ANNO LXIX - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2017 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Francesco De Luca - Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Guglielmo Bernabei, Beatrice Favero, Michele Gerardo, Loredana Giuffredi, Paolo Grasso, Fabrizo Lemme, Silvia Luna, Federica Mariniello, Massimo Massella Ducci Teri, Giusy Monaco, Adolfo Mutarelli, Giuseppe Eduardo Polizzi, Daniele Sisca, Antonio Tallarida, Luca Ventrella, Gustavo Visentini. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario TEMI ISTITUZIONALI Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato, avv. Massimo Massella Ducci Teri, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2018. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Comunicato dell’Avvocato Generale: conferimento incarico di Segretario Generale dell’Avvocatura dello Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Art. 4 del decreto legislativo 28 settembre 2012 n. 178; ESACRI in l.c.a. Disposizioni operative in materia di patrocinio, Circolare A.G. prot. 620320 del 29 dicembre 2017 n. 62. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA) presso l’Avvocatura dello Stato. Disposizioni operative, Circolare S.G. prot. 56456 del 31 gennaio 2018 n. 4. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Gustavo Visentini, “La trattazione della causa davanti al giudice istruttore è sempre orale” art. 180 c.p.c. (nella redazione del ‘42) (Cass., Sez. Un., sent. 12 dicembre 2014 n. 26242). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Permessi di soggiorno per motivi umanitari: la rilevanza della integrazione sociale. Il contenziso, la sentenza della Corte di Cassazione, la giurisprudenza dei giudici di merito (Cass. civ., Sez. I, sent. 23 febbraio 2018 n. 4455). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Beatrice favero, Una causa su ricongiungimento familiare e adozione “nazionale”. L’atto defensionale dell’Avvocatura (Trib. Padova, ord. 27 febbraio 2018 n.r.g. 6543/2017). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Luca Ventrella, Sentenza Operazione Condor: Diritto, Verità, Memoria e Giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Silvia Luna, Turismo procreativo: Mater semper certa est? (Uno sguardo alla maternità surrogata) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Guglielmo Bernabei, Prospettive di sviluppo locale. Alcune riflessioni CONTRIBUTI DI DOTTRINA Michele Gerardo, L’ispezione nel diritto amministrativo. . . . . . . . . . . . . fabrizio Lemme, L’impatto dei nuovi termini introdotti con la legge concorrenza nell’ordinamento italiano dei beni culturali . . . . . . . . . . . . . . . Adolfo Mutarelli, Giusy Monaco, Per il superamento dell’accertamento tributario come procedimento a contraddittorio “intermittente” . . . . . . Antonio Tallarida, Le notifiche di atti giudiziari alle pubbliche amministrazioni a mezzo PEC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ›› 5 ›› 6 ›› 8 ›› 15 ›› 73 ›› 84 ›› 89 ›› 124 ›› 181 ›› 193 ›› 208 ›› 223 ›› 231 federica Mariniello, Trasparenza amministrativa e nuovo accesso civico dopo il D.Lgs. n. 97/2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 244 Daniele Sisca, Ancora sulla successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria. Si va verso un orientamento condiviso (?!) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 267 RECENSIONI Giuseppe Eduardo Polizzi, Il magistrato al Parlamento, Wolters Kluwers - CEDAM, 2017 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 273 Guglielmo Bernabei, L’Italia dei Comuni. Prospettive di sviluppo per il sistema di governo locale, Wolters Kluwers - CEDAM, 2018 . . . . . . . . ›› 279 TemiisTiTuzionali Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2018 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Massimo Massella Ducci Teri Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Signor Primo Presidente della Corte di Cassazione, Signor Procuratore Generale, Signore e Signori È con vivo piacere che, anche quest’anno, prendo la parola in questa solenne Cerimonia di inaugurazione per porgere il saluto dell’Istituto che ho l’onore di dirigere. Nella sua approfondita ed ampia relazione il Primo Presidente ha riferito in modo analitico sui risultati raggiunti dalla Suprema Corte nell'anno 2017; non posso che esprimere il mio più vivo apprezzamento e gratitudine per il grandissimo impegno profuso dai magistrati e dal personale amministrativo che vi operano. 1. Questi risultati confermano, innanzitutto, l'efficacia del disegno riformistico che è stato avviato nel corso della legislatura appena conclusa e che ha sicuramente prodotto i suoi frutti in termini di riduzione delle pendenze civili e dei tempi dei relativi processi. Questi stessi risultati testimoniano la validità delle opzioni interpretative scelte e delle misure organizzative adottate da tutta la Suprema Corte e dalla Procura Generale in sede di attuazione della nuova normativa. Anche l'Avvocatura dello Stato, così come il Consiglio Nazionale Forense, nel corso dell'anno appena trascorso e nell'ottica di una marcata interazione con le istituzioni pubbliche, ha voluto offrire tutto il proprio impegno e la propria collaborazione alle iniziative volte a rendere più efficiente la "macchina giustizia". rASSeGNA AvvOCAtUrA dellO StAtO - N. 4/2017 Abbiamo, così, rafforzato, il monitoraggio delle questioni di massima sottoposte alla Corte di Cassazione in controversie che involgono Amministrazioni pubbliche, evidenziandone l'urgenza al fine di ottenere in tempi rapidi una definizione delle stesse, che possa imprimere al contenzioso, una significativa spinta deflattiva, specie in sede di merito. Nella medesima ottica si pone la segnalazione agli Uffici della Procura Generale delle questioni per le quali sia utile ed opportuna la enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge ai sensi dell'art. 363 c.p.c. A ciò deve aggiungersi la proficua partecipazione alle attività degli Osservatori sul processo civile, dalle quali spesso scaturiscono orientamenti di prassi e significative iniziative normative per un miglior funzionamento del processo (ad es., in tema di mediazione e negoziazione assistita). Inoltre, la partecipazione ai lavori del "Gruppo di lavoro sulla chiarezza e la sinteticità degli atti processuali" istituito dall'On. Ministro della Giustizia, che proprio in questi giorni sta concludendo la propria attività, con contributi che credo si possano definire di altissimo profilo, volti come sono non solamente a contribuire ad una semplificazione di tutti gli atti del processo ma a formare una vera e propria cultura della chiarezza e sinteticità degli stessi. Non può, infine, non riconoscersi l'importanza della piena attuazione del processo civile telematico, alla cui realizzazione ed implementazione l'Avvocatura dello Stato ha fornito il proprio contributo, partecipando tramite propri rappresentanti ai tavoli istituiti presso il Ministero della giustizia per la elaborazione di proposte normative, regolamentari ed organizzative, sia sul piano generale che in relazione alle peculiarità del contenzioso erariale. Analoghe iniziative sono state, naturalmente, coltivate anche con la magistratura amministrativa e con la Corte dei conti. Su questi diversi piani l'Avvocatura dello Stato si è mossa, quest'anno, e intende continuare ad impegnarsi negli anni a venire, consapevole della bontà dell'assunto secondo il quale la corretta, rapida ed efficace tutela degli interessi pubblici e privati e delle Amministrazioni passa anche attraverso un approccio collaborativo tra i vari soggetti coinvolti nell'attività processuale. Con questo spirito siamo quindi pronti ad offrire alla Suprema Corte tutto l'aiuto necessario per affrontare la definizione dei numerosi procedimenti civili in materia tributaria, ancora pendenti. Si tratta del resto di attività ed esperienze estremamente proficue per il nostro Istituto che deve confrontarsi con una considerevole mole di lavoro. 