9. Se è stato chiesto di ricevere le copie dei documenti tramite servizio postale, la spedizione avverrà previa ricezione delle marche corrispondenti al costo di riproduzione. Nel caso di trasmissione in via telematica di documenti già archiviati in formato elettronico nulla è dovuto. Qualora invece sia necessaria la scansione di documenti cartacei i costi sono determinati alla stregua di quelli stabiliti per la riproduzione da cartaceo di cui al successivo punto 9. Le medesime disposizioni si applicano nel caso in cui il rilascio di copia della documentazione avvenga tramite il trasferimento degli atti su supporto di memorizzazione. 9) Rimborso delle spese per il rilascio di copie. Il costo di riproduzione per il rilascio di copia del documento, fissato con delibera del Consiglio di Amministrazione del 3 dicembre 1993 in conformità alla nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 19 marzo 1993 n. UCA/27720/928, è di € 0,26 da 1 a 2 copie, di € 0,52 da 3 a 4 copie e cosi di seguito, da corrispondere mediante applicazione di marche da bollo da annullare con il datario a cura dell'ufficio. 10) Rilascio di copia autentica. Qualora le copie debbano essere rilasciate in forma autentica (copia conforme all'originale), il richiedente è tenuto ad assolvere la prevista imposta di bollo, unitamente ai rimborsi di cui al punto 9, mediante presentazione delle relative marche al momento della consegna dei documenti; l'ufficio competente ne curerà il relativo annullamento. IL SEGREtARIo GENERALE avv. Paolo Grasso elenco allegati: (omissis) RASSEGNA AVVoCAtURA 108 DELLo StAto - N. 2/2018 autorità nazionale anticorruzione: Relazione annuale - anno 2017 Roma, Senato della Repubblica, 14 giugno 2018 intervento del Presidente Raffaele Cantone autorità, Signore, Signori Nel giugno del 2014, proprio in questi giorni, 1'ANAC cambiava del tutto i suoi connotati. Nei mesi precedenti il Paese era stato scosso dalle notizie di alcuni gravi fatti corruttivi, in particolare connessi al grande evento Expo 2015 e al c.d. "Mose di Venezia", e Governo e Parlamento, come evidenziato da un autorevole studioso, vollero mandare un segnale, istituendo in Italia un presidio forte a tutela della trasparenza e della legalità nella pubblica amministrazione. Investirono sulla neocostituita e molto gracile struttura dell'ANAC, rafforzandola attraverso l'iniezione di nuovi poteri e facendole inglobare, con una fusione per incorporazione, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Sono passati appena quattro anni, ma, per i tanti cambiamenti verificatisi nel contesto generale, sembra trascorsa un'era geologica. Allora si dovette partire in corsa; bisognava controllare gli appalti di Expo e farlo in tempi stretti e in una situazione di emergenza, con due strutture così diverse da integrare e senza che nemmeno fosse stato nominato l'intero Consiglio dell'Autorità, che entrò in carica solo il 14 luglio. Come è noto l'Expo si è poi regolarmente svolto; nessuno degli appalti controllati è stato sfiorato da indagini giudiziarie e sembrano smentite anche le previsioni più pessimistiche sui costi, visto che, con l'approvazione del bilancio finale, saranno distribuiti utili. Da allora l'Autorità si è imposta come un riferimento per amministrazioni, imprese e cittadini, tanto che le sono state assegnate anche nuove e non meno difficili sfide come quella dell'attuazione del Codice degli appalti e quella, forse più lontana dalla mission istituzionale, degli arbitrati bancari. Ha anche guadagnato credito internazionale, attraverso le tante relazioni bilaterali e multilaterali intrecciate, partecipando alle sessioni di lavoro delle Nazioni Unite, del Consiglio d'Europa, del Greco, dell'ocse, del G7 e assumendo un ruolo di primo piano nel processo di Berlino, per l'ingresso dei Paesi Balcanici nella UE. Il quadro normativo si è arricchito di nuovi tasselli, diventando un puzzle di non semplice composizione. Per conoscere poteri e funzioni dell'ANAC tEMI IStItUzIoNALI 109 non basta consultare un'unica legge ma una serie di norme sparse in più provvedimenti a cui, con non poche difficoltà, può essere data una lettura unitaria. Neppure dal punto di vista dell'organizzazione interna l'impianto normativo appare più razionale; grazie a una norma introdotta nella legge di bilancio per l'anno in corso, l'ANAC transiterà, anche sotto il profilo ordinamentale, nel sistema delle autorità indipendenti e lo farà adottando propri regolamenti, resi però complicati dalle stratificazioni normative e da vincoli di spesa su cui tornerò nelle conclusioni. Questa breve premessa è per rimarcare che i quattro anni trascorsi sono stati impiegati, pur fra i tantissimi impegni quotidiani, a dare una struttura razionale all'Autorità e, sebbene non mi sento di dire che l'impresa sia del tutto riuscita, voglio rivendicare con orgoglio quantomeno il metodo seguito, quello, cioè, della massima apertura all'esterno, con l'obiettivo di rifuggire da logiche autoreferenziali. L'idea perseguita è stata quella di un'Autorità che potesse diventare punto di riferimento e luogo visibile non solo all' “ultimo miglio”, attraverso i suoi atti, ma anche prima, in quanto istituzione aperta al dialogo e al confronto. Questo è avvenuto tramite varie iniziative, tra le quali voglio citare la diffusione della cultura della legalità rivolta ai giovani (si pensi alla Carta d'intenti, che ci vede in partnership con il Ministero dell'istruzione, la Direzione nazionale antimafia e l'Associazione nazionale magistrati; alla selezione di tirocinanti e volontari del servizio civile; alla cooperazione con molti atenei per contribuire al dibattito scientifico e allo sviluppo di una cultura della conoscenza delle regole e del merito) e il dialogo con i cittadini e in generale con il mondo della società civile (mi riferisco ai protocolli già siglati con Libera e transparency international, a cui si sono aggiunti quelli con Cittadinanza Attiva, openpolis, ActionAid e Labsus-laboratorio per la sussidiarietà). Altrettanto importante è stato il confronto con gli stakeholders per assumere decisioni partecipate. È ormai consolidata la prassi di sottoporre gli atti di regolazione a consultazione pubblica e poi al parere del Consiglio di Stato prima della loro adozione, ma anche di attivare ogni anno tavoli di lavoro con esperti, istituzioni e operatori per confrontarsi sul piano nazionale anticorruzione. In questa stessa prospettiva si segnala che per il quarto anno l'Autorità ha organizzato la giornata dei responsabili della prevenzione della corruzione, un laboratorio ormai permanente per ascoltare e affrontare i problemi concreti derivanti dall'attuazione della normativa anticorruzione all'interno delle amministrazioni. Anche su un tema cruciale come l'individuazione delle cause e dei fattori della corruzione e la sua misurazione vogliamo andare in questa direzione. Gli indici al momento disponibili, come quello di transparency international sulla percezione della corruzione, utili per valutare il livello di fiducia dei cittadini e il grado di permeabilità del Paese, non bastano. Per tale ragione era RASSEGNA AVVoCAtURA 110 DELLo StAto - N. 2/2018 stato costituito un gruppo di lavoro, composto anche da esperti del mondo accademico, che nel 2016 aveva elaborato un primo rapporto (1). Nel novembre scorso è stato poi siglato un protocollo con il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio, l'Agenzia per la coesione, l'Istat e i Ministeri dell'economia, dell'interno e della giustizia, con lo scopo di promuovere la sperimentazione di indici di misurazione dei fenomeni corruttivi, attraverso la creazione e l'alimentazione di apposite banche dati, anche cogliendo le potenzialità offerte dai prezzi di riferimento che l'Autorità ha il compito di elaborare. A questo tema è stato anche dedicato, nell'ottobre 2017, un evento organizzato nell'ambito della presidenza italiana del G7, con il quale l'Autorità ha provato a coinvolgere i partner internazionali sull'argomento, ottenendo significative adesioni. Infine, nel marzo di quest'anno, si è aggiunto un ulteriore tassello: dopo aver acquisito il parere del Garante della privacy, l'Autorità ha approvato un regolamento per disciplinare le modalità di accesso alle proprie banche dati. Nessuna "gelosia" su queste informazioni ma condivisione per consentire il loro utilizzo a fini di studio e ricerca, perché la lotta alla corruzione ha bisogno del supporto di tutti. la prevenzione della corruzione Per l'esame più approfondito delle attività svolte dall'Autorità si rinvia alla relazione completa, pubblicata sul sito, limitandosi qui solo a qualche cenno. Punto di partenza non può che essere il piano nazionale anticorruzione, il più importante documento di indirizzo per l'attuazione della strategia di prevenzione. Nel 2017 è stato aggiornato il primo piano adottato dall'Autorità nel 2016 (2), proseguendo con la già sperimentata tecnica degli approfondimenti per aree e settori caratterizzati da peculiarità organizzative e funzionali, concentrandosi sulle autorità di sistema portuale, sui commissari straordinari di Governo e sulle università. Grazie a tavoli di lavoro molto partecipati, sono state individuate, come era accaduto l'anno precedente con la sanità, aree di rischio e misure da adottare, non calandole dall'alto. Qualche parola in più va dedicata al piano sulle università. Il documento si è giovato del contributo di qualificati esponenti dell'intero mondo accademico, che, superando posizioni polemiche che vedevano nell'iniziativa del- (1) analisi istruttoria per l'individuazione di indicatori di rischio corruzione e di prevenzione e contrasto nelle amministrazioni pubbliche, disponibile sul sito dell'Autorità. (2) Delibera n. 1208 del 22 novembre 2017. tEMI IStItUzIoNALI 111 l'Autorità una compromissione dell'autonomia universitaria, ha saputo cogliere questa occasione per una riflessione di fondo sui rischi che anche in questo settore sono presenti. Nel piano si trovano indicazioni su misure concrete per la didattica e la ricerca, per il reclutamento di docenti e ricercatori e per la definizione più precisa di cause di incompatibilità con lo svolgimento di incarichi esterni, assicurando sempre maggiore trasparenza sulla propria organizzazione e attività. ora, però, tocca a professori e ricercatori farsi protagonisti di un processo che rafforzi il prestigio delle università! L'aggiornamento del piano per il 2018 proseguirà sulle stesse direttrici, focalizzando l'attenzione su rifiuti, immigrazione, agenzie fiscali e semplificazione. L'attività di regolazione ha affrontato anche altri temi: nel mese di marzo dello scorso anno, in collaborazione con il Ministero della salute e l'Agenas, sono state adottate le linee guida sui codici di comportamento nel servizio sanitario nazionale, per individuare obblighi e divieti degli operatori in relazione, tra l'altro, a liste di attesa e attività professionali (3); nel novembre quelle, molto attese, sulle società pubbliche (4) per fornire un supporto interpretativo a seguito delle modifiche del decreto legislativo 97 del 2016. Per quanto attiene alla vigilanza, si segnala l'apertura di 241 istruttorie ma con una limitata applicazione delle sanzioni per omessa adozione dei piani (ne sono state irrogate solo 8, ancora meno, quindi, delle 12 dell'anno precedente), a dimostrazione di come gli obblighi normativi siano oggi diffusamente rispettati. L'analisi a campione, realizzata anche quest'anno grazie alla collaborazione con l'Università di Roma tor Vergata ha, infatti, confermato che ormai il 90% delle amministrazioni adotta il piano, ma ha anche rimarcato persistenti carenze nella fase di monitoraggio e di coordinamento con altri strumenti di programmazione. I problemi più significativi emersi dalla vigilanza riguardano, però, l'applicazione della rotazione e la nomina e revoca dei responsabili della prevenzione. Pur essendo stata ribadita nel piano l'importanza della rotazione, permane la resistenza all'adozione della misura, spesso nascosta dietro presunte esigenze organizzative, nonostante l'Autorità - soprattutto nelle realtà di ridotte dimensioni come i piccoli comuni - si sia fatta carico di indicare possibili misure alternative (ad esempio, l'affiancamento di più funzionari nell'istruttoria). In alcuni casi, la rotazione non è stata attuata neppure in presenza di persone sottoposte a procedimenti penali o disciplinari per fatti molto gravi; in una ASL, ad esempio, un dirigente rinviato a giudizio per associazione a de- (3) Delibera n. 358 del 29 marzo 2017. (4) Delibera n. 1134 dell' 8 novembre 2017. RASSEGNA AVVoCAtURA 112 DELLo StAto - N. 2/2018 linquere e truffa, non solo non era stato adibito ad altre funzioni e sottoposto a procedimento disciplinare ma gli era stato anche rinnovato l'incarico, tanto da indurre l'Autorità ad attivare i poteri ispettivi e di diffida. Sul responsabile della prevenzione, l'obiettivo perseguito dall'Autorità è di evitare sia che tale incarico venga rivestito dai titolari delle funzioni di indirizzo politico, con sovrapposizione delle posizioni di controllore e controllato, sia che intervengano revoche della funzione di carattere “ritorsivo” che compromettano l'autonomia dell'organo. Lo strumento che la legge riserva all'Autorità a tale scopo (5) è, però, decisamente insufficiente perché consiste in una semplice richiesta di riesame alle amministrazioni, che ben possono poi confermare la propria decisione. Numerose attività di vigilanza (oltre 200 procedimenti) hanno riguardato l'applicazione delle misure di pre-employment (inconferibilità e incompatibilità degli incarichi), on-employment (conflitti di interesse nello svolgimento delle funzioni) e post-employment (situazioni di pantouflage successive alla cessazione dell'incarico) finalizzate a prevenire i conflitti di interesse e, quindi, la compromissione dell'imparzialità. tra i casi trattati, da citare è quello relativo al presidente di un consorzio di sviluppo industriale (6); l'Autorità aveva ritenuto la nomina inconferibile e tale decisione non era stata eseguita dal responsabile della prevenzione della corruzione ed era stata impugnata dal consorzio; ribaltando la decisione del tar, il Consiglio di Stato ha ritenuto corretto l'operato dell'Autorità, ma soprattutto ha qualificato i suoi poteri non come meramente ricognitivi ma di accertamento costitutivo di effetti giuridici (7). Va anche menzionato un complesso accertamento in materia di pantouflage, a cui ha anche contribuito la Guardia di Finanza, relativo al presidente di un'autorità portuale che, cessato l'incarico, aveva instaurato un rapporto di consulenza con un'impresa di navigazione, destinataria di provvedimenti autorizzativi e concessori da parte della medesima autorità (8). Pur ritenendo configurata la violazione non si sono potute applicare, però, le sanzioni interdittive previste, per non avere la norma individuato l'autorità competente a irrogarle, carenza che sarà segnalata a Governo e Parlamento. Analogo vuoto normativo l'Autorità l'ha già segnalato, lo scorso febbraio, per la mancata individuazione dell'organo competente ad accertare le incompatibilità introdotte dal recente testo Unico in materia di società pubbliche, (5) Ci si riferisce all'art. 15 del d.lgs. 39 del 2013 e all'art. 1, co. 82, della 1. 190 del 2012, disposizioni per la cui applicazione l'Autorità sta predisponendo un regolamento. (6) Delibera n. 141 dell' 11 novembre 2015. Il caso risale al 2015 ma è citato per gli sviluppi recenti. (7) Si veda la sentenza del Consiglio di Stato n. 126 dell’11 gennaio 2018. (8) Delibera n. 207 del 21 febbraio 2018. tEMI IStItUzIoNALI 113 rappresentando di non avere potuto dare risposte alle pur numerose e spesso fondate segnalazioni (9). Connesso al tema della prevenzione della corruzione è anche quello del whistleblowing, istituto che sta dimostrando grande vitalità con l'incremento, anche nel 2017, delle segnalazioni, purtroppo, però, dal contenuto contrastante con lo spirito della norma, vertendo, in molti casi, su problematiche di carattere personale. Una recentissima legge (la 179 del 2017), adottata in limine della precedente legislatura, ha corretto questa distorsione, opportunamente considerando rilevanti le sole segnalazioni fatte "nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione", ampliando l'ambito soggettivo di applicazione della norma, estendendolo alle società pubbliche controllate e alle imprese private, ed ha rafforzato la tutela del segnalante. Sono state, a tal fine, introdotte rigorose sanzioni (con pene fino a 50 mila euro!) per le ritorsioni e le misure discriminatorie nei confronti del segnalante, alla cui irrogazione dovrà provvedere l'Autorità; si tratta di un impegno oneroso, ma anche delicato per la natura degli accertamenti da effettuare, cui si è fatto fronte istituendo un ufficio ad hoc non ancora, però, dotato del sufficiente organico. La normativa ha anche non poche ombre (come la scarsa tutela della riservatezza del segnalante che denuncia fatti di rilievo penale) e solo l'applicazione concreta evidenzierà l'effettiva utilità di un istituto già sperimentato positivamente in altri Paesi. la trasparenza Passando ad esaminare la tematica della trasparenza, è inevitabile ricordare come la materia sia stata oggetto di una riforma nel 2016 che ha introdotto, tra le altre novità, l'accesso civico generalizzato, puntando a trasformare l'amministrazione sempre più in "una casa di vetro". La sfida lanciata dal legislatore è stata raccolta dall'Autorità, che ha profuso il massimo impegno nel fornire indicazioni e indirizzi interpretativi con l'adozione di più linee guida (10), ma anche nel segnalare criticità e difetti di coordinamento, da sanare in via legislativa (11). Su una delle novità introdotte, quella relativa agli obblighi di pubblicazione delle situazioni patrimoniali dei (9) Atto di segnalazione n. 2 del 7 febbraio 2018. (10) Si vedano le linee guida di cui alle delibere n. 1309 e n. 1310 del 2016 e n. 241 e n. 1134 del 2017 concernenti le esclusioni e i limiti all’accesso civico generalizzao, gli obblighi di pubblicità, i compensi, i dati reddituali e patrimoniali, le spese per viaggi di servizio e missioni e l’attuazione della trasparenza nelle società pubbliche. (11) Si veda l'atto di segnalazione n. 6 del 20 dicembre 2017 che si è occupato delle modalità di pubblicazione delle informazioni tramite le banche dati e della non razionale equiparazione degli obblighi di pubblicazione dei dati reddituali dei titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e dirigenziali. RASSEGNA AVVoCAtURA 114 DELLo StAto - N. 2/2018 dirigenti, il tar Lazio, officiato dal ricorso di alcuni dirigenti, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, sospendendo per i ricorrenti l'obbligo di pubblicazione; al fine di evitare disparità di trattamento, l'Autorità ha considerato sospeso per tutti i dirigenti quel medesimo obbligo (12) . Se la vicenda, a prescindere dal merito, potrebbe indurre a considerazioni pessimistiche sugli ostacoli posti da una parte della burocrazia a una sempre più ampia trasparenza, gli esiti di un monitoraggio disposto dall'Autorità autorizzano, al contrario, un po' di sano ottimismo. Nel 2017, analizzando a campione le visualizzazioni della sezione "amministrazione trasparente" dei siti di alcune grandi città, è emerso non solo il notevole interesse dei cittadini per la consultazione delle piattaforme digitali ma soprattutto la concentrazione degli accessi su quelle attività a maggior rischio di illegalità (appalti e delibere di giunta), piuttosto che su quelli che potrebbero apparire di semplice curiosità (stipendi di politici e burocrati), smentendo, quindi, le previsioni di chi pensava che gli obblighi di pubblicazione avrebbero stimolato solo il voyeurismo digitale e non il controllo civico! Dal punto di vista della vigilanza, lo scorso anno sono stati aperti oltre 300 procedimenti, con sole 19 sanzioni irrogate per mancata pubblicazione dei dati obbligatori (in diminuzione rispetto alle 98 del biennio 2015-2016); l'intervento dell'Autorità è, infatti, teso più che a sanzionare, a stimolare la più efficace trasparenza. I dati positivi dal punto di vista numerico scontano, però, ancora problemi sul piano qualitativo; dall'esame a campione delle attestazioni degli organismi indipendenti di valutazione, emergono carenze relative soprattutto alla pubblicazione dei dati su performance, premi al personale e tempi di pagamento. i contratti pubblici Nel trattare la materia degli appalti non si può che partire dal Codice del 2016, come è noto, emanato per il recepimento delle direttive comunitarie del 2014 ed entrato in vigore con grandi aspettative. La qualificazione delle stazioni appaltanti, la scelta dei commissari di gara attraverso l'estrazione da un albo, il rating di impresa, la necessità della progettazione esecutiva, una più rigorosa regolamentazione del partenariato, il superamento della prassi delle deroghe per singoli appalti, l'opzione per un testo più snello non accompagnato da un regolamento lungo e prolisso, erano alcune delle novità che avrebbero dovuto favorire efficienza, semplificazione e trasparenza. A poco più di due anni di distanza, non si va (ancora) nella direzione au- (12) Si vedano la delibera n. 382 del 12 aprile 2017 e i Comunicati del Presidente dell'Autorità del 12 aprile 2017 e del 7 marzo 2018. tEMI IStItUzIoNALI 115 spicata: su alcuni aspetti, anche per non sempre giustificate critiche, si è già fatta marcia indietro con il correttivo del 2017; sono riapparse, per molti interventi, deroghe ad hoc e di recente alcuni hanno persino richiesto l'abrogazione del Codice, senza che nemmeno le più interessanti novità siano entrate in vigore. La materia ha certamente bisogno di scelte chiare e inequivoche da parte del nuovo legislatore; il rilancio del sistema dei lavori pubblici necessita non solo di regole semplici e comprensibili, ma anche stabili, per consentire alla burocrazia il tempo di digerirle per poi applicarle in modo corretto. In questo senso, una completa retromarcia rischierebbe di creare una ulteriore fase di fibrillazione con una (nuova) crisi del settore dalla quale, invece, sia pure a fatica, si sta lentamente uscendo. Il Codice prevedeva, fra l'altro, che il regolamento venisse sostituito da decreti ministeriali e linee guida, queste ultime da adottarsi anche da parte dell'Autorità, a cui spesso sono contestati ritardi e omissioni, non rispondenti, però, al vero. A noi spettava redigere 10 linee guida e proporre 3 decreti al Ministro delle infrastrutture e ad oggi, malgrado sia stata necessaria la revisione dei testi già adottati a seguito del correttivo, l'Autorità ha definitivamente licenziato 6 linee guida (13); per una si è in attesa del parere del Consiglio di Stato (14), per due si è conclusa la consultazione (15) e un'altra potrà essere predisposta solo dopo l'adozione dell'apposito DPCM (16). Quanto alle proposte di decreto, una è stata formulata e il relativo decreto è stato recentemente pubblicato (17), un'altra è stata inviata al Ministro (13) Si tratta dei seguenti atti: linee guida n. 3 del 26 ottobre 2016 (nomina, ruolo e compiti del responsabile unico del procedimento per l'affidamento di appalti e concessioni); linee guida n. 4 del 26 ottobre 2016 (procedure per l'affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici); linee guida n. 5 del 16 novembre 2016 (criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell'albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici); linee guida n. 6 del 16 novembre 2016 (indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), del codice); linee guida n. 7 del 15 febbraio 2017 (linee guida per l'iscrizione nell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall'art. 192 del d.lgs. 50/2016); linee guida n. 9 del 28 marzo 2018 (monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull'attività dell'operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato). (14) Si tratta delle linee guida relative alle indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all'art. 177, co. 1, del Codice, da parte dei soggetti pubblici o privati titolari di concessioni. (15) Si tratta delle linee guida sul rating di impresa e quelle sui requisiti aggiuntivi delle imprese fallite o ammesse al concordato di cui all'art. 110, co. 5, lett. b), del Codice. (16) Ci si riferisce alle linee guida sulla qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all'art. 38, co. 6, del Codice. (17) Si tratta del decreto n. 49 del 7 marzo 2018, concernente le funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell'esecuzione di cui all'art. 111, co. 1, del Codice. RASSEGNA AVVoCAtURA 116 DELLo StAto - N. 2/2018 (18), per l'ultima si è deciso un rinvio per ragioni di coordinamento con altro testo (19). Sono state anche adottate alcune linee guida non obbligatorie, particolarmente attese dagli operatori: 4 in via definitiva (20), una in via di approvazione e due in attesa del parere del Consiglio di Stato (21), così come sono stati elaborati i primi due bandi-tipo (22), pure molto attesi, e per un terzo si è chiusa la consultazione pubblica. Nella redazione dei testi determinante è stato il contributo del Consiglio di Stato, cui è stato richiesto il parere e le cui osservazioni sono state sempre recepite. Anche se da più parti provengono commenti nostalgici per un ritorno al regolamento (che, è bene ricordare, fu adottato dopo quattro anni dall'entrata in vigore del precedente Codice!), continuiamo a ritenere opportuna l'opzione per una regolazione flessibile, non prescrittiva ma descrittiva, che consenta una maggiore comprensione e una più facile applicazione da parte di chi opera sul campo; è una valutazione che offriamo al legislatore, cui spetterà l'ultima parola. L'Autorità sta ponendo in essere anche altre attività per l'attuazione del Codice. Dal 15 gennaio scorso è operativa la procedura telematica per l'iscrizione delle società in house nel previsto elenco, la cui attivazione è stata preceduta dall'emanazione di linee guida e da una complessa fase di valutazione, anche in sede consultiva, di numerose richieste di chiarimento che hanno dato luogo a diversi pareri e FAQ. Al mese di marzo scorso sono giunte 500 domande, cui sono conseguite, all'esito del vaglio, già numerose iscrizioni. In dirittura d'arrivo è l'albo dei commissari di gara, che ha richiesto l'adozione di linee guida finalizzate a definite chi può iscriversi e quali requisiti morali e professionali deve possedere, nonché la progettazione e la realizza- (18) La proposta è finalizzata all'adozione del decreto di cui all'art. 83, co. 2, del Codice, relativo al sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici. (19) Si veda il Comunicato del Presidente del 9 maggio 2018 sui possibili sistemi alternativi per la qualificazione degli operatori economici cui all'art. 84, co. 12, del Codice. (20) Si tratta dei seguenti atti: linee guida n. 1 del 14 settembre 2016 (indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria); linee guida n. 2 del 21 settembre 2016 (offerta economicamente più vantaggiosa); linee guida n. 8 del 13 settembre 2017 (Ricorso a procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando nel caso di forniture e servizi ritenuti infungibili); delibera n. 556 del 31 maggio 2017 di aggiornamento della determinazione n. 4 del 7 luglio 2011 (linee guida sulla tracciabilità dei fluissi fìnanziari ai sensi dell'articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136). (21) Si tratta delle linee guida sui servizi legali, sui servizi di vigilanza privata e sulle clausole sociali. (22) Bando-tipo n. 1 del 22 novembre 2017 sull'affidamento di servizi e forniture e bando-tipo n. 2 del 10 gennaio 2018 sull'affidamento dei servizi di pulizia. Per un terzo bando-tipo, quello sui servizi di ingegneria e architettura, si è chiusa la consultazione il 13 giugno 2018. tEMI IStItUzIoNALI 117 zione dei sistemi informatici necessari per la tenuta dell'albo stesso. Auspichiamo che possa entrare in vigore, sia pure in più step, subito dopo l'estate. È stato elaborato, anche in questo caso richiedendo il parere al Consiglio di Stato, il regolamento per disciplinare le delicate funzioni di cui all'art. 211, commi 1-bis e 1-ter del Codice, che hanno opportunamente sostituito le discusse raccomandazioni vincolanti e che permettono, sulla scorta di quanto già consentito all'Antitrust, l'impugnativa dei bandi e degli altri atti di gara, esercitabile autonomamente o previa diffida alle amministrazioni a rimuovere le illegittimità riscontrate. La rilevanza del potere ha imposto la fissazione di tempi stringenti per la conclusione del procedimento e la delimitazione precisa del perimetro di intervento. Purtroppo, invece, non si è ancora concluso l'iter per l'emanazione del decreto che dovrà stabilire i criteri per la qualificazione delle stazioni appaltanti; l'Autorità ha reso al Ministero delle infrastrutture il proprio parere sullo schema di decreto ministeriale ma il testo, per le resistenze di molte amministrazioni, attende ancora il via libera definitivo della Conferenza Unificata. È un passaggio indispensabile per giungere a una gestione efficiente degli appalti, che richiederà poi un enorme impegno per l'Autorità, chiamata all'adozione delle linee guida e, successivamente, all'effettiva qualificazione. Non meno importanti rispetto a quelle già descritte sono le altre attività svolte dall'Autorità in materia di appalti, quelle cioè consultive, ispettive e di vigilanza. Con riferimento all'attività consultiva, numerose sono state le pronunce rese in sede di precontenzioso (297, di cui 35 su richiesta congiunta e quindi vincolanti per le parti), istituto che continua a riscuotere grande successo tanto che le decisioni hanno consentito il formarsi di una vera e propria giurisprudenza. Per permetterne una facile consultazione agli operatori, l'anno passato, è stata predisposta una rassegna ragionata delle decisioni in materia di avvalimento e soccorso istruttorio, disponibile sul sito; analoga operazione sarà fatta quest'anno per subappalto e partecipazione in forma aggregata. Molti sono stati anche i pareti resi al di fuori del precontenzioso (272), rilasciati quando la questione posta è di interesse non solo del richiedente ma può servire a formare un orientamento generale per amministrazioni e operatori; tutte le richieste non rientranti in tale parametro (più di 1.000!) sono state, invece, archiviate nell'ottica di ribadire che l'Autorità non svolge funzioni di consulenza e non intende ingerirsi nelle scelte discrezionali delle amministrazioni. La vigilanza in materia di lavori, servizi e forniture ha toccato molti ambiti, con circa 1.100 istruttorie aperte. Sono state oggetto di attenzione, con relativa contestazione di irregolarità, sia la costruzione di importanti infrastrutture (ad esempio, il collegamento zara-Expo, la Metro C di Roma, la Pe RASSEGNA AVVoCAtURA 118 DELLo StAto - N. 2/2018 demontana veneta e in precedenza anche la Pedemontana lombarda (23)), sia la realizzazione di importanti privatizzazioni (ci si riferisce all'acquisizione della società LGH da parte di A2A nel settore delle mu1tiuti1ity e al trasferimento di quote del capitale dell'aeroporto di Verona e della società di trasporto pubblico locale della Provincia di Genova (24)). Da segnalare anche la vigilanza effettuata su un contratto relativo a una importante trasmissione della Rai (25) (che ha consentito all'Autorità di misurarsi con le problematiche dei c.d. "contratti esclusi" e dell'utilizzo di forme negoziali non espressamente previste dal Codice); quella avviata dal Nucleo, Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza sugli appalti affidati dal Comune di Milano per l'informatizzazione degli uffici giudiziari (26) (che ha fatto emergere l'utilizzo di procedure negoziate fuori dai casi consentiti); quella inerente la gestione dei servizi idrici nella Regione Sardegna (27) (che ha evidenziato un non regolare affidamento in house a una società a partecipazione maggioritaria dell'ente); quella relativa alla gestione dei centri di accoglienza per richiedenti asilo (28) (come l'Hotspot di taranto, per il quale sono stati riscontrati eccessi di proroghe e affidamenti diretti). Sempre grazie al prezioso apporto del Nucleo anticorruzione della Guardia di Finanza sono stati controllati alcuni cantieri connessi alla ricostruzione post-terremoto del 2016, scoprendo la presenza di imprese non regolarmente autorizzate al subappalto, ed è stata effettuata un’indagine ad ampio spettro sull'avvalimento che ha coinvolto 17 stazioni appaltanti, facendo emergere diffuse pratiche elusive di cui si è data evidenza con 12 diverse delibere. L'Autorità ha poi svolto molte altre ispezioni con i propri dirigenti interni (se ne registrano 20), cui si aggiungono anche quelle effettuate dalla Ragioneria Generale dello Stato, frutto di una collaborazione avviata da anni. Nel settore della vigilanza si segnala anche l'importante attività di controllo sulle SoA, concentrata sui requisiti di imparzialità dei soci e degli amministratori, sull'assenza di conflitti di interesse e soprattutto sul rispetto dei criteri per il rilascio delle attestazioni. Con riferimento a questo ultimo profilo, nello scorso anno l'Autorità ha deliberato in tre casi la più grave sanzione della decadenza dell'autorizzazione e in un caso la sospensione di 180 giorni, cui ha fatto seguito la restituzione dell'autorizzazione. (23) Delibere n. 1202 del 22 novembre 2017, n. 228 del 2 marzo 2016, n. 829 del 27 luglio 2017 e n. 186 del 1marzo 2018. (24) Delibere n. 172 del 21 febbraio 2018, n. 189 del 1 marzo 2018 e n. 677 del 28 giugno 2017. (25) Delibera n. 173 del 21 febbraio 2018. (26) Delibera n. 1006 del 11 ottobre 2017. (27) Delibera n. 976 del 27 settembre 2017. (28) Delibera n. 199 del 1 marzo 2018. tEMI IStItUzIoNALI 119 La vigilanza dell'Autorità si è svolta anche nella forma c.d. "collaborativa", strumento che continua a riscuotere grande apprezzamento. Si tratta, come è noto, di una modalità di controllo innovativa da applicarsi a situazioni di una certa rilevanza (grandi manifestazioni sportive e culturali, infrastrutture strategiche, calamità naturali o appalti particolarmente esposti a rischi corruttivi o a infiltrazioni criminali) in cui l'Autorità, su richiesta della stessa amministrazione, verifica preventivamente le bozze degli atti di gara, secondo il c.d. “modello Expo” (29). Nel 2017 e nei primi mesi del 2018 sono stati sottoscritti 15 nuovi protocolli di intesa (30), con un incremento del 20% del numero delle procedure sottoposte al vaglio. In questo ambito rientra anche la vigilanza effettuata dall'Unità operativa Speciale (31), costituita da personale della Guardia di Finanza, un presidio nato per i controlli sugli appalti dell'Expo e poi riutilizzato per altri grandi eventi (Giubileo, lavori post-sisma e da ultimo universiade 2019), evidentemente per i risultati postivi conseguiti, come dimostrano la rapidità dellé risposte fornite (in media 3 giorni) e l'elevato tasso di adeguamento ai pareri resi (con punte di oltre il 90%). Un cenno merita anche la gestione commissariale delle imprese, che ha visto l'avvio di 26 procedimenti, 19 dei quali hanno dato vita a una proposta di comniissariamento, 5 sono stati archiviati mentre due sono in fase istruttoria. A questi si aggiungono 17 casi di "commissariamento antimafia", disposti dal Prefetto su imprese "interdette", per i quali l'Autorità ha fornito il proprio supporto sin dalla fase di valutazione dei presupposti applicativi. L'utilità pratica dell'istituto è emersa in modo evidente nel caso del commissariamento del Consorzio Colari, titolare del servizio di trattamento di gran parte dei rifiuti urbani prodotti da Roma Capitale; il Prefetto di Roma, giovandosi anche di un utile confronto con gli altri attori istituzionali (Regione, Comune, AMA e ANAC), ha disposto il commissariamento del servizio a seguito di una ordinanza contingibile e urgente adottata dalla Sindaca di Roma Capitale, evitando una sicura emergenza sanitaria e riuscendo persino a far firmare uno storico "contratto ponte" ad AMA e commissario. Nell'anno trascorso l'Autorità ha fatto anche ampio utilizzo della meno invasiva misura del sostegno e monitoraggio, richiedendola nei confronti di 7 (29) L'Autorità ha adottato per tale attività un apposito regolamento di cui alla delibera del 28 giugno 2017. (30) tra i soggetti che hanno fanno fatto richiesta di vigilanza collaborativa si annoverano la Regione Piemonte, il Commissario per i mondiali di sci di Cortina 2021, AMA S.p.A., Roma Capitale, Metropolitana di Napoli S.p.A., la Prefettura di Catania, RFI S.p.A. e il Consorzio CoCIV. (31) Nel 2017 e nei primi tre mesi del 2018 l'Unità operativa Speciale ha reso 121 pareri, di cui 66 con rilievi. RASSEGNA AVVoCAtURA 120 DELLo StAto - N. 2/2018 diverse imprese, con risultati molto efficaci sul piano dell'adozione di misure di compliance anticorruzione. gli arbitrati bancari Prima di avviarmi alle conclusioni, vorrei spendere qualche parola sugli arbitrati bancari, aventi ad oggetto l'indennizzo agli acquirenti di obbligazioni subordinate azzerate dalla liquidazione di 4 banche, una competenza prevista dalla legge di stabilità per il 2016 e su cui non erano mancate all'epoca polemiche. I decreti attuativi sono intervenuti solo nell'aprile/maggio 2017 e la nomina dei componenti dei due collegi (titolare e supplente, il primo presieduto da me e l'altro dal presidente della Camera arbitrale presso I'ANAC) vi è stata nel successivo luglio. L'Autorità e la sua Camera arbitrale, però, hanno avviato da subito il lavoro, con l'approvazione di importanti linee guida per rendere omogenea la valutazione delle violazioni degli obblighi informativi delle banche e con la stipula di convenzioni (volte a garantire il necessario supporto, anche di formazione, alle strutture di segreteria) con la Banca d'Italia e con il Fondo di solidarietà, ai quali va tutta la mia riconoscenza. Le domande di ristoro pervenute sono state oltre 1.700, per un valore complessivo di circa di 82 milioni di euro, con richieste che variano da 516 euro a poco meno di 2.000.000 euro. Il rilevante numero ha imposto di spalmare il lavoro tra i due collegi e dopo una prima udienza nel mese di dicembre, per venire incontro il più celermente possibile alle legittime attese dei risparmiatori, da metà marzo si è cominciato a tenere una udienza settimanale per entrambi i collegi, con almeno 20 ricorsi sul ruolo, cosa che ha consentito, ad oggi, già di definire circa il 25% dei casi. Un impegno notevole per i componenti dei collegi arbitrali, perché i lodi emessi, per i problemi in fatto e in diritto affrontati, sono vere e proprie sentenze. conclusioni e prospettive Le brevi considerazioni proposte consentono di formulare alcune conclusioni, anche sulle possibili prospettive future dell'Autorità. Come si è già accennato, negli anni precedenti, l'ANAC è stata destinataria di crescenti e molteplici poteri che si è provato ad esercitare per dare risposte all'altezza delle attese, risposte che, come è giusto che sia, hanno incontrato convinti consensi ma anche qualche aspra critica. Ipotesi di rafforzamento dell'Autorità sono circolate pure di recente e al di là del riconoscimento del ruolo che l'ANAC si è ritagliata nel Paese, ciò tEMI IStItUzIoNALI 121 che viene in evidenzia è la conferma, fra le direttrici della politica anticorruzione, dell'importanza del momento preventivo, sia pure in aggiunta a quello, indispensabile, della repressione penale. Un tandem, questo, che qualche risultato per il Paese ha conseguito se è vero che, nell'ultimo triennio, nelle classifiche di transparency international l'Italia ha scalato ben 15 posizioni, giungendo al 54° posto; un dato che, con tutti i limiti di un'indagine fondata sulla percezione, dimostra che i cittadini, pur continuando a ritenere alto il livello di corruzione in Italia, avvertono anche segnali di inversione. Questo segnale positivo lo abbiamo constatato con le migliaia di esposti e richieste giunti da cittadini, imprenditori e amministrazioni, alcuni dei quali forse strumentali ad ottenere una sorta di "bollino" sul loro operato, ma in gran parte avanzati con la fiducia di poter avere una risposta adeguata alle proprie esigenze. Ed è proprio partendo da queste aspettative che, nell'ottica della leale collaborazione con il legislatore, mi permetto di evidenziare quali rafforzamenti auspicheremmo. Sul piano della prevenzione sarebbe certamente utile un intervento regolatorio, da tempo atteso, sulle lobby e sulle fondazioni che si occupano di politica. Non riteniamo, invece, che l'Autorità debba essere destinataria di nuovi poteri e funzioni ma che sia piuttosto messa in condizioni di poter svolgere quelle attribuite. La qualificazione delle stazioni appaltanti, la gestione dell'albo dei commissari di gara, il rilascio del rating di impresa, la tutela dei whistleblower sono, per citarne solo alcune, funzioni delicate e complesse che entreranno a regime nel prossimo periodo e che, aggiungendosi a quelle già in essere, richiederanno un grande sforzo del personale e un'adeguata motivazione. In questo senso, è da rimarcare positivamente il passaggio, finalmente sancito con la legge di bilancio, nell'ordinamento delle autorità indipendenti, che fa venir meno una evidente discriminazione; il passaggio, però, è stato reso complicato da stratificazioni normative e da limiti di spesa che nel corso degli anni hanno finito per penalizzare, paradossalmente, solo 1'ANAC. Abbiamo anche avviato una politica di nuove assunzioni, pubblicando con non poche difficoltà un bando di concorso per 35 funzionari, che ha riscosso un grande successo, con la partecipazione di oltre 12.000 laureati. Dobbiamo, tuttavia, proseguire su questa strada per continuare a rafforzare l'organico, tramite l'immissione di giovani motivati e la valorizzazione delle professionalità interne. Il paradosso è che vi sono le risorse per fare tutto ciò e che non gravano sul bilancio dello Stato perché vengono dall'autofinanziamento, risorse che, fra l'altro, sono cresciute grazie all'eccezionale impegno degli uffici nella lotta all'evasione dei contributi da versare in sede di gara (3 milioni di euro recu RASSEGNA AVVoCAtURA 122 DELLo StAto - N. 2/2018 perati solo nell'anno scorso!), ma che non possono essere pienamente utilizzate senza un definitivo sblocco legislativo, di cui segnaliamo, quindi, la necessità. Da parte nostra, comunque, continueremo a lavorare con il massimo impegno fino al 2020, quando questo Consiglio terminerà il suo mandato, per far sì che la prevenzione si imponga, diventando un indispensabile strumento di efficienza del sistema e non un intralcio burocratico. Lo faremo guardando soprattutto ai giovani e al loro futuro perché, per citare le parole del Papa, "non devono abituarsi mai alla corruzione, perché quello che lasciamo passare oggi, domani si ripresenterà, finché ci faremo l'abitudine e anche noi ne diventeremo ingranaggio indispensabile". So di poter concludere con questi auspici anche a nome degli altri colleghi e amici che compongono il Consiglio dell'Autorità - Michele Corradino, Francesco Merloni, Ida Angela Nicotra e Nicoletta Parisi - e del Segretario Generale, Angela Lorella Di Gioia, che ringrazio per il loro impegno e abnegazione. Lasciatemi esprimere un profondo ringraziamento al Signor Presidente della Repubblica, che, con il suo autorevole magistero, non manca mai di indicare la corruzione come un male assoluto da combattere. Un ringraziamento va a tutte le Magistrature, all'Avvocatura Generale dello Stato per il costante supporto che ci assicura, e alle altre Autorità indipendenti con cui abbiamo costruito rapporti stabili e di proficua collaborazione. Un sentito ringraziamento va ai vertici della Guardia di Finanza, che ci forniscono un sostegno indispensabile per il nostro lavoro, oltre che attraverso il Nucleo Speciale Anticorruzione anche mediante le altre unità che operano stabilmente in ANAC. Un ringraziamento speciale a quei dirigenti, funzionari e dipendenti dell'Autorità che con l'impegno quotidiano e l'alta professionalità dimostrati hanno consentito il raggiungimento dei risultati fin qui ottenuti. CONTENZIOSO NAZIONALE La possibile confusione tra il provvedimento di modifica delle circoscrizioni comunali e la determinazione dei confini tra comuni Nota a CoRte CostituzioNaLe 9 febbRaio 2018 N. 21 Antonio Mitrotti* L’art. 133 della Carta costituzionale dispone, al suo secondo comma, che il legislatore regionale possa procedere ad istituire nel proprio territorio nuovi Comuni ed a modificare le circoscrizioni comunali - e le relative denominazioni - previa consultazione delle “popolazioni interessate” (1): il che - è bene precisare - si applica anche nel caso in cui la modifica circoscrizionale non sia conseguenza dell’istituzione di un nuovo Comune ma l’effetto di una semplice variazione delle circoscrizioni tra Comuni. trattasi della consacrazione a livello costituzionale di un fondamentale principio partecipativo per le popolazioni locali destinatarie degli effetti di un procedimento legislativo dal carattere marcatamente provvedimentale: a ben riflettere, infatti, il rapporto tra la delibera di indizione del referendum consultivo e l’adozione della legge regionale - conclusiva del procedimento ex art. 133, c. 2, Cost. - si configura come tipica espressione di un vero e proprio provvedimento a formazione progressiva, dove l’organo politico - in questo (*) Già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato, Dottorando di ricerca, abilitato all’esercizio della professione forense. (1) L’esatta individuazione di cosa debba intendersi per ‘popolazioni interessate’ ha, invero, dato luogo a numerosissimi problemi di carattere applicativo, per una sintetica ricostruzione giurisprudenziale sul punto P. CAretti - G. tArLi BArBieri, Diritto Regionale, torino, 2007, p. 207. Per un approfondimento dell’istituto referendario nei procedimenti ex artt. 132 e 133 Cost., t.F. GiuPPoni, Le “popolazioni interessate” e i referendum per le variazioni territoriali, ex artt. 132 e 133 Cost.: territorio che vai, interesse che trovi, in Le Regioni, n. 3/2005, pp. 417-430. rASSeGnA AvvoCAturA 124 DeLLo StAto - n. 2/2018 caso il Consiglio regionale - è tenuto a tener conto della volontà espressa dalle popolazioni locali interessate: «componendo nella propria esclusiva valutazione discrezionale gli interessi, sottesi alle valutazioni, eventualmente contrastanti, emersi nella consultazione» (C. cost. sent. n. 94 del 2000); con l’unica dovuta precisazione per cui, in ogni caso, la legge regionale di variazione circoscrizionale non è mai un provvedimento di mera ratifica dell’esito referendario - come sarebbe una legge di approvazione di un atto amministrativo - bensì, pur sempre, una “scelta politica del Consiglio regionale”, ossia la sintesi di un vero e proprio atto politico, per quanto, ad onor del vero, vincolato (sotto il pregnante profilo procedimentale) a dover tener conto, comunque, della volontà espressa dalle popolazioni interessate dal provvedimento conclusivo del procedimento. una conferma, di carattere applicativo, sulla natura provvedimentale della legge disciplinante il procedimento di modifica circoscrizionale dei Comuni è rinvenibile, per altro, nello stesso sindacato giurisdizionale che il Giudice Amministrativo (2) - in deroga al principio che esclude la sindacabilità di qualsivoglia atto interno al procedimento legislativo - può venire ad esercitare sulla legittimità del referendum consultivo espletato ai sensi dell’art. 133, comma secondo, Cost.: sul punto si è, per altro, autorevolmente espressa - ed in questi stessi termini - una recentissima pronuncia della Corte costituzionale (3), del 12 gennaio 2018, n. 2 (4). Si è giunti, in buona sostanza, ad interpretare il secondo comma dell’art. 133 Cost. nel senso di attribuire alla legge regionale modificativa delle circoscrizioni comunali la natura di una vera e propria legge-provvedimento (5) che (2) in merito al sindacato che il Giudice Amministrativo può esercitare sugli atti di indizione del referendum - sebbene atti interni al procedimento legislativo - nonché sul rapporto con il sindacato di costituzionalità si veda C. cost., sent. 13 febbraio 2003, n. 47. (3) C. cost., sent. 12 gennaio 2018, n. 2, Par. 4, ultimo periodo, del Considerato in diritto: «si è così ammesso che il giudice amministrativo possa essere investito del giudizio su un atto che integra una fase interna al procedimento che conduce alla legge di variazione circoscrizionale (si intende, nei casi in cui il legislatore regionale abbia così disciplinato il referendum consultivo). e si è in tal modo derogato, per questo specifico procedimento (e sempre per i casi in cui l’ordinamento regionale configuri il referendum consultivo come fase interna al procedimento legislativo), alla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 226 del 1999), nonché a quella amministrativa (Consiglio di stato, sezione quinta, sentenza 27 settembre 1993, n. 1301), che - in generale - escludono la sindacabilità nel processo amministrativo degli atti interni al procedimento legislativo». (4) Per una preziosa e completa analisi dei termini della pronuncia si rimanda a quanto sviluppato da F. GueLLA, Le leggi-provvedimento come atti di non mera approvazione: dall’ipotizzata consequenzialità al referendum della legge di variazione delle circoscrizioni comunali alla riserva del sindacato alla giurisdizione di costituzionalità, in osservatorio aiC, n. 1/2018, 15 marzo 2018. (5) emblematica la ricostruzione della Consulta nelle motivazioni della recente sentenza del 12 gennaio 2018, n. 2, Par. 4 del Considerato in diritto, dove è stato sinteticamente puntualizzato che: «Compete ovviamente alla Regione, infine, l’approvazione della legge con cui è disposta la singola variazione circoscrizionale. e proprio con riferimento alle leggi regionali che, di volta in volta, determinano la variazione in esame, questa Corte ha precisato si tratta di leggi-provvedimento caratterizzate ContenzioSo nAzionALe 125 presuppone per il suo iter procedimentale l’espletamento - ferma restando la garanzia di piena libertà nelle modalità attuative - del referendum consultivo popolare, quale fase (endoprocedimentale) obbligatoria; il cui esito, ad onor del vero, difficilmente potrebbe essere disatteso dallo stesso Consiglio regionale. Detto in altri termini, le leggi regionali finalizzate alla variazione delle circoscrizioni territoriali dei Comuni sono tipiche leggi-provvedimento - nonché, per altro, delle ‘leggi atipiche’ (6) - caratterizzate da un aggravamento procedurale disposto da fonte costituzionale e regolato, quanto al suo ambito applicativo, dalle fonti regionali (7). il problema è che in ambito applicativo - e nella fase attuativa dell’art. 133, c. 2, Cost. - non sempre il legislatore regionale ha previsto forme di consultazione popolare: è il caso, ad esempio, venuto all’esame della Consulta con la recente pronuncia del 9 febbraio 2018, n. 21. La Corte, nel sollevato giudizio di legittimità costituzionale - proposto in via principale - dell’art. 1 della legge n. 4 del 16 marzo 2017 della regione autonoma Sardegna, ha preliminarmente precisato la portata applicativa del principio partecipativo contemplato dall’art. 133, secondo comma, Cost., puntualizzandone il suo carattere generale, posto che - per quanto destinato ratione materiae per le regioni a statuto ordinario - è da considerarsi principio vincolante anche per le stesse regioni a statuto autonomo (8); la ratio dell’istituto partecipativo è, infatti, da dover rinvenire nel: «principio di autodeterminazione delle popolazioni locali [vincolante] anche le Regioni a statuto speciale, le quali restano peraltro libere di dare attuazione a tale principio nelle forme procedimentali ritenute più opportune (sentenza n. 453 del 1989)» (9). in seconda battuta, poi, la Corte costituzionale ha ribadito che la procedura legislativa aggravata di cui all’art. 133, secondo comma, debba trovare applicazione - con il conseguente espletamento della consultazione popolare - anche nella peculiare ipotesi in cui la variazione circoscrizionale non sia la diretta conseguenza dell’istituzione di un nuovo Comune. Per queste ragioni la Consulta, con sentenza n. 21 del 9 febbraio 2018, ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti della impugnata legge regionale sarda, con l’annullamento, dunque, di una legge-provvedimento di modifica delle circoscrizioni comunali perché da un aggravamento procedurale imposto dal ricordato art. 133, secondo comma, Cost. (sentenze n. 36 del 2011 e n. 47 del 2003)» . (6) Sulle peculiarità proprie delle leggi rinforzate nonché, specialmente, sulle fonti atipiche, si veda, ex multis, r. Bin - G. PitruzzeLLA, Diritto costituzionale, torino, 2016, pp. 378-384. (7) Sulla natura del procedimento legislativo di modificazione delle circoscrizioni territoriali comunali - nel senso di iter adottivo di una legge-provvedimento - si veda, in modo particolare, C. cost., sent. 9 febbraio 2011, n. 36. (8) C. cost., sent. 9 febbraio 2018, n. 21, Par. 2.4 del Considerato in diritto. (9) C. cost., sent. 9 febbraio 2018, n. 21, Par. 2.4 del Considerato in diritto. rASSeGnA AvvoCAturA 126 DeLLo StAto - n. 2/2018 adottata in assenza dell’espletamento della fase endoprocedimentale - obbligatoria - di consultazione delle popolazioni comunali interessate. Di particolare interesse, per altro, è mettere in evidenza come la Corte abbia respinto una specifica eccezione sollevata dalla regione Sardegna: a mente della difesa regionale, infatti, la mancanza di una consultazione popolare sarebbe stata - invero - giustificata dall’adozione di un procedimento legislativo ben differente rispetto all’istituto di modifica delle circoscrizioni comunali, riconducendo, cioè, la norma oggetto impugnata nel giudizio di costituzionalità ad una diversa fattispecie astratta, inquadrabile nell’istituto della ‘determinazione dei confini comunali’ (10). viene, così, in rilievo una distinzione teorica fondamentale, alimentata, del resto, dal fatto che nella prassi è ingenerata una non infrequente erronea confusione: probabilmente dettata dalla particolare problematicità nell’individuare il vero discrimen intercorrente tra la modifica delle circoscrizioni comunali che - si badi - non importi l’istituzione di un nuovo Comune e la ‘determinazione dei confini tra Comuni’. utile, preliminarmente, puntualizzare come per la giurisprudenza costituzionale la fase consultiva delle popolazioni comunali interessate debba sempre essere espletata anche allorché si provveda ad una semplice variazione delle circoscrizioni tra Comuni (11). L’art. 133, secondo comma, Cost. fa riferimento, infatti, a due distinte fattispecie astratte: in primis è contemplato il caso della nuova istituzione di un Comune; in secondo - e distinto - luogo è prevista la possibilità di adozione di un provvedimento legislativo di modifica delle circoscrizioni comunali e delle loro denominazioni; da precisare, aggiuntivamente, è che, fra l’altro, la fase della consultazione deve svolgersi sempre ed a prescindere dal numero di soggetti interessati e dall’entità dell’intervento legislativo regionale di modifica delle circoscrizioni comunali (12). né ha rilevanza alcuna - come stigmatizzato dalla Consulta - che (al fine di ‘compensare’ il gap procedimentale della mancata consultazione popolare) (10) il provvedimento di ‘determinazione dei confini tra Comuni’ limitrofi sorge dalla necessità di dare risoluzione a una controversia piuttosto antica: che si realizza allorché due Comuni vantino entrambi un diritto di supremazia su una stessa porzione limitrofa di territorio. naturalmente il conflitto di interessi non può che trovare soluzione in un’attività ricognitiva finalizzata all’adozione di un provvedimento che accerti un confine già esistente. nel regime previgente la materia era disciplinata dalla disposizione di cui all’art. 267 del t.u.L.C.P., n. 383 del 1934, poi abrogato ad opera del t.u.e.L. Attualmente la materia rientra proprio tra le competenze legislative regionali, salvo, ovviamente, che si tratti della determinazioni dei confini tra Comuni appartenenti a regioni diverse, nel qual caso la competenza a regolare l’actio finium regundorum rientrerebbe tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato. (11) Sul punto si confronti C. cost., sent. 23 giugno 2010, n. 214; nonché con specifico riferimento al caso di una regione a statuto autonomo, C. cost., sent. 27 luglio 1989, n. 453. (12) Sulla prescritta necessità che la consultazione popolare avvenga a prescindere dal numero dei soggetti interessati e dall’entità dell’intervento legislativo regionale, C. cost., sent. 6 luglio 1994, n. 279. ContenzioSo nAzionALe 127 i Consigli comunali interessati e il Consiglio regionale si esprimano all’unanimità: «poiché l’interesse garantito dall’obbligo di consultazione è riferito direttamente alle popolazioni e non agli enti territoriali (sentenza n. 94 del 2000)» (13). La fase endoprocedimentale della consultazione popolare non è, al contrario, costituzionalmente obbligatoria per il provvedimento di ‘determinazione dei confini tra Comuni’: ipotesi, questa, che si verifica allorché il confine tra due o più Comuni - anche se di Province diverse - non sia delimitato da segni naturali facilmente riconoscibili e sia, comunque, connotato di notevoli incertezze fisiche. Distinta, appare chiaro, è la ratio tra gli istituti di modifica delle circoscrizioni comunali e quello di determinazione dei confini tra Comuni: nella prima ipotesi si tratta infatti di un provvedimento legislativo di modificazione “reale” delle circoscrizioni comunali, ovvero di un provvedimento dal carattere costitutivo che affonda le proprie radici ‘costituzionali’ (ex art. 133, c. 2, Cost.) nella funzione di andare ad innovare (e modificare appunto) la realtà istituzionale esistente, ragion per cui è presupposto un puntuale e ponderato procedimento legislativo, aggravato proprio dalla fase partecipativa delle popolazioni interessate; nel secondo caso - quello di adozione del distinto provvedimento di determinazione dei confini tra Comuni limitrofi - si è al cospetto, invece, di un semplice provvedimento dalla natura puramente accertativa di una situazione incerta. La ‘determinazione dei confini tra Comuni’ si configura, infatti, come un provvedimento ‘tecnico’ - e non come un atto politico - dal carattere puramente accertativo (14), che non innova in alcun modo la realtà giuridica preesistente, contribuendo soltanto ad accertare e definire precisamente quella già in atto: appare evidente dunque - e superando ogni possibile confusione teorica - la distinta natura giuridica con il provvedimento di modifica delle circoscrizioni comunali, come altrettanto evidente è anche la giustificata differenza costituzionalmente prevista nell’aggravamento del procedimento da dover seguire, lampante, in maniera particolare, nella fase consultiva delle popolazioni comunali destinatarie del provvedimento di modifica (effettiva e reale) delle circoscrizioni. in conclusione, alla luce di codeste evidenti differenze teoriche - insistenti su natura, presupposti ed effetti - tra il provvedimento di modifica circoscrizionale dei Comuni e quello di determinazione dei confini (incerti) tra Comuni limitrofi, si pone come necessario l’esprimere per il futuro il dovuto monito nei confronti degli amministratori regionali, affinché continuino a mantenere fermo (13) C. cost., sent. 9 febbraio 2018, n. 21, Par. 3 del considerato in diritto. (14) Sul carattere accertativo del provvedimento di determinazione dei confini tra Comuni, t.A.r. Sardegna-Cagliari, Sez. ii, 9 marzo 2015, n. 417; in linea, quest’ultima pronuncia, con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa prevalente, consolidatosi, anche, presso il Supremo Consesso Amministrativo; tra le sentenze più significative, C.d.S. Sez. iv, 2 maggio 2005, n. 1136. rASSeGnA AvvoCAturA 128 DeLLo StAto - n. 2/2018 il distinguo tra l’operatività dei due istituti, specie perché - entrambi appartenenti alla competenza del legislatore regionale - facilmente potrebbero, ambiguamente, andare confusi, benché, come posto in luce, siano totalmente differenti e lontani nelle coordinate teoriche: particolarmente nella fase di consultazione delle popolazioni comunali destinatarie degli effetti del provvedimento (15). Corte Costituzionae, sentenza 9 febbraio 2018 n. 21 - Pres. Lattanzi, Red. zanon - Giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della regione autonoma della Sardegna 16 marzo 2017, n. 4 (ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e tresnuraghes), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-23 maggio 2017, depositato in cancelleria il 23 maggio 2017 ed iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2017 - avv. Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e avv.ti Mattia Pani e Alessandra Camba per la regione autonoma della Sardegna. Considerato in diritto 1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, propone questioni di legittimità costituzionale in via principale dell’art. 1 della legge della regione autonoma Sardegna 16 marzo 2017, n. 4 (ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e tresnuraghes), per violazione degli artt. 3 e 45 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione. osserva il ricorrente che la disposizione impugnata - la quale ridefinisce i confini tra i Comuni di Magomadas e tresnuraghes, operando una permuta di porzioni di territorio tra i due Comuni, con conseguente incremento della popolazione residente in favore del Comune di tresnuraghes e decremento demografico nel Comune di Magomadas - è stata approvata senza previa consultazione della popolazione interessata dalla variazione delle circoscrizioni comunali. Per tale ragione, essa si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 45 dello statuto speciale per la Sardegna, il primo dei quali riserva alla regione autonoma della Sardegna la potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e relative circoscrizioni, mentre il secondo stabilisce che la regione può con legge istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni «sentite le popolazioni interessate». La disposizione impugnata sarebbe inoltre lesiva dell’art. 133, secondo comma, Cost., il quale - analogamente al ricordato art. 45 dello statuto speciale - prevede che la regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni. 2.– La difesa regionale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, per plurime ragioni. 2.1.– Con le prime due eccezioni, assume che il ricorrente, pur riconoscendo che alla re- (15) Più diffusamente sulle peculiari differenze tra il provvedimento di modifica circoscrizionale e la ‘determinazione dei confini tra Comuni’ - tratteggiate nella presente nota a sentenza - si rimanda, in particolar modo, a due risalenti, quanto consolidate, decisioni: C. cost., sent. 30 giugno 1988, n. 743 e, la successiva pronuncia C. cost., sent. 16 febbraio 1993, n. 55. ContenzioSo nAzionALe 129 gione autonoma della Sardegna spetta una potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e relative circoscrizioni, avrebbe «del tutto contraddittoriamente» promosso il ricorso «a tutela di norme statutarie e di una competenza legislativa che afferma non essere propria». Aggiunge altresì la resistente che l’Avvocatura generale dello Stato non avrebbe indicato l’interesse che intende tutelare a mezzo delle questioni di legittimità costituzionale promosse. Palesemente infondata è l’eccezione d’inammissibilità del ricorso perché il Governo non avrebbe indicato l’interesse da tutelare lamentando la violazione, da parte della legge regionale, di norme dello statuto speciale per la Sardegna. Quest’ultimo, in quanto legge costituzionale, svolge a pieno titolo la funzione di parametro di legittimità costituzionale nei confronti di tutta la legislazione ordinaria, statale e regionale, e lo Stato è chiamato a garantirne il rispetto. L’interesse a ricorrere, in altre parole, è in re ipsa. A diversa conclusione si deve giungere per la censura formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento all’art. 3 dello statuto di autonomia, il quale attribuisce alla regione autonoma della Sardegna una potestà legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e relative circoscrizioni». il ricorrente, infatti, da un lato riconosce che in tale materia la regione autonoma della Sardegna gode della più ampia autonomia legislativa, al fine di argomentare che tale competenza deve essere esercitata in conformità dell’art. 45 dello statuto speciale; dall’altro, però, eccepisce la violazione del citato art. 3. Come è evidente, quest’ultima disposizione costituisce un presupposto argomentativo del ricorso, a giustificazione della violazione dell’art. 45 dello statuto medesimo, ma non può al contempo fungere da parametro rispetto al quale verificare la legittimità costituzionale della legge impugnata. La questione posta con riferimento all’art. 3 dello statuto speciale è pertanto inammissibile. 2.2.– non fondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di adeguata motivazione delle censure. Sia pure sinteticamente, infatti, il ricorso statale individua esattamente la questione, indicando le norme regionali e i parametri costituzionali, ed espone le ragioni per la quali il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la legge regionale impugnata sia costituzionalmente illegittima, citando anche - a conforto delle proprie argomentazioni - la giurisprudenza costituzionale in materia (ex multis, sentenze n. 81 del 2017, n. 252 e n. 228 del 2016). 2.3.– Pure non fondata è l’eccezione d’inammissibilità per ipoteticità delle censure, sostenuta allegando che il ricorrente non avrebbe chiarito le ragioni per le quali le comunità interessate sarebbero pregiudicate dalla modificazione dei confini disposta dalla legge impugnata. vero che il ricorrente non spende argomenti in ordine all’interesse delle comunità interessate rispetto alla variazione circoscrizionale: ma non è tenuto a farlo né lo potrebbe. Lo Stato, infatti, può lamentare la violazione del procedimento per la variazione delle circoscrizioni comunali e, in particolare, la mancata consultazione delle popolazioni interessate, poiché tale onere procedimentale è imposto da disposizioni di rango costituzionale a garanzia del principio di autodeterminazione delle popolazioni interessate. non gli appartiene, invece - attraverso un riferimento all’interesse delle popolazioni la cui posizione è incisa dalla legge - svolgere una valutazione sul merito della scelta discrezionale assunta dal Consiglio regionale all’esito del procedimento legislativo (sentenze n. 2 del 2018 e n. 94 del 2000). 2.4.– eccepisce infine la difesa regionale che il ricorrente ha lamentato la violazione di una disposizione costituzionale - l’art. 133, secondo comma, Cost. - riferibile soltanto alle regioni a statuto ordinario e non a quelle speciali. rASSeGnA AvvoCAturA 130 DeLLo StAto - n. 2/2018 il ricorrente, in effetti, assume che la legge reg. Sardegna n. 4 del 2017 sarebbe stata adottata in violazione, oltre che dell’art. 45 dello statuto speciale per la Sardegna, anche dell’art. 133, secondo comma, Cost. Quest’ultimo parametro - a suo avviso - porrebbe principi certamente applicabili anche al caso in esame, considerato, tra l’altro, l’identico tenore delle due disposizioni. L’eccezione non è fondata, poiché questa Corte ha già affermato che l’art. 133, secondo comma, Cost., certamente destinato alle regioni a statuto ordinario, tuttavia vincola, nella parte in cui riconosce il principio di autodeterminazione delle popolazioni locali, anche le regioni a statuto speciale, le quali restano peraltro libere di dare attuazione a tale principio nelle forme procedimentali ritenute più opportune (sentenza n. 453 del 1989). Per questa parte, e in questi limiti, il parametro è correttamente evocato. 3.– La questione è fondata. in primo luogo, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa regionale, questa Corte ha già in più occasioni affermato, con riferimento all’art. 133, secondo comma, Cost., che tale disposizione impone di sentire le popolazioni interessate anche quando, come accaduto nella vicenda da cui origina la presente questione, la variazione circoscrizionale non è diretta conseguenza dell’istituzione di un nuovo Comune. L’identico tenore testuale dell’art. 45 dello statuto della regione autonoma Sardegna comporta che alla medesima conclusione si debba giungere anche in riferimento a tale disposizione. Le popolazioni interessate, quindi, devono essere sentite anche qualora si proceda alla mera variazione delle circoscrizioni di due Comuni (sentenze n. 214 del 2010 e n. 279 del 1994, nonché, con riferimento ad una regione a statuto speciale, sentenza n. 453 del 1989). Peraltro, nella sentenza n. 214 del 2010 questa affermazione è stata svolta proprio in relazione all’ipotesi di permuta e/o cessione di terreni voluta da due amministrazioni comunali confinanti. inoltre, non ha peso l’obiezione della difesa regionale, che sottolinea il limitato impatto della variazione nonché il basso numero dei cittadini ad essa interessati. infatti, nella sentenza n. 279 del 1994, questa Corte ha precisato che la consultazione deve svolgersi a prescindere dal numero dei soggetti interessati e dalla scarsa entità dell’intervento. È, inoltre, pacifico che non garantisce il rispetto del principio di autodeterminazione delle popolazioni interessate la circostanza che la richiesta di variazione sia originata da un’istanza dei cittadini (nel caso in esame, da una petizione che, sulla base della documentazione prodotta dalla regione, risalirebbe, peraltro, al 1991). Questa Corte, infatti, ha già affermato che «la sottoscrizione di dette istanze costituisce un modo di espressione dell’opinione che non offre garanzie circa la libertà di ciascuno in relazione a possibili condizionamenti esterni» e, soprattutto, che «altro è il momento dell’iniziativa altro è quello della consultazione vera e propria » (sentenza n. 453 del 1989). né, infine, rileva che i Consigli comunali interessati e il Consiglio regionale si siano espressi all’unanimità, poiché l’interesse garantito dall’obbligo di consultazione è riferito direttamente alle popolazioni e non agli enti territoriali (sentenza n. 94 del 2000). La legge reg. Sardegna n. 4 del 2017 si pone, quindi, in contrasto con l’art. 45 dello statuto speciale poiché ha determinato una sia pur limitata variazione delle circoscrizioni comunali, senza previamente e direttamente sentire le popolazioni interessate, violando altresì il principio, desumibile dall’art. 133, secondo comma, Cost., che garantisce in materia la loro autodeterminazione. 4.– Si deve aggiungere che la tesi della difesa regionale, secondo la quale le popolazioni interessate devono essere sentite solo quando la variazione circoscrizionale consegua all’isti ContenzioSo nAzionALe 131 tuzione di un nuovo Comune, è smentita dal tenore letterale della legge della regione autonoma della Sardegna 30 ottobre 1986, n. 58 (norme per l’istituzione di nuovi comuni, per la modifica delle circoscrizioni comunali e della denominazione dei comuni e delle frazioni), che regola, in via generale, i procedimenti per l’istituzione di nuovi Comuni, per la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni, nonché lo svolgimento dei referendum consultivi previsti dall’art. 45 dello statuto speciale. tale legge, al titolo i, regola un procedimento nel cui ambito le popolazioni interessate devono essere sentite tramite un referendum consultivo. Questo procedimento, come emerge dalla rubrica del titolo in questione (istituzione e modifica delle circoscrizioni e delle denominazioni dei Comuni), è applicabile in tre distinte ipotesi: istituzione di Comuni, modifica delle circoscrizioni comunali e mutamento delle denominazioni dei Comuni. il fatto che tale procedura si applichi anche in caso di modifica delle circoscrizioni, senza istituzione di un nuovo Comune, come nella fattispecie in esame, è confermato dall’art. 4, il quale, nel disciplinare l’iniziativa del procedimento di variazione, la attribuisce ad un quinto degli elettori residenti nella «frazione o territorio che si chiede […] di trasferire ad altro comune », ovvero nel «comune che si chiede di aggregare ad altro contermine» o in uno dei «comuni che si chiede di fondere». ne risulta che la legge regionale impugnata è costituzionalmente illegittima perché non è stata approvata alla luce del procedimento descritto, bensì, erroneamente, secondo la ben diversa procedura disciplinata al titolo ii della legge reg. Sardegna n. 58 del 1986, nell’ambito del quale non è, invece, data la possibilità di indire una consultazione popolare. tale procedimento si applica nei casi di «Determinazione dei confini» (art. 16), ossia «[q]ualora il confine tra due o più comuni, anche se di province diverse, non sia delimitato da segni naturali facilmente riconoscibili o comunque dia luogo ad incertezze», e di «Definizione dei confini» (art. 17), «[q]uando due o più comuni, anche se di province diverse, rivendichino un diritto di supremazia su uno stesso territorio o i cui confini, comunque, siano contestati». in tali ipotesi non è necessario sentire le popolazioni interessate, poiché – appunto – non si tratta di variare le circoscrizioni comunali, bensì di definire una situazione di incertezza. Questa stessa Corte ha messo in luce la differenza tra le due fattispecie (sentenze n. 55 del 1993 e n. 743 del 1988). nel caso ora in esame, alla luce della documentazione allegata alla legge impugnata e a quella prodotta dalla difesa regionale, risulta chiaro che non vi era alcuna incertezza sulla delimitazione dei confini dei due Comuni e che la decisione di variarne le circoscrizioni è stata dettata da esigenze di razionalizzazione relative allo sviluppo urbanistico di determinate zone: esigenze che, in base allo statuto speciale e alla stessa legge reg. Sardegna n. 58 del 1986, non possono escludere la consultazione delle popolazioni interessate. Per QueSti Motivi LA Corte CoStituzionALe dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della regione autonoma della Sardegna 16 marzo 2017, n. 4 (ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e tresnuraghes). Così deciso in roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2018. rASSeGnA AvvoCAturA 132 DeLLo StAto - n. 2/2018 Sulla natura giuridica della FIGC come organismo di diritto pubblico Antonio Mitrotti* the purpose of creating a common market inspired the founding principles of the european union Law. Particularly the instruments for the developing a single market are three: a) the fundamental liberties of circulation; b) prohibiting the member states from providing financial support for economic operators; c) the guarantee of competition. these three principles influenced the way we define the public italian administration, by guiding the rules of public accounting and influencing the demands of privatization originated in order to pursue the efficiency of the services provided on the market, and especially so as to avoid the undue influences by the public authorities. body of public law was the reply given by the community jurisprudence, during the spread of the administrative divisions and the uncertainties of applying the regime inherent in the rules of public facts. in particular the european directives and the code of contracts accepted the valuable suggestions of the community jurisprudence. Lazio Regional administrative Court recognized fiGC as a body of public law thanks to those prerequisites, by canceling the deeds of a procedure started by the sport federation for the entrustment of services. sommaRio: 1. Premessa - 2. sull’organismo di diritto pubblico - 3. Le conferme dalla recente sentenza del taR Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100. 