2. Non intendo, certo, tediare l'uditorio con tabelle e dati statistici: tut teMI IStItUzONAlI tavia, alcuni numeri è opportuno che vengano conosciuti, perché mi sembrano particolarmente significativi. Nel 2017 l'impegno dell'Avvocatura dello Stato nella sua attività di patrocinio e consulenza in favore degli Organi costituzionali, delle Amministrazioni, delle Autorità indipendenti e degli altri enti in favore dei quali presta la propria opera professionale, ha registrato un incremento, a livello nazionale, di circa 2 punti percentuali, arrivando a circa 170.000 affari nuovi, che si aggiungono, naturalmente, a quelli pendenti. In tale contesto sono intervenuti, nel corso dell'anno oltre 110.000 provvedimenti decisori (quasi 345, per ciascuno dei circa 320 avvocati e procuratori dello Stato in servizio). Si tratta di una mole di lavoro imponente, destinata, peraltro, ad aumentare nell'anno in corso in ragione dell'attribuzione all'Avvocatura dello Stato di nuove competenze tra le quali assume particolare rilievo l'assunzione del patrocinio dell'Agenzia delle entrate-riscossione, chiamata a esercitare i compiti svolti dalla soppressa equitalia. Nel mese di giugno 2017, è stato sottoscritto con la stessa Agenzia il protocollo d'intesa in forza del quale l'Avvocatura dello Stato sta progressivamente subentrando nella gestione di una parte di tale contenzioso (che raggiunge anch'esso la considerevole cifra di circa 150.000 affari nuovi l'anno), che si aggiungerà a quello sopra richiamato. È, quindi, evidente la gravosità del lavoro per tutti i componenti della Avvocatura dello Stato, che lo hanno affrontato con notevole sacrificio ma con immutato impegno e totale dedizione. Questa situazione ha, tuttavia, chiare prospettive di miglioramento. Non posso non ricordare -ed esprimere, al contempo, il sincero e grato riconoscimento di tutto l’Istituto e mio personale -che il Governo e il Parlamento hanno previsto con la legge 27 dicembre 2017, n. 205 un incremento delle dotazioni organiche degli Avvocati dello Stato e dei Procuratori dello Stato di 40 unità che consente di immettere in servizio, dal prossimo 1° febbraio, ben 47 vincitori del concorso a procuratore dello Stato, che si è concluso di recente. Questo intervento, insieme all'incremento della quota delle spese liquidate che potranno essere distribuite tra gli Avvocati e Procuratori dello Stato, hanno costituito importanti e significativi segni di attenzione verso l'Istituto dei quali siamo tutti molto grati. 3. Concludo questo mio intervento certo di poterle confermare, Signor Presidente della repubblica, che l'Avvocatura dello Stato e tutti i suoi componenti continueranno a profondere il massimo impegno per essere all'altezza delle rilevanti funzioni loro assegnate, e per non deludere la fiducia che quotidianamente viene riposta in loro. rASSeGNA AvvOCAtUrA dellO StAtO - N. 4/2017 Grazie, Signor Presidente della repubblica, grazie a tutti per l’attenzione che avete prestato alle mie parole. Roma, 26 gennaio 2018 Palazzo di Giustizia, Aula Magna teMI IStItUzONAlI ComuniCaTo dell’avvoCaTo generale (*) Conferimento incarico di Segretario Generale dell’Avvocatura dello Stato Ho il piacere di comunicare che, con decreto del Presidente della Repubblica in data 29 dicembre 2017, è stato conferito all’Avv. Paolo Grasso l’incarico di Segretario Generale dell’Avvocatura dello Stato. Nel ringraziare sentitamente l’Avv. Ruggero Di Martino per la preziosa attività svolta in tutti questi anni nell’interesse esclusivo dell’Istituto, rivolgo con fiducia all’Avv. Paolo Grasso i migliori auguri per il proficuo svolgimento delle delicate funzioni affidategli. Massimo Massella ducci teri Avvocato Generale dello Stato (*) email Segreteria Particolare - giovedì 4 gennaio 2018 13:52. rASSeGNA AvvOCAtUrA dellO StAtO - N. 4/2017 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 62/2017 oggetto: Art. 4 del decreto legislativo 28 settembre 2012 n. 178; eSACrI in l.c.a. Disposizioni operative in materia di patrocinio. Alla luce del recente intervento normativo recato dal d.l. 16 ottobre 2017, n. 148 convertito, con modificazioni, dalla l. 4 dicembre 2017, n. 172 - con cui è stata riformata incisivamente la disciplina recata dal d.lgs. n. 178/12 in materia di liquidazione dell'ente Strumentale alla Croce rossa Italiana (per brevità eSACrI) - 1'Amministrazione ha rappresentato di non poter più disporre, dal 1° gennaio 2018, delle risorse di personale necessarie per assicurare la difesa in giudizio ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c.; ciò premesso si rappresenta e dispone quanto segue. l'intervento riformatore del corrente anno ha modificato la disciplina legislativa della gestione separata e della liquidazione di codesta Amministrazione, prevedendo che l'ente non venga soppresso alla data del 1 gennaio 2018, come in origine previsto dall'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 178/12, bensì venga posto in liquidazione coatta amministrativa ai sensi del titolo v del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. A seguito della ricordata disposizione l'Amministrazione ha posto all'Avvocatura un quesito, concernente la perduranza del patrocinio erariale in favore dell'esacri anche dopo l'emanazione del d.l. n. 148/17: a tale quesito il Comitato Consultivo, in data 20 dicembre 2017, ha fornito riscontro positivo, ritenendo quanto segue: "La riforma recata dal D.L n. 148/17, infatti, ha evitato la soppressione dell'Ente alla data del 1 gennaio 2018, prevedendo soltanto la sua sottoposizione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa. Pertanto, tenuto conto che l'Ente continua ad operare anche dopo il 1 gennaio 2018, seppure assoggettato ad un regime giuridico differente in punto di liquidazione del proprio patrimonio, sembra potersi confermare la disciplina dettata dall'art. 10, comma 7 bis, D.L. n. 210/2015 conv. in L. n. 21/2016, secondo cui "La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio dell'Ente strumentale alla Croce Rossa italiana, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, continuano a essere assicurati dall'Avvocatura dello Stato ai sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611". Tale previsione fa infatti riferimento al patrocinio erariale in favore dell'Ente strumentale alla Croce Rossa italiana, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, soggetto giuridico che, a seguito della riforma recata dal D.L n. 148/17, continua a permanere dopo il 1 gennaio 2018, sebbene posto in liquidazione coatta amministrativa, circostanza tuttavia tale da non configurare un soggetto di diritto diverso da quello destinatario del patrocinio autorizzato ex art. 10, comma 7 bis, cit., tenuto conto, peraltro, che la messa in liquidazione coatta amministrativa non determina neanche l'interruzione automatica del processo ex art. 43, comma 3, R. D. n. 267/42, proseguendo i rapporti processuali in relazione ai quali l'Ente è costituito salva diversa dichiarazione da parte del difensore. La sottoposizione alla 1.c.a. integra infatti gli estremi della perdita della capacità di stare in giudizio ex artt. 299 e 300 c.p.c. (cfr. Cass. sez. 5, Sentenza n. 2527 del 10 febbraio 2004 e Sez. 2, Sentenza n. 18351 del 31 luglio 2013), come tale inidonea perfino a determinare la cessazone dell’efficacia della procura alle liti conferita in via negoziale (salva dichiara teMI IStItUzONAlI zione dell'evento da parte del difensore): nel caso di specie, peraltro, la fonte del patrocinio è costituita da una disposizione legislativa, in grado di confermare il patrocinio non solo in caso di omessa dichiarazione dell'evento interruttivo (conformemente a quanto avviene per il patrocinio di origine convenzionale), ma anche in caso di interruzione del processo, dovendo la causa essere riassunta comunque nei confronti dell'Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana (seppure in l.c.a.), in favore del quale sussiste ex lege il patrocinio erariale". Alla luce di quanto sopra, ed in particolare dell'acclarata impossibilità dell'ente in l.c.a. di stare in giudizio con propri dipendenti ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c., si dispone che tutti gli Uffici dell'Avvocatura dello Stato, a decorrere dall'1 gennaio 2018, provvedano direttamente alla difesa in giudizio dell'ente in l.c.a.; inoltre, laddove ve ne siano le condizioni, si vorrà valutare l'opportunità di dichiarare in giudizio l'evento interruttivo costituito dalla sottoposizione dell'ente alla predetta l.c.a. l'AvvOCAtO GeNerAle avv. Massimo Massella ducci teri rASSeGNA AvvOCAtUrA dellO StAtO - N. 4/2017 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 4/2018 oggetto: Attuazione delle norme sull’acccesso civico generalizzato (c.d. FoIA) presso l’Avvocatura dello Stato. Disposizioni operative. Come illustrato nella Circolare n. 61/2016 cui si fa seguito, dal 23 dicembre 2016 chiunque può far valere "il diritto di accesso ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione (...), nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis" (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013). Ai fini della corretta attuazione di tale diritto fondamentale, espressione del principio generale di trasparenza sancito dal suddetto d.lgs. n. 33/2013, sono intervenute le linee Guida dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, adottate con la delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 ai sensi dell'art. 5-bis comma 6, recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico generalizzato, e la Circolare n. 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, che persegue la coerente e uniforme attuazione della disciplina sull'accesso civico generalizzato attraverso chiarimenti riguardanti il rapporto con i cittadini e la dimensione organizzativa e procedurale interna. Prima di addentrarsi nelle disposizioni operative per gli Uffici dell'Avvocatura dello Stato, che si conformano alle indicazioni del Ministro, si richiamano i presupposti essenziali concernenti il diritto di accesso civico generalizzato, confermando le prime indicazioni fornite con la Circolare n. 61/2016, con particolare riferimento ai limiti ed esclusioni di cui all'art. 5bis del d.lgs. n. 33/2013. 1) Caratteristiche dell'istituto dell'accesso civico generalizzato. Ambito soggettivo Il diritto di accesso generalizzato è riconosciuto a chiunque e non ammette restrizioni alla legittimazione del richiedente. Ambito oggettivo l'accesso generalizzato riguarda dati, informazioni e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e le limitazioni del diritto sono riservate alla legge e specificamente indicate nell'art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013. Principio della tutela preferenziale dell'interesse a conoscere Nei casi di dubbio circa l'applicabilità di una eccezione, occorre valutare la prevalenza all'interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare. Criterio del minor aggravio possibile nell'esercizio del diritto la domanda di accesso generalizzato non può essere dichiarata inammissibile per motivi formali o procedurali. Il cittadino deve essere posto nelle condizioni ottimali per esercitare il diritto alla conoscenza, senza che l'amministrazione imponga adempimenti o oneri procedurali quali condizioni di ammissibilità della domanda. Onere di assistenza al cittadino - Atteggiamento "collaborativo" dell'amministrazione teMI IStItUzONAlI l'amministrazione è chiamata ad interloquire con il richiedente al fine di limitare al minimo le decisioni di inammissibilità; ciò può essere necessario, ad esempio, per ridefinire l'oggetto dell'istanza entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità. Provvedimento espresso e motivato che decide sull'istanza di accesso generalizzato Il procedimento di accesso generalizzato si deve concludere con l'adozione di un provvedimento espresso e motivato, da comunicare al richiedente e agli eventuali controinteressati, nel termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda, termine non derogabile, salva l'ipotesi di sospensione fino a dieci giorni nel caso di comunicazione della richiesta al con- trointeressato. Non è ammesso il silenzio-diniego, né altra forma silenziosa di conclusione del procedimento. Interazioni con il diritto di accesso ex l. n. 241/1990 Al fine di assicurare la più ampia tutela possibile all'interesse conoscitivo, l'istanza di accesso che non richiami specificamente il diritto di accesso cd. "documentale" deve essere trattata come richiesta di accesso generalizzato. e evidente che, mancando o non essendo espressa o documentata una situazione soggettiva giuridicamente qualificata in relazione al documento di cui si chiede l'ostensione, l'accesso potrà essere consentito in misura meno penetrante di quanto lo sarebbe stato da una posizione qualificata del titolare. 2) Procedimento per l'esercizio del diritto di accesso civico. Presentazione della domanda Il richiedente può presentare la domanda di accesso per via telematica o con altre modalità senza che ciò pregiudichi il suo diritto. Sono pertanto ammissibili domande pervenute, oltre che via PeC o posta elettronica ordinaria, per fax, per posta o a mano. le istanze inviate per via telematica (fax, posta elettronica o posta certificata) sono valide se sottoscritte e presentate insieme alla copia del documento di identità. Sono altresì valide le istanze inviate per posta elettronica firmate con firma digitale. Se l'identificazione del richiedente non è considerata necessaria ai fini dell'esercizio del diritto, è valutata indispensabile ai fini di una corretta gestione delle domande, sicché in caso di richiesta anonima o da parte di un soggetto la cui identità sia incerta, l'amministrazione deve comunicare al richiedente la necessità di identificarsi come sopra indicato. Identificazione dell'oggetto della richiesta tenendo conto della difficoltà che il richiedente può incontrare nell'individuare con precisione i dati o i documenti di suo interesse, è sufficiente che la richiesta identifichi i dati o i documenti che si vogliono ottenere, senza doverli indicare "chiaramente". Se l'istanza è troppo generica o meramente esplorativa (volta ad accertare il possesso di dati o documenti da parte dell'amministrazione) l'amministrazione dovrebbe assistere il richiedente al fine di giungere a una adeguata definizione dell'oggetto della domanda. Una richiesta formulata in termini generici o meramente esplorativi si dovrebbe ritenere inammissibile soltanto quando il richiedente, invitato (per iscritto) a ridefinire l'oggetto della domanda o a indicare gli elementi sufficienti per consentire l'identificazione dei dati o documenti di suo interesse, non abbia fornito i chiarimenti richiesti. la competenza a ricevere le richieste la richiesta può essere presentata, alternativamente: rASSeGNA AvvOCAtUrA dellO StAtO - N. 4/2017 - all'Ufficio che detiene i dati o i documenti; - all'Ufficio relazioni con il Pubblico; -ad altro Ufficio indicato nella sezione "Amministrazione trasparente" del sito istituzionale. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza può ricevere solo le domande di accesso civico semplice (dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria) nonché le richieste di riesame delle decisioni sull'accesso generalizzato. l'Ufficio non competente a ricevere o a trattare l'istanza di accesso la deve inoltrare senza indugio a chi di competenza e, in caso di competenza di amministrazione diversa, l'Ufficio ricevente deve inoltrarla all'amministrazione competente, dandone comunicazione al richiedente. termini del procedimento Il termine di trenta giorni per la conclusione del procedimento di accesso con provvedimento espresso e motivato decorre dalla data di ricezione della domanda, se anteriore alla data di acquisizione al protocollo. l'esistenza di controinteressati obbliga l'amministrazione a dar loro comunicazione dell'istanza ricevuta mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione, concedendo un termine di dieci giorni per la presentazione di opposizione motivata. A decorrere dalla comunicazione ai controinteressati, il termine di trenta giorni è sospeso fino all'eventuale opposizione dei controinteressati, quindi fino ad un massimo di dieci giorni. Il provvedimento che accoglie la richiesta di accesso in caso di opposizione deve essere comunicata al richiedente e al controinteressato con la precisazione che, qualora decorsi quindici giorni dalla ricezione della comunicazione di accoglimento da parte dello stesso controinteressato questi non notifichi ricorsi o richieste di riesame sulla medesima domanda di accesso, l'amministrazione provvederà alla trasmissione al richiedente dei