1. Premessa. L’obiettivo di creazione di un mercato comune - tanto desiderato dai Padri fondatori dell’attuale unione europea (1) - ha ispirato, come noto, i principi fondativi del vigente diritto unionale, che, sin dall’origine dei trattati istitutivi della Comunità europea, affonda ogni proprio provvedimento nella precipua volontà di favorire un unico mercato interno che sia caratterizzato e contraddistinto dall’eliminazione di qualsivoglia ostacolo alla libera circolazione di persone, merci, servizi e di capitali. tre, in particolare, sono stati gli strumenti realizzativi del processo di integrazione che ha contraddistinto la creazione del mercato unico europeo (2): (*) Già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato, Dottorando di ricerca, abilitato all’esercizio della professione forense. (1) nell’ambito dell’ampia letteratura sul punto, appare prezioso il rinvio a u. DrAettA, elementi di Diritto dell’unione europea. Parte istituzionale. ordinamento e struttura dell’unione europea, Milano, 2009, p. 20. (2) Per la sintesi dei principi costitutivi del mercato unico europeo, nonché per una preziosa ricostruzione delle vicende istituzionali (nonché costituzionali) dell’unione europea, r. Bin - G. PitruzzeLLA, Diritto Costituzionale, torino, 2016, pp. 100-143. ContenzioSo nAzionALe 133 a) in primis, ha rivestito portata dirimente la garanzia delle c.d. quattro libertà fondamentali dell’unione, ovvero le libertà di circolazione di lavoratori, merci, servizi e capitali; b) in secondo luogo, ha incarnato un peso ‘decisivo’ il divieto per gli Stati membri di erogare nei confronti degli operatori economici aiuti finanziari che potessero distorcere il mercato comune; c) da ultimo - e con funzione strumentale rispetto ai primi due - la necessaria tutela e garanzia della concorrenza. Quanto questi tre fondamentali principi normativi, sottesi ai trattati europei, abbiano influenzato il diritto amministrativo interno meriterebbe una trattazione ad hoc, nonché oggetto di approfondimenti in separata sede. Sia sufficiente, tuttavia, mettere in evidenza due significative, e preliminari, osservazioni: da un lato è incontrovertibile, ad oggi, che il diritto europeo abbia influenzato, con decisività, il modo stesso di definire per il legislatore nazionale che cosa sia la “pubblica amministrazione” e cosa no (3); dall’altro lato - ed in maniera altrettanto pacifica - è evidente che, sin da quando il nostro Paese dovette adeguarsi ai parametri di Maastricht, il sistema di contabilità pubblica delle amministrazioni (4) sia stato pressoché “guidato” dalle regole contabili che l’italia si è impegnata solennemente a perseguire a livello europeo e internazionale (5), oltre che - è significativo puntualizzare - a livello costituzionale interno, con la modificazione degli articoli 81, 97, 117 (6) e 119 Cost., in forza dell’entrata in vigore della legge costituzionale del 20 aprile 2012, n. 1. Quanto fin qui premesso fa da pendant per introdurre il peculiare ruolo di una figura ‘relativamente’ nuova per l’organizzazione amministrativa italiana, qual è oggi l’organismo di diritto pubblico, soprattutto affinché poter meglio comprendere la ricostruzione argomentativa che ha condotto il tAr Lazio - con la recente sentenza del 13 aprile 2018, n. 4100 - a sottoporre la FiGC - reduce, per altro, dalla cocente delusione per la mancata qualificazione al mondiale della nostra nazionale - al regime contemplato dal vigente D.lgs. 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) che, come noto, è stato proprio (3) utili, sul punto, gli approfondimenti in D. urAniAGALettA (a cura di), Diritto amministrativo nell’unione europea. argomenti e materiali, torino, 2014. (4) Per una lucida ed aggiornata analisi tecnica della complessa materia di contabilità delle pubbliche amministrazioni, M. FrAtini, Compendio di Contabilità Pubblica, roma, 2017; si confronti, in particolar modo, l’approfondimento in tema di organismo di diritto pubblico, pp. 6-9. (5) non è casuale la distinzione tra impegni europei ed impegni internazionali: giova sottolineare, solo per un esempio, come il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’unione europea - firmato il 2 marzo 2012 e la cui parte fondamentale è rinvenibile nel “patto di bilancio” (comunemente noto come fiscal Compact) - costituisca un vero e proprio trattato internazionale stipulato al di fuori dei trattati su cui è istituita l’unione europea. (6) Preziosa e significativa appare la ricostruzione giurisprudenziale sulle materie di legislazione esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, c. 2, lett. e, Cost., sviluppato nel contributo di A. SAnDuLLi, La concorrenza nei servizi pubblici e negli appalti: tra sentenze della Corte costituzionale. Report annuale 2011. italia, in ius PubLiCum NetWoRK ReVieW, aprile, 2011. rASSeGnA AvvoCAturA 134 DeLLo StAto - n. 2/2018 posto in essere a recepimento - pressoché fedele - del contenuto delle direttive europee 2014/23/ue, 2014/24/ue e 2014/25/ue del 26 febbraio 2014, a loro volta confermative di quanto già precedentemente statuito con l’assetto normativo europeo disposto con le direttive nn. 17 e 18 del 2004. 2. sull’organismo di diritto pubblico. L’obiettivo di un mercato unico - unitamente al divieto per gli Stati membri di apprestare aiuti finanziari per le imprese operanti sul mercato e alla fondamentale garanzia del valore della concorrenza per gli operatori economici produttori di beni e servizi - è stato l’input decisivo affinché - salva l’imprescindibile distinzione tra la funzione amministrativa e il servizio (7) - si innescasse un processo in cui si è realizzata: «l’evoluzione del diritto pubblico dell’economia che […] ha visto una ritrazione dello stato dall’intervento diretto nell’attività di impresa ed un connesso utilizzo di strumenti privatistici nell’erogazione dei servizi pubblici, [il che] ha imposto la necessità di un nuovo inquadramento giuridico dei soggetti di diritto sorti per effetto del fenomeno delle privatizzazioni. Questa trasformazione epocale dell’assetto proprietario e gestionale dell’esercizio dell’impresa pubblica ha reso necessaria una riconsiderazione delle categorie concettuali di riferimento» (8). in termini di organizzazione delle amministrazioni pubbliche, la nozione di amministrazione italiana - la cui definizione sfugge, di per sé, ad una concezione unitaria (9) - è stata sempre più influenzata dall’utilizzo di strumenti privatistici, vuoi per l’esigenza - maturata anche alla luce delle pregresse esperienze negative - di esercitare attività imprenditoriali in modo efficiente ed efficace, vuoi perché con l’utilizzo di strumenti privatistici - in luogo dell’esercizio dei classici poteri autoritativi - si sarebbe favorito il miglior adeguamento possibile dell’organizzazione amministrativa italiana ai principi dell’ordinamento dell’unione europea: che non ammette, in alcun modo, che norme nazionali conferiscano posizioni di privilegio o vantaggio alle amministrazioni esercenti attività concorrenziali. Sennonché la selvaggia privatizzazione, da un lato, e la stessa ibridazione (7) illuminante sul punto, S. CASSeSe (a cura di), istituzioni di Diritto amministrativo, Milano, 2012, pp. 25-27. in modo particolare appare utile puntualizzare come nel diritto amministrativo europeo la distinzione tra funzione e servizio sia fondamentale proprio per circoscrivere esattamente l’ambito applicativo della deroga disposta nei confronti della libera circolazione dei lavoratori, contemplata - con riguardo alle funzioni attinenti all’esercizio dei pubblici poteri e alla tutela degli interessi generali dello Stato o di enti pubblici - all’art. 45 t.F.u.e. Analogamente è sottratto alle norme europee di tutela della concorrenza - ex art. 101 ss. t.F.u.e. - l’esercizio di funzioni concernenti prerogative tipiche dei pubblici poteri; su quest’ultimo punto è emblematico il celebre caso eurocontrol, Corte giust. ue 19 gennaio 1994, C-364. (8) C. DeoDAto, Le società pubbliche. il regime dei contratti, in www.giustamm.it. (9) S. CASSeSe (a cura di), istituzioni di Diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 3. ContenzioSo nAzionALe 135 dei modelli di organizzazione amministrativa, dall’altro lato, hanno condotto, ad un certo punto, ad una ‘nuova’ situazione di incertezza, se non altro per il semplice fatto che non sempre risultasse chiaro quale dovesse essere il regime da applicare a determinati operatori del mercato. Sotto questo profilo, l’organismo di diritto pubblico costituisce la più interessante risposta al fenomeno degli “smembramenti amministrativi” (10). Al dilagare di apparati amministrativi di natura ibrida ed incerta, non riconducibili ai tradizionali schemi dell’organizzazione amministrativa italiana, la giurisprudenza europea ha infatti rinvenuto nell’organismo di diritto pubblico (11) la figura risolutiva affinché evitare che i principi europei e le regole dell’evidenza pubblica fossero, in quale modo, eluse. È stato così che - con l’accantonamento dei criteri di stampo squisitamente formale e soggettivistico - si è pervenuti a coniare una figura di “amministrazione aggiudicatrice” (12) fondata su parametri di tipo ‘oggettivo’, in cui, cioè, l’analisi delle attività sostanzialmente esercitate sul mercato concorrenziale fosse effettuata sulla base di un paradigma funzionale, che avesse riguardo, essenzialmente, a tre profili: a) la soggettiva natura giuridica; b) le finalità di interesse generale perseguite dall’ente; c) l’esistenza di forme di finanziamento o di controllo sull’ente da parte dei pubblici poteri. invero - già in forza dei due noti leading cases del 1998 (13) - la Corte di Giustizia - a poco tempo di distanza dall’emanazione delle direttive appalti degli anni ’90 - ha contribuito in maniera decisiva allo sviluppo di una interpretazione oggettivamente estensiva della nozione di organismo di diritto pubblico (14), in cui - vale a dire - i “bisogni di carattere generale” - geneticamente (10) B. MAMeLi, L’organismo di diritto pubblico. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2003, p. 1. (11) Per un approfondimento inerente i caratteri dell’organismo di diritto pubblico, nonché per una ricostruzione sulla sua evoluzione nella prima giurisprudenza comunitaria, G. LA roSA, L’organismo di diritto pubblico. La non industrialità nella giurisprudenza, in Le istituzioni del federalismo, n. 2/2007, pp. 293-318. (12) il presupposto del conseguimento del sospirato recupero di una nozione unitaria della pubblica amministrazione - che, indirettamente, contribuisse anche a delineare nella maniera più certa possibile i contorni della stessa figura delle 'amministrazioni aggiudicatrici' - ha costituito la più inconscia risposta data dalla dottrina e dalla giurisprudenza per arginare il dilagante fenomeno degli 'smembramenti amministrativi', nonché il processo di strisciante 'disgregazione' dei classici modelli organizzativi dell'amministrazione italiana; sul punto appare emblematica l'autorevole interpretazione suggerita da chi ha definito: «un intento "risorgimentale" quello che anima l'autorevole e raffinata dottrina che attribuisce alla figura dell'organismo di diritto pubblico la somma funzione di nuovo paradigma della soggettività pubblica in grado, mediante l'applicazione di noti indici sintomatici, di discriminare il pubblico dal privato e di scorgere la "vera natura" dei soggetti [...]», F. MeruSi, La legalità amministrativa. altri sentirei interrotti, Bologna, 2012, p. 52. (13) Corte giust. ue 15 gennaio 1998, mannesmann, C-44/96; Corte giust. ue 10 novembre 1998, bfi Holding, C-360/96. (14) Sul punto è preziosa la ricostruzione presente in M. LiBertini, organismo di diritto pubblico, rischio d’impresa e concorrenza: una relazione ancora incerta, in federalismi.it. rASSeGnA AvvoCAturA 136 DeLLo StAto - n. 2/2018 propri del requisito teleologico dell’organismo di diritto pubblico - fossero interpretati alla stregua di uno schema estremamente dilatato, all’interno del quale, cioè, poteva pure rinvenirsi la sotto-categoria dei “bisogni di carattere non industriale o commerciale”: la cui esistenza, per altro, non avrebbe in alcun modo precluso la riconducibilità alla natura di organismo di diritto pubblico, nemmeno qualora l’attività finalizzata al soddisfacimento di “bisogni di carattere non commerciale o industriale” avesse rivestito una posizione non prevalente - quand’anche addirittura del tutto minoritaria - sull’attività esercitata dall’ente. A codesta interpretazione ‘estensiva’, poi, è stato anche significativamente precisato - sempre sulla scorta di quanto autorevolmente interpretato dalla Corte di Giustizia (ed è qui, si badi, il vero punto dirimente che fa da collante con i principi fondativi del diritto unionale) - che l’esistenza stessa di una effettiva concorrenza fra imprese private operanti sul mercato, da un lato, ed enti finanziati, o controllati, dallo Stato per il perseguimento di attività di interesse generale, dall’altro lato, non avrebbe, in alcun modo, escluso, affatto, la natura di questi ultimi come organismi di diritto pubblico, ma anzi - e al contrario - ne avrebbe avvalorato la relativa, e dovuta, configurabilità, stante la necessaria garanzia del valore fondamentale della concorrenza, nonché della stessa inammissibilità per il diritto europeo di interventi statali sul mercato. in questi termini: « […] la nozione di o.d.p. si dilatava notevolmente, fino a comprendere qualsiasi società in mano pubblica che avesse tra i propri compiti, anche a titolo non esclusivo, quello di produrre servizi di interesse economico generale» (15). Fatta salva, dunque, l’eccezione per il celebre caso che ha coinvolto la Fiera di Milano (16) - in cui, ad onor del vero, la Corte di Giustizia è sembrata imprimere una decisa correzione in senso restrittivo al suo primo orientamento - il trend della giurisprudenza europea - negli anni immediatamente successivi (17) ai primi leading cases - non ha fatto che confermare, e senza alcuna soluzione di continuità, il paradigma funzionale - interpretato alla stregua di uno schema di tipo oggettivo, estremamente dilatato - della figura dell’organismo di diritto pubblico. (15) M. LiBertini, organismo di diritto pubblico, rischio d’impresa e concorrenza: una relazione ancora incerta, in federalismi.it, p. 8. (16) Corte giust. ue 10 maggio 2001, agorà c. ente autonomo fiera internazionale di milano, C-223/99. in questo caso, precisamente, la Corte europea - sebbene avesse tenuto a puntualizzare che l’ente Fiera avesse esercitato fino a quel momento attività connotata dall’assenza di uno scopo di lucro (e in effetti solo successivamente l’ente sarà trasformato in una s.p.a.) - focalizzò la propria analisi sul fatto che l’ente avesse operato comunque secondo criteri di economicità tali da sopportare direttamente il rischio economico dell’attività: il che portava ad escludere, di per sé, qualsiasi forma di finanziamento o controllo da parte dei pubblici poteri. (17) Corte giust. ue 3 ottobre 2000, university of Cambridge, C-380/98; Corte giust. ue 12 dicembre 2002, universale - bau ag, C-470/99. ContenzioSo nAzionALe 137 emblematiche, sul punto, le due successive e cruciali pronunce truley (18) e fernwärme Wien (19). Con la sentenza truley, specialmente, il Giudice europeo tenne significativamente a puntualizzare - e per la prima volta in maniera assolutamente esplicita - quale fosse la ratio iuris sottesa alla figura dell’organismo di diritto pubblico: consistente nella funzione di strumentalità rispetto l’obiettivo di liberalizzazione dei mercati e della loro stessa trasparenza, in ragione di cui si è spinto, coerentemente, la nozione di organismo di diritto pubblico verso una lettura che potesse “essere estensivamente intesa” (20), anche a fronte delle stringenti motivazioni di certezza del diritto europeo, nonché delle naturali esigenze di uniformità di regime tra gli Stati membri; il che, per altro, ha incentivato la Corte di Giustizia a rimarcare in maniera meticolosa e pleonastica - ad abundantiam - che la nozione dei “bisogni non industriali o commerciali” non potesse mai, ed in alcun modo, essere modificata o interpretata secondo la ‘discrezionalità’ dal legislatore nazionale, posto che, naturalmente, si trattasse di fattispecie rientrante sotto la competenza ratione materiae del diritto europeo. Appare evidente, dunque, la ratio che ha condotto la prima giurisprudenza europea (21) a delineare la figura dell’organismo di diritto pubblico: rinvenibile, come per altro sostenuto da dottrina autorevole (22), non tanto nella volontà di ampliare le maglie dell’organizzazione dei soggetti pubblici, quanto, (18) Corte giust. ue 27 febbraio 2003, adolf truley GmbH v. bestattung Wien Gmbh, C-373/00. (19) Corte giust. ue 10 aprile 2008, fernwärme Wien, C-393/06. in questo caso, in particolar modo, la Corte si premurò di ribadire sostanzialmente la propria pregressa e consolidata giurisprudenza, ribadendo che, che esigenze di certezza del diritto legate all’uniformità di regime delle regole di evidenza pubblica, la qualificazione come organismo di diritto pubblico considerasse l’insieme delle attività svolte dall’ente, ben potendo rientrare sotto tale figura anche un ipotetico soggetto che svolgesse attività miste, ovvero in parte di interesse generale e in parte no. (20) Corte giust. ue 27 febbraio 2003, adolf truley GmbH v. bestattung Wien Gmbh, C-373/00, § 40. (21) non si può far a meno di approfondire il primo, e celebre, leading case, di cui alla pronuncia della Corte giust. ue 15 gennaio 1998, mannesmann, C-44/96, in Racc., 1998, i-00073. in quell’occasione, più esattamente, la Corte - impegnata in un delicato caso inerente l’attività della tipografia di Stato austriaca - non esitò nel porre a base della propria decisione il valore preminente della ‘certezza del diritto europeo’: coniando un paradigma funzionale che facesse dipendere la qualifica di 'organismo di diritto pubblico' unicamente dal possesso di requisiti di carattere oggettivo, tra cui spiccava, in specie, (oltre, chiaramente, al possesso dei concorrenti requisiti della personalità giuridica e della sottoposizione all’influenza dei pubblici poteri) il soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi un carattere non industriale o commerciale, che - tra le fortissime critiche della dottrina - veniva assunto come requisito oggettivo di riferimento indipendentemente dalla predominanza, o meno, di tale attività sulle altre eventualmente svolte dall’organismo di diritto pubblico, con il sicuro pregio di estendere al massimo il regime della disciplina europea sulle regole di evidenza pubblica ma, anche, con l’indubbio pericoloso risvolto - fatto ben presente dalla dottrina più attenta - di ricadere in un nuovo soggettivismo legato alla verifica ‘caso per caso’ dello status giuridico di organismo di diritto pubblico; ex multis r. GAroFoLi, organismo di diritto pubblico: allineamento tra Giudice comunitario e nazionale, in www.altalex.com; M.A. SAnDuLLi, impresa pubblica e regole di affidamento dei contratti, in federalismi.it. (22) M. Chiti, L’organismo di diritto pubblico e la nozione comunitaria di pubblica amministrazione, Bologna, 2000, p. 8. rASSeGnA AvvoCAturA 138 DeLLo StAto - n. 2/2018 invece, nel proposito di circoscrivere e rendere il più certo possibile l’ambito di applicazione della disciplina delle procedure di evidenza pubblica, con l’irrinunciabile garanzia di uniformità di regime tra gli Stati membri dell’unione. in forza delle preziose soluzioni pretorie suggerite dagli interventi della giurisprudenza europea, la disciplina degli organismi di diritto pubblico ha poi trovato la propria naturale sedes materiae dapprima nelle direttive nn. 17 e 18 del 2004 (recepite sul piano nazionale con il D.lgs. 2006, n. 163) e più di recente nelle direttive 2014/23/ue, 2014/24/ue e 2014/25/ue del 26 febbraio 2014, il cui contenuto è stato pressoché fedelmente riprodotto al vigente art. 3 del D.lgs. 2016, n. 50. Sul piano interno giova evidenziare, per altro, come la giurisprudenza domestica si sia da anni allineata con l’interpretazione tipicamente estensiva, suggerita dalla Corte di Giustizia, dell’organismo di diritto pubblico: invero - già prima dell’entrata in vigore del previgente Codice dei contratti pubblici - la giurisprudenza amministrativa nazionale non ha rinvenuto particolari difficoltà nel ricondurre la natura di organismo di diritto pubblico ad enti soggettivamente connotati dalla forma privatistica (23); posto che la mera forma non può, di per sé, essere idonea ad escludere la sostanziale ed oggettiva natura pubblicistica di un ente. Ferma la sterminata giurisprudenza nazionale, e solo per dei più recenti e significativi esempi, appare utile e prezioso il menzionare le ultime pronunce che hanno riconosciuto la natura di organismo di diritto pubblico tanto alle fondazioni di natura privata (24) quanto alla stessa, e controversa, società expo 2015 (25). 3. Le conferme dalla recente sentenza del taR Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100. in un recente contenzioso amministrativo introdotto con ricorso volto ad ottenere l’annullamento degli atti di una procedura avviata dalla FiGC per l’affidamento di servizi di trasporto e facchinaggio, il tAr Lazio - con sentenza del 13 aprile 2018, n. 4100 - ha dichiarato infondata l’eccezione per difetto di giurisdizione sollevata dalla resistente Federazione sportiva nei confronti della domanda con cui la ricorrente società chiedeva, invece, che la FiGC venisse sottoposta, in via generale, ai principi delle procedure ad evidenza pubblica e, in particolare, al regime contemplato dal Codice degli Appalti: sul punto ha assunto un rilievo pregnante proprio la questione inerente la qualificabilità della FiGC come organismo di diritto pubblico, dirimente al (23) C.d.S., sent., sez. vi, 20 maggio 1995, n. 498. Per un autorevole commento, S. CASSeSe, Gli enti privatizzati come società di diritto speciale: il Consiglio di stato scopre il diritto naturale, in Giorn. Dir. amm., n. 12/1995, pp. 1134-1140. (24) C.d.S., sent., sez. vi, 3 giugno 2014, n. 2843. (25) C.d.S., sent., sez. iv, 4 febbraio 2014, n. 552. ContenzioSo nAzionALe 139 fine di individuare l’esatto ambito di applicazione delle regole di evidenza pubblica. Segnatamente - con l’esplicito richiamo all’art. 3, comma 1, lettera a) del D.lgs. 2016, n. 50 - è stato puntualizzato che nel novero delle “amministrazioni aggiudicatrici” rientrino - oltre alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici territoriali e agli enti pubblici non economici - anche gli organismi di diritto pubblico, individuabili - secondo quanto prescritto alla lettera d) del summenzionato articolo 3 del D.lgs. 2016, n. 50 - come enti: 1) istituiti per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotati di personalità giuridica; 3) le cui attività siano controllate o finanziate, in modo maggioritario, dallo Stato, enti pubblici territoriali ed economici ovvero altri organismi di diritto pubblico; oppure ancora i cui organi di amministrazione, direzione o vigilanza siano costituiti da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, enti pubblici territoriali ed economici o altri organismi di diritto pubblico. Ciò posto, il tAr - risalendo dalla disciplina contemplata dal D.lgs. 242/1999 - ha evidenziato i tratti distintivi delle federazioni sportive nazionali, giungendo fino a ricostruirne la natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato, perseguenti finalità prive di carattere di lucro, sebbene contraddistinte dall’indubbio rilievo pubblicistico connotante, per esempio, le funzioni amministrative relative alla ammissione e affiliazione di società, associazioni sportive e tesserati - ovvero alla revoca e modificazione dei relativi provvedimenti - nonché agli stessi compiti di controllo in merito al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi e alla delicata gestione delle concessioni dei contributi pubblici. nelle Federazioni sportive, insomma, è indubbio che la connotazione privatistica della forma associativa conviva con la stessa valenza pubblicistica delle attività esercitate per legge. Da puntualizzarsi è che in forza dello Statuto del Coni - esattamente di quanto disposto all’art. 20, comma 4 - le federazioni sportive siano tenute, comunque, a svolgere le proprie attività associative in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Cio e del Coni, e che, soprattutto, nel sistema delle fonti dell’ordinamento sportivo le federazioni nazionali - sebbene dotate di autonomia tecnica, organizzativa e di gestione - siano sempre sottoposte alla vigilanza del Comitato olimpico nazionale italiano. in particolar modo, il tAr Lazio non ha potuto far a meno di osservare come - oltre ai già rilevanti compiti di vigilanza - il Coni eserciti anche dei significativi poteri di controllo sulle federazioni, a cominciare dalla verifica dei requisiti per il riconoscimento della personalità giuridica, passando per l’approvazione annuale dei bilanci delle federazioni, sino alla stessa approvazione degli statuti di cui ogni singola federazione sportiva si dota. Per queste ragioni il Giudice Amministrativo ha riconosciuto che - ferma rASSeGnA AvvoCAturA 140 DeLLo StAto - n. 2/2018 restando l’autonomia attribuita dalla legge e dallo Statuto del Coni - non può assolutamente disconoscersi che il controllo esercitato dal Comitato olimpico sulla FiGC si concretizzi: «nella titolarità di poteri salienti nella vita e nell’attività […] della fiGC, a cominciare dal riconoscimento […] per continuare con l’approvazione dello statuto e del bilancio […] fino alla verifica complessiva in ordine allo svolgimento dell’attività di promozione sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Cio e del CoNi. il complesso di tali poteri deve ritenersi integrante il contenuto della nozione comunitaria di controllo, recepita dal legislatore nazionale nel disciplinare la figura dell’organismo di diritto pubblico» (26). in sostanza, il tAr Lazio, con la sentenza n. 4100/2018, ha ricostruito le peculiari caratteristiche genetiche della FiGC, quale forma associativa avente una personalità giuridica di diritto privato e perseguente rilevanti finalità di interesse generale, in rapporto alle quali vengono esercitate pregnanti funzioni amministrative di controllo da parte del Coni: a ben riflettere, dunque, sussistono tutti i requisiti contemplati dal Codice degli Appalti per la configurabilità come organismo di diritto pubblico e, dunque, la consequenziale estensione della qualifica di amministrazione aggiudicatrice, sottoposta al regime delle stazioni appaltanti. in senso confermativo, peraltro, il Collegio del tAr ha richiamato pure una delibera dell’AnAC - n. 372 del 26 marzo 2016 - in cui l’Autorità anticorruzione è giunta alle medesime conclusioni. né, all’opposto, potrebbe aver un valore contrario - ha stigmatizzato il tAr - il fatto che la FiGC non sia inserita nell’elenco delle amministrazioni pubbliche redatto dall’iStAt: ciò in quanto - sebbene in forza delle regole fissate dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (SeC95) nella Federazione italiana Giuoco Calcio sia assente il requisito afferente al finanziamento pubblico maggioritario - tale requisito sarebbe comunque irrilevante ai fini della qualificabilità come organismo di diritto pubblico, sussistendo l’alternativo presupposto del controllo esercitato dal Coni (che è un ente pubblico non economico) (27). Per completezza giova puntualizzare come il tAr Lazio abbia aggiunto - mortificando le eccezioni processuali sollevate dalla resistente FiGC - che, (26) tAr Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100. (27) Per degli approfondimenti sulla natura giuridica del Coni, specie all’indomani del D.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, G. nAPoLitAno, La nuova disciplina dell’organizzazione sportiva italiana: prime considerazioni sul decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, di “riordino” del C.o.N.i., in Riv. Dir. sport., n. 3/1999, pp. 617-623; G. nAPoLitAno, La riforma del Coni e delle federazioni sportive, in Giorn. dir. amm., n. 1/2000, pp. 113-114; C. FrAnChini, il riordino del Coni, in Giorn. dir. amm., n. 11/2003, pp. 1209-1214; più di recente G. PAStori, il riordino del C.o.N.i. attuato con il d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, in Lineamenti di Diritto sportivo, L. CAntAMeSSA - G.M. riCCio - G. SCiAnCALePore (a cura di), Milano, 2008, pp. 89-93. ContenzioSo nAzionALe 141 anche a prescindere dalla stessa riconducibilità della FiGC alla figura dell’organismo di diritto pubblico, una risalente e consolidata giurisprudenza amministrativa avesse, comunque, già affermato per dei casi analoghi la sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo e la sottoposizione alle regole di evidenza pubblica dell’attività contrattuale posta in essere dalla FiGC, con il richiamo specifico al caso verificatosi in merito: «“la licitazione privata con cui la fiGC sceglie il contraente di un contratto atipico di sponsorizzazione della squadra nazionale di calcio [che] non costituisce una fase della c.d. vita interna della federazione ma rappresenta il momento in cui questa, come organo del Coni, disciplina interessi fondamentali, strettamente connessi con l’attività sportiva” (Cons. st., sez. Vi, 10.10.2002, n. 5442); nel medesimo senso Cons. stato, sez. Vi, 10.9.2007, n. 4743, secondo cui “l’attività posta in essere da una federazione sportiva volta alla individuazione e scelta del contraente per un contratto avente ad oggetto l’assicurazione, a favore di tutti i tesserati, per la responsabilità civile e gli infortuni personali derivanti dallo svolgimento di un’attività sportiva, non costituisce una fase della c.d. vita interna della federazione stessa, ma rappresenta il momento in cui questa, quale organo del C.o.N.i., provvede alla tutela dei suoi iscritti per i rischi ai quali questi sono esposti nell’esercizio dell’attività sportiva. …. in quanto finalizzata alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva, la federazione agisce, dunque, quale organo del C.o.N.i., ponendo in essere atti amministrativi (e non meramente privatistici), con la conseguenza che la giurisdizione sull’eventuale controversia nascente da tale situazione deve essere riconosciuta al Giudice amministrativo”» (28). in conclusione - anche in forza delle preziose ricostruzioni argomentative suggerite del tAr Lazio per inquadrare i peculiari tratti genetici associativi della Federazione italiana giuoco calcio - si deve riconoscere che ogni qualvolta la FiGC venga ad esercitare attività a valenza pubblicistica (29) essa non potrebbe che essere sottoposta al regime tipico delle regole, di matrice europea, dell’evidenza pubblica; contemplate, in modo puntuale, al vigente D.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016. il che, preme evidenziare, trova applicazione per due fondamentali, e insuperabili, argomentazioni di diritto: in primis, per la generale riconducibilità della stessa FiGC alla peculiare figura amministrativa dell’organismo di diritto (28) tAr Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100. (29) Giova, per altro, puntualizzare come il tAr Lazio abbia significativamente precisato, con la sentenza in commento, che, ai fini della qualificazione come organismo di diritto pubblico della FiGC, il soddisfacimento di bisogni d’interesse generale, che siano privi di natura commerciale o industriale, non debba necessariamente rivestire carattere esclusivo delle attività poste in essere, essendo sufficiente che una parte dell’attività della FiGC presenti tali fondamentali qualità: la Federazione potrebbe, dunque, perseguire al contempo interessi di carattere commerciale e industriale, rimanendo in ogni caso qualificabile come organismo di diritto pubblico. Sul punto è stato pure fatto richiamo alla recente pronuncia della Corte giust. ue 5 ottobre 2017, n. 567. rASSeGnA AvvoCAturA 142 DeLLo StAto - n. 2/2018 pubblico; in secondo luogo - ed anche nella denegata ipotesi, invero di carattere residuale, che non fosse qualificabile come un organismo di diritto pubblico - perché, in ogni caso - sulla scorta di una risalente giurisprudenza amministrativa domestica (30) (debitrice forse delle ‘tendenze’ adottate dalla Corte di Giustizia) - qualsiasi tipo di attività non costituente una fase della c.d. ‘vita interna’ alla Federazione realizza, già di per sé, il momento in cui la FiGC - quale federazione posta sotto la vigilanza ed il controllo del Coni - provvede alla tutela degli interessi ‘generali’, fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva calcistica nazionale. Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Prima ter, sentenza 13 aprile 2018 n. 4100 - Pres. G. Panzironi, est. F. Petrucciani - De vellis Servizi Globali S.r.l. (avv.ti A. Catricalà, D. Lipani, F. Sbrana e S. Grillo) c. Federazione italiana Giuco Calcio (avv.ti L. Medugno e L. Mazzarelli). FAtto Con nota prot. n. 19765/2016 del 20 dicembre 2016 - trasmessa alla De vellis Servizi Globali S.r.l. in pari data - la Federazione italiana Giuoco Calcio ha invitato la ricorrente a formulare la propria offerta - secondo le modalità previste dal Portale Acquisti FiGC - nell’ambito della “Procedura negoziata plurima per l’affidamento dei servizi di trasporto e facchinaggio” (Prat. n. 591/2016/G), da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rispetto ad un importo presunto complessivo a base di gara, per una durata triennale del servizio, pari ad euro 1.000.000,00. La lettera di invito, dopo avere previsto al paragrafo 4 che, ai fini della partecipazione alla procedura de qua, i concorrenti dovessero essere in possesso dei requisiti di carattere generale indicati nel Modello r/G e dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa di cui alla lettera c) del citato paragrafo, al successivo paragrafo 5, nel disciplinare l’iter di aggiudicazione, precisava poi che la gara sarebbe stata aggiudicata all’offerta economicamente più vantaggiosa in favore della Società che avrà ottenuto il maggior punteggio complessivo dato dalla somma del punteggio tecnico (peso complessivo 60 punti) e quello economico (peso massimo 40 punti), e che le prime due società in graduatoria sarebbero state invitate a migliorare la propria offerta attraverso una successiva negoziazione, al termine della quale la Commissione avrebbe stilato la graduatoria finale. Alla procedura in questione veniva invitato, tra gli altri, il Consorzio Ge.Se.Av. il 10 marzo 2017, la Federazione aveva trasmesso alla ricorrente, mediante il Portale Acquisti FiGC, il seguente messaggio: “con riferimento al presente confronto concorrenziale, essendo la vostra società risultata tra le prime due in graduatoria all’esito della prima fase esperita a mezzo Portale FiGC, siete convocati per la seconda fase di negoziazione presso i ns uffici … alle ore 10.30 di martedì 14/3/2017”. Quindi, non avendo avuto notizie dell’esito della seconda fase di negoziazione, con nota prot. n. 143/17 u del 6 giugno 2017, la ricorrente aveva invitato la Federazione a “voler comunicare (30) ex multis, C.d.S., sent., sez. vi, 10 ottobre 2002, n. 5442; C.d.S., sent., sez. vi, 10 settembre 2007, n. 4743. ContenzioSo nAzionALe 143 in via ufficiale” lo stato e l’esito dell’iter selettivo in questione, evidenziando in ogni caso “che nell’esperimento della procedura in parola non sono stati rispettati i principi e le regole poste dall’ordinamento giuridico in materia di pubblicità delle sedute di gara e di conservazione dei plichi: l’apertura delle buste contenenti i dati amministrativi e le offerte è infatti … avvenuta senza dare preventiva pubblicità alle operazioni di gara che avrebbero dovuto svolgersi in seduta pubblica”. in riscontro a tale invito, con nota trasmessa a mezzo PeC il successivo 8 giugno 2017, la FiGC aveva informato la Società che “l’esito della procedura di confronto concorrenziale di cui trattasi sarà a breve reso noto ai partecipanti tramite il Portale Acquisti FiGC”, precisando che “Le modalità e prescrizioni che hanno regolato il confronto concorrenziale ‘de quo’ sono indicate nella documentazione di gara in osservanza alle procedure interne della scrivente Federazione, la quale non era tenuta al rispetto dei vincoli in materia di gare pubbliche di cui al D.Lgs. n. 50/2016”. Successivamente, con mail del 14 giugno 2017, la Stazione appaltante ha comunicato alla De vellis che l’offerta formulata dalla società non aveva avuto successo. La ricorrente ha quindi impugnato tale comunicazione e tutti i presupposti atti della procedura. A sostegno del ricorso sono state in unico formulate, in unico motivo, le censure di violazione degli artt. 1 e 3 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, violazione dell’art. 97 della Costituzione, violazione dei principi e delle norme in materia di evidenza pubblica, violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e correttezza dell’azione amministrativa, eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza, contraddittorietà, travisamento, sviamento, in quanto la FiGC, nell’espletare l’iter concorsuale, aveva ritenuto di non essere assoggettata “al rispetto dei vincoli in materia di gare pubbliche di cui al D.Lgs. n. 50/2016”, mentre, ai sensi del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nel novero delle “amministrazioni aggiudicatrici” rientravano, oltre alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici territoriali e agli altri enti pubblici non economici, gli “organismi di diritto pubblico”, categoria nella quale rientrava la FiGC, al pari delle altre Federazioni sportive nazionali che, pertanto, ai fini della acquisizione di beni, servizi e forniture, erano tenute all’applicazione delle norme di evidenza pubblica di cui al Codice. Di conseguenza risultava illegittimo l’operato della FiGC che, in considerazione della propria natura di organismo di diritto pubblico, lungi dal poter prescindere dall’osservanza delle regole di cui al Codice dei contratti pubblici, avrebbe dovuto condurre la procedura de qua in ossequio a tali regole, curandosi di dare adeguata pubblicità alle singole operazioni di gara e, più in generale, operando nel rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità che devono necessariamente presiedere al corretto espletamento dell’azione amministrativa. tali regole e principi erano stati del tutto disattesi, posto che l’intero procedimento concorsuale - ivi compresa la fase di apertura dei plichi e delle offerte presentati dai singoli concorrenti - si era svolto senza il coinvolgimento dei concorrenti medesimi, ai quali, pertanto, anche in ragione della mancata verbalizzazione delle attività valutative svolte, non era stato consentito di avere contezza dell’iter seguito dalla Stazione appaltante e, addirittura, della graduatoria formata onde addivenire all’affidamento del servizio oggetto della commessa. Si sono costituiti la FiGC e il Consorzio Geseav eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito, in conseguenza della natura di associazione di diritto privato della Federazione, l’irricevibilità del ricorso in quanto tardivo, e chiedendo, nel merito, il rigetto del gravame. Alla camera di consiglio del 1 agosto 2017 il tribunale ha respinto l’istanza cautelare, rilevando che il contratto era stato stipulato, il servizio era attualmente in corso, e l’affidamento rASSeGnA AvvoCAturA 144 DeLLo StAto - n. 2/2018 era di durata triennale, di tal che non erano ravvisabili i presupposti di estrema gravità ed urgenza che consentono la sospensione dell’efficacia degli atti impugnati. Alla pubblica udienza del 13 febbraio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione. Diritto Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione, che deve essere disattesa in quanto infondata. Al riguardo assume rilievo decisivo la questione della qualificabilità o meno della Federazione italiana Giuoco Calcio come organismo di diritto pubblico, dirimente al fine di individuare l’ambito di applicazione delle regole di evidenza pubblica. Secondo l’art. 1 del Codice dei contratti pubblici, infatti, il codice stesso disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere; ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a), del Codice, nel novero delle “amministrazioni aggiudicatrici” rientrano - oltre alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici territoriali e agli altri enti pubblici non economici - gli “organismi di diritto pubblico”, i quali, secondo quanto previsto alla successiva lettera d) del menzionato art. 3, sono così definiti: “qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato iv: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”. Alla lettera o) del medesimo art. 3 del Codice è poi chiarito che sono “stazioni appaltanti” le “amministrazioni aggiudicatrici di cui alla lettera a)”, ivi inclusi, dunque, gli organismi di diritto pubblico. Quindi, la qualificazione della FiGC come “organismo di diritto pubblico” è dirimente in quanto ne conseguirebbe che la stessa è tenuta all’applicazione delle norme di evidenza pubblica di cui al Codice. Per valutare la ricorrenza dei presupposti previsti dal citato art. 3 ai fini della riconducibilità dell’ente a tale nozione, occorre in primo luogo analizzare la configurazione data dal legislatore alle federazioni sportive. in merito il d.lgs. n. 242/1999, dopo avere previsto all’art. 1 che il “il Comitato olimpico nazionale italiano … ha personalità giuridica di diritto pubblico … ed è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali”, al successivo art. 15 dispone che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Cio, delle federazioni internazionali e del Coni, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del Coni. Ad esse partecipano società ed associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate in relazione alla particolare attività, anche singoli tesserati” (comma 1), precisando che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione” (comma 2). Si tratta, pertanto, di enti cui il legislatore ha attribuito personalità giuridica di diritto pri ContenzioSo nAzionALe 145 vato, cui però sono assegnate funzioni di rilievo pubblicistico quali, secondo lo Statuto del Coni, art. 23, quelle “relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione di contributi pubblici, alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello di formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi”. Le Federazioni sportive sono quindi istituzionalmente deputate allo svolgimento delle funzioni sopra elencate, di modo che la connotazione privatistica della forma associativa dalle stesse rivestite convive, per definizione, con la valenza pubblicistica di parte delle attività svolte. Dall’espressa dizione legislativa risulta la sussistenza del requisito, richiesto per la configurabilità dell’organismo di diritto pubblico, della personalità giuridica; né può dubitarsi del fatto che le federazioni siano istituite per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, essendo le stesse, come visto, enti senza fini di lucro deputati al controllo del regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici, della preparazione olimpica, dell’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi. L’analisi deve quindi incentrarsi sulla sussistenza del requisito di cui al terzo punto, che prevede, in alternativa, il finanziamento in misura maggioritaria delle attività da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure il controllo, da parte dei medesimi enti, sulla gestione, anche nella forma della designazione diretta dei componenti degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza. nel caso di specie, è incontestato che non si versi nell’ipotesi del finanziamento maggioritario di provenienza pubblica, in quanto il finanziamento in favore della FiGC da parte del Coni è inferiore al 50% dei fondi dalla stessa posseduti. va, quindi, esaminato il controllo effettuato da quest’ultimo ente sulla Federazione. A questo riguardo deve rilevarsi che, secondo lo Statuto del Coni, le federazioni sportive nazionali “svolgono l’attività sportiva e le relative attività di promozione, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Cio e del Coni, anche in considerazione della rilevanza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività. nell’ambito dell’ordinamento sportivo, alle Federazioni sportive nazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del Coni” (art. 20, comma 4). in particolare, il Coni provvede al riconoscimento delle Federazioni, verificando che rispondano ai seguenti requisiti: a) svolgimento, nel territorio nazionale e sul piano internazionale, di una attività sportiva, ivi inclusa la partecipazione a competizioni e l’attuazione di programmi di formazione degli atleti e dei tecnici; b) affiliazione ad una Federazione internazionale riconosciuta dal Cio, ove esistente, e gestione dell’attività conformemente alla Carta olimpica e alle regole della Federazione internazionale di appartenenza; c) ordinamento statutario e regolamentare ispirato al principio di democrazia interna; d) procedure elettorali e composizione degli organi direttivi in conformità al disposto dell’art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, assicurando il riconoscimento di una sola Federazione sportiva nazionale per ciascuno sport (art. 21 dello Statuto Coni). il riconoscimento della personalità giuridica è concesso a seguito del controllo del Consiglio nazionale del Coni e, in caso di venir meno dei requisiti sopra riportati, è revocato dallo stesso organo. rASSeGnA AvvoCAturA 146 DeLLo StAto - n. 2/2018 Allo stesso modo, i bilanci delle Federazioni sportive nazionali sono approvati annualmente dal Consiglio Federale e sono sottoposti alla approvazione della Giunta nazionale del Coni. Ancora, gli statuti delle Federazioni sportive sono approvati dalla Giunta nazionale del Coni, che “ne valuta la conformità alla legge, allo Statuto del Coni ed ai Principi fondamentali emanati dal Consiglio nazionale. in caso di difformità la Giunta nazionale rinvia alle Federazioni, entro 90 giorni dal deposito in Segreteria Generale, lo statuto per le opportune modifiche, indicandone i criteri” (art. 22 dello Statuto Coni); in caso di omessa modifica, la Giunta nazionale può nominare a tal fine un Commissario ad acta e, nei casi più gravi, previa diffida, il Consiglio nazionale può revocare il riconoscimento. infine, “nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1, le Federazioni sportive nazionali si conformano agli indirizzi e ai controlli del Coni ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza”; la Giunta nazionale, sulla base dei criteri e delle modalità stabilite dal Consiglio nazionale, approva i bilanci delle Federazioni sportive nazionali e stabilisce i contributi finanziari in favore delle stesse, eventualmente determinando specifici vincoli di destinazione, con particolare riguardo alla promozione dello sport giovanile, alla preparazione olimpica e all’attività di alto livello, e vigila sul corretto funzionamento delle Federazioni sportive nazionali (art. 23 Statuto citato). Dal quadro complessivo così delineato emerge che, pur essendo espressamente riconosciuta dalla legge e dallo Statuto del Coni l’autonomia delle Federazioni, il controllo esercitato dal Comitato olimpico si concretizza nella titolarità di poteri salienti nella vita e nell’attività delle stesse (e, quindi, della FiGC), a cominciare dal riconoscimento, ancorato all’analisi dei requisiti sopra elencati, per continuare con l’approvazione dello statuto e del bilancio di tali enti, fino alla verifica complessiva in ordine allo svolgimento dell’attività di promozione sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Cio e del Coni. il complesso di tali poteri deve ritenersi integrante il contenuto della nozione comunitaria di controllo, recepita dal legislatore nazionale nel disciplinare la figura dell’organismo di diritto pubblico. infatti, se è pur vero, sul piano formale, che il finanziamento pubblico nel caso di specie non è maggioritario, nondimeno i diffusi poteri di ingerenza, desumibili dagli elementi dianzi indicati, fanno ritenere che l’attività della Federazione sia sottoposta al controllo del sovraordinato ente pubblico Coni. né rileva, al riguardo, la sussistenza di una sfera di autonomia statutariamente prevista, per quanto concerne l'attività di promozione sportiva e le attività connesse, o strumentali. Detta autonomia, infatti, attiene alla fase attiva dell'esercizio delle funzioni affidate alla Federazione, ma non esclude il controllo, quale relazione interorganica nell'ambito della quale l'operato degli organi attivi viene può essere sindacato per valutare la relativa rispondenza alla legge, o alla convenienza amministrativa, o a regole tecniche di varia natura, relazione che non richiede un controllo di tipo strutturale, tale da configurare una significativa ingerenza nella vita dell'ente. Appare evidente, dunque, come l'elemento fondante dell'organismo di diritto pubblico sia appunto quello, riconducibile alla rilevanza degli interessi generali perseguiti, in rapporto ai quali non può venire meno una funzione amministrativa di controllo, anche qualora la gestione fosse produttiva di utili (come dimostra il carattere espressamente disgiunto dei requisiti, di cui al precedente punto "c"): è propria dell'Amministrazione, infatti, la cura concreta di interessi della collettività, che lo Stato ritiene corrispondenti a servizi da rendere ai cittadini e che pertanto, ove affidati a soggetti esterni all'apparato amministrativo vero e proprio, debbono ContenzioSo nAzionALe 147 comunque rispondere a corretti parametri gestionali, anche sul piano dell'imparzialità e del buon andamento (Cons. Stato, sez. vi, 31 ottobre 2017, n. 5026). in tal senso, peraltro, si è espressa l’AnAC, con delibera n. 372 del 26.3.2016, affermando, con riferimento alle federazioni sportive, che “nel caso di specie sembra potersi affermare la sussistenza di un controllo pubblico sulla gestione. infatti, le Federazioni, sebbene dotate di autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sono soggette alla vigilanza e ai controlli del Coni (ente pubblico non economico) sia in fase di costituzione - attraverso il riconoscimento ai fini sportivi (condizione, questa, necessaria, per l’ottenimento della personalità giuridica di diritto privato) - sia nel corso di tutta la loro attività”. L’AnAC, a conclusione dell’analisi sulla sussistenza delle condizioni per affermare la riconducibilità delle federazioni sportive alla nozione di organismo di diritto pubblico, ha quindi optato per la soluzione positiva. né può rilevare, in senso contrario, la circostanza della non ricomprensione della FiGC nell’elenco delle amministrazioni pubbliche redatto dall’istat - che annovera quasi tutte le altre Federazioni sportive -, in ossequio alla normativa comunitaria, recante il Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (reg. n. 223/96 - SeC 95 e reg. n. 549/2013 - SeC 2010 - entrato in vigore il primo settembre 2014), introdotto al fine di disporre di conti economici omogenei e comparabili sulla base di principi unici e non diversamente interpretabili (cfr. n. 14 dei considerata del reg. n. 549/2013). nel settore della Pubblica amministrazione il SeC95 (prg. 2.69) riconosce la qualifica di “unità istituzionale”: a) agli “organismi pubblici”, che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita; b) alle “istituzioni senza scopo di lucro” dotate di personalità giuridica che, come i primi, agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, ma per esse alla duplice condizione che “siano controllate e finanziate in prevalenza da Amministrazione pubbliche”, sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico, situazione quest’ultima ritenuta ricorrente nel caso in cui i ricavi per proprie prestazioni di servizi, in condizioni di mercato, non riescono a coprire una quota superiore al 50% dei costi di produzione. Giova evidenziare che, a fronte del ricorso proposto dalla FiGC avverso l’inclusione nell’elenco, questo tribunale ha analizzato i presupposti richiesti dal SeC95 per l’inserimento dell’ente nell’elenco iStAt, vale a dire la sua soggezione al controllo di un’Amministrazione pubblica e l’insufficienza delle sue entrate a coprire in misura superiore al 50% la spesa complessiva sopportata per lo svolgimento della sua attività istituzionale, con conseguente necessità di un continuo e sostanzioso contributo pubblico per ottenere il pareggio di bilancio (tar Lazio, sentenza n. 6201/2011). Muovendo dal presupposto che ciò che il SeC95 richiede, perché possa ritenersi che un’Amministrazione pubblica esercita il controllo su un’unità istituzionale, è che essa sia in grado di “influenzarne la gestione, indipendentemente dalla supervisione generale esercitata su tutte le unità analoghe”, il tar ha escluso che i controlli esercitati dal Coni sulla FiGC presentassero tale valenza; rilevando poi che la ricorrente aveva dimostrato l’assenza del secondo requisito afferente al finanziamento pubblico maggioritario, il tar ha ritenuto insussistenti le condizioni richieste per l’inclusione nell’elenco istat. La soluzione di tale questione, tuttavia, è ancorata, come visto, a presupposti eterogenei - corrispondenti alle diversa finalità prese di mira con l’istituzione del citato elenco - e non sovrapponibili a quelli individuati per la ravvisabilità dell’organismo di diritto pubblico, di tal che deve escludersi che le due qualificazioni debbano necessariamente concorrere. rASSeGnA AvvoCAturA 148 DeLLo StAto - n. 2/2018 occorre poi rilevare, a fronte dell’eccezione sollevata dalla Federazione, che, ai fini della qualificazione come organismo di diritto pubblico, il soddisfacimento di bisogni di interesse generale privi di natura commerciale o industriale non deve necessariamente rivestire carattere esclusivo, essendo sufficiente che una parte dell’attività dell’ente presenti tale qualità, ben potendo l’ente medesimo perseguire al contempo interessi di carattere commerciale e industriale (Corte giustizia ue, sez. iv, 5 ottobre 2017, n. 567). Per completezza deve comunque evidenziarsi che, anche a prescindere dalla riconducibilità delle federazioni alla figura dell’organismo di diritto pubblico, la giurisprudenza ha comunque affermato, in casi analoghi, la sussistenza della giurisdizione amministrativa e la sottoposizione dell’attività contrattuale delle federazioni sportive alle regole di evidenza pubblica: è stato ritenuto, in particolare, che “la licitazione privata con cui la Figc sceglie il contraente di un contratto atipico di sponsorizzazione della squadra nazionale di calcio non costituisce una fase della c.d. vita interna della Federazione ma rappresenta il momento in cui questa, come organo del Coni, disciplina interessi fondamentali, strettamente connessi con l’attività sportiva” (Cons. St., sez. vi, 10.10.2002, n. 5442); nel medesimo senso Cons. Stato, sez. vi, 10.9.2007, n. 4743, secondo cui “l’attività posta in essere da una federazione sportiva volta alla individuazione e scelta del contraente per un contratto avente ad oggetto l’assicurazione, a favore di tutti i tesserati, per la responsabilità civile e gli infortuni personali derivanti dallo svolgimento di un’attività sportiva, non costituisce una fase della c.d. vita interna della Federazione stessa, ma rappresenta il momento in cui questa, quale organo del C.o.n.i., provvede alla tutela dei suoi iscritti per i rischi ai quali questi sono esposti nell’esercizio dell’attività sportiva. …. in quanto finalizzata alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva, la Federazione agisce, dunque, quale organo del C.o.n.i., ponendo in essere atti amministrativi (e non meramente privatistici), con la conseguenza che la giurisdizione sull’eventuale controversia nascente da tale situazione deve essere riconosciuta al Giudice Amministrativo”. Ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi quindi, come dedotto dalla ricorrente, nel caso di specie, anche laddove si volesse aderire alla tesi secondo cui le Federazioni sportive sarebbero assoggettate alle regole di evidenza pubblica sancite dal Codice soltanto ove svolgano attività a valenza pubblicistica, mantenendo, in tutti gli altri casi, la propria natura di associazioni di diritto privato. il contratto in esame ha infatti ad oggetto servizi di trasporto e facchinaggio da svolgersi, oltre che presso le sedi federali di roma, in occasione delle trasferte delle Squadre nazionali, in italia e all’estero. L’art. 1 del Capitolato tecnico prevede che “L’affidamento … ha ad oggetto i servizi di trasporto e facchinaggio. tali servizi dovranno essere effettuati secondo le esigenze della Committente … presso le sedi federali di roma … e, inoltre, in occasione delle trasferte delle Squadre nazionali, in italia e all’estero”; il successivo art. 3 specifica che “i servizi effettuati presso le sedi federali di roma riguardano prestazioni di piccola e media entità …; i servizi svolti in occasione delle trasferte delle Squadre nazionali sono generalmente di media entità e più articolati e, in caso di partecipazione a Campionati europei e/o Mondiali, potrebbero richiedere prestazioni complesse. [….] L’80% dei servizi richiesti riguarda le trasferte delle Squadre nazionali e nell’ambito di tali servizi il 70% genera movimentazione su tutto il territorio nazionale”. il Capitolato evidenzia quindi che le attività dedotte in contratto, al pari di quelle oggetto dei precedenti citati, e a differenza di quelle prese in esame dalla sentenza di questa Sezione n. ContenzioSo nAzionALe 149 3372/2017, relative al servizio di pulizia delle sedi della Federazione, non attengono unicamente alla vicende della vita interna dell’ente ma sono anche strumentalmente connesse alle funzioni pubblicistiche alla stessa rimesse e, pertanto, finalizzate a soddisfare le esigenze di interesse generale, quali la partecipazione delle squadre nazionali ai campionati europei e mondiali, per il cui perseguimento, pertanto, la Federazione opera esercitando le sue prerogative pubblicistiche svolgendo attività amministrativa. Se ne deve concludere che lo svolgimento della gara, nel caso di specie, doveva seguire le modalità procedurali previste dal d.lgs. n. 50 del 2016, essendo la Federazione tenuta all'osservanza di dette disposizioni nelle procedure selettive bandite, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla controversia concernente l'annullamento degli atti della gara in oggetto. tale conclusione è conforme, del resto, ai principi affermati dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee, secondo la quale, in ossequio ad esigenze di certezza del diritto, nonché alla ratio di estendere, nei casi dubbi, le ipotesi di assoggettabilità alle regole dell’evidenza pubblica in relazione alle figure organizzative che sono comunque riconducibili all’ambito pubblicistico, una volta acclarato lo status di organismo di diritto pubblico di un determinato soggetto, quest’ultimo è sempre e comunque tenuto all’osservanza delle regole di evidenza pubblica e ciò non soltanto in relazione alle attività volte al soddisfacimento di “esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”, ma anche con riferimento alle ulteriori attività propriamente commerciali e industriali (cfr. Corte Giustizia Ce, 15 gennaio 1998, C-44/96, Mannesmann). va quindi esaminata l’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività, incentrata sul fatto che la ricorrente, pur essendo stata invitata a partecipare alla procedura autonomamente svolta dalla FiGC, non ha tempestivamente impugnato la nota di invito dalla quale avrebbe dovuto desumersi che non era stata indetta una gara pubblica nel rispetto del d.lgs. n. 50/2016, ma solo la comunicazione finale con cui le è stato reso noto che non aveva vinto la gara. L’eccezione deve essere disattesa in quanto infondata. Come noto, infatti, le determinazioni di indizione della gara devono essere immediatamente impugnate, in quanto direttamente ed autonomamente lesive, allorché contengano clausole escludenti o prescrizioni che incidono sulla corretta e consapevole elaborazione dell'offerta o che impongano, ai fini della partecipazione, oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Cons. Stato, Sez. v, 26/6/2017, n. 3110; 6/6/2016 n. 2359). in questi casi, infatti, già la pubblicazione del bando genera una lesione della situazione giuridica per chi intenderebbe partecipare alla competizione, ma non può farlo a causa della barriera all'ingresso provocata da clausole del bando insuperabili perché immediatamente escludenti o irragionevoli o sproporzionate per eccesso, con la conseguente inconfigurabilità di successivi atti applicativi impugnabili. Al di fuori di tali ipotesi, non è ravvisabile un onere di immediata impugnativa dell’indizione della gara, in quanto, essendo il concorrente in condizioni di partecipare alla stessa, la lesione ai suoi interessi si concretizza solo con il provvedimento finale, ovvero la determinazione con cui viene scelto un altro partecipante, avverso la quale è possibile allora proporre l’impugnativa. Sul punto la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1/2003 ha escluso l’onere di immediata impugnazione delle clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara, delle prescrizioni del bando che condizionano, anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica, tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara, rASSeGnA AvvoCAturA 150 DeLLo StAto - n. 2/2018 il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia, delle clausole del bando che definiscono gli oneri formali di partecipazione; ciò in quanto l’eventuale incidenza di clausole che conformino illegittimamente la condizione di concorrenti dei singoli partecipanti, può acquistare rilievo esclusivamente se si traduce in un diniego di aggiudicazione o, comunque, in un arresto procedimentale con riferimento al medesimo obiettivo. tra queste ultime ipotesi, quindi, è suscettibile di rientrare anche il caso in esame, in cui si contesta l’applicazione delle regole di funzionamento della procedura di gara. nel caso di specie, inoltre, la lettera di invito presentava una formulazione generica, del seguente tenore: “La Federazione italiana Giuoco Calcio necessita di acquisire il servizio in oggetto ed intende, pertanto, avviare una procedura di confronto concorrenziale mediante la forma della procedura negoziata plurima per l’affidamento delle prestazioni richieste. Con la presente la FiGC invita codesta Società alla formulazione dell’offerta per le prestazioni in oggetto, alle condizioni sottoelencate. La negoziazione sarà regolata dal Capitolato tecnico, dalla presente lettera d’invito e dalla documentazione ad essa allegata”. Sulla base di tale scarno contenuto deve ritenersi che la ricorrente non sarebbe stata in grado di rilevare, a seguito della mera ricezione della lettera, la violazione delle regole e dei principi di pubblicità e trasparenza sottesi al regolare espletamento delle procedure ad evidenza pubblica, con la conseguenza che la valenza lesiva di siffatta violazione si è manifestata solo a seguito della adozione, da parte della stazione appaltante, dell’atto conclusivo della procedura. Per le medesime ragioni non può ritenersi che la partecipazione della De vellis alla gara, in difetto di impugnazione della sua indizione, integri acquiescenza rispetto alla scelta di non seguire le regole dell’evidenza pubblica, con conseguente infondatezza anche dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse. nel merito, alla luce delle considerazioni sopra svolte ai fini della affermazione della giurisdizione amministrativa, il ricorso deve essere accolto in quanto fondato. Con il primo e unico motivo di ricorso, la ricorrente ha lamentato infatti l’illegittimità dell’operato della FiGC, che, non potendo prescindere dall’osservanza delle regole di cui al Codice dei contratti pubblici, avrebbe dovuto condurre la procedura de qua in ossequio a tali regole, curandosi di dare adeguata pubblicità alle singole operazioni di gara, nel rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità. Acclarata, quindi, per quanto sopra esposto, la sussistenza delle condizioni richieste per ritenere la Federazione rientrante nella nozione di organismo di diritto pubblico, ne consegue che la stessa era tenuta ad indire la gara nel rispetto della disciplina prevista per le amministrazioni aggiudicatrici dal d.lgs. n. 50/2016, mentre è pacifico che, nel caso di specie, la Federazione abbia proceduto ad un mero confronto tra le ditte interessate senza seguire le regole suddette. Di conseguenza il ricorso deve essere accolto, con annullamento degli atti impugnati. La peculiarità e la novità della questione controversa giustificano, comunque, la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. il tribunale Amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati; compensa le spese. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in roma nelle camere di consiglio dei giorni 13 febbraio e 13 marzo 2018. ContenzioSo nAzionALe 151 Il diritto di accesso civico generalizzato: una sentenza del T.a.r. Lazio sull’interpretazione dell’art. 5, co. 2 d.lgs. 33/2013 Nota a tRibuNaLe ammiNistRatiVo ReGioNaLe PeR iL Lazio, sez. iii QuateR, 16 maRzo 2018 N. 2994 Anna Pascale* sommaRio: 1. Premesse - 2. La sentenza tar Lazio, sezione iii-Quater, del 16 marzo 2018, n. 2994 - 3. Le diverse tipologie del diritto di accesso - 3.1. il diritto di accesso procedimentale - 3.2. il diritto di accesso documentale - 3.3. accesso in materia penale - 3.4. accesso in materia ambientale - 3.5. accesso civico semplice - 3.6. accesso civico generalizzato - 4. L’accesso agli atti delle istituzioni europee - 5. L’accesso in Germania e in francia - 6. Libertà di informazione: art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo - 7. “Linee Guida” dell’aNaC - 8. accesso irragionevole - 9. La motivazione della sentenza - 10. Conclusioni finali. 1. Premesse. il diritto di accesso è stato ed è tuttora uno degli argomenti di maggiore discussione, non solo in dottrina, ma anche e soprattutto a livello giurisprudenziale. A complicare l’interpretazione delle norme che disciplinano il diritto in questione è stata l’entrata in vigore del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, adottato dal Governo in attuazione dell’art. 7 della Legge delega 7 agosto 2015, n. 124, con il quale è stato riformato il d.lgs. 33/2013 mediante l’introduzione di una nuova figura, ossia il diritto di accesso civico generalizzato. Di rilievo appaiono dunque le differenze tra le diverse tipologie di accesso, non solo nell’ambito del diritto amministrativo, ma altresì con riguardo ad altre branche giuridiche, nonché l’analisi dei limiti dell’accesso civico generalizzato, in particolare rispetto a quello semplice e con uno sguardo anche alle figure di accesso disciplinato dagli ordinamenti stranieri. 2. La sentenza tar Lazio, sezione iii -Quater, del 16 marzo 2018, n. 2994. Con riguardo alle limitazioni dell’accesso civico generalizzato il tar Lazio, con la sentenza del 16 marzo 2018, n. 2994, ha deciso in merito al ricorso con cui la Confederazione nazionale Coldiretti ha chiesto l’annullamento di diversi atti del Ministero della Salute sulle istanze da essa presentate di accesso ai dati dei flussi commerciali del latte e dei prodotti lattiero caseari oggetto di scambio intracomunitario e provenienti dall’estero, nonché l’accertamento del diritto di accesso agli atti ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 33/2013. La ricorrente ha altresì chiesto l’annullamento: della nota della Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari con cui è stata respinta (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato. rASSeGnA AvvoCAturA 152 DeLLo StAto - n. 2/2018 l’istanza presentata dalla Confederazione nazionale Coldiretti in data 11 ottobre 2017 ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 33/2013 e di tutti gli atti ad essa connessi presupposti e consequenziali; del silenzio rifiuto opposto dalla Direzione della prevenzione sanitaria dello stesso Ministero della Salute alla nuova istanza di accesso civico presentata in data 11 ottobre 2017, nonché l’accertamento del diritto di Coldiretti ad accedere alla documentazione richiesta con l’istanza di accesso civico ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 33/2013, con conseguente condanna dell’amministrazione ad esibire la documentazione richiesta. il tar Lazio ha rigettato il ricorso proposto da Coldiretti e, richiamando una precedente pronuncia del tar Lombardia (1), ha affermato che: “È legittimo il diniego di accesso motivato in base alla necessità di impedire che all'ente venga imposto un facere straordinario quale produrre - in formato analogico o digitale - una mole irragionevole di dati o documenti” per i quali l’amministrazione avrebbe dovuto interpellare un esteso numero di controinteressati, al fine di valutare le motivazioni da questi ultimi dedotte quale indice di sussistenza di un pregiudizio concreto, così come disposto dall’art. 5 bis, comma 2 del d.lgs. 33 del 2013. 3. Le diverse tipologie del diritto di accesso. Per comprendere al meglio i limiti dell’accesso civico generalizzato è necessario, in sintesi, analizzare le varie tipologie di diritto di accesso presenti nell’ordinamento italiano, e cioè: l’accesso procedimentale (art. 10 L. n. 241 del 1990); l’accesso documentale (art. 22 L. n. 241 del 1990); l’accesso in materia penale (art. 391 quater c.p.p.), l’accesso in materia ambientale (art. 3 del D.lgs. n. 195 del 2005); l’accesso civico o civico “semplice” (art. 5, comma 1, del D.lgs. n. 33 del 2013); l’accesso civico generalizzato (art. 5, comma 2, del D.lgs. n. 33 del 2013). 3.1. il diritto di accesso procedimentale. il diritto di accesso procedimentale è disciplinato dall’art. 10, comma 1, lett. a) della L. 7 agosto 1990, n. 241, il quale stabilisce che: “i soggetti di cui all’articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’articolo 9 hanno diritto: a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’articolo 24; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento”. (1) t.a.r. Lombardia, Sez. iii, sentenza 11 ottobre 2017, n. 1951. ContenzioSo nAzionALe 153 Per quanto riguarda i presupposti soggettivi, solo i destinatari di effetti diretti del provvedimento finale del procedimento o coloro che debbono intervenirvi ex lege (art. 7 L. n. 241/90) oppure che ne hanno la facoltà (art. 9 L. n. 241/90) possono “prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’art. 24” (art. 10, comma 1, lett. a) L. n. 241/90). Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, il diritto di accesso in questione riguarda solamente gli atti del procedimento cui partecipano i soggetti di cui all’art. 7 e all’art. 9 della Legge n. 241 del 1990. 3.2. il diritto di accesso documentale. il diritto di accesso documentale è previsto dall’art. 22 della L. n. 241/90, il quale, al comma 1, consente l’accesso ai documenti amministrativi, così come definiti dalla lett. d), soltanto ai “soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”. Ciò significa che la situazione giuridica del richiedente deve essere tutelata dall’ordinamento e che deve riscontrarsi un collegamento diretto, attuale e concreto tra l’interesse del richiedente e il documento di cui viene chiesto l’accesso. Per quanto riguarda i presupposti soggettivi, dunque, è richiesta la sussistenza di una situazione giuridicamente tutelata e connessa al documento oggetto dell’istanza di accesso in modo diretto, concreto e attuale. Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, il diritto di accesso può avere ad oggetto i documenti amministrativi, così come individuati dall’art. 22, comma 1, lett. d) L. n. 241/90, vale a dire “…ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. Pertanto, a differenza dell’accesso civico semplice e generalizzato, l’istanza di accesso non può riguardare dati o informazioni. 3.3. accesso in materia penale. La Legge 7 dicembre 2000 n. 397 ha introdotto l’art. 391 quater c.p.p. esso dispone che: “1. ai fini delle indagini difensive, il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia a sue spese. 2. L’istanza deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente. 3. in caso di rifiuto da parte della pubblica amministrazione si applicano le disposizioni degli articoli 367 e 368”. rASSeGnA AvvoCAturA 154 DeLLo StAto - n. 2/2018 i presupposti soggettivi riguardano la qualifica di difensore, il quale non sarebbe tenuto a motivare l’istanza di accesso, purché sia manifesta l’utilità ai fini dell'indagine. Per quanto riguarda i presupposti oggettivi la richiesta può riguardare solo “documenti” della pubblica amministrazione. 3.4. accesso in materia ambientale. il D.lgs. n. 195/2005 (“attuazione della direttiva 2003/4/Ce [2] sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale”) prevede un più ampio diritto di accesso in materia ambientale. L’art. 1 (“Finalità”) del D.lgs. n. 195/2005 garantisce il diritto di accesso all’informazione in materia ambientale, nonché la diffusione sistematica e progressiva della stessa. in particolare l’art. 3, comma 1 del D.lgs. n. 195/2005 (“accesso all'informazione ambientale su richiesta”) dispone che l’informazione ambientale venga fornita a “chiunque” ne faccia richiesta, senza la necessità della sussistenza di un interesse specifico. Pertanto per quanto riguarda i presupposti soggettivi, a differenza dell’accesso ex art. 22 L. n. 241/90 (3), allo scopo di accedere alle informazioni in materia ambientale, il richiedente non deve essere “interessato”, cioè titolare di un interesse diretto, attuale e concreto rispetto al documento al quale richiede di accedere. Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, la richiesta può riguardare le informazioni correlate all’ambiente, concetto comprendente sia i documenti quanto dati non oggetto di specifici documenti ma già in possesso delle Amministrazioni. 