dati o dei documenti richiesti. Sulla richiesta di riesame decide il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza entro il termine di venti giorni. Provvedimento che decide sull'accesso Il provvedimento di diniego adottato in applicazione dei limiti di cui all'art. 5 bis, commi 1 e 2 deve contenere una adeguata motivazione sulla sussistenza del pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati ivi enunciati. va parimenti motivato adeguatamente il provvedimento di rifiuto adottato in applicazione delle esclusioni di cui all'art. 5-bis, co. 3. Per contro il provvedimento di accoglimento deve motivare adeguatamente sulla insussistenza di pregiudizi concreti, specie quando è adottato nonostante l'opposizione del controinteressato. Conseguenze dell'inosservanza del termine e responsabilità l'inosservanza del termine di trenta giorni per la conclusione del procedimento, oltre a consentire di attivare la procedura di riesame, configura un inadempimento che, al pari del rifiuto, del differimento e della limitazione dell'accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dal- l'articolo 5-bis, costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione ed è comunque valutato ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza è tenuto a segnalare i casi di inosservanza del termine, in relazione alla gravità e alla reiterazione dei medesimi. teMI IStItUzONAlI Costi dell'accesso civico generalizzato Il rilascio di dati o documenti in formato elettronico è gratuito. In caso di rilascio di dati o documenti su supporti materiali può essere richiesto il rimborso dei costi effettivamente sostenuti e documentati per la riproduzione su detti supporti. 3) soluzioni organizzative comuni Il registro degli accessi Sia le linee Guida ANAC sia la Circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione hanno suggerito alle amministrazioni di dotarsi di un registro degli accessi per gestire le istanze e consentire ai cittadini di conoscere le richieste già presentate e il relativo esito. indicazioni operative per la trattazione delle istanze di accesso civico generalizzato presso l'avvocatura dello stato. 1. Competenza a decidere sull'istanza Il provvedimento che decide sull'istanza di accesso civico generalizzato è adottato dal Segretario Generale, o da un suo delegato, per dati, informazioni e documenti detenuti dall'Avvocatura Generale e per tutto quanto concerne le attribuzioni di cui all'art. 17 della legge 3 aprile 1979, n. 103 e all'art. 6 del dPr 5 luglio 1995, n. 333; il provvedimento che decide sull'istanza riguardante dati, informazioni e documenti detenuti dalle Avvocature distrettuali, salvo che non riguardino le suddette attribuzioni del Segretario Generale, è adottato dai rispettivi Avvocati distrettuali dello Stato, o da un proprio delegato. l'Ufficio o unità operativa che detiene i dati, le informazioni e i documenti valuta l'istanza di accesso secondo quanto previsto dall'ordinamento e propone al Segretario Generale o all'Avvocato distrettuale (o al delegato) l'adozione del provvedimento che decide sull'istanza nel rispetto dei termini prescritti. la competenza a decidere, con provvedimento motivato, sulla richiesta di riesame è del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ai sensi dell'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 3312013; il suddetto responsabile può chiedere agli Uffici della propria amministrazione informazioni sull'esito delle istanze (art. 5, comma 6). 2. registro degli accessi In ottemperanza alle indicazioni dell'ANAC e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, è stato istituito sul sito istituzionale un registro informatico unico nazionale, sul quale dovranno essere annotate sia le richieste di accesso civico semplice (a cura del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza), sia le richieste di accesso civico generalizzato (a cura dell'Ufficio che detiene i dati, i documenti e le informazioni, ovvero dell'Ufficio relazioni con il pubblico). le registrazioni dovranno essere effettuate in tempo reale, in modo da consentire ai cittadini interessati di poter seguire l'iter delle proprie istanze. È stato previsto, infatti, che il registro sia pubblico, così da costituire uno strumento per valutare comparativamente sia l'interesse dei cittadini sia la risposta delle pubbliche amministrazioni. In particolare è indispensabile che i riferimenti della domanda di accesso civico generalizzato vengano inseriti subito dopo la protocollazione della domanda, che dovrà essere immediatamente effettuata dall'Ufficio ricevente e da questi - se non competente a gestire la procedura - inoltrata via posta elettronica all'Ufficio competente. rASSeGNA AvvOCAtUrA dellO StAtO - N. 4/2017 Il registro si compone di tre settori (per i dati inerenti alla domanda, al riesame e al ricorso giurisdizionale) e le annotazioni sono a cura del personale autorizzato (da individuarsi), munito di apposite credenziali. Il nominativo del richiedente dovrà essere inserito per esigenze interne ma non risulterà pubblicato. 3. gli uffici relazioni con il Pubblico dell'avvocatura dello stato la necessità di gestire le relazioni con il pubblico, di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241, è resa attuale dalle intervenute norme sull'accesso civico generalizzato e dalla necessità di interagire con i cittadini nei casi di richiesta di dati, documenti, informazioni ulteriori rispetto a quelli per cui è previsto l'obbligo di pubblicazione. Si ricorda che il regolamento sull'organizzazione e sul funzionamento delle strutture amministrative dell'Avvocatura dello Stato, di cui al d.P.r. 333/1995, ha dettato, all'art. 4, indicazioni per garantire la piena attuazione della legge n. 241/1990, stabilendo al comma 1 che presso l'Avvocatura Generale la competenza a curare le relazioni con il pubblico è dell'Ufficio I - Affari Generali e Personale e, al comma 2, che gli Avvocati distrettuali "provvedono ad assicurare analogo risultato, adottando misure congruenti con la dimensione dei relativi uffici". 4) Trattazione delle istanze di accesso civico generalizzato da parte degli uffici dell'avvocatura dello stato 4.1. Ufficio relazioni con il Pubblico presso l'Avvocatura Generale l'Ufficio relazioni con il pubblico, istituito presso l'Ufficio I - Affari Generali e Personale dell'Avvocatura Generale con d.A.G. 2 ottobre 1995, per le finalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, curerà i rapporti con i cittadini per quanto concerne le richieste di accesso civico generalizzato e assisterà, all'occorrenza, gli Uffici dell'Avvocatura Generale nella trattazione delle singole domande. Nello specifico, esaminate le indicazioni del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione dettate con Circolare n. 2/2017, l'Ufficio I dell'Avvocatura Generale dovrà: -garantire, attraverso l'orario di sportello, l'acquisizione delle domande di accesso generalizzato che dovessero essere consegnate a mano; -assistere il cittadino nelle varie fasi del procedimento (domanda, riesame, esito, etc.). Si richiama al riguardo il c.d. "colloquio cooperativo" indicato al punto 8 della citata Circolare n. 2/2017; -inoltrare la domanda ricevuta e protocollata all'Ufficio che detiene i dati, i documenti o le informazioni (Ufficio dell'Avvocatura Generale o Sede distrettuale) ovvero al rPCt se trattasi di istanza di riesame o accesso civico semplice; -assistere, all'occorrenza, gli Uffici competenti dell'Avvocatura Generale nella registrazione dei dati sull'apposito registro informatico e nell'istruzione dell'istanza (ai sensi dei commi 5 e 6 dell'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013); (...) 4.2. Uffici dell'Avvocatura Generale Gli altri Uffici dell'Avvocatura Generale dello Stato, in caso di ricezione di una richiesta di accesso civico generalizzato, dovranno: - protocollare l'istanza ricevuta via PeC o posta elettronica; -verificare la propria competenza alla trattazione dell'istanza, valutando se il dato, l'informa teMI IStItUzONAlI zione o il documento oggetto della richiesta attenga a procedimenti o attività affidati all'Ufficio e, nel caso di incompetenza, provvedere senza indugio all'inoltro via posta elettronica all'Ufficio competente ovvero al rPCt se trattasi di istanza di riesame o accesso civico semplice; -informare l'Ufficio I (in funzione di UrP) circa l'assunzione di competenza sull'istanza pervenuta o dell'eventuale inoltro ad altro Ufficio competente; -provvedere alla compilazione delle informazioni sul registro informatico richiedendo, se necessario, l'assistenza dell'UrP; - trattare l'istanza a termini di legge. (...) 