3.5. accesso civico semplice. L’accesso civico semplice è previsto dall’art. 5, comma 1 del D.lgs. 33/2013, il quale dispone: “L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”. L’accesso civico “semplice”, consente l’accesso non solo ai documenti (2) La direttiva 2003/4/Ce dispone all’art. 3, comma 1 che gli Stati membri debbano provvedere “affinché le autorità pubbliche siano tenute, ai sensi delle disposizioni della presente direttiva, a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da essi o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse”. (3) Cfr. Cons. di Stato, Sez. iv, sent. n. 2557 del 20 maggio 2014: la disposizione evidenzia l’abbattimento delle limitazioni riguardanti la legittimazione attiva, poiché la tutela dell’ambiente corrisponde ad un interesse pubblico e non meramente privatistico. Si veda anche Corte di Giustizia dell’unione europea, Sez. iii, sentenza 28 luglio 2011 in C-71/10. ContenzioSo nAzionALe 155 amministrativi, ma anche ai dati e alle informazioni della pubblica amministrazione e non soltanto agli “interessati”, ma a qualunque soggetto, purché l’istanza abbia ad oggetto documenti dati o informazioni che è obbligatorio pubblicare. Anche in tale ipotesi, come in quella di accesso ambientale, i presupposti soggettivi non prevedono limitazioni. Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, la richiesta di accesso può riguardare documenti, informazioni o dati, a condizione che si tratti di “informazioni” per le quali sia aliunde previsto l’obbligo dell’amministrazione di pubblicarli. 3.6. accesso civico generalizzato. L’accesso civico generalizzato è previsto dall’art. 5, comma 2 del D.lgs. 33/2013, il quale stabilisce: “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis”. La legittimazione, inoltre, come per l’accesso civico, spetta a “chiunque”, non occorrendo alcun interesse specifico. L’accesso civico generalizzato può avere ad oggetto dati, documenti amministrativi e le informazioni, ma non quelli da pubblicare obbligatoriamente. È interessante notare che lo scopo dell’accesso civico generalizzato (favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico) trova una corrispondenza nella nuova formulazione dell’art. 1, comma 1, del D.lgs. n. 33 del 2013 (anch’esso modificato dal D.lgs. n. 97 del 2016), laddove si afferma che: “La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”. Lo scopo del Legislatore, attraverso gli istituti dell’accesso civico, va oltre l’esigenza di trasparenza dell’amministrazione (come nell’accesso documentale), e sembra indirizzarsi verso l’attuazione di forme di controllo diretto da parte dei cittadini sull’esercizio delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse delle pubbliche amministrazioni attraverso la partecipazione al dibattito pubblico. in altri termini, si passa dalla tutela di un interesse egoistico ed individuale (accesso documentale) ad un interesse collettivo (accesso civico) finalizzato rASSeGnA AvvoCAturA 156 DeLLo StAto - n. 2/2018 non più a difendersi dall’amministrazione, ma a controllare l’amministrazione. Analogamente a quanto accade nell’accesso in materia ambientale, prima facie, all’interno della disciplina sull’accesso civico generalizzato, non sembrano sussistere limiti soggettivi all’accesso, avendo il Legislatore riconosciuto il diritto a “chiunque”. Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, l’accesso può riguardare tutti i dati, documenti, o informazioni che la pubblica amministrazione detiene, a prescindere dalla sussistenza di un obbligo di pubblicazione (art. 5, comma 3 D.lgs. n. 33/2013). 4. L’accesso agli atti delle istituzione europee. il regolamento (Ce) 30 maggio 2001, n. 1049 del Parlamento europeo e del Consiglio disciplina l’accesso agli atti delle istituzioni europee, quali il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. in particolare i commi 1 e 2 dell’art. 2 stabiliscono, rispettivamente, che ogni cittadino dell’unione europea e chi risiede in uno Stato terzo può accedere ai documenti delle suddette istituzioni. Questa disposizione è finalizzata allo scopo di ampliare il più possibile l’accesso ai documenti, garantendo la trasparenza e la partecipazione effettiva delle persone fisiche e giuridiche alla vita istituzionale europea (art. 1 del medesimo regolamento). Per quanto riguarda i presupposti soggettivi, il diritto di accesso spetta ai cittadini dell’unione europea residenti o meno in uno Stato membro, ai sensi del comma 1 dell’art. 2 del regolamento europeo. il comma successivo della medesima norma prevede che le istituzioni europee possano concedere l’accesso ai documenti alle persone fisiche e persone giuridiche residenti o aventi la sede sociale in un Paese extracomunitario. Pertanto potrebbe trattarsi di una mera facoltà, e non di un diritto, attribuita ai soggetti non cittadini dell’unione europea, sebbene tali differenti situazioni giuridiche soggettive non si desumano dai “considerando” dell’esaminato regolamento. Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, l’accesso è relativo ai soli documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, ove per documento si intende qualsiasi contenuto informativo relativo alle politiche, iniziative e decisioni di competenza dell’istituzione europea (art. 3, comma 1, lett. a) regolamento (Ce) n. 1049/2001). 5. L’accesso in Germania ed in francia. il sistema tedesco e quello francese disciplinano l’accesso partecipativo, avente pertanto lo scopo difensivo ed assimilabile all’accesso procedimentale dell’art. 10 L. n. 241/90. entrambi gli ordinamenti hanno da tempo introdotto un freedom of information act. in Germania, per quel che riguarda la prima tipologia di accesso, l’art. ContenzioSo nAzionALe 157 29, Sezione 1, Parte ii dell’administrative Procedure act (Verwaltungsverfahrensgesetz) (4) consente, a coloro che partecipano al procedimento amministrativo, il diritto di esaminare i documenti del procedimento quando la loro conoscenza è necessaria allo scopo di affermare o difendere i propri interessi giuridicamente rilevanti. Accanto a questa forma di accesso procedimentale, l’ordinamento tedesco prevede che “chiunque” ha diritto di acquisire informazioni dalle Autorità del Governo Federale (5). Le uniche eccezioni sono di tipo oggettive e sono enucleate nelle sezioni 3 e ss. del federal act Governing access to information held by the federal Government (freedom of information act). in Francia l’art. L. 121-1 del primo capitolo del “Code des relation entre le public et l’administration” stabilisce che gli atti della pubblica amministrazione siano assunti previo contraddittorio procedimentale con l’interessato (6); inoltre l’art. L. 122, primo periodo 1, dispone che le decisioni di cui all’art. L. 211-2 non siano prese prima che la persona interessata abbia (4) Art. 29 del Verwaltungsverfahrensgesetz (“inspection of documents by participants”): “(1) the authority shall allow participants to inspect the documents connected with the proceedings where knowledge of their contents is necessary in order to assert or defend their legal interests. until administrative proceedings have been concluded, the foregoing sentence shall not apply to draft decisions and work directly connected with their preparation. Where participants are represented as provided under sections 17 and 18, only the representatives shall be entitled to inspect documents. (2) the authority shall not be obliged to allow the inspection of documents where this would interfere with the orderly performance of the authority’s tasks, where knowledge of the contents of the documents would be to the disadvantage of the country as a whole or of one of the Länder, or where proceedings must be kept secret by law or by their very nature, i.e. in the rightful interests of participants or of third parties. (3) inspection of documents shall take place in the offices of the record-keeping authority. in individual cases, documents may also be inspected at the offices of another authority or of the diplomatic or consular representatives of the federal Republic of Germany abroad. the authority keeping the records may make further exceptions”. (5) Sezione 1 (“underlying principles”) del federal act Governing access to information held by the federal Government (freedom of information act): “(1) everyone is entitled to official information from the authorities of the federal Government in accordance with the provisions of this act. this act shall apply to other federal bodies and institutions insofar as they discharge administrative tasks under public law. for the purposes of these provisions, a natural or legal person shall be treated as equivalent to an authority where an authority avails itself of such a person in discharging its duties under public law. (2) the authority may furnish information, grant access to files or provide information in any other manner. Where an applicant requests a certain form of access to information, the information may only be provided by other means for good cause. in particular, substantially higher administrative expenditure shall constitute good cause. (3)Provisions in other legislation on access to official information shall take precedence, with the exception of section 29 of the administrative Procedure act (VwVfG) and section 25 of book ten of the social Code”. (6) Art. L. 121-1 del Code des relation entre le public et l’administration: “exception faite des cas où il est statué sur une demande, les décisions individuelles qui doivent être motivées en application de l'article L. 211-2, ainsi que les décisions qui, bien que non mentionnées à cet article, sont prises en considération de la personne, sont soumises au respect d'une procédure contradictoire préalable”. rASSeGnA AvvoCAturA 158 DeLLo StAto - n. 2/2018 avuto modo di presentare osservazioni scritte e, nel caso, su sua richiesta, osservazioni orali (7). È poi interessante la disposizione di cui all’art. 122-1 secondo periodo, la quale prevede che l’amministrazione non è tenuta ad accogliere le richieste di audizioni abusive, in particolare per il loro numero o il loro carattere ripetitivo o sistematico (8). Anche la Francia ha da tempo introdotto un FoiA, disciplinandolo all’interno del suddetto codice. L’ art. L. 300-1 stabilisce che il diritto di ogni persona all’informazione è previsto e garantito dalle disposizioni dei titoli i, iii, e iv del presente libro per quanto concerne la libertà di accesso ai documenti amministrativi (9). L’ art. L. 300- 2 individua quali documenti amministrativi, qualunque sia la loro data, il loro luogo di conservazione, la loro forma e il loro sostegno, i documenti prodotti o ricevuti dallo Stato, dalle autorità locali e da altri soggetti di diritto pubblico o da soggetti privati responsabili di un servizio pubblico. tali documenti includono rapporti, studi, relazioni, verbali, statistiche, istruzioni, circolari, note e risposte ministeriali, corrispondenza, avvisi, previsioni, risorse digitali e decisioni (10). 6. Libertà di informazione: art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. ulteriore profilo di rilievo, che si interseca con il diritto di accesso civico generalizzato, risulta essere la libertà di informazione, come prescritta dall’art. 10 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1952 (11). (7) Art. L. 122-1, primo periodo del Code des relation entre le public et l’administration: “Les décisions mentionnées à l'article L. 211-2 n'interviennent qu'après que la personne intéressée a été mise à même de présenter des observations écrites et, le cas échéant, sur sa demande, des observations orales. Cette personne peut se faire assister par un conseil ou représenter par un mandataire de son choix”. (8) Art. L. 122-1, secondo periodo del Code des relation entre le public et l’administration: “L'administration n'est pas tenue de satisfaire les demandes d'audition abusives, notamment par leur nombre ou leur caractère répétitif ou systématique”. (9) Art. L. 300-1 del Code des relation entre le public et l’administration: “Le droit de toute personne à l'information est précisé et garanti par les dispositions des titres ier, iii et iV du présent livre en ce qui concerne la liberté d'accès aux documents administratifs”. (10) Art. L. 300-2 del Code des relation entre le public et l’administration: “sont considérés comme documents administratifs, au sens des titres ier, iii et iV du présent livre, quels que soient leur date, leur lieu de conservation, leur forme et leur support, les documents produits ou reçus, dans le cadre de leur mission de service public, par l'etat, les collectivités territoriales ainsi que par les autres personnes de droit public ou les personnes de droit privé chargées d'une telle mission. Constituent de tels documents notamment les dossiers, rapports, études, comptes rendus, procès-verbaux, statistiques, instructions, circulaires, notes et réponses ministérielles, correspondances, avis, prévisions, codes sources et décisions.(ii)Les actes et documents produits ou reçus par les assemblées parlementaires sont régis par l'ordonnance n° 58- 1100 du 17 novembre 1958 relative au fonctionnement des assemblées parlementaires”. (11) Si veda anche l’art. 11, comma 1 della Carta di nizza del 2000: “ogni individuo ha diritto ContenzioSo nAzionALe 159 Quest’ultima norma definisce la libertà d’espressione quale diritto di chiunque di ricevere e comunicare informazioni o idee ad eccezione dei limiti imposti dalla legge come misure necessarie “alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”. La questione da analizzare nell’ipotesi su cui si è pronunciato il tar Lazio è se quest’ultimo, rigettando il ricorso della Coldiretti, abbia leso il predetto diritto, tenuto conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e dell’evoluzione della stessa, nonché del diritto dell’ordinamento italiano. innanzitutto la Corte eDu ha sempre qualificato negativamente la libertà di espressione ex art. 10 della convenzione fino alla pronuncia della Grande Camera con la sentenza dell’8 novembre 2016 (magyar Helsinki bizottsàg c. ungheria, ricorso n. 18030/11). Con detta decisione si è affrontata la questione della sussistenza del diritto di acquisire le informazioni delle pubbliche amministrazioni per esercitare effettivamente il diritto di espressione, con lo scopo di alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse generale. il caso di specie riguarda una onG che ha agito in giudizio dinanzi le autorità giudiziarie ungheresi nei confronti dell’amministrazione del medesimo Stato, chiedendo di conoscere l’effettività dei diritti di difesa dei richiedenti asilo. A seguito del rigetto del ricorso da parte delle suddette autorità e della Corte Suprema, in quanto la richiesta di accesso presentata comportava la conoscenza dei nomi dei difensori di ufficio e pertanto veniva ritenuta lesiva del diritto alla tutela dei dati personali, l’onG ha adito la Corte eDu, sostenendo che la propria istanza era legittimata dal diritto alla libertà di espressione come garantito dall’art. 10 della Convenzione. Con tale decisione, la Corte ha affermato che solo nell’ipotesi in cui il diritto di accesso sia strumentale alla libertà di informazione l’amministrazione è tenuta a rendere conoscibili i dati e i documenti oggetto della domanda di ostensione. La pubblica amministrazione dovrà dunque valutare la natura della richiesta, ossia se quest’ultima riguardi tematiche di interesse pubblico e se abbia rilevanza all’interno dell’intera collettività. 7. “Linee Guida” dell’aNaC (12)(13). L’AnAC interviene al fine di garantire la trasparenza della pubblica amalla libertà di espressione. tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. (12) Sito ufficiale AnAC: www.anticorruzione.it. rASSeGnA AvvoCAturA 160 DeLLo StAto - n. 2/2018 ministrazione attraverso l’accesso alle informazioni, documenti e dati (14). in particolare con l’avvento dell’introduzione del nuovo istituto del c.d. FoiA (freedom of information act) si è ampliata, come sopra già sottolineato, la partecipazione del cittadino alla vita pubblica, mediante un accesso ai dati e documenti che chiunque può richiedere (15), salvo le limitazioni oggettive ex art. 5 bis del d.lgs. 33/2013 e tenuto conto dello scopo da perseguire (ossia quello di “di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”). in particolare l’art. 5-bis, comma 2, del D.Lgs. 33/2013 prevede una ponderazione basata su criteri oggettivi dell’interesse conoscitivo con gli altri contrapposti interessi, ovverosia la P.A. deve valutare la sussistenza di un eventuale pregiudizio concreto di tali interessi. Le “Linee Guida” dell’Autorità nazionale Anticorruzione recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti (art. 5-bis, co. 6) hanno precisato che al fine di un legittimo diniego dell’accesso da parte dell’amministrazione occorre che il predetto pregiudizio sia “altamente probabile” e non solamente “possibile in via generale e astratta” (Delibera AnAC n. 1309/2016) (16). 8. accesso irragionevole. Al fine di chiarire il significato di accesso irragionevole, tale da comportare un facere straordinario, come affermato dalla sentenza del tar Lazio qui esaminata (n. 2994/2018), è intervenuta la circolare n. 2/2017 (17) del Mini- (13) Garante per la Protezione dei dati personali, “intesa sullo schema delle Linee guida aNaC recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico - 15 dicembre 2016”, in www.garanteprivacy.it (14) Sul concetto di trasparenza si veda l’art. 1, commi 2 e 3 d.lgs. 33/2013. Per la trasparenza quale prevenzione dei fenomeni di corruzione dell’azione pubblica si veda la l. n. 190/2012. (15) Si parla del modello c.d. “open source”, ossia di una concezione aperta delle informazioni pubbliche. (16) Le Linee guida sono state approvate con delibera del Consiglio n. 1309 del 28 dicembre 2016 e pubblicate sul sito dell’Autorità e nella Gazzetta ufficiale - Serie Generale n. 7 del 10 gennaio 2017. Si veda il comunicato del Presidente Cantone del 27 aprile 2017 con il quale chiarisce l’attività dell’AnAC in materia di accesso civico generalizzato. (17) La circolare ha chiarito che per definire il concetto di ragionevolezza debbono essere considerati i seguenti criteri: “- l’eventuale attività di elaborazione (ad es. oscuramento di dati personali) che l’amministrazione dovrebbe svolgere per rendere disponibili i dati e documenti richiesti; - le risorse interne che occorrerebbe impiegare per soddisfare la richiesta, da quantificare in rapporto al numero di ore di lavoro per unità di personale; - la rilevanza dell’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare. L’irragionevolezza della richiesta è manifesta soltanto quando è evidente che un’accurata trattazione della stessa comporterebbe per l’amministrazione un onere tale da compromettere il buon andamento della sua azione. il carattere palese del pregiudizio serio e immediato al buon funzionamento dell’amministrazione va motivato in relazione ai criteri sopra indicati. Qualora tale pregiudizio sia riscontrabile, l’amministrazione, prima di decidere sulla domanda, dovrebbe con ContenzioSo nAzionALe 161 stero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, recante l’“attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. foia)”. L’AnAC (18) con le Linee Guida ha chiarito che è irragionevole l’istanza di ostensione per un numero manifestamente irragionevole di documenti tale da imporre un carico di lavoro dell’amministrazione così oneroso da paralizzare, “in modo molto sostanziale” l’azione pubblica. Pertanto l’amministrazione dovrà, a seguito della presentazione di una domanda di accesso ai dati e informazioni pubbliche, ponderare l’interesse del richiedente e il carico di lavoro che ne deriverebbe. in particolare i criteri applicativi per la valutazione della ragionevolezza di ciascuna istanza di accesso: - l’eventuale attività di elaborazione (ad es. oscuramento di dati personali) che l’amministrazione dovrebbe svolgere per rendere disponibili i dati e documenti richiesti; - le risorse interne che occorrerebbe impiegare per soddisfare la richiesta, da quantificare in rapporto al numero di ore di lavoro per unità di personale; - la rilevanza dell’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare. irragionevole è considerata altresì l’ipotesi in cui uno stesso soggetto, o più soggetti riconducibili a un medesimo ente, presenti più istanze in un breve lasso di tempo. infatti l’amministrazione potrebbe valutare l’impatto cumulativo delle predette domande sul buon andamento della sua attività (19). in particolare, nel caso di specie si potrebbe interpretare la statuizione del giudice amministrativo circa l’irragionevolezza dell’istanza di accesso nel tattare il richiedente e assisterlo nel tentativo di ridefinire l’oggetto della richiesta entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità. soltanto qualora il richiedente non intenda riformulare la richiesta entro i predetti limiti, il diniego potrebbe considerarsi fondato, ma nella motivazione del diniego l’amministrazione non dovrebbe limitarsi ad asserire genericamente la manifesta irragionevolezza della richiesta, bensì fornire una adeguata prova, in relazione agli elementi sopra richiamati, circa la manifesta irragionevolezza dell’onere che una accurata trattazione della domanda comporterebbe. i medesimi principi sono applicabili all’ipotesi in cui uno stesso soggetto (o una pluralità di soggetti riconducibili a un medesimo ente) proponga più domande entro un periodo di tempo limitato. in questo caso, l’amministrazione potrebbe valutare l’impatto cumulativo delle predette domande sul buon andamento della sua azione e, nel caso di manifesta irragionevolezza dell’onere complessivo che ne deriva, motivare il diniego nei termini sopra indicati. se il medesimo richiedente ha già formulato una richiesta identica o sostanzialmente coincidente, l’amministrazione ha la facoltà di non rispondere alla nuova richiesta, a condizione che la precedente sia stata integralmente soddisfatta”. (18) Autorità nazionale Anticorruzione, “schema Linee Guida Recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, co. 2 del d.lgs. 33/2013. art. 5 -bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013 recante ‘Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni’”, p. 7; cfr. la giurisprudenza europea, tribunale Prima Sezione ampliata 13 aprile 2005 causa t-2/03. (19) AnAC, delibera 28 dicembre 2016 n. 1309 (in G.u. Serie Generale n. 7 del 10 gennaio 2017) - Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all'art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33/2013. rASSeGnA AvvoCAturA 162 DeLLo StAto - n. 2/2018 senso che il sacrificio dell’amministrazione conseguente l’accoglimento della richiesta della Coldiretti sarebbe stato tanto gravoso da rischiare di ostacolare o comunque di incidere negativamente sull’andamento della pubblica amministrazione (20). 9. La motivazione della sentenza. Secondo il tar Lazio, nella sentenza n. 2994 del 2108 afferma che l’irragionevolezza dell’istanza risulta fondata qualora sia palese la serietà e l’immediatezza del pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione. in tal caso l’amministrazione prima di decidere sulla richiesta di accesso deve dialogare con l’istante al fine della formulazione di una richiesta che non sia pregiudizievole. nel caso di specie Coldiretti non ha riformulato la richiesta sulla base delle prescrizioni dell’amministrazione interessata, ossia quelle di fornire un report “contenente le informazioni aggregate per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in italia, senza i riferimenti delle ditte individuali e dei soggetti giuridici nazionali o esteri”. A seguito di tale inosservanza della ricorrente, il Ministero della Salute ha motivato il diniego della domanda di accesso sostenendo la sussistenza del pregiudizio per la pubblica amministrazione individuato nel notevole aggravio dell’attività istituzionale nella comunicazione a tutti i controinteressati dell’istanza di accesso civico oltre che nella attesa per ricevere le relative opposizioni (21). 10. Conclusioni finali. La sentenza n. 2294/2018 del tar Lazio è manifestazione giurisprudenziale di una lettura teleologica dell’art. 5, comma 2 d.lgs. 33/2013. Da un lato tiene conto del diritto di accesso attribuito a “chiunque”, ma dall’altro ha riguardo non solo delle limitazioni ex art. 5 bis del predetto decreto legislativo, ma anche del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. una parte della dottrina e della giurisprudenza è fautrice di un’interpretazione della norma estensiva, secondo la quale il diritto di accesso civico generalizzato si inquadrerebbe come diritto di cittadinanza, per cui ciascun cittadino ha, appunto, il diritto di far parte della vita pubblica mediante la conoscenza (20) Anche il Consiglio di Stato, Sez. v, con la sentenza del 7 febbraio 2012, n. 656 si è pronunciato sull’abuso del diritto di accesso e dei propri elementi costitutivi, ossia: “…1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte”. (21) Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, “Circolare 30 maggio 2017, n. 2/2017 (in G.u. n. 162 del 13 luglio 2017; in vigore in pari data) - attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. foia). (17a04795)”, p. 64. ContenzioSo nAzionALe 163 di dati e documenti ad essa relativi purché “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. Altro orientamento, tra cui quello del tribunale di cui si discorre, sostiene una lettura più restrittiva della c.d. “funzionalizzazione” dell’accesso civico generalizzato (22). Si è parlato addirittura di “un vero e proprio stalking della trasparenza”, tale da rendere indispensabile un ridimensionamento dell’uso distorto dell’accesso civico generalizzato, che avrebbe determinato la prassi di domande di ostensione con finalità “esorbitanti” o “irragionevoli”. in definitiva la conseguenza della motivazione della sentenza in commento è il rigetto della richiesta di ostensione che incide sull’attività amministrativa della pubblica amministrazione in senso negativo, in quanto richiederebbe l’espletamento di un esercizio straordinario dell’amministrazione medesima e, dunque, potrebbe essere ostativo rispetto a quello ordinario. tuttavia necessitano ulteriori chiarimenti di carattere giurisprudenziale e non, al fine di comprendere cosa debba intendersi per attività straordinaria dell’amministrazione, ossia qual è il limite entro il quale un’istanza potrà dirsi ragionevole. infatti alla luce della lettura della pronuncia n. 2994/2018 appare evidente la correlazione tra questi due profili. Da qui sorge un ulteriore quesito: la ragionevolezza di cui sopra dipende dalla definizione di facere straordinario della PA oppure al contrario è quest’ultima subordinata al concetto di istanza ragionevole? D’altronde “il prezzo da pagare” per l’introduzione di una figura di accesso ai dati e informazioni così aperta, con la finalità di partecipazione e accountability proprie del c.d. modello foia, è la difficoltà di circoscrivere il diritto di accesso attribuito ad ogni individuo entro dati limiti, o meglio di interpretare in maniera opportuna quelli previsti dalla legge. Bibliografia AnAC, Delibera 28 dicembre 2016 n. 1309 (G.u. - Serie Generale n. 7 del 10 gennaio 2017) - Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all'art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33/2013; GArAnte Per LA Protezione Dei DAti PerSonALi, intesa sullo schema delle Linee guida aNaC recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico - 15 dicembre 2016, in www.garanteprivacy.it; (22) teSSAro t., BertinM., “Accesso civico e finalità “esorbitanti” della richiesta di ostensione: una prima indagine casistica per la necessaria distinzione con l’accesso documentale”, in www. lexitalia.it, 2018. rASSeGnA AvvoCAturA 164 DeLLo StAto - n. 2/2018 MiniStero Per LA SeMPLiFiCAzione e LA PuBBLiCA AMMiniStrAzione, Circolare 30 maggio 2017, n. 2/2017 (in G.u. n. 162 del 13 luglio 2017, in vigore in pari data) - attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. foia); teSSAro t., Bertin M., accesso civico e finalità “esorbitanti” della richiesta di ostensione: una prima indagine casistica per la necessaria distinzione con l’accesso documentale, in www. lexitalia.it, 2018. Riferimenti giurisprudenziali trib. delle Comunità europee, Sez. i ampliata, sent. 13 aprile 2005, causa t-2/03; CGue, Sez. iii, sent. 28 luglio 2011, causa C-71/10; Cons. Stato, Sez. v, sent. 7 febbraio 2012 n. 656; Cons. Stato, Sez. iv, sent. 20 maggio 2014 n. 2557; t.a.r. Lombardia, Sez. iii, sent. 11 ottobre 2017 n. 1951. Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. Terza Quater, sentenza 16 marzo 2018 n. 2994 - Pres. G. Sapone, est. P. Biancofiore - Confederazione nazionale Coldiretti (avv.ti B.G. Mattarella, M. Petitto) c. Ministero della Salute (Avv. Gen. Stato). Diritto 1.il ricorso in esame ha per oggetto i provvedimenti del Ministero della Salute concernenti la risposta alla richiesta di accesso civico della Coldiretti: “ai dati e ai documenti, a qualsiasi titolo detenuti dal Ministero, relativi alla provenienza del latte e dei prodotti lattiero-caseari provenienti da paesi non inerenti all’unione europea ovvero oggetto di scambio intracomunitario, anche attraverso l’accesso diretto e continuativo alla banca dati dell’uvac e dell’usmaf attraverso un apposito collegamento informatico, eventualmente con oscuramento dei soli dati identificativi degli operatori stranieri; - alle informazioni concernenti le operazioni di entrata, uscita, transito e deposito di materie prime concernenti il latte e i prodotti lattiero-caseari provenienti da Paesi ue ed extra ue, realizzate dagli operatori del settore alimentare, eventualmente con oscuramento dell’identità degli operatori stranieri, richiedendone l’accessibilità tramite la banca dati del Ministero all’uopo predisposta”. A tale richiesta le competenti Direzioni Generali del Ministero della Salute opponevano sostanzialmente: - con la risposta del 26 maggio 2017 la Direzione Generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari ha contestato alla ricorrente la genericità della richiesta, la mancata individuazione dei soggetti controinteressati che, secondo le Linee Guida dell’AnAC e secondo l’art. 5 bis, comma 2 del d.lgs. n. 33 del 2013 l’Amministrazione deve interpellare onde venire a conoscenza degli eventuali motivi di pregiudizio recati dall’istanza. La Direzione generale ha concluso dunque chiedendo all’interessata di “circostanziare l’istanza, individuando specificamente i dati e/o i documenti di interesse” ed ha fatto riserva comunque “di fornire tali dati e/o documenti attraverso un report contenente le informazioni aggregate per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in italia, senza i riferimenti delle ditte individuali e dei soggetti giuridici nazionali ed esteri”; ContenzioSo nAzionALe 165 - con la risposta del 6 giugno 2017, la Direzione Generale per la Prevenzione sanitaria, nel far riferimento a quella della Direzione Generale della Sanità animale, cui aderiva integralmente, rappresentava inoltre che “il latte ed i prodotti lattiero-caseari, in quanto prodotti di origine animale, non sono sottoposti a controlli sanitari da parte degli uSMAF SASn, i quali - nell’ambito delle attuali distribuzioni di competenze all’interno del Ministero della Salute, effettuano controlli sanitari sulle importazioni da Paesi terzi di alimenti di origine non animale e di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con alimenti (MoCA)”, precisazione che la ricorrente definisce non rilevante. 1.2 Con i motivi aggiunti la ricorrente, che ha reiterato l’istanza di accesso limitando la richiesta a “i dati relativi alla importazione, nel secondo trimestre del corrente anno solare, di latte e di prodotti lattiero-caseari provenienti da Paesi non aderenti all’unione europea ovvero oggetto di scambio intracomunitario”, ha impugnato la risposta con cui l’Amministrazione ha insistito che la richiesta di accesso pone un problema di protezione e tutela dei dati personali e di interessi economici e commerciali delle ditte interessate ed ha concluso che, ai sensi delle Linee Guida dell’AnAC in data 28 dicembre 2016, quando individua un soggetto controinteressato ai sensi dell’art. 5 bis, comma 2 del d.lgs. 33 del 2013, l’Amministrazione deve interpellarlo e le motivazioni da costui addotte costituiscono un indice della sussistenza di un pregiudizio concreto la cui valutazione spetta all’Amministrazione medesima. e poiché “gli operatori del Settore Alimentare registrati presso i sistemi informatizzati utilizzati dal Ministero della Salute per lo svolgimento dei controlli veterinari, … sono un numero elevatissimo (relativamente agli scambi intra ue, ad esempio, nel trimestre indicato si tratta di circa 1.100-1.200 unità) ha concluso rilevando il notevole aggravio dell’attività istituzionale nella comunicazione a tutti costoro dell’istanza di accesso civico oltre che della attesa per ricevere le relative opposizioni, come posto in evidenza dall’AnAC quale motivo di irragionevolezza della richiesta. L’Amministrazione ha concluso altresì non col diniego, ma con la proposta di fornire un report “contenente le informazioni aggregate per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in italia, senza i riferimenti delle ditte individuali e dei soggetti giuridici nazionali o esteri”. 2. Si passa all’esposizione ed all’esame delle censure. 2.1 Col primo motivo del ricorso principale la ricorrente lamenta che la finalità della nuova disciplina dell’accesso civico è quello di favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e che non richiede motivazione, essendo sostanzialmente uno strumento di trasparenza. Peraltro la ricorrente gode di una posizione di interesse differenziato, essendo la principale organizzazione agricola a livello nazionale ed europeo, ampiamente rappresentativa delle imprese agricole italiane e legittimata a tutelare la produzione alimentare italiana, sicché sarebbe altresì legittimata all’accesso ai sensi della legge n. 241 del 1990. Con un secondo profilo della stessa censura osserva che oggetto dell’accesso civico non era il prezzo o le condizioni contrattuali effettuate dalle imprese importatrici che giustificherebbero la mancata ostensione, ma si tratta di sapere quanto latte e quanti prodotti lattiero-caseari importa ciascuna impresa operante in italia, in base alla classificazione disposta, sul piano doganale, dai codici di nomenclatura combinata. La ricorrente non ha chiesto e non chiede di conoscere il prezzo di acquisto, né l’identità dell’esportatore straniero, né le condizioni contrattuali, né l’uso che viene fatto dei prodotti importati. rifiutare l’accesso significa affermare il diritto delle imprese, produttrici di prodotti alimentari, rASSeGnA AvvoCAturA 166 DeLLo StAto - n. 2/2018 di nascondere ai consumatori la provenienza dei propri prodotti; significa affermare che l’amministrazione ritiene conforme all’interesse pubblico che i cittadini non siano informati sulla provenienza dei prodotti alimentari, laddove la legge vuole proprio consentire ai cittadini di conoscere le stesse informazioni di cui sono in possesso le pubbliche amministrazioni anche tenuto conto della disciplina di settore che, di recente, dopo aver introdotto disposizioni in materia di tracciabilità ed etichettatura del latte fresco (d.m. 14 gennaio 2005) ha adottato il d.m. 9 dicembre 2016 con riguardo all’indicazione di origine del latte e del latte usato come ingrediente per ulteriori e numerose categorie di latte e prodotti lattiero caseari compresi formaggi, latticini e cagliate. neanche le Linee Guida dell’AnAC del 13 dicembre 2016 giustificano il diniego come sarebbe giustificabile in ordine ad interessi economici e commerciali. Con gli ulteriori profili della medesima censura sostiene che l’Amministrazione non ha negato esplicitamente l’accesso, ma ugualmente è come se l’avesse fatto, in quanto, laddove sostiene che l’istanza è generica contrasta con la circolare n. 2 del 2017 del Ministro della semplificazione e della pubblica amministrazione (“Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato”, pubblicata sul sito istituzionale del Dipartimento della funzione pubblica il 1° giugno 2017), ove si osserva che “in base all’art. 5, c. 3, d.lgs. n. 33 del 2013, è sufficiente che la richiesta “identifichi” i dati o i documenti che si vogliono ottenere. nel valutare l’adeguatezza di tale identificazione, le pubbliche amministrazioni devono tener conto della difficoltà che il richiedente può incontrare nell’individuare con precisione i dati o i documenti di suo interesse. Per questa ragione, conformemente al parere formulato dal Consiglio di Stato (parere del 18 febbraio 2016, punto 11.3), nella versione finale dell’art. 5, c. 3, non compare più l’obbligo per il richiedente di identificare “chiaramente” i dati o documenti che si vogliono ottenere”. Ma anche in ordine al numero eccessivo di controinteressati solleva che, se le istanze di accesso non devono essere emulative o mettere in difficoltà le Amministrazioni, quando i dati sono raccolti, come in questo caso in una banca dati, cui appunto la ricorrente ha richiesto l’accesso proprio per non creare difficoltà all’Amministrazione non pare per questo non rispettato il principio di trasparenza e di ragionevolezza. 2.2 Con la seconda censura oppone l’assoluto difetto di motivazione negli atti gravati, come dimostrata pure dalla inottemperanza delle istruzioni recate dalle Linee Guida secondo cui: “Affinché l’accesso possa essere rifiutato, il pregiudizio agli interessi considerati dai commi 1 e 2 deve essere concreto quindi deve sussistere un preciso nesso di causalità tra l’accesso e il pregiudizio. L’amministrazione, in altre parole, non può limitarsi a prefigurare il rischio di un pregiudizio in via generica e astratta, ma dovrà: a) indicare chiaramente quale - tra gli interessi elencati all’art. 5 bis, co. 1 e 2 - viene pregiudicato; b) valutare se il pregiudizio (concreto) prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell’informazione richiesta; c) valutare se il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile, e non soltanto possibile”. e sulla base di queste indicazioni, è evidente che l’amministrazione non ha applicato correttamente la legge: non ha indicato l’attività di elaborazione necessaria (se non con un generico ed erroneo riferimento all’invio di raccomandate), non ha quantificato questa attività, non ha minimamente ragionato in termini di ore di lavoro e di unità di personale. 2.3 Con i motivi aggiunti parte ricorrente anzitutto insiste in punto di interesse ad osservare che se è vero che esiste l’obbligo di etichettatura in ordine all’origine degli ingredienti di alcuni alimenti, per i formaggi affettati e venduti a peso dal commerciante tale obbligo non vi è; molti prodotti caseari sono prodotti e confezionati in italia, ma sulla base di altri prodotti caseari (come i cagliati) importati ed in questo caso, al consumatore non è garantita la piena ContenzioSo nAzionALe 167 informazione sugli ingredienti; ed infine la disciplina dell’etichettatura e della tracciabilità consente di vendere, come prodotti in italia, alimenti che hanno subito in italia alcune fasi della produzione, ma le cui materie prime sono importate. 2.4 Con la prima doglianza dei motivi aggiunti sostiene che la invocata disciplina della etichettatura in realtà fornisce ai consumatori alcune informazioni, ma non consente di ottenere le informazioni alle quali i ricorrenti aspirano. Quanto alle difficoltà organizzative per ottenere l’accesso civico sostiene che è l’Amministrazione a doversi organizzare per esaudirle, pena il venir meno degli obiettivi della norma che lo disciplina. 2.5 e col secondo mezzo osserva che la difesa dell’Amministrazione risulterebbe generica ed anche la risposta fornita alla seconda istanza di accesso ben più circostanziata della prima è motivata riportando un ampio stralcio delle Linee Guida dell’AnAC del 13 dicembre 2016 senza che risulti la irragionevolezza della richiesta. 3. i motivi opposti dalla ricorrente nel ricorso principale e nei motivi aggiunti possono essere esaminati congiuntamente. 3.1 Si prescinde dalla problematica sollevata dall’Amministrazione in ordine alla notifica alle migliaia di controinteressati coinvolti dall’istanza di accesso civico, in quanto il ricorso appare infondato ed invero vi è pure un profilo di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla coltivazione della doglianza, sol se si rifletta alla clausola con la quale l’Amministrazione ha concluso sia la risposta del 26 maggio 2017 sia quella del 9 novembre 2017 alla seconda istanza di accesso, laddove si consente l’accesso ad un “report dal quale risultino le informazioni aggregate per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in italia, senza riferimenti delle ditte individuali e dei soggetti giuridici nazionali ed esteri”. Ma la ricorrente si oppone a tale modalità ostensiva, optando per l’accesso alla banca dati dell’uvAC attraverso un collegamento informatico continuativo, che le consenta di accedere direttamente ai dati delle varie ditte e quindi si analizzano nel merito i vari profili proposti. in ordine pure alla contestata irragionevolezza della richiesta ostensiva, opposta dall’Amministrazione, in quanto coinvolgente una pluralità quasi indeterminata di soggetti produttori o utilizzatori di prodotti lattiero caseari, effettuata con la prima istanza di accesso, è da rilevare peraltro che essa non appare superata nella seconda, pur essendo in questa circoscritta al periodo aprile - giugno 2017 sopra riportato, dal momento che, come rileva l’Amministrazione nel provvedimento gravato con i motivi aggiunti, riguarderebbe comunque 1.100 - 1.200 unità produttive nel trimestre. Al riguardo è pure da rilevare che, in base alla giurisprudenza formatasi sulla ridetta questione della irragionevolezza della richiesta, come collegata alla quantità di dati per i quali è necessario consultare i controinteressati nell’accesso civico è da porre in rilievo la legittimità del disposto diniego, anche se nel caso in esame le risposte dell’Amministrazione non possono essere considerate quali pronunce in tal senso, atteso che viene proposta una valida alternativa; una recente pronuncia in particolare reca il principio: “È legittimo il diniego di accesso motivato in base alla necessità di impedire che all'ente venga imposto un facere straordinario quale produrre - in formato analogico o digitale - una mole irragionevole di dati o documenti” (cfr. tAr Lombardia, Milano Sez. iii, 11-10-2017, n. 1951). Di conseguenza le richieste ostensive appaiono effettivamente irragionevoli, pure alla luce della chiara differenziazione operata dalle Linee Guida del 28 dicembre 2016 tra accesso generalizzato e accesso civico: “L'accesso civico rimane circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto di obblighi di pubblicazione e costituisce un rimedio alla mancata rASSeGnA AvvoCAturA 168 DeLLo StAto - n. 2/2018 osservanza degli obblighi di pubblicazione imposti dalla legge, sovrapponendo al dovere di pubblicazione, il diritto del privato di accedere ai documenti, dati e informazioni interessati dall'inadempienza” e che ha comportato l’istruzione recata al punto 5 dell’Allegato alle Linee Guida, che esclude le richieste massive manifestamente irragionevoli. oltre a ciò e conclusivamente delibando la censura, con cui, si ripete, parte ricorrente contesta la controdedotta irragionevolezza della richiesta ostensiva, è da rilevare che non è dato comprendere il motivo per cui, qualificandosi espressamente in ricorso come “la più grande e rappresentativa associazione delle imprese agricole italiane, con oltre 1.300.000 associati, di cui oltre 600.000 titolari attivi di impresa, oltre 5.000 sezioni periferiche, 873 uffici di zona e 116 federazioni territoriali associate”, la Confederazione interessata non possa procurarsi ugualmente le richieste informazioni tramite i propri iscritti o i propri uffici di zona, laddove la promossa istanza parrebbe introdurre pure una sorta di indiretto sindacato sulla correttezza dell’operato dell’Amministrazione pubblica, che richiederebbe una diversa modalità giurisdizionale. 3.2 Quanto alla genericità della richiesta opposta dall’Amministrazione, poi limitata nel secondo accesso al periodo 1° aprile 2017 al 30 giugno 2017 ed esemplificata in ordine al burro e altre materie grasse provenienti dal latte, formaggi latticini, siero di latte con riferimento ai documenti amministrativi anche digitali, in cui sono confluite le informazioni relative al nominativo del soggetto importatore e al tipo di prodotto importato e il relativo paese di provenienza ed altresì con riferimento, salva cancellazione di dati ed informazioni riservate, anche ai nomi delle imprese italiane importatrici, deve essere rilevato quanto segue. L’esemplificazione effettuata nella seconda istanza ostensiva circa i tipi di prodotti in ordine ai quali si intende ottenere l’accesso civico consente di non potere condividere quanto da parte ricorrente sostenuto in ordine alle disposizioni sulla etichettatura e sulla tracciabilità degli stessi, opposte proprio dalla Amministrazione quali risolutive ai fini della tutela dei soggetti che la Coldiretti intende appunto salvaguardare. Parte ricorrente sosterrebbe infatti che “le informazioni prescritte nelle etichette sono ben minori di quelle a cui si chiede di accedere e soprattutto non consentono di tracciare i prodotti lattiero caseari dei quali il latte importato sia ingrediente” (pag. 2 memoria di replica del 2 febbraio 2018). La determinazione della richiesta di parte ricorrente, richiesta che altrimenti apparirebbe realmente generica, è contenuta oltre che nella seconda istanza di accesso a titolo esemplificativo, proprio nel corpo dei motivi aggiunti (pag. 9), laddove parte ricorrente individuerebbe alcune categorie di prodotti che secondo la stessa in realtà non sono neppure contemplate nel decreto ministeriale sulla etichettatura e sulla tracciabilità, al punto da doversene rendere necessaria l’ostensione dei nominativi delle imprese che effettuano operazioni con quel tipo di latte proveniente da quel Paese comunitario e non; e queste categorie sarebbero: - nel decreto sulla etichettatura per i formaggi affettati e venduti a peso dal commerciante tale obbligo non vi è; - molti prodotti caseari sono prodotti e confezionati in italia, ma sulla base di altri prodotti caseari (come i cagliati) importati ed in questo caso, al consumatore non è garantita la piena informazione sugli ingredienti; - ed infine la disciplina dell’etichettatura e della tracciabilità consente di vendere, come prodotti in italia, alimenti che hanno subito in italia alcune fasi della produzione, ma le cui materie prime sono importate. orbene queste informazioni sono tutte controllabili attraverso il D.M. 9 dicembre 2016 che ContenzioSo nAzionALe 169 espressamente reca “indicazione dell'origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (ue) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”. in particolare l’Allegato 1 al detto decreto specifica quali sono i prodotti che sono soggetti ad obbligo di etichettatura: “Latte e prodotti lattiero-caseari di cui all'art. 1, comma 1. Latte e crema di latte, non concentrati né addizionati con zuccheri o altri edulcoranti. Latte e crema di latte, concentrati o con aggiunta di zuccheri o di altri edulcoranti. Latticello, latte e crema coagulata, yogurt, kefir ed altri tipi di latte e creme fermentate o acidificate, sia concentrate che addizionate di zucchero o di altri edulcoranti aromatizzate o con l'aggiunta di frutta o di cacao. Siero di latte, anche concentrato o addizionato di zucchero o di altri edulcoranti; prodotti costituiti di componenti naturali del latte, anche addizionati di zucchero o di altri edulcoranti, non nominati né compresi altrove. Burro e altre materie grasse provenienti dal latte; creme lattiere spalmabili. Formaggi, latticini e cagliate. Latte sterilizzato a lunga conservazione. Latte uht a lunga conservazione”. Ma se la preoccupazione è quella che l’utente non sia posto in grado di conoscere la provenienza del latte lavorato o il tipo di latte usato, a tale informazione provvede la norma di cui all’articolo 2 del decreto, stante la quale l’etichetta deve fornire “l'indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all'allegato 1, mediante le seguenti diciture: a) «paese di mungitura»: nome del Paese nel quale è stato munto il latte; b) «Paese di condizionamento o di trasformazione»: nome del paese nel quale il latte è stato condizionato o trasformato. 2. Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all'allegato 1, sia stato munto, condizionato o trasformato, nello stesso Paese, l'indicazione di origine può essere assolta con l'utilizzo della seguente dicitura: «origine del latte»: nome del Paese”. Ma anche la tutela del consumatore rispetto alla provenienza del latte e di prodotti lattiero caseari provenienti da un paese extra ue è risolta pure essa dall’obbligo di etichettatura con l’informazione relativa secondo quanto disposto dall’art. 3 del decreto ministeriale citato: “2. Qualora le operazioni di cui all'art. 2, comma 1, avvengano nel territorio di più Paesi situati al di fuori dell'unione europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata, possono essere utilizzate le seguenti diciture: «latte di Paesi non ue» per l'operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi non ue» per l'operazione di condizionamento o di trasformazione. Quindi, in sostanza, se l’interesse della ricorrente è quello della tutela del consumatore, espresso secondo quelle tre casistiche, secondo le sue prospettazioni, non sufficientemente tutelate dal decreto sulla etichettatura, tale preoccupazione è smentita dalla elencazione dei prodotti soggetti a tale obbligo, dalla indicazione nella etichetta della composizione del prodotto, degli ingredienti a base di latte o di altri componenti lattiero caseari e della loro provenienza sia come Paese comunitario sia come Paese extracomunitario e sia riferito al momento della mungitura sia riferito al momento della lavorazione seppure parziale. Se poi ancora l’interesse della ricorrente si rivolge alla conoscenza dei soggetti importatori di tali prodotti lattiero caseari in italia, al di là della irragionevolezza sollevata dall’Ammini rASSeGnA AvvoCAturA 170 DeLLo StAto - n. 2/2018 strazione a causa della quantità di dati da muovere, è da rilevare che, come sopra già osservato, nessuna delle risposte offerte dall’Amministrazione si pone come un diniego, recando sia quella del 26 maggio 2017 sia quella del 9 novembre 2017 la clausola finale concessiva dell’accesso civico mediante un report di dati aggregati per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in italia, che, se da un lato non reca i riferimenti alle ditte individuali, come voluto dalla ricorrente, ma escluso dalle norme ridette oltre che dalla giurisprudenza sull’argomento, consente quanto meno di circoscrivere la ricerca alle imprese collocate in una determinata provincia e quindi di poter effettuare, una volta ricevuto il dato relativo al Paese di provenienza del latte, quella tutela dei principi di eticità con particolare riguardo alla sicurezza alimentare e di diritto all’informazione e alla scelta consapevole del consumatore che sono gli scopi statutari della ricorrente. 4. Per le superiori considerazioni il ricorso va rigettato. 5. La novità delle questioni trattate consente di ritenere giustificati i motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti costituite. P.Q.M. il tribunale Amministrativo regionale per il Lazio (Sezione terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2018. ContenzioSo nAzionALe 171 Il divieto di accesso agli atti strumentale a precostituire prova in sede civile nella sentenza n. 296/2018 emessa dal T.A.R. Molise Nota a tRibuNaLe ammiNistRatiVo ReGioNaLe PeR iL moLise, sez. i, seNt. 21 maGGio 2018 N. 296 Piero Vitullo, Francesca Muccio* 1. Premessa. La questione controversa. La questione di cui si tratta trae origine da una richiesta di accesso agli atti avanzata, in sede amministrativa, al fine di comprovare, in sede civile, l’esistenza di un credito vantato, da un Consorzio, e dunque da un soggetto privato, nei confronti di un ente pubblico, la regione Molise. Più in particolare, ottenuto favorevole pronunciamento circa la sussistenza di un credito di lavoro da parte del tribunale di Campobasso - sezione Lavoro (sent. n. 187/2015), a seguito di formale ingiunzione di pagamento al Consorzio rimasta insoddisfatta, la ricorrente si è vista costretta a procedere esecutivamente nei confronti dell’Amministrazione, terza pignorata in altro procedimento, esecutivo, ex art. 543 e ss. c.p.c. Quest’ultima, benché regolarmente intimata, non ha reso la prescritta dichiarazione concernente il rapporto di debito/credito intercorrente con il Consorzio. Così, nell’ambito del procedimento per l’accertamento dell’obbligo del terzo di cui all’art. 548 c.p.c., essendole richiesto, dal Giudice dell’esecuzione, di fornire la quantificazione del credito del debitore esecutato (lo stesso Consorzio) nei confronti del terzo pignorato (la regione Molise), la ricorrente ha formulato istanza di accesso agli atti alla regione, utile allo scopo. tuttavia, decorsi 30 giorni dall’istanza di accesso senza ricevere riscontro alcuno, la ricorrente ha adito il t.A.r. Molise chiedendo l’annullamento del silenzio rigetto dell’Amministrazione, l’accertamento e la declaratoria del diritto di accesso agli atti richiesti e la conseguenziale emanazione dell’ordine di esibizione, nonché il rilascio di copia di atti e documenti. 2. La sentenza n. 296/2018 emessa dal t.a.R. molise. Definitivamente pronunciando sulla questione il t.A.r. Molise, con sentenza n. 296 depositata in data 21 maggio 2018 (e pubblicata sulla Gazzetta Amministrativa del 27 maggio 2018), ha respinto il ricorso, integralmente accogliendo le difese dell’Amministrazione regionale e compensando le spese, (*) Piero vitullo, avvocato dello Stato. Francesca Muccio, dottore in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Campobasso. rASSeGnA AvvoCAturA 172 DeLLo StAto - n. 2/2018 data la “particolare rilevanza degli interessi fatti valere e alcuni profili di novità sottesi al giudizio”. il tribunale molisano ha affermato il principio per cui l’accesso agli atti amministrativi non può essere preordinato a precostituire prova utile in sede civile e ha, peraltro, specificato che tale assunto non resta scalfito dall’ulteriore principio per cui “la Pubblica Amministrazione può sempre essere destinataria di istanza di accesso civico generalizzato, nell’ambito della fase preparatoria e provvedimentale finale, per quella che è la attività sua propria, in quanto diretta alla cura imparziale ed efficiente degli interessi individuati dalla legge”. il t.A.r. ha, inoltre, evidenziato che, mentre l’accesso agli atti deve essere sostenuto dall’interesse qualificato dell’istante rispetto al contenuto dell’atto o documento richiesto, l’accesso civico è finalizzato a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle pubbliche risorse. esso intende promuovere la partecipazione al dibattito pubblico “nei confronti specificamente dell’apparato della Pubblica Amministrazione in senso stretto”. L’accesso agli atti incontra, però, dei limiti, rispondendo “ai principi costituzionali di buon andamento dell'agire amministrativo, ma pur sempre nell'ottica dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e privati e non già per surrogare gli strumenti probatori civilistici” (ossia, per la questione che ci occupa, l’ordine di esibizione); e ciò, tanto più nel caso di specie, vantando la ricorrente un diritto di credito nei confronti dell'Amministrazione resistente non concernente un interesse pubblico curato dall'Amministrazione medesima. in altri termini, il t.A.r. ha considerato inammissibile un’istanza di accesso agli atti non solo funzionale a precostituire prova in sede civile, ma inerente un rapporto privatistico (di debito/credito) con l’Amministrazione medesima, neppure ascrivibile alle finalità istituzionali di quest’ultima. Quindi, per il t.A.r. Molise, l’ammissione, in un caso similare, dell’istanza di accesso agli atti avrebbe causato uno svantaggio processuale per la regione, che si sarebbe vista costretta ad ostendere una mole, anche cospicua, di atti concernenti privati, con evidente compromissione del principio di parità di trattamento (ex art. 24 Cost.). Al contempo, si sarebbe determinato, per la parte privata, “un obiettivo indebito vantaggio rispetto all’altra per il solo fatto di essere coinvolta un’Amministrazione”. 3. Commento. Si ritiene di condividere l’impostazione sottesa alla sentenza n. 296/2018 del tAr Molise per le argomentazioni di seguito illustrate. Con riguardo a un atto di carattere privatistico, va anzitutto rilevata la possibilità, per esso, di esser fatto oggetto di istanza di accesso agli atti, se ContenzioSo nAzionALe 173 l’istante “invochi (sia pur indirettamente e sostanzialmente) la “copertura” dell’art. 97 Cost. e i principi di imparzialità e legalità in esso inscritti” (1). Più precisamente, va detto che l’accesso agli atti si situa, di diritto, nell’ambito di quella serie di strumenti di cui il privato dispone al fine di verificare che l’attività amministrativa sia retta da caratteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza enucleati dall’art. 1 L. 241/1990. Criteri, questi, evidentemente rilevanti se ed in quanto elevati, dall’art. 97 Cost., a principi costituzionali dell’agire amministrativo. tanto precisato, va segnalato come, ad un primo approccio, sarebbe potuto sembrare sussistente, ex art. 22, comma 1, lett. B), L. 241/1990, un interesse all’accesso in capo alla ricorrente, che si è assunta titolare di una situazione giuridica soggettiva cui la documentazione richiesta è collegata, a rilevanza processuale e dunque corrispondente a necessità difensive. tuttavia, ad una più attenta analisi, la medesima istanza non ha potuto che essere considerata infondata, attesa la sua inerenza ad atti e documenti tesi a comprovare un contratto esistente tra Amministrazione terza pignorata ed ente debitore esecutato (che, come detto, alla prima avrebbe reso un servizio a titolo oneroso, conforme al proprio oggetto e scopo sociale) da far valere, peraltro, in altra sede. in effetti, come pure in ambito giurisprudenziale talora si riscontra, il diritto di accesso non può concernere atti e documenti “inerenti ad un rapporto jure privatorum intercorrente con altro soggetto privato, di cui si domandi l’accesso allo scopo di precostituire prova documentale da far valere in sede civilistica al fine di accertare il debito del terzo ex art. 548 c.p.c.” (2). Ammettendo, dunque, l’accesso agli atti in sede amministrativa, si sarebbe snaturata l’essenza stessa dell’istituto, sorto al fine di fare della Pubblica Amministrazione una vera e propria casa di vetro, ampliandolo a tal punto da “renderlo un rimedio alternativo e concorrenziale rispetto a quelli propri della prova civile nell’ambito dei giudizi di accertamento e condanna di cui al c.p.c.”. Più esplicitamente, ciò che la difesa regionale ha sostenuto anche in corso di causa è che la ricorrente avrebbe dovuto previamente esperire, nella sede propria e dunque in quella civile, i rimedi utili ad attestare l’esistenza di un credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato, avvalendosi ad esempio di strumenti quale l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. (o la richiesta di informazioni alla P.A. ex art. 213 c.p.c.) (3). (1) tAr Campania, v sez., sent. n. 1009/2010. (2) Cfr. tAr Campania, v sez., sent n. 1009/2010; tAr Campania, v sez., sent. n. 3081/2009; tAr Campania, v sezione, sent. n. 6112/2008. (3) in senso confermativo si veda ad esempio tAr Campania nA, sez. vi, 24 luglio 2015 n. 3931, da cui si evince il principio per cui gli atti di un processo civile non rientrano, al pari di tutti gli atti giu rASSeGnA AvvoCAturA 174 DeLLo StAto - n. 2/2018 tanto più che è parso evidente che la ricorrente domandasse la formazione (più che l’ostensione) di uno o più specifici documenti o atti volti a provare il predetto rapporto di debito/credito, in guisa da rendere l’istanza inammissibile, considerato che l’accesso non può che riguardare documenti preformati della (e custoditi dalla) Pubblica Amministrazione, non già quelli alla cui ricerca e “costruzione” una parte muova per finalità proprie, di tipo defensionale (4). A conforto di quanto esposto, può emblematicamente citarsi - con riferimento al processo amministrativo - l’art. 116, comma 2, c.p.a., che disciplina l’ipotesi dell’istanza di accesso agli atti riconnessa ad un giudizio principale, prevedendo che venga depositata presso la segreteria della sezione presso cui è assegnato il giudizio principale e decisa con ordinanza, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio (principale) stesso. La disposizione depone, peraltro in modo inequivoco, per la congruità dell’assunto per cui, anche se incidentale, l’istanza di accesso agli atti va esclusivamente proposta in sede amministrativa. 4. Conclusioni. Presidiare l’istituto dell’accesso agli atti, esigendo una stringente applicazione delle norme che vi sono alla base, è un’esigenza difensiva delle P.A. tra le più ricorrenti, al fine di evitarne il carattere di strumentalità e proteggere, al contempo, i diversi interessi sensibili che vengono a confrontarsi. Ciò è tanto più vero quanto più si considerino le richieste di accesso meramente esplorative avanzate dalle parti private, oltre che per taluni versi, talora, generiche e indefinite e, comunque, connotate da ampiezza spropositata, tali da rendere oltremodo difficoltoso, se non inesigibile, l’adempimento, andando ad assorbire, ineluttabilmente, un eccesso di risorse della P.A. Come è noto, la giurisprudenza ha, sul punto, ribadito che l’istanza non può essere “generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati”, non essendo possibile “costringere l’amministrazione a diziari o processuali, tra quelli ostensibili, a meno che il loro contenuto non sia assunto a presupposto, in via esecutiva, di un successivo atto amministrativo. L'esigenza di conoscere atti per difendersi in un processo, che si vorrebbe iniziare o che sia già in corso, infatti, può indubbiamente legittimare all'accesso, salvo trattasi di atti che per legge ne siano esclusi come può accadere per le indagini correlate al processo penale, purché la richiesta abbia un carattere eminentemente strumentale rispetto all'oggetto di tale giudizio. Se però gli atti oggetto dell'accesso sono al tempo stesso oggetto di tutela ampiamente contemplata nell'ambito dello stesso procedimento giurisdizionale civile in corso, poiché è in quest'ultimo che sono stati formati, è evidente che l'interesse curato dalla disciplina dell'accesso viene garantito in quest'ultima sede in quanto processo di parti, a nulla potendo rilevare che in una fase di esso, in concreto, vi sia stato un diniego. (4) Cfr. t.A.r. Lazio rM, sez. ii, 9 luglio 2018, n. 7645: ai fini dell'esercizio del diritto di accesso al documento amministrativo, questi deve essere un documento già formato ed esistente, determinato o almeno determinabile, in possesso del soggetto intimato; devono pertanto ritenersi inammissibili le domande di accesso agli atti che non sono stati ancora formalmente adottati o, addirittura, che non sono stati ancora formati. ContenzioSo nAzionALe 175 compiere attività di ricerca e di elaborazione dei dati. Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l'esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell'Amministrazione, riversando sulla stessa l'onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività”. È stato, altresì, chiarito che l’accesso cosiddetto esplorativo è inammissibile in quanto induttivo di “ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l'economicità e la tempestività dell'azione amministrativa” (5). Sull’inammissibilità della ricerca cosiddetta esplorativa, anche quando giustificata da ragioni defensionali, la giurisprudenza, in ambito amministrativo, converge in maniera pressoché univoca, come pure sull’inammissibilità, già descritta, di un uso strumentale dell’istituto dell’accesso agli atti, qualora finalizzato a precostituire elementi conoscitivi e probatori da far valere in un altro giudizio, ad esempio in sede civile, in surrettizia surroga di strumenti anche cautelari esperibili aliunde (6). trattasi di pronunce manifestamente miliari, tanto più in una società dell’informazione quale quella attuale, in cui sempre maggiori sono i dati circolanti, e sempre più forte, d’altronde, l’esigenza della tutela del concorrente interesse alla riservatezza, atteso il numero, in taluni casi potenzialmente indefinito, di controinteressati, non a caso contraddittori necessari, ex art. 116 c.p.a., nel giudizio finalizzato all’ostensione e/o all’ottenimento di copia dell’atto medesimo (7). (5) Cfr. ad es. Cons. Stato, sez. iv, 12 gennaio 2016, n. 68. Conf. t.A.r. Lazio, i sez. quater, sent. n. 733/2017, che, nel rimarcare l’estraneità dell’accesso esplorativo al perimetro delineato dagli artt. 22 e ss. l. 241/1990, ha statuito che “deve aggiungersi che al vigente ordinamento della materia è estraneo anche il diritto (…) di effettuare un’attività di raccolta di una massa indiscriminata e generalizzata di dati, al fine di verificare se tra essi ve ne siano alcuni utili allo scopo di difesa in giudizio”. Cfr. anche Cons. Stato, sez. iv, 21 maggio 2008, n. 2422: si deve ritenere che un'estrema genericità ed ampiezza dell'istanza di accesso sia tale da palesare un evidente e non ammissibile intento "esplorativo" o comunque di controllo generalizzato rispetto all'attività amministrativa. (6) Quanto alla sede civile, è da evidenziare l’applicabilità dell’art. 2476 c.c., a norma del quale, in una S.r.l., “i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, libri sociali e documenti relativi all’amministrazione”. Si tratta di un diritto potestativo - senza alcun limite se non quello della buona fede, e non subordinato a particolari esigenze - che pone il destinatario in uno stato di soggezione. Difatti, egli non può sollevare alcuna contestazione (trib. Biella, 18 agosto 2005). infine, tale diritto, se ostacolato, legittima il ricorso allo strumento cautelare di cui all’art. 700 c.p.c. (7) Sulla necessaria tutela della posizione del terzo, nell’ottica del bilanciamento degli interessi che nella materia dell’accesso si agitanto, cfr. Cons. di Stato, 13 marzo 2018, sent. n. 1191/2018. rASSeGnA AvvoCAturA 176 DeLLo StAto - n. 2/2018 Tribunale amministrativo regionale per il Molise, Sezione Prima, sentenza 21 maggio 2018 n. 296 - Pres. S.i. Silvestri, est. D. De Falco - z.M. (avv.to M. Marinelli) c. regione Molise (avv. distr. Stato Campobasso). FAtto e Diritto Con ricorso notificato in data 18 gennaio 2018 e depositato il successivo 26 gennaio, M.z. ha agito per l’annullamento del silenzio rigetto formatosi sull’istanza di accesso agli atti del 5 dicembre 2017, volta a prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti e documenti relativi al credito vantato dal Consorzio di Libere imprese Società Cooperativa onlus nei confronti della regione Molise. La ricorrente espone di aver avviato innanzi al tribunale civile di Campobasso un procedimento di esecuzione mobiliare di pignoramento presso terzi nei confronti del Consorzio di Libere imprese Società Cooperativa onlus, proprio debitore per crediti di lavoro in forza della Sentenza n. 187/2015 del medesimo tribunale. La regione, benchè regolarmente intimata, non rendeva la prescritta dichiarazione e veniva avviato il procedimento per l’accertamento dell’obbligo del terzo di cui all’art. 548 c.p.c., nell’ambito del quale il Giudice dell’esecuzione prescriveva alla ricorrente di fornire la quantificazione del credito del debitore esecutato nei confronti della regione. Per tale motivo la ricorrente formulava la richiesta di accesso del 5 dicembre 2017 volta appunto ad accertare tale debito regionale, ma la regione non dava alcun riscontro e la ricorrente impugnava il silenzio rigetto sulla base del seguente motivo. violazione degli artt. 1, 2, 3, 22, comma 1, lett. b), e 24, comma 7, della l. n. 241/1990; violazione dell’art. 97 cost. e dei principi di trasparenza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della p.a. e dell’azione amministrativa; eccesso di potere per difetto di motivazione; sviamento; perplessità. in estrema sintesi parte ricorrente contesta la legittimità del diniego a fronte di un’obiettiva e rappresentata esigenza di difesa giudiziale puntualmente evidenziata nell’istanza di accesso, per la tutela di un credito di lavoro dell’esponente. in ogni caso, non vi sarebbe altro mezzo per corrispondere alla richiesta del Giudice dell’esecuzione rivolta alla ricorrente di fornire la prova del credito del debitore esecutato verso la regione. Con atto depositato in data 29 gennaio 2018 si è costituita in giudizio la regione che con successiva memoria ha articolato le proprie difese chiedendo il rigetto del ricorso. Alla camera di consiglio del 21 marzo 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione. il ricorso non è fondato. il Collegio riconosce che anche un atto di carattere privatistico può soggiacere all’art. 22, comma 5, l. 241/1990, se l’istante “invochi (sia pur indirettamente e sostanzialmente) la ‘copertura’ dell’art. 97 Cost. e i principi di imparzialità e legalità in esso inscritti” (tAr Campania, v sezione, sent. n. 1009/2010). tuttavia, come correttamente rilevato dalla difesa regionale, l’accesso agli atti si situa, di diritto, nell’ambito di quella serie di strumenti di cui il privato dispone al fine di verificare che l’attività amministrativa sia retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza ex art. 1 L. 241/1990. L’accesso costituisce, quindi, strumento attraverso cui si fornisce attuazione ai principi costituzionali di buon andamento dell’agire amministrativo, ma pur sempre nell’ottica dei rapporti tra pubblica Amministrazione e privati e non già per surrogare gli strumenti probatori civilistici, come avviene nella specie, atteso che il diritto d’accesso non può concernere atti e do ContenzioSo nAzionALe 177 cumenti “inerenti ad un rapporto jure privatorum intercorrente con altro soggetto privato, di cui si domandi l’accesso allo scopo di precostituire prova documentale da far valere in sede civilistica al fine di accertare il debito del terzo ex art. 548 c.p.c.” (Cfr. tar Campania, v sezione, sent. n. 1009/2010; tar Campania, v sezione, sent. n. 3801/2009; tar Campania, v sezione, sent. n. 6112/2008). orbene, nel caso di specie, la ricorrente vanta un diritto di credito nei confronti dell’Amministrazione resistente non inerente a un interesse pubblico curato dall’Amministrazione medesima e, strumentalmente a un procedimento di altro ordine giudiziale, richiede l’accesso di atti funzionali a comprovare tale diritto in sede civile, con una forma di inammissibile surrogazione dei mezzi istruttori garantiti nell’ambito di quel procedimento. e infatti, se si ammettesse l’accesso anche in tali casi potrebbe essere messa in pericolo la stessa parità delle armi tra le parti in giudizio, potendo le parti private contare su un rimedio ulteriore rispetto all’ordinario strumentario probatorio, tra cui l’ordinaria istanza per l’adozione di un ordine di esibizione; si fornirebbe, quindi, ad una delle parti tra cui pende una controversia un obiettivo indebito vantaggio rispetto all’altra per il solo fatto di essere coinvolta un’Amministrazione. D’altra parte la stessa Amministrazione, se fosse invariabilmente chiamata a produrre in giudizio atti inerenti a rapporti con privati con i quali sussistono liti attuali o potenziali al di fuori dell’esercizio dei pubblici poteri, si troverebbe in una posizione di obiettivo svantaggio processuale. Con ciò non si intende certamente creare una nuova categoria di documenti sottratti all’accesso, ma riaffermare il principio per il quale l’accesso costituisce uno strumento di trasparenza dell’azione amministrativa, ma non anche un modo per ottenere vantaggi probatori sul piano processuale al di fuori degli strumenti tipicamente previsti in tal senso. eventuali esigenze probatorie nel processo amministrativo possono essere soddisfatte mediante l’istanza ex art. 116 c.p.a., a cui corrisponde l’ordine di esibizione nel processo civile, ma come correttamente rilevato dall’Avvocatura dello Stato, sempre nell’ambito di una vicenda processuale pendente innanzi al medesimo Giudice e rispetto alla quale presenti obiettiva strumentalità e connessione. né le conclusioni cui si è qui pervenuti muterebbero per effetto dell’istituto dell’accesso civico, volto a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e a promuovere la partecipazione al dibattito pubblico (in ciò differenziandosi dal requisito dell’interesse qualificato che regge l’accesso tradizionale), ma nei confronti specificamente dell'apparato della Pubblica Amministrazione in senso stretto. La Pubblica Amministrazione deve ritenersi destinataria dell'accesso civico generalizzato sia nelle sue attività preparatorie che in quelle provvedimentali finali, ma anche in questo caso per quella che è l'attività sua propria, in quanto diretta alla cura imparziale ed efficiente degli interessi individuati dalla legge. in conclusione il ricorso deve essere respinto. La particolare rilevanza degli interessi fatti valere e alcuni profili di novità sottesi al giudizio giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. il tribunale Amministrativo regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2018. LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ Il direttore generale degli Enti del Servizio Sanitario. Compiti, natura giuridica del rapporto e relative vicende Michele Gerardo* SoMMario: 1. Compiti - 2. Conferimento dell’incarico - 3. Natura giuridica del rapporto - 4. Procedure per valutare e verificare l’attività dei direttori generali - 5. Le responsabilità del direttore generale - 6. Conclusioni. 1. Compiti. il direttore generale degli enti del Servizio sanitario nazionale (Aziende Sanitarie locali - ASl; Aziende ospedaliere - Ao; Aziende ospedaliere universitarie - Aou; istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico - iRCCS) è l’organo monocratico di rappresentanza legale e di governo dei soggetti erogatori pubblici del servizio sanitario nazionale (1). Riassuntivamente, l’art. 3, comma 6, d. l.vo 30 dicembre 1992 n. 502 e succ. mod. enuncia che “Tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell'unità sanitaria locale [rectius: dell’Azienda Sanitaria locale], sono riservati al direttore generale”. Assomma, quindi, sia le funzioni di rappresentanza dell’ente, sia vaste funzioni gestionali. da ciò consegue un’ampia responsabilità. Questa concentrazione di poteri in un solo organo, peraltro monocratico, è molto rara negli enti pubblici. A fronte di tale dato, tuttavia, nei testi normativi si trovano poteri distribuiti anche negli altri organi dell’ente del S.S.R., per cui l’espressione “Tutti i poteri di gestione…” deve essere intesa cum (*) Avvocato dello Stato. (1) Per un affresco sommario sulle funzioni del direttore generale degli Enti del SSR: R. BAlduzzi, G. CARPAni, Manuale di diritto sanitario, il Mulino, 2013, pp. 234-237; F. GiGlioni, Manuale di diritto sanitario, neldiritto Editore, 2018, pp. 126-130. RASSEGnA AVVoCATuRA 180 dEllo STATo - n. 2/2018 grano salis. l’espressione serve a simboleggiare l’alta responsabilità del direttore generale e a spiegare anche tutta una serie di misure “che giustificano poteri attraverso cui le regioni possono determinare la cessazione anticipata dell’incarico affidato” (2). la descrizione dei compiti di tale organo è contenuta nella legge quadro sulla materia sanitaria, ossia il d. l.vo n. 502/1992 (specie agli artt. 3 e 3 bis), e nel d. l.vo 4 agosto 2016, n. 171 e succ. mod. contenente l’attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria. Gli artt. 3 e 3 bis del d. l.vo n. 502/1992 in modo testuale si riferiscono - rispettivamente - al direttore generale della ASl e al direttore generale della ASl e delle Ao. Tale disciplina, tuttavia, è applicabile - mutatis mutandis - al direttore generale di tutti gli Enti del S.S.R., atteso che la disciplina relativa a questi ultimi, salvo ove diversamente previsto, è quella dell’ASl. A conferma di quanto esposto si richiama - in ordine al direttore generale delle Aou - l’art. 4, comma 2 del d. l.vo. 21 dicembre 1999, n. 517 secondo cui “il direttore generale è nominato dalla regione, acquisita l'intesa con il rettore dell'università. […] i requisiti per la nomina a direttore generale […] sono quelli stabiliti nell'articolo 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni; ai direttori generali si applicano gli articoli, 3 e seguenti del medesimo decreto legislativo, ove non derogati dal presente decreto. i protocolli d'intesa tra regioni e università disciplinano i procedimenti di verifica dei risultati dell'attività dei direttori generali e le relative procedure di conferma e revoca, sulla base dei principi di cui all'articolo 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni” (3). la disciplina contenuta nel d. l.vo n. 171/2016 è riferita, testualmente, ai direttori generali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. la “tutela della salute” rientra ex art. 117, comma 3, della Costituzione tra le materie di legislazione concorrente. Sicché la normativa statale deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, spettando invece alle regioni la regolamentazione di dettaglio, trattandosi di fonti tra le quali non vi sono rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze (4). Va precisato che i principi fondamentali fissati dal legislatore statale - contenuti, in buona parte nei sopracitati decreti legislativi n. 502/1992 e n. (2) Per tali rilievi: F. GiGlioni, Manuale di diritto sanitario, cit., p. 127. (3) A termini dell’art. 9, comma 1, d.l.vo n. 171/2016 “a decorrere dalla data di istituzione dell'elenco nazionale di cui all'articolo 1, sono abrogate le disposizioni del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, di cui all'articolo 3-bis, comma 1, commi da 3 a 7, e commi 13 e 15. Tutti i riferimenti normativi ai commi abrogati dell'articolo 3-bis devono, conseguentemente, intendersi come riferimenti alle disposizioni del presente decreto”. (4) Conf. Corte Cost., 26 gennaio 2005, n. 30. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 181 171/2016 - sono di estremo dettaglio, lasciando “un margine molto esiguo, per non dire inesistente, all’attuazione regionale” (5), con il dubbio del mancato rispetto degli ambiti competenziali fissati dall’art. 117, comma 3 della Costituzione. Emblematico in tal senso è il d. l.vo n. 171/2016, contenente varie norme con una eccessiva procedimentalizzazione, la quale, intuitivamente, si presenta incompatibile con la fissazione di un principio fondamentale della materia, appartenendo - per sua stessa natura - all’ambito della disciplina meramente attuativa rientrante nella sfera di competenza legislativa concorrente delle regioni. Tra i compiti attribuiti al direttore generale si richiama: a) la responsabilità della gestione complessiva dell’Ente (art. 3, comma 1 quater, d. l.vo n. 502/1992) e della direzione aziendale (art. 3, comma 1 quinquies, d. l.vo n. 502/1992), anche mediante l’adozione di ogni atto a rilevanza esterna, ad eccezione degli atti che l’atto aziendale di diritto privato attribuisce ai dirigenti. l’adozione di ogni atto a rilevanza esterna implica che il direttore generale ha la rappresentanza sostanziale dell’Ente, come espressamente riconosciuto dal citato art. 3, comma 6, d. l.vo n. 502/1992. il direttore generale si avvale del Collegio di direzione di cui all'articolo 17 d. l.vo n. 502/1992 per le attività ivi indicate (art. 3, comma 1 quater, d. l.vo n. 502/1992). il direttore generale, nei casi previsti dalla legge, deve acquisire il parere del direttore sanitario e del direttore amministrativo (come si preciserà alla lettera d) e del consiglio dei sanitari (6); b) l’adozione dell’atto aziendale di diritto privato (art. 3, comma 1 quater, d. l.vo n. 502/1992). l’atto aziendale disciplina - nel rispetto dei principi e criteri previsti da disposizioni regionali - l’organizzazione ed il funzionamento dell’Ente ed individua altresì le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica (così l’art. 3, comma 1 bis, d. l.vo n. 502/1992); c) la verifica, anche attraverso l’istituzione dell’apposito servizio di controllo interno, mediante valutazione comparativa dei costi, dei rendimenti e (5) Così: A. PioGGiA, Le nomine dei vertici della sanità, in Giornale Dir. amm., 2016, 6, 733. (6) “il consiglio dei sanitari è organismo elettivo dell'unità sanitaria locale con funzioni di consulenza tecnico-sanitaria ed è presieduto dal direttore sanitario. Fanno parte del consiglio medici in maggioranza ed altri operatori sanitari laureati - con presenza maggioritaria della componente ospedaliera medica se nell'unità sanitaria locale è presente un presidio ospedaliero - nonché una rappresentanza del personale infermieristico e del personale tecnico sanitario. Nella componente medica è assicurata la presenza del medico veterinario. il consiglio dei sanitari fornisce parere obbligatorio al direttore generale per le attività tecnico-sanitarie, anche sotto il profilo organizzativo, e per gli investimenti ad esse attinenti. il consiglio dei sanitari si esprime altresì sulle attività di assistenza sanitaria. Tale parere è da intendersi favorevole ove non formulato entro il termine fissato dalla legge regionale. La regione provvede a definire il numero dei componenti nonché a disciplinare le modalità di elezione e la composizione ed il funzionamento del consiglio” (art. 3, comma 12, d.l.vo n. 502/1992). RASSEGnA AVVoCATuRA 182 dEllo STATo - n. 2/2018 dei risultati, della corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate, nonché dell’imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 3, comma 6, d. l.vo n. 502/1992); d) la nomina del direttore sanitario (7) e del direttore amministrativo (8) dell’Ente, che lo coadiuvano ciascuno nel settore di propria competenza (art. 3, comma 1 quater e 1 quinquies d. l.vo n. 502/1992) e che, insieme al direttore generale, costituiscono la direzione aziendale (cd. triade). il direttore generale è tenuto a motivare i provvedimenti assunti in difformità dal parere reso dal direttore sanitario, dal direttore amministrativo e dal consiglio dei sanitari. in caso di vacanza dell'ufficio o nei casi di assenza o di impedimento del direttore generale, le relative funzioni sono svolte dal direttore amministrativo o dal direttore sanitario su delega del direttore generale o, in mancanza di delega, dal direttore più anziano per età. ove l'assenza o l'impedimento si protragga oltre sei mesi si procede alla sostituzione (art. 3, comma 6, d. l.vo n. 502/1992); e) la nomina dei direttori dei dipartimenti (art. 7-quater, comma 1, d. l.vo n. 502/1992) e il conferimento degli incarichi di direttore di distretto (art. 3-sexies, comma 3, d. l.vo n. 502/1992); f) la nomina dei responsabili delle strutture operative dell’Ente (art. 3, comma 1 quater, d.l.vo n. 502/1992), ivi compresa l’attribuzione degli incarichi di direzione di strutture semplici o complesse (art. 15-ter d. l.vo n. 502/1992), nonché il conferimento di contratti a tempo determinato (art. 15- septies d. l.vo n. 502/1992); g) la nomina dei componenti del collegio sindacale (art. 3, comma 13, d. l.vo n. 502/1992); h) l’individuazione, d’intesa con il collegio di direzione, delle strutture aziendali ove i dirigenti sanitari possono esercitare l’attività libero-professionale individuale, al di fuori dell’impegno di servizio (art. 15 quinquies, comma 2, lett. a d. l.vo n. 502/1992); i) la legittimazione processuale (art. 3, comma 6, d. l.vo n. 502/1992), cd. legitimatio ad processum ex art. 75, comma 3 c.p.c. per il quale “Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto” (9). (7) “il direttore sanitario è un medico che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza” (art. 3, comma 7, d.l.vo n. 502/1992). (8) “il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione. il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell'unità sanitaria locale” (art. 3, comma 7, d.l.vo n. 502/1992). lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 183 2. Conferimento dell’incarico. Requisito obbligatorio per la nomina a direttore generale è l’iscrizione all’elenco nazionale dei soggetti idonei. la disciplina relativa all’elenco è contenuta nell’art. 1 d. l.vo n. 171/2016 (10). l’elenco è istituito presso il Ministero della Salute e aggiornato con cadenza biennale. l’iscrizione è valida per quattro anni, salva la cancellazione per l’adozione di provvedimenti di decadenza o di decadenza automatica. Alla formazione dell’elenco nazionale provvede una commissione di nomina ministeriale (11), previa pubblicazione di un avviso pubblico di selezione per titoli. Alla selezione sono ammessi i candidati che non abbiano compiuto i sessantacinque anni di età in possesso di laurea specialistica o magistrale; comprovata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale negli altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, maturata nel settore pubblico o nel settore privato; attestato rilasciato all’esito del corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria. le disposizioni relative al conferimento dell’incarico di direttore generale sono contenute nell’art. 2 del d. l.vo n. 171/2016. il direttore generale è nominato dalla regione (12) attingendo obbligatoriamente all’elenco nazionale dei soggetti idonei, previo avviso pubblicato sul sito internet istituzionale della regione ai fini della manifestazione di interesse da parte dei soggetti iscritti nell’elenco nazionale. Atteso il limite di età per essere iscritti nell’elenco nazionale (meno di 65 anni) e tenuto conto della validità dell’iscrizione (quattro anni), al fine di essere nominati è necessario avere - in limine - meno di 69 anni di età. la valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione, nominata dal presidente della regione. la commissione propone al presidente della regione una rosa di candidati, nell’ambito dei quali viene scelto quello che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell’incarico da attribuire. (9) Sulla legittimazione processuale nelle AASSll: M. GERARdo, A. MuTARElli, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, Giuffré, 2012, p. 167. (10) il d.l.vo n. 171/2016 innova il sistema previgente, nel quale era previsto un elenco regionale degli idonei nel quale attingere il nominato (art. 3-bis, commi 1 e 3, d.l.vo n. 502/1992, commi poi abrogati con l’art. 9, comma 1, del d.l.vo n. 171/2016). (11) in data 12 febbraio 2018 è stato pubblicato sul sito internet del Ministero della Salute il primo elenco nazionale degli idonei. (12) nel caso di nomina del direttore generale dell’Aou è necessaria l’intesa con il Rettore (art. 6 d.l.vo n. 171/2016), mentre nell’evenienza della nomina del direttore generale degli iRCCS è necessario sentire il Ministero della Salute ai sensi di quanto disposto dall’intesa stipulata in sede di Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 1 luglio 2004, in attuazione dell’art. 5 del d.l.vo 16 ottobre 2003, n. 288. RASSEGnA AVVoCATuRA 184 dEllo STATo - n. 2/2018 la commissione, a termini dell’art. 2, comma 1, d. l.vo n. 171/2016, è “composta da esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di cui uno designato dall'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno dalla regione”. Ad una interpretazione rigorosamente letterale, risulta che tutti i componenti della commissione debbano essere indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti e che tra questi uno debba essere designato dall'AGEnAS e uno dalla regione. occorrerebbe, quindi, distinguere - anche in senso cronologico - tra - indicazione di tutti i componenti (ad opera di qualificate istituzioni scientifiche indipendenti); - designazione di due componenti, tra quelli sopraindicati (ad opera, rispettivamente, dell'AGEnAS e della regione); - nomina, da parte della regione, con nominativi tutti indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti, due dei quali designati da AGEnAS e dalla regione. il sopradescritto procedimento - derivante dalla mera interpretazione letterale - è farraginoso ed illogico. Farraginoso, dovendosi distinguere tra indicazione e designazione. illogico, perché la regione - la quale effettua la nomina tra i nominativi indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti - dovrebbe operare altresì una designazione tra gli stessi nominativi. l’interpretazione ragionevole della disposizione è nel senso che, fermo restando che la commissione deve essere composta da esperti, la stessa è formata da un componente designato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, da un componente individuato dalla Regione e, per il resto, da componenti indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti. Sicché nell’ipotesi - la più coerente con le esigenze di funzionalità e semplificazione - di commissione composta da tre componenti, questa sarà costituita da un componente individuato dalla Regione, da un componente indicato da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti, nonché da un componente designato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. la commissione di valutazione opera “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” (art. 2, comma 1, d. l.vo n. 171/2016); analoga previsione vi è per la commissione per la formazione dell’elenco nazionale (art. 1, comma 3, d. l.vo n. 171/2016). A termini, poi, dell’art. 8, comma 1, del d. l.vo n. 171/2016 “La partecipazione alla commissione nazionale di cui all’art. 1 e alle commissioni regionali di cui agli articoli 2 e 3 (13) è a titolo gratuito e ai componenti non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati”. (13) l’art. 3 è relativo al conferimento dell’incarico di direttore sanitario e di direttore amministrativo. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 185 l’interpretazione ragionevole delle indicate disposizioni finanziarie è nel senso che l’incarico di componente della commissione è onorario, sicché non spetta alcun emolumento, giusta anche la chiusa - con carattere di generalità - della disposizione di cui all’art. 8 (“altri emolumenti comunque denominati”). di conseguenza almeno le spese vive - ad esempio la restituzione delle somme versate per il vitto ed il viaggio, debitamente documentate, da chi non risiede in loco - vanno ristorate. Buon samaritano sì, ma “con juicio”. diversamente, chi avrebbe interesse a partecipare a siffatte commissioni? Va bene l’onore e il senso civico, ma rimetterci di tasca propria appare eccessivo. un siffatto contesto esporrebbe ai peggiori retropensieri. Quanto argomentato anche al fine di evitare che un soggetto pubblico, tenuto ontologicamente al rispetto del principio di legalità, consegua un arricchimento senza causa. la legge, ponendo particolare attenzione al rischio di abusi derivanti dalla concentrazione del potere in capo a un organo monocratico, prescrive un fitto elenco di cause di inconferibilità e di incompatibilità per l’incarico di direttore generale (14). l’inconferibilità è un ostacolo alla nomina, la preclusione, permanente o temporanea, a conferire l’incarico. l’incompatibilità è l’impossibilità a svolgere contemporaneamente due o più incarichi. non è vietata la nomina, ma ove questa determini l’incompatibilità germina l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, entro un termine, di solito perentorio, tra la permanenza nel preesistente incarico e l'assunzione e lo svolgimento del nuovo incarico. in specie, in ordine alle cause di inconferibilità si rileva quanto segue. a) Vi è una prima tipologia di fattispecie individuate dalla disposizione contenuta nell’art. 3, comma 11, d. l.vo n. 502/1992, alla cui stregua non possono essere nominati direttori generali: - coloro che hanno riportato condanna, anche non definitiva, a pena detentiva non inferiore ad un anno per delitto non colposo ovvero a pena detentiva non inferiore a sei mesi per delitto non colposo commesso nella qualità di pubblico ufficiale o con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, salvo quanto disposto dal secondo comma dell'art. 166 c.p. (15); - coloro che sono stati sottoposti a procedimento penale per delitto per il quale è previsto ex art. 380 c.p.p. l'arresto obbligatorio in flagranza; (14) Su tali aspetti: V. AnTonElli, Le misure di prevenzione della corruzione nei servizi sanitari, in M. nunziATA (a cura di), riflessioni in tema di lotta alla corruzione, Carocci editore, 2017, pp. 502- 506. (15) Che, in tema di effetti scaturenti dalla sospensione condizionale della pena, statuisce “La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”. RASSEGnA AVVoCATuRA 186 dEllo STATo - n. 2/2018 - coloro che sono stati sottoposti, anche con provvedimento non definitivo, ad una misura di prevenzione, salvi gli effetti della riabilitazione prevista dall’articolo 15 (16) della legge 3 agosto 1988, n. 327; - coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza detentiva o a libertà vigilata. B ) Vi è poi la tipologia di fattispecie previste dal d. l.vo 8 aprile 2013, n. 39, contenente “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50 (17), della legge 6 novembre 2012, n. 190”. Sicché: - non possono essere nominati - ex art. 3, comma 1, d. l.vo n. 39/2013 - direttori generali “coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo i del titolo ii del libro secondo del codice penale” (artt. 314-335 bis, relativi ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione); - non può essere conferito l’incarico di direttore generale a coloro che nei due anni precedenti abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dal S.S.R. (art. 5 d. l.vo n. 39/2013) e in dati periodi, prossimi all’ipotetica nomina, siano stati componenti di organi di indirizzo politico secondo le previsioni dell’art. 8 d. l.vo n. 39/2013 (18). (16) Articolo abrogato dalla lettera f) del comma 1 dell'art. 120, d.l.vo 6 settembre 2011, n. 159; le relative disposizioni contenute sono confluite nell'art. 70 dello stesso d.lgs. n. 159/2011. (17) i quali così dispongono: “49. ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, nonché della prevenzione dei conflitti di interessi, il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo l, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, da conferire a soggetti interni o esterni alle pubbliche amministrazioni, che comportano funzioni di amministrazione e gestione, nonché a modificare la disciplina vigente in materia di incompatibilità tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate. 50. i decreti legislativi di cui al comma 49 sono emanati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: […]”. (18) ossia: candidati in elezioni europee, nazionali, regionali e locali, in collegi elettorali che comprendano il territorio della ASl; Presidente del Consiglio dei Ministri o di Ministro, Viceministro o sottosegretario nel Ministero della Salute o in altra amministrazione dello Stato o di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale; parlamentare; coloro che abbiano fatto parte della giunta o del consiglio della regione interessata ovvero abbiano ricoperto la carica di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico regionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del S.S.R.; coloro che abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, il cui territorio è compreso nel territorio della ASl. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 187 All’evidenza, in ordine alle ipotesi di reato integranti cause di inconferibilità, vi è una diffusa sovrapposizione - rectius: concorso di cause - tra la disciplina contenuta nel d. l.vo n. 502/1992 e nel d. l.vo n. 39/2013. C) Altra tipologia di fattispecie è contenuta nel d. l.vo 31 dicembre 2012, n. 235, contenente il “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63 (19), della legge 6 novembre 2012, n. 190”. non possono essere nominati - venendo in rilievo ex art. 7, comma 2 (20), del d. l.vo n. 235/2012 una nomina di competenza del presidente della giunta regionale - direttori generali: “a) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto di cui all'articolo 73 del citato testo unico, concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati; b) coloro che hanno riportato condanne definitive per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, diversi da quelli indicati alla lettera a); c) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319- ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale; d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della (19) il quale così dispone: “il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane”. (20) Secondo cui: “Le disposizioni previste dal comma 1 si applicano a qualsiasi altro incarico con riferimento al quale l'elezione o la nomina è di competenza del consiglio regionale, della giunta regionale, dei rispettivi presidenti e degli assessori regionali”. RASSEGnA AVVoCATuRA 188 dEllo STATo - n. 2/2018 reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati alla lettera c); e) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo; f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159” (art. 7, comma 1, del d. l.vo n. 235/2012). l’incarico di direttore generale di ente del S.S.R. - come si esporrà di seguito - è un incarico amministrativo e non politico. Va rilevato che a giudizio dell’AnAC - Autorità nazionale Anticorruzione, nel caso del conferimento di un incarico amministrativo non si applicano i precetti di cui al d. l.vo n. 235/2012, ma solo quelli contenuti nel d. l.vo n. 39/2013 (21). Quanto opinato dall’autorevole organo non deve reputarsi condivisibile, atteso che il d. l.vo n. 39/2013, come visto, non è la sede esclusiva della disciplina della materia de qua; inoltre il chiaro testo del comma 2 dell’art. 7 citato non pone limiti. Peraltro, il d. l.vo n. 235/2012 prevede incompatibilità riferite ad alcuni incarichi politici, come si evince dalla delega legislativa. Certamente l’applicazione dei due decreti può determinare sovrapposizioni di discipline, ma questo è un limite del sistema (22). (21) nella delibera n. 622 dell’8 giugno 2016 testualmente si enuncia: “inconferibilità e incompatibilità per l’accesso alle cariche politiche e per l’accesso agli incarichi amministrativi. Con riferimento al criterio generale per la soluzione dell’antinomia tra la disciplina del d.lgs. n. 235/2012 e quella del d.lgs. n. 39/2013 l’autorità (aG 44-15/aC) ha affermato che: «il criterio non può che essere rinvenuto nella ratio fondamentale delle due discipline: da un lato (d.lgs. n. 235) le incandidabilità/ inconferibilità per l’accesso alle cariche “politiche” e dall’altro (d.lgs. n. 39) le inconferibilità per l’accesso agli incarichi “amministrativi”. Ciò determina la conseguenza di applicare il d.lgs. n. 39 per tutti gli incarichi sicuramente amministrativi, superandosi, per questi, il criterio della competenza soggettiva al conferimento dell’incarico (organo di indirizzo politico). Poiché un incarico amministrativo, di vertice o dirigenziale, è sempre conferito da uno degli organi di governo indicati al comma 2 degli articoli 7 e 10 del d.lgs. n. 235 la possibile antinomia deve essere risolta nel senso che trova applicazione il d.lgs. n. 39, non solo perché norma successiva nel tempo, ma perché ha disciplinato in modo organico e ragionato proprio gli incarichi amministrativi, con una disciplina che deve essere considerata speciale in tutti i casi di possibile sovrapposizione tra discipline diverse. il comma 2 degli artt. 7 e 10 del d.lgs. n. 235, nello stabilire l’incandidabilità e l’impossibilità “comunque di ricoprire le cariche” configura per i soggetti condannati in via definitiva per i reati previsti nello stesso articolo, non solo il divieto di partecipare a competizioni elettorali, ma anche l’inconferibilità degli incarichi si pone in conflitto con la disciplina del d.lgs. n. 39, non per le cariche sicuramente elettive o per le cariche conferite per nomina, ma sicuramente “politiche, ma per alcuni incarichi che il d.lgs. n. 39 considera come “amministrativi”, quali quelli di “amministratore di ente pubblico” (art. 3, comma 1 lettera b), e quelli di “amministratore di ente privato in controllo pubblico” (art. 3, comma 1, lettera, d)”. (22) M. dE RoSA, La prevenzione della corruzione nel sistema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, in M. nunziATA (a cura di), riflessioni in tema di lotta alla corruzione, cit., p. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 189 D) inoltre non possono essere nominati direttori generali coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario nazionale (art. 2, comma 1, d. l.vo n. 171/2016) ed altresì coloro che, già lavoratori privati o pubblici, sono collocati in quiescenza (art. 5, comma 9, d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv. l. 7 agosto 2012 n. 135). E) ulteriori cause di ineleggibilità sono fissate dalle regioni con propria legislazione di dettaglio (23). Poi, in ordine alle cause di incompatibilità: a) la carica di direttore generale è incompatibile con le cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dal S.S.R. e lo svolgimento di attività professionale regolata o finanziata dal S.S.R. (art. 10 d. l.vo n. 39/2013) (24) ed altresì con le cariche di componente degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali, regionali e locali (art. 14 d. l.vo n. 39/2013) (25); B) la carica di direttore generale è incompatibile con la sussistenza di altro rapporto di lavoro, dipendente o autonomo (art. 3 bis, comma 10, d. l.vo n. 502/1992). la nomina a direttore generale determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto (art. 3 bis, comma 11, d. l.vo n. 502/1992). il provvedimento di nomina dei direttori generali è adottato esclusivamente con riferimento ai requisiti di legge, senza necessità di valutazioni com- 135, rileva il difetto di coordinamento tra il d.l.vo n. 235/2012 e il d.l.vo n. 39/2013; l’autrice evidenzia che “Le norme di cui al D.Lgs. 235/2012, al comma 2°, prevedono, altresì, il divieto di conferimento di qualsiasi altro incarico per cui l’elezione o la nomina è di competenza rispettivamente: del consiglio regionale, della giunta regionale, dei rispettivi presidenti e degli assessori regionali, del consiglio provinciale, comunale o circoscrizionale; della giunta provinciale o del presidente, della giunta comunale o del sindaco, di assessori provinciali o comunali. Ne consegue che agli organi politici regionali e locali è precluso il conferimento di tutti gli incarichi, anche di quelli definiti amministrativi dall’art. 1 del D.Lgs. 39/2013, gli incarichi di amministratore di ente pubblico (lett. b), e di quelli di amministratore di ente privato in controllo pubblico (lett. d) allorquando l’interessato abbia subito una condanna definitiva per tutti i reati elencati nel D.Lgs. 235/2012” (p. 135 op.cit.). (23) Ad esempio nell’articolo 3, comma 7, l.R. Campania 23 dicembre 2015, n. 20 è statuito che non può essere nominato direttore generale chi è stato condannato con sentenza, anche non definitiva, da parte della Corte dei Conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose. (24) il nominando, inoltre, non deve essere coniuge o parente o affine entro il secondo grado di soggetto che abbia assunto o mantenuto incarichi, cariche e attività professionali innanzi indicate. (25) Riconducibile a tale precetto è la disposizione dell’articolo 66, comma 1, del d.l.vo 18 agosto 2000, n. 267, secondo cui la carica di direttore generale di azienda sanitaria locale e ospedaliera è incompatibile con quella di consigliere provinciale, di sindaco, di assessore comunale, di presidente o di assessore di comunità montana; analogo rilievo vale per la disposizione dell’art. 60 comma 1 punto 8 dello stesso decreto, secondo cui il direttore generale di azienda sanitaria locale ed ospedaliera non è eleggibile a sindaco, presidente della Provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale, e circoscrizionale. RASSEGnA AVVoCATuRA 190 dEllo STATo - n. 2/2018 parative (art. 3, comma 6, d. l.vo n. 502) ed è motivato e pubblicato (26) sul sito internet istituzionale della regione e delle aziende e degli enti interessati, unitamente al curriculum del nominato, nonché ai curricula degli altri candidati inclusi nella rosa (art. 2, comma 2, d. l.vo n. 171/2016). la disposizione da ultimo citata precisa che all’atto della nomina del direttore generale vengono definiti ed assegnati, con aggiornamento periodico, gli obiettivi di salute e di funzionamento con riferimento alle relative risorse, gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico. di seguito alla nomina viene stipulato il contratto di lavoro tra la regione (titolare per potere di nomina) e il direttore generale. il rapporto di lavoro del direttore è esclusivo ed "è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del Codice civile" [disciplinante il lavoro autonomo] (art. 3 bis, comma 8 d. l.vo n. 502/1992 (27)). Ai sensi dell'art. 3 bis, comma 8, d. l.vo n. 502/1992 il trattamento economico del direttore generale è definito, in sede di revisione del d.P.C.M. 19 luglio 1995, n. 502 anche con riferimento ai trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva per le posizioni apicali della dirigenza medica e amministrativa. il citato d.P.C.M. 19 luglio 1995 n. 502 - modificato con il d.P.C.M. 31 maggio 2001 n. 319 - contiene il regolamento recante norme sul contratto ed il trattamento economico del direttore generale degli Enti del S.S.R. l'art. 1, comma 6, del d.P.C.M. n. 502 precisa che nulla è dovuto a titolo di indennità di recesso al direttore generale nel caso di cessazione dell’incarico per decadenza, mancata conferma, revoca o risoluzione del contratto nonché per dimissioni. 3. Natura giuridica del rapporto. da quanto finora ricostruito, è agevole individuare la natura giuridica dell’incarico di direttore generale di aziende ed enti del S.S.R. All’evidenza, tra la regione ed il direttore generale intercorre un rapporto di lavoro privato, di natura autonoma, ancorché coordinato con i fini dell’ente, in quanto tale direttore generale è preposto ad un ente a cui la legge attribuisce autonomia organizzativa, amministrativa, contabile, patrimoniale e gestionale e dello stesso ente esercita tutti i poteri di gestione e ha la rappresentanza legale. (26) Precetto valevole anche per i provvedimenti di conferma e di revoca. (27) l’art. 2, comma 2, d.l.vo n. 171/2016 conferma che “La durata dell’incarico di direttore generale non può essere inferiore a tre e superiore a cinque anni”. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 191 Siffatta qualificazione affonda le proprie radici nel dettato legislativo; in particolare, nell'art. 3 bis, comma 8, d. l.vo n. 502/1992 sopracitato per il quale “il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile” (28). non vi è, quindi, un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni disciplinato ex art. 2, comma 2, d. l.vo n. 165/2001 “dalle disposizioni del capo i, titolo ii, del libro V del codice civile [artt. 2082-2134 c.c.] e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo” (29). Corollario di quanto detto è che - in punto di giurisdizione - il rapporto di lavoro dei direttori generali delle aziende sanitarie non rientra tra quelli devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, ai sensi dell’articolo 63, comma 1, d. l.vo n. 165/2001 (30). in forza del contratto stipulato tra il nominato direttore generale e la regione discende, per il primo, l’obbligo di prestare la propria opera in favore della azienda sanitaria e, per l’azienda, l’onere economico del compenso del direttore. dalla disciplina normativa si desume che il direttore generale è una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, nell'adempimento di un’obbligazione di risultato (oggetto di un contratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e organizzativi definiti dal Piano sanitario regionale (a sua volta elaborato in armonia con il Piano sanitario nazionale), dagli indirizzi della giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l'amministrazione regionale (31). i direttori generali devono essere considerati funzionari neutrali, poiché non sono nominati in base a criteri puramente fiduciari, essendo l'affidamento dell'incarico subordinato al possesso di specifici requisiti di competenza e professionalità e non richiedendosi agli stessi la fedeltà personale alla persona fisica che riveste la carica politica, ma la corretta e leale esecuzione delle (28) la natura autonoma del rapporto di lavoro tra direttore generale e regione è, tra l’altro, autorevolmente condivisa dalle Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione che, in più occasioni, si è espressa confermando siffatta natura (ex plurimis: Cass., sez. un., 3 novembre 2005 n. 21286; Cass., sez. un., 11 febbraio 2003, n. 2065; Cass., sez. un., 12 aprile 2002, n. 5328). (29) non sono riconducibili al lavoro subordinato, le prestazioni rese a titolo di lavoro autonomo, per le quali permangono le ordinarie regole di cognizione giurisdizionale. Sul punto: M. GERARdo, A. MuTARElli, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, cit.,, p. 51. (30) Ex plurimis: Cass., sez. un., n. 2065/2003, cit. (31) in tal senso, Corte Cost., 23 marzo 2007, n. 104. RASSEGnA AVVoCATuRA 192 dEllo STATo - n. 2/2018 direttive che provengono dall'organo politico, quale che sia il titolare pro tempore (32). Viene in rilievo un incarico amministrativo e non politico. la qualificazione del rapporto in termini di lavoro autonomo comporta, quale logico corollario, la non applicazione dello statuto previsto per il rapporto di lavoro subordinato, come ad esempio la reintegrazione nella funzione di direttore generale nell’ipotesi di recesso da parte del datore di lavoro (33). difatti, la praticabilità di una tutela reintegratoria/ripristinatoria è ammissibile solo nel rapporto di lavoro subordinato dei non dirigenti, assistito da tutela reale e non certamente nel rapporto di lavoro autonomo (parasubordinato) a tempo determinato dei dirigenti di azienda sanitaria od enti del SSR. il giudice di legittimità rileva che ai sensi dell'art. 3 bis del d. l.vo n. 502/1992, e dell'art. 2 (34) del d.P.C.M. 19 luglio 1995, n. 502, come modificato dal d.P.C.M. 31 maggio 2001, n. 319, il contratto di lavoro del direttore generale, avente durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, è regolato dal diritto privato e soggiace, in mancanza di una specifica disciplina regionale sulle cause di risoluzione del rapporto, alle norme, imperative e non derogabili dalla volontà negoziale delle parti, del titolo terzo del libro quinto del codice civile. Sicché - opina la Suprema Corte - in mancanza di giusta causa ex art. 2119 cod. civ., il rapporto di lavoro non può risolversi anticipatamente rispetto al periodo minimo triennale, dovendosi ritenere nulla la clausola che consenta il recesso "ad nutum" - con contestuale decadenza dall'incarico - per il venir meno del rapporto fiduciario tra direttore generale e direttore amministrativo, e a quest'ultimo, in applicazione della disciplina propria del recesso per giusta causa derivante da inadempimento, spetta, in tale evenienza, l'integrale risarcimento del danno e non solamente il mero rimborso delle spese sostenute e il compenso per l'opera fino a quel momento prestata ex art. 2237 cod. civ. (35). (32) Così Corte Cost., 5 febbraio 2010, n. 34. (33) Ex plurimis: Cass. civ. sez. lav. 20 novembre 2007, n. 24045. (34) il comma 6 del detto articolo recita: "La regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto di lavoro con il direttore amministrativo e il direttore sanitario, anche con riferimento alla cessazione dall'incarico del direttore generale. Nulla è dovuto, a titolo di indennità di recesso, ai direttori amministrativo e sanitario in caso di cessazione dall'incarico conseguente a dimissioni, alla sostituzione del direttore generale nonchè a decadenza, mancata conferma, revoca o risoluzione del contratto". (35) Così Cass. civ. Sez. lav., 9 luglio 2015, n. 14349. la Corte giunge alla applicabilità dell’art. 2119 c.c. sul rilievo che “dalla correlazione tra la previsione della durata minima del rapporto e quella che rinvia alle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile, si evince che: a) fra gli articoli del suddetto titolo quinto è compreso anche l'art. 2238 c.c. che, a sua volta, stabilisce che quando "l'esercizio della professione costituisce un elemento di un'attività organizzata in forma di impresa", pubblica o privata, si applicano anche le disposizioni di cui al titolo secondo del libro quinto del codice (artt. da 2082 a 2221 c.c.); b) fra le numerose norme contenute nel citato titolo secondo vi è anche l'art. 2093 c.c., riguardante le "imprese esercitate da enti pubblici". […] Pertanto, già l'insieme di queste norme porta ad escludere che nella specie potesse configurarsi una recedibilità lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 193 Al recesso del committente va equiparata la revoca dell’incarico. in conclusione, nel caso di illegittimità del recesso della regione si potrebbe aprire la strada solo ad una tutela di tipo risarcitorio e non ripristinatoria. le statistiche evidenziano l'elevata instabilità dell'incarico di direttore generale, la cui permanenza media a livello nazionale è pari a circa 3 anni e mezzo; ciò costituisce una delle maggiori criticità del processo di aziendalizzazione, impedendo programmazioni nella gestione aziendale di mediolungo periodo che possano concretamente incidere sulla organizzazione aziendale. 4. Procedure per valutare e verificare l’attività dei direttori generali. Atteso che l'attività del direttore generale è sottoposta a indirizzo e controllo da parte della regione, quest'ultima ha il compito di verificare l'adempimento contrattuale del direttore generale attraverso valutazioni che possono condurre alla sua conferma o meno. Sul punto l’art. 2, comma 3, del d. l.vo n. 171/2016 stabilisce: “al fine di assicurare omogeneità nella valutazione dell'attività dei direttori generali, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definiti i criteri e le procedure per valutare e verificare tale attività, tenendo conto: a) del raggiungimento di obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi definiti nel quadro della programmazione regionale, con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia, alla sicurezza, all'ottimizzazione dei servizi sanitari e al rispetto degli obiettivi economico-finanziari e di bilancio concordati, avvalendosi anche dei dati e degli elementi forniti dall'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; b) della garanzia dei livelli essenziali di assistenza, anche attraverso la riduzione delle liste di attesa e la puntuale e corretta trasmissione dei flussi informativi ricompresi nel Nuovo Sistema informativo Sanitario, dei risultati del programma nazionale valutazione esiti dell'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e dell'appropriatezza prescrittiva; c) degli obblighi in materia di trasparenza, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale; d) degli ulteriori adempimenti previsti dalla legislazione vigente”. nel difetto dell’accordo sulla definizione dei criteri e delle procedure per ad nutum del rapporto, in quanto, in base al regime generale, un rapporto di lavoro autonomo di cui sia predeterminata la durata - nella specie addirittura per legge - non può risolversi anticipatamente se non in presenza di una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c., di cui, a maggior ragione, può farsi applicazione nella specie, per effetto dell'anzidetto rinvio al titolo secondo del libro quinto del codice civile”. RASSEGnA AVVoCATuRA 194 dEllo STATo - n. 2/2018 valutare e verificare le sopraindicate attività in sede di Conferenza Stato-regioni, ciascuna regione, intuitivamente, potrà autonomamente procedere nel rispetto dei principi fissati nella sopracitata disposizione. Ciascuna Regione: a) all'atto della nomina del direttore generale, definisce e assegna, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi con riferimento alle relative risorse, ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi. All’atto della nomina vengono definiti ed assegnati altresì gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico, tenendo conto dei canoni valutativi di cui all’art. 2, comma 3, del d. l.vo n. 171/2016 e ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi (art. 2, comma 2, del d. l.vo n. 171/2016) (36); b) trascorsi ventiquattro mesi dalla nomina del direttore generale, entro novanta giorni, sentito il parere del sindaco o della Conferenza dei sindaci di cui all'articolo 3, comma 14, del d. l.vo n. 502/1992, ovvero, per le aziende ospedaliere, della Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2 bis, del medesimo d. l.vo, verifica i risultati aziendali conseguiti e il raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 2, commi 2 e 3, del d. l.vo n. 171/2016. in caso di esito negativo la regione dichiara, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, la decadenza immediata dall'incarico con risoluzione del relativo contratto, in caso di valutazione positiva procede alla conferma con provvedimento motivato. la disposizione si applica in ogni altro procedimento di valutazione dell'operato del direttore generale (art. 2, comma 4, del d. l.vo n. 171/2016) (37); (36) la disposizione è in continuità con i precetti di cui all’art. 3 bis, comma 5 del d.l.vo n. 502/1992 (“al fine di assicurare una omogeneità nella valutazione dell'attività dei direttori generali, le regioni concordano, in sede di Conferenza delle regioni e delle province autonome, criteri e sistemi per valutare e verificare tale attività, sulla base di obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi definiti nel quadro della programmazione regionale, con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia, alla sicurezza, all'ottimizzazione dei servizi sanitari e al rispetto degli equilibri economico-finanziari di bilancio concordati, avvalendosi dei dati e degli elementi forniti anche dall'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. all'atto della nomina di ciascun direttore generale, esse definiscono ed assegnano, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, con riferimento alle relative risorse, ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi”), poi abrogato dall'art. 9, comma 1, d.l.vo n. 171/ 2016. (37) la disposizione precisa altresì: “a fini di monitoraggio, le regioni trasmettono all'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali una relazione biennale sulle attività di valutazione dei direttori generali e sui relativi esiti”. Anche tale disposizione è in continuità con i precetti di cui all’art. 3 bis, comma 6 del d.l.vo n. 502/1992 (“Trascorsi diciotto mesi dalla nomina di ciascun direttore generale, la regione verifica i risultati aziendali conseguiti e il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 5 e, sentito il parere del sindaco o della conferenza dei sindaci di cui all'articolo 3, comma 14, ovvero, per le aziende ospedaliere, della Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2-bis, procede o meno alla lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 195 c) in caso di mancato adempimento contrattuale del direttore generale, può pronunciarne in ogni momento la decadenza - all’esito di procedimento di verifica o in via automatica - con conseguente risoluzione del rapporto. Decadenza all’esito di procedimento di verifica. la fattispecie è prevista nell’art. 2, comma 5, del d. l.vo n. 171/2016, secondo cui la regione, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, provvede, entro trenta giorni dall'avvio del procedimento, a risolvere il contratto, dichiarando l'immediata decadenza del direttore generale con provvedimento motivato e provvede alla sua sostituzione con le procedure di cui all’art. 2 cit., se ricorrono gravi e comprovati motivi, o se la gestione presenta una situazione di grave disavanzo imputabile al mancato raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 2, comma 3, cit. o in caso di manifesta violazione di legge o regolamenti o del principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione, nonché di violazione degli obblighi in materia di trasparenza di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. in tali casi la regione provvede previo parere della Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2 bis, del d. l.vo n. 502/1992, che si esprime nel termine di dieci giorni dalla richiesta, decorsi inutilmente i quali la risoluzione del contratto può avere comunque corso. Si prescinde dal parere nei casi di particolare gravità e urgenza. il sindaco o la Conferenza dei sindaci di cui all'articolo 3, comma 14, del d. l.vo n. 502/1992, ovvero, per le aziende ospedaliere, la Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2 bis, del medesimo d. l.vo, nel caso di manifesta inattuazione nella realizzazione del Piano attuativo locale, possono chiedere alla regione di revocare l'incarico del direttore generale. Quando i procedimenti di valutazione e di decadenza dall'incarico riguardano i direttori generali delle aziende ospedaliere, la Conferenza di cui al medesimo articolo 2, comma 2-bis, è integrata con il sindaco del comune capoluogo della provincia in cui è situata l'azienda (38). . conferma entro i tre mesi successivi alla scadenza del termine. La disposizione si applica in ogni altro procedimento di valutazione dell'operato del direttore generale, salvo quanto disposto dal comma 7”), poi abrogato dall'art. 9, comma 1, d.l.vo n. 171/ 2016. (38) la disposizione è in continuità con i precetti di cui all’art. 3 bis, comma 7, del d.l.vo n. 502/1992 (“Quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità della amministrazione, la regione risolve il contratto dichiarando la decadenza del direttore generale e provvede alla sua sostituzione; in tali casi la regione provvede previo parere della Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2-bis, che si esprime nel termine di dieci giorni dalla richiesta, decorsi inutilmente i quali la risoluzione del contratto può avere comunque corso. Si prescinde dal parere nei casi di particolare gravità e urgenza. il sindaco o la Conferenza dei sindaci di cui all'articolo 3, comma 14, ovvero, per le aziende ospedaliere, la Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2-bis, nel caso di manifesta inattuazione nella realizzazione del Piano attuativo locale, possono chiedere alla regione di revocare il direttore generale, o di non disporne la conferma, ove il contratto sia già scaduto. Quando i procedimenti di valutazione e di revoca di cui al comma 6 e al presente comma riguardano i direttori ge RASSEGnA AVVoCATuRA 196 dEllo STATo - n. 2/2018 Decadenza automatica. la fattispecie è prevista nell’art. 2, comma 6, del d. l.vo n. 171/2016, secondo cui “È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 52, comma 4, lettera d), della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (39), e quanto previsto dall'articolo 3-bis, comma 7-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni (40), e dall'articolo 1, commi 534 e 535, della legge 28 dicembre 2015, n. 208” (41). in ordine alle ricadute dei provvedimenti di decadenza del direttore generale, l'art. 2, comma 7 del d. l.vo n. 171/2016 prevede: “i provvedimenti di decadenza di cui ai commi 4 e 5 e di decadenza automatica di cui al comma 6 sono comunicati al Ministero della salute ai fini della cancellazione dall'elenco nazionale del soggetto decaduto dall'incarico. Fermo restando quanto disposto al comma 6, lettera a), dell'articolo 1, i direttori generali decaduti possono essere reinseriti nell'elenco esclusivamente previa nuova selezione”. inoltre l'art. 1, comma 7 quinquies del d. l.vo n. 171/2016 prevede che eventuali provvedimenti di decadenza del candidato all'iscrizione nell'elenco nazionale degli idonei, o provvedimenti assimilabili, riportati negli ultimi sette anni, sono valutati con una decurtazione del punteggio; il successivo comma 8 stabilisce altresì che non possono essere reiscritti nell'elenco nazionale coloro che siano stati dichiarati decaduti dal precedente incarico di direttore generale per violazione degli obblighi di trasparenza di cui al d. l.vo 14 marzo 2013 n. 33 e succ. mod. nerali delle aziende ospedaliere, la Conferenza di cui all'articolo 2, comma 2-bis è integrata con il sindaco del comune capoluogo della provincia in cui è situata l'azienda”), poi abrogato dall'art. 9, comma 1, d.l.vo n. 171/ 2016. (39) Precisante che le disposizioni legislative regionali devono prevedere la decadenza automatica del direttore generale nell'ipotesi di mancato raggiungimento dell'equilibrio economico delle aziende sanitarie. (40) Per il quale "L'accertamento da parte della regione del mancato conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali costituisce per il Direttore Generale grave inadempimento contrattuale e comporta la decadenza automatica dello stesso". (41) il comma 534 dispone che “Per garantire il pieno rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 521 a 547, tutti i contratti dei direttori generali, ivi inclusi quelli in essere, prevedono la decadenza automatica del direttore generale degli enti di cui all'articolo 19, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 [ossia le aziende sanitarie locali; aziende ospedaliere; istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, anche se trasformati in fondazioni; aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio sanitario nazionale], in caso di mancata trasmissione del piano di rientro all'ente interessato, ovvero in caso di esito negativo della verifica annuale dello stato di attuazione del medesimo piano di rientro”; il comma 535 dispone altresì che “a decorrere dal 2017, le disposizioni di cui ai commi da 521 a 547, coerentemente con le previsioni normative di cui agli articoli 2, comma 2- sexies, lettera d), e 4, commi 8 e 9, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, e nel rispetto delle modalità e dei criteri stabiliti dal decreto di cui al comma 536, primo periodo, si applicano alle aziende sanitarie locali e ai relativi presìdi a gestione diretta, ovvero ad altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura, individuati da leggi regionali, che presentano un significativo scostamento tra costi e ricavi ovvero il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure”. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 197 5. Le responsabilità del direttore generale. l'inosservanza delle obbligazioni assunte con la stipulazione del contratto di lavoro comporta le conseguenze, RECTiuS: le responsabilità normativamente stabilite. A seconda della natura degli interessi saranno configurabili varie specie di responsabilità: penale, civile, amministrativa, manageriale. inapplicabile è la disciplina della responsabilità disciplinare. non sussiste, infatti, un rapporto di pubblico impiego tra il direttore generale e l’ente al quale collegare la violazione di doveri di ufficio. responsabilità penale il direttore generale è un pubblico ufficiale, secondo la nozione di cui all'art. 357 c.p. venendo in rilievo un soggetto che esercita una pubblica funzione amministrativa, “caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione delle volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi” (42). la trasgressione dei doveri inerenti alla carica potrà determinare, quindi, l'incriminazione per delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt. 314 - 335 c.p.), tra i quali il peculato (artt. 314 e 316 c.p.), la concussione (art. 317 c.p.), la corruzione (artt. 318 - 322 c.p.), l’abuso d'ufficio (art. 323 c.p.), il rifiuto di atti d'ufficio e l’omissione (art. 328 c.p.). nella legislazione speciale in materia penale di particolare rilevanza è la tutela della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro. in materia, il principale destinatario dei precetti penali, nell'ambito dell'Ente del SSR, è il direttore generale, fatta salva la delega - nel rispetto dei requisiti in tema di delega di funzione - ai responsabili dei singoli servizi. Analogo discorso va fatto in ordine alla materia della gestione dei rifiuti. il direttore generale - nella qualità di datore di lavoro per la sicurezza - formula direttive ai dirigenti, i quali sono tenuti ad organizzare l'attività lavorativa e vigilare su di essa (art. 2, comma 1, lettera d, d. lvo. 9 aprile 2008, n. 81). l'art. 18 d. l.vo. n. 81/2008 contiene sia obblighi che gravano sul dirigente iure proprio, in maniera del tutto naturale sulla base delle funzioni esercitate, sia obblighi che sarebbero originari del datore di lavoro e che gravano su un dirigente nel momento in cui vengono in qualche modo trasferiti (ad es. lettera a dell'art. 18) (43). il direttore generale, essendo collocato al vertice amministrativo e gestionale dell'ente pubblico, è tenuto all'osservanza delle norme di preven- (42) Su tali aspetti: G. FiAndACA - E. MuSCo, Diritto Penale, Parte speciale, vol. 1, zanichelli editore, iii edizione, 2002, pp. 170 e ss. (43) in difetto di delega i compiti, e le conseguenti responsabilità, restano in capo al direttore generale. RASSEGnA AVVoCATuRA 198 dEllo STATo - n. 2/2018 zione e di sicurezza che rientrano nella più ampia nozione di gestione dell'ente. P er “datore di lavoro” negli enti pubblici deve intendersi chi in concreto abbia il potere gestionale sui luoghi di lavoro; nel caso di un'azienda sanitaria del SSn questo potere gestionale, in mancanza di alcuna delega, spetta al direttore generale. l'art. 2 del d. lvo. n. 81/2008, infatti, prevede espressamente che nelle P.A. di cui all'art. 1, comma 2, d. l.vo 30 marzo 2001, n. 165 per “datore di lavoro” si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione. le funzioni, tranne le ipotesi espressamente escluse, sono delegabili da parte del datore di lavoro, fermo restando, tuttavia, l’obbligo di vigilanza sull’operato del delegato, nonché il rispetto dei seguenti limiti e condizioni: a) forma scritta e data certa della delega; b) possesso, da parte del delegato, di tutti i requisiti di professionalità e di esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, c) attribuzione al delegato dell’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle citate funzioni; d) accettazione per iscritto della delega ad opera del delegato; e) adeguata e tempestiva pubblicità della delega. responsabilità civile verso terzi in conformità ai principi generali il direttore generale risponde ex art. 2043 cc. dei danni ingiusti conseguenza di qualunque fatto doloso o colposo nell'esercizio delle incombenze connesse alla carica, arrecati a terzi, ossia a soggetti diversi dall’ente di appartenenza in relazione al quale vi è la speciale responsabilità amministrativa di seguito trattata. il danneggiato può agire, oltreché nei confronti del direttore generale responsabile, anche nei confronti dell'ente di appartenenza (ASl, Ao, Aou, iRCCS), alla luce della relazione di immedesimazione organica tra il primo ed il secondo (art. 28 Costituzione; art. 2049 cc.). Perché risponda l'ente di appartenenza è necessario che fra l'esercizio delle incombenze del direttore generale ed il fatto dannoso sussista un nesso di occasionalità necessaria; nesso di occasionalità necessaria che viene spezzato ove il fatto dannoso integri la fattispecie del reato doloso. non venendo in rilievo un rapporto di lavoro subordinato, alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, non si applicano le disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato in materia di responsabilità verso i terzi di cui agli artt. 22-23 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in forza delle quali “È danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave (44); restano salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti” (art. 23, comma 1, d.P.R. n. 3/1957). di conseguenza il direttore generale è responsabilità civilmente verso terzi a titolo di dolo o colpa, anche lieve. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 199 la cognizione della lite in materia di responsabilità civile verso terzi spetta all'Autorità Giudiziaria ordinaria. responsabilità amministrativa nell'evenienza che il danno sia stato arrecato direttamente all'Amministrazione di appartenenza, la responsabilità civile assume connotati particolari e speciali, ricorrendo la fattispecie della responsabilità amministrativa, attribuita alla giurisdizione della Corte dei Conti (45). i funzionari, gli impiegati, gli agenti, anche militari, che nell'esercizio delle loro funzioni, per errore ed omissione imputabili anche solo a colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra P.A. dalla quale dipendono sono, infatti, sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti nei casi e modi previsti dalla legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali (in tal senso art. 52 R.d. 12 luglio 1934 n. 1214). la Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico del responsabile tutto o parte del danno arrecato o del valore perduto. Regole analoghe sono sparse in varie disposizioni (es. art. 83 R.d. 18 novembre 1923 n. 2440 e art. 18 d.P.R 10 gennaio 1957 n. 3). Gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa possono così sinteticamente individuarsi: rapporto di servizio. il primo elemento che deve sussistere perché sia configurabile la responsabilità amministrativa è l’esistenza di un rapporto di servizio, che leghi a vario titolo il soggetto ritenuto responsabile alla pubblica amministrazione (quale ente del S.S.R.), costituendo in capo al primo l’esistenza di specifici doveri correlati allo svolgimento da parte dell’Amministrazione dei compiti ad essa attribuiti. dalla ricognizione delle disposizioni in materia emerge un’ampia latitudine dell’ambito soggettivo, atteso che tale rapporto concerne sia i lavoratori dipendenti con rapporto di lavoro privatistico che quelli in regime di diritto pubblico (art. 3 d. l.vo n. 165/2001), sia i di- (44) la colpa grave consiste nella violazione della diligenza minima (mentre integra la colpa lieve la violazione della ordinaria diligenza): C.M. BiAnCA, Diritto Civile, vol. V, ii edizione, Giuffrè, 2012, p. 582. la diligenza consiste nell’impiego normalmente adeguato di energie e dei mezzi utili al soddisfacimento dell’interesse del creditore (C.M. BiAnCA, Diritto civile, vol. V, cit., p. 8). la colpa grave esclude la volontarietà, ma non si esaurisce solo - come la colpa c.d. lieve - nella negligenza, imprudenza o imperizia, dovendo le stesse esser elevate, macroscopiche. Si deve trattare, insomma, di violazioni grossolane del dovere di diligenza, di prudenza e perizia (non intelligere quod omnes intelligunt). (45) Sulla responsabilità amministrativa: M. SCiASCiA, Diritto delle gestioni pubbliche, ii edizione, Giuffré, 2013, pp. 796-822; P. SAnToRo, Manuale di contabilità e finanza pubblica, V edizione, Maggioli, 2012, pp. 687-714; M. GERARdo, A. MuTARElli, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, cit. pp. 100-105; C.E. GAllo, M. GiuSTi, G. lAdu, M.V. AVAGliAno, l. SAMBuCCi, M.l. SEGuiTi, Contabilità di Stato e degli enti pubblici, V edizione, Giappichelli, 2011, pp. 145-189; S. BuSCEMA, A. Bu- SCEMA, Contabilità di Stato e degli enti pubblici, iV edizione, Giuffré, 2005, pp. 294-309. RASSEGnA AVVoCATuRA 200 dEllo STATo - n. 2/2018 pendenti con rapporto di pubblico impiego volontariamente costituito che quelli con rapporto costituito in modo coattivo (es. militari), sia i lavoratori professionali con rapporto a tempo determinato indeterminato che quelli onorari, sia infine, i lavoratori autonomi (quale il direttore generale di ente del SSR). Comportamento dannoso. il danno, per poter comportare responsabilità amministrativa deve essere conseguenza di un comportamento - azione (provvedimentale o materiale) od omissione - posto in essere nell’esercizio di un’attività non discrezionale, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, sempreché rispettose dei limiti posti dall’ordinamento (pertanto la discrezionalità è sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere). Tale comportamento deve essere imputabile all’agente, a titolo di responsabilità personale (art. 1, comma 1, l. 14 gennaio 1994 n. 20). Elemento psicologico. la responsabilità è circoscritta ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave. la colpa grave implica una condotta che sia posta in essere senza l’osservanza di un livello di diligenza, prudenza e perizia in relazione al tipo di attività concretamente richiesta all’agente ed alla sua particolare preparazione professionale nel settore della attività amministrativa al quale è preposto. Tale attività si caratterizza, quindi, per un atteggiamento di estremo disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni, di negligenza massima, di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti, senza il rispetto delle comuni regole di comportamento (46). in ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo (art. 1, comma 1, l. n. 20/1994). l’illustrato regime normativo esonera da responsabilità il dipendente che versa in colpa lieve nell’evidente obiettivo di non gravare il dipendente di preoccupazioni eccessive in ordine alle conseguenze patrimoniali della propria condotta. Preoccupazioni che (in particolare in una fase storica legislativamente dinamica in cui la P.A. si trova a operare in una realtà normativa estremamente complessa e talvolta disarticolata) condurrebbero fatalmente all’inerzia e alla paralisi amministrativa. dalla normativa soprarichiamata sui compiti e responsabilità del direttore generale degli Enti del SSR, si desume che questo deve possedere particolari e specifiche competenze professionali e deve avere maturato qualificate esperienze nella direzione tecnica o amministrativa in strutture pubbliche o private, equiparabile alla figura del c.d. “manager”. (46) Ex plurimis: Corte Conti, Sez. giur. Abruzzo, 27 marzo 2007, n. 372. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 201 Nesso causale. È ovviamente richiesta la sussistenza di un rapporto di causalità tra comportamento osservato dal dipendente (e ritenuto fonte del danno) ed il danno lamentato dall’amministrazione. il nesso eziologico deve essere valutato secondo il criterio della causalità adeguata, verificando, cioè, con una valutazione ex ante, se il comportamento del dipendente sia stato idoneo a produrre l’evento. in tale valutazione non si dovrà tenere conto degli eventuali e imprevedibili effetti straordinari o atipici della condotta tenuta. nell’ipotesi di concorso di più persone nel comportamento causativo del danno, la Corte dei Conti, valutate le singole responsabilità, è tenuta a condannare ciascuno in relazione al proprio contributo causale. È altresì prevista la responsabilità solidale dei soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo (art. 1, comma quater e quinquies l. n. 20/1994). Danno. il danno è costituito dalla diminuzione patrimoniale o dal mancato guadagno causato direttamente dall’attività dell’agente. la Corte dei Conti nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione deve tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, da altra amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità (art. 1, comma 1 bis, l. n. 20/1994). il giudizio di responsabilità viene instaurato da un attore pubblico (il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti) il quale agisce nell’interesse della comunità intera, assorbendo, perciò nella sua funzione anche la difesa della P.A. danneggiata. il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso nel termine di cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso (comprensivo dell’effetto lesivo dell’eventus damni), ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (art. 1, comma 2, l. n. 20/1994). Vasta la casistica di danni erariali, fonte di responsabilità amministrativa in capo al direttore generale degli Enti del SSR. A titolo di esempio: responsabilità amministrativa di un direttore generale nei confronti di una ASl per l’affidamento di un incarico esterno (es. consulenza legale) non conferito secondo legge, con danno parametrato all’esborso indebitamente erogato (47). responsabilità manageriale i dirigenti della P.A. in aggiunta alla responsabilità penale, civile, amministrativa rispondono anche a titolo di responsabilità disciplinare e dirigenziale. Quest’ultima - disciplinata nell’art. 21 d. l.vo n. 165/01 - è collegata al man- (47) Corte Conti, Sez. Giur. Calabria, 8 aprile 2004 n. 273. RASSEGnA AVVoCATuRA 202 dEllo STATo - n. 2/2018 cato raggiungimento degli obiettivi o all’inosservanza di direttive e non richiede la colpa. nell’ipotesi del direttore generale degli enti del S.S.R. non sono ipotizzabili la responsabilità disciplinare e dirigenziale, difettando il presupposto della esistenza di un rapporto di pubblico impiego. Come visto sopra, infatti, il rapporto di direttore Generale trova fonte in un contratto di diritto privato di lavoro autonomo, disciplinato negli artt. 2222 cc. e ss. l’ordinamento, tuttavia, prevede peculiari ipotesi di responsabilità per mancato raggiungimento di risultati o per infrazioni disciplinari: trattasi delle fattispecie di decadenza - all’esito di specifico provvedimento o automatica - e di mancata conferma in sede di verifica decorsi ventiquattro mesi, disciplinate nell’art. 2 del d. l.vo n. 171/2016 (e già nell’art. 3 bis d. l.vo 502/1992). Venendo in rilievo fattispecie non comprese né nella giurisdizione esclusiva dell’A.G.o. sui rapporti di pubblico impiego privatizzati (art. 63 d. l.vo n. 165/2001), né nella giurisdizione esclusiva del G.A. sui rapporti di pubblico impiego in regime di diritto pubblico (art. 3 d. l.vo n. 165/2001), valgono le normali regole del riparto di giurisdizione (diritto soggettivo = A.G.o.; interesse legittimo = G.A.) in ordine alle relative controversie (48). in tal senso è orientato l’ormai assestato quadro giurisprudenziale, come emerge da una rapida rassegna dello stesso. A tale stregua spetta alla cognizione del giudice ordinario - la controversia concernente l'inserimento nell'elenco dei soggetti idonei a ricoprire la carica di direttore generale di azienda sanitaria, in quanto l'interesse da tutelare ha consistenza di diritto soggettivo, posto che la legge obbliga l'amministrazione competente ad attuarlo con l'inserimento nel relativo elenco di tutti coloro che ne hanno i titoli senza che residui la possibilità di esercizio di poteri discrezionali (49); - la controversia relativa alla decadenza dall'incarico di direttore generale di un'azienda sanitaria a causa della situazione di grave disavanzo di gestione, atteso che si risolve in un accertamento di fatto, non implicante alcuna valutazione di discrezionalità amministrativa, da condurre in base ad un criterio (48) Ex plurimis Cass. civ. Sez. un. 26 gennaio 2011, n. 1767 secondo cui “Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Sezioni Unite, la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche, e soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione (cfr., ad esempio, S.U., ordin. 25 giugno 2010 n. 15323; Cass. S.U., ordin., 27 novembre 2007 n. 24625). Corte Conti, Sez. Giur. Calabria, 8 aprile 2004 n 273”. (49) Così: Cass. civ. Sez. un. 18 dicembre 2007, n. 26631 e T.A.R. Campania napoli, Sez. iii, 20 gennaio 2015, n. 367. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 203 relativo, che utilizza il parametro di giudizio della comparazione di situazioni oggettivamente paragonabili (50). Spetta alla cognizione del giudice amministrativo - la controversia che ha ad oggetto la delibera regionale di conferma (o mancata conferma) nell'incarico, atteso che tale provvedimento, condividendo la natura dell'atto di nomina, implica una valutazione discrezionale sull'idoneità del direttore generale a svolgere l'incarico affidatogli, indipendentemente da eventuali violazioni dei propri doveri; l'interessato è titolare di una posizione di interesse legittimo, tutelabile dinanzi al giudice amministrativo (51). Tuttavia, la controversia rientra nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria ove l'interessato, senza impugnare il provvedimento di mancata conferma nell'incarico, lo individui come fonte di una pretesa civilistica di risarcimento del danno, deducendo la violazione da parte della regione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione nell'adozione della misura operativa e gestoria, posta in essere con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (52). una ricognizione sulla giurisdizione è operata dall’ordinanza del 19 dicembre 2014, n. 26938 della Corte di Cassazione civile resa a sezioni unite, in sede di regolamento di giurisdizione, a termini della quale: “occorre premettere che, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, comma 8, come già sottolineato da queste Sezioni Unite (Cass. 16 aprile 1998 n. 3882, 23 aprile 1998 n. 4214, 24 febbraio 1999 n. 100, 5 aprile 2000 n. 107, 6 maggio 2003 n. 6854, Cass. S.U. 28 luglio 2004 e Cass. S.U. 26 gennaio 2011 n. 1767), il rapporto di lavoro intercorrente fra azienda sanitaria locale e direttore generale è regolato da contratto di diritto privato. Tale rapporto può essere risolto - del D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 3 bis, comma 7 - con dichiarazione di decadenza da parte della committente, "quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione". inoltre - del D.Lgs. n. 502 , ex art. 3 bis, comma 6, in parola, nella formulazione vigente ratione temporis - "trascorsi diciotto mesi dalla nomina di ciascun direttore generale, la regione verifica i risultati aziendali conseguiti e il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 5 e, sentito (50) Così, ancora, Cass. civ. sez. lav. 5 luglio 2007, n. 15152 per la decadenza ai sensi dell'art. 3 bis, comma 7, del d.l.vo n. 502/1992. (51) Così Cass. civ. Sez. unite, n. 2065/2003, cit., Cass. civ. Sez. un. 19 dicembre 2014, n. 26938 (che qualifica il provvedimento che non conferma l'incarico in base alla verifica dei risultati di gestione come atto discrezionale di alta amministrazione, espressione di poteri pubblicistici, cui sono correlati interessi legittimi del privato) e Cass. civ. Sez. u. 19 dicembre 2014, n. 26938 (sempre a proposito del provvedimento che non conferma l'incarico). (52) Così, ancora, Cass. civ. Sez. unite, n. 2065/2003, cit. RASSEGnA AVVoCATuRA 204 dEllo STATo - n. 2/2018 il parere del sindaco o della conferenza dei sindaci di cui all'art. 3, comma 14, ovvero, per le aziende ospedaliere, della Conferenza di cui all'art. 2, comma 2 bis, procede o meno alla conferma entro i tre mesi successivi alla scadenza del termine". in relazione a queste disposizioni le Sezioni Unite hanno chiarito che il rapporto in questione è sì di diritto privato, ma tuttavia, avvenendo la nomina del direttore generale previo esperimento di un procedimento amministrativo selettivo non concorsuale, con un atto discrezionale di alta amministrazione, espressione di poteri pubblicistici cui sono correlati in capo al privato interessi legittimi, analoga natura ha il provvedimento previsto dal citato art. 3 bis, comma 6, in base al quale le regioni, trascorso diciotto mesi dalla nomina e previa verifica dei risultati amministrativi e di gestione, dispongono la conferma dell'incarico o la risoluzione del relativo contratto, con la conseguenza che l'impugnazione da parte del direttore generale dell'atto di risoluzione rientra nella giurisdizione del Giudice amministrativo. L'ipotesi della risoluzione del contratto di lavoro per gravi motivi o per violazione di legge o dei principi di buon andamento o di imparzialità, di cui all'art. 3 bis, comma 7, sopra richiamato è di contro equiparabile alla risoluzione per inadempimento codicistica e coinvolge perciò situazioni di diritto soggettivo tutelabili davanti al giudice ordinario (Cass. 16 aprile 1998 n. 3882, 23 aprile 1998 n. 4214, 24 febbraio 1999 n. 100, 5 aprile 2000 n. 107, 6 maggio 2003 n. 6854, Cass. S.U. 28 luglio 2004 e Cass. S.U. 26 gennaio 2011 n. 1767, tutte cit.)”. 6. Conclusioni. dall’analisi condotta emerge la complessità dei compiti e delle responsabilità del direttore generale degli enti del Servizio sanitario nazionale. il direttore generale è dotato di notevoli poteri, configurandosi come una sorta di monarca dell’ente. Va altresì tenuto conto che gli enti sono, specie le AASSll, di gigantesche dimensioni, con un budget a volte superiore a quello di un ministero o a una regione di piccole dimensioni. A titolo di esempio l’ASl di Salerno - ed analoghe considerazioni valgono per l’ASl napoli 1 Centro, l’ASl napoli 2 nord e l’ASl napoli 3 Sud - abbraccia una popolazione di oltre un milione e centomila residenti, ha oltre settemila e duecento dipendenti, entrate di parte corrente di oltre un miliardo e seicentomila euro ed oltre milleottocento posti letto. Si è già fatto cenno alla circostanza che, in media, la durata in carica di un direttore generale non è molto lunga. E ciò è sintomatico del fatto che il cordone ombelicale con gli organi politici non è stato del tutto reciso. la recente modifica delle modalità di nomina operata con il d. l.vo n. 171/2016 - con la istituzione di un albo nazionale degli idonei - mira ad una maggiore professionalizzazione del ruolo e ad una omogeneizzazione dei requisiti. Ad una prima lettura le modifiche appaiono modeste, proseguendosi lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 205 in un forte centralismo. le regioni, nella cui responsabilità gestoria (e di conseguenza politica, di fronte al corpo elettorale) ricade la materia, subiscono forti limiti nella scelta del direttore generale. Sarebbe auspicabile un ripensamento delle dimensioni, favorendo altresì la formazione di un management spiccatamente tecnico, autonomo sia dalla politica che dalla categoria sanitaria. Solo l’esperienza dirà se si è riusciti nell’intento di creare una dirigenza attrezzata ed autonoma dalla politica. RASSEGnA AVVoCATuRA 206 dEllo STATo - n. 2/2018 L’actio finium regundorum in materia di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione Michelangelo Strazzeri* SoMMario: 1. Premessa - 2. il rapporto tra accesso civico e documentale ante Foia - 3. Verso il nuovo concetto di trasparenza amministrativa: una chiave di lettura del diritto di accesso civico - 4. L’inquadramento del diritto di accesso civico - 5. La situazione post Foia: la “profondità” della trasparenza condizionata. 