4.3. Uffici relazioni con il Pubblico presso le Avvocature distrettuali Presso ciascuna Avvocatura distrettuale dovrà essere individuato l'Ufficio incaricato delle relazioni con il pubblico e della trattazione delle istanze di accesso civico generalizzato, ivi incluse le registrazioni nel registro informatico degli accessi. (...) Nello specifico, esaminate le indicazioni del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione dettate con Circolare n. 2/2017, l'Ufficio incaricato delle relazioni con il pubblico presso ciascuna Avvocatura distrettuale dovrà: -garantire, attraverso l'orario di sportello, l'acquisizione delle domande di accesso generalizzato che dovessero essere consegnate a mano; - eseguire o far eseguire (secondo le competenze interne) il protocollo dell'istanza ricevuta; -sottoporre all'Avvocato distrettuale (o al suo delegato) l'istanza ai fini della valutazione della competenza e, nel caso di incompetenza, provvedere senza indugio all'inoltro via PeC alla Sede competente ovvero al rPCt se trattasi di istanza di riesame o accesso civico semplice; - provvedere alla compilazione delle informazioni sul registro informatico; - assistere il cittadino nelle varie fasi del procedimento (domanda, riesame, esito, etc.). Si richiama al riguardo il c.d. "colloquio cooperativo" indicato al punto 8 della citata Circolare n. 2/2017; - trattare l'istanza a termini di legge. (...) 4.4. domanda di accesso civico generalizzato inerente ad un affare legale ricevuta da un Avvocato o Procuratore dello Stato o da un collaboratore legale o da un Ufficio o dall'UrP. Avviene, con una certa frequenza, che siano oggetto di richiesta di accesso documenti o informazioni inerenti ad affari legali. Il procedimento per la trattazione di una eventuale richiesta di accesso generalizzato riferita a dati, informazioni o documenti inerenti ad un affare legale non sarà difforme dalla prassi in uso per la trattazione di analoga richiesta prodotta ai sensi della l. n. 241/1990, ivi inclusa la particolare attenzione da porsi ai limiti di ostensibilità previsti dalla legge (si richiama in particolare l'art. 5-bis co. 3 del d.lgs. n. 33/2013, in riferimento ai casi di segreto nel cui ambito ricadono i pareri legali che attengono al diritto di difesa in un procedimento contenzioso, come stabilito anche dagli artt. 2 e 5 del D.P.C.M. 26 gennaio 1996, n. 200, tra l'altro richiamato dalle Linee Guida ANAC). Ciò posto, una eventuale richiesta di accesso civico generalizzato ricevuta dall'Avvocato o Procuratore dello Stato cui è attribuita la trattazione dell'affare legale dovrà da questi essere esaminata e prontamente inoltrata, corredata da eventuali osservazioni (per quanto concerne l'Avvocatura Generale, sentito il vice Avvocato Generale), all'organo di vertice competente ad adottare il provvedimento (Segretario Generale o Avvocato distrettuale, o loro delegato). Una eventuale richiesta di accesso generalizzato riferita a dati, informazioni o documenti ine rASSeGNA AvvOCAtUrA dellO StAtO - N. 4/2017 renti ad un affare legale ricevuta dall'UrP o da altro Ufficio della Sede, dovrà essere protocollata e consegnata all'Avvocato incaricato, che procederà come sopra. Ai fini della corretta trattazione dell'istanza: -la Segreteria del Segretario Generale ovvero la Segreteria dell'Avvocato distrettuale o altro Ufficio da questi incaricato (eventualmente lo stesso Ufficio già incaricato delle relazioni con il pubblico), dovrà informare il competente UrP, il quale dovrà eseguire la protocollazione dell'istanza (se non effettuata in precedenza) e la sua annotazione sul registro informatico; -in caso di incompetenza dell'organo, provvedere senza indugio all'inoltro via PeC alla Sede competente ovvero al rPCt se trattasi di istanza di riesame o accesso civico semplice; -secondo le indicazioni del Segretario Generale o dell'Avvocato distrettuale, o del loro delegato, la Segreteria o l'Ufficio incaricato dovrà predispone il provvedimento entro i termini e comunicarne l'esito al richiedente; -infine la Segreteria o l'Ufficio incaricato dovrà informare l'UrP della sede dell'esito del- l'istanza, affinché registri l'informazione sul registro informatico, e inviare copia del provvedimento adottato all'avvocato incaricato. (...) Si allega la normativa citata alla quale ci si richiama integralmente (omissis). Il SeGretArIO GeNerAle avv. Paolo Grasso ContenziosonazionaLe “La trattazione della causa davanti al giudice istruttore è sempre orale” art. 180 c.p.c. (nella redazione del ’42) Gustavo Visentini* La vicenda di domanda di nullità ed eccezione per cosa giudicata risolta dalla Cass. ss.uu. 12 dicembre 2014, n. 26242, che ho riletto per occasione professionale, stimola a riflettere sulla patologia del processo di rito scritto, che ormai decisamente impronta la nostra esperienza. Introduco l’esame della vicenda con il richiamo ai principi che regolano il giudicato implicito e la rilevazione d’ufficio delle nullità. 1. Limiti al giudicato implicito secondo i principi. Dobbiamo stabilire se la sentenza che respinge la domanda di risoluzione del contratto di trasferimento della cosa ceduta valga a stabilirne implicitamente la non nullità, cioè la validità. In definitiva se la validità del contratto, così presupposta, resti coperta dal giudicato. Avendo presente che la nullità è rilevabile d’ufficio. La risposta è negativa per i principi del nostro sistema processuale nella materia dei diritti soggettivi patrimoniali: non si forma il giudicato implicito sulla non nullità (validità) del contratto, se la questione della nullità non sia caduta in discussione; se comunque non sia servita al giudice ad argomentare la decisione. I principi sono: a) della domanda e della disponibilità delle prove (art. 99 c.p.c.); b) della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112); c) del (*) Prof. Avv., già professore ordinario di diritto commerciale presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma nonché direttore scientifico della Fondazione Bruno Visentini. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 contraddittorio (art. 101, I), ribadito qualora il giudice ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio (II; 183, IV). Li troviamo praticati in giurisprudenza. Tra le tante: “Il giudicato per implicazione […] riguarda le questioni dipendenti da quella pregiudiziale oggetto del giudicato stesso, e non quelle concernenti effetti ulteriori o diversi da quelli che non contraddicano il medesimo accertamento già compiuto. Ne consegue che il giudicato formatesi sul preuso di un marchio, successivamente registrato, non preclude l’esame della questione della validità del marchio, in quanto l’accertamento del preuso implica la verifica in punto di fatto circa tale circostanza nonché una valutazione sull’esistenza del carattere distintivo e del possesso dei requisiti di novità e di originalità, ma non anche l’accertamento dell’inesistenza di ragioni di nullità rilevabili solo su eccezione di parte (e salvo che nel giudizio sul preuso ne venga accertata pure la liceità ove controparte abbia sollevato l’eccezione di nullità)” (1). Sono principi talmente tradizionali che li riscontriamo sin da epoca risalente. Ad es. “Ha autorità di cosa giudicata solo ciò che fu obbietto della decisione giudiziale, e quindi di contestazione tra le parti: di qui la massima tantum iudicatum quantum disputatum. […] Hanno efficacia di cosa giudicata gli elementi obbiettivi della decisione, cioè tutte quelle parti di motivi che contengono pronuncia su’ presupposti del rapporto controverso, come eccezioni, repliche, quistioni pregiudiziali? Così posta la quistione, deve risolversi nel senso che i presupposti di fatto e le quistioni pregiudiziali abbiano forza di cosa giudicata, quando formarono oggetto di discussione tra le parti, non in altri casi, poiché solo allora essi formano obbietto della decisione del giudice, e quindi come ogni decisione giudiziale possono avere efficacia di cosa giudicata. […] Il giudicato implicito può ammettersi solo quando tra la questione espressamente risoluta, e quella che vuol considerarsi come tacitamente decisa, vi sia non un semplice rapporto di causa ad effetto, ma tale un nesso di dipendenza assoluta da non potersi risolvere la quistione espressamente decisa senza risolvere la quistione su cui è taciuto nel senso appunto in cui si vuole ravvisare essersi implicitamente giudicato. Così v’ha giudicato implicito sulla qualità di commerciante di una delle parti contendenti, ove la sentenza ordini la comunicazione de’ libri commerciali; ma non vi sarà sull’esistenza d’un contratto d’enfiteusi, ove la sentenza si limiti a rigettare la domanda d’affrancazione, sol perché mancano le condizioni volute dalla legge” (2). 