1. Premessa. il percorso di riforma avviato negli ultimi anni sul tema della trasparenza amministrativa, dapprima con l’approvazione del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 e poi con la legge Madia del 7 agosto 2015, n. 124 e il d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, ha operato una profonda trasformazione degli istituti giuridici volti a garantire una conoscenza diffusa dell’operato delle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo primario di un riordino e di una complessiva semplificazione della disciplina riguardante il diritto di accesso e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni. di fronte alla crescente attenzione e preoccupazione dell’opinione pubblica verso i fenomeni dilaganti d’illegalità e corruzione nelle istituzioni pubbliche, il legislatore italiano, anche nel tentativo d’introdurre un nuovo sistema di controllo e standard più elevati di pubblicità, ha offerto una risposta ispirata ai modelli normativi più maturi della tradizione anglosassone. un merito della riforma Madia è stato quello di aver affrontato il tema della trasparenza nell’ambito della più generale riforma della pubblica amministrazione anzi che dar luogo all’ennesima, sistematicamente inapprezzabile, novella parcellizzata che non avrebbe affatto colto l’esigenza collettiva di riorganizzazione dei rapporti tra lo Stato e il cittadino (1). (*) dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (con l’avv. St. Maria Gabriella Mangia). (1) Sul punto, il parere reso dal Consiglio di Stato, Sez. Consultiva per gli Atti normativi, del 24 febbraio 2016, n. 00515, ha evidenziato che “Una delle caratteristiche più interessanti del disegno riformatore è quella di affrontare la riforma dell’amministrazione pubblica come un tema unitario, anche se poi gli interventi si ripartiscono necessariamente nei singoli settori. Tale approccio appare innovativo rispetto al recente passato e prende spunto dai più importanti interventi riformatori di inizio e fine anni ’90 del secolo scorso. È stato correttamente segnalato che l’intervento mira a reagire a un diffuso modo di intendere il proprio ruolo da parte di molte pubbliche amministrazioni: un’idea di separazione di ciascuna amministrazione rispetto alle altre, con conseguente indifferenza per gli interessi curati dalle altre, se non la contrapposizione o la competizione. Si perde, così, il dovere per la parte pubblica di considerare le istanze, gli interessi e i diritti dei cittadini in modo unitario, seppure a diversi apparati amministrativi siano affidate distinte competenze: si vanifica, in altri termini, l’esigenza di presentarsi al cittadino con una voce sola, coerente nel tempo” (punto: 1.1). lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 207 Tuttavia, il trapianto dei modelli normativi stranieri sortisce effetti diversi in corrispondenza a quei presupposti sociali e culturali che contraddistinguono il popolo al quale sono applicati. nel caso italiano, la riforma che secondo il Governo avrebbe introdotto nel nostro ordinamento il Freedom of information act (Foia) statunitense, purtroppo, si scontra con la cultura della segretezza di chi gestisce gli apparati pubblici, la quale rischia di svuotare la portata significativa delle nuove norme e dar luogo ad un’interpretazione locale e disomogenea dei medesimi precetti giuridici (2). Secondo una nota metafora di Filippo Turati, la pubblica amministrazione dovrebbe essere una “casa di vetro” affinché tutto ciò che sta all’interno sia sempre e costantemente visibile. Tale obiettivo programmatico però è ostacolato dalla parete culturale del segreto che tutt’ora impedisce ai nobili “muratori del diritto” di sostituire in quella casa le mura di cemento con vetri della trasparenza. Così, in mancanza di una seria sensibilizzazione della dirigenza pubblica sul rinnovato rapporto con i cittadini, nonché in assenza di un aumento delle risorse destinate a finanziare la realizzazione di sistemi efficienti d’informazione pubblica, l’indirizzo politico sulla trasparenza rischia di non essere attuato e di lasciar persistere quel malcontento generalizzato della collettività sull’esigenza di un maggiore controllo dell’azione amministrativa e dell’utilizzo corretto delle risorse pubbliche. la pubblicità, si tenga presente, è un corollario indefettibile del principio di democrazia che contribuisce alla diffusione d’informazioni politicamente rilevanti e stimola il dibattito pubblico, condizionando ampiamente l’esercizio del voto e mirando ad evitare che il processo democratico scada in forme oclocratiche di potere. l’ignoranza e il disinteressamento collettivo, ben si sa, rispondono alle esigenze di stabilità d’ogni potere e quest’ultimo, a volte, non solo si giova, ma anche fomenta il muro dell’opacità per coprire inefficienze ed errori, oltre che, nei casi più gravi, le illegalità nella gestione della cosa pubblica. nasce così un circolo vizioso in cui l’occultamento delle informazioni si fa tanto più ampio quanto più si diffonde la corruzione e il malaffare all’interno delle istituzioni. (2) A tal proposito è interessante l’opinione di G. GARdini, il paradosso della trasparenza in italia: dell’arte di rendere oscure le cose semplici, Federalismi.it, n. 1/2017, p. 18, secondo cui “l’accesso civico ex d.lgs. 97/16 con ogni probabilità verrà accolto con molta resistenza da parte delle pubbliche amministrazioni, del tutto impreparate a dare attuazione ad una forma di trasparenza così avanzata, le quali sfrutteranno appieno la propria discrezionalità nell’operare il bilanciamento quando la richiesta di accesso civico verrà ad incrociare uno degli interesse-limite previsti dall’art. 5bis. Con altrettanta probabilità la giurisprudenza amministrativa si mostrerà (quantomeno inizialmente) favorevole a interpretazioni restrittive dell’accesso civico generalizzato evitando ogni sindacato diretto sulla discrezionalità tecnica e avallando prassi autodifensive delle pubbliche amministrazioni”. RASSEGnA AVVoCATuRA 208 dEllo STATo - n. 2/2018 Al di là di tali considerazioni, più in generale, la diffidenza della burocrazia verso la visibilità pubblica del suo operato è un’eredità culturale del segreto d’ufficio (3) e fa parte della storia della pubblica amministrazione italiana. in un certo senso, potrebbe dirsi che la previsione normativa del segreto ha radicato un “sentimento di appartenenza” della funzione pubblica nell’impiego civile dello Stato. E ciò sulla scorta della retriva riflessione secondo cui la conoscenza e la partecipazione del cittadino non possono avere altro risvolto se non quello di prestare il fianco a critiche sull’esercizio del potere pubblico, recando pregiudizio alla credibilità e alla legittimazione delle istituzioni. di certo, una siffatta chiusura non è confacente al modello occidentale di democrazia liberale che persegue gli scopi di accountability, partecipacition e legittimancy. la rinnovata concezione della trasparenza, come si vedrà, interpreta la visibilità del potere e la pubblica comprensione del suo esercizio come il migliore strumento di legittimazione democratica del potere medesimo. Sul versante opposto, comunque, va evidenziato che i sistemi liberali non riconoscono il diritto individuale d’essere informato d’ogni cosa, anche di ciò che genera e diffonde confusione e disorientamento a scapito dell’ordine pubblico e della solidità degli apparati dello Stato. Quando si parlerà di trasparenza, almeno in questa sede, non si intenderà affatto una total dislocure di tutto ciò che è noto alle pubbliche amministrazioni. l’informazione deve infatti illuminare e non accecare quanti siano interessati alla cosa pubblica. Se essa fosse assoluta ed illimitata - o meglio: incontrollata - sarebbe l’origine di turbamento nei singoli e di sentimenti sovversivi nella società. Per evitare tali ripercussioni negative è opportuno che vengano definiti in modo chiaro e preciso i confini della trasparenza, ovvero quegli interessi protetti che devono essere, in tutto o in parte, preferiti all’esigenza di pubblicità delle informazioni, dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni. in realtà, la difficoltà di prevedere in astratto quali categorie d’informazioni possono animare tensioni individuali o suscitare agitazioni collettive costituisce un’altra premessa storica italiana - o più propriamente dell’Europa continentale civil law - che ha favorito l’atteggiamento prudente della segretezza nella gestione dei poteri dello Stato, piuttosto che un regime normativamente organizzato di trasparenza. (3) il segreto d’ufficio è stato per lungo tempo vigente, sin dagli albori della Repubblica italiana, a partire dall’art. 15 del d.p.r. n. 3/1957, mentre il diritto di accesso si è affermato solo con la legge n. 241/1990. dal punto di vista storico, invece, le prime civiltà trasparenti sono state le aree scandinave (in Finlandia nel 1951, in norvegia e danimarca nel 1970), e poi, sul modello del FoiA statunitense del 1966, i Paesi di cultura anglosassone (Canada, Australia e nuova zelanda). lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 209 norberto Bobbio sosteneva che “la trasparenza del potere è la più grave e più rovinosa tra le promesse non mantenute dalla democrazia”. invero, però, l’odierno ordinamento italiano si presenta molto più maturo rispetto al passato e capace di soddisfare, almeno in astratto, l’esigenza conoscitiva dei consociati. la soluzione, pertanto, è rimessa ai destinatari dei precetti normativi del Foia italiano e va individuata nella condizione che venga abbandonato ogni approccio giuridico tradizionalista in favore di una lettura orientata ai principi costituzionali ed euro-unitari, in particolare, ai canoni di leale collaborazione, imparzialità e buon andamento, altresì privilegiando quell’ottica che considera la legge come una lente rispetto alla luce: filtro che delle cose dà contezza e discernimento. 2. il rapporto tra accesso civico e documentale ante Foia. Al fine di comprendere la natura e lo scopo del recente istituto dell’accesso civico, pare opportuno premettere brevi cenni sulla radice normativa che costituisce lo sfondo sul quale sono state inserite le novità legislative in tema di trasparenza. urge infatti un’analisi d’insieme che tenga conto della sistemazione temporale delle riforme e dell’evoluzione del concetto di trasparenza, poiché, in effetti, nell’ordinamento vigente convivono istituti, alcuni recenti ed altri più risalenti, che prevedono presupposti diversi per l’accesso alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione e che hanno destato confusione interpretativa a causa della sovrapposizione dei rispettivi ambiti di applicazione (4). Andando con ordine, il nostro Paese, nel solco del modello continentale civil law, ha introdotto il diritto di accesso c.d. “documentale” con la legge n. 241/1990, ancora in vigore. Tale diritto è anzitutto “procedimentale” poiché riconosciuto al privato per meglio tutelare le proprie ragioni, in chiave partecipativa e/o difensiva, attraverso la cognizione degli atti acquisiti al procedimento che lo riguardano. d’altra parte, poi, è anche un diritto autonomo, non procedimentale, volto a promuovere l’imparzialità ed accrescere la trasparenza dell’attività amministrativa. Quanto alla sfera di legittimazione soggettiva, ai sensi dell’art. 22, co. 1, lett. b), della predetta legge, il diritto di accesso documentale non è libero ed incondizionato, ma riservato ai soli portatori di un “interesse diretto, concreto ed attuale, riconducibile ad una posizione giuridica tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”. (4) A tal riguardo, è interessante la metafora di S. VillAMEnA, in il c.d. Foia (o accesso civico 2016) ed il suo coordinamento con istituti consimili, in Federalismi.it, n. 23/2016, p. 2., che paragona la riforma sulla trasparenza ad un “sasso lanciato sullo stagno” poiché essa si inserisce in un contesto normativo preesistente ed ancora vigente, nei cui confronti non può che produrre effetti rilevanti. RASSEGnA AVVoCATuRA 210 dEllo STATo - n. 2/2018 in altri termini, l’impostazione seguita dalla legge n. 241/1990 evidenzia la “strumentalità” del diritto d’accesso alla protezione di un bene della vita che non è la conoscenza in sé, non bastando un mero interesse di fatto o una semplice curiosità d’informazione, bensì una situazione giuridica individuale meritevole di tutela (5). un tale regime normativo presenta la peculiarità di subordinare l’accesso all’idonea rappresentazione della situazione individuale d’interesse qualificato, che pertanto il soggetto interessato è chiamato a dimostrare mediante l’assolvimento dell’obbligo di motivazione dell’istanza previsto dalla stessa legge. A tal proposito, è importante sottolineare che la motivazione non si configura quale mero requisito formale, ma acquista valenza sostanziale poiché, essendo collegata alla necessità di un’indagine conoscitiva dell’interesse privato, esprime quel potere di convincimento tanto più importante quanto più la valutazione di detto interesse si presta a margini ampi di apprezzamento e discrezionalità amministrativa. Quanto sopra esposto mostra una radice normativa e culturale che ha sostenuto una trasparenza “condizionata” alla tutela d’interessi individuali ed ha mantenuto ferma la segretezza di tutto quanto non potesse dirsi “soggettivamente rilevante”. Si tratta quindi di un indirizzo antitetico al valore puramente pubblicistico della trasparenza, inteso quale favor per la diffusione delle conoscenze idonee a consentire un controllo esteso e diffuso sulla legalità dell’azione amministrativa (6). Tutto ciò premesso, i primi passi verso la nascita di un modello normativo a favore di un rinnovato concetto di trasparenza vanno individuati dapprima nel settore ambientale (7), e poi, con riguardo agli altri settori, a partire dall’entrata in vigore del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (noto come: “decreto trasparenza”), il quale, in particolare, si è caratterizzato per la presenza di due paradigmi di riferimento (c.d. “sistema doppio binario”), strettamente correlati tra loro: i doveri di pubblicazione attiva della pubblica amministra- (5) Così, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 14 settembre 2017, n. 4346: “il diritto all'accesso documentale - pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale - non si configura come un'azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata”. inoltre, l’evoluzione giurisprudenziale ha chiarito e riempito i contenuti del diritto di accesso documentale, affermando che l’interesse sotteso all’accesso, oltre che differenziato, dev’essere altresì: serio, personale, tangibile e non emulativo (ex multis: sent. CdS, Sez. Vi, 30 settembre 1998, n. 1344; sent. CdS, Ad. Plen., 24 aprile 2012, n. 7; sent. CdS, Sez. V, n. 5873/2004). (6) Ciò peraltro è confermato dall’art. 24, co. 3, della legge n. 241/1990, che sancisce l’inammissibilità delle richieste d’accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. (7) Si fa riferimento al c.d. “accesso ambientale”, disciplinato dal d.lgs. n. 39/1997, poi abrogato dal d.lgs. n. 195/2005, in attuazione della direttiva 2003/4/CE. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 211 zione e il diritto d’accesso c.d. “civico” sui dati e i documenti che quest’ultima ha omesso di pubblicare. Preliminarmente, si osserva che l’originario diritto di accesso civico, al pari di quello ambientale, si configurava come un’eccezione rispetto alle regole generali poste dalla legge n. 241/1990, alla stregua del seguente ragionamento: posto che l’amministrazione ha l’obbligo di pubblicare certi dati, documenti ed informazioni, l’omesso adempimento di tale dovere comporta un corrispondente diritto di “chiunque” a richiedere i medesimi, senza dover motivare e dimostrare alcun interesse diretto, concreto ed attuale alla loro conoscenza. Così, in buona sostanza, seppur vero che il diritto di accesso ex d.lgs. n. 33/2013 inizia a concepire la conoscenza quale bene giuridico di per sé meritevole di tutela, a prescindere dall’esigenza di protezione di interessi individuali, tale diritto civico era riconosciuto limitatamente agli atti che l’amministrazione aveva l’obbligo giuridico di pubblicare, mentre per tutti gli altri rimaneva ferma l’applicabilità del solo accesso documentale, strumentale rispetto alla tutela delle singole situazioni giuridiche (c.d. “modello compromissorio”) . Per tal via, il discrimen tra il diritto di accesso civico e quello documentale rimaneva semplice poiché non vi era alcuna sovrapposizione dell’ambito oggettivo di applicazione dei due istituti (8). la scelta del legislatore del 2013 è stata quella di operare una sorta di selezione delle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni in base all’esistenza o meno di un interesse apprezzabile alla loro diffusione. il passaggio dall’interesse privato alla conoscenza all’interesse pubblico alla trasparenza era quindi solo parziale. Venivano distinte due categorie d’informazioni: da un lato, quei dati e documenti che il legislatore, con giudizio preventivo ed astratto, ha ritenuto meritevoli di conoscenza diffusa e che pertanto ha coperto con precisi doveri normativi di pubblicazione, la cui violazione comportava l’esercizio del diritto di accesso civico ex d.lgs. 33/2013, automaticamente riconosciuto a chiunque, senza necessità di motivazione e soprattutto d’indagine sull’esistenza di un (8) A tal riguardo la sentenza del Consiglio di Stato, sez. Vi, 20 novembre 2013, n. 5515: “Le nuove disposizioni, dettate con d.lg. 14 marzo 2013 n. 33 in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle p.a. disciplinano situazioni, non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l'accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli art. 22 ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241 (…); solo in caso di omessa pubblicazione può essere esercitato, ai sensi dell'art. 5 d.lg. n. 33/2013, il cd. "accesso civico", consistente in una richiesta - che non deve essere motivata - di effettuare tale adempimento, con possibilità, in caso di conclusiva inadempienza all'obbligo in questione, di ricorrere al giudice amministrativo (…). Diversamente, l'accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dagli art. 22 ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241 è riferito, invece, al diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi, intendendosi per interessati tutti i soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. in funzione di tale interesse la domanda di accesso deve essere opportunamente motivata”. RASSEGnA AVVoCATuRA 212 dEllo STATo - n. 2/2018 interesse individuale da tutelare; dall’altro, tutti i restanti documenti caratterizzati per l’assenza d’interesse pubblico alla diffusione, la cui ostensione e conoscenza poteva, tuttavia, rispondere occasionalmente alla protezione d’interessi individuali, comunque meritevoli di tutela mediante l’accesso documentale ai sensi della legge n. 241/1990. Per quest’ultimi, numericamente prevalenti, la valutazione dell’interesse - non pubblico, ma privato - non era affrontata col giudizio preventivo ed astratto del legislatore, bensì da parte dell’amministrazione, con sindacato successivo e discrezionale, eseguito in concreto e su specifica istanza di accesso documentale formulata dal singolo, peraltro motivata con la rappresentazione dell’interesse diretto, concreto ed attuale all’ostensione del documento. in poche parole, mentre il diritto di accesso civico ex art. 5, co. 1, del d.lgs. n. 33/2013 faceva da contraltare ai doveri di pubblicazione previsti dallo stesso decreto, l’assenza di quest’ultimi veniva controbilanciata dal diritto di accesso documentale dei soggetti interessati ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990. 3. Verso il nuovo concetto di trasparenza amministrativa: una chiave di lettura del diritto di accesso civico. il sistema sopra descritto in materia di accesso ha rappresentato la struttura normativa di base sulla quale il legislatore ha costruito l’odierno modello di trasparenza amministrativa mediante le modifiche del decreto n. 33/2013, introdotte ad opera del d.lgs. delegato 25 maggio 2016, n. 97, in attuazione della legge 7 agosto 2015, n. 124. il nuovo impianto, ispirandosi al modello d’oltreoceano del Freedom of information act, configura il diritto di accesso quale declinazione della libertà d’informazione che deve essere garantita a chiunque indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, in armonia con l’art. 10 della CEdu (9). Si tratta di un nuovo approdo evolutivo del concetto di trasparenza che ha segnato il passaggio dal bisogno di sapere al diritto di sapere, altresì superando il vecchio modello “condizionato” disegnato dalla legge n. 241/1990. A tal riguardo, è significativa la modifica dell’articolo 1 del decreto n. (9) Tale articolo così recita: “ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche (…)”. Fermo restando che il secondo comma riconosce la potestà degli Stati di sancire, mediante la legge, le limitazioni necessarie alla salvaguardia degli interessi pubblici e privati ritenuti più rilevanti. del pari, l’art. 19 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 213 33/2013, che ha definito il principio generale di trasparenza come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. È opportuno premettere sin da subito che una siffatta disposizione concentra l’esplicitazione del principio attraverso la descrizione del suo scopo piuttosto che del suo contenuto, rischiando di fare da sponda ad errori interpretativi che obiettivizzano la trasparenza come traguardo del diritto d’accesso anzi che come canone e principio guida nella sua concreta e corretta attuazione. Va segnalato che l’impostazione finalistica di un istituto giuridico costituisce la sua condizione esistenziale e, al contempo, un limite all’interpretazione ed applicazione delle sue norme; ciò malgrado, tale orientamento non va esasperato finanche a contravvenire alla ragione ispiratrice della riforma. la formulazione volutamente ampia (o meglio: in termini assoluti) della disposizione introduttiva del decreto trasparenza dimostra l’irrilevanza dell’interesse conoscitivo dell’individuo e lo scopo prevalente di perseguire la maggiore diffusione di tutto ciò che è noto alla pubblica amministrazione, sebbene non coperto da doveri proattivi di pubblicazione. in altri termini, il riconoscimento del diritto di accesso civico, libero ed incondizionato soddisfa, nel piccolo, l’interesse meramente conoscitivo del singolo, affinché su larga scala vengano perseguiti gli obiettivi della democrazia partecipativa, della lotta alla corruzione, della libertà d’informazione, del ripristino del legame fiduciario tra la collettività e le istituzioni pubbliche, del miglioramento della qualità dell’azione di quest’ultime e del rafforzamento della loro legittimazione. in tal senso, “accessibilità totale” alle informazioni non vuol dire assenza di esclusioni e limitazioni all’accesso (di fatti previste dallo stesso decreto), ma significa invertire il rapporto tra l’ostensione e la segretezza dei documenti amministrativi, ragion per cui la prima dev’essere oramai la regola e la seconda un’eccezione. il principio generale di trasparenza, beninteso, ha una valenza estremamente costruttiva e dirimente piuttosto che limitante quale canone di scopo del nuovo impianto normativo, in quanto non è funzionalizzato, come in passato, alla tutela di beni della vita individuali, ma si traduce in un valore ordinamentale posto a monte come precondizione per la cura e il sostegno di molteplici interessi pubblici, valorizzando partecipazione e interazione dei consociati con le istituzioni, in maniera libera, consapevole e responsabile. 4. L’inquadramento del diritto di accesso civico. Venendo alla descrizione del nuovo diritto di accesso civico, il legislatore ha optato per una bipartizione che ha differenziato due species normative RASSEGnA AVVoCATuRA 214 dEllo STATo - n. 2/2018 dell’unico istituto previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, oramai comunemente denominate, per motivi di pura distinzione: diritto di accesso civico “semplice” e “generalizzato”. in realtà, soltanto il secondo rappresenta una novità, mentre il primo, già disciplinato dal comma 1 dell’art. 5, continua a consistere in un rimedio diffuso contro l’inottemperanza agli obblighi di pubblicazione. il limitrofe comma 2 dello stesso articolo, invece, così recita: “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto ad accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela degli interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’art. 5-bis”. in effetti, tale disposizione assorbe del tutto quella sull’accesso semplice, ragion per cui il Consiglio di Stato in sede consultiva ha proposto di espungere quest’ultimo in favore di un’unica norma (10). Ciononostante, il legislatore ha preferito mantenere distinte le due disposizioni, quasi a voler sottolineare quella sottile diversità di fondo in virtù della quale: mentre l’accesso semplice è un diritto, per così dire, “di reazione”, perché con esso il privato risponde al mancato adempimento di un dovere della pubblica amministrazione, l’accesso generalizzato è un diritto “d’azione” poiché non v’è alcun presupposto per il suo esercizio che resta assolutamente libero ed incondizionato. Tale differenza, peraltro, giustifica l’inapplicabilità all’accesso semplice dei limiti e delle esclusioni previste dall’art. 5-bis, in quanto, come già detto, l’interesse pubblico alla diffusione delle informazioni coperte da doveri di pubblicazione è già stato pre-valutato in astratto dal legislatore, altresì confermando l’assenza di conflitti con altri interessi pubblici e privati meritevoli di tutela. in ogni caso, entrambe le forme di accesso non sono soggette all’obbligo di motivazione (11) e a limitazioni quanto alla legittimazione soggettiva dell’istante. Queste due regole, che non hanno eccezioni, assurgono a chiave di lettura (10) Si veda il già citato parere del Consiglio di Stato, Sez. Consultiva per gli Atti normativi, del 24 febbraio 2016, n. 00515. (11) Pur non essendo la motivazione obbligatoria, essa presumibilmente resta facoltativa. inoltre, ai sensi dell’art. 5, co. 3, del decreto trasparenza, l’istanza di accesso deve identificare in maniera chiara e precisa i dati, le informazioni e i documenti dei quali si chiede l’accesso. Fermo restando, in ogni caso, che l’istanza “generica” o “esplorativa” non è tout court inammissibile, ma solo a condizione che l’amministrazione abbia invitato, per iscritto, il richiedente a ridefinire l’oggetto dell’istanza, e quest’ultimo non abbia fornito i chiarimenti richiesti. in tal caso, la sanzione dell’inammissibilità pare proporzionata al tenore del requisito di contenuto-forma ed apprezzabile come una risposta adeguata ad un’impossibilità oggettiva a consentire l’accesso, nonostante la buona e leale collaborazione dell’amministrazione. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 215 dell’accesso civico, potendo aiutare a spiegare il senso di alcuni aspetti dell’istituto. Ad esempio, sembra del tutto improprio l’aggettivo “civico” riferito al diritto di accesso, poiché esso non è affatto subordinato allo status civitatis del richiedente, ma spetta “a chiunque”, non solo perché espressione della libertà d’informazione e del principio generale di trasparenza, ma anche sul presupposto che lo straniero, al pari del cittadino, ben può perseguire la lotta alla corruzione e partecipare, nonché stimolare, il dibattito pubblico in favore dell’efficacia, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione. in secondo luogo, si osservi una peculiarità della disposizione sull’accesso generalizzato: spende e dedica larga parte dei suoi termini per definire gli scopi piuttosto che i contenuti del diritto. una siffatta formulazione, come già detto, si presta a letture che possono contraddire il principio generale di trasparenza, figurando l’elenco degli obiettivi d’interesse pubblico come limiti all’esercizio del diritto. in altre parole, il rischio sta nel fatto che l’amministrazione destinataria dell’istanza di accesso civico, e/o il giudice chiamato a risolvere un eventuale contenzioso, possano ritenere che la domanda debba essere respinta poiché la conoscenza dei documenti richiesti non possa dirsi utile ai fini del dibattito pubblico, né volta a realizzare un controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali o sull’utilizzo delle risorse pubbliche. la suddetta interpretazione è errata poiché stimare la capacità dell’accesso di perseguire un certo traguardo normativo implica un’indagine da parte dell’interprete anche sull’interesse individuale dell’istante, al fine di saggiarne la corrispondenza agli scopi d’interesse pubblico sanciti dalle norme. in senso contrario, potrebbe dirsi che l’utilità pubblica della conoscenza di un certo documento amministrativo è un fatto oggettivo che non ha nulla a che vedere con l’utilizzo che ne farà l’istante. Così facendo, tuttavia, l’amministrazione si sostituisce al privato nella valutazione dei dati e delle notizie che sono interessanti per lui e per gli altri, frustrando la sua libertà d’essere informato. Sulla base di queste osservazioni, dovrebbe quindi escludersi “qualsiasi” indagine conoscitiva dell’amministrazione, perché il principio di trasparenza, lo si ripete, concepisce la conoscenza come un bene giuridico già di per sé meritevole di tutela, anche quando quest’ultimo consiste nella soddisfazione di una semplice curiosità, essendo sufficiente un “interesse terenziano” alla stregua del brocardo latino: homo sum humani nihil a me alienum puto (purché, ovviamente, l’accesso generalizzato non ricada in uno dei casi tassativamente previsti dall’art. 5-bis) (12). (12) in evidente contrapposizione a tale ricostruzione del concetto di trasparenza amministrativa, le linee Guida AnAC (del. n. 1309/2016, All. 5) e la circolare n. 2/2017 del Ministero per la Semplifi RASSEGnA AVVoCATuRA 216 dEllo STATo - n. 2/2018 Altrimenti opinando dovrebbe rimettersi alla pubblica amministrazione il compito di verificare l’esistenza di un interesse soggettivo precipuamente volto al perseguimento di una finalità pubblica, operando un giudizio presuntivo con deduzioni tratte da elementi esclusivamente indiziari, quali ad esempio la professione giornalistica o la vita politica dell’istante, nemmeno conosciute per via della motivazione (non obbligatoria), ma solo per la notorietà del personaggio (13). una simile ricostruzione farebbe infatti riemergere “in concreto” l’obbligo di motivazionale alla stregua del vecchio modello della l. n. 241/1990, cazione hanno chiarito che deve ritenersi inammissibile la richiesta di accesso “manifestamente irragionevole”. Si noti che la valutazione della manifesta irragionevolezza dell’istanza di accesso implica un’indagine e un giudizio di rilevanza dell’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare. in questo senso, l’accesso generalizzato sarebbe sostanzialmente sottoposto ad un sindacato di “minima meritevolezza della tutela” dell’interesse individuale dell’istante, in contrasto col principio pubblicistico di trasparenza. una simile conclusione, peraltro, finisce per integrare in modo a-tecnico la lista delle esclusioni previste dall’art. 5-bis e, in considerazione dell’innata reticenza di molte amministrazioni dello Stato a dar luogo all’accesso, rischia di porsi come serio ostacolo alla “hard road from reform to implementation”. Ad avviso di chi scrive, la valutazione dell’interesse individuale non può essere operata in assenza di strumenti idonei ad eseguirla, pertanto sarebbe opportuno che l’amministrazione, prima di negare l’accesso per manifesta irragionevolezza, inviti per iscritto il richiedente a rappresentare il proprio interesse mediante una motivazione quantomeno facoltativa, sebbene, così facendo, il sistema si traduce in un modello di trasparenza non dissimile da quello “condizionato” dell’accesso documentale. (13) l’Autorità nazionale Anticorruzione, con delibera 28 dicembre 2016 n. 1309, ha chiarito che l’istanza di accesso civico presentata personalmente o inviata per via telematica (fax, posta elettronica o certificata) è valida solo se sottoscritta e presentata insieme alla copia del documento identità o firmata digitalmente ai sensi dell’art. 65, co. 1, lett. c) del CAd. l’amministrazione pertanto è sempre capace di conoscere l’identità dell’istante. difatti, l’identificazione, anche se non è necessaria ai fini dell’esercizio del diritto, viene valutata come indispensabile per la corretta gestione delle domande. in ogni caso, la sanzione che segue alla violazione di un c.d. “requisito di contenuto-forma” va ponderata secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza all’utilità specifica che quest’ultimo assume ai fini dell’esercizio del diritto per il quale il requisito medesimo è posto. Considerato che il diritto di accesso civico spetta “a chiunque”, e che inoltre l’invio telematico del documento richiesto può essere sempre fatto al medesimo indirizzo di posta elettronica dal quale è pervenuta l’istanza, non si vede come un’esigenza meramente interna dell’amministrazione possa frustrare in toto l’esercizio del diritto in questione, per motivi non riconducibili all’assenza dei suoi presupposti costitutivi. Pertanto, tutte le volte che all’accesso possa darsi luogo senza aggravio per l’attività amministrativa, nonostante la mancata identificazione dell’istante, pare ragionevole l’accoglimento immediato dell’istanza. Va comunque detto che la necessità di sapere l’identità dell’istante è utile alla verifica dei soggetti che realizzano le c.d. “richieste di accesso massive”. Con riferimento a quest’ultime, le linee Guida AnAC (cit. All. 5) e la circolare n. 2/2017 del Ministero per la Semplificazione della Funzione Pubblica hanno precisato che l’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso generalizzato anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti, a meno che, nel rispetto di un criterio di stretta interpretazione, non si ritenga che la richiesta importi un carico di lavoro che richiede un’attività di elaborazione e un arco di tempo tale da interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione, in considerazione altresì della “rilevanza dell’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare”. Per tal via, i casi di richieste di accesso aventi natura massiva finiscono per integrare, in senso a-tecnico, la lista dei limiti previsti dall’art. 5-bis. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 217 che pur non essendo requisito formale della domanda di accesso civico, sarebbe comunque una necessità sostanziale al fine di chiarire l’utilità pubblicistica dell’accesso all’informazione richiesta. in tal senso, osservando l’altra faccia della medaglia, anche l'assenza dell’obbligo di motivazione spiega l’irrilevanza qualitativa dell’interesse individuale ai fini dell’esercizio dell’accesso civico. infine, a sostegno delle argomentazioni suesposte, va sottolineato che porsi nell’ottica limitante dei canoni di scopo rischia di condurre all’ulteriore empasse logico dovuto al fatto che per lo straniero alcuni valori costituzionali perseguiti mediante la trasparenza amministrativa, come ad esempio il principio di democrazia partecipativa, possono avere una minore rilevanza. di conseguenza il riconoscimento del diritto di accesso generalizzato dovrebbe proporzionalmente ridursi per lo straniero rispetto che per il cittadino, in evidente contrasto al principio di non discriminazione in ordine alla libertà d’informazione. 5. La situazione post Foia: la “profondità” della trasparenza condizionata. il problema dell’indagine sull’utilità pubblicistica della conoscenza dei documenti amministrativi non si pone per le richieste di accesso semplice, poiché, come visto, l’interesse pubblico alla conoscenza diffusa dell’atto coperto da un dovere di pubblicazione è già pre-valutato dal legislatore, con giudizio insindacabile da parte dell’amministrazione. Ciò conferma che non v’è sovrapposizione tra le due forme di accesso civico sul versante dell’ambito oggettivo di applicazione. Purtroppo, altrettanto non può dirsi con riferimento ai medesimi rapporti tra l’accesso generalizzato e quello documentale. non v’è chi non veda, infatti, che il documento amministrativo “concernente un’attività di pubblico interesse” ai sensi della l. n. 241/1990 (14) è sempre, contestualmente, un “documento detenuto dalla pubblica amministrazione, ulteriore rispetto a quelli oggetto di pubblicazione” e quindi potenzialmente ostensibile ai sensi dell’art. 5, co. 2, del d.lgs. 33/2013. Peraltro, anche dal raffronto della disciplina prevista dai due istituti, emerge che entrambi gli strumenti di accesso abbracciano e condividono larga parte della sfera oggettiva di applicazione. nello specifico, l’art. 5 bis, co. 3, del decreto trasparenza, oltre ai casi di diniego previsti dai commi 1 e 2 (c.d. “limiti” o “eccezioni relative o qualifi- (14) l’art. 22, co. 1, lett. d), definisce il documento amministrativo: “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. RASSEGnA AVVoCATuRA 218 dEllo STATo - n. 2/2018 cate”), sancisce che l’accesso generalizzato “è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990” (c.d. “eccezioni assolute”). Sulla scorta di queste premesse può essere desunta la seguente conclusione: il diritto di accesso civico generalizzato ha una formulazione positiva dell’ambito oggettivo più ampia rispetto all’accesso documentale, ma al contempo, in negativo, presenta un maggior numero di limiti ed esclusioni. dato atto, quindi, che tutti i casi sussumibili all’accesso documentale rientrano potenzialmente nell’accesso generalizzato, ma non viceversa (15), in senso figurato, la sfera di applicazione di quest’ultimo si rappresenta come un cerchio concentrico di dimensioni più grandi che interamente comprende ed assorbe quello più piccolo dell’accesso documentale. Tuttavia, a scanso di equivoci, ciò non significa che nelle ipotesi di sovrapposizione normativa la lex posterior derogat priori, poiché, come visto, ai sensi dell’art. 5 bis, co. 3, l’accesso generalizzato è altresì escluso nei casi in cui, in via generale, le leggi vigenti subordinano l’accesso al rispetto di “specifiche condizioni e modalità”. Per tal via, considerato che la legge n. 241/1990 richiede quale apposite condizioni e modalità per l’esercizio dell’accesso la sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, nonché un’istanza debitamente motivata, si deduce che ogni qual volta si presenta una fattispecie sussumibile all’accesso documentale è ancora operante il modello condizionato a tutela di interessi individuali, sebbene a scapito della trasparenza amministrativa. da ultimo, la ricostruzione sopra descritta è stata avallata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (16), la quale ha chiarito che “anche dopo l'entrata in vigore delle norme che disciplinano l'accesso civico generalizzato, permane un settore "a limitata accessibilità", nel quale continuano ad applicarsi le più rigorose norme della l. 241/1990. in altri termini, se è vero che ormai è legislativamente consentito a chiunque di conoscere ogni tipo di documento o di dato detenuto da una pubblica amministrazione (oltre a quelli acquisibili dal sito web dell'ente, in quanto obbligatoriamente pubblicabili), nello stesso tempo, qualora la tipologia di dato o di documento non possa essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati, l'ostensione di quel dato e documento sarà resa possibile solo in favore di una ristretta cerchia di interessati (tranne nelle ipotesi in cui è legislativamente escluso l'ac- (15) All’inverso, infatti, i dati e documenti suscettibili di accesso generalizzato non rientrano sempre nella definizione normativa di documento amministrativo ai sensi della l. n. 241/1990. (16) Sentenza CdS, sez. Vi, 31 gennaio 2018, n. 651. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 219 cesso documentale) secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla l. 241/1990”. d’altronde, diversamente opinando la parità di rango gerarchico e di portata generale dell’art. 5, co. 2 del d.lgs. n. 33/2013 e degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 avrebbe suggerito l’applicazione del criterio cronologico di successione delle leggi nel tempo e la conseguente abrogazione in toto delle norme sull’accesso documentale in quanto più risalenti. in buona sostanza, la scelta del legislatore è stata quella di permettere l'accesso generalizzato ai fini di un controllo diffuso anche in assenza di un interesse manifesto dell’istante. Poi, però, nel tentativo di tutelare gli interessi pubblici e privati che potessero essere messi in pericolo da forme di accesso indiscriminato ed indistinto, ha mitigato il neonato diritto con gli ampi limiti previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 5-bis e, per altro verso, ha mantenuto in vita l'istituto dell'accesso agli atti ex l. n. 241/1990. in tal modo, sono rimasti fermi i rigorosi presupposti dell'ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell'interesse in capo al richiedente, sia sotto il profilo dell’inammissibilità delle richieste preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione. Così tracciato - nel segno della prevalenza del modello condizionato - il perimetro esterno dei due strumenti di accesso, se si considerano anche i confini interni relativi alle esclusioni e ai limiti previsti dalla legge, in effetti, resta ben poco del diritto civico generalizzato. Allo scopo di acquisire maggiore certezza sui contenuti di quest’ultimi, l’Autorità nazionale Anticorruzione ha adottato, su delega normativa, la delibera 28 dicembre 2016, n. 1039, avente ad oggetto le “Linee Guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013”. in particolare, vengono distinte due tipologie di eccezioni all’accesso generalizzato: le eccezioni assolute e le eccezioni relative. le prime (anche dette: “esclusioni”) operano grazie al richiamo generale stabilito dall’art. 5 bis, comma 3, e si caratterizzano perché trovano fondamento in una norma di legge che esclude in toto l’accesso al fine di salvaguardare, in via generale e preventiva, interessi prioritari o fondamentali, oppure condiziona lo stesso a determinati presupposti, limiti e modalità di esercizio, implicando l’applicazione della disciplina richiamata in luogo di quella dell’accesso generalizzato (17). (17) Solo la fonte primaria può giustificare una frustrazione del diritto di conoscere. Pertanto, a titolo esemplificativo, sono riconducibili ad eccezioni assolute: il segreto statistico disciplinato d.lgs. del 6 settembre 1989 n. 322 all’art. 9; il Segreto militare disciplinato dal R.d. 11 luglio 1941 n. 161; il segreto di Stato previsto dalla l. n. 124/2007; il segreto bancario di cui dall’art. 7 del d.lgs. 385/1993; il RASSEGnA AVVoCATuRA 220 dEllo STATo - n. 2/2018 le eccezioni relative (o “limiti”), invece, sono quelle in cui non opera una aprioristica esclusione normativa del diritto civico generalizzato, ma quest’ultimo risulta potenzialmente consentito, in tutto o in parte, a seguito dell’esito positivo di un’attività valutativa e discrezionale dell’autorità pubblica consistente nel bilanciamento in concreto dell’interesse conoscitivo dell’istante con gli interessi pubblici e privati rispettivamente previsti e tutelati dai commi 1 e 2 dell’art. 5 bis (18). Con riguardo a quest’ultimi, occorre precisare che l’accesso deve essere del tutto rifiutato qualora il diniego sia necessario per evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela degli interessi elencati. Ciò significa, secondo le linee Guida, che la pubblica amministrazione non può negare l’accesso limitandosi a prefigurare un rischio meramente generico ed astratto, ma è tenuta a verificare, in concreto, che la dislocure del documento richiesto è idonea a determinare causalmente un pregiudizio, non soltanto possibile, bensì altamente probabile. in ogni caso, in luogo del rifiuto vanno sempre preferite - ove possibili - le soluzioni alternative dell’accesso parziale, dell’accesso differito e dell’accesso con oscuramento delle parti sensibili, nonché, nei casi dubbi, valorizzare il principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo. inoltre, a garanzia del rispetto dell’iter di giudizio sopra descritto, l’autorità pubblica ha l’obbligo di motivare puntualmente le ragioni del diniego o della riduzione dell'accesso in forme alternative di ostensione. Tuttavia, l’attuale regime del procedimento di accesso prefigura la possibilità di un rifiuto non motivato. in linea di principio, infatti, sebbene l’amministrazione è tenuta ad adottare un provvedimento espresso e motivato entro il termine di 30 giorni stabilito per la conclusione del procedimento, l’inosservanza di tale termine, seppur fonte di responsabilità dirigenziale, produce tout court l’effetto di silenzio- rigetto. l’inadempimento dovuto all’inerzia dell’amministrazione consente all’istante l’attivazione della procedura di riesame o della tutela giurisdizionale. Ciononostante, sul piano dell’effettività del diritto civico, l’assenza di un segreto scientifico e il segreto industriale di cui all’art. 623 del c.p.; il segreto sul contenuto della corrispondenza previsto dall’art. 616 ss. del codice penale; il segreto professionale, secondo le disposizioni del codice di procedura penale; il segreto d’ufficio come disciplinato dall’art. 15 del d.p.r. n. 3/1957 ed altresì il segreto istruttorio in sede penale, disciplinato ai sensi dell’art. 329 c.p.p. (18) Si fa riferimento ai seguenti interessi pubblici: “a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive”; ed altresì ai seguenti interessi privati: “a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali”. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 221 interesse qualificato, legato ad esigenze difensive concrete ed attuali dell’istante, comporta che quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, secondo una logica di compromesso tra spese e benefici, si rifiuterà di sostenere il costo di attivazione dei rimedi per soddisfare la sua mera curiosità conoscitiva. la motivazione è quindi importante anche per evitare che l’effetto di silenzio- rifiuto finisca per frustrare ed abbattere quel sentimento partecipativo che aveva determinato il tentativo di accesso del cittadino. Per le stesse ragioni, mutatis mutandis, una motivazione, seppur sintetica, sarebbe nondimeno opportuna nei casi in cui l’accoglimento dell’istanza di accesso avvenga nonostante le opposizioni di soggetti controinteressati manifestanti situazioni individuali contrapposte all’interesse conoscitivo dell’istante. l’obbligo motivazionale si configura quindi come una garanzia generale della correttezza, imparzialità e lealtà del sindacato amministrativo, rivestendo un ruolo che non è possibile ignorare finanche in quelle ipotesi in cui la spiegazione delle ragioni a sostegno del rifiuto possa in qualche modo disvelare il contenuto del documento richiesto (19). Tornando alla tecnica del bilanciamento d’interessi, l’AnAC ha inteso trattare in modo ampio l’argomento, partendo dalla definizione della distinzione tra l’accesso generalizzato e l’accesso agli atti ex l. n. 241/1990 (par. 2.3). in particolare, confermando che i due istituti continuano a sussistere in parallelo operando sulla base di norme e presupposti diversi, ha sottolineato che “tenere ben distinte le due fattispecie è essenziale per calibrare i diversi interessi in gioco allorché si renda necessario un bilanciamento caso per caso tra tali interessi. Tale bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso 241 dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti) ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni”. il postulato della minore capacità esplorativa dell’accesso generalizzato, in grado di osservare la superficie, ma inidoneo a scendere in profondità, attribuisce un giudizio di minor valore al diritto di accesso civico, generando (19) A titolo esemplificativo, si pensi al caso in cui un cittadino chieda di accedere all’autodichiarazione di un terzo che, al fine di ricoprire una certa carica dirigenziale pubblica, aveva falsamente affermato di non possedere condanne e carichi penali pendenti. in tal caso, la negazione dell’accesso per motivi legati a pregiudizi concreti ed altamente probabili ai danni del controinteressato potrebbe palesare l’informazione protetta. Per tal motivo, secondo le indicazioni delle linee Guida Anac, piuttosto che omettere la motivazione, l’amministrazione dovrebbe indicare, seppur genericamente, la categoria d’interesse pubblico o privato, la cui tutela è stata ritenuta più rilevante dell’interesse conoscitivo dell’istante. RASSEGnA AVVoCATuRA 222 dEllo STATo - n. 2/2018 confusione pratica, ma confermando, in definitiva, la prevalenza del modello condizionato. il rischio di un tale assunto è quello di dare origine ad un convincimento diffuso sulla secondarietà del diritto civico rispetto a quello documentale, generando una sorta di graduatoria tra diritti in cui l’uno è debole e l’altro più forte. Si osserva, comunque, che l’esigenza di ordinare i due diritti secondo una scala di valore sorge soltanto quando la fattispecie concreta ricade in una delle eccezioni relative previste dalla legge. Ciò sul presupposto che il giudizio di ponderazione impone che la compressione di un interesse di particolare rilievo pubblico o privato non possa giustificarsi in vista della soddisfazione di una mera curiosità, ma richiede che vi sia una situazione giuridicamente rilevante da tutelare, a tal uopo rappresentata mediante apposita motivazione. Pertanto, il pericolo che si prefigura non è tanto legato alle conseguenze del riconoscimento della diversa intensità e misura dei due tipi di accesso, quanto piuttosto è quello di avere scarsa contezza dell’estensione delle eccezioni relative che giustificano l’attività di ponderazione e il favor per il modello condizionato. l’ampiezza dei limiti, infatti, è tutt’ora rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione, con la conseguenza che l’interpretazione dell’autorità pubblica è in grado di accrescere gli ambiti non aperti alla trasparenza. la tendenza verso un siffatto orientamento, seppur in modo del tutto giustificato, si evince in particolare con riferimento all’eccezione relativa prevista per la protezione dei dati personali, comune anche alla disciplina della l. n. 241/1990. l’accesso generalizzato sarebbe in linea teorica consentito, previa ponderazione tra l’interesse alla trasparenza e quello alla riservatezza, nel rispetto delle disposizioni del d.lgs. n. 196/2003 (Codice della Privacy). Ai sensi dell’art. 11 del Codice, i dati personali che sono stati raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi possono essere oggetto di altre operazioni di trattamento, purché in modo compatibile con lo scopo originario. Stante una tale condizione, appare evidente che la comunicazione di dati personali a chi ne ha fatto richiesta non può avvenire senza verificare preventivamente la compatibilità tra l’ulteriore trattamento che farà il richiedente e la finalità originaria della raccolta del dato. Ciò posto, mentre nel caso di accesso documentale la motivazione spiega l’interesse e le finalità difensive sottese all’accesso, nell’ipotesi di accesso generalizzato l’amministrazione è priva di criteri valutativi idonei ad eseguire l’indagine sul plausibile trattamento che verrà fatto del dato personale. in tali casi sembra opportuno prediligere il diniego in funzione precauzionale onde evitare che il richiedente, una volta ottenuta l’ostensione, possa diffondere i lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 223 dati personali dei terzi in modo arbitrario ed illegittimo, recando grave nocumento a quest’ultimi. Quanto sin ora descritto, in conclusione, fa emergere che l’evoluzione normativa sul piano degli strumenti di accesso non ha dato luogo a significative trasformazioni del sistema sulla trasparenza amministrativa, che resta prevalentemente confinato ad una dimensione proattiva legata agli obblighi di pubblicazione delle amministrazioni e reattiva per rimediare all’inottemperanza di quest’ultimi. Per quanto riguarda, invece, il controllo attivo e diffuso sulla legalità dell’azione amministrativa e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, le capacità esplorative riconosciute ai singoli restano superficiali e dipendenti in larga misura dalla discrezionalità amministrativa, facendo salva solamente la trasparenza condizionata alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive. RASSEGnA AVVoCATuRA 224 dEllo STATo - n. 2/2018 Attribuazione di un’opera d’arte, garanzia e rimedi nell’ordinamento giuridico italiano Thomas Jardin* SoMMario: 1. Garanzia della paternità: il contenuto della garanzia, la sua portata contrattuale e i diversi rimedi - 2. Come si opera la scelta fra i differenti rimedi? - 3. allegati: 1. riassunto delle caratteristiche di ogni azione; 2. Vantaggi e svantaggi di ogni azione; 3. Scelta tra i diversi rimedi. 1. Garanzia della paternità: il contenuto della garanzia, la sua portata contrattuale e i diversi rimedi. la garanzia della paternità di un’opera fa riferimento ai documenti forniti dal venditore all’acquirente che attestano dell’attribuzione probabile dell’opera oggetto della vendita. in questo ambito, si deve menzionare l’articolo 64 Codice dei beni culturali che stabilisce l’obbligo per il venditore professionale di consegnare all’acquirente la documentazione che attesta l’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza dell’opera venduta: «Chiunque esercita l'attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d'antichità o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l'obbligo di consegnare all'acquirente la documentazione che ne attesti l'autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime; ovvero, in mancanza, di rilasciare, con le modalità previste dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull'autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura dell'opera o dell'oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi». in appresso vengono esposti il contenuto della garanzia [a)], la sua portata contrattuale [b)] e i diversi rimedi [c)]. a) Come si configura? l’attribuzione di un’opera d’arte ad un certo artista costituisce un esercizio complesso poiché gli elementi di cui tenere conto sono molti: le analisi sono svolte da specialisti di diversi settori, le opinioni di diversi periti si confrontano e infine perché l’attribuzione dell’opera ha una grande influenza sul suo valore economico. il certificato d’autenticità e la garanzia sono costituiti di diversi elementi (*) licencié ès droit à l’université Paris ii Panthéon-Assas. lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 225 il cui scopo è di affermare con il più alto grado di probabilità possibile la paternità dell’opera. innanzitutto, il certificato e la garanzia sono basati sulla documentazione fornita dalla storia dell’arte, quindi rilevano i documenti dell’epoca che contengono informazioni sull’opera. Poi, l’attribuibilità dell’opera ad un certo autore può essere confermata da analisi scientifiche, senza poter raggiungere una attribuibilità certa. Questi elementi permettono di negare con certezza la paternità di un’opera ma non permettono di accertare la paternità di un’opera. infine, se l’opera d’arte è firmata, si può verificare l’autenticità della sottoscrizione con una perizia grafica, se esistono delle scritture comparative attribuite all’artista in maniera certa. la garanzia della paternità si configura differentemente per le opere anteriori alla Restaurazione da quelle posteriori alla Restaurazione. la differenza è che le prime normalmente non sono firmate ma sono più difficili da contraffare mentre le seconde sono spesso firmate ma anche più facilmente imitate quindi la loro garanzia di paternità deve essere più completa. L’attribuzione delle opere anteriori alla restaurazione. la caratteristica principale delle opere d’arte anteriori alla Restaurazione è che non sono normalmente sottoscritte quindi la loro attribuzione deve fondarsi su altri elementi. Per queste opere, l’attribuzione è fondata principalmente su dei criteri forniti dalla scienza dell’arte chiamati i “dati morelliani” ma lo sviluppo delle tecniche scientifiche fornisce anche dei criteri accessori per completare l’attribuzione. i dati morelliani. Giovanni Morelli, un eminente storico dell’arte italiano, ha sviluppato un metodo di analisi dei dati stilistici delle opere d’arte, fondato sull’applicazione del rigore della scienza all’attribuzione delle opere d’arte. Tale metodo è diventato il criterio principale dell’attribuzione delle opere d’arte create fino alla Restaurazione. l’idea di Giovanni Morelli è di analizzare gli elementi secondari delle opere che secondo lui erano ripetuti dal pittore in maniera meccanica, erano degli stereotipi della mano del pittore. Questo carattere di stereotipo è molto importante nella teoria di Morelli dato che gli elementi principali possono essere facilmente copiati da altri artisti mentre i dettagli non ricevono la stessa attenzione da parte degli imitatori. Berenson, ispirato da Morelli, precisò i dati importanti nell’analisi morelliana: “meglio ci servono: le orecchie, le mani, le pieghe, il paesaggio. Meno bene: i capelli, gli occhi, il naso, la bocca....”. Giovanni Morelli aveva distinto tre categorie di elementi da analizzare per attribuire un’opera d’arte a un pittore: la categoria principale era costituita dai motivi sigla che sono i dettagli ripetuti dal pittore; la seconda categoria era costituita dalle pose, atteggiamenti, forme del viso, andamento dei panneggi; la terza categoria era costituita dal ripetere dei motivi sigla. lo storico dell’arte analizza anche fonti storiche del periodo stimato dell’opera per cercare delle informazioni che sostengano la sua ipotesi di attribuzione. nel caso in cui la comparazione dei risultati dell’analisi dei dati morelliani e dell’analisi delle fonti storiche non è sufficiente per formare un’ipotesi probabile sulla paternità dell’opera d’arte, lo storico d’arte può fare ricorso alle analisi scientifiche. RASSEGnA AVVoCATuRA 226 dEllo STATo - n. 2/2018 Le tecniche scientifiche. lo sviluppo delle scienze ha permesso di sviluppare dei mezzi tecnici per confermare la probabilità di un’attribuzione o, al contrario, per negarla. in seguito, vengono presentate diverse tecniche scientifiche che possono essere usate per completare l’analisi dei dati morelliani e delle fonti storiche. le due prime tecniche scientifiche riguardano l’analisi dell’opera al livello microscopico. il primo metodo, chiamato microfotografia digitale, permette di dare informazioni sulle eventuali manomissioni, sull’invecchiamento delle superfici, sulla cronologia degli strati pittorici nonché sui pigmenti usati. Tale tecnica si rivela molto importante nella ricerca di falsificazioni di firme o di data. il secondo, chiamato, microscopia digitale, è una tecnica che permette di dare informazioni sulla stratificazione dei livelli pittorici, sull’invecchiamento del colore, sulle eventuali falsificazioni nonché sui pigmenti usati. le tecniche scientifiche basate sull’uso di diverse luci sono molto utili per analizzare i diversi livelli pittorici. Per esempio, la lampada di Wood, tecnica basata sul fatto che la reazione agli uV di ogni materiale è differente, produce una luce dello spettro invisibile per distinguere ritocchi, vernici ossidate, incollaggi e manomissioni. un metodo similare è la riflettografia infrarossa che usa una luce dello spettro infrarosso per distinguere dei disegni preparatori o degli strati pittorici diversi. due tecniche usano una luce classica ma variano l’angolo di emissione per ottenere informazioni diverse. nel caso della fotografia a luce radente, la luce è emessa con un angolo di 30° per analizzare la superficie del dipinto e distinguere eventuali sollevamenti, cadute o distacchi. nel caso della fotografia a luce trasmessa, la luce è emessa dietro il dipinto per mostrare disegni preparatori, la stratificazione del dipinto o lo stato di conservazione. l’analisi chimica del pigmento è una tecnica che porta informazioni sul tipo di pigmento usato per l’esecuzione dell’opera, davvero poco utile alla scoperta di indizi di una eventuale falsificazione. Tale tecnica, in quanto destruttura, è da utilizzare solo in casi di necessità e di assenza di strumenti alternativi. Alcune tecniche hanno per scopo di datare l’opera come la datazione al Radiocarbonio e la dendrocronologia. la famosa datazione al Radiocarbonio è un metodo di datazione di oggetti antichi che permette di datare dei materiali organici composti da carbonio come capelli, carta, avorio, legno, stoffe ecc. la dendrocronologia è un metodo di datazione assoluta di un pezzo di legno che utilizza il luogo di crescita dell’albero, la datazione è stata effettuata contando gli anelli di un tronco d’albero. l’inconveniente di questo metodo è che si deve conoscere il luogo di crescita dell’albero e che non tutti gli alberi sviluppano gli anelli. Tutti questi elementi, i dati morelliani, le fonti storiche e le tecniche scientifiche sono usati per attribuire le opere anteriori ma anche quelle posteriori alla Restaurazione. in quest’ultimo caso, tali elementi vengono completati da una perizia grafica. L’attribuzione delle opere posteriori alla restaurazione. dopo la Restaurazione, i pittori firmano le loro opere, quindi non si pone più il problema dell’attribuzione dell’opera ma si pone il problema della contraffazione dell’opera. le opere del novecento sono sempre suscettibili di contraffazione per due ragioni principali: prima perché i supporti invecchiati sono facilmente reperibili e poi perché i colori usati per l’opera originale sono dei colori prodotti industrialmente e quindi ancora disponibili oggi. l’autentificazione delle opere del novecento è basata sulle stesse tecniche di autentificazione delle opere posteriori alla Restaurazione. oltre i criteri dell’attribuzione forniti dalla storia dell’arte, lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 227 si può fare ricorso alla perizia grafica per individuare l’autore di un’opera creata dopo la Restaurazione. la perizia grafica è un metodo di analisi della scrittura il cui scopo è di individuare degli elementi grafici per accertare l’autenticità di una firma. il perito grafico usa gli elementi principali della grafia come la capacità grafica, il movimento, la velocità, la conduzione del grafismo, la continuità, i gesti ripetuti, le qualità della traccia rimasta sul supporto grafico, il modo di disporre il nome ed il cognome sul foglio, i piccoli segni, la pressione o ancora i rapporti proporzionali. Si possono distinguere due metodi differenti, il primo è il metodo calligrafico, è basato sulla forma della firma, mentre il secondo, cosiddetto metodo grafometrico è basato sui rapporti dimensionali. Per questo metodo di attribuzione delle opere d’arte, ci serve delle scritture comparative fornite dalle parti. il risultato dell’analisi grafica è un dato di attribuibilità che varia tra certezza e impossibilità di attribuire l’opera. l’ultimo caso particolare è quello delle opere attribuite ad artisti viventi. Prima, l’opinione dell’artista svolgeva un ruolo importantissimo nell’attribuzione delle opere d’arte come lo dimostra bene il famoso giudizio che ha opposto Giorgio de Chirico ad un gallerista. la valutazione dell’opinione dell’autore è cambiata con l’articolo 9 comma 2 legge 1062/71 detta legge Pieraccini in quanto l’autore è sentito solo in qualità di testimone, la sua opinione non ha mai valore assoluto. «Nei casi di opere d’arte moderna e contemporanea il giudice è tenuto altresì ad assumere come testimone l’autore a cui l’opera d’arte sia attribuita o di cui l’opera stessa rechi la firma». b) Come si intende? la caratteristica principale del diritto dei beni culturali è che in questo ambito la certezza non si raggiunge mai, ci sono soltanto delle opinioni diverse che possono essere valutate. detta valutazione dipende dal suo autore, dal perito d’arte che ha espresso questa opinione. Quindi, il diritto dei beni culturali è un ambito in cui si oppongono diverse opinioni senza potere affermare con certezza la paternità di un’opera. la conseguenza sulla garanzia è che tale garanzia non è mai assoluta perché la paternità stessa dell’opera non è mai assoluta. il proprietario può acquisire l’opera con una documentazione importante, molte ricerche storiche e scientifiche ma la paternità dell’opera potrà sempre essere contestata da un altro perito d’arte che si basa su fonti storiche e analisi scientifiche nuove. il valore della garanzia corrisponde quindi alla probabilità dell’attribuzione che varia tra attribuzione improbabile ed attribuzione altamente probabile senza raggiungere mai la certezza. la garanzia è sempre relativa. c) Quali rimedi comporta? la garanzia della paternità comporta tre rimedi diversi che verranno esposti in seguito: l’annullamento per dolo [1)], l’annullamento per errore per il quale si devono distinguere i casi di errore unilaterale [2)] e di errore comune [3)] e la risoluzione per aliud pro alio [4)]. RASSEGnA AVVoCATuRA 228 dEllo STATo - n. 2/2018 1) annullamento per dolo. l’azione di annullamento per dolo è prevista dall’articolo 1439 Codice civile che stabilisce quanto segue: «il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato. Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio». il dolo può essere causato da raggiri, artifici o menzogne che sono stati determinanti del consenso del contraente. Si possono distinguere due ipotesi di dolo: il caso di condotta attiva da parte del contraente o di terzi, si tratta di dolo commissivo; il caso di condotta passiva da parte del contraente o di terzi, si tratta di dolo omissivo. Si deve notare che per caratterizzare il dolo omissivo, non è sufficiente la prova del silenzio o della reticenza, si deve provare il disegno ingannevole dell’altro contraente. nel caso in cui la condotta del contraente o di terzi non è stata determinante del consenso, si parla di dolo incidente previsto ex articolo 1440 Codice Civile che prevede quanto segue: «Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni». nel caso di annullamento per dolo, il contraente può anche chiedere il risarcimento del danno che corrisponde al solo interesse negativo, costituito dalla restituzione del prezzo pagato per il bene e dalle spese effettuate. 2) annullamento per errore riconoscibile. l’azione di annullamento per errore è prevista ex articolo 1428 Codice Civile che stabilisce quanto segue: «L'errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall'altro contraente». l’essenzialità dell’errore è definita dall’articolo 1429 Codice Civile mentre la riconoscibilità dell’errore è definita dall’articolo 1431 Codice Civile. «L'errore è essenziale: 1) quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto; 2) quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso; 3) quando cade sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che l'una o le altre siano state determinanti del consenso; 4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del contratto». «L'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 229 alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo». nell’ambito del diritto dei beni culturali, l’essenzialità dell’errore riguarda due ipotesi, la prima è quella di un’opera contraffatta mentre la seconda è quella di un’opera di un artista differente. l’errore può essere individuale o bilaterale come sarà spiegato al punto 3). l’errore individuale riguarda il caso in cui il venditore ovvero l’acquirente si sbaglia su un elemento essenziale del contratto. in questo caso viene applicato il principio dell’affidamento. Quindi, la parte caduta in errore potrà ottenere l’annullamento per errore del contratto se l’altro contraente non dimostri che la parte che non ha errato, usando la diligenza del buon padre di famiglia, avrebbe potuto riconoscere l’errore. nel caso di annullamento per errore riconoscibile, il contraente può anche chiedere il risarcimento del danno corrispondente al solo interesse negativo, costituito dalla restituzione del prezzo pagato per il bene e dalle spese effettuate. 3) annullamento per errore comune. l’azione di annullamento per errore comune riguarda due ipotesi diverse, quella dell’errore bilaterale e quella dell’errore bilaterale asimmetrico. l’ipotesi di errore bilaterale riguarda il caso in cui entrambi le parti si sbagliano su un medesimo aspetto essenziale del contratto, per esempio le due parti si sbagliano sul bene oggetto del contratto di compravendita. in tale caso, il principio dell’affidamento non viene applicato perché ciascuno dei contraenti ha dato luogo all’invalidità del contratto indipendentemente dal comportamento dell’atro e quindi è sufficiente che l’errore sia essenziale per ottenere l’annullamento del contratto. Questo principio dell’annullabilità del contratto a prescindere della riconoscibilità dell’errore è stato affermato più volte dalla Corte di cassazione, uno esempio recente essendo la decisione n. 23996 emessa dalla Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione in data 12 ottobre 2017 che prevede quanto segue: «Nell’ipotesi di errore bilaterale, che ricorre quando esso sia comune a entrambe le parti, il contratto è annullabile a prescindere dall’esistenza del requisito della riconoscibilità, poiché in tal caso non è applicabile il principio dell’affidamento, avendo ciascuno dei contrenti dato causa all’invalidità del negozio». nello stesso senso, si vedano anche le decisioni della Corte di cassazione 5829/1979 e 26974/2011. l’ipotesi di errore bilaterale asimmetrico riguarda il caso in cui entrambi le parti si sbagliano, non sul medesimo aspetto del contratto ma su due diversi aspetti del contratto, per esempio una parte si sbaglia sul bene oggetto del contratto di compravendita mentre l’altra parte si sbaglia sulla natura del contratto. RASSEGnA AVVoCATuRA 230 dEllo STATo - n. 2/2018 in tale caso, non si tratta di un errore comune ma piuttosto di due errori diversi e quindi viene applicato il principio dell’affidamento e ciascuna delle parti può chiedere l’annullamento del contratto per errore se prova che il suo errore era essenziale e riconoscibile dall’altro contraente. 4) risoluzione per aliud pro alio. il principio aliud pro alio significa che il bene consegnato è completamente diverso da quello pattuito. Questo principio è stato precisato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 7630 emessa dalla Seconda Sezione Civile in data 31 maggio 2006: «È configurabile la consegna dell’aliud pro alio non solo quando il bene sia totalmente difforme da quello dovuto e tale diversità sia di importanza fondamentale e determinante nella economia del contratto, ma anche quando la cosa appartenga ad un genere del tutto diverso dal bene oggetto della compravendita o si presenti priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente». nel caso di aliud pro alio, l’acquirente può esercitare l’azione di risoluzione per inadempimento di cui all’articolo 1453 Codice Civile: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l'adempimento; ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione. Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione». l’acquirente che esercita l’azione di risoluzione per aliud pro alio può anche chiedere il risarcimento dei danni. in questo caso, il danno corrisponde all’interesse positivo costituito dalla restituzione del prezzo pagato per il bene ma anche dal lucro cessante che si può definire come la differenza tra il prezzo pattuito e il valore reale delle opere d’arte. 2. Come si opera la scelta fra i differenti rimedi? la scelta fra i differenti rimedi si opera tenendo conto della garanzia prestata [a)], della situazione di fatto [b)] e dei termini di prescrizione [c)]. a) in relazione alla garanzia prestata. il primo criterio di scelta fra i diversi rimedi è relativo alla garanzia prestata. nel caso in cui l’opera d’arte è stata venduta con una garanzia o un certificato d’autenticità, quindi quando trova applicazione l’articolo 64 Codice dei beni culturali, l’acquirente può esercitare l’azione di risoluzione per aliud pro alio se il bene consegnato è diverso da quello pattuito. Tale ipotesi può lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 231 verificarsi nel caso in cui ci sia differenza d’autore, d’epoca nonché materiale. l’azione di risoluzione per aliud pro alio è favorevole per l’acquirente dal punto di vista dei requisiti dato che l’acquirente dovrà solo dimostrare la differenza tra il bene consegnato e il bene menzionato dalla garanzia o dal certificato d’autenticità. Tuttavia, lo svantaggio dell’azione di risoluzione per aliud pro alio è il suo termine di prescrizione di dieci anni che decorre dal giorno della consegna del bene. Se l’acquirente scopre che il bene consegnato è differente da quello pattuito più di dieci anni dopo la consegna del bene, l’azione di risoluzione per aliud pro alio sarà prescritta. b) in relazione alla situazione di fatto. un secondo criterio di scelta fra i diversi rimedi è relativo alla situazione di fatto. nel caso in cui l’opera d’arte è stata venduta senza certificato d’autenticità, quindi quando non trova ad applicarsi l’articolo 64 Codice dei beni culturali, l’acquirente può beneficiare allora di due rimedi possibili: l’azione di annullamento per errore o per dolo. una scelta deve essere operata fra i due rimedi, sussiste un’incompatibilità tra loro, perché basati su presupposti differenti. Quindi, l’acquirente non può esercitare l’azione di annullamento per errore in via principale e l’azione di annullamento per dolo in via subordinata. l’elemento di fatto che determina l’azione da esercitare è l’origine del vizio del consenso. Se il vizio del consenso è stato indotto dalla condotta del venditore che ha usato raggiri o menzogne, quindi se il vizio del consenso è esogeno, l’acquirente dovrà esercitare l’azione di annullamento per dolo. nel caso contrario, se l’acquirente si è sbagliato su un elemento del contratto senza che il venditore abbia avuto una influenza, quindi se il vizio del consenso è endogeno, l’acquirente dovrà esercitare l’azione di annullamento per errore. in ogni caso, l’acquirente può esercitare l’azione di risoluzione per aliud pro alio in via principale e l’azione di annullamento per errore o per dolo in via subordinata nell’ipotesi che il giudice non ritenga che l’autenticità dell’opera sia stata pattuita dalle parti. c) in relazione ai termini di prescrizione. la scelta fra i diversi rimedi si opera in relazione ai termini di prescrizione dato che le azioni di annullamento per errore o dolo e di risoluzione per aliud pro alio hanno dei termini di prescrizione diversi. l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni, e il termine decorre dalla scoperta dell’errore o del dolo, come prevede l’articolo 1442 Codice Civile: «L'azione di annullamento si prescrive in cinque anni. Quando l'annullabilità dipende da vizio del consenso o da incapacità legale, il termine decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto RASSEGnA AVVoCATuRA 232 dEllo STATo - n. 2/2018 l'errore o il dolo, è cessato lo stato d'interdizione o d'inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età. Negli altri casi il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto». l’azione di risoluzione per aliud pro alio si prescrive in 10 anni, e il termine decorre dal momento della consegna del bene, come affermato dalla sentenza n. 1889 emessa dalla Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione in data 25 gennaio 2018: «L'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, ai sensi dell'art. 1453 c.c., cui dà luogo la compravendita con consegna di "aliud pro alio", è, dunque, svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c., rimanendo piuttosto soggetta all'ordinario termine di prescrizione decennale». nello stesso senso, si vedano anche Cass. Sez. 1, 5 febbraio 2016, n. 2313; Cass. Sez. 2, 9 dicembre 2012, n. 19509; Cass. Sez. 2, 3 agosto 2000, n. 10188. Allegato 1 - Riassunto delle caratteristiche di ogni azione Annullamento per dolo [1439 Codice Civile] Annullamento per errore [1428 Codice Civile] Risoluzione per aliud pro alio [1453 Codice Civile] Requisiti • Condotta attiva (artifici, raggiri, menzogne) • Condotta passiva (silenzio o reticenza con un disegno ingannevole) determinante del consenso • Essenziale • Riconoscibile Bene consegnato diverso da quello pattuito: • periodo • artista • materialmente Prescrizione 5 anni dalla scoperta 5 anni dalla scoperta 10 anni dall’inadempimento incompatibilità dolo/Errore Errore/dolo Concorso possibile dolo/Risoluzione Erroere/Risoluzione • Risoluzione/dolo • Risoluzione/Errore origine Vizio esogneo Vizio endogeno inadempimneto da parte del contraente lEGiSlAzionE Ed ATTuAliTà 233 Allegato 2 - Vantaggi e svantaggi di ogni azione Allegato 3 - Scelta tra i diversi rimedi dolo Errore aliud pro alio Vantaggio Prescrizione Prescrizione Prova della differenza tra il bene pattuito e il bene consegnato Svantaggio Prova della condotta dell’altro contraente Prova della riconoscibilità dell’errore Prescrizione Scelta tra i diversi rimedi Azione di risoluzione per aliud pro alio Azione di annullamento Per dolo Per errore Garanzia Senza garanzia [Via principale] [Via subordinata] Vizio esogeno Vizio endogneo Prescrizione CONTRIBUTI DI DOTTRINA La natura del contributo unificato raddoppiato e il suo ambito d’applicazione Francesco Meloncelli* Sommario: 1. Gli istitui del contributo unificato e del suo raddoppio per il rigetto dell’impugnazione - 2. La natura giuridica del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione - 2.1. rassegna della giurisprudenza di legittimità sul regime giuridico del raddoppio del contributo unificato - 2.1.1. La decorrenza della normazione sul raddoppio del contributo unificato - 2.1.2. Fatto rilevante per la decorrenza della normazione sul raddoppio del contributo unificato - 2.1.3. il presupposto per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato - 2.1.4. il vincolo per il giudice dell’impugnazione - 2.1.5. il soggetto passivo dell’obbligazione del raddoppio del contributo unificato - 2.1.6. La formula per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato - 2.2. La tesi della natura principalmente tributaria e secondariamente sanzionatoria del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione - 2.3. La tesi della natura esclusivamete sanzionatoria del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione - 2.4. Critica alla tesi della natura sanzionatoria - 2.5. La tesi della natura esclusivamente tributaria del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione - 3. il problema dell’individuazione delle giurisdizioni costituenti l’ambito di applicazione del raddoppio del contributo unificato - 4. Conclusioni. 1. Gli istituti del contributo unificato e del suo raddoppio per il rigetto dell’impugnazione. Il contributo unificato e il suo raddoppio per il rigetto dell’impugnazione sono prestazioni patrimoniali imposte di recente conio: il primo è stato introdotto nel 2002 dal DPR 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle spese di giustizia - d’ora in poi designato con l’acronimo TUSG -, il quale vi dedica (*) Avvocato dello Stato. RASSeGnA AVVoCATURA 236 DeLLo STATo - n. 2/2018 numerosi articoli; il secondo ha fatto la sua comparsa nell’ordinamento giuridico italiano dieci anni dopo attraverso l’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha inserito nell’art. 13 TUSG, con efficacia decorrente dal 31 gennaio 2013, il comma 1-quater. È quanto mai opportuno prender fin d’ora particolare nota del testo di quest’ultima disposizione normativa: <>. Il contributo unificato, disciplinato negli artt. 9-18 TUSG, è la somma di danaro che dev’essere pagata, come corrispettivo della funzione pubblica/servizio pubblico della giurisdizione, dalla parte che per prima, con atto d’incoazione (costituzione mediante iscrizione a ruolo, deposito del ricorso o istanza per l’assegnazione o la vendita), investe l’autorità giudiziaria del compito di esercitare in concreto la funzione giurisdizionale (art. 14, comma 1, TUSG) (1). Sotto questo profilo, il contributo unificato sembra avere la natura giuridica della tassa: il contributo unificato viene presentato come la specie di tassa che si deve pagare se si vuole ottenere una prestazione pubblica giurisdizionale. Il vincolo di pagare il contributo unificato appartiene alla specie della situazione giuridica soggettiva passiva di onere: colui che intenda avviare effettivamente un giudizio, e solo lui, in tanto può così agire in quanto paghi il contributo unificato, tant’è vero che, per contro, se egli vi rinuncia senza aver incoato il giudizio, nulla è tenuto a pagare (2). In altri termini, la genesi del vincolo a pagare dipende dalla volontà del soggetto. Peraltro, il contributo unificato <> (3). (1) V. Corte di cassazione 4 luglio 2007, n. 15123, secondo cui <>. (2) Sulla natura tributaria del contributo unificato Corte di cassazione: 20 dicembre 2007, n. 26988; 5 maggio 2011, n. 9840; 17 aprile 2012, n. 5994. (3) Corte di cassazione 20 novembre 2015, n. 23830, e, in precedenza, Corte di cassazione 23 settembre 2015, n. 18828. DoTTRInA 237 Per chiarezza lessicale, allora, se si vuole assumere come criterio di qualificazione il tempo del pagamento, la somma da pagare al momento dell’instaurazione del giudizio può essere chiamata “contributo unificato iniziale”, per distinguerla dal contributo unificato raddoppiato che potrebbe chiamarsi, ratione temporis, “finale”. Il contributo unificato, tuttavia, al pari dell’imposta di registro, è in realtà un tributo misto, cioè un’imposta-tassa, com’è confermato dal suo profilo quantitativo. Infatti, la sua misura varia in dipendenza di vari fattori, alcuni dei quali sono espressivi della capacità contributiva: 1) il valore del processo, come lo chiama l’art. 13 TUSG, o il valore della controversia, come dicono l’art. 13, comma 6-bis, e l’art. 13, comma 6-quater, TUSG; 2) la specie di giurisdizione, come si ricava dall’art. 13, comma 6-bis, e dall’art. 13, comma 6-quater, TUSG; 3) la specie di processo all’interno di una data giurisdizione, secondo l’art. 13, comma 1-ter, TUSG; 4) il comportamento del difensore, come, per esempio, l’art. 13, comma 3-bis, e l’art. 13, comma 6-bis 1, TUSG; 5) il grado del processo, come si evince dall’art. 13, commi 1-bis e 1- quater, TUSG. A prescindere dalla denominazione di “contributo”, quindi, il contributo unificato è un’imposta-tassa voluta dal legislatore per assicurare, sia pure con notevole approssimazione, la sinallagmaticità di prestazione e controprestazione, per un verso, imponendo ai cittadini che usufruiscono del servizio giudiziario di concorrere alla ripartizione delle spese per l’amministrazione della giustizia secondo la loro capacità contributiva. Di primo acchito, poi, e stando alle parole dell’art. 13, comma 1-quater, TUSG, che prevede il vincolo dell’impugnante che soccombe integralmente, anche in via incidentale, <>, sembrerebbe che anche il contributo unificato raddoppiato sia una imposta-tassa. Infatti, le parole impiegate sono ben significative: parlare di pagamento “a titolo di” equivarrebbe ad indicare la base, la ragione, la causa, e dunque la natura del pagamento, che sarebbe il contributo unificato “ulteriore” e che, in quanto è previsto nella stessa misura di quello già pagato al momento dell’attivazione dell’impugnazione, viene raddoppiato. Se, tuttavia, si volesse procedere, come si deve, ad un esame più attento e metodicamente più corretto delle formule legislative, si deve tener conto non solo, com’è ovvio, della singola disposizione normativa di base e della sua sola lettera, ma anche, e soprattutto, tanto dell’atto normativo in cui essa è inserita quanto dell’intero sistema della normazione. RASSeGnA AVVoCATURA 238 DeLLo STATo - n. 2/2018 2. La natura giuridica del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione. Dato qui per acquisito, per la sua immediata evidenza, che il contributo unificato iniziale sia una imposta-tassa, quanto al contributo unificato finale, al di là del tenore letterale della disposizione di cui al comma 1-quater dell’art. 13 TUSG, si potrebbe sospettare che la natura giuridica sia diversa, cioè sanzionatoria anziché tributaria, per il fatto che esso è dovuto solo dall’impugnante che soccombe integralmente. ne deriverebbe che il contributo unificato finale non sarebbe una prestazione patrimoniale perfettamente corrispettiva, visto che del servizio e della funzione pubblica giurisdizionale s’avvale anche l’impugnante che risulti (parzialmente) vittorioso, il quale, tuttavia, non è tenuto a corrispondere il contributo unificato finale. Insomma, il contributo unificato finale non sarebbe una tassa, ma una sanzione. Il dubbio è avvalorato dalla recente sentenza 2 febbraio 2018, n. 18, della Corte costituzionale, nella quale - al punto n. 3 - è riferita la possibile tesi che il raddoppio del contributo unificato sia una <>, che riproduce la qualificazione già adottata nella sentenza della Corte di cassazione 12 novembre 2015, n. 23175, secondo la quale il raddoppio del contributo unificato sarebbe una <>. L’incertezza della posizione della giurisprudenza di legittimità emerge, inoltre, dalla constatazione che, a volte, la massimazione ufficiale delle pronunce della Corte di cassazione sembra dire qualcosa di più e, forse, anche di diverso da quel che si legge nel testo completo di una decisione. Al riguardo si può portare ad esempio, a proposito del nostro tema di analisi, l’ordinanza della Corte di cassazione 25 luglio 2017, n. 18348, nel cui corpo si trova scritto quanto segue: <>. Come si vede, nessun riferimento è operato alla natura, sanzionatoria o meno, del raddoppio del contributo unificato. Ma, se si legge il testo della massima elaborata dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte, ci si imbatte in questa formula: <> (4). Peraltro, non mancano le pronunce che qualificano espressamente il raddoppio del contributo unificato come sanzione per l’impugnazione meritevole di rigetto (5). A fronte delle perplessità che sorgono sia dall’impiego dell’equivoca coppia concettuale di contrasto del senso largo/stretto di una categoria sia dagli incerti orientamenti della giurisprudenza di legittimità sulla natura sanzionatoria del contributo unificato raddoppiato, s’impone l’esigenza d’esperire un’interpretazione giuridica che non si fermi al testo letterale della disposizione normativa. Si è chiamati, dunque, a dimostrare in maniera più approfondita la natura giuridica del contributo unificato finale, partendo proprio da una disamina delle tesi che attualmente sono dibattute in proposito e raccogliendo così la sollecitazione della Corte costituzionale, la quale, nella sentenza citata, ha reso palese la connessione tra ambito d’applicazione del raddoppio del contributo unificato e sua natura, perché ha affermato che non è affatto scontato che l’art. 13, comma 1-quater, TUSG si applichi al processo tributario d’appello, perché, da un lato, il <>, e, dall’altro lato, l’applicabilità del raddoppio del contributo unificato al processo tributario d’appello <> (6). Tuttavia, la Corte costituzionale lascia aperta la porta ad una possibile revisione della sua posizione, perché ha dichiarato inammissibile le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1-quater, TUSG per difetto di motivazione sulla loro rilevanza, in quanto il giudice rimettente ha assunto che la disposizione normativa si applichi al processo tributario (4) L’evidenziazione in grassetto e in corsivo è mia. Analogo divario tra sentenza e massimazione si registra per la sentenza 31 marzo 2016, n. 6227. (5) ne sono esempi: Corte di cassazione 15 settembre 2014, n. 19464, che qualifica in modo esplicito il raddoppio del contributo unificato come “meccanismo sanzionatorio”; Corte di cassazione 2 luglio 2015, n. 13636, secondo la quale <>, e Corte di cassazione 10 febbraio 2017, n. 3542, secondo cui <>. (6) Corte costituzionale 2 febbraio 2018, n. 18, che conferma, sul primo punto, la sua precedente sentenza 7 aprile 2016, n. 78. RASSeGnA AVVoCATURA 240 DeLLo STATo - n. 2/2018 <> e che, perciò, la Corte è sempre disponibile a prendere in considerazione. esiste, dunque, un buon margine d’indagine al riguardo. In questo articolo si darà, dapprima, informazione sul problema della natura giuridica del raddoppio del contributo unificato, e si prenderà, poi, posizione sulla possibile soluzione della seconda questione - l’estensione dell’istituto - che è lo scopo conseguenziale e applicativo che s’intende perseguire con la redazione di queste note. La prima parte di esse è, dunque, strumentale rispetto alla seconda. 2.1. rassegna della giurisprudenza di legittimità sul regime giuridico del raddoppio del contributo unificato. La giurisprudenza di legittimità si è più volte, e a vario titolo, occupata di aspetti specifici del regime giuridico del contributo unificato. Val la pena, anche per accogliere l’invito della Corte costituzionale a vigilare sul diritto vivente, che se ne prenda preliminarmente atto, con particolare riguardo ai vari aspetti che saranno evidenziati nei titoli delle partizioni di questo paragrafo. 2.1.1. La decorrenza della normazione sul raddoppio del contributo unificato. La disposizione normativa, introdotta dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, la quale ha introdotto il comma 1-quater nell’art. 13 TUSG, è entrata in vigore il 31 gennaio 2013. Infatti, in base al comma 18 dello stesso articolo, <<[l]e disposizioni di cui al comma 17 si applicano ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge>>, con la conseguenza che, poiché, in base all’art. 1, comma 561, L. 24 dicembre 2012, n. 228, tale legge entra in vigore il 1° gennaio 2013, il contributo unificato finale è dovuto se l’atto d’impugnazione sia proposto a partire dal 31 gennaio 2013 (7). 2.1.2. Fatto rilevante per la decorrenza della normazione sul raddoppio del contributo unificato. Per proposizione dell’atto d’introduzione del giudizio s’intende il fatto della perfezione della sua notificazione: si deve aver riguardo, secondo i principi generali in tema di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell'atto da parte del destinatario, e non a quello in cui la notifica è stata richiesta all'ufficiale giudiziario o l'atto è stato spedito a mezzo del servizio postale secondo la procedura di cui alla legge 21 gennaio 1994, n. 53 (8). (7) Corte di cassazione 27 novembre 2013, n. 26566. (8) Corte di cassazione, Sezione unite, 18 febbraio 2014, n. 3774. DoTTRInA 241 nel caso in cui la notificazione sia indirizzata a più intimati, è sufficiente, ad escludere l'applicabilità del doppio contributo, che la ricezione dell'atto sia avvenuta anche per solo uno di essi, in data anteriore al 30 gennaio, posto che la notifica del ricorso ad una delle parti è condotta già sufficiente per l'instaurazione del procedimento dinanzi alla Corte (9). La perfezione della notificazione dell’atto d’impugnazione è, peraltro, di per sé sufficiente per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato in caso di rigetto integrale della domanda, perché essa, determinando l'instaurazione del rapporto processuale, dà inizio al procedimento d’impugnazione, senza che assumano rilevanza l'omessa iscrizione a ruolo della causa o il mancato deposito dell'atto di impugnazione (10). 2.1.3. il presupposto per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato. Il presupposto per il pagamento del raddoppio del contributo unificato è costituito esclusivamente dalla soccombenza causata da una pronuncia giurisdizionale sull’atto d’impugnazione che decida della controversia: la prestazione patrimoniale è imposta dalla legge come effetto giuridico del solo fatto costituito dal rigetto integrale dell’impugnazione per ragioni processuali (inammissibilità o improcedibilità o irricevibilità dell’impugnazione) e/o per ragioni sostanziali (infondatezza dell’impugnazione), non assumendo alcuna rilevanza la decisione di condanna alle spese o della loro compensazione (11). ne deriva che il raddoppio del contributo unificato si applica, nell’ambito di giudizi impugnatori (12), anche quando: 1) nonostante il rigetto integrale dell’impugnazione, le spese processuali siano, in deroga al principio della soccombenza, compensate, in tutto o parzialmente, tra le parti (13); 2) l’atto d’impugnazione sia rigettato, ma, essendo rimasto contumace il soggetto intimato, non si debba adottare alcuna disposizione in ordine alle spese processuali. non si deve, invece, applicare il raddoppio del contributo unificato quando il giudizio non abbia natura impugnatoria o sia di natura impugnatoria impropria, come accade per esempio per il ricorso per cassazione per conflitto negativo di giurisdizione (14) o per le controversie in materia di opposizione (9) Corte di cassazione 10 luglio 2015, n. 14515. (10) Corte di cassazione 27 marzo 2015, n. 6280. (11) Corte di cassazione 13 maggio 2014, n. 10306; Corte di cassazione 10 febbraio 2017, n. 3542. (12) Tra di essi rientra anche il regolamento di competenza, al cui ricorso si deve riconoscere natura impugnatoria: Corte di cassazione 22 maggio 2014, n. 11331. (13) Corte di cassazione 13 maggio 2014, n. 10306. (14) Corte di cassazione 21 aprile 2016, n. 8060. RASSeGnA AVVoCATURA 242 DeLLo STATo - n. 2/2018 allo stato passivo (15), o quando il giudice dell’impugnazione non decide della controversia, come si verifica ogni volta che: 1) il giudice, pronunciandosi sull’appello, debba rimettere la causa al primo grado per la valida costituzione del contraddittorio; 2) si debba interrompere il processo; 3) si decida per la cessazione della materia del contendere, perché tale decisione, che potrebbe accompagnarsi ad una condanna alle spese della parte che abbia creato il presupposto della cessazione, non è una decisione sulla controversia e non equivale, perciò, a un rigetto dell’impugnazione (16); 4) si decida per l’estinzione del giudizio per rinuncia, perché anche in questo caso manca una decisione sulla lite (17) e perché il raddoppio del contributo unificato è una <> (18); 5) l’inammissibilità del gravame non sia originaria, ma successiva o sopravvenuta (per esempio, per sopravvenuto difetto di interesse), cosicché non possa più esser perseguito lo scopo del raddoppio del contributo unificato, che è quello <> (19); 6) il <> (20); 7) si decida per l’estinzione del giudizio per condono, perché, che si tratti (15) Corte di cassazione 25 gennaio 2018, n. 1895, secondo cui <>. (16) Corte di cassazione 10 febbraio 2017, n. 3542. (17) Corte di cassazione 30 settembre 2015, n. 19560. (18) Corte di cassazione 12 novembre 2015, n. 23175. (19) Corte di cassazione 2 luglio 2015, n. 13636; Corte di cassazione 10 febbraio 2017, n. 3542. nella sentenza Corte di cassazione 15 settembre 2014, n. 19464, si configura l’assorbimento del ricorso incidentale nel riconoscimento della fondatezza del ricorso principale come <>. (20) Corte di cassazione 25 luglio 2017, n. 18348. DoTTRInA 243 di condono premiale o di condono clemenziale, è la legge a prevedere che un’accertata obbligazione tributaria possa essere dal contribuente, che eserciti il diritto potestativo di condono, sostituita con un’altra obbligazione tributaria a lui più favorevole, novando del tutto il rapporto tributario precedente, che così si estingue, determinandosi per tal via anche l’estinzione del giudizio; anche in questo caso la dichiarazione di estinzione del giudizio può accompagnarsi, se le parti sono entrambe costituite, alla compensazione delle spese processuali, senza comunque la sanzione del raddoppio del contributo unificato; 8) sia stabilita l’esenzione dal pagamento del contributo unificato, com’è previsto dall'art. 46 L. 21 novembre 1991 n. 374, in materia di imposta di registro, per le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa di valore non superiore ad euro 1.033,00 (21), o per il ricorrente in cassazione ammesso al patrocinio dello Stato (22), o per l’esenzione realizzata mediante il meccanismo della prenotazione a debito previsto per le <> (23), o per determinate specie di cause agrarie (24); 9) l’impugnante sia ammesso all’impugnazione con il patrocinio a spese dello Stato <> (25); 10) quando l’impugnazione sia proposta da una delle Amministrazioni dello Stato, <> (26); 11) quando non sia dovuto il pagamento del contributo unificato per la proposizione di una determinata impugnazione, come accade, per esempio, per il ricorso per cassazione proposto avverso le decisioni disciplinari del Consiglio nazionale Forense (27), o per le <> (28). (21) Corte di cassazione 24 luglio 2014, n. 16978. (22) Corte di cassazione 2 settembre 2014, n. 18523. (23) Corte di cassazione 29 gennaio 2016, n. 1778. (24) Corte di cassazione 31 marzo 2016, n. 6227, così massimata: <>. (25) Corte di cassazione 22 marzo 2017, n. 7368, preceduta da Corte di cassazione 2 settembre 2014, n. 118523, e seguita da Corte di cassazione 12 aprile 2017, n. 9538 e 5 giugno 2017, n. 13935. (26) Corte di cassazione 29 gennaio 2016, 1778, preceduta da Corte di cassazione 14 marzo 2014, n. 5955. (27) Corte di cassazione 25 novembre 2013, n. 26280. (28) Corte di cassazione 31 marzo 2016, n. 6227. RASSeGnA AVVoCATURA 244 DeLLo STATo - n. 2/2018 2.1.4. il vincolo per il giudice dell’impugnazione. ne deriva che il giudice dell’impugnazione è vincolato soltanto a dare atto dell’esistenza del presupposto per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, cioè del rigetto nel merito e/o di rito dell’impugnazione, cosicché egli deve astenersi da qualsiasi ulteriore valutazione su di esso (29) e non è tenuto a liquidarne l’entità (30). L’accertamento della debenza del raddoppio del contributo unificato, pur essendo <>, con la conseguenza che <> (31). Inoltre, poiché l'obbligo di versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo pari a quello del contributo unificato iniziale sorge ipso iure, esso <> dell’ulteriore versamento (32). 2.1.5. il soggetto passivo dell’obbligazione del raddoppio del contributo unificato. L’obbligazione di pagare una somma pari al contributo unificato a titolo di sanzione pecuniaria processuale non può essere addossata a quelle parti del giudizio d’impugnazione che, come gli uffici amministrativi dello Stato e degli enti ad esso strumentali, siano esonerati per legge dal materiale versamento del contributo unificato mediante il meccanismo della prenotazione a debito (33). (29) Corte di cassazione 14 marzo 2014, n. 5955. (30) Corte di cassazione 17 settembre 2013, n. 21207. (31) Corte di cassazione 5 giugno 2017, n. 13935 e 5 ottobre 2017, n. 23281. In senso contrario, peraltro, in precedenza Corte di cassazione 9 novembre 2016, n. 22867. (32) Corte di cassazione 3 aprile 2018, n. 8170. (33) Corte di cassazione 14 marzo 2014, n. 5955. DoTTRInA 245 2.1.6. La formula per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato. nella parte finale della motivazione della sentenza, conclusiva del complessivo giudizio, può stare una formula di questo tenore: <>. nel dispositivo, poi, della sentenza conclusiva del giudizio d’impugnazione, che decida per il rigetto dell’impugnazione, deve seguire la seguente formula: <>. 2.2. La tesi della natura principalmente tributaria e secondariamente sanzionatoria del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione. Alla luce della rassegna appena svolta, può evidenziarsi l’orientamento, descritto nei punti n. 4 e 5) del precedente paragrafo 2.1.3, secondo il quale il <>, con funzione disincentivante del ricorso all’attività giurisdizionale (34). nonostante l’indiscutibile autorevolezza della fonte, si tratta di un’indicazione fugace che merita approfondimento, perché, anzitutto, non si dà alcuna spiegazione della natura eccezionale dell’istituto e, inoltre, perché il “senso lato” di una qualificazione non è suffragato da alcuna illustrazione di diritto positivo che dimostri la classificazione delle sanzioni entro la quale s’inserirebbe “in senso lato” il contributo unificato finale. Infine, come dimostrato dall’avvenuta sollevazione di questioni di legittimità costituzionale in materia, ancorché finora inammissibili o infondate, siffatta generica coloritura sanzionatoria si presta a criticità sotto il profilo del bilanciamento dei principii costituzionali in gioco, perché potrebbe dubitarsi che un tributo misto (imposta-tassa) possa essere istituito per perseguire una finalità punitiva, anziché per concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (art. 53 Cost.). Semmai, una sanzione pecuniaria potrebbe essere irrogata all’impugnante, che soccombe integralmente, per aver pretestuosamente adito l’autorità (34) Corte costituzionale 2 febbraio 2018, n. 18, che riproduce pressoché testualmente la formulazione già adottata dalla Corte di cassazione, nella pronuncia 12 novembre 2015, n. 23175. RASSeGnA AVVoCATURA 246 DeLLo STATo - n. 2/2018 giudiziaria, in base al principio di solidarietà ex art. 2 Cost. e al principio del giusto processo (art. 111 Cost.), che sono condensati nel principio processualcivilistico di lealtà delle parti (art. 88 c.p.c.), di portata generale anche per effetto dei richiami effettuati al processo civile dalla disciplina di quelli amministrativo e tributario. Resterebbe peraltro da capire come possa concepirsi una doppia sanzione nelle ipotesi in cui all’automatismo dell’imposizione del contributo unificato finale si aggiunga anche la condanna per lite temeraria, discrezionalmente determinata dal giudice (art. 96 c.p.c.), allorquando la fattispecie concreta possa risultare coincidente (lite temeraria proseguita con l’atto d’impugnazione). non pare porsi un problema di legittimità costituzionale, invece, se al contributo unificato raddoppiato si attribuisca esclusivamente la natura di imposta- tassa. Infatti, è ben ammissibile una funzione secondaria della fiscalità, che nel caso non sarebbe punitiva, ma disincentivante rispetto ad una sovrabbondante richiesta di prestazioni giudiziarie. Una volta che lo Stato abbia amministrato il primo grado di giudizio, il servizio ulteriormente richiesto per i gradi successivi può avere un costo superiore per il richiedente (corrispettività della tassa), se l’esito del giudizio dimostra concretamente che l’impugnante, il quale soccombe totalmente, ha insistito inutilmente, bilanciandosi così in maniera ragionevolmente equilibrata il principio di tutela del diritto inviolabile di difesa (art. 24 Cost.) con l’esigenza di perseguire il buon andamento dell’amministrazione giudiziaria (art. 97 Cost.), anche al fine di ottenere, nell’interesse generale della collettività, una ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) che sarebbe consequenziale alla riduzione delle impugnazioni auspicata dal disincentivo fiscale. A conclusione provvisoria del ragionamento, allora, non pare opportuno abbandonare il tentativo finora compiuto dalla giurisprudenza di vedere nel raddoppio del contributo unificato un istituto connotato sia dalla natura tributaria sia da quella sanzionatoria e operare una scelta di campo netta e alternativa. 2.3. La tesi della natura esclusivamente sanzionatoria del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione. Provando ad immaginare gli argomenti a sostegno della tesi della natura esclusivamente sanzionatoria del contributo unificato finale, potrebbe dirsi che il contributo unificato dev’essere versato sempre da chi per primo adisce un giudice, per ciascuna fase del processo (di primo, di secondo grado o di legittimità), mentre il raddoppio del contributo unificato è pagato solo eventualmente dalla parte soccombente e soltanto al termine di un giudizio d’impugnazione. Il contributo unificato è allora un’imposta-tassa posta a carico di colui che chiede che sia svolta una data attività giurisdizionale, mentre il raddoppio del contributo unificato sarebbe una restrizione patrimoniale posta a carico della DoTTRInA 247 parte soccombente in un dato grado di giudizio superiore al primo, che proponga un atto d’impugnazione per il grado successivo, al termine del quale rimanga nuovamente e integralmente soccombente, indipendentemente dalla ragioni processuali o sostanziali della soccombenza; non sarebbe senza rilevanza allora che il contributo unificato possa essere recuperato in sede di condanna alle spese della controparte, perché è ben evidente che la stessa misura non ha alcun senso per il raddoppio, che sarebbe, dunque, una reazione dell’ordinamento all’impugnazione, dimostratasi degna di rigetto, nei confronti dell’impugnante per il fatto che egli si è vanamente rivolto al giudice del riesame: il raddoppio sarebbe una sanzione per aver chiesto “malamente” l’intervento del giudice, cioè in forma irrituale tale da rendere inammissibile o improcedibile o irricevibile la domanda, o per aver fatto valere una pretesa rivelatasi poi infondata nel merito, cosicché l’atto d’impugnazione è stato rigettato. D’altra parte, poiché è da escludere che il presupposto del vincolo a pagare una somma di ammontare pari al contributo unificato iniziale sia un illecito, dal momento che l’impugnazione consegue ad un comportamento che consiste nell'esercizio del diritto di difesa, la sottoposizione al vincolo per effetto dell’impugnazione rigettata sembra configurarsi come un'ipotesi di responsabilità da atto lecito, perché essa viene addossata all’impugnante per il solo fatto che l’impugnazione si è, comunque, dimostrata inefficace rispetto all’invocato riconoscimento della sua asserita ragione. Se, poi, si tiene conto anche del fatto che l’eventuale compensazione delle spese di giudizio tra le parti non sottrae l’impugnante soccombente al pagamento del raddoppio del contributo, se ne dedurrebbe che il legislatore sottopone ad una riduzione patrimoniale colui che si rivolga al giudice per il solo fatto, in sé considerato, di aver fatto svolgere al giudice un’attività che non è stata di alcun giovamento all’impugnante: l’attività giurisdizionale di grado ulteriore rispetto al primo che si concluda con la conferma della sentenza di primo grado apparirebbe, in conclusione, sanzionata con il raddoppio del contributo unificato disposto dal giudice con provvedimento del tutto vincolato, a prescindere anche dal provvedimento, limitatamente discrezionale, sulla eventuale compensazione delle spese processuali. La tesi della natura sanzionatoria, anziché tributaria, del contributo unificato finale potrebbe avere allora, come conseguenza pratica, un’estensione dell’ambito soggettivo d’applicazione, in quanto sarebbero tenute a versarlo anche le amministrazioni pubbliche ammesse alla prenotazione a debito. La tesi, invece, non potrebbe condurre ad un’estensione oggettiva dell’ambito d’applicazione del contributo unificato finale, perché una disposizione normativa che irroga una sanzione non può essere interpretata estensivamente o analogicamente, sicché, il richiamo effettuato indirettamente dall’art. 13, comma 1-quater, TUSG al comma 1 della stessa disposizione, ne limita l’oggetto al processo civile. RASSeGnA AVVoCATURA 248 DeLLo STATo - n. 2/2018 2.4. Critica alla tesi della natura sanzionatoria. La tesi sanzionatoria non convince, non soltanto perché lascia insoluto il problema della duplicazione della sanzione per un medesimo comportamento in caso di lite temeraria, così come sopra accennato, ma anche perché non si riscontra alcun elemento di diritto positivo che corrobori la natura sanzionatoria dell’istituto. non è sufficiente, infatti, l’afflittività, che è comune a ogni prestazione patrimoniale imposta, a connotare l’istituto come sanzionatorio. Avendo premesso già che non s’intende qui limitarsi al dato letterale della disposizione normativa, che pur costituisce la base di ogni interpretazione, sicché non privo di rilievo è che il legislatore definisca espressamente il raddoppio come effettuato a titolo di contributo unificato ulteriore, assumendone così identica natura tributaria mista, anche sotto il profilo sistematico va osservato che il TUSG, all’art. 1 inserisce, tra gli altri suoi oggetti, la riscossione delle “sanzioni pecuniarie processuali”: vi si afferma per l’appunto che le norme del TUSG <<[d]isciplinano ... la riscossione … delle sanzioni pecuniarie processuali>>, categoria di genere di cui il raddoppio del contributo unificato costituirebbe una specie, per la tesi qui criticabile. Tuttavia, dallo stesso TUSG si evince che il contributo unificato finale non è considerato una sanzione pecuniaria processuale, perché, se così fosse, anch’esso dovrebbe essere oggetto della disciplina ivi prevista per la sua riscossione. Invece si ricava: a) dall’art. 3, comma 1 lett. u), TUSG, che <<"sanzione pecuniaria processuale" è la somma dovuta sulla base delle norme del codice di procedura civile e del codice di procedura penale, recuperabile nelle forme previste per le spese>>) e b) dall’art. 202, comma 1, TUSG (rubricato come: <<(applicabilità della procedura alle sanzioni pecuniarie processuali>>), che, <>. Insomma, dal punto di vista sistematico, per il TUSG, sono sanzioni pecuniarie processuali soltanto quelle previste nei codici processuali, cosicché risulta avvalorato il dato letterale dell’art. 13, comma 1-quater, circa la natura non sanzionatoria del contributo unificato finale. Ulteriore argomento contrario alla tesi della natura sanzionatoria si ricava dalla considerazione che il comma 1-quater dell’art. 13 TUSG è stato inserito dal legislatore nel testo unico, anziché come articolo a sé stante, quale frammento normativo inglobato nell’articolo 13, che reca la seguente rubrica: “importi”. Siffatta rubrica non ha senso, a meno che non sia collegata con quella dell’art. 9 TUSG: “Contributo unificato”. Se ne trae conferma che per volontà DoTTRInA 249 di legge anche gli importi previsti nel comma 1-quater dell’art. 13 TUSG costituiscono una quantificazione del fenomeno chiamato contributo unificato. Siccome il contributo unificato, di per sé, non è pacificamente una sanzione, ma un’imposta-tributo, il contributo unificato raddoppiato non può che avere la stessa natura tributaria. 2.5. La tesi della natura esclusivamente tributaria del cosiddetto raddoppio del contributo unificato per il rigetto dell’impugnazione. non resta allora che abbracciare la tesi della natura esclusivamente tributaria del contributo unificato finale. Al riguardo, è bene, però, rovesciare la prospettiva che di primo acchito potrebbe indurre, come in effetti sembra essere successo nella giurisprudenza di legittimità, a caratterizzare anche in senso latamente sanzionatorio l’istituto. Risulta utile all’uopo, la lettura combinata degli artt. 13 e 14 TUSG. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-bis, per un giudizio d’impugnazione il contributo unificato iniziale è aumentato della metà rispetto alla misura prevista nel comma 1. Tuttavia, allorquando si tratti di un giudizio d’impugnazione, il contributo unificato iniziale, che va corrisposto contestualmente all’incoazione del processo dinanzi al giudice secondo quanto è disposto dall’art. 14 TUSG, costituisce soltanto un mero anticipo dell’intera somma che sarebbe ordinariamente dovuta: la somma integrale da corrispondersi è, in realtà, pari al doppio del contributo unificato iniziale per il giudizio d’impugnazione, cioè al doppio del contributo unificato previsto per il primo grado, già aumentato della metà. Il pagamento della somma dovuta è previsto in due momenti diversi, uno dei quali all’esito del giudizio d’impugnazione. Perciò il comma 1-quater definisce il saldo, all’esito del giudizio d’impugnazione, come importo “ulteriore”, ma pur sempre “a titolo di contributo unificato”. L’impugnante soccombente, anche in via incidentale, non viene allora punito col raddoppio del contributo unificato. egli in realtà paga l’importo che è ordinariamente da lui dovuto quale corrispettivo - differito - del servizio. L’ordinamento, invece, intende favorire l’impugnante che si sia avvalso con profitto dello strumento processuale, esonerandolo dal pagamento di una parte dell’imposta- tassa, che sarebbe comunque dovuta a saldo. In effetti, risulta coerente rispetto alla tutela del diritto di difesa ridurre il carico fiscale in favore di colui che, insistendo nella domanda di tutela giudiziaria con l’impugnazione, abbia in concreto dimostrato l’erroneità dell’esercizio della funzione giurisdizionale compiuto dall’autorità giudiziaria, sicché il mutato esito del processo di primo grado rende ragione di un trattamento fiscale agevolato a vantaggio di colui che si è visto “costretto” a richiedere ulteriori prestazioni da parte dell’amministrazione della giustizia per ottenere una “decisione giusta”. ne consegue che, essendo privo di natura sanzionatoria, l’istituto del raddoppio del contributo unificato non può considerarsi eccezionale. ne deriva RASSeGnA AVVoCATURA 250 DeLLo STATo - n. 2/2018 ulteriormente che ne sarebbe possibile un’interpretazione analogica o estensiva, contrariamente a quanto finora asserito dalla giurisprudenza di legittimità. Si viene a porre allora la problematica relativa alla possibilità di applicare l’istituto anche ai processi tributario e amministrativo, oltre a quello civile. 3. il problema dell’individuazione delle giurisdizioni costituenti l’ambito di applicazione del raddoppio del contributo unificato. Su un aspetto del regime del raddoppio del contributo unificato non ha ancora avuto occasione di pronunciarsi la Corte di cassazione: se esso si applichi a tutte le giurisdizioni, negli stessi limiti in cui si applica il contributo unificato, o se esso si applichi solo al processo civile e non anche alle giurisdizioni speciali, amministrativa e tributaria. Da un punto di vista pratico, la questione non è soltanto rilevante per l’impugnante che soccombe integralmente, ma anche per il magistrato decidente, perché all’art. 13 comma 1-quater, TUSG è collegata la disposizione normativa posta nell’art. 172, comma 1, TUSG: <>. Siccome dalla prima proposizione del secondo periodo dell’art. 13, comma 1-quater, TUSG, si ricava la norma per cui “il giudice (destinatario) dà atto nel provvedimento (contenuto) della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato (oggetto)”, il magistrato, preposto all’ufficio dell’organo giurisdizionale titolare del potere di decidere su un’impugnazione, potrebbe, dunque, essere chiamato a rispondere di danno erariale se non adempisse l’obbligo di comminare il pagamento del contributo unificato raddoppiato. Pertanto, la soluzione del problema enunciato all’esordio è operativamente rilevante in termini monetari: la decisione del giudice e, di conseguenza, l’azione adempitiva del funzionario amministrativo incaricato dell’esecuzione, si riflettono comunque sul patrimonio di un terzo, ossia dello Stato o della parte processuale integralmente soccombente. Di fatto, per quanto risulta, nessun dubbio sussiste sul fatto che l’art. 13 comma 1-quater, TUSG si applichi, per intanto, sicuramente al processo civile d’impugnazione, sia di merito sia di legittimità. Porsi la domanda dell’applicabilità di tale complessa formulazione normativa al giudizio amministrativo e al giudizio tributario d’appello equivale a domandarsi quale sia il suo oggetto o, in altre parole, se essa sia generale (quanto al suo oggetto, ossia norma ad oggetto generale), o speciale (sempre quanto al suo oggetto, ossia norma ad oggetto speciale). Si deve tener presente, al riguardo, che l’art. 13, comma 1-quater, TUSG, contiene, oltre a quella appena ricordata, altre due norme: DoTTRInA 251 1) quella situata nel primo periodo dell’art. 13, comma 1-quater, TUSG, è dotata di questa formula: “la parte che ha proposto l’impugnazione, anche incidentale, la quale sia stata respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile (destinatario) ha l’obbligo di versare (contenuto) un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis (oggetto)”; si rammenta che il comma 1-bis così dispone: <>; infine, il comma 1 prevede che <>, a cui segue un elenco d’importi distinti per valore del processo e/o per specie di processo civile; 2) quella situata nella seconda proposizione del secondo periodo dell’art. 13, comma 1-quater, TUSG suona così: “l’impugnante soccombente (destinatario) ha l’obbligo di pagare (contenuto) al momento del deposito del provvedimento del giudice (oggetto)”. Stando al nucleo del problema sopra enunciato, la sua soluzione dipende dall’interpretazione che si dia del richiamo ai commi precedenti effettuato nella formula della norma n. 1. Per orientarsi in proposito è necessario procedere in maniera corretta. È a tutti noto che l’interpretazione normativa è sì un’attività complessa, ma anche ben consolidata sia dal punto di vista della teoria giuridica sia dal punto di vista della sperimentazione operativa. non si vuole allora liquidare la questione sbrigativamente in virtù di una mera interpretazione normativa topica, ossia che tenga conto esclusivamente della collocazione della disposizione normativa contenuta nell’art. 13, comma 1-quater, TUSG rispetto ad alcune altre disposizioni, riferite all’ammontare del contributo unificato per la giurisdizione amministrativa e per la giurisdizione tributaria, e poste in commi ulteriori dello stesso articolo. Per essere sicuri del risultato ermeneutico, infatti, occorre tener conto della natura inevitabilmente caotica della normazione, che dipende da molteplici e notorie ragioni: la pluralità delle fonti normative, i loro complessi rapporti di gerarchia, la loro successione nel tempo, la formulazione delle disposizioni normative secondo livelli di genere/specie differenti per ciascuno degli elementi non standardizzati della norma (oggetto, contenuto e destinatari), l’ineliminabile equivocità del codice linguistico utilizzato per la formula dichiarativa, la pluralità dei formanti del diritto. La contemporanea influenza di tutti questi fattori non esclude la rilevanza del luogo in cui sia collocata una determinata disposizione normativa, ma esclude anche con sicurezza che la collocazione della disposizione normativa possa essere eretta ad unico criterio d’interpretazione normativa. Il discorso che si è tenuti a fare è, perciò, necessariamente più delicato e complesso. Tentiamo qui uno dei possibili percorsi RASSeGnA AVVoCATURA 252 DeLLo STATo - n. 2/2018 interpretativi, che possono ritenersi metodicamente più adeguati alla caoticità e alla complessità dei dati normativi coniati dal legislatore e perciò si terrà conto non solo, com’è ovvio, della singola disposizione normativa di base e della sua sola lettera, ma anche, e soprattutto, tanto dell’atto normativo in cui essa è inserita quanto dell’intero sistema della normazione. L’art. 1 TUSG indica l’oggetto dell’intero atto normativo nelle voci e nelle procedure di spesa dei processi (art. 1, comma 1): <>. L’oggetto è, in questa sede, generale: il TUSG si applica a tutti i processi, perché in questa disposizione la parola processo, al plurale, sta per il genere sommo della disciplina, di cui sono specie tutti i processi settoriali ai quali l’atto normativo dedicherà successivamente la sua considerazione, destinando per ciascuno di essi, ove lo ritenga opportuno, un regime speciale. Dall’esame dell’art. 1 TUSG si desume, dunque e per ora, che l’atto normativo intende proporsi come atto normativo ad oggetto generale: il suo oggetto è il processo o, se si vuole, esso assume tutti i processi, tutte le specie di processo comprese nel genere, come suo oggetto. Questo orientamento del legislatore è confermato subito dopo dall’art. 2 TUSG, il quale è dedicato - così enuncia la sua rubrica - all’“ambito di applicazione” di tutte le norme del TUSG. In linguaggio tecnicamente rigoroso, esso intende indicare ancora una volta l’oggetto delle norme del TUSG. Infatti, l’art. 2, comma 1, TUSG afferma che le sue norme <>. Se ne deducono due regole: anzitutto, che, in linea di principio, le norme del TUSG si applicano a tutti i processi, visto che di essi sono elencate tutte le possibili specie, non potendo essere loro assimilato il processo costituzionale, che ovviamente, per sua natura, ne resta escluso; in secondo luogo, che solo le norme che siano espressamente dedicate ad una, o più, delle specie di processo costituiscono disciplina alternativa e speciale rispetto a quella generale. Della costruzione dei processi secondo l’albero porfiriano di classificazione, che è la logica implicitamente adottata dal legislatore, il TUSG fa subito applicazione nei due Titoli, II e III, della sua Parte I, che sono dedicati rispettivamente alle <> (artt. 4-7 TUSG) e alle <> (art. 8 TUSG). Dal livello del genere sommo, al quale si colloca il processo, si è scesi al livello di genere/specie immediatamente inferiore, per dettare per una specie, quella del processo penale, regole diverse da quelle riservate alle altre specie, quelle del processo civile, amministrativo, contabile e tributario. DoTTRInA 253 nel Titolo I della Parte II (artt. 9-18), poi, si scende di un ulteriore livello, nel quale si collocano, da un lato, il processo penale e quello contabile, e, dall’altro, si situano i processi civile, amministrativo e tributario. Per questi ultimi tre soltanto si prevede l’istituto del contributo unificato, di cui si disegna un regime completo e unitario, salve le specialità che siano, secondo il principio già fissato dall’art. 2, comma 1, TUSG, <>. Se ora, forti di tali premesse di principio, si percorrono le disposizioni del Titolo I della Parte II, possiamo rilevare il riferimento di ognuna di esse o al genere unificante dei tre processi (civile, amministrativo e tributario) o a ciascuno di essi o a specie di livello inferiore di ciascuno di essi. Lasciamo per il momento fuori da ogni considerazione l’art. 13 TUSG, perché da esso sorgono, e intorno ad esso si addensano, i dubbi relativi alla soluzione da dare al problema dell’applicabilità al giudizio amministrativo e al giudizio tributario d’appello del contributo unificato raddoppiato. Hanno come oggetto il genere unificato dei tre processi civile, amministrativo e tributario: - l’art. 9, comma 1, TUSG: <<È dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario, secondo gli importi previsti dall'articolo 13 ... >>; - l’art. 11, comma 1, TUSG: <>; - l’art. 14, comma 1, TUSG; - l’art. 14, comma 3, TUSG, soltanto in parte; - l’art. 15 TUSG; - l’art. 16 TUSG; - l’art. 17 TUSG. Hanno come oggetto una delle tre specie del genere unificato, cioè il processo civile o il processo amministrativo o il processo tributario: - l’art. 14, comma 2, TUSG, che si riferisce solo al processo civile, perché i commi 3-bis e 3-ter, aggiunti successivamente, hanno disposto, e dispongono, sul medesimo oggetto - la determinazione del valore della lite - per il processo tributario e per il processo amministrativo; - l’art. 14, comma 3-bis, TUSG, per il processo tributario; - l’art. 14, comma 3-ter, TUSG per il processo amministrativo. Hanno come oggetto una specie di livello inferiore di una delle tre specie del genere unificato, cioè il processo civile o il processo amministrativo o il processo tributario: RASSeGnA AVVoCATURA 254 DeLLo STATo - n. 2/2018 - l’art. 9, comma 1-bis, TUSG: <>; - l’art. 10, comma 1, TUSG; - l’art. 10, comma 2, TUSG; - l’art. 10, comma 3, TUSG; - l’art. 10, comma 6-bis, TUSG; - l’art. 14, comma 1, TUSG (processi esecutivi di espropriazione forzata); - l’art. 14, comma 1-bis, TUSG. Dalla classificazione appena operata, adottata dal TUSG, abbiamo volutamente e momentaneamente escluso l’art. 13 TUSG, perché una sua parte, il comma 1-quater, attiene specificamente al tema dell’applicazione al processo amministrativo e al processo tributario d’appello. È giunto il momento di attaccare frontalmente questo problema. Il testo attuale dell’art. 13 TUSG è il risultato di numerosi interventi succedutisi nel tempo (35) e presenta una struttura, per così dire, stratificata per aggiunte successive a parti preesistenti. Se si percorre fin dall’origine la tormentata storia dell’art. 13 TUSG si constata che esso, quando vide la luce, aveva una struttura semplicissima: il primo e il sesto comma erano dettati soltanto per il processo civile e per il processo amministrativo; lo si desume dal richiamo che ne era effettuato nell’originario art. 9 TUSG (<<È dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile… e nel processo ammini- (35) Sono intervenuti a modificare il testo originario dell’art. 13 TUSG: 1) l’art. 1-ter DL 8 febbraio 2003, n. 18; 2) l’art. 1 L. 30 dicembre 2004, n. 311; 3) l’art. 9-bis DL 30 giugno 2005, n. 115; 4) l’art. 21 DL 4 luglio 2006, n. 223; 5) l’art. 1 L. 27 dicembre 2006, n. 296; 6) l’art. 2 L. 23 dicembre 2009, n. 191; 7) l’art. 15 DLgs 20 marzo 2010, n. 53; 8) l’art. 48-bis DL 31 maggio 2010, n. 78; 9) l’art. 37 DL 06 luglio 2011, n. 98; 10) l’art. 2 DL 13 agosto 2011, n. 138; 11) l’art. 28 L. 12 novembre 2011, n. 183; 12) l’art. 2 DL 24 gennaio 2012, n. 1; 13) l’art. 1 L. 24 dicembre 2012, n. 228; 14) l’art. 53 DL 24 giugno 2014, n. 90; 15) l’art. 45-bis DL 24 giugno 2014, n. 90; 16) l’art. 19 DL 12 settembre 2014, n. 132 . DoTTRInA 255 strativo, secondo gli importi previsti dall’articolo 13…>>), oltre che dalla rubrica del Titolo I previgente: <>. Gli altri commi avevano, invece, come oggetto varie singole specie di processi civili. A partire dal 4 luglio 2006, per effetto dell’art. 21 DL 4 luglio 2006 n. 223, è comparso il comma 6-bis, così formulato: <>. In sostanza, si è introdotta una determinazione della quantità del contributo unificato che è differenziata per specie di giurisdizione (36). Dal 4 luglio 2009, per volontà dell’art. 67 L. 18 giugno 2009, n. 69, s’è inserito il comma 2-bis, che così diceva: <>. S’introduceva così una norma che aveva come oggetto una specie - il giudizio di cassazione - del genere intermedio del processo civile, a sua volta specie del genere sommo (il processo). A partire dal 6 luglio 2011, l’art. 37 DL 6 luglio 2011, n. 98, ha modificato il Titolo I della Parte II in <>, ha inserito il processo tributario nell’oggetto della norma di cui all’art. 9 TUSG e ha aggiunto il comma 3-bis all’art. 13: <>: così operando il contributo unificato è stato esteso al processo tributario, ma la sua entità era, per effetto dell’art. 13, comma 1, identica a quella prevista per il processo civile, mentre, come si è già visto, la quantificazione era diversa per il processo amministrativo. Dal 17 settembre 2011, in base all’art. 2 DL 13 agosto 2011, n. 138, compare il comma 6-quater: <>. Si tratta di un’ulteriore norma speciale efficace per il processo tributario. Per effetto di siffatta norma, il primo comma dell’art. 13 riguarda soltanto il processo civile. Dal 24 gennaio 2012, in forza dell’art. 2 DL 24 gennaio 2012, n. 1, è stato inserito il comma 1-ter: <>. Si tratta di un’altra norma speciale per processi di specie nell’ambito del processo civile. Dal 1° gennaio 2013, ma per i procedimenti iniziati dal 30 gennaio 2013, l’art. 1 L. 24 dicembre 2012, n. 228, introduce nell’art. 13 TUSG il comma 1- quater, di cui, per comodità del lettore, si riproduce ancora una volta il testo: <>. Come interpretare questo groviglio di disposizioni normative introdotte in un accesso di bulimia legislativa è il problema che ci siamo proposti di esaminare. Anzitutto, e non a caso, abbiamo finora analizzato la struttura del TUSG allo scopo d’individuare il contesto normativo adottato dal legislatore per incastonarvi successivamente anche l’art. 13, comma 1-quater. Se sono esatte le rilevazioni effettuate, si deve ritenere che il principio interpretativo fondamentale è costituito, per il diritto attualmente vigente, dalla decisione legislativa di attribuire come oggetto alle norme del TUSG il genere “processo” e di riservare a norme speciali uno speciale regime per date specie di processo. Di conseguenza, concentrando l’attenzione soltanto su ciò che più interessa in questa sede, assume rilievo che esclusivamente in alcuni periodi passati il comma 1 dell’art. 13, sull’importo del contributo unificato, concerneva processi di giurisdizioni diverse. DoTTRInA 257 In altri termini, secondo il diritto vigente, il contributo unificato iniziale è previsto, con norma generale, per il genere “processo”, dall’art. 9 TUSG, ma la sua quantificazione è diversa a seconda delle specie di giurisdizione, perché l’art. 13 TUSG, contiene le seguenti norme speciali: a) quelle del comma 1, che, sebbene la formulazione letterale non escluda l’applicabilità a processi diversi da quello civile, sono diventate speciali, nel senso che si riferiscono soltanto all’entità del contributo unificato nel processo civile, e ciò per esclusione, cioè perché gli altri due unici processi disciplinati nel Titolo III della Parte I sono quelli amministrativo e tributario, ma essi sono specialmente regolamentati nei commi successivi dell’art. 13 per lo stesso oggetto; b) quelle che hanno per oggetto il processo penale e il processo contabile; infatti, l’art. 9 TUSG prevede il contributo unificato per il processo civile, per il processo amministrativo e per il processo tributario (art. 9.1) e non, dunque, per il processo penale (com’è confermato nell’art. 12.1) né per il processo contabile; c) quelle dedicate al processo amministrativo (comma 6-bis) e al processo tributario (comma 6-quater), ma limitatamente all’ammontare del contributo unificato. Quanto a queste ultime, l’art. 13, comma 6-quater, TUSG si riferisce al processo tributario di merito per determinare l’ammontare del contributo unificato, senza reiterare la previsione del raddoppio del contributo unificato. Lo stesso avviene per il processo amministrativo, nel comma 6-bis (37). Il raddoppio del contributo unificato, dunque, non si applica ai processi amministrativo e tributario, perché non si ripete nell’art. 13 TUSG, dopo la determinazione dell’ammontare del contributo unificato, la previsione del raddoppio che oramai, per effetto delle modifiche normative succedutesi, sarebbe ristretta al processo civile quale conseguenza della catena di richiami al comma 1-bis e poi al comma 1 del medesimo art. 13 TUSG. Certamente rimane una perplessità, perché, mentre per il giudizio amministrativo e per quello tributario di merito non si applicherebbe il raddoppio del contributo unificato, lo si applicherebbe in quello di legittimità - anche allorquando s’impugni una sentenza del Consiglio di Stato per difetto di giurisdizione) - solo perché cambia il giudice, che da speciale diventa ordinario. Infatti, l’art. 261 TUSG afferma che al processo tributario di legittimità si applicano le norme del testo unico. Vero è però, per costante giurisprudenza della Corte di cassazione (38), che il ricorso per cassazione in materia tributaria dà luogo ad un ordinario processo civile, nonostante l’art. 261 TUSG lo denomini “processo tributario di- (37) Corte di cassazione 12 dicembre 2017, n. 29679. (38) Per tutte, da ultimo, Corte di cassazione 19 maggio 2017, n. 12642. RASSeGnA AVVoCATURA 258 DeLLo STATo - n. 2/2018 nanzi alla Corte di cassazione”. Analogo ragionamento può essere fatto per l’impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato. Allora, il risultato dell’interpretazione sistematica fin qui condotta attribuisce valore decisivo, che altrimenti di per sé esso non avrebbe, anche al significato proprio delle parole impiegate nel comma 1-quater dell’art. 13 TUSG: <>: - l’importo è ulteriore, nel senso che si aggiunge a quello già anticipato come contributo unificato iniziale; - l’importo è pari a quello dovuto: non è scritto che l’importo sia pari a quello “previsto” dal comma 1-bis, ma magari non dovuto in concreto, sicché l’impiego del verbo dovere sembra comportare un riferimento puntuale del legislatore proprio al contributo unificato iniziale che il contribuente dovrebbe aver effettivamente versato in adempimento di un obbligo già sorto rispetto al tempo dell’esito del giudizio d’impugnazione; - l’importo dovuto è pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del comma 1-bis: anche l’uso della parola “stessa” indica che non ci si riferisce alle impugnazioni disciplinate nei commi 6-bis (per il processo amministrativo) e 6-quater (per il processo tributario) dell’art. 13 TUSG, ma a quelle impugnazioni menzionate nel comma 1-bis, cioè a tutte quelle impugnazioni alle quali si applichi, per la determinazione dell’entità del contributo unificato iniziale, il comma 1 dell’art. 13 TUSG. 4. Conclusioni. In conclusione, quel che la legge chiama esplicitamente <> (art. 13, comma 1-quater, TUSG) e che nella prassi si designa comunemente come “il raddoppio del contributo unificato”, è un’impostatassa, con funzione secondaria disincentivante, che non s’applica nei processi tributario e amministrativo. DoTTRInA 259 Il superamento del dissenso nelle materie “sensibili” in Conferenza di servizi. Un possibile conflitto tra legge generale e legge speciale. Il caso delle opere statali Antonino Cimellaro* Sommario: 1. Premessa - 2. il dissenso/opposizione in Conferenza secondo la legge 241/1990 - 2.1. il procedimento e l’autorità preposta - 3. L’art. 3 del D.P.r. 18 aprile 1994, n. 383 per opere statali - 4. il rapporto tra le due normative - 5. il rapporto tra legge generale posteriore e legge speciale anteriore - 5.1. il rapporto tra una legge e un regolamento - 6. Conclusioni. 1. Premessa. Come noto, con il Decreto Legislativo 30 giugno 2016, n. 127, denominato “Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124” (c.d. “Riforma Madia”) si è intervenuti nuovamente sull’istituto della conferenza di servizi (1). Appare utile precisare, preliminarmente, che l’ordinamento ha sempre trattato l’istituto nella sua valenza unitaria per le varie materie o ambiti di applicazione (ovvero, si può lecitamente affermare che, in via ordinaria, non esistono le “conferenze di servizi” bensì esiste la “conferenza di servizi” la cui disciplina è affidata alla legge 241/1990 e ai suoi articoli da 14 a 14-quinquies. non incidono, su tale configurazione, particolarità o deroghe di detta disciplina che devono, però, essere esplicitate e contenute). Per quanto qui di interesse, occorre segnalare che, in particolare, il predetto decreto 127/2016 si compone di due titoli: - il Titolo I “Disciplina generale della conferenza di servizi” (composto del solo art. 1) che sostituisce (e riscrive) integralmente gli artt. 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241; - il Titolo II “Disposizioni di coordinamento con le discipline settoriali della conferenza di servizi”, negli artt. 2, 3, 4 e 5, che prevede - limitate - modifiche a talune ben individuate disposizioni (artt. 5 e 20, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - cd. Testo Unico edilizia; art. 38, co. 3, lett. f), decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133 e art. 7, D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 - cd. Sportello unico per le attività produttive; art. 4, D.P.R. 13 marzo 2013, n. 59 - cd. Autorizzazione integrata ambientale - AIA; artt. 9, 25, 29-quater e 269, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - Testo Unico Ambiente). (*) Avv. (Roma). (1) Si tratta dell’ “ennesima riforma”, dice il Consiglio di Stato, Comm. Speciale, nel parere 1127/2018 del 27 aprile 2018 reso sul rappresentante unico in conferenza di servizi. RASSeGnA AVVoCATURA 260 DeLLo STATo - n. 2/2018 Ma - ed è quel che qui più rileva ai presenti fini - con l’art. 8 di detto Titolo II si è prevista una clausola generale di coordinamento con la restante normativa (quasi di chiusura del sistema, si potrebbe dire). Infatti, si legge in tale articolo - in linea con lo spirito riformatore - che i rinvii operati dalle varie disposizioni, vigenti nell’ordinamento, agli artt. 14 e seguenti della legge n. 241/1990 devono intendersi riferiti alle nuove corrispondenti disposizioni della legge n. 241/1990 (come introdotte dal citato D.Lgs. 127/2016). non sarà, certamente, agevole il compito dell’interprete per chiarire le norme di settore che si richiamino, in un modo o nell’altro, alle disposizioni degli articoli 14 e segg. della legge 241/1990 e che, stando al predetto articolo 8, dovrebbero applicare integralmente il nuovo dettato normativo scaturito dalla “Riforma Madia”. 2. il dissenso/opposizione in Conferenza secondo la legge 241/1990. Per quanto d’interesse nel presente contributo, tra le nuove disposizioni recate dal D.Lgs. 127/2016 rientra l’art. 14-quinquies con il quale si delinea, con talune innovazioni rispetto al passato, quel particolare e articolato sistema diretto al componimento delle posizioni delle amministrazioni preposte alla cura di quegli interessi che vengono definiti “sensibili” (ossia relative a materie oggetto di protezione rafforzata, ovvero, secondo Cons. Stato, VI, 23 maggio 2012, n. 3039, quegli interessi “… di particolare eco generale, di incidenza non riparabile o facilmente riparabile, di valore costituzionale primario”. non rientrerebbe in tale quadro, l’urbanistica, stando a Cons. Stato, VI, 30 settembre 2015 n. 4545). Si legge infatti - nel nuovo comma 1 dell’art. 14-quinquies - che alle “amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini” è data facoltà di proporre opposizione dinanzi al Consiglio dei Ministri - vero e proprio organo decisorio, come si avrà modo di precisare - avverso la determinazione conclusiva della conferenza a condizione che il loro dissenso sia comunque già stato espresso in maniera inequivoca in sede di conferenza. Già in precedenza, si era affermato che la presenza di dissenso in tali materie “spoglia” totalmente la conferenza (invero, il soggetto procedente) della capacità di proseguire oltre, anche se sarebbe forse più corretto affermare che si verifica, comunque, una sospensione della (determinazione conclusiva della) conferenza in attesa delle eventuali decisioni del Consiglio dei Ministri. Tuttavia, affinché operi il meccanismo devolutivo in parola, deve trattarsi, però, di una amministrazione che sia “istituzionalmente” preposta alla tutela dell’interesse “sensibile” - qualificato e di rilievo costituzionale, come ribadisce pure Tar Lazio, 9 febbraio 2015, n. 2338 - e non di una amministrazione che, occasionalmente, possa essere investita di quell’interesse. In tale quadro, è utile richiamare pure il parere del Consiglio di Stato, I sez., n. 1152 del 10 maggio 2016 il quale, pur riconoscendo che una Provincia a volte è investita DoTTRInA 261 della tutela della pubblica incolumità, non per questo può essere definita come amministrazione “istituzionalmente” preposta alla sua tutela (e, quindi, il suo dissenso in merito non prevede l’attivazione del meccanismo sopra cennato presso il Consiglio dei Ministri ma rientra al più nel calcolo delle posizioni prevalenti - si parla a volte, ma erroneamente, di maggioranza - di cui dovrà tener conto l’amministrazione procedente quando assumerà la determinazione di conclusione della Conferenza). 2.1 il procedimento e l’autorità preposta. Il dissenso e l’opposizione proveniente dalle amministrazioni di cui in precedenza introducono, come detto, un meccanismo procedimentale (risolutorio, in un senso o nell’altro) davanti al Consiglio dei Ministri. Al riguardo si è posto subito il problema se e in che misura lo stesso Consiglio dei Ministri possa dirsi (o meno) organo decisorio di tale fase, atteso l’insolito contrasto sul punto, insorto subito dopo l’approvazione del nuovo testo di legge. Infatti, secondo quanto si legge nelle schede di lettura proposte dal Governo sul contenuto della riforma della Conferenza (2) “il Presidente del Consiglio, il quale riceve l'opposizione, non è organo decisorio (una previsione siffatta sarebbe viziata da eccesso di delega) bensì di impulso alla composizione degli interessi”. Ma, ad esaminare, invece, la posizione della giurisprudenza (invero formatasi prima della nuova legge ma con argomenti che possono ritenersi validi anche oggi) emerge subito il contrasto tra l’indicazione governativa e quanto più volte affermato dalla stessa giurisprudenza (anche costituzionale) sul ruolo “decisorio” del Consiglio dei Ministri: tra le altre, cfr. TAR Umbria, I, 10 novembre 2017, n. 687 che cita i precedenti di Cons. Stato, VI, 23 maggio 2012, n. 3039; IV, 12 giugno 2014, n. 2999; TAR Calabria, I, 17 novembre 2016, n. 2222. A tali decisioni si è pervenuti sull’assunto che, in sede di procedimento di opposizione aperto presso il Consiglio dei Ministri, i partecipanti formulano, in attuazione del principio di leale collaborazione, proposte per l’individuazione di una soluzione condivisa, che sostituisca la determinazione motivata di conclusione della conferenza con i medesimi effetti. Qui il concetto di “sostituzione” - che è quello comunemente adoperato per indicare gli effetti della decisione in Conferenza (3) - appare effettivamente più aderente alla realtà posto che si tratta (ma - come si dirà - nel solo caso di accoglimento del dis- (2) Cfr. Atto del Governo n. 293 - Dossier n. 323 del maggio 2016. (3) In effetti, in via ordinaria, la Conferenza di servizi non sostituisce pareri, nulla osta, autorizzazioni, etc. delle amministrazioni convocate bensì assorbe, raccoglie e coordina gli stessi in vista della “decisione” finale che spetterebbe in ogni caso all’amministrazione procedente: vedi TAR Lazio, Sez. II-quater, 9 febbraio 2015, n. 2338 (ed ivi richiami ai precedenti) che lodevolmente ribadisce che la Conferenza in sé non è “decidente” in luogo delle amministrazioni convocate. RASSeGnA AVVoCATURA 262 DeLLo STATo - n. 2/2018 senso) di eliminare/superare con la decisione del Consiglio dei Ministri (che non può dirsi così, meramente confermativa) la determinazione di conclusione contestata e la cui efficacia è rimasta, come vuole la legge, sospesa. Il Consiglio dei Ministri può, quindi, modificare (anche parzialmente, come auspicava la Commissione Speciale del Consiglio di Stato nel proprio parere sul nuovo testo di legge) il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza anche in considerazione degli esiti delle riunioni allo scopo convocate. È utile aggiungere, quanto alla natura della decisione del Consiglio dei Ministri, che è da tempo condivisa l’opinione che la stessa costituisca atto di “alta amministrazione” (4), come si era già chiarito dopo la modifica introdotta nel 2005, dell’art. 14-quater (si vedano anche, oltre a quelle in precedenza citate, Cons. Stato, I, parere 10 maggio 2016 n. 1152 e, più di recente, Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392). È lecito, così, proporre a questo punto - in attesa di chiarimenti legislativi o forse, più sperabilmente, giurisprudenziali - quanto è ricavabile dal complesso sistema delineatosi sul tema che ci occupa: - se dal Consiglio dei Ministri viene respinta l’opposizione, acquista definitivamente efficacia la determinazione motivata di conclusione (verbale/provvedimento) della Conferenza adottata dal soggetto procedente e che era rimasta “sospesa”; - se, invece, l’opposizione/dissenso viene accolta (con o senza modifiche, anche parziali), la determinazione conclusiva (sospesa nell’efficacia ma che pur dovrebbe assumersi) perderebbe valore poiché subentra il potere “decisorio” - sostitutivo - del Consiglio dei Ministri (potremmo azzardare: la Conferenza e la sua decisione si sposta di sede, anche istituzionale) (5). Si ripete quanto già disegnato dall’art. 25 D.L. 133/2014 (convertito in legge 164/2014: c.d. “Sblocca Italia”) il quale - a ben leggere le parole della Corte Costituzionale n. 142 del 16 giugno 2016, riferita alla citata norma del D.L. 133/2014 - rispetta in pieno il principio costituzionale di leale collaborazione tra le amministrazioni (anche quando, dice la Corte, dovesse permanere l’opposizione e il Consiglio dei Ministri dovesse adottare la deliberazione finale che potrebbe pure basarsi - con motivazione specifica e concreta - sui punti di contatto condivisi durante le trattative, ottenendo, per questo verso, quasi un “parziale consenso”). (4) Come si dirà in appresso, anche tali atti, pur di elevato livello, sono sindacabili davanti al giudice amministrativo ma solo per mancanza dei presupposti ex lege o per manifesta irragionevolezza della scelta in concreto operata (per ampie considerazioni, vedi Cons. Stato, III, 8 settembre 2014, n. 4536). (5) A sostegno, si potrebbe citare Cass. SS.UU., 16 aprile 2018 n. 9338 che vede, nel potere del Consiglio dei Ministri in merito, una attribuzione discendente direttamente dalla legge. DoTTRInA 263 Alla fine, è necessario che qualcuno decida, sembra dire la Corte, onde superare nei termini suindicati un - non accettabile - blocco procedimentale (viene richiamata, anche, la sentenza della stessa Corte Costituzionale n. 1 del 14 gennaio 2016). Al riguardo, paiono pure estremamente significative le parole di Cons. Stato, IV, 28 dicembre 2017, n. 6120 - come anche IV, 8 gennaio 2018 n. 67 - là dove si legge che in presenza di un dissenso si verifica “… una cesura del normale ordine delle competenze venendosi a determinare una attribuzione del potere provvedimentale del tutto nuovo ed extra ordinem … per la tutela di valori costituzionalmente garantiti, attribuzione … che certamente non è presente in capo ad organi diversi dal Consiglio dei ministri”. Ma non per questo si deve parlare di atto politico quanto bensì di un provvedimento di “alta amministrazione” (o, se si vuole, politico-amministrativo) pur sindacabile - si parla di sindacato debole poiché vi è un tasso di elevata discrezionalità - in ordine alla sussistenza o meno di presupposti previsti dalla legge oppure per manifesta irragionevolezza, incoerenza, inadeguatezza (si richiedono, al riguardo, una istruttoria e una motivazione adeguata: Cons. Stato, IV, 29 febbraio 2016, n. 808; TAR Lombardia, Brescia, 13 ottobre 2017, n. 1225; e anche Cons. Stato, IV, 26 settembre 2013, n. 4768 ed ivi precedenti richiamati tra cui Cons. Stato, VI, 23 maggio 2012, n. 3039). Come acutamente rileva Tar Lazio, 9 febbraio 2015, n. 2338, si tratta - in tale sede - di manipolare con attenzione una fase delicata di “frattura” del principio di separazione tra “politica e gestione”. ovvero, in sostanza, il Presidente del Consiglio è, nel caso, organo “decisorio”. 3. L’art. 3 del D.P.r. 18 aprile 1994, n. 383/1994 per opere statali. Svolte queste considerazioni di carattere generale sulla legge n. 241/1990 può rivolgersi l’attenzione all’art. 3, D.P.R. 383/1994 (nel testo vigente e risultante dalle modifiche del D.L. 185/2008 conv. nella Legge 2/2009) secondo cui viene convocata una Conferenza di Servizi a seguito dell’inutile preventivo tentativo d’intesa con la Regione per la localizzazione urbanistico/edilizia (dell’opera per cui si procede) cui il Regolamento in parola è dedicato. nella apposita Conferenza per la quale la norma qui in esame rimanda, come detto, alla legge 241/1990 - sia pure non direttamente (6) - si acquisisce, invero, non solo l’intesa Stato-Regione bensì si acquisiscono anche tutti gli altri permessi occorrenti. Fino a questo punto non vi sarebbe luogo per (6) Il rinvio, sin dall’entrata in vigore del DPR 383, è formalmente diretto alla legge 537/1993 (legge finanziaria per il 1994) ma detta legge rimanda espressamente alla conferenza di servizi della legge 241/90 e successive modificazioni. Ma detto rinvio è da considerarsi “mobile” per cui dovrebbe tenersi conto di tutte le modifiche che intervengono sulla legge 241/90. RASSeGnA AVVoCATURA 264 DeLLo STATo - n. 2/2018 la distinzione tra detta Conferenza e quella “ordinaria” della legge 241/1990. Più precisamente, anche per tale specifica normativa, in via generale, l'amministrazione statale procedente (il M.I.T.), d'intesa con la regione interessata, valutate le specifiche risultanze della conferenza di servizi e tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse in detta sede, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento di localizzazione dell'opera (e, a rigore, di acquisizione di ogni permesso). Fin qui, nulla di diverso rispetto alla legge 241/1990, se, però, non vi sono dissensi per “interessi sensibili”. Perché, altrimenti, le strade possono divaricarsi. Vi è, infatti, nel D.P.R. 383 una specificità: in tal caso si applicano, come espressamente previsto, le disposizioni di cui all'articolo 81, quarto comma, del 24 luglio 1977, n. 616, nel senso che è possibile superare il dissenso stesso tramite un Decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Quindi, un diverso iter ed un diverso organo decisionale (rispetto a quello - Presidente del Consiglio dei Ministri) previsto dalla legge 241/1990 nei termini soprarichiamati. 