2. Quaestio nullitatis. Per l’art. 1421 la nullità deve essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il può della legge viene inteso deve dalla giurisprudenza. (1) Cass. 19 settembre 2013, n. 21472. (2) N. CoVIeLLo, Manuale di diritto civile italiano, Milano 1924, pp. 555 ss. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe Nella giurisprudenza la questione si è innestata sull’eccezione di cosa giudicata sotto profilo del valore della rilevabilità d’ufficio della nullità nella delimitazione dell’oggetto del processo. Innanzitutto non è detto che il giudice, o le parti, si rendano conto della presenza di una causa di nullità nel contratto oggetto del contenzioso. Perciò la domanda di nullità per lo stesso contratto può essere fatta valere dalla parte interessata come eccezione del tutto estranea al precedente giudicato. Se il giudice coglie una ragione di nullità, ma non ritiene di porla a fondamento della decisione, può limitarsi a rilevarla, senza che venga influenzato il contenzioso in corso. Se nessuno dei contendenti se ne appropria, facendone oggetto di contenzioso, il rilievo rimane un incidente, non discusso, che non entra nell’argomentazione della sentenza, per la formulazione della quale resta del tutto ininfluente; quindi incidente che non è compreso nella cosa giudicata. La nullità è rilevata, non è dichiarata. Invece il giudice può sollevare la questione della nullità d’ufficio in quanto ritiene di porla a fondamento della decisione, ora ai sensi dell’art. 101, che codifica la convinzione consolidata sulla necessità di sottoporla al contraddittorio delle parti. Quindi la decisione, sulla nullità o la non nullità (validità) rientra nella sentenza suscettibile di cosa giudicata, che ha trovato allargato l’oggetto del contendere. Come vi rientra se della nullità (o della non nullità) il giudice, pur senza rilevarla formalmente, se ne sia servito come argomento logico della decisione: nel dispositivo, nella motivazione, o anche implicitamente nello sviluppo dell’argomentazione. In questi casi la nullità (o la non nullità) viene implicitamente dichiarata, compresa nell’oggetto del deciso, suscettibile di formare la cosa giudicata: la nullità è entrata nel contenzioso oggetto del processo. Peraltro vi è compresa secondo un procedimento implicito, che perciò è viziato per l’assenza del contraddittorio, che l’art. 101, II, richiede sia formale. Sicché è vizio della sentenza, che va fatto valere in sede di impugnazione, appunto per violazione dell’art. 101, altrimenti, se non fatto valere, per l’art. 161 (Nullità della sentenza) resta assorbito nella cosa giudicata, che così comprenderà la nullità (o la validità) implicitamente presupposta nella decisione. Sono le conclusioni della giurisprudenza. Le ritroviamo anche nella motivazione della sentenza da cui ho preso avvio, che documenta con i precedenti; che ha la pazienza di delucidare con esempi, per dare senso pratico del diverso atteggiarsi delle parti contendenti nella disposizione processuale dei loro interessi. Aggiungerei. Se la nullità è per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume, a mio avviso il giudice deve farne oggetto di specifico incidente ai sensi dell’art. 101, poiché viene in questione l’interesse generale (negozio illecito). Lo dice in motivazione la sentenza sul marchio, sopra richiamata. Mentre la nullità per la mancanza dei requisiti del contratto (causa, forma, volontà) RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 resta circoscritta all’interesse delle parti: l’interesse generale si esaurisce nel- l’ordinato svolgersi dei negozi privati, per il quale può essere sufficiente che il giudice, rilevando la nullità, abbia messo la parte interessata in condizione di avvalersene. Lo riscontro nella tradizione. “Il fatto che il diritto non riconosce le situazioni create in base ad un atto nullo non importa necessariamente un conflitto che le parti non hanno voluto. […] Corretta sembra l’opinione secondo la quale il potere di iniziativa del giudice deve essere circoscritto ai casi in cui l’atto sia nullo perché contrario a precetti inderogabili (norme di legge cogente, ordine pubblico e buon costume). Soltanto in questi casi è logico che l’atto non possa realizzare lo scopo pratico cui è diretto, nonostante l’accordo delle parti” (3). 3. La vicenda giudiziaria confluita nelle Ss. uu. Riprendiamo la vicenda da cui siamo partiti. La semplifico in schema, per quanto serve alla riflessione. (A) in cambio di una rendita vitalizia cedeva un immobile commerciale a (B); quest’ultimo ne trasferiva la nuda proprietà a (C), ad un prezzo che immediatamente fa comprendere ad (A) che il valore dell’immobile era ben superiore alla rendita ricevuta. Accorto dello squilibrio, il cedente domandava la risoluzione del contratto al Tribunale di Padova, respinta con sentenza n. 1187 del 1992 (passata in giudicato). Subito appresso, con atto di citazione del febbraio 1992, lo stesso cedente domandava l’accertamento della nullità del contratto al Tribunale di Padova, che la accoglieva, con sentenza n. 550 del 2003, riconoscendo la mancanza della causa del contratto per l’inesistenza dell’alea nella rendita vitalizia, sentenza confermata da C. Appello di Venezia, n. 878 del 2006. La Cass., n. 10049 del 2008, ritenendo insufficiente sul punto la motivazione di Venezia, rinviava l’accertamento in fatto della mancanza dell’alea alla C. Appello di Brescia, che confermava le conclusioni delle precedenti sentenze di merito. In questa sede venne sollevata l’eccezione di giudicato, facendo valere che con il respingere la domanda di risoluzione il Tribunale di Padova n. 1187/1992 aveva implicitamente riconosciuto la validità del contratto, con pronuncia ormai passata in giudicato. La Corte di Brescia respinge l’eccezione, conformandosi a Cass. 16 maggio 2006, n. 11356 “La pronuncia di rigetto come nella specie assunta in assenza di sostanziale accertamento in ordine alla esistenza e validità e qualificazione del rapporto che ne costituisce il presupposto logico-giuridico, viene a risolversi in un dictum che da quest’ultimo invero totalmente prescinde”: sono ripresi numerosi altri precedenti (4). (3) e. PIGA, Voce Nullità, in Nuovo dig. It., p. 1144, Torino 1938. (4) L’assenza di alea è ritenuta nel confronto tra il valore dell’immobile e l’onere della rendita al beneficiario di 87 anni. Sono approfonditi i rilievi del tribunale e della corte d’appello. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe È la questione che ha occupato le Ss.uu. 26242/2014, in seguito all’ord. di rinvio Cass. 3 luglio 2013, n. 16630. Le Sez. confermano il principio che aveva assunto la Corte di Brescia, con l’escludere che nel caso di specie si sia formato il giudicato sul punto della validità implicita del contratto, sul quale, né le parti né il giudice, avevano proposto alla discussione. Forse non era nemmeno stata rilevata la nullità: non ho letto la sentenza. 