4. il rapporto tra le due normative. Ma l’operatore e l’interprete devono chiedersi: dopo il recente intervento normativo, esiste davvero (e in che misura) un contrasto tra le normative sopraindicate oppure può esservi coesistenza? A beneficio dell’esatto inquadramento della questione posta, giova premettere che, nel riordino del quadro procedurale delineato dalle nuove disposizioni del titolo II del D.Lgs. 127/2016, l’art. 8 di detto decreto non ha fatto espresso richiamo - a differenza di altre normative come si è rilevato nelle premesse - al citato D.P.R. 383/1994 (il quale, quindi, risulta formalmente esistente). A confrontare, però, i due provvedimenti normativi di cui trattasi, emerge sostanziale contrasto sulle modalità di superamento del dissenso a dirimere il quale l’interprete deve preliminarmente richiamare le “Disposizioni sulla legge in generale” c.d. “Preleggi” al codice civile e, tra di esse, l’art. 15, primo fondamentale criterio interpretativo del rapporto tra leggi che si succedono nel tempo che merita, pertanto, apposita riflessione partendo dall’assunto che tra leggi di pari rango e natura prevale, per disposta abrogazione o incompatibilità nel regolare una intera materia, quella più recente. Ma non è questo il caso di cui trattasi poiché, a quanto è dato evincere, il rapporto nella questione in esame, correrebbe fra normative, in un modo o nell’altro, diverse. DoTTRInA 265 5. il rapporto tra legge generale posteriore e legge speciale anteriore. Giova muovere dal principio acquisito secondo cui “lex posterior generalis non derogat priori speciali” ossia la norma generale successiva non abroga la norma speciale antecedente (quest’ultima, per l’effetto, costituirebbe una deroga della prima). Questo principio, come ha chiarito la Corte Costituzionale, non vale, però, in assoluto in quanto, di volta in volta, va verificata l’intenzione del legislatore (verifica che, al limite, potrebbe condurre a ritenere abrogata la norma speciale). Conta, quindi, in caso di possibile conflitto tra norme, il distinto canone interpretativo (7) che valga a stabilire la capacità della norma speciale (in tesi, il D.P.R. 383/1994) a sottrarre una certa categoria di casi (in tesi, le opere statali e il superamento del dissenso) alla disciplina prevista, per gli stessi casi, in via generale (sempre in tesi, la legge 241/1990 nella parte di interesse: l’art. 14-quinquies). Come ricorda, Cons. Stato, Sez. II, 12 ottobre 2016, n. 2439, a norma dell’art. 15 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile, vi è abrogazione inespressa (tacita) di una legge quando vi è incompatibilità fra nuove e precedenti leggi, ovvero quando la nuova legge regoli “l’intera materia” già regolata dalla legge anteriore (abrogazione implicita); per cui detta incompatibilità sussiste se vi sia una contraddizione tale da rendere impossibile la contemporanea applicazione delle due leggi a raffronto, e tale che dall’applicazione ed osservanza della nuova legge derivi necessariamente la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra (tra le altre, Cass., I, 21 febbraio 2001, n. 2502). È stato peraltro, ribadito che il principio “lex posterior generalis non derogat priori speciali”, che ha la sua ragion d’essere nella migliore e più adeguata aderenza della norma speciale alle caratteristiche della fattispecie oggetto della sua previsione, non vale (quindi si afferma il primato della legge successiva) quando dalla lettera e dal contenuto di detta legge generale successiva si possa evincere la volontà di abrogare la legge speciale anteriore oppure quando la discordanza fra le due disposizioni - anteriore e posteriore - ne renda impossibile la coesistenza (vedi Cass., sez. lav., 20 aprile 1995, n. 4420). In altre parole, sempre a detta della giurisprudenza (cfr. anche Cons. Stato, Ad. Plen. n. 17/2016) il criterio indicato dall’art. 15 delle Preleggi al cod. civ. è solo “un criterio orientativo” volto a temperare il primato che normalmente viene riconosciuto alla legge posteriore (per ragioni cronologiche). Resta, però, sempre valido il principio di una corretta interpretazione della legge posteriore dal cui contenuto, come detto, dipende l’applicabilità o meno del canone interpretativo qui in esame. (7) in primis quello letterale di cui all’articolo 12 delle preleggi: cfr. Cass. civ., III, 11 marzo 2014, n. 5595; Cons. Stato, II, 6 novembre 1996, n. 950. RASSeGnA AVVoCATURA 266 DeLLo STATo - n. 2/2018 5.1 il rapporto tra una legge e un regolamento. Ma il raffronto tra norma generale e norma speciale ha un presupposto implicito, come si ricava dalla prassi giudiziaria e cioè: il raffronto deve avvenire tra fonti normative di eguale livello (ciò che, almeno in apparenza, non sembra nel caso di specie). Infatti, si rinviene in giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 30 settembre 2015, n. 4545) taluna posizione che, entrando nel merito del rapporto tra la legge 241/1990 e un Regolamento (nel caso esaminato dai giudici, il D.P.R. 509/1997 (8) invocato da taluna delle parti in giudizio, quale “procedimento speciale”), giunge ad affermare: “Vale anzitutto osservare che la legge sul procedimento amministrativo ha portata ed applicazione universale, onde gli istituti giuridici dalla stessa introdotti (per quel che qui rileva per finalità acceleratorie e di semplificazione procedimentale) devono trovare indistinta applicazione in relazione a tutti i procedimenti amministrativi previsti da leggi pregresse, siano esse di fonte statale o regionale. Quel modello procedimentale deve trovare applicazione in relazione ad un procedimento previsto da una fonte normativa statale di rango secondario (come appunto il richiamato regolamento di cui al citato D.P.r.)” (9). Si confermerebbe, quindi, la natura di fonte normativa del regolamento (10) ma di tipo secondario e subordinata alla legge primaria (cfr., per ampie riflessioni, TAR Lazio, II, 22 febbraio 2016, n. 2283). In via generale, esso è considerato atto di normazione secondaria in relazione al quale è stato tratto il principio - pacifico - che, in via generale, un regolamento non può abrogare o derogare ad una legge mentre una legge può sempre abrogare o derogare ad un regolamento. Ma tale principio è messo a dura prova da una circostanza sempre più frequente: i c.d. “regolamenti delegati” o autorizzati dalla legge (come sembra ragionevolmente potersi dire di quello di cui trattasi) potrebbero, ove espressamente previsto, derogare a singole norme o disciplinare particolari materie (in sostituzione di precedenti leggi “primarie”) (11), svolgendo così una funzione più ampia di quella ordinariamente conferita ai regolamenti tipici (tradizionali). (8) Questo Regolamento sulla disciplina delle concessioni demaniali marittime - considerate la genesi e la struttura - può dirsi l’omologo del D.P.R. 383/1994 relativo alle opere statali in genere. (9) Anche il 383/1994 è un D.P.R. che contiene un “Regolamento” sebbene l’art. 3 sia stato, come detto, modificato e riscritto per adeguarlo al criterio delle posizioni prevalenti, con un atto avente forza di legge (D.L. 185/2008 convertito in legge 2/2009). (10) L’inquadramento di tali figure non è pacifico al punto che acuta dottrina definisce “figure ibride” i regolamenti: così F. CInTIoLI, in Potere regolamentare e sindacato giurisdizionale, 2007, Torino; vedi anche l’ampia ricognizione operata nella voce “regolamenti” di A. CeRRI, in Enc. Giur. Treccani, Roma 1991. (11) I più autorevoli costituzionalisti in tal senso hanno parlato, a proposito dei regolamenti in parola, di “espedienti o finzioni o travestimenti”. DoTTRInA 267 6. Conclusioni. Se una conclusione deve trarsi da quanto sopra esposto questa va nel senso di un dilemma che porta con sé una serie di sottesi interrogativi e così: 1) la conferenza di servizi della legge 241/1990 come da ultimo modificata dal D.Lgs. 127/2016 - e proprio per effetto di tale decreto - è istituto di universale applicazione? 2) per le opere statali, il D.P.R. 383/1994 (che pure richiama la legge 241/1990 e la conferenza ivi prevista) è un atto di normazione secondaria che recede (12) del tutto di fronte alla legge 241/1990 oppure - al di là della sua veste formale - è da ritenersi sostanzialmente, e per quali ragioni, “legge speciale”? 3) e se anche fosse “legge speciale”, potrebbe resistere alla legge 241/1990 lo stesso D.P.R. 383/1994 nella parte in cui quest’ultimo prevede (13), per superare il dissenso delle amministrazioni statali preposte alla cura di “interessi sensibili” ricorso al decreto del Presidente della Repubblica (invece di ricorrere, come vuole la legge 241/1990, alla sola Presidenza del Consiglio dei Ministri)? 4) la scelta dell’uno meccanismo in luogo dell’altro (o viceversa) è indifferente? oppure potrebbe dar luogo a taluna censura (es. per violazione dell’ordine formale delle competenze)? SiNTESi FiNaLE Se è ammissibile un sommesso tentativo di risposta al quesito (o ai quesiti) di cui sopra, si potrebbe sostenere che tutto milita a favore della applicazione dell’articolo 14-quinquies della legge 241/1990, nel testo introdotto nel 2016, anche per quel che concerne le opere statali ed il superamento del dissenso nei ivi casi previsti. La prassi delle amministrazioni interessate conosce (vedi, ad es., D.P.r. 4 dicembre 2017 in Gazz. Uff. 24 febbraio 2018 n. 46) tuttora applicazione integrale del D.P.r. 383/94 senza che ciò abbia dato luogo, a quanto risulta, a censure o contestazioni per via giudiziale. ma il problema rimane aperto. (12) Come si ricaverebbe dal citato Cons. Stato 4545/2015. (13) La vera grande sostanziale differenza tra le due normative qui in esame, ma non sembrerebbe - argomentando da Cons. Stato, 22 aprile 1976, n. 651 - questa previsione l’elemento tipico di specialità (in aggiunta a quanto regolato dalla legge 241/1990) che caratterizza la persistenza della “legge” speciale. RASSeGnA AVVoCATURA 268 DeLLo STATo - n. 2/2018 Letteratura giuridica sul WTO e ...s.. del dogma neoliberista, inclusivo dell’integrazione monetaria di Maastricht (e di un’idea dell’interesse di gruppo) Federico Maria Giuliani* Dopo l’Uruguay Round e il trattato di Marrakesh del 1994, una cospicua letteratura di diritto dell’economia si è diffusa - con profili sostanzialmente propagandistici - in tema di World Trade organization (cui aderirono all’origine 117 Paesi contro i 23 del GATT ginevrino del ‘47). ora la filosofia storico-giuridica pone in luce le patologie della globalizzazione postideologica (neoliberista e finanziaria), comprendente - sul piano degli eventi ancor prima delle teorie - l’unione economico-monetaria decisa a Maastricht nel 1992. In questo clima asfittico, agiografico da un lato e disperante dall’altro - dove l’interesse del gruppo multinazionale risulta ipostatizzato nella prospettiva di diritto societario -, soccorre come ossigeno, promanando da una dottrina commercialistica “oltre-moderna”, il saggio che muove da un’enciclica papale, posto in apertura degli Scritti in onore di Vincenzo Salafia (novembre 2015). Sommario: 1. Letteratura giuridica sul WTo - 2. ...s.. e ..µes.. del neoliberismo - 3. Collegamento alla dottrina commercialistica più avanzata. 1. Letteratura giuridica sul WTo. Il passaggio dal GATT alla World Trade organization è stato accompagnato da una descrizione acritica - in buona sostanza un’agiografia narrativa - in diritto dell’economia (1). Ma più attenzione, proprio alla economia, avrebbe potuto indurre a maggiore criticismo empirico-teorico. (*) LL.M. avv. (Milano). (1) in primis richiamo, per essere autocritico, me medesimo e dunque: F.M. GIULIAnI, Strumenti e regole del commercio internazionale, novara, Interlinea, 1996, pp. 11-24. adde ex plurimis: V. UCk- MAR, “Introducion”, in ID. (coord.), Curso de derecho tributario internacional, Bogotà, Temis, 2003, t. I, pp. 3 ss.; V. TAnzI, “Globalization, Tax Competition, and the Future of the Tax Systems”, in V. UCkMAR (coord.), L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Padova, Cedam, 2000, pp. 837 ss.; A. Hen- RIkSen, international Law, oxford, oxford University Press, 2017, pp. 220 ss.; S. ARMeLLA, Diritto doganale, Milano, egea, 2015, pp. 2 ss.; G. CoRASAnTI - P. De’ CAPITAnI DI VIMeRCATe - V. UCkMAR - C. CoRRADo oLIVA, Diritto tributario internazionale. manuale, II ed., Padova, Cedam, 2012, pp. 40 ss.; F. CeRIonI, “ordinamento doganale e commercio internazionale”, in M. SCUFFI - G. ALBenzIo - M. MICCIneSI, Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali. manuale, Milano, Ipsoa Wolters kluwer, 2014, pp. 133 ss.; G. PReSTI - M. ReSCIGno, Corso di diritto commerciale, vol. I, Bologna, zanichelli, pp. 10-13. adde, (se pure non in tema di WTo) ma sul rapporto tra norme europee e disposizioni delle convenzioni bilaterali in materia tributaria stipulate dai singoli Stati Membri con Paesi non-Ue, G. PALADInI, “Brevi note sul rapporto tra clausole anti abuso nei trattati internazionali in materia tributaria e diritto comunitario”, in G. MARIno (a cura di), Temi attuali di diritto tributario comunitario, Milano, egea, pp. 48 s., ove si auspica - stante la «economia globale» - «un ordine giuridico globale», un «intervento nell’ambito del diritto internazionale al fine di regolare fenomeni economici transnazionali e globali» (ai fini di certezza e ottimizzazione dei relativi flussi finanziari). DoTTRInA 269 È infatti vero che un mondo pieno di dazi sarebbe più povero; ma è pure vero che questo vale soltanto a certe condizioni, fra cui la prima regola è quella del surplus commerciale. Affinché, cioè, vi sia vantaggio per tutti nel libero commercio internazionale, occorre che non vi sia nessun Paese che esporta stabilmente più di quanto importa, accumulando così - anno dopo anno - saldi commerciali attivi. Se ciò accade, il libero commercio internazionale non equivale a equa ripartizione/distribuzione di vantaggi e svantaggi, poiché succede che il Paese in stabile surplus mostra piena occupazione, mentre i Paesi verso cui esso esporta hanno sempre più settori industriali in crisi. Dal che ulteriormente deriva - come difesa/contromossa - una pressione, dai settori afflitti da disoccupazione, a limitare fortemente le importazioni dal Paese in surplus; mentre i Paesi in surplus (quali ora Cina nel mondo, Germania in europa, e nel secondo dopoguerra Stati Uniti) tendono a non frenare il proprio attivo commerciale, pena la riduzione interna dei consumi settoriali e una diminuzione di ricchezza/potenza nel mondo (2). Questo ragionamento taglia trasversalmente - strappandolo - il tratto paralogistico insito nella narrazione giuridica del libero commercio mondiale di cui sopra. “Paralogistico” nel senso kantiano di “dialettico”, cioè falsamente “dogmatico”, ovvero - sempre nei termini del pensatore di königsberg - non “analitico” (3). eppure verrebbe da pensare che, in diritto dell’economia, al solito emergendo l’oeconomicum sul iuridicum, problematiche quali il surplus commerciale e la crisi/disoccupazione locale-settoriale non passino inosservate. Così come, del resto, l’economia emerge perspicuamente in temi quali l’inadempimento del contratto - situazioni, conseguenze, rimedi (4) -, ovvero l’interpretazione della legge in generale (5). Perché? - viene da domandarsi. Forse perché, riprendendo i due esempi appena fatti, una cosa è la scienza del diritto, cioè la scienza giuridica - e ivi l’analisi economica costituisce un possibile strumento di lettura del dato (norma-fatto) -, altra cosa è la teoria pura della scienza del diritto, cioè scienza/conoscenza della scienza giuridica e della omologa praxis fenomenica (6). Quest’ultima, e non quella, è metagiurisprudenza (7), laboratorio concettuale, costruzione di concetti puri. Si dirà: ma un tema quale quello dell’interpretazione è già un oltrepassare (2) Cfr. il perspicuo (pour cause studioso di scienze sociali, oltreché giurista), R. LUPI, manuale giuridico di scienza delle finanze, Roma, Dike, 2012, p. 106. (3) I. kAnT, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che possa presentarsi come scienza, a cura di R. PeTToeLLo, Brescia, La Scuola, 2016 (ed. or. 1783). (4) P. TRIMARCHI, il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, Giuffrè, 2010. (5) F. DenozzA, Le norme efficienti, Milano, Giuffrè, 2002. (6) Così, lucidamente, G. CAPozzI, Filosofia, scienza e “praxis” del diritto. idee per una critica della ragione giuridica, Pisa, eTS, 1982, passim. (7) R. GUASTInI, Filosofia del diritto positivo. Lezioni, a cura di V. VeLLUzzI, Torino, Giappichelli, 2017, p. 2. RASSeGnA AVVoCATURA 270 DeLLo STATo - n. 2/2018 il diritto positivo e la sua scienza, ché l’interpretazione si pone domande fondanti su come comprendere e applicare, cioè su come tra-passare dalle disposizioni alle norme, e poi trarne sentenze. Sì, ma anzitutto nell’ordinamento italiano (e non solo) l’interpretazione è materia di diritto positivo (8); inoltre, una cosa è lo studiare metodi interpretativi (di testi e comportamenti), altra cosa è l’interrogarsi sull’a priori del che cosa significa interpretare, in scienza e praxis giuridiche: chiedersi cioè quali e come sono - se ve ne sono - le condizioni generali di possibilità, per la ragion pratica, dell’attività giuridico-interpretativa come scientifico-sociale. Questa, e non quella, è una operazione trascendentale, cioè filosofica in senso proprio. La filosofia del diritto, cioè, s’interroga (fra l’altro) su come i giuristi, e i giudici e i funzionari, svolgono il tema dell’interpretazione. Sicché i giuristi dell’interpretazione diventano, per il filosofo del diritto, a loro volta oggetto di studio (9). Da qui si comprende come, soltanto con un approccio a priori, si sarebbero potuti considerare il Trattato WTo e i suoi Allegati, tenendo in conto la nostra sensibilità-conoscenza. Questa non può oggidì prescindere, ad esempio, dalle su menzionate distonie comparative - cioè macroeconomiche locali -, correlate all’eliminazione dei dazi nel commercio globale, piuttosto che al laissez faire di ascendenza smithiano-fisiocratica. e dunque si sarebbe potuto tenere conto, exempli gratia, anche del fatto che la Cina post-maoista è cresciuta economicamente seguendo Alexander Hamilton piuttosto che Milton Friedman (che pure in Cina si recò in visita ufficiale nel 1980), nonché del fatto che la Cina aderì al WTo solo sette anni dopo il Trattato di Marrakesh. Diversamente - in termini deleuziano-guattariani -, nella narrazione positivistica da cui si sono prese le mosse, l’oeconomicum del capitale finanziario (quello del produrre per produrre) ha “decodificato” la macchina per se desiderante, intellettualmente lavorante, dello scrittore giuridico. Questi è, in quanto tale, macchina desiderante come flusso energetico nomade, inevitabilmente internazionalistico (liberale o socialista): è dunque attratto, figurativamente, dalla liberalizzazione del commercio internazionale; e tuttavia è, senza colpa, sussunto-nella/rassicurato-dalla macchina capitalistica mondiale, dante senso e legge (10). Così ha finito con il prevalere, pur senza interesse personale (8) Artt. 3, 5 e 12, Preleggi; artt. 26 ss., Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, 23 maggio 1969; artt. 31 ss., Convenzione fra organizzazioni Internazionali, 2 marzo 1986. (9) e infatti vedi G. CAPozzI, op. cit. adde, come esempio di attività gius-filosofica autentica, il bel lavoro di S. BeRTeA, Certezza del diritto e argomentazione giuridica, Catanzaro, Rubbettino, 2002. Può essere che la riferita (nel testo) «metodologia di retroguardia», a differenza di quanto accade nel sapere umanistico e scientifico, incontri nel diritto una secolare tendenza limitativa: A. CoSTAnzo, L’argomentazione giuridica, Milano, Giuffrè, 2003, p. 1 s. (10) Cfr. G. DeLeUze - F. GUATTARI, L’anti Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino, einaudi, 2002 (ed. or. 1975). Su come le immagini e le emozioni incidano nei processi interpretativi del giurista, si è formata un’interessante letteratura di c.d. neurolaw (neuroscience and law): o.D. JoneS et al., Brain DoTTRInA 271 né “imputabilità”, il dis-interesse per importanti sofferenze ascrivibili all’abuso del libero commercio internazionale. Ha prevalso il mito (11) del neoliberismo anti-keynesiano e friedmaniano, già incistato nel Trattato di Maastricht (di poco edulcorato a Lisbona) (12): una sola teoria economica fatta assurgere a surrogato politico assoluto, cioè il controsenso dell’economia, la quale non conosce una verità. In controtendendenza - a riprova della relatività delle teorie economiche -, da ultimo i “Chicago Boys” sono stati “sconfessati” dall’attuale governo di Washington, posto che, quale side effect del neoliberismo, quello ora cammina verso un palese nazionalismo anti-globalista - con le tipiche controffensive sulle altre sponde (dazi euro-cinesi; come già prima, a dispetto degli altri Membri del WTo, gli accordi “TTIP” tra U.S.A. ed europa) (13). Sicché, tornando al punto di partenza, la sostanza della narrazione manualistico- apologetica del WTo assume i tratti - in ottica filosofico-politica (14) - della propaganda, essendo tipico di questa che a suo mezzo il potere economicistico-finanziario (15) s’imponga, tramite un linguaggio di slogan di tipo pubblicitario. In termini, a sua volta, di diritto commerciale, la propaganda del libero commercio mondializzato per un verso si basa sull’interesse ipostatizzato del gruppo d’impresa multinazionale (16); e per altro verso fa riferimento ai flussi imagining for Legal Thinkers: a Guide for the Perplexed, 2009 STAn. TeCH. L. ReV. 5; THe RoyAL So- CIeTy, Brain Waves module 4: Neuroscience and the Law, in https://royalsociety.org. Che d’altra parte i rapporti in quanto tali - e dunque anche quello di cui sopra nel testo - siano di forza/potere/ conflitto/contesa/contrapposizione/potenza, non risulta solo da una delle penne più originali del nichilismo di oggi (M. FoRTUnATo, L’offesa, la colpa, il fantasma. muovendo da Caducità di Freud, Genova, Il Melangolo, 2013, p. 133, sulle orme di T.W. Adorno); né occorre all’uopo “scomodare” J. P. SARTRe, L’universo della violenza, a cura di F. SCAnzIo, Roma, editrice Internazionale, 1991 (ed. or. 1983), p. 40. Ché, per la verità, anche un professional harvardiano come V. DIVIACCHI, Existential Philosophy of Law, in https://www.academia.edu, insiste efficacemente sul punto in questione. (11) Cfr. P. MISHRA, The rise of China and the Fall of the ‘Free Trade’ myth, in New York Times, Feb. 7, 2018, e in https//:www.nytimes.com/2018/02/07magazine. (12) G. LAMALFA, L’Europa legata. i rischi dell’euro, Milano, Rizzoli, 2000, passim. (13) Fatti salvi revirements presidenziali, di nuovo nel senso del free trade, sulle orme dello speech di Donald Trump al Forum di Davos 2018. (14) B. MonTAnARI, La fragilità del potere. L’uomo, la vita, la morte, Milano-Udine, Mimesis, 2013, pp. 38 ss., ove il fine propagandistico, ovviamente, è individuato nel formare consenso facile su questioni invero controverse. (15) Sullo strapotere finanziario - apolide-informatico - nella globalizzazione, si consulti G. TRe- MonTI, Uscita di sicurezza, Milano, Rizzoli, 2012, pp. 57 ss. (16) Vi torneremo infra, al par. 3, e ivi alle note 38 ss. Piuttosto, poiché al surplus e al deficit commerciale degli Stati si è fatto più volte riferimento, è bene riportare per inciso i dati seguenti: a) la bilancia commerciale italiana per l’intero 2017 ha registrato un avanzo di 47,5 mld. euro (dai 49,6 del 2016), con esportazioni in crescita dell’8,2 % verso i Paesi extra-Ue, e del 6,7 % verso i Paesi Ue, rispetto al 2016; b) per parte sua l’eurozona ha registrato, secondo eurostat, nel 2017 un surplus d’interscambio col resto RASSeGnA AVVoCATURA 272 DeLLo STATo - n. 2/2018 monetari del capitalismo estremo, atteso che fra l’altro, dopo il 1994, in ambito WTo sono stati stipulati due Protocolli del Trattato di Marrakesh, dedicati proprio ai servizi finanziari (17). 2. ...s.. e ..µes.. del neoliberismo. Se è vero che, dopo nietzsche e Heidegger, non si può più pensare come prima - essendosi la “testimonianza” del vero storicizzata in un rapporto non più dualistico tra soggetto e oggetto (18) -, WTo e commercio internazionale devono essere scrutati altrimenti. V’è una ...s.. in atto - malattia grave del capitalismo mondializzato, fino a Cina e India -, che non può essere negletta. essa involge anche il sistema economico-monetario europeo, dove il potere tecnocratico (Banca Centrale), e quello lobbistico-burocratico (Commissione) (19), comprimono i singoli modelli di sviluppo dei Paesi Membri (non tutti invero), all’insegna della lotta contro l’inflazione come barrage nordico-germanico: slogan codificato (20). Si ha qui - in termini criticamente marxiani (21) - un primato dell’economico sul politico, nel senso che l’Europa monetaria si manifesta come pressione nordico-macchinica sulla politica economica di taluni Stati (tra cui Grecia e Italia); e intanto si tende a portare la moneta unica alla massima tensione, fin quasi ai limiti della rottura (con tutto ciò che di arduamente prevedibile da questa seguirebbe sullo scacchiere mondiale). e se, dall’Unione economico-monetaria, si passa al commercio internazionale, pensare questo oggi nella prospettiva della krísis significa scorgere i pesanti squilibri inter-planetari prodotti dal dogma neoliberista (22), che ha soppiantato il Welfare State del secondo dopoguerra. Significa cogliere il fatto che non soltanto Marrakesh 1994, ma anche Maastricht 1992 - questo con del mondo pari a 25,4 mld euro, con importazioni dalla stessa sfera extra-euro pari a 155,3 mld euro; c) quanto allo “scacco” intra-europeo dell’Italia, si noti che la Germania nel 2017 ha esportato il 46 % del suo PIL, con un surplus commerciale di 244,9 miliardi di euro (elaborazioni Ambasciata ed eIU). Tanto a fronte di esportazioni dell’italia, nello stesso anno, per meno di un terzo del suo PiL, che è una percentuale bassa rispetto a Spagna, Francia, Portogallo, Grecia, olanda e Irlanda. (17) Vedi P. BARGIACCHI - A. SInAGRA, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Milano, Giuffrè, 2009, p. 571. (18) G. VATTIMo, Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche e Heidegger, Milano, Garzanti, 1980, pp. 47 ss. (19) Sulle lobbies nei procedimenti normativi, da ultimo vedasi A. CATTAneo, il mestiere del potere. Dal taccuino di un lobbista, napoli, Laterza, 2018. (20) H.M. enzenSBeRGeR, il mostro buono di Bruxelles ovvero l’Europa sotto tutela, Torino, einaudi, 2013, pp. 67 ss. (ed. or. 2011), dove si parla di «ingresso in un’era postdemocratica» (c.vo aggiunto: n.d.r.). (21) Cfr. D. FUSARo, Europa e capitalismo. Per riaprire il futuro, Sesto San Giovanni, Mimesis, passim. (22) B. MonTAnARI, “Capire l’oggi”, in ID. (a cura di), Luoghi della filosofia del diritto. idee, strutture, movimenti, Torino, Giappichelli, 2012, p. 16. DoTTRInA 273 l’obiettivo della moneta unica -, hanno finito col decurtare interventi politici a sostegno dell’economia interna. Codesti interventi sono stati degradati/declassati a fattori distorsivi dei processi economici “naturali”, sotto il codice della concorrenza come idea pura, e della vertigo verso la già citata inflazione, così come per gli aiuti di stato (23). Il libero mercato senza sostegno pubblico all’industria, il contenimento delle politiche sociali nel settore del bilancio pubblico, il divieto di agevolazioni fiscali di settore, hanno coinciso con l’esaltazione di una politica europea meramente “economicistica”. Tanto è avvenuto/avviene in base a ciò: a) egida del divieto d’intervento pubblico nelle economie interne; b) principio di concorrenza nel mercato unico; c) idea-regola della parità di bilanci pubblici, vista come presupposto di un’economia sana e omogenea fra Stati Membri. Il tutto coincide con una visione neo-liberista, che invoca la concorrenza macchinica senza considerare/evidenziare i rapporti di forza, così creando il fenomeno elitario degli sparuti ricchi quali nuovi principes, i quali irridono alla moltitudine dei “poveri”, inclusiva non soltanto delle masse di migranti, ma altresì dei loro avversari nella lotta per la vita tra desperados: la ex piccola/ media borghesia, degradata, semi -“plebeizzata” e “medievalizzata” (24). 3. Collegamento alla dottrina commercialistica più avanzata. Il fallimento di una certa apologia/agiografia del liberismo, sul versante (inter alia) del libero commercio mondiale e dell’euro - la nuova caverna platonica del monoteismo “globalitarista/anglobarista”, “feudalizzante/postmoderno” (25) -, suggerisce in diritto il collegamento con un peculiare scritto, espressione di una dottrina gius-commercialistica di eccellenza (diremmo) post-ideologica/oltre-moderna (26). Ivi, muovendo dall’enciclica di Bergoglio Laudato si’, l’autore perspicuamente dipana tre gangli concettuali di notevole momento, anche per il nostro contesto. Anzitutto vi è la giustapposizione tra le parole scritte dal capo della chiesa (23) Ivi, p. 17. (24) Ivi, pp. 17-24. Piuttosto risibili d’altronde - siccome esautorate dalla storia economica - appaiono oggi le proposte di de-globalizzazione, a suo tempo formulate a vario titolo da: W. BeLLo, Deglobalizzazione. idee per una nuova economia mondiale, Milano, Baldini Castoldi Dalani, 2002, pp. 162 ss.; A. neGRI, il lavoro di Giobbe, Roma, Manifestolibri, 2002, pp. 106 ss. (potenza-lavoro contrapposta al potere-potenza); ID., Kairòs, alma Venus, multitudo, stesso ed., 2000 (per un - invero scarno e oscuro - superamento della marxiana sussunzione reale della società del capitale da parte della moltitudine); ID., La costituzione del tempo. Prolegomeni, stesso ed., 1997, (per un’auto-valorizzazione del lavoro negativo - o non lavoro - come totalità dislocata); M. HARDT - A. neGRI, impero, Milano, Rizzoli, 2003 (ed. or. 2000) (su di un potere costituente dell’operaio sociale/della moltitudine post-imperiale/post-liberista). (25) D. FUSARo, Pensare altrimenti. Filosofia del dissenso, Torino, einaudi, 2017, passim. (26) A. TOFFOLETTO, “Note minime a margine di Laudato si’”, in AA.VV., Studi in onore di Vincenzo Salafia, in Le società, n. 11/2015, pp. 1203 ss. RASSeGnA AVVoCATURA 274 DeLLo STATo - n. 2/2018 cattolica e l’art. 41 cpv. della Carta Costituzionale (27). L’economia sociale di mercato - sintesi dialettica, si sa, tra pensiero cattolico, azionista e marxista in sede costituente - deve portare (osserva Toffoletto) a soppesare attentamente gli effetti redistributivi e le esternalità negative correlate. Il linguaggio è chiaramente quello dell’analisi economica del diritto (eAL) - elaborazione dell’ideologia neoliberista (28) -, ma (si noti) il concetto di diseconomia a costo esterno (o esternalità negativa o danni a terzi) nasce con Arthur Pigou (London School), fondatore/assertore della Welfare Economics (29). Si tratta, come noto, dei non-risarciti nocumenti causati a terzi (l’intera società nel caso dell’ambiente) dalla condotta d’impresa; e sono, per Pigou, elementi d’irrazionalità sistemiche propri di market failure: donde la soluzione di tassare per esternalizzare i costi (Pigou Taxation). Quanto agli effetti redistributivi, siamo al clou della concezione antismithiana (a fortiori anti-liberista) del mercato, cioè all’opposto degli asseriti poteri di autoregolamentazione di questo. Se si affidano al mercato le risorse scarse, esse divengono oggetto di accaparramento da parte dei più ricchi (meccanismo automatico dei prezzi). Al riguardo, Calabresi e Bobbit propugnano, come si sa, scelte politiche mirate, oppure la ricerca dei più meritevoli, proprio ai fini di una redistribuzione [sorteggi e metodi consuetudinari a parte] (30). Il tuttto con attenzione ai diritti delle minoranze e degli atteggiamenti personali (31). Insomma siamo lontani - almeno così mi pare - dalle descrizioni (“di descrizioni”, direbbe Pasolini) manualistiche, carezzevoli rispetto alla mondializzazione “plebeizzante/anglobizzante” ed “elitario-finanziaria” (per dirla invece con Fusaro). Sì che - come si diceva - il linguaggio è bensì economico - dunque utilizza categorie dell’omonima scienza per cogliere le nuances dei fenomeni cui il diritto deve applicarsi -, ma l’analisi economica del diritto, come costruzione teorica estratta (in atenei statunitensi) dal neoliberismo, non è abbracciata, ma sottosposta a critica storico-concettuale. Il secondo spunto critico di Alberto Toffoletto è la messa in guardia di Papa Francesco circa le “enunciazioni di principio non seguite da fatti” (32). (27) Ivi, p. 1207. (28) F. DenozzA, “Bozza dell’intervento”, XViii Seminario italo-spagnolo-francese di Teoria del Diritto, Università Commerciale L. Bocconi, Milano, 26 e 27 ottobre 2012, in https://dokodoc.com/tavola- rotonda-modelli-economici-e-scienza-giuridica.html. Vi è peraltro, alla base dell’eAL - liberismo a parte - l’individualismo dell’homo oeconomicus, eretto a modulo di comprensione dell’umana natura: D.J. BRIon, “norms and Values in Law and economics”, in Encyclopedia of Law and Economics, vol. I, ed. B. Bouckaert - G. De Geest, Cheltenham - northampton, elgar, 2000, pp. 1042 s. (29) A.C. PIGoU, Economia del benessere, Torino, Utet, 1948 (ed. or. 1947), p. 122. (30) G. CALABReSI - P. BoBBIT, Scelte tragiche, Milano, Giuffrè, 2006 (ed. or. 1978), passim. (31) G. CALABReSI, ideals, Beliefs, attitudes, and The Law, Syracuse - new yok, Syracuse University Press, 1985. (32) A ToFFoLeTTo, op. cit., p. 1207. DoTTRInA 275 Se la libertà d’iniziativa economica è fondamento della concorrenza - prosegue Toffoletto -, e dunque sembra che il mercato giri come una ruota sul perno di quella, la prassi è già uscita dalla vecchia/cieca tutela dell’intrapresa per se, guardando invece all’efficienza come auspicato obiettivo selettivo. Su questa linea, per l’autore, vanno rivisti taluni profili della politica concorrenziale, per rendere la libertà d’iniziativa economica non vuota formula. Così, nell’economia di mercato sistemico dell’Unione Europea, non si deve più soltanto andare alla ricerca dell’efficienza - o dell’eccellenza, secondo il titolo di un celebre libro (ovviamente) degli anni ottanta (33) -, ma devono piuttosto soppesarsi le implicazioni sociali di una «impresa per tutti». non è più tempo, dunque, dell’iniziativa economica come privilegio per pochi (34). Mi sembra che qui il neo-principato oligarchico del capitalismo finanziario sia messo in discussione, così come l’apologia macchinicoefficientista/ neo-liberista della concorrenza, in termini d’impostazione inconcussa. Il che è pure distante da quanto ha fatto - e fa - la “narrazione” giuridica acritica della mondializzazione apolide, massificante, originatrice di disuguaglianze al contempo (35). In terzo (e ultimo) luogo, lo scritto in parola su Laudato si’ affronta la funzione dell’impresa e le finalità che devono essere perseguite da essa. Bisogna - osserva Toffoletto - ripensare il concetto (focale) d’interesse sociale (36), con cui l’art. 41 cpv. Cost. circoscrive la libertà d’iniziativa economica privata. non ci si può più ispirare soltanto allo shareholder value, almeno nel medio-lungo periodo: sicché gli amministratori di società devono considerare altri interessi, per il contesto sociale e territoriale. La posta in gioco è alta. I sistemi di governance - aggiunge lo studioso - devono diventare tali da vagliare, in guisa trasparente, tutti gli interessi coinvolti, dando precedenza ad ambiente, occupazione e tutela ambientale (le “esternalità” di cui sopra). «Superare la logica esclusiva del profitto, (..) abbandonare» - aggiunge il nostro autore - «la prospettiva dell’efficienza ad ogni costo (..), riconoscere e assicurare una tutela reale per tutti coloro che subiscono conseguenze negative per effetto dell’attività dell’impresa»: questa è l’agenda, senza necessità di trapassare dall’impresa commerciale a quella sociale, ancorché oggi taluno parli di tramonto di quella per effetto del “terzo settore” (37). (33) T. PeTeRS - R.H. WATeRMAn, alla ricerca dell’eccellenza. Lezioni dalle aziende meglio gestite, Sperling & kupfer, Segrate, 2005 (ed. or. 1982). (34) Ivi, pp. 1207 s. (35) Supra, par. 1. (36) Abbiamo anticipato il concetto stesso nel nostro discorso iniziale (supra, giusto in chiusura del par. 1); e, come ivi si era detto a margine, qui lo riprendiamo sulle orme dello scritto giuridico sull’enciclica. (37) Sull’impresa sociale e il “terzo settore”, vedi A. FICI, La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, napoli, editoriale Scientifica, 2018. RASSeGnA AVVoCATURA 276 DeLLo STATo - n. 2/2018 Quanto al punto specifico dell’interesse di gruppo - cui ho fatto riferimento in chiusura del primo paragrafo -, la stessa dottrina, con altri autorevoli scrittori, da tempo mette in guardia dal pericolo della maschera da “interesse di gruppo”, che “l’interesse della capogruppo” di dominio può indossare (38). Di contro, si registra una lettura vòlta a negare questa distinzione, auspicando una sorta di presunzione di coincidenza tra interesse della holding dominante e quello delle società-figlie (39) (40). Gli è che, più si assume l’assurgere dell’interesse della capogruppo (dominante) a interesse del gruppo, più si avallano teoreticamente operazioni finanziarie di scarsa etica degli affari, potenzialmente originatrici di danni a terzi creditori (e.g. “tesorerie” erosive delle casse delle sussidiarie, “regìe” onerose [parzialmente] simulate, tax planning dei prezzi di trasferimento, ecc.). In altre parole, come anticipato (41), si fa (l’inconscio?) panegirico di un commercio internazionale s-regolato, di un capitalismo finanziario dai tratti sopra descritti. Concludendo sullo scritto che muove da Laudato si’, taluno potrebbe opinare che anche le prospettazioni di Toffoletto si consumino au fond in vuote formule, speculari a quelle da me criticate siccome prive di «fermezza nelle sfumature» (42). escludo, tuttavia, che una tale obiezione coglierebbe nel segno, poiché lo scritto toffolettiano esprime l’antitesi specialistico-critica ai t.p.. di una certa letteratura commercialistica. non a caso, dicevo che l’autore - e il suo elaborato - mi sembrano oltre-moderni (più che postmoderni, se il postmoderno è già da incorporare oltrepassandolo [43]). Certo, residua qualche perplessità - non attribuibile allo scrittore, che ha messo a fuoco problemi e soluzioni -, in ordine alla governance, in senso filosofico- politico intesa. Dopo la “caduta degli dei” (non in senso viscontiano, ma come chute di ogni dialettica pur negativa) - insieme all’esplosione/implosione del commercio mondializzato e dell’eurozona economicistica -, è (38) P.G. JAeGeR - F. DenozzA - A. ToFFoLeTTo, appunti di diritto commerciale, VI ed., Milano, Giuffrè, 2006, p. 297. adde, limpidamente, P. SPADA, Diritto commerciale, t. II, Elementi, sec. ed., Padova, Cedam, 2009, pp. 164 ss. (39) F. GALGAno, Trattato di diritto civile, vol. III, Padova, Cedam, 2009, pp. 562 ss. (40) L’ultima tesi riferita nel testo - si noti - pare diversa dal presumere la coincidenza iuris tantum tra controllo/consolidamento e direzione-coordinamento, perché l’art. 2497-sexies non sembra significare presunzione d’interesse “identitario” della capogruppo. Viceversa il problema della impresa di gruppo, rispetto ai plurimi enti in cui essa si articola, non si porrebbe tout court (rectius si risolverebbe tutto nella direzione-coordinamento). e invece vi è tutta la questione del bilanciamento “costi-benefici”, su cui vedasi non soltanto P. SPADA, op. loc. cit., ma anche lo stesso F. GALGAno, op. loc. cit. (41) Supra, in chiusura del par. 1. (42) Cfr. J. BenDA, il tradimento dei chierici. il ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea, Torino, einaudi, 2012 (ed. or. 1927), passim. (43) Cfr. M. MoSCHInI, rispondere al moderno oltre il moderno?, in Democrazia & Sicurezza, n. 2/2016, pp. 47 ss. Sul postmoderno, per tutti, J.F. LyoTARD, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981 (ed. or. 1979). DoTTRInA 277 proprio la governance ad essersi “orizzontalizzata”. È in essere, cioè, una perdita dell’idea “verticale” di democrazia rappresentativa, fondata a sua volta sul concetto di legge/diritto come fonte di doveri. La legge come fonte principale di diritto; il diritto come fonte di doveri (col parametro dell’uomo razionalmente moralizzato e non dell’homo oeconomicus individualista); l’ordinamento come sistema razionale, anziché coacervo di sottinsiemi tipologici di “transazioni” (unità di analisi con costi e connotati) (44); una politica redistributiva della ricchezza che incida sugli orari di lavoro e sui salari: il tutto per un’esistenza che sia fine e non mezzo, usando come mezzo - piuttosto - l’innovazione tecnologica. Queste idee, oggi “killed or seriously injured”, sono ardue da rimodellare per un stato di diritto/un essere- nel-mondo oltre il moderno, comunitariamente (in senso filosofico) costituendi, senza restaurazioni. È un’opera difficile poiché pone, a priori, il tema epistemico del diritto: ché, se il diritto non ha valore scientifico, il sistema giuridico non può essere definito, a rigore, “sistema razionale”, né si può ragionare in termini di uomo “razionalmente” moralizzato. Ma questa non è la sede per dipanare un tema siffatto. (44) F. DenozzA, Bozza dell’intervento, cit. RASSeGnA AVVoCATURA 278 DeLLo STATo - n. 2/2018 Titolarità di immobili abusivi e regime di tutela di diritti nell’ordinamento civilistico Federica Nocilla* Sommario: 1. L’abusivismo edilizio come fenomeno giuridico trasversale: inquadramento sistematico - 2. abusivismo edilizio e sanzioni giuridiche civilistiche - 3. La vexata quaestio della nullità degli atti traslativi degli immobili abusivi: nullità sostanziale o formale? - 4. il contratto preliminare e gli atti mortis causa aventi ad oggetto immobili abusivi - 5. altri atti esclusi dal regime di nulità della legge n. 47/1985 e del D.P.r. n. 380/2001 - 6. Espropriazione forzata avente ad oggetto un immobile abusivo. L’aliud pro alio nella vendita forzata - 7. Locazione di immobile abusivo - 8. appalto di immobile abusivo - 9. atti giudiziari sostitutivi di accordi negoziali aventi ad oggetto immobili abusivi - 10. La non risarcibilità della lesione patrimoniale all’immobile abusivo: la sentenza della Cassazione n. 4206/2011 - 11. il non riconoscimento dell’indennizzo espropriativo al titolare dell’immobile abusivo - 12. immobili abusivi e violazione delle distanze tra edifici - 13. i rimedi amministrativi esperibili avverso l’abuso commesso dal vicino - 14. ius supervenines favorevole al costruttore: cosa succede se l’immobile abusivo diventa legittimo in virtù di una norma sopravvenuta? - 15. Usucapione e immobile abusivo: un diverso approccio della giurisprudenza - 16. Considerazioni conclusive. 1. L’abusivismo edilizio come fenomeno giuridico trasversale: inquadramento sistematico. La costruzione edilizia in violazione delle prescrizioni urbanistiche ed edilizie integra il noto fenomeno dell’abusivismo edilizio, sorto nel nostro paese già nel periodo del secondo dopoguerra. Individuare la normativa di riferimento dell’abusivismo, oggi, risulta un’operazione non facile per il giurista. Invero, il settore urbanistico-edilizio, nel corso degli anni, è stato oggetto di molteplici interventi legislativi che hanno istituito un sistema normativo elefantiaco; inoltre, dal 1942 ad oggi si è assistito ad una continua successione di provvedimenti abilitativi dell’attività edilizia (la licenza, la concessione edilizia, il permesso di costruire e il permesso in sanatoria) (1). (*) Dottoressa in Giurisprudenza, già praticante forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania. (1) La prima legge urbanistica è la legge n. 1150/1942, che ha introdotto l’obbligo di licenza edilizia ai fini dell’attività edificatoria, ma limitatamente ai centri abitati e ai Comuni dotati di un Piano Regolatore Generale (PRG). L’obbligo è poi stato esteso alle zone agricole con la c.d. legge Ponte (legge n. 765/1967). In seguito, la legge n. 10/1977 (c.d. Bucalossi) ha trasformato la licenza in concessione edilizia, stabilendone, peraltro, l’onerosità. Il cambio di denominazione deriva dall’adozione di una differente prospettiva: lo ius aedificandi non è più inteso come un diritto esclusivo del cittadino, bensì dello Stato, che “concede” al consociato di avviare una costruzione sul proprio territorio. In seguito, la legge n. 47/1985 ha previsto una disciplina urbanistico-edilizia più completa e, come si vedrà, tutt’oggi DoTTRInA 279 L’edificazione abusiva si presenta come una fattispecie giuridica trasversale, essendo potenzialmente lesiva di differenti posizioni giuridiche, delle quali può essere titolare un unico soggetto o talvolta anche l’intera collettività (2). L’abusivismo, quindi, può ledere beni giuridici diversi ed è suscettibile di essere punito da parte di più settori dell’ordinamento, fino ad arrivare ad un cumulo di sanzioni giuridiche di diversa natura e intensità. È chiaro, infatti, che ciascuna di esse si occuperà di colpire profili di illiceità, che, seppur inerenti la medesima condotta contra ius, risultano differenti; ogni sanzione, pertanto, perseguirà uno scopo specifico ed autonomo dall’altra, tutelando soggetti distinti. Prima di tutto, va considerato che l’abuso edilizio è una fattispecie criminosa (più specificamente, si tratta di un reato contravvenzionale), punito dall’art. 44 del D.P.R. 380/2001 (T.U. edilizia), a mente del quale: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica: a) l'ammenda fino a 10.329 euro per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire; b) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione; c) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell'articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso”. Il reato in questione è permanente: infatti, anche se l’offesa al bene giuridico si verifica già all’avvio della costruzione, la consumazione del reato si protrae nel tempo, fin quando i lavori abusivi non vengono definitivamente ultimati, ovvero nel momento in cui vengono sospesi; qualora, invece, i lavori siano proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, il reato si consumerà quando viene emessa la sentenza di primo grado (cfr. Cass. sez. III, sentenza n. 29974/2014 e n. 38136/2001; Trib. napoli n. 1154/2016). Secondo la Cassazione penale, proprio a partire da uno dei suddetti momenti decorrerebbe il dies a quo ai fini della prescrizione del reato (3). Il perappresenta una delle due normative di riferimento per l’abusivismo edilizio. Una sistemazione organica della materia si è poi avuta con il D.P.R. 380/2001 (c.d. Testo Unico sull’edilizia), entrato in vigore il 30 giugno 2003, che ha sostituito la concessione edilizia con il permesso di costruire. (2) Una costruzione abusiva, invero, può danneggiare tanto interessi individuali (ad esempio, il diritto del vicino dell’immobile edificato in violazione delle distanze tra gli edifici previste dalla legge o dal regolamento comunale), quanto interessi collettivi (come il caso in cui l’immobile sia stato costruito senza osservare le norme di protezione del territorio e dell’ambiente). RASSeGnA AVVoCATURA 280 DeLLo STATo - n. 2/2018 riodo di prescrizione è fissato in 4 anni (c.d. prescrizione ordinaria) oppure in 5 anni (c.d. prescrizione breve) qualora siano stati compiuti atti interruttivi della prescrizione (4). Il reato de quo è a forma libera, poiché il legislatore non ha tipizzato le forme e le modalità con cui può estrinsecarsi un abuso edilizio, essendo questo configurabile, in generale, in tutti i casi in cui si commette una violazione delle prescrizioni urbanistiche (ad esempio, qualora si costruisca su un suolo non edificabile). L’elemento soggettivo può essere indifferentemente il dolo ovvero la colpa (sicché è punibile anche l’abuso edilizio commesso per negligenza, imprudenza o imperizia ex art. 43 c.p.). L’abusivismo edilizio è sanzionato anche dal diritto amministrativo: lo scopo perseguito, in tal caso, è quello di rimuovere gli effetti conseguenti all’offesa arrecata dalla condotta dell’amministrato all’interesse pubblico mediante l’ordine di demolizione, provvedimento repressivo che, come ha chiarito la giurisprudenza, deve presentare una motivazione specifica ed articolata, riportando le ragioni giustificatrici dell’ordinata distruzione dell’immobile (Tar Campania, napoli, n. 532/2009). A differenza delle sanzioni penali e civili, peraltro, quelle amministrative non presuppongono il verificarsi di un danno né l’elemento psicologico del responsabile né un vantaggio conseguito (3) “il reato contravvenzionale di costruzione abusiva in assenza di permesso a costruire di cui all'art. 44 Lett. B) DPr 2011/380 ha natura permanente tale che la prescrizione comincia a decorrere dalla cessazione della permanenza stessa ai sensi dell'art. 158 c.p., che si verifica o con la totale sospensione dei lavori - sia essa volontaria o dovuta a provvedimento autoritativo quale il sequestro, ovvero con il completamento dell'opera o, infine, con la sentenza di condanna in primo grado nel caso di prosecuzione dei lavori successivamente all'accertamento” (Cass. pen. sez. VI n. 9617/92). (4) A mente dell'art. 157, co. 1, c.p., “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria”. La norma, come modificata dalla legge 251/2005 (c.d. legge ex Cirielli), rinvia quindi alla pena massima per calcolare il periodo di prescrizione del reato, fermo restando i limiti della soglia minima di 6 anni per i delitti e di 4 per le contravvenzioni. Gli atti interruttivi della prescrizione sono invece tutti gli atti del procedimento penale, la proposizione dei quali indica la permanenza dell’interesse punitivo-preventivo dello Stato nei confronti dell’illecito penale commesso. essi sono previsti dall’art. 160 c.p.: “il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna [c.p.p. 533] o dal decreto di condanna[c.p.p. 459, 565]. interrompono pure la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio (1). La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i limiti di cui all'art 161 secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articoli 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale”. DoTTRInA 281 dalla condotta illecita; ciò che rileva è soltanto il dato oggettivo, cioè l’illecito materiale che si pone in contrasto con le regole pubbliche. La mancata esecuzione dell’ordine di demolizione da parte del proprietario dell’immobile entro il termine di legge di 90 giorni comporta, ope legis, l’acquisizione gratuita del bene al patrimonio disponibile del Comune in cui è collocato, ai sensi dell’art. 31, co. 3, del D.P.R. 380/2001 (in precedenza, un'omologa disposizione si trovava all’art. 7 della legge 47/1985) (5). In ogni caso, il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo non costituisce impedimento giuridico a che il privato responsabile esegua l'ordine di demolizione impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l'autorità comunale abbia dichiarato l'esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato (sentenza della Cassazione n. 41537/2017). L’acquisizione al patrimonio del Comune costituisce una sanzione - avente carattere reale e non personale - tesa a soddisfare definitivamente l’interesse pubblico all’eliminazione dell’edificio costruito contrariamente alle regole edilizie, e quindi è preposta alla tutela di interessi collettivi (come il diritto alla salute e alla tutela dell’ambiente e del territorio). Tuttavia, posto che ogni sanzione deve essere proporzionata all’illecito che retribuisce, l’acquisizione in parola non può superare la parte interessata all’abuso, pertanto non può mai estendersi all’intero immobile, se questo non è interamente abusivo. È quanto precisato dal TAR Campania, nella sentenza n. 4346/2017, con cui è stato imposto all’Amministrazione comunale di frazionare il lastrico dell’immobile acquisito, poiché questo risultava ben più ampio del perimetro dell’area abusiva. L’art. 49 del T.U. n. 380/2001 prevede poi l’irrogazione di sanzioni fiscali - autonome e cumulabili con quelle civili e penali - dell’immobile per gli interventi edilizi eseguiti in assenza di titolo, o in contrasto con esso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato. La sanzione consiste nell’impossibilità di ottenere le agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, (5) Infatti, il comma 3 dell’art. 31 menzionato afferma che “Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”. Ciò viene ribadito dalla giurisprudenza, la quale, inoltre, ha aggiunto che la notifica dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione ha solo funzione certificativa del trasferimento della proprietà dello stesso all’ente comunale e, pertanto, potrebbe essere omessa, restando valido il procedimento di acquisizione dell’immobile: “L’ingiustificata inottemperanza all’ordine di demolizione emesso dall’autorità comunale comporta automaticamente l’acquisizione gratuita al patrimonio disponibile del Comune alla scadenza di detto termine, indipendentemente dalla notifica all’interessato dell’accertamento formale dell’inottemperanza” (Cass. Pen. sez. III n. 8082/2011). RASSeGnA AVVoCATURA 282 DeLLo STATo - n. 2/2018 né eventuali contributi o altre provvidenze dello Stato e di enti pubblici: quali, ad esempio, i benefici previsti dalle disposizioni per l’edilizia convenzionata (legge 1° novembre 1965, n. 1179); dalle disposizioni delle leggi n. 865 del 1971, n. 166 del 1975 e n. 492 del 1975; nonché i benefici relativi all’acquisizione di mutui a tassi agevolati previsti dalla legge 5 agosto 1978, n. 457 (6). Ai sensi dell’art. 15 della legge n. 765/1967, inoltre, il proprietario dell’immobile decade dalle agevolazioni già concesse e dai contributi erogati dallo Stato o da altri enti pubblici: l’amministrazione comunale, infatti, entro tre mesi dall’ultimazione dei lavori o dalla richiesta di licenza di abitabilità o di agibilità ovvero dall’annullamento della licenza, ha l’obbligo di segnalare all’amministrazione finanziaria gli abusi edilizi riscontrati (come le violazioni di altezza, eventuali distacchi o cubature realizzate oltre il limite stabilito) che comportano la revoca dei benefici. Dalla data di ricezione dell’avviso, l’amministrazione ha l’onere di recuperare l’imposta non riscossa entro tre anni. La norma in questione, peraltro scarsamente applicata, ha lo scopo di tutelare prevalentemente l’erario, depauperato ingiustificatamente a vantaggio di chi ha messo in atto interventi edilizi contra legem (7). non acquista rilevanza il fatto che, successivamente, si sia regolarizzata la costruzione corrispondendo le relative sanzioni pecuniarie e demolendo le parti abusive dell’immobile, posto che la sanzione fiscale è automatica e non soggetta ad alcuna regolarizzazione o sanatoria. Riguardo, poi, ai soggetti ritenuti ex lege responsabili dell’illecito edilizio, l'art. 29 del D.P.R. 380/2001 stabilisce che "il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica (…). Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso”. In particolare, il direttore dei lavori, essendo un tecnico, deve verificare che sussista un valido permesso di costruire e deve controllare che le modalità in esso indicate vengano rispettate nel corso dei lavori. Ai sensi del comma 2 del sopra citato art. 29, nei casi in cui il direttore dei lavori dovesse accorgersi di un abuso, ha la possibilità di “dissociarsi” dall’operato degli altri; segnatamente, si potrà esonerare dalla responsabilità rilevando davanti agli altri sog- (6) L’art. 49 del D.P.R. n. 380/2001 (già L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-ter), dispone infatti: “Fatte salve le sanzioni di cui al presente titolo, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici”. (7) Qualora, tuttavia, l’abuso edilizio risulti realizzato dopo la registrazione dell’atto di acquisto dell’immobile, secondo la Cassazione non troverebbe applicazione la norma sulla decadenza dall’agevolazione fiscale (Cass. n. 4669/2014 e n. 4351/2016). DoTTRInA 283 getti le violazioni delle prescrizioni del permesso di costruire e comunicando al competente ufficio comunale l’abuso edilizio riscontrato (8). L’art. 29 pone quindi una ipotesi di responsabilità obbiettiva (rectius: per fatto altrui): i soggetti individuati dalla norma, essendo garanti del bene pubblico della legalità, sono tenuti a rispondere anche per le attività illecite svolte dai propri dipendenti, salvo dimostrino di essere del tutto estranei all’abuso (9). Riguardo al proprietario dell’immobile, va precisato che, da un lato, potrà subire sanzioni amministrative anche se è del tutto ignaro dell’abuso edilizio; dall’altro, per addebitargli una responsabilità penale servirà provare il suo apporto causale alla condotta illecita, e che abbia agito con dolo o colpa. naturalmente il nuovo proprietario dell’immobile, qualora si veda costretto ad abbattere l’opera abusiva o a dover pagare una sanzione pecuniaria, potrà successivamente rivalersi nei confronti del suo dante causa (10). Infine, l’abuso edilizio subisce sanzioni civilistiche, sulle quali si rivolgerà funditus l’attenzione nei paragrafi successivi. 2. abusivismo edilizio e sanzioni giuridiche civilistiche. Con il presente articolo ci si intende soffermare sui profili di illiceità civilistici dell’abusivismo edilizio, tenendo in considerazione la normativa di riferimento di cui alla legge n. 47/1985 e D.P.R. 380/2001, e rivolgendo attenzione ad alcune recenti pronunce giurisprudenziali. Ci si interrogherà, segnatamente, sull’ambito ratione materiae del regime di nullità previsto per gli atti aventi ad oggetto immobili costruiti in modo difforme dalle regole edilizie, tentando di comprendere fino a che punto esso possa estendersi, prendendo in esame, di volta in volta, atti di differente natura (negoziale e giurisdizionale) e produttivi di diverse tipologie di effetti (reali e obbligatori). (8) La Cass. pen. sez. III n. 4802/2008 ha peraltro interpretato estensivamente la posizione del direttore dei lavori, facendovi rientrare “non solo l'esecutore dei lavori che collabori all'edificazione delle opere principali ma anche quello che si limiti a svolgere lavori di completamento dell'immobile (quali la pavimentazione, l'intonacatura, gli infissi), sempre che sia ravvisabile un profilo di colpa collegato alla mancata conoscenza del carattere abusivo dei lavori”. (9) Tale disposizione richiama in mente le norme che sanciscono la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale del debitore per l’operato dei propri dipendenti (rispettivamente agli artt. 1228 e 2049 c.c.), anch’essa qualificabile come responsabilità per fatto altrui. (10) “Dalla lettura dell'art. 31, commi 2 e 3, del D.P.r. n. 380/2001 emergono come destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa ma congiunta, il proprietario ed il responsabile dell'abuso. Ne discende che l'ordinanza di demolizione può legittimamente essere emanata, nei confronti del proprietario dell'immobile oggetto di intervento abusivo, sebbene non responsabile della relativa esecuzione, trattandosi di illecito permanente sanzionato in via ripristinatoria, a prescindere dall'accertamento del dolo o della colpa del soggetto interessato; infatti, la condizione di estraneità alla commissione dell'illecito, riguardata in termini di buona fede soggettiva, può assumere rilievo unicamente ai fini della successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ferma restando la possibilità del proprietario di avvalersi, ricorrendone i presupposti, degli ordinari rimedi civilistici contro il terzo responsabile dell'abuso” (Consiglio di Stato sez. VI sentenza n. 358/2016 e n. 1650/ 2015). RASSeGnA AVVoCATURA 284 DeLLo STATo - n. 2/2018 Si considereranno, poi, i differenti approdi della recente giurisprudenza, che, almeno apparentemente, sembra aver fornito risposte non univoche e coerenti rispetto ai fenomeni di abusi edilizi: da un lato, infatti, ha riconosciuto rilevanti profili di tutela in materia di diritti reali al proprietario dell’immobile abusivo, dall’altro ha negato che lo stesso possa vantare pretese risarcitorie per la lesione del proprio diritto di proprietà, argomentando nel senso che questa non sarebbe tutelabile giuridicamente, a causa del carattere abusivo della res che ha per oggetto. Si concluderà, infine, con una riflessione che terrà conto del fatto che ciò che può sembrare un conflitto di posizioni giurisprudenziali costituisce piuttosto l’esito naturale e fisiologico della diversa natura giuridica dei rapporti civilistici con i quali il fenomeno dell’abusivismo edilizio viene ad intersecarsi. 3. La vexata quaestio della nullità degli atti traslativi degli immobili abusivi: nullità sostanziale o formale? La norma urbanistica che ha comportato le conseguenze più rilevanti sul piano civilistico è senz’altro l’art. 40, comma 2, della legge n. 47/1985 (entrata in vigore il 17 marzo 1985), il quale ha disposto la nullità radicale e insanabile di ogni atto di trasferimento d'immobili abusivi (11). Lo scopo perseguito dal nomoteta italiano era chiaramente preventivo: vale a dire evitare l’abusivismo edilizio pro futuro (12). Dopo qualche anno, comunque, il frammentario quadro legislativo urbanistico ed edilizio ha potuto trovare una sistemazione organica con il Testo Unico sull’edilizia: il D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (pubblicato in G.U. n. 245 del 20 ottobre 2001). Attualmente, il Testo Unico contiene la normativa civilistica di riferimento dell’abusivismo, avendo disposto l’abrogazione della precedente legge n. 47/1985, mantenendone in vigore i soli artt. 40 e 41. (11) Ai sensi del citato comma 2: “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'articolo 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione di cui al sesto comma dell'articolo 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all'atto medesimo. Per gli edifici di proprietà comunale, in luogo degli estremi della licenza edilizia o della concessione di edificare, possono essere prodotti quelli della deliberazione con la quale il progetto è stato approvato o l'opera autorizzata”. (12) La legge in questione, peraltro, ha previsto la prima sanatoria degli abusi edilizi pregressi, introducendo nell’ordinamento italiano l’istituto del condono edilizio (c.d. “primo condono”). DoTTRInA 285 nonostante il sopra citato art. 40 sia stato mantenuto in vigore dalla nuova disciplina (v. art. 137 T.U.), il suo contenuto è stato letteralmente riprodotto dall’art. 46 del D.P.R. 380 (13). Il discrimen tra l’una o l’altra norma, in realtà, si basa su un criterio meramente storico: l’epoca di edificazione dell’immobile. In particolare, si applicherà l’art. 40 se la costruzione ha avuto inizio tra il 1° settembre 1967 e il 17 marzo 1985; se invece è stata avviata in data successiva al 17 marzo 1985, si dovrà avere riguardo all’art. 46 T.U. (14). Tuttavia, la ratio che ha ispirato entrambe le norme (art .40 legge 47/85 e art. 46 T.U.) è identica, concretandosi cioè nella volontà legislativa di “reprimere e scoraggiare gli abusi edilizi attraverso lo strumento della invalidazione del traffico giuridico avente ad oggetto lotti di terreno per l'edificazione abusiva” (15). Chiarito che nel nostro ordinamento è vietato stipulare atti inter vivos aventi ad oggetto vicende costitutive di diritti reali immobiliari sulle opere abusive, ci si può chiedere che tipo di nullità abbia inteso comminare il legislatore mediante le norme menzionate (art. 40 legge 47/85 e art. 46 T.U.) (16). Ci si domanda, in altre parole, se la nullità de qua assuma natura sostanziale, ovvero sia una nullità meramente formale e, dunque, meno pregnante rispetto alla prima. Il discorso, in realtà, non si esaurisce ad una mera speculazione sulle etichette, poichè stabilire la species di nullità che colpisce gli atti traslativi appare (13) Ai sensi dell’art. 46: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”. (14) Per quanto concerne, poi, le costruzioni edilizie avviate in data anteriore al 1° settembre 1967 non rileverebbe un eventuale abuso edilizio, a prescindere dalla data in cui l’opera è stata terminata. In questi casi, infatti, è sufficiente inserire nell’atto traslativo del diritto di proprietà dell’immobile una dichiarazione sostitutiva proveniente dal notaio (v. art. 40, l. n. 47/1985 e art. 47 del T.U. edilizio). La ratio di tale scelta legislativa muove dal disinteresse del legislatore nei confronti di queste costruzioni, dovuto alla vetustà delle stesse e alla difficoltà di un controllo serio e costante (cfr. Circ. Consiglio nazionale del notariato, La legge febbraio 1985, n. 47. Criteri applicativi, in Condono Edilizio. Circolari, studi e riflessioni del notariato, Milano, 1999, p. 28). (15) Così Cass. sez. II n. 8685/1999. (16) La dottrina, peraltro, tende ad interpretare estensivamente la norma che proibisce la costituzione dei diritti reali sugli immobili, allargando siffatto divieto ai fenomeni estintivi e modificativi di diritti reali (in tal senso, v. “Le menzioni urbanistiche negli atti notarili” di F. BUoneRBA e e. zAPPone, in “officina del diritto. il notaio”, a cura di R. VIGGIAnI, Giuffrè, 2014, p. 10). Di segno contrario si pone la giurisprudenza, ad esempio Cass. sez. II n. 7534/2004, secondo cui: “Le norme che, pongono limiti all'autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni in base tanto all'art. 15 della L. n. 10 del 1977, quanto all'art. 40 della L. n. 47 del 1985, debbono ritenersi di stretta interpretazione, e non possono, pertanto, essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste”. RASSeGnA AVVoCATURA 286 DeLLo STATo - n. 2/2018 necessario per trarre le conseguenze giuridiche delle operazioni vietate dalla legge (prima tra tutte, la sorte del negozio posto in essere dalle parti). in primis, sembra opportuno fare una precisazione: per nullità sostanziale deve intendersi la circostanza che quanto dichiarato dalla parte in seno all’atto non trovi un riscontro oggettivo nella realtà; in altre parole, tale nullità sanziona la falsità delle dichiarazioni inserite nell’atto (17). La nullità formale, invece, è la sanzione che colpisce l’atto traslativo mancante degli estremi del provvedimento abilitativo necessario per la costruzione dell’immobile (ad esempio, il permesso a costruire ex art. 10 del Testo Unico edilizio) (18). La giurisprudenza prevalente sposava la tesi della nullità meramente formale basandosi sul dato letterale delle norme (che non farebbe alcun riferimento ad una nullità di carattere sostanziale); inoltre, riteneva applicabile alla fattispecie l’ultimo comma dell’art. 1418 c.c., ai sensi del quale “il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge” (cc.dd. nullità testuali, cioè desumibili dai vari testi di legge) (19). Dall’altro lato, la maggioranza della dottrina, condivisa dal Consiglio nazionale del notariato e da una giurisprudenza minoritaria (20), riteneva la natura sostanziale della sanzione in virtù della funzione di repressione degli abusi edilizi (svolta dagli artt. 40 legge 47/1985 e 46 T.U. edilizia) e della possibilità di sanatoria concessa in presenza di requisiti prettamente materiali (21). (17) Si pensi alla parte alienante che abbia dichiarato che le planimetrie e i dati catastali erano conformi allo stato di fatto, mentre in realtà non lo erano. Tale condotta, peraltro, integra il reato di falso ideologico (art. 483 c.p.), che punisce “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi”. (18) In questo senso, vedasi Cass. n. 8147/2000. Va considerata una terza opinione, secondo cui la nullità non sia né sostanziale né formale, bensì documentale: essa, cioè, non riguarda il negozio giuridico (come nei casi succitati), bensì unicamente il «documento autentico», e l’effetto di detta nullità si esaurisce sostanzialmente nel privare il medesimo documento dell’attributo dell’autenticità (cfr. Pe- TReLLI, Conformità catastale e pubblicità immobiliare, Milano 2010, pp. 56 ss.). (19) Così, ex multis Cass. nn. 1199/1999, 8685/1995, 8147/2000, 5898/2004, 16876/2013, 5102/2015. (20) In dottrina, v. per tutti RIzzI, menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili, Cnn, Studio 5389/C del 30 ottobre 2004; Cass. sez. II n. 23591/2013. (21) Si legge, infatti, dallo Studio n. 4509/2003 di G. CASU, redatto dal Consiglio nazionale del notariato, riguardante “La commercializzazione dei fabbricati tra Testo unico sull’edilizia e legge n. 47 del 1985 sul condono edilizio: “È vero, infatti, che prima l’art. 17 della legge 47 del 1985 ed ora l’art. 46 del testo unico sull’edilizia, prevedono espressamente la nullità dell’atto se non si osservano alcune regole documentali. ma l’interprete non deve fermarsi a questo punto, perché egli deve chiedersi quale sia effettivamente l’interesse protetto dalla norma e pertanto quali siano le conseguenze qualora, pur osservando dette norme documentali, detto interesse così individuato venga effettivamente leso. Se così non fosse, si assisterebbe alla seguente discrasia: se l’atto contiene la richiesta dichiarazione, esso è valido e occorrerebbe rinvenire per altra strada un eventuale vizio dell’atto nell’ipotesi che la parte dichiarante abbia dichiarato il falso. in sostanza la norma prevede la nullità qualora manchi la dichia DoTTRInA 287 ebbene, a dirimere il contrasto in parola è intervenuta la Cassazione, la quale ha precisato che “l’atto di trasferimento dell’immobile non in regola con la normativa urbanistica sarebbe in tal caso affetto da nullità (di carattere sostanziale), cui si aggiunge una nullità di carattere formale per gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi” (Cassazione sez. II sentenza n. 25811/2014). La Corte, con tale pronuncia, ha ribaltato gli orientamenti giurisprudenziali precedenti, attenti più al dato letterale delle norme che alla realtà e alle istanze sociali. Con la suddetta decisione, difatti, la Corte ha collegato il requisito formale a quello sostanziale richiedendo che, ai fini della validità dell’atto, non solo debbano essere rispettate le forme prescritte dalla legge, ma debba anche esistere nella realtà il provvedimento abilitativo della costruzione menzionato nell’atto medesimo. Dunque, in mancanza dell’uno o dell’altro elemento l’immobile risulterà incommerciabile e, in quanto tale, privo di valore economico-giuridico. 4. il contratto preliminare e gli atti mortis causa aventi ad oggetto immobili abusivi. La norma (rectius: le norme) che prevedono la sanzione della nullità degli atti costitutivi di diritti reali sugli immobili abusivi trova applicazione in relazione ai soli contratti con effetti traslativi, e non anche con riguardo ai contratti produttivi di effetti obbligatori, come il preliminare di vendita. Un contratto preliminare avente ad oggetto un immobile abusivo, pertanto, sarebbe perfettamente valido: è quanto chiarito dalla Cassazione sez. II, con la recente sentenza n. 10297/2017, che ha seguito la scia del maggioritario orientamento giurisprudenziale formatosi in materia (ex plurimis: Cass. sez. II n. 9318/2016) (22). Inoltre, in base al principio di conservazione dei contratti, secondo parte della giurisprudenza, le attestazioni urbanistiche relative all’immobile oggetto razione di parte, ma non prevede alcuna conseguenza nell’ipotesi che la dichiarazione esista ma non sia veritiera. Proprio per stabilire quale sia la conseguenza in tal caso occorre individuare l’interesse protetto da questa norma e, una volta identificatolo, applicare l’art. 1418, primo comma c.c. e pervenire alla conclusione che la violazione di tale interesse generale non può che tradursi nella nullità sulla base della predetta norma codicistica”. (22) In senso contrario, invece, si ponevano le sentenze della Cassazione n. 25811/2014, n. 28456/2013 e n. 23591/2013. L’orientamento favorevole ad applicare la sanzione della nullità rileva che il dato letterale di cui all’art. 40 della legge 47/1985 farebbe riferimento alla nullità per i soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria; in secondo luogo, evidenzia la circostanza che successivamente al contratto preliminare potrebbe intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che in queste ipotesi si escluderebbe la possibilità di applicare la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si potrebbe far luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 c.c. RASSeGnA AVVoCATURA 288 DeLLo STATo - n. 2/2018 del preliminare di vendita possono essere prodotte anche ad opera del promissario acquirente, pure in grado di appello (Cass. S.U. n. 23825/2009), qualora non siano state già rese dal promissario venditore. Si tratterebbe dell’istituto della sanatoria previsto dall’art. 40, co. 4, legge 47/1985, attuata mediante la c.d. conferma dell’atto nullo (23). Alcuni dubbi potrebbero residuare in relazione al c.d. contratto preliminare ad effetti anticipati, in merito al quale, comunque, l’orientamento prevalente della giurisprudenza ritiene tutt’oggi che la situazione non sarebbe difforme dal comune contratto preliminare, poiché anch’esso avrebbe natura meramente obbligatoria, essendo un atto preparatorio al contratto che produrrà effetti traslativi. Vi è da chiedersi, quindi, se vi può essere spazio per una esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. di un contratto preliminare privo di menzione del titolo abilitativo edificatorio dell’immobile oggetto di vendita. Secondo l’opinione giurisprudenziale più acclamata, si dovrebbe distinguere tra abuso edilizio minore ed abuso edilizio maggiore (24). nel primo caso, infatti, l’esecuzione ex art. 2932 c.c. sarebbe avviabile, poiché l’immobile è commerciabile: il titolo abilitativo, cioè, esiste ma non è stato menzionato nell’atto di trasferimento (si pensi ad un immobile al quale sia stato aggiunto un solo piano, che ne ha modificato la planimetria in modo pressoché insignificante). La seconda ipotesi, invece, si riferisce alla costruzione realizzata in mancanza del titolo abilitativo edilizio, ovvero in totale difformità da esso: in tal caso, l’immobile non sarà trasferibile, e non sarà possibile emettere la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. nelle more della stipula del contratto definitivo, pertanto, l’alienante avrebbe quantomeno l’onere di provvedere a regolarizzare la posizione giuridica dell’immobile, ottenendo il titolo edilizio abilitativo. non possono sorgere dubbi, invece, relativamente alla validità della stipula degli atti mortis causa aventi ad oggetto un immobile abusivo, dato che gli artt. 40 e 46 - più volte citati - limitano la sanzione della nullità ai soli “atti tra vivi” (25). Un immobile abusivo, quindi, potrà essere oggetto di un testa- (23) Il co. 4 citato afferma che “se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre del 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo (…)”. Di segno contrario si era posta Cass. n. 1199/1997, la quale aveva ritenuto 1'evidente incompatibilità tra l'istituto della c.d. conferma dell'atto nullo e le peculiari caratteristiche della sentenza e l'autorità del giudicato che questa è necessariamente destinata ad acquistare. La sanatoria dei vizi della sentenza si raggiungerebbe, quindi, non attraverso la conferma, bensì attraverso il passaggio in giudicato della stessa. (24) La pronuncia più recente, in materia, è stata resa da Cass. 8081/2014 (conformi, in precedenza, ex multis, Cass. n. 20258/2009 e Cass. n. 13221/2006). (25) Vi è, infatti, chi ha escluso che, con riguardo agli immobili abusivi, possa parlarsi di “incom DoTTRInA 289 mento ovvero di un atto di divisione ereditaria, la quale, infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, “pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l’evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può considerarsi autonoma” (in termini, Cassazione sentenza n. 2313/2010 (26)). La ragione per cui si tende ad escludere l’estendibilità delle rigide prescrizioni sulla nullità agli atti mortis causa andrebbe ricercata nel fatto che questi, a differenza degli atti inter vivos, non perseguono un intento speculativo, essendo finalizzati meramente a disciplinare l’attribuzione del patrimonio del de cuius. Il concetto è stato chiaramente spiegato da G. CASU, nello Studio n. 4509/2003 per il Consiglio nazionale del notariato: “il motivo della diversa disciplina è evidente: non è pensabile che possano reputarsi atti speculativi gli atti mortis causa, non tanto si badi, perché solitamente i beneficiari degli atti mortis causa siano persone vicine al de cuius, per ragioni di parentela o di affettività, quanto perché non può ritenersi, strutturalmente, atto speculativo quello destinato a disciplinare l’attribuzione del proprio patrimonio con effetto dal proprio decesso. L’atto speculativo presuppone l’esistenza in vita di colui che intenda speculare, non la sua morte” (27). Di conseguenza, mancando lo scopo di arricchimento in capo al testatore, non avrebbe senso vietare la circolazione di un immobile abusivo attuata a mezzo di un testamento. Infine, è opportuno ricordare il principio per cui la nullità costituisce l’extrema ratio tra le varie sanzioni che colpiscono il contratto, stante il principio di conservazione dei contratti di cui all’art. 1367 c.c.; la sua applicazione, quindi, va necessariamente limitata alle ipotesi tassativamente indicate e regolate dal legislatore. 