4. Perché le Sez. Unite? Sulla questione, quella specifica e circoscritta che interessava la controversia di Padova, si sarebbe potuto decidere in sez. semplice, senza ritardare ancora una vicenda già così prolungata. La questione, se sulla validità del contratto di cessione contro rendita vitalizia si fosse formata la cosa giudicata come presupposto implicito della sentenza n. 1182/1992 che respingeva la domanda di risoluzione della rendita vitalizia, trovava risposta negativa in Cass. ss. uu. 4 settembre 2012, n. 14828, che si era occupata della identica fattispecie, in un caso diverso. L’Appello, pervenuto alla Corte del 2012, riteneva “di non poter rilevare di ufficio la nullità del contratto, essendone stata richiesta inizialmente la risoluzione”. Di contro per le Ss.uu., risolvendo in questo senso un contrasto di giurisprudenza, la nullità può essere rilevata in ogni stato e grado: “Il giudice chiamato a pronunciarsi sulla risoluzione di un contratto, di cui emerga la nullità dai fatti allegati e provati e comunque ex actis, non può sottrarsi all’obbligo del rilievo e con ciò non conduce ad una sostituzione dell’azione proposta con altra. Soltanto fa emergere una eccezione rilevabile d’ufficio, che può condurre a variabili sviluppi processuali. […] A seguito del rilievo officioso, le parti hanno la possibilità di formulare domanda che ne sia conseguenza […] e quindi anche la eventuale domanda di risoluzione potrà essere convertita in (o cumulata con) azione di nullità. […] Il giudice che ritenga, dopo l’udienza di trattazione, di sollevare una questione rilevabile d’ufficio e non considerata dalle parti, deve sottoporla ad esse al fine di provocare il contraddittorio. […] La ricostruzione del sistema ha conseguenze intuibili quanto al giudicato. Qualora dopo il rilievo ufficioso sia stata formulata, tempestivamente o previa rimessione in termini, domanda volta all’accertamento della nullità e ad eventuali effetti restitutori, la statuizione sul punto, se non impugnata, avrà effetto di giudicato. […] ove non sia formulata tale domanda, il rilievo della nullità fa pervenire al rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum della nullità, dunque senza effetto di giudicato sul punto. […] Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso nei limiti di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad in RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 vocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta la relativa domanda”; quindi, ove non sia stata posta, non pronuncerà con efficacia di giudicato, come detto sopra. Applicando il principio formulato, la Cass. del 2014 avrebbe potuto risolvere il caso di Brescia in sez. semplice. 5. Il difficile esame della sentenza. Non è semplice l’esame della Cass. ss.uu. n. 26242/2014 (5). Il lettore dell’analitico svolgimento del percorso argomentativo viene agevolato dal prospetto intitolato: I poteri del giudice nelle azioni di impugnativa negoziale (n. 7.1., “I rapporti tra nullità negoziale ed impugnative contrattuali vanno così sintetizzati”). Il prospetto non è sufficiente a districare il pasticciato intreccio degli argomenti in funzione della decisione della specifica controversia (c.d. dicta) dagli altri argomenti inutili a decidere (c.d. obiter dicta). La distinzione è fondamentale nell’interpretazione delle sentenze, poiché soltanto i primi hanno l’autorità di precedente giurisprudenziale, mentre i secondi sono opinioni al più di dottrina. Il dictum è l’argomento che per risolvere la particolare controversia impegna il giudice innanzitutto di fronte alle parti contendenti, quindi nel corso della procedura giudiziaria. Di qui l’autorità di precedente giudiziario: se nella disposizione del sillogismo la premessa maggiore ha dato al diritto quella determinata formulazione, è da supporre che quella stessa formulazione avrebbe avuto per ogni altro caso; vi devono essere ragioni per discostarsi nella presunta uniformità della giurisprudenza. Per la sua funzione di applicazione del diritto ai casi accaduti la giurisprudenza è orientata all’uniformità, pur nell’indipendenza di ciascun giudizio. Ci spieghiamo il tenore dell’art. 174, III “Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”, dove per principio va inteso il dictum, non gli obiter. Invece la dottrina per la sua funzione di proposta di interpretazione in via generale, non ha diretta efficacia sul caso della vita; è sullo stesso piano astratto della legge, che sviluppa sistematicamente, non è sul piano dell’applicazione concreta del diritto (legge e dottrina) al caso della vita. Perciò si propone plurima nella dialettica degli autori; ha l’autorità che viene all’autore dalla capacità di (5) La sentenza è ben spiegata da N. RIzzo, Il rilievo d’ufficio della nullità preso sul serio, in Pluris; critico A. GIUSSANI, Appunti dalla lezione sul giudicato delle Sezioni Unite, in Pluris, che vi si riferisce con le parole: “In molte sedi si è già celebrata la sentenza-trattato”; approfondimenti in CARBoNe, Porte aperte delle Sezioni unite alla rilevabilità d’ufficio del giudice delle nullità del contratto, in Studi Senesi CXXVI (III serie, LXIII) Supplemento, 2014, ove altri interventi di CoNSoLo e GoDIo; PAGLIATTINI; PALMIeRI e PARDoLeSI; PRoTo PISANI; SCoGNAMIGLIo. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe dare al diritto la forza di sistema astratto di comandi, nella dialettica delle diversità. Per la sua funzione di spiegazione della legge la proposta della dottrina è esposta alla discussione, anche quando gli orientamenti sembrano consolidarsi nell’opinione comune (6). ebbene, se stiamo alle ordinanze di rinvio, i dicta delle ss.uu. sono: a) la nullità deve essere rilevata in ogni stato e grado; b) se il giudice o le parti non la propongono in discussione nella soluzione del conflitto, rimane enunciazione non coperta dalla sentenza; c) se la sentenza fa della nullità argomento determinante della decisione, senza aprire la discussione ai sensi dell’art. 101, la sentenza è nulla per violazione del contraddittorio, nullità da far valere in sede di impugnativa, altrimenti resta coperta dal giudicato; d) anche la domanda di annullamento consente al giudice di sollevare la questione di nullità (era il caso sottoposto alle ss.uu. con l’altra ordinanza di rinvio, che non interessa per il caso di Padova, appunto decisa con l’altra sentenza gemella). 6. Abbiamo dinanzi agli occhi la patologia del processo. La vicenda è emblematica per la sua durata. La domanda dell’attore sulla nullità del contratto è del 1992. Fa seguito alla precedente controversia sulla risoluzione del contratto, respinta dal Tribunale di Padova, ma questa dispersione di tempo è dovuta all’imperizia dell’interessato, non imputabile al funzionamento della Giustizia nel nostro Paese. La conclusione della controversia sulla nullità è del 2014, con sentenza della Ss. uu. decisa in aprile, pubblicata in dicembre, intervallo pienamente giustificato dalla elaborazione della motivazione, che proprio per le caratteristiche di saggio di dottrina può rivelarsi più difficoltoso e laborioso che tradurre i motivi già maturati dal collegio in sede di decisione. Il caso è anomalo anche nella nostra esperienza; ma anche il decennio e più della durata media del percorso delle controversie non è agevolmente accettabile (7). I rimedi che vanno introducendosi e che si propongono sono palliativi, che ancor più avviliscono nella ricerca del giusto processo. Possono essere utili, se si cambia la logica che sostiene il processo, passando dal rito scritto, ormai dominante, al rito orale, che aveva tentato di introdurre il codice del ’42, travolto dalla successiva novella ’50, aggravato dalle modifiche susseguite sino ad oggi. Un tentativo di mutare è stato fatto con lo speciale processo commerciale, poi abolito, maldestro per la non coerente disciplina del procedimento probatorio (d. l.vo 5/2003). (6) Sul sillogismo giuridico, sulla Logica della sentenza distinta dalla Logica della dottrina, mi sono soffermato in Lezioni di teoria generale del diritto, Padova 2008, pp. 125 ss., 197 ss. (7) FABIo BoNGo, Quanto costa il tribunale lumaca, che riferisce di una recente analisi di Banca d’Italia sui tempi del processo in Italia, in Affari & Fianza 6/11/017. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 Il rito scritto impedisce la concentrazione del processo; ne allunga la durata; espande il contenzioso per la dispersione dei tempi, già stimolata dal numero dei patrocinanti, per la selezione dei quali non si pretende la specifica professionalità del contenzioso, ben diversa dal giurista di consulenza o d’impresa. Per questo tra i rimedi andrebbe valutato il numero chiuso dei giuristi specializzati nel contenzioso, che è specializzazione nell’impiego del criterio giuridico, non per la materia, come per il giurista ad es. d’impresa. Il giurista di contenzioso deve essere avvertito che ad es. un mandato risponde a principi comuni in qualunque settore venga applicato, dal semplice mandato famigliare al mandato in complesse operazioni commerciali. Tra i rimedi certamente sarebbe assai importante fornire la corte di ausiliari del giudice, che ne potrebbero rafforzare l’efficienza, come conosciamo nel processo costituzionale. 7. Le parole di CALAMANDREI. Ne riprendo le parole che, per i tanti anni trascorsi, ci confermano l’avvilente conclusione che non vi è rimedio a causa della volontà degli uomini di non cambiare, per l’impreparazione degli addetti ai lavori ad affrontare il rito orale, che richiede nei protagonisti la specifica professionalità che riscontriamo in altri ordinamenti, di diritto comune, ma anche di diritto civile. “Forse l’esempio più tipico di come possa riuscire la sfiducia a cambiar la faccia agli istituti processuali si ha nell’art. 180 del nostro Codice di procedura civile, in cui, quando il Codice entrò in vigore nel 1942, si leggeva che “la trattazione della causa davanti al giudice istruttore è sempre orale”. Poi il “sempre”, colla riforma del 1950, è stato cancellato. L’articolo continua a proclamare che la trattazione “è orale”, ma l’abolizione del “sempre” dimostra che può non esserlo più. In realtà, anche davanti al giudice istruttore la oralità è caduta in disgrazia. Quella fase istruttoria che doveva essere, nell’idea del legislatore, un dialogo confidenziale tra difensori e giudici seduti allo stesso tavolino, è tornata ad essere, come nel vecchio rito, un seguito interminabile di differimenti, volentieri concessi dal giudice, per dar modo agli avvocati di scambiarsi, di rinvio in rinvio, le loro comparse scritte. Il giudice istruttore è ridotto assai spesso ad un meccanismo registratore di rinvii: par che non ami la conversazione diretta cogli avvocati, che potrebbe servire a semplificare la causa e a metterne in chiaro i punti essenziali; e gli avvocati, anch’essi, preferiscono scrivere le loro ragioni sulla carta bollata in stile curialesco, piuttosto che esporle al giudice alla buona, in forma persuasiva e dimessa. Questo fallimento dell’oralità e questa cristallizzazione burocratica del giudice istruttore deriva certamente, per una parte, dall’eccessivo lavoro di cui i giudici sono gravati: quando un giudice istruttore, com’è accaduto in questi ultimi anni nei tribunali delle sedi giudiziarie più affollate, ha da sbrigare contemporaneamente l’istruzione di un centinaio di processi o forse di più, si CoNTeNzIoSo NAzIoNALe capisce come egli non abbia tempo per seguirli tutti colla dovuta attenzione, e come non possa fare di ciascun fascicolo quel diligente studio preparatorio che gli consentirebbe di parlarne a ragion veduta coi difensori. L’oralità ha bisogno di preparazione immediata: la scrittura permette di rimandare lo studio a miglior tempo; e questa è una buona ragione perché avvocati e giudici preferiscano la scrittura. Ma la vera ragione di questa preferenza è la sfiducia. Gli avvocati non amano scoprire dinanzi al giudice, come pur dovrebbero fare in un diretto colloquio, le loro batterie defensionali; non vogliono (o spesso non sanno) rispondere subito, in presenza del giudice, alle obiezioni dell’avversario. Per sostenere un contraddittorio orale in forma di dialogo, in cui nel discorso pos- son venir fuori le questioni più impensate, occorre una preparazione che non tutti gli avvocati hanno; e per di più sospettano che ogni mossa avversaria nasconda un tranello. Per questo preferiscono prender tempo, ripensarci, consultare la giurisprudenza e rispondere in iscritto dopo due settimane di meditazione. La peggior nemica della oralità è la paura di “compromettersi”. Può accadere che anche il giudice veda nella conversazione immediata coi difensori il pericolo di rivelare prematuramente ciò che pensa della causa, e che deve rimanere segreto: terrore che gli avvocati, specialmente quelli più abili e più autorevoli, riescano, colla loro eloquenza insinuante, a trarlo su una falsa strada. Anch’egli diffida e preferisce, invece di ascoltar le loro ragioni, leggerle scritte sulle loro comparse, per poterle meditare in solitudine. Così l’oralità è distrutta dalla diffidenza. Sono lì, giudice e difensori, con tre seggiole allo stesso tavolino, col cancelliere pronto a registrare a verbale le loro parole. Potrebbero subito profittar di quello incontro per entrar nel vivo della causa; ma preferiscono trattenersi un solo istante, soltanto per mettersi d’accordo sulla data della nuova udienza, nella quale quello che avrebbero potuto dirsi oggi a voce, se lo comunicheranno mediante lo scambio di comparse scritte: e a sua volta la nuova udienza servirà soltanto a ottenere un nuovo rinvio per preparar le risposte. Così il processo si diluisce in esercitazioni di scrittura: giudice e difensori si comportano come innamorati timidi, che quando si incontrano non sanno che cosa dirsi, ma appena si sono lasciati si scrivono lunghissime lettere d’amore, e le tengono in serbo per qualche settimana, in attesa di scambiarsele in silenzio al prossimo appuntamento” (8). (8) CALAMANDReI, Processo e Democrazia, Padova 1954, V, La dialettica del processo, n. 8. “Il nuovo codice energicamente afferma la prevalenza dell’oralità nella fase istruttoria […] Non v’è bisogno di insistere lungamente nel ricordare che la oralità, come dovrà essere attuata secondo il nuovo codice, non ha niente a che vedere con quella parvenza di discussione orale, che nel vecchio processo si riduceva ad essere la ripetizione e il riassunto in forma di arringa di argomentazioni defensionali già diffusamente scritte nelle comparse. Nel nuovo codice la oralità significa anzitutto che nella fase istruttoria la scrittura non è la forma unica e indispensabile delle deduzioni: tutte le volte in cui le parti sono ammesse, anche dopo esaurito lo scambio delle scritture preparatorie, a presentare nuove eccezioni RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 Nella nostra esperienza ci accorgiamo quanto siano adeguate le parole riprodotte in quei momenti di oralità che incontriamo anche nell’attuale processo (ad es. nella discussione di cautelari; oppure in procedimenti arbitrali). Mi diverte ricordare Goldoni, che esercitò l’avvocatura, per la commedia L’Avvocato Veneziano. La controversia si svolge davanti alla Corte di Rovigo, di rito veneziano, orale. Nella discussione vince l’avvocato veneziano, pienamente padrone del caso nel fatto e nel diritto (un caso di presupposizione), pronto alla dialettica orale dinanzi a giudice che interviene nel dialogo per quesiti e chiarimenti; mentre trova impreparato il difensore di Bologna, autorevole professore, ma, abituato al rito scritto, gli mancava la sveltezza nelle risposte per la non piena padronanza del caso, che aveva l’abitudine di interpretare attraverso i documenti. La Commedia non è rappresentata proprio per il tecnicismo processuale che la caratterizza. È stata ripubblicata in anni recenti dall’ordine degli avvocati di Venezia. Cassazione civile, sez. Un., sentenza 12 dicembre 2014 n. 26242 -Primo Pres. f.f. L.A. Rovelli, Pres. Sez. R.M. Triola, Rel. G. Travaglino -B.A., S.A. (avv.ti P. Porfilio, A. olivares) c. Sa.Fe. (avv.ti e.Testa Spaziani, C. Bonino, M. De Cristofaro); P.P. 1. i Fatti e i MotiVi Di RiCoRso 1.1. Con atto di citazione del febbraio 1992, Sa.Fe., procuratore generale di M.G., convenne in giudizio dinanzi al tribunale di Padova P.P. e i coniugi B.A. e S.A., chiedendo, in via principale, la declaratoria di nullità -e in via subordinata l'annullamento, sul presupposto che l'atto fosse il frutto di una fraudolenta macchinazione in danno della cedente - del contratto di rendita vitalizia stipulato il 5 dicembre 1984 (atto con cui la M. aveva ceduto alla P. la nuda proprietà di un locale commerciale in cambio di un vitalizio di L. 7.000.000 all'anno) e del successivo negozio (concluso dalla M., nella qualità di procuratrice