5. altri atti esclusi dal regime di nullità della legge n. 47/1985 e del D.P.r. n. 380/2001. L’art. 46, comma 5, del D.P.R. 380/2001 esclude dal regime di nullità gli atti aventi ad oggetto i diritti reali di garanzia e il diritto di servitù, nonché gli merciabilità”, in quanto la legge consente il trasferimento degli immobili per successione mortis causa, a seguito di procedura esecutiva. nella prassi, peraltro, il termine è usato per sottolineare come tali beni siano privati di una delle più qualificanti caratteristiche di ogni bene economico, cioè la libera trasferibilità. Vedasi sull’argomento CASU - RAITI, “Condono Edilizio e attività negoziale”, in Quaderni di Notariato, IPSoA 1999, p. 13. (26) In precedenza anche Cass. n. 14764/2005; Cass. n. 630/2003; Cass., n. 15133/2001. La massima è stata ripresa, di recente, dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20041/2016. Di segno contrario, invece, Trib. Marsala 14 dicembre 2006, che ha sostenuto che “la divisione ereditaria giudiziale (al pari di quella amichevole) non è assimilabile ad un atto mortis causa”. (27) Lo studio da cui è stata tratta la citazione è intitolato “La commercializzazione dei fabbricati tra testo unico sull'edilizia e legge n. 47 del 1985 sul condono edilizio”, ed è liberamente consultabile in www.notariato.it. RASSeGnA AVVoCATURA 290 DeLLo STATo - n. 2/2018 atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. La ragione per cui sono esclusi gli atti costitutivi, modificativi ed estintivi dei diritti di garanzia e di servitù si rinviene nella mancanza di pericolo di abusivismo edilizio in tali fattispecie negoziali (28). Riguardo, invece, ai trasferimenti coattivi degli immobili, va osservato che la loro esenzione dalla disciplina sulla nullità che colpisce gli abusi edilizi è giustificata dal fatto che si tratta di atti privi del requisito della volontarietà traslativa. L’art. 46 stabilisce, inoltre, che la sentenza di nullità «non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti». Vanno esclusi dalla normativa, inoltre, gli atti privi di effetti traslativi, quali le operazioni straordinarie tra le società, attuate medianti gli atti di fusione, scissione e trasformazione; siffatte operazioni, infatti, hanno natura meramente endo-societaria e non comportano la traslazione di diritti reali. Anche gli atti di costituzione dei fondi patrimoniali, dei trust o dei patrimoni destinati, se privi di effetti traslativi di diritti su beni immobili abusivi, non vengono sanzionati con la nullità. Per la medesima ratio (la mancanza di effetti traslativi), risulta valido il contratto di c.d. mutuo dissenso con cui le parti risolvono l’accordo di trasferimento di un immobile abusivo (29). 6. Espropriazione forzata avente ad oggetto un immobile abusivo. L’aliud pro alio nella vendita forzata. Come previsto dalla normativa urbanistica, gli atti che producono effetti traslativi dei diritti reali inerenti immobili abusivi sono affetti da nullità. Qualche dubbio, tuttavia, può sorgere relativamente a quegli atti che, pur producendo effetti traslativi, presentano una forma differente da quella dell’ordinaria compravendita. Ci si può chiedere, ad esempio, in quale disciplina ricada il decreto che dispone il trasferimento dell’immobile nell’ipotesi in cui questo non risulti in regola con le norme urbanistiche-edilizie. Come si ricorderà, il decreto di assegnazione dell’immobile espropriato è quel provvedimento con il quale il Giudice dell’esecuzione trasferisce la proprietà del bene oggetto dell’espropriazione forzata all’aggiudicatario, cioè al soggetto che ha acquistato l’immobile nel corso dell’asta giudiziaria (30). (28) In tal senso, v. “Le menzioni urbanistiche negli atti notarili”, op. cit., p. 12. (29) Con l’espressione di “mutuo dissenso”, la dottrina si riferisce al contratto risolutorio degli effetti di un precedente trasferimento immobiliare compiuto tra le medesime parti, in virtù del venir meno del consenso di una ovvero di entrambe. Il fondamento della fattispecie negoziale de qua si rinviene nell’art. 1372 c.c, il quale prevede che il contratto può essere sciolto per mutuo consenso (in termini, ad esempio, LUMInoSo, il mutuo dissenso, Milano 1980, p. 18 ss.; BIAnCA, Diritto civile iii, il contratto, Milano 1998, p. 700; CAPozzI, il mutuo dissenso nella pratica notarile, in Vita not. 1993, pp. 638 ss.). DoTTRInA 291 Prima di tutto, va specificato che il soggetto onerato di effettuare le dovute verifiche sulla presenza di eventuali abusi edilizi dell’immobile oggetto del provvedimento di assegnazione è il consulente tecnico d’ufficio; a questi, peraltro, spetta il compito di specificare se si tratta di abusi sanabili. Il perito nominato dal giudice, difatti, assume nei confronti dell’aggiudicatario un’obbligazione ben precisa, essendo gravato a svolgere correttamente la stima dell’immobile in base al criterio della diligenza previsto dall’art. 1176 c.c. (31). Ciò detto, la legge consente il trasferimento di un immobile abusivo in via esecutiva, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 46, comma 5, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (T.U. edilizia) e 40, comma 6, L. 28 febbraio 1985 n. 47 (32). Ciò implica che il trasferimento dell’edificio abusivo in sede di vendita forzata non può essere affetto dalla nullità prevista, di regola, per gli atti di vendita volontaria degli immobili abusivi (33). La commerciabilità dell’immobile abusivo espropriato comporta due significative conseguenze: la prima è che il creditore pignoratizio (nonché gli altri eventuali creditori intervenuti) riceve ampia tutela poiché, anche se l’im- (30) Segnatamente, ai sensi dell’art. 586 c.p.c., il decreto di trasferimento è il “provvedimento del Giudice dell’Esecuzione mediante il quale il diritto reale è trasmesso dal debitore esecutato che lo possiede, all’aggiudicatario definitivo che così ne diviene il nuovo proprietario”. Il decreto di trasferimento, peraltro, deve contenere tutti gli elementi di cui all’ art. 586 c.p.c. in relazione al disposto di cui agli artt. 555 e 569 c.p.c. e dell’art. 2826 c.c. Pertanto, il decreto di trasferimento, oltre a contenere gli elementi indicati nel pignoramento e nella ordinanza di vendita deve, come previsto dal menzionato art. 2826 c.c., designare precisamente l’immobile mediante l’indicazione della sua natura, del comune in cui si trova, nonché dei dati di identificazione catastale; per i fabbricati in corso di costruzione devono essere indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui insistono. (31) Si veda, sul punto, Cass. n. 13010/2016, la quale ha affermato che “il perito di stima nominato dal giudice dell'esecuzione risponde nei confronti dell'aggiudicatario, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per il danno da questi patito in virtù dell'erronea valutazione dell'immobile staggito, solo ove ne sia accertato il comportamento doloso o colposo nello svolgimento dell'incarico, tale da determinare una significativa alterazione della situazione reale del bene destinato alla vendita, idonea ad incidere causalmente nella determinazione del consenso dell'acquirente”. nella specie, la S.C. ha escluso la responsabilità del perito in relazione ai costi sostenuti dall'aggiudicatario per la regolarizzazione urbanistica dell'immobile acquistato, maggiori rispetto a quelli indicati in perizia, evidenziando come gli stessi fossero ricollegabili ad una disattenzione dell'acquirente, che non aveva considerato la mancanza, pur rappresentata dall'ausiliario nel proprio elaborato, di alcuni documenti importanti ai fini della valutazione di tali oneri. (32) Infatti, secondo l’art. 46, comma 5, T.u. edilizia: “Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria”. Inoltre, ai sensi dell’art. 40, comma 6, legge 47/85: “Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo iV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge”. (33) Il concetto è stato puntualizzato espressamente nella pronuncia della Cassazione sez. III n. 23140/2013, che ha constatato come “le nullità di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2 non si estendono ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali”. RASSeGnA AVVoCATURA 292 DeLLo STATo - n. 2/2018 mobile espropriato non è conforme alle regole urbanistiche, questi potrà ottenere soddisfacimento della propria pretesa creditoria per mezzo del ricavato della vendita forzata, allo stesso modo di un’ordinaria procedura esecutiva (34). In più, riceve tutela l’assegnatario del bene, che acquisterà validamente e a pieno titolo l’immobile oggetto del decreto di trasferimento. Tuttavia, va precisato che il procedimento dell’asta giudiziaria non può, ipso facto, sanare l’esistente abuso edilizio: invero, non esiste alcun dato normativo che contempli una simile sanatoria (Consiglio di Stato sez. IV n. 1996/2017). Il legislatore, d’altro canto, ha riservato una serie di tutele a favore dell’assegnatario dell’immobile abusivo, considerandolo soggetto debole della vicenda traslativa, considerato che potrebbe non essere a conoscenza dell’abuso edilizio al momento dell’acquisto. in primis, se gli abusi non sono stati evidenziati nella perizia di stima e la procedura non si è ancora conclusa, l’assegnatario può sempre instare il Giudice dell’esecuzione per la riconvocazione dell’esperto nominato, affinché fornisca delucidazioni in merito alle omissioni nella relazione da lui redatta. Qualora, invece, il procedimento esecutivo sia ormai volto al termine, l’assegnatario potrà avvalersi di una procedura posta dalla legge al fine di sanare l’abuso edilizio della costruzione: questi, infatti, potrà godere di una vera e propria rimessione in termini per la presentazione della domanda della concessione in sanatoria (35). A tal scopo, risultano necessarie due condizioni. In primo luogo, l’istanza de qua deve essere presentata entro 120 giorni dalla notifica del decreto di assegnazione dell’immobile, a pena di decadenza (36). Inoltre, è necessario che il bando di vendita abbia inequivocabilmente evidenziato la natura abusiva dell’immobile. In altre parole, il bando deve con- (34) La pronuncia del Trib. Roma del 23 dicembre 2005 ha ritenuto che la validità della vendita forzata di un immobile abusivo abbia come precipuo scopo proprio la tutela del creditore procedente. (35) È lapalissiano specificare che l’immobile potrà essere sanato in base ai criteri stabiliti dalla legge di sanatoria in vigore all’epoca dell’asta giudiziaria (nello specifico: R.D.L. 30 dicembre 1923 n. 3267, la legge n. 1497/1939 e la legge. n. 431/1985). (36) Si noti che il termine in questione non decorre dal deposito del provvedimento, bensì, appunto, dalla data di notifica del decreto all’assegnatario, poiché è quest’ultima che può dimostrare la piena conoscenza dell’assegnazione dell’immobile e, quindi, solo da quel momento l’acquirente potrà produrre la documentazione necessaria per la sanatoria (così sentenza TAR Basilicata n. 604 del 19 giugno 2001; TAR Lazio, sez. II-bis, n. 7339 del 5 settembre 2003; TAR Lazio sentenza n. 1366 del 14 febbraio 2007). Alla notifica, comunque, potrebbero essere equiparate comunicazioni di natura equipollente, poiché garantiscono allo stesso modo la conoscenza del provvedimento all’assegnatario (ad esempio la PeC ovvero la raccomandata A.R.). L’aggiudicatario, secondo la legge, può presentare la richiesta di sanatoria per gli immobili costruiti senza licenza edilizia; per gli immobili costruiti in difformità della stessa; in presenza di autorizzazione annullata, decaduta, diventata inefficace, ovvero per la quale sia pendente un procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa in presenza di aree sottoposte a vincolo. nell’ultimo caso elencato, la concessione può essere rilasciata solo con il parere favorevole da parte delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. DoTTRInA 293 tenere l’esatta ricostruzione della storia urbanistica e l’attuale quadro giuridico dell’immobile in questione (così Trib. Milano Sez. III 20 luglio 2017). Secondo la giurisprudenza, nell’ipotesi in cui non siano indicati nel bando i gravami dell’immobile assegnato (e, dunque, l’assegnatario non sia posto a conoscenza della reale situazione del bene), sarebbe configurabile un grave inadempimento, consistente nel c.d. “aliud pro alio” (“una cosa per un’altra”), il cui onere della prova grava sull’acquirente dell’immobile subastato (37). nondimeno, rimane ad oggi incerto lo strumento di tutela utilizzabile dall’aggiudicatario per far valere l’aliud pro alio. Sul punto, infatti, si sono succedute diverse posizioni della giurisprudenza, ma l’orientamento maggioritario rimane quello più restrittivo, secondo il quale l’acquirente può esperire esclusivamente l’opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il decreto di trasferimento. Tale posizione ritiene, infatti, che l'aggiudicatario del bene pignorato non possa essere considerato un semplice acquirente, essendo parte del processo di esecuzione; pertanto, non potrà avvalersi degli strumenti di tutela tipici dell’acquirente di vendita ordinaria, ma dovrà esperire l’opposizione agli atti esecutivi. In tal senso si è posta Cass. Sez. VI n. 11729/2017, la quale afferma che “L’aliud pro alio nella vendita forzata va fatto valere con l’opposizione agli atti esecutivi nel termine di 20 giorni decorrente dal decreto di trasferimento ovvero dal momento in cui si è acquisita conoscenza o conoscibilità del vizio o della difformità del bene, gravando sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare tale momento” (così pure Cassazione n. 7708/2014 e altre). Di contro, un opposto orientamento sostiene che l’aggiudicatario non avrebbe a sua disposizione il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento di aggiudicazione; pertanto, questi potrebbe invocare l’azione generale di annullamento ex artt. 1427 e 1429 c.c., come nel caso di vendita volontaria (38). Altre sentenze hanno richiamato ulteriori rimedi esperibili, quale l’azione generale di nullità parziale del negozio di vendita dipendente dall’incolpevole ignoranza della situazione di fatto dell’immobile da parte dell’aggiudicatario (Cass. n. 10320/1991) e la garanzia ex art. 1489 c.c. per cosa venduta gravata da oneri o diritti di godimento di terzi (Cass. n. 21384/2005). (37) In generale, si rammenti che per aliud pro alio si intende la circostanza nella quale viene consegnato un bene del tutto differente da quello pattuito (GAzzonI, manuale di diritto privato, eSI 2004, p. 1077). La giurisprudenza ritiene configurabile l’istituto in parola “se il bene aggiudicato appartenga ad un genere affatto diverso da quello indicato nell'ordinanza di vendita, ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico sociale, oppure quando ne sia del tutto compromessa la destinazione all'uso, ivi considerato, che abbia costituito elemento dominante per l'offerta di acquisto” (si veda, tra le tante, Cass. n. 14165/2016). Ha escluso la sussistenza dell’aliud pro alio Corte di Cassazione Sez. I n. 5257/2015, avendo rilevato che l’acquirente era già a conoscenza della non condonabilità del bene assegnatogli (ugualmente v. Cass. n. 10320/1991). (38) Ad esempio, Cass. n. 4378/2012 e, in precedenza, Cass. n. 7294/2003 e n. 10320/1991. RASSeGnA AVVoCATURA 294 DeLLo STATo - n. 2/2018 In altre occasioni, la Corte ha osservato che nelle ipotesi di vendita forzata di aliud pro alio è possibile ravvisare un vizio incidente in modo decisivo nella formazione del consenso dell’ignaro acquirente all’asta sull'oggetto della vendita: si tratterebbe, cioè, di un errore essenziale sulla qualità del bene ex art. 1429 c.c. Tale vizio, pertanto, sarebbe idoneo a determinare l'invalidità della vendita, previo esperimento dell'azione di annullamento dalla parte interessata (Cassazione sez. I n. 21249/2010 e Cass. sez III n. 23140/2013). Per quanto concerne, poi, le garanzie di cui può beneficiare l’aggiudicatario, la legge gli riconosce il diritto di far valere l’evizione (art. 2921 c.c.) (39), ma parte della giurisprudenza riconosce altresì la possibilità di invocare le garanzie di cui all’art. 1489 c.c. (cosa gravata da oneri, diritti reali o personali non apparenti) secondo le regole di diritto comune (40). Infatti, se dette garanzie sono assicurate all’acquirente nel caso di vendita volontaria, non si vede per quale motivo non debbano essere riconosciute all’assegnatario, soggetto che, anzi, necessita di una maggior tutela in sede di vendita forzata. Sono invece escluse le garanzie per i vizi, in virtù dell’art. 2922, comma 1, c.c. secondo il quale “Nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per i vizi della cosa”. La norma in questione farebbe implicitamente riferimento all’art. 1490 c.c. (vizi della cosa) nonché all’art. 1497 c.c. (mancanza di qualità della cosa) (41). La ratio di siffatto divieto si rinviene nella volontà legislativa di garantire una certa stabilità al trasferimento coattivo compiuto con la vendita forzata, ed altresì di limitare la responsabilità a carico del creditore procedente. Qualora, comunque, l’abuso edilizio non sia sanabile, l’immobile può essere ugualmente ceduto all’asta, purché la non sanabilità sia stata resa nota nel bando di vendita (in caso contrario, si verificherebbe anche in tale ipotesi l’aliud pro alio, per cui v. supra). In tale situazione, tuttavia, l’acquirente si troverà in una posizione alquanto gravosa, poiché l’immobile verrà trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trova e l’aggiudicatario sarà gravato dell’onere di effettuare un ripristino in toto, riportando il bene alla situazione in cui si trovava prima del compimento degli abusi edilizi; verrà comunque decurtato dal prezzo di asta l’importo necessario per il ripristino in bonis dell’immobile (così Cass. sezione III n. 23140/2013 (42)). (39) Secondo l’art. 2921 c.c., infatti, “L'acquirente della cosa espropriata, se ne subisce l'evizione, può ripetere il prezzo non ancora distribuito, dedotte le spese, e, se la distribuzione è già avvenuta, può ripeterne da ciascun creditore la parte che ha riscossa e dal debitore l'eventuale residuo, salva la responsabilità del creditore procedente per i danni e per le spese”. A titolo esemplificativo, l’evizione si configura nel caso in cui, in presenza di un abuso edilizio insanabile, venga emanata un’ordinanza di demolizione dell’immobile. (40) Particolarmente significative, sul punto, le pronunce di Tribunale Roma sezione XIII 28 settembre 2017; Cass. n. 7294/2003 e Cass. n. 21384/2005. (41) In tal senso, ex multis Cass. n. 10015/1998. (42) La Corte, infatti, ha affermato che anche l’immobile abusivo non sanabile può costituire oggetto di vendita forzata, a condizione che tale “difetto” sia dichiarato nell’avviso di vendita. Ciò, infatti, DoTTRInA 295 Un altro aspetto meritevole di essere considerato è il caso in cui l’eventuale rimozione degli abusi o delle difformità presenti nell’immobile potrebbe incidere sulla stabilità dell’intero fabbricato, che risulta regolarmente costruito. In merito a tali ipotesi, l’art. 34, comma 2, del D.P.R. 380/01 prevede una differente sanatoria, che consisterà nell’applicazione di una sanzione pari al doppio del costo di produzione (se l’edificio è residenziale) e al doppio del valore venale (se l’edificio non è residenziale) (43). Per concludere il nostro discorso, non si può tralasciare la posizione di rilievo ricoperta dalla Pubblica Amministrazione. Difatti, ferma restando la validità dell’acquisto dell’edificio abusivo in sede di vendita forzata, l’Amministrazione, secondo la recente giurisprudenza, conserverebbe in ogni momento la possibilità “di constatare l'abuso edilizio, di rilevare la non condonabilità dell'illecito edilizio, e di acquisire l'immobile, ai sensi dell'art. 46, D.P.r. 6 giugno 2001, n. 380, al patrimonio comunale anche nei confronti dell'aggiudicatario acquirente” (Trib. Roma 23 dicembre 2005). L’assegnatario del bene, quindi, da un lato risulta un soggetto che può beneficiare di varie tutele da parte dell’ordinamento; d’altra parte, rimane pur sempre in una situazione precaria, essendo ampiamente esposto al rischio di dover subire le conseguenze delle sanzioni ripristinatorie e riparatorie (compresa l’eventuale demolizione dell’opera abusiva) che potrebbero essere comminate in qualsiasi momento dalla P.A. nella stessa prospettiva, va considerata l’incidenza negativa che sul patrimonio dell’acquirente può avere la pendenza del versamento di contributi di costruzione: nonostante il rilascio della sanatoria, infatti, la doverosità del pagamento permane, gravando sull’assegnatario medesimo (44). 7. Locazione di immobile abusivo. I contratti con efficacia traslativa ovvero costitutiva di diritti reali sono espressamente soggetti al divieto di commerciabilità di cui all’art. 40 legge è desumibile dall’art. 40, Legge n. 28 febbraio 1985 n. 47 (riguardante le ipotesi di nullità nel caso in cui non sia presentata istanza di sanatoria per un immobile abusivo trasferito per atto tra vivi) e dall’art. 46 della medesima legge, dal quale si legge che la facoltà di sanatoria non è concessa all’acquirente di un immobile in via automatica, ma è subordinata all’esistenza di determinate condizioni. (43) Art. 34, comma 2, T.U. edilizia: “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”. (44) Invero, l’art. 16, comma 3, D.P.R. 380/2001 statuisce che “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione” (per la rateizzazione si veda l'art. 47 della legge n. 457 del 1978). RASSeGnA AVVoCATURA 296 DeLLo STATo - n. 2/2018 47/1985. Cosa succede, invece, se l’immobile abusivo è oggetto di un contratto ad effetti obbligatori, quale la locazione ex art. 1571 c.c.? orbene, in risposta all’interrogativo sopra posto, un orientamento più rigido (accolto, ad esempio, da Trib. Taranto Sez. II sentenza 27 gennaio 2015) invoca la sanzione della nullità ex art. 1418 c.c., sulla considerazione del fatto che la locazione di un immobile abusivo costituirebbe un contratto con causa illecita. Questo indirizzo, infatti, qualifica l’immobile abusivo quale corpo del reato, soggetto a confisca obbligatoria ex art. 240 co. 2 c.p., mentre il canone locativo illecito (in quanto ricchezza generata da una cosa altrettanto illecita) è ricondotto nel novero del “profitto del reato”, soggetto a confisca facoltativa ai sensi dell'art. 240, co. 1, c.p. Tuttavia, il suddetto orientamento non appare condiviso dalla Corte di Cassazione, che ha recentemente riconosciuto la validità di un contratto di locazione di un immobile abusivo. La sezione III della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9558/2017, considera infatti lecito il contratto in questione, affermando che “il carattere abusivo di una costruzione concretandosi in un’illiceità dell’opera può costituire fonte della responsabilità dell’autore nei confronti dello Stato ma non comporta l’invalidità del contratto di locazione stipulato tra privati”. La Corte, nello specifico, ha rigettato l’eccezione di nullità del contratto poiché ha considerato che la conduttrice aveva espressamente accettato lo stato di fatto e di diritto dell’immobile; a dire della Corte, quindi, proprio il consenso della parte, manifestato mediante la sottoscrizione della clausola contrattuale con cui si dava atto della non conformità dell’immobile alla normativa urbanistica e catastale, escluderebbe l’illiceità dell’accordo contrattuale. Di conseguenza, il versamento del canone locativo è stato ritenuto dovuto, poiché l’immobile è stato regolarmente goduto dalla locataria. nello stesso senso, peraltro, si era posta già Cass. n. 22312/2007, la quale aveva affermato che il carattere abusivo dell'immobile locato ovvero la mancanza di certificazione di abitabilità non importa nullità del contratto locatizio, non incidendo i detti vizi sulla liceità dell'oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. (che riguarda la prestazione) o della causa del contratto ex art. 1343 c.c. (che attiene al contrasto con l'ordine pubblico), e non potendo operare la nullità ex art. 40 L. n. 47 del 1985 (che riguarda solo vicende negoziali con effetti reali) (45). La conseguenza che può trarsi dalle pronunce sopra menzionate è che qualora nel contratto sia stata convenuta dalle parti apposita clausola di conoscenza dell’abusività, il conduttore non potrà esimersi dall’obbligo di versare i canoni locativi invocando l’irregolarità della costruzione concessa in locazione, ovvero di essere incorso in un errore sulla regolarità urbanistica e catastale dello stesso, stante, appunto, l’espresso consenso manifestato in seno all’accordo contrattuale. (45) Ugualmente, cfr. Cass. n. 12983/2010 e Cass. n. 4228/1999. DoTTRInA 297 In un’altra occasione, stavolta relativa ad un immobile ad uso commerciale, la Corte ha escluso che l’abusività impedisse al conduttore di potere sfruttare il bene nel quale svolgeva la propria attività imprenditoriale, ritenendo dunque doveroso il pagamento del corrispettivo della locazione (Cass. sez. II ordinanza n. 20964/2017). Tra l’altro, in simili fattispecie, il conduttore è gravato dell’onere di verificare che le caratteristiche del bene locato siano adeguate a quanto necessario per esercitare la propria attività commerciale, non essendo, dunque, legittimato ad avanzare, successivamente, lamentele su eventuali anomalie che aveva già conosciuto ed accettato (in questo senso v. Cass. nn. 3341/2001, 13395/2007, 20067/2008, 25278/2009, 1735/2011, 7271/2013). Diverso è invece il caso in cui il conduttore non conosceva, né avrebbe potuto conoscere, i vizi dell’immobile ceduto in locazione. Sul punto, la S.C., nella sentenza n. 6580/2013, distingue tra guasti e vizi dell’immobile. Ritiene infatti che qualora i difetti si sostanzino in meri guasti, il conduttore potrà chiederne esclusivamente la manutenzione ovvero la riparazione ai sensi degli artt. 1575 e 1576 c. c.; se, invece, si dovesse accertare in sede giudiziale che i difetti integrino veri e propri vizi della cosa locata, il conduttore potrà chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone locativo di cui all'art. 1578 c.c. Inoltre, la giurisprudenza riconosce al conduttore la possibilità di sospendere il pagamento del corrispettivo della locazione, purché si ravvisi una situazione di extrema ratio - perlopiù circoscritta al caso della totale inutilizzabilità dell’appartamento - e nei limiti dei generali principi di correttezza e di buona fede contrattuale (46). Al contrario, i giudici di legittimità non ammettono il ricorso all’autoriduzione del canone locatizio da parte del conduttore medesimo, nemmeno nei casi in cui si sia verificata una significativa riduzione del godimento dell’immobile, attribuibile o meno ad un fatto del locatore; il rimedio dell’autosospensione dal pagamento, infatti, non rientra tra gli strumenti di legge contemplati dall’art. 1578 c.c. Toccherà quindi al giudice il compito di valutare l’effettivo squilibrio venutosi a creare tra le pre- (46) È stato giustamente precisato, infatti, che la sospensione della controprestazione del conduttore è legittima solo se l’immobile risulti obiettivamente invivibile a causa di danni evidenti e, in ogni caso, detta sospensione deve risultare conforme ai criteri di lealtà e buona fede, come nella ipotesi di sospensione circoscritta alla sola durata della inutilizzabilità dell’immobile locato (Cass. n. 261/2008). In tali casi, infatti, la sospensione del pagamento del canone è giustificata dal fatto che viene meno la possibilità di godimento dell’immobile; in tutti i casi in cui, invece, l’appartamento risultasse ancora vivibile, nonostante la riduzione dell’utilizzabilità del bene, l’affitto deve essere versato (Cass.. n. 10639/2012; Trib. Milano n. 11292/2016). Anche per quanto concerne la riduzione, comunque, devono valere i suddetti principi di correttezza e buona fede nell’adempimento. Invero, sebbene la riduzione del canone locativo sia effettuata dal conduttore al fine di ripristinare l’equilibrio sinallagmatico spezzato dall’inadempimento della controparte, la stessa riduzione potrebbe costituire un abuso del diritto da parte del locatario, dato che questi continuerebbe a godere dell’immobile ma ad un prezzo inferiore di quello pattuito originariamente con il locatore. RASSeGnA AVVoCATURA 298 DeLLo STATo - n. 2/2018 stazioni delle parti e in seguito, se ritenuto opportuno, ridurre il corrispettivo della locazione (Cass. n. 261/2008). Sempre in tema di locazione, inoltre, la Cass. sez. III n. 13651/2014 ha specificato che il locatore risulterà inadempiente “ove non abbia ottenuto - in presenza di un obbligo specifico contrattualmente assunto - le autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio (e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all'esercizio di un'attività commerciale), ovvero quando le carenze intrinseche o le caratteristiche proprie del bene locato ostino all'adozione di tali atti e all'esercizio dell'attività del conduttore in conformità all'uso pattuito” (47). Infine, la Suprema Corte, con sentenza n. 19744/2014, in virtù della prevalenza del diritto alla salute (art. 32 Cost.), ha affermato che il locatore è tenuto “a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero note al conduttore, al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità”. nella pronuncia menzionata, la Suprema Corte ha evidenziato che la responsabilità del locatore per i danni alla salute derivanti dai vizi del bene sussiste anche se questi si sono manifestatisi successivamente alla consegna dell’immobile (48). . 8. appalto di immobile abusivo. La giurisprudenza non nutre dubbi sull’applicabilità della sanzione della nullità al contratto di appalto di immobile costruito in difformità rispetto al titolo abilitativo alla costruzione. Appare chiara, sul punto, la massima di Cass. sez. II n. 8890/2014 per la quale “Deve ritenersi nullo, per illiceità dell'oggetto, l'accordo per l'esecuzione di una variante della costruzione quando essa non è assentita dall'autorità amministrativa in relazione ad un progetto approvato e costituente oggetto di un contratto d'appalto: peraltro tale nullità non si estende all'intero contratto ma alle sole parti difformi dall'assentito ed esclude la possibilità di far valere i diritti nascenti dall'accordo per l'esecuzione della variante che non era stata assentita [da concessione edilizia o da altro provvedimento della p.a.]”. (47) In ugual senso, Cass. sez. III, n. 26907/2014 e Cass. sez. III n. 666/2016. (48) La pronuncia de qua ha ritenuto fondate le doglianze di due genitori che avevano agito nei confronti del proprietario dell’immobile da loro preso in locazione, deducendo che il loro figlio era deceduto per avvelenamento da ossido di carbonio mentre si trovava nel bagno dell'alloggio preso in locazione. In particolare, secondo gli attori, lo scaldabagno non era stato installato a regola d'arte per insufficienza tanto della capienza del locale quanto del sistema di scarico dei fumi. Sostenevano gli attori che, in ogni caso, l'evento lesivo era riferibile al comportamento negligente del proprietario locatore dell'immobile e ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni morali e patrimoniali da essi subiti in conseguenza del decesso del figlio. In senso conforme, precedentemente, Cass. n. 18854/2008; Cass. n. 8729/1991; Cass. n. 915/1999. DoTTRInA 299 In tali casi è indubbio che l’oggetto del contratto sia illecito, in quanto si pone in contrasto con le norme imperative urbanistiche e edilizie, e ciò impedisce tanto l’efficacia del contratto quanto la possibilità di convalida ex art. 1423 c.c. In altre parole, essendo il contratto viziato dalla nullità ab origine, l’appaltatore non avrà diritto di pretendere il corrispettivo pattuito né il committente potrà chiedere l'adempimento del contratto o il risarcimento del danno per il relativo inadempimento (Corte d'Appello napoli sez. III 9 giugno 2008; Cass. n. 4015/2007). D’altro canto, la giurisprudenza ha tentato di mitigare la rigidità del principio di nullità sopra espresso. in primis, è stato precisato che l'illiceità del contratto di appalto sussiste solo qualora l'appalto sia eseguito in carenza di concessione, e non anche nel caso in cui la concessione sia stata rilasciata dopo la data di stipula ma prima della realizzazione dell'opera (Cass. sez. I n. 3913/2009). Inoltre, una recente pronuncia del Tribunale Rimini Sez. Unica del 5 gennaio 2018, ha distinto tra difformità totale e parziale della costruzione rispetto alle normative urbanistiche: nel primo caso, che si verifica quando è stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetriche, l'opera è da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto è nullo per illiceità dell'oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica; detta nullità, invece, non sussisterebbe nel secondo caso (art. 12 della legge n. 47 del 1985), che si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto (49). Riguardo alla tutela che la legge fornisce all’appaltatore nel caso in cui il contratto di appalto venga dichiarato nullo in seguito all’accertamento dell’abuso edilizio, questi può agire ai sensi dell'articolo 2042 c.c. (Cass. nn. 6647/2002, 8040/2009 e 2884/2002). Il requisito essenziale per esperire l’azione di indebito arricchimento è che l’appaltatore non abbia ricevuto il corrispettivo pattuito a causa della nullità del contratto di appalto e che sussista un’indebita locupletazione del committente, consistente nel fatto che questi ha ugualmente goduto dell’immobile costruito abusivamente. 9. atti giudiziari sostitutivi di accordi negoziali aventi ad oggetto immobili abusivi. In questo paragrafo, ci si soffermerà sulla disciplina applicabile ai provvedimenti del giudice che attribuiscono beni immobili: ci si riferisce, in particolare, alla divisione giudiziale (art. 789, comma 3, c.p.c) ed alla separazione personale (art. 711 c.p.c.). (49) Come si ricorderà, tale distinzione risulta utile altresì per comprendere se il contratto preliminare con oggetto un immobile abusivo possa essere oggetto di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c (per questo argomento v. supra, par. 4). RASSeGnA AVVoCATURA 300 DeLLo STATo - n. 2/2018 In entrambi i casi, secondo l’interpretazione giurisprudenziale più acclamata, l’intervento del giudice in tali fattispecie si limiterebbe ad omologare un accordo (di divisione ovvero di separazione) già raggiunto dalle parti, così rendendolo efficace, senza aggiungere nulla in più rispetto a quanto già deciso dai paciscienti. In base a tale impostazione, dunque, vi è il presupposto che l’omologa del giudice avrebbe natura negoziale, e non decisoria, in quanto si limiterebbe semplicemente a prendere atto di una volontà già manifestata dalle parti. Il decreto di omologa della separazione, infatti, ha lo scopo di “attribuire efficacia esterna all'accordo di separazione, assumendo la funzione di condizione sospensiva della produzione degli effetti di pattuizioni stipulate tra i coniugi, già integranti un negozio giuridico perfetto ed autonomo" (Cass. n. 17607/2003) (50). Alla medesima soluzione si giunge relativamente alla sentenza di divorzio: la dottrina notarile, infatti, ha sottolineato che le disposizioni del T.U. dell’edilizia si applicano anche alle pronunce sostitutive di accordi negoziali, e vi fa rientrare la sentenza di divorzio, nonostante la normativa in questione faccia riferimento soltanto agli atti inter vivos (cfr. le risposte dell’Ufficio Studi al Quesito Cnn 4106/2002 e 216-2009/C (51)). Riguardo, poi, all’ordinanza di divisione giudiziale, la dottrina e la giurisprudenza prevalente (52) ritengono abbia fondamento negoziale, poiché, analogamente all’omologa della separazione, si limiterebbe a delibare l’accordo inter partes. Infatti, “l’effetto divisorio si produce sin dal momento in cui si realizza l’accordo tra i condividenti, mentre il giudice si limita a conferire carattere esecutivo alla loro volontà. Logico corollario di tale tesi è che l’ordinanza con cui il giudice istruttore dichiara esecutivo il progetto di divisione ex art. 789 c.p.c., non avendo contenuto decisorio, non è impugnabile con ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost.” (53). In conclusione, i verbali di separazione personale e di divisione giudiziale, nonché le sentenze di divorzio, essendo provvedimenti di natura negoziale, sono ricondotti al genus degli atti oggetto delle sanzioni di nullità previste (50) Sulla natura negoziale dell’omologa dell’accordo divisorio, ex multis si veda Cass. n. 11754/1999: Cass. n. 1902/1959; Cass. n. 3200/1975; Cass. n. 4032/1980; Cass. n. 11754/1999; Cass. n. 10995/2004. (51) Quesito n. 4106 del 25 novembre 2002, Cessazione degli effetti civili del matrimonio e legge n. 47 del 1985, in Studi e materiali, 2/2003, 734, est. FABIAnI - RUoToLo; Quesito n. 216-2009/C Sentenza di divorzio, normativa urbanistica e conferma, est. M.L. MATTIA. (52) In dottrina, F. CARneLUTTI, istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 205 ss.; S. CoSTA, Giudizio divisorio, in Noviss. Di, VI, Torino 1960, 61; S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano, 1971, 104. In giurisprudenza, ex multis si veda Cass. 20 ottobre n. 11754/1999; Cass. n. 1902/1959; Cass. n. 10995/2004. (53) “Divisione giudiziale carente di menzioni urbanistiche e confermabilità con atto notarile” a cura di PAoLo DIVIzIA, MARIARoSARIA CAnTe, VInCenzo PUGLIeSe, in Notariato 3/2010, pp. 279 ss. DoTTRInA 301 dalla Legge n. 47/1985 e dal D.P.R. 380/2001. essi, infatti, a differenza degli ordinari provvedimenti giudiziali, che cristallizzano una nuova decisione del giudice in relazione ad una determinata fattispecie, si limitano a recepire - e così sostituire - accordi già intervenuti tra le parti. È chiaro, quindi, che se l’accordo tra le parti è affetto da vizi che comportano la nullità, in base alle normative già esaminate, anche il successivo provvedimento giudiziale che lo omologa risulterà nullo: ciò che si potrebbe definire una sorta di “nullità derivata”. 10. La non risarcibilità della lesione patrimoniale all’immobile abusivo: la sentenza della Cassazione n. 4206/2011. Dopo aver delineato, seppur sommariamente, il quadro giuridico di riferimento degli immobili costruiti non in regola con la normativa urbanistica, è interessante chiedersi se ai proprietari di tali costruzioni possano essere riconosciute eventuali pretese risarcitorie per la lesione cagionata da terzi all’abitazione abusiva. La questione de qua, peraltro, è più che mai attuale. oggigiorno, infatti, sempre più frequentemente sono avviati nei centri urbani numerosi lavori di escavazione (ad esempio, per sviluppare le tratte del tram o della metropolitana), ovvero di manutenzione delle strade, nonché cantieri di vario genere; per di più, gli immobili sono sovente suscettibili di essere danneggiati da catastrofi naturali, come terremoti o frane. Ci si può chiedere, pertanto, se il proprietario della costruzione danneggiata abbia diritto ad ottenere un risarcimento per i danni subìti, ai sensi dell’art. 2043 c.c. ebbene, sul punto risulta senz’altro emblematica e, per certi versi, rivoluzionaria la sentenza della Cassazione sez. II n. 4206/2011, che ha costituito un precedente rilevante in materia. La pronuncia in esame ha infatti evidenziato che “il carattere abusivo di un immobile esclude che possa configurarsi come danno la lesione ad esso arrecata”. nella specie affrontata dalla Suprema Corte, l’attore aveva convenuto in giudizio l’ente comunale chiedendo il risarcimento dei danni (art. 2053 c.c.) asseritamente subìti a seguito della costruzione di una strada che, attraversando un suo fondo, aveva causato un movimento franoso. nella motivazione, gli ermellini hanno affermato che non è avanzabile alcuna pretesa risarcitoria da parte del proprietario del manufatto abusivo risultato danneggiato a causa della frana, poiché non sorgerebbe alcuna fattispecie di danno considerato ex lege risarcibile. Afferma con rigore la Corte che “il danno è inesistente in quanto il bene abusivo non è suscettibile di essere scambiato sul mercato”. Risulta chiaro che la pronuncia in esame abbia fatto un passo in avanti rispetto a quanto già statuito in precedenza dalla Corte. Invero, già diverse sentenze avevano affermato il principio per cui il proprietario non può trarre beneficio dalla propria attività illecita. Tuttavia la Corte, con la sentenza de qua, è giunta a RASSeGnA AVVoCATURA 302 DeLLo STATo - n. 2/2018 ritenere che il danno asseritamente subìto dall’attore è tamquam non esset: i giudici, infatti, partendo dalla premessa per cui il bene abusivo non è suscettibile di essere scambiato sul mercato, traggono la conseguenza che il proprietario non ha diritto di ricevere tutela giuridica (54). La pronuncia in questione appare condivisibile: l’ordinamento giuridico non può, da un lato, sanzionare una condotta e d’altra parte prevedere un vantaggio patrimoniale derivante dalla medesima. Un ordinamento che intendesse agire in tal modo non sarebbe capace di fornire una risposta univoca e coerente rispetto al fenomeno dell’abusivismo, perdendo così di credibilità tra gli stessi consociati. Ulteriore conferma della carenza di valore del bene abusivo è l’inapplicabilità di quanto prescritto dall’art. 936 c.c. In base a tale norma, infatti, il proprietario del suolo può ritenere piantagioni, costruzioni od opere fatte da un terzo con materiali propri, ma pagando a quest’ultimo un indennizzo (di cui al comma 2). Tuttavia, quando l'opera è abusiva, il proprietario del suolo non è tenuto a detto pagamento, perché, sul piano civilistico, il manufatto abusivo è privo di valore per il fondo cui accede, il che impedisce al proprietario del suolo di compiere la scelta discrezionale di cui alla norma citata (Cass. sez. II n. 4731/2011) (55). L’immobile costruito abusivamente viene pertanto considerato inesistente nel traffico economico-giuridico, insuscettibile di essere oggetto di transazioni commerciali e, di conseguenza, il suo danneggiamento non trova alcuna possibilità di ristoro (proprio perché, per il legislatore, il bene non esiste). La carenza di valore dell’immobile abusivo funge da motivazione di molteplici pronunce della Cassazione che hanno rigettato vari tipi di pretese vantate dal proprietario della costruzione medesima. Ad esempio, Cass. sez. II n. 4731/2011, riformando la sentenza di appello, ha affermato che “in riferimento alle opere eseguite su fondo altrui da un terzo con materiali propri, quando l'opera è abusiva, il proprietario del suolo non è tenuto al pagamento dell'indennizzo di cui all'art. 936, secondo comma, cod. civ., perché, sul piano civi- (54) Si vedano anche, sul punto, Cass. S.U. n. 6272/2008; Cass. Sez. I n. 1017/2009. Più di recente, la carenza di valore del manufatto abusivo e la conseguente impossibilità, per il proprietario, di trarne benefici, è stata sottolineata da Cass. sez. V n. 26509/2016. (55) Conforme Cass. sez. II n. 1237/2016, che, però, fa salva l’ipotesi della concessione in sanatoria delle opere realizzate, la quale escluderebbe l’eventualità di una demolizione, restituendo l’immobile a uno stato di conformità di diritto. e ancora, in tema di contratti agrari, “l'affittuario che abbia eseguito, sul fondo del locatore, opere non conformi alle norme edilizie e insuscettibili di sanatoria, non ha diritto ad alcun indennizzo ai sensi degli artt. 16 e 17 della legge 3 maggio 1982, n. 203, la cui attribuzione sarebbe in contrasto con la funzione dell'amministrazione della giustizia, in quanto l'agente verrebbe a conseguire indirettamente, ma pur sempre in via giudiziaria, un vantaggio da attività illecita, che, in via diretta, è precluso dagli artt. 1346 e 1418 cod. civ., tanto più che le opere - proprio perché non sanabili - non sono idonee a determinare un effettivo aumento di valore del fondo” (Cass. sez. III n. 5864/2015). DoTTRInA 303 listico, il manufatto abusivo deve ritenersi carente di valore per il fondo cui accede (…)”. Ugualmente, Cass. civ. Sez. III n. 8038/2016 ha sostenuto che “non può accordarsi risarcimento, per i danni determinati da una frana provocata da un cantiere superiore, al titolare d'un fabbricato costruito abusivamente a valle, perché il bene abusivo è privo di valenza economica in quanto insuscettibile d'essere scambiato sul mercato”. nel caso de quo, in particolare, era risultato che due piani dell’immobile danneggiato erano difformi rispetto alle previsioni dei relativi titoli edilizi; in più, i proprietari dell’immobile non avevano allegato né provato in giudizio il rispetto della normativa antisismica nella costruzione dell’immobile. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto non risarcibile la pretesa risarcitoria vantata da parte attrice (56). È chiaro quindi che l'immobile abusivo si pone in uno stato di difformità rispetto al mondo del diritto, essendo peraltro passibile di demolizione, e proprio ciò impedisce che possa rilevare sul piano risarcitorio il danno a questo arrecato. 11. il non riconoscimento dell’indennizzo espropriativo al titolare dell’immobile abusivo. Altro risvolto interessante dell’irregolarità urbanistico-edilizia è il non riconoscimento del danno da espropriazione e, dunque, del relativo indennizzo che normalmente la legge prevede a favore del proprietario dell’immobile espropriato per ragioni di pubblica utilità ai sensi degli artt. 42, comma 3, Cost. e 834 c.c. La Cassazione, infatti, nella sentenza n. 4206/2011 (di cui supra) ha fatto riferimento proprio al consolidato orientamento formatosi in materia di espropriazione per pubblica utilità, che esclude dall'indennizzo gli immobili costruiti abusivamente, salvo che alla data dell'evento ablativo sia stata già rilasciata la concessione in sanatoria. La medesima regola vale anche per le ipotesi di c.d. "espropriazione larvata", previste dall'art. 46 della legge n. 2359/1865. Il principio generale, infatti, è il medesimo: “il proprietario non può trarre beneficio alcuno dalla sua attività illecita” (Cass. nn. 17881/2004, 26260/ 2009; Cass. S.U. n. 9341/2003; più recentemente, il principio è stato ribadito dalla Cassazione con l'ordinanza n. 27863/2017). (56) Cfr. anche Cass. sez. III n. 5864/2015, la quale ha negato che l'affittuario che abbia eseguito, sul fondo del locatore, opere non conformi alle norme edilizie e insuscettibili di sanatoria, abbia diritto all’indennizzo ai sensi degli artt. 16 e 17 della legge 3 maggio 1982, n. 203, “la cui attribuzione sarebbe in contrasto con la funzione dell'amministrazione della giustizia, in quanto l'agente verrebbe a conseguire indirettamente, ma pur sempre in via giudiziaria, un vantaggio da attività illecita, che, in via diretta, è precluso dagli artt. 1346 e 1418 cod. civ., tanto più che le opere - proprio perché non sanabili - non sono idonee a determinare un effettivo aumento di valore del fondo” (sulla stessa linea si pongono Cass. sez. II n. 26853/2011 e Cass. civ. sez. II 25 gennaio 2016, n. 1237). RASSeGnA AVVoCATURA 304 DeLLo STATo - n. 2/2018 A tal riguardo, dal punto di vista normativo, l'art. 16, comma 9, l. 22 ottobre 1971, n. 865, vieta che, ai fini del calcolo dell'indennizzo, si possa tenere in considerazione la presenza sul suolo di una costruzione eseguita in difetto o in contrasto con la licenza edilizia o sulla base di una licenza successivamente annullata. In tali ipotesi, la norma statuisce che l'indennizzo debba essere parametrato al valore della sola area, come se la costruzione non esistesse affatto. È posto, dunque, sul giudice di merito l'onere di accertare previamente l'avvenuto rilascio della concessione in sanatoria poiché, in assenza di essa, si escluderà qualsiasi valore commerciale del manufatto abusivo. Un orientamento più favorevole al proprietario, tuttavia, è stato recentemente esposto dall’ordinanza n. 645/2018, con cui la Corte ha ammesso il riconoscimento dell’indennità nei casi in cui “l'immobile, alla data in cui interviene l'esproprio, è stato fatto oggetto di una domanda di sanatoria che la pubblica amministrazione non abbia ancora scrutinato: in tale ipotesi occorre cioè che l'amministrazione, per i fini del riconoscimento dell'indennità, effettui una valutazione prognostica circa la formazione del silenzio assenso o circa la sua condonabilità, il cui esito, se positivo, impone di tener conto di esso nella quantificazione di quella indennità”. 12. immobili abusivi e violazione delle distanze tra edifici. Un’ulteriore conferma del fatto che l’immobile abusivo è inesistente per il nostro ordinamento giuridico ai fini risarcitori, è fornita dall’orientamento della giurisprudenza formatosi sulla violazione delle distanze tra gli edifici, dei quali uno sia abusivo. In merito all’argomento in questione, due pronunce risultano meritevoli di segnalazione. La prima, emessa dalla Corte di Cassazione sez. II n. 20849/2013, ha ritenuto che, qualora sia realizzata una costruzione in violazione delle distanze previste dalla legge rispetto a un immobile abusivo (art. 873 c.c.), al titolare di quest’ultimo non spetta alcun risarcimento del danno, poiché il fabbricato difforme dalla concessione edilizia è giuridicamente incommerciabile fino alla sua regolarizzazione, che si perfeziona mediante rilascio della concessione in sanatoria. La seconda pronuncia è del Consiglio di Stato sez. IV n. 3968/2015, la quale ha risolto il caso di seguito esposto. Il proprietario di un terreno vi aveva edificato un immobile, ma il confinante aveva impugnato il titolo abilitativo sostenendo che erano state violate le distanze tra le costruzioni. Il proprietario del nuovo edificio aveva invece fatto notare che dai progetti e da tutti gli allegati non risultava la presenza di una veranda nella proprietà confinante: la veranda era infatti abusiva. Il Consiglio di Stato, ribaltando la decisione precedentemente resa del TAR, ha dunque affermato che è più importante tutelare i diritti di chi costruisce rispettando le regole, piuttosto che la posizione di colui che ha realizzato - anche se in precedenza - un manufatto illegittimo. DoTTRInA 305 Si potrebbe obiettare che il mancato riconoscimento della tutela risarcitoria non terrebbe conto di varie esigenze generali, quali la salute pubblica, la sicurezza, le vie di comunicazione e la buona gestione del territorio. Tali interessi collettivi, infatti, sono garantiti proprio dalla normativa dettata sulla distanza legale degli edifici. D’altra parte, non può tralasciarsi che, riconoscendo una forma di risarcimento al proprietario dell’immobile abusivo, si arriverebbe al risultato aberrante che, a causa dell’illecito ampliamento dell’edificio, il proprietario del fondo finitimo sarebbe costretto ad arretrare il proprio manufatto rispetto alla sua legittima ubicazione originaria. 13. i rimedi amministrativi esperibili avverso l’abuso edilizio commesso dal vicino. Allo scopo di evitare possibili pericoli o danni alla salute cagionati dalla distanza tra gli edifici inferiore a quella prescritta dalla legge ovvero dagli strumenti urbanistici, il proprietario dell’immobile costruito regolarmente, vicino a quello abusivo, può rivolgersi al Comune al fine di chiedere l’emanazione degli appositi provvedimenti sanzionatori, nel caso in cui l’Amministrazione sia rimasta inerte fino a quel momento. In tal senso si è espresso il TAR Campania napoli sez. VI n. 5198/2017, riconoscendo così in capo al proprietario del fondo confinante un vero e proprio interesse legittimo all’esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi da parte dell’organo preposto al controllo ed alla prevenzione dell’abusivismo. La legittimità della pretesa del cittadino volta all’eliminazione dell’opera abusiva del vicino di casa era già stata oggetto di varie pronunce. Ad esempio, TAR Lazio Roma sez. I-quater n. 12853/2015 ha ritenuto che il cittadino può e deve diffidare la pubblica amministrazione a procedere alla materiale demolizione di un’opera abusiva. La P.A., dal canto suo, è obbligata a rispondere all’istanza presentata; infatti, qualora l’ente comunale non avesse riscontrato la segnalazione del cittadino entro il termine di trenta giorni, questi potrà adire il giudice amministrativo per chiedere il riconoscimento e la dichiarazione di illegittimità del silenzio serbato dal Comune in ordine alla diffida con cui gli si chiedeva di verificare l’illegittimità dei lavori segnalati. Il giudice, accertata la colpevole inerzia dell’ente locale, ordinerà quindi al Comune di provvedere all’ordine di demolizione. Inoltre, nei casi più urgenti, il Tar può nominare un commissario ad acta nella persona del Prefetto o di un suo delegato che, in qualità di funzionario governativo, presiederà al controllo che il Comune adempia ai suoi obblighi e faccia abbattere al vicino di casa la costruzione abusiva. Va poi evidenziato che il cittadino, che nutra il sospetto di illegittimità di un’opera, può presentare un’istanza di accesso agli atti del procedimento amministrativo avente ad oggetto la costruzione ritenuta abusiva; il Comune, infatti, non è legittimato a rigettare la richiesta di accesso agli atti amministrativi, RASSeGnA AVVoCATURA 306 DeLLo STATo - n. 2/2018 sia perché, in tali casi, sono coinvolti interessi di carattere superindividuale (la cui tutela è prevalente rispetto al diritto di proprietà individuale dell’immobile ritenuto abusivo), sia perché il nuovo FoIA (Freedom of information act, in vigore dal 23 dicembre 2016) ha ampliato la possibilità di ottenere l’accesso agli atti senza, peraltro, che il soggetto dei cui dati si chiede l’accesso possa venire a conoscenza dell’istanza presentata dal terzo. Inoltre, il vicino interessato all’accertamento della natura abusiva dell’immobile può sempre chiedere ad un perito di fiducia di visionare l’opera e attestarne l’eventuale irregolarità prima di proporre la domanda giudiziale volta alla richiesta di demolizione (in tal senso, TAR Lombardia Milano sez. II n. 2209/2017). Qualora, invece, il vicino voglia limitarsi a denunciare l’abuso senza esperire un’azione in giudizio, è sua facoltà rivolgersi alla polizia municipale del Comune ove è ubicato l’immobile in questione, oppure presentare un esposto alla Procura della Repubblica del Tribunale del luogo ove è stato commesso il reato edilizio. non ci sono termini massimi per procedere alla denuncia dell’abuso edilizio: infatti, sebbene il reato contravvenzionale de quo si prescriva ordinariamente in 4 anni, l’ordine di demolizione può essere impartito senza limiti di tempo, anche nei confronti degli eredi ovvero dei successivi acquirenti dell’immobile, poiché si tratta di una sanzione ripristinatoria. La conseguenza pratica è che il giudice non potrà mai dichiarare estinto l’ordine di demolizione per prescrizione del sottostante reato di abuso edilizio, come ha precisato Cass. n. 49331/15. Trattandosi di una sanzione amministrativa, in altre parole, l’ordine di demolizione non ricade nel regime di prescrizione ex art. 173 c.p. previsto per le pene, né in quello stabilito dall’art. 28 legge 689/1981 che riguarda le sanzioni pecuniarie di natura punitiva, come ha recentemente ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2755/2018. L’inapplicabilità dell’istituto della prescrizione alla demolizione, peraltro, ha la funzione di deterrente contro il compimento di abusi edilizi (57). In senso contrario si è espressa tuttavia la Corte di Cassazione sezione III n. 45428/2016, la quale ha annullato l’ordinanza del GIP che aveva ordinato la confisca e la demolizione di un manufatto abusivo, stante la declaratoria di prescrizione del reato di abuso edilizio. Riguardo all’obbiettivo dell’ordine di demolizione, poi, è utile ricordare che, essendo una sanzione non penale, non persegue finalità rieducativa dell’autore dell’abuso (art. 27, co. 3, Cost.), ma intende ripristinare lo status quo (57) Si segnala, sul punto, anche T.A.R. Umbria Perugia sez. I n. 109/2018, secondo cui: “il potere di reprimere abusi edilizi non è soggetto né a prescrizione né a decadenza, atteso il carattere di illecito permanente dell'abuso edilizio medesimo, cui consegue l'assenza di qualsivoglia aspettativa del contravventore a vedere conservata una situazione di fatto che il semplice decorso del tempo non può legittimare”. DoTTRInA 307 ante e tutelare l’ambiente, il paesaggio e, in generale, il territorio da opere non autorizzate e, talvolta, perfino dannose (58). Il discorso sopra svolto vale anche per la confisca, sanzione amministrativa reale prevista dall’art. 44, co. 2, del D.P.R. 380/2001. Sul punto, va considerata la pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza n. 49/2015, la quale ha rilevato che “È inammissibile, per erronea individuazione del presupposto interpretativo e dell’efficacia del principio di diritto espresso dalla Corte Edu, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 comma 2, d.P.r. 6 giugno 2001 n. 380, nella parte in cui consente che la confisca urbanistica dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite venga disposta anche attraverso una sentenza che dichiari estinto il reato per intervenuta prescrizione, in relazione all’art. 7 Cedu, in riferimento all’art. 117, comma 1, cost.”. La Corte quindi ha ritenuto sussistente l’obbligo di disporre la confisca anche in presenza della prescrizione del reato ex art. 44, poiché ciò che conta è la materialità dell’illecito, che la confisca ha lo scopo di eliminare. È interessante, infine, sottolineare che il destinatario di un provvedimento repressivo degli abusi edilizi non ha il diritto di ricevere la comunicazione dell'avvio del procedimento perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime (TA.R. Campania napoli sez. II n. 2926/2015). 14. ius superveniens favorevole al costruttore: cosa succede se l’immobile abusivo diventa legittimo in virtù di una norma sopravvenuta? Come si è accennato, il settore urbanistico-edilizio è in costante mutamento ed aggiornamento. È piuttosto frequente, perciò, che il legislatore decida di emanare provvedimenti diretti a sanare i fenomeni di abusivismo nell'ambito delle regole di costruzione e modifica edile. Per mezzo di tali provvedimenti, cioè, l’originario carattere abusivo delle opere edilizie viene meno (59). (58) Si consideri la sentenza della Corte di Cassazione per quale “La demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, T.U. Edil. qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa, che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen” (Cassazione penale sez. III n. 9949/2016). (59) Un esempio è il condono edilizio, che viene disposto con legge speciale, che non va confuso con la c.d. sanatoria. Tale provvedimento consente, previa autodenuncia, di sanare abusi maturati nell'ambito delle regole di costruzione, di ampliamento o di modifiche di natura edile. La durata temporale RASSeGnA AVVoCATURA 308 DeLLo STATo - n. 2/2018 Si ipotizzi il caso in cui, nelle more della causa di accertamento della violazione delle distanze legali previste dal regolamento comunale, prima dell’emissione della sentenza di condanna, l’opera abusiva divenga legittima in virtù di un nuovo regolamento comunale. ebbene, secondo una recente opinione giurisprudenziale, la costruzione divenuta legittima in virtù dello ius superveniens non può più essere abbattuta; vengono fatti salvi soltanto gli effetti del giudicato eventualmente già prodotti, che, infatti, avendo accertato irrevocabilmente la violazione ed avendo stabilito la regola del caso concreto, farebbe perdere ogni rilevanza ai fatti sopravvenuti. Cass. sez. III n. 12987/2016 ha affermato infatti che “lo ius superveniens più favorevole per il costruttore rende legittimo l’edificio sorto in violazione della normativa in vigore al momento della sua ultimazione, fermo il diritto del vicino al risarcimento del danno, non si applica in presenza di una sentenza passata in giudicato (…)”. Si badi, però, che la costruzione viene resa lecita soltanto pro futuro: ciò significa che nulla vieterebbe al proprietario del fondo confinante a quello originariamente abusivo di chiedere il risarcimento del danno subito per tutto il periodo decorso, concretizzatosi nella limitazione illegittima del suo diritto di proprietà (vale a dire, del godimento e dell’utilità del proprio immobile), che andrà provata dal medesimo soggetto che asserisce il danno. Inoltre, va considerato che non assume alcun rilievo la possibilità di un’eventuale emanazione di atti favorevoli al condannato in tempi imprevedibili o eccessivamente lontani, ragion per cui la Cassazione ha stabilito che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza irrevocabile, non può essere revocato o sospeso sulla base della mera pendenza di un ricorso in sede giurisdizionale avverso il rigetto della domanda di condono edilizio (Cass. pen. sez. III n. 16686/2009). 15. Usucapione e immobile abusivo: un diverso approccio della giurisprudenza. Il nostro ordinamento giuridico nega fermamente qualsiasi rilevanza risarcitoria della violazione patrimoniale dell’immobile non conforme alle regole edilizie, come ha confermato anche la maggioritaria giurisprudenza, rigettando le domande risarcitorie avanzate dal titolare dell’immobile per varie tipologie di danno recato allo stesso. Può essere interessante, a questo punto, comprendere se la Cassazione è pervenuta ai medesimi risultati in tema di diritti reali del proprietario della costruzione irregolarmente edificata. In particolare, ci si può chiedere se il prodel condono edilizio, tuttavia, è limitata nel tempo. In Italia i condoni edilizi sono stati tre, disciplinati dalle seguenti leggi: la legge n. 47/1985; la legge n. 724/1994; la legge n. 326/2003, mentre nel momento storico in cui si scrive non è in vigore alcun condono edilizio. DoTTRInA 309 prietario della costruzione abusiva abbia il diritto di acquistare per usucapione la titolarità dei diritti reali, ed indagare se possano essergli riconosciute eventuali azioni in difesa degli stessi. orbene, la Cassazione, anche con pronunce recenti, ha riconosciuto in più occasioni un vero e proprio diritto del proprietario della costruzione abusiva a maturare l’acquisto per usucapione dei diritti reali, quali il diritto di proprietà ovvero di servitù. Con l’ordinanza n. 1395/2017, ad esempio, la Corte ha rilevato che “È ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso "ad usucapionem"”. La Suprema Corte, in conformità con l’orientamento già precedentemente espresso in materia, ha affermato che, in presenza dei presupposti di cui all'art. 1158 c.c., non osta all'acquisto per usucapione la mancanza di un titolo abilitativo della costruzione; in più, ha rilevato che l'esecuzione di una costruzione in violazione delle norme edilizie dà luogo ad un illecito, la cui permanenza cessa per il decorso del termine ventennale utile per l'usucapione del diritto di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova (60). Cambia, tuttavia, il dies a quo utile per l'usucapione del diritto reale, in quanto “deve farsi riferimento non al momento di inizio della costruzione bensì a quello nel quale questa sia venuta ad esistenza, mercé la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, idonei a rivelare anche al titolare del fondo servente l'esistenza di uno stato di fatto coincidente con l'esercizio di un diritto reale di servitù” (Cass. sez. II n. 11052/2016). Secondo la Cassazione, in definitiva, non vi è ragione per escludere, nell'ambito del rapporto privatistico, l'usucapione da parte del confinante del diritto di mantenere il proprio immobile a distanza inferiore a quella legale. La conseguenza è che qualora il mancato rispetto delle distanze minime non venga fatto valere dal proprietario del fondo finitimo entro il termine di venti anni, si realizzerà l’usucapione e il vicino non potrà più avanzare alcuna richiesta di demolizione della costruzione abusiva, né di risarcimento del danno, entrambe sanzioni normalmente previste dalla legge in ragione dell’abusività della costruzione (rectius: l’eventuale richiesta avanzata verrebbe rigettata). Si considera, quindi, superata la diversa (minoritaria) impostazione secondo cui sarebbe inammissibile l'acquisto per usucapione a favore del co- (60) Conformi: Corte di cassazione sez. II n. 14916/2015; Cass. sez. II n. 3979/2013. In più, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l'usucapione del diritto a mantenere l'immobile a distanza inferiore a quella legale non contrasta con il divieto di derogare alle distanze previste dai regolamenti comunali di edilizia e dai piani regolatori (Cass. sez. II n. 4240/2010). RASSeGnA AVVoCATURA 310 DeLLo STATo - n. 2/2018 struttore del diritto reale di servitù a mantenere la costruzione a distanza inferiore rispetto a quella prescritta inderogabilmente dagli strumenti urbanistici locali (orientamento mostrato, ad esempio, dalla Cass. sez. II n. 20769/2007). Dalle suddette pronunce può ricavarsi, pertanto, che la Corte non considera ostativa all’usucapione la mancanza del provvedimento abilitativo della costruzione, sicché è possibile che il proprietario di un immobile abusivo acquisti, tramite usucapione, un diritto reale (ad esempio, il diritto di servitù di veduta). Tuttavia, è necessario, in ogni caso, il rispetto dei principi generali dettati dall’ordinamento in materia di usucapione. Infatti, è opportuno ricordare che, ai fini dell’acquisto per usucapione, non può mai prescindersi dall’onere della prova: è essenziale, cioè, che il proprietario che intenda usucapire dimostri sempre il decorso dei 20 anni di continuo possesso del bene che intende usucapire. In secondo luogo, per quanto concerne specificamente l’acquisto per usucapione di una servitù di veduta, è essenziale che la luce risulti regolare ai sensi dell’art. 901 c.c. (61). Infatti, “il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto per usucapione della relativa servitù” (Cass. S.U. n. 10285/1996). La ratio di tale orientamento si rinviene nell’art. 1061 c.c., che prevede che l’acquisto per usucapione possa aversi soltanto per le servitù apparenti, per le quali esistano opere permanenti e visibili che consentano il loro esercizio (62). L'importanza assunta dal requisito dell'apparenza sta nella necessità di escludere che possano diventare servitù le facoltà esercitate clandestinamente o per mera tolleranza. Inoltre, se colui che ha costruito per primo ha acquistato per usucapione il diritto ad avere vedute verso il fondo vicino, il proprietario di quest’ultimo sarà tenuto ad osservare le distanze previste dall’art. 907 c.c., in base al principio di c.d. prevenzione, ricavato dalla disciplina relativa alle distanze legali (Cass. S.U. n. 11489/2002; Cass. n. 3859/88; Cass. n. 11956/2009). 16. Considerazioni conclusive. In definitiva, si ravvisano due approcci antitetici da parte della giurisprudenza di legittimità rispetto all’esistenza di diritti vantati dal proprietario del- (61) La Cass. sez. II n. 16583/2016 ha stabilito che sono luci le aperture che di fatto, e qualsiasi motivo, non consentono l’inspectio in alienum, né tanto meno una comoda prospectio, quand’anche non siano state rispettate le prescrizioni dettate per luci dall’art. 901 cc. (luci regolari), con la conseguenza che il vicino può sempre esigere la loro regolarizzazione, ovvero occluderle se concorrono le condizioni all’uopo previste e disciplinate dall’ordinamento. (62) Il requisito dell'apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione ex art. 1061 c.c., si configura come presenza di opere visibili e permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio che rivelino in modo non equivoco l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile (Cass. sez. II n. 25355/2017). DoTTRInA 311 l’immobile abusivo: da una parte, si nega ogni forma di tutela risarcitoria per eventuali danni subiti dall’immobile, stante l’incommerciabilità dello stesso; dall’altra, si tollera che il proprietario della costruzione illegittima possa acquisire per usucapione la titolarità di un diritto reale. Ci si può chiedere, pertanto, la ragione della differenza dei suddetti orientamenti giurisprudenziali nei confronti della medesima fattispecie illecita. ebbene, la causa di una tale diversità dovrà essere ricercata nei principi generali del diritto. Va considerato, infatti, che la Cassazione giunge al riconoscimento della possibilità di usucapire perché considera le violazioni delle norme amministrative, finalizzate all'ottenimento dei provvedimenti necessari per costruire, in modo differente rispetto all’inosservanza delle disposizioni che riguardano i rapporti tra privati. e tale differente valutazione è dettata dal fatto che diversi sono gli interessi coinvolti in ciascun rapporto giuridico, poiché il primo è un rapporto tra il privato e la Autorità Pubblica, mentre il secondo è un rapporto tra soggetti privati. La Cassazione, quindi, giustifica l’usucapibilità dei diritti reali (ad esempio del diritto di veduta ovvero di mantenere la propria abitazione ad una distanza inferiore a quella prevista dalla legge) da parte del titolare dell’immobile abusivo in virtù del fatto che il proprietario del fondo vicino è rimasto inerte per l’intero decorso del tempo utile per giungere all’usucapione (ben venti anni). ebbene, è lapalissiano che tale disinteresse dimostra che il vicino non ha patito alcun danno nè fastidio dall’immobile adiacente, seppur irregolarmente edificato (63). Si è reputato, pertanto, pretestuoso e ingiustificato negare al titolare dell’abitazione irregolare la possibilità di usucapire, posto che tale circostanza non lede la sfera giuridica del vicino, essendosi questi mostrato acquiescente, nel corso di un lungo arco temporale, al possesso ovvero all’utilizzo del bene oggetto dell’usucapione. Infatti, in assenza di un interesse contrario vantato dal proprietario del fondo finitimo (unico soggetto al quale potrebbe nuocere l’usucapione), non c’è ragione per negare siffatto diritto al titolare dell’immobile, nonostante questo sia abusivo. Peraltro, anche per ragioni di certezza del diritto, non si po- (63) La giurisprudenza tende a distinguere il disinteresse (o indifferenza) dalla tolleranza (nel senso di condiscendenza ovvero disponibilità) nei confronti di chi possiede un bene ad usucapionem. La prima, infatti, non osterebbe all’usucapibilità, concretizzandosi in una vera e propria inerzia derivante dalla mancanza di un interesse contrario all’acquisto della proprietà del bene da parte di terzi; la seconda, invece, è l’atteggiamento mostrato da chi sopporta per diverse cause (ad esempio, per ragioni di amicizia o di parentela) un possesso di un bene, impedendo così la decorrenza del termine utile per la maturazione dell’usucapione (su tale distinzione, cfr. Cass. sez. II n. 26061/2016, la quale ha riconosciuto la possibilità di un singolo condomino di usucapire una parte comune dell’edificio in virtù, tra le altre cose, dell’indifferenza manifestata dagli altri condomini all’uso esclusivo della parte comune da parte del primo. RASSeGnA AVVoCATURA 312 DeLLo STATo - n. 2/2018 trebbe ammettere che il vicino possa sollevare sine die un’eventuale contestazione avverso l’uso di determinati beni da parte del proprietario dell’immobile abusivo, avendo questi il preciso onere di opporsi a tale utilizzo entro il termine utile per l’usucapione fissato dalla legge. Diversamente, invece, come sopra esposto (v. par. 13), il vicino può chiedere in ogni momento l’ordine di demolizione, anche nei confronti degli eredi del proprietario ovvero dei successivi acquirenti dell’immobile, poiché la distruzione della res ordinata dalla P.A. è una sanzione ripristinatoria, volta a tutelare non un diritto del singolo, bensì un diritto collettivo: ad esempio il rispetto alle normative antisismiche, di sicurezza, di antincendio, le regole igienico- sanitarie, etc. A ciò si aggiunga che il nostro legislatore da sempre ha la tendenza di proteggere le situazioni basate sul mero piano di fatto, garantendo persino al ladro, possessore in mala fede, la tutela possessoria della res che ha sottratto. Il ladro, infatti, è legittimato ad esercitare l’azione di reintegrazione o spoglio (art. 1168 c.c.) nei confronti del legittimo proprietario del bene, al fine di recuperare il possesso perduto di quest’ultimo. Inoltre, il possessore in mala fede ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie e, se è tenuto alla restituzione dei frutti, gli spetta anche il rimborso delle spese sostenute per le riparazioni ordinarie, limitatamente al tempo per il quale è dovuta la restituzione (art. 1150, co. 4, c.c.). È palese, pertanto, l’intenzione del nostro legislatore di adeguare, quanto più possibile, le situazioni di diritto, e la relativa tutela, alla fattispecie concreta, cioè alla situazione di fatto. Di conseguenza, sulla scorta della notorietà del mero fatto del possesso, il Giudice è obbligato a garantire la tutela al possessore, tant’è vero che è tenuto a ordinare la reintegrazione nel possesso immediatamente, “senza dilazione” (art. 1168, ult. co., c.c.). Si può concludere, allora, che la giurisprudenza concede al titolare del bene immobile la possibilità di usucapire un diritto reale poiché, in tali fattispecie, si è in presenza di un rapporto interprivato, dove una parte ha acconsentito tacitamente, per un periodo di tempo determinato dalla legge, che l’altra esercitasse, seppur illecitamente, un potere di fatto. Del tutto differente, invece, è la fattispecie di chi viola le norme pubblicistiche in materia di edilizia ed urbanistica, costruendo un’opera in mancanza di titolo abilitativo, e poi chieda un risarcimento del danno patrimoniale patito dalla costruzione a causa, ad esempio, di un’attività svolta da terzi. In tal caso, il rapporto giuridico riguarda esclusivamente il privato (titolare dell’abitazione irregolare) e la Pubblica Autorità chiamata al controllo del territorio ed alla prevenzione di eventuali irregolarità e abusi edilizi. Si pensi ad un privato che costruisca un’abitazione all’interno di una riserva naturale (dove, per legge, è vietato edificare): in tal caso, la sua condotta illecita pregiudicherebbe interessi, non di un singolo privato, ma dell’intera DoTTRInA 313 collettività, garantiti dalla nostra Carta Costituzionale (in primis il diritto alla salute e alla salubrità dell’ambiente). È condivisibile, allora che tali fenomeni siano sanzionati civilmente, tanto dal legislatore mediante il divieto di commerciabilità dell’immobile, quanto dalla giurisprudenza che, coerentemente alla normativa in materia, proibisce la possibilità di lucrare per mezzo dell’edificazione abusiva, reputando questa totalmente priva di valore patrimoniale e, pertanto, insuscettibile di ristoro. Concludendo, è auspicabile che, in futuro, il legislatore intervenga per dettare una disciplina compiuta, più armoniosa, sull’abusivismo edilizio, facendo proprie le soluzioni fornite dalla prevalente giurisprudenza in relazione alle fattispecie esaminate. Un compito arduo, data la vastità e la trasversalità del fenomeno in questione, ma necessario allo scopo di garantire maggior certezza sulla posizione giuridica del proprietario dell’immobile irregolarmente costruito. Finito di stampare nel mese di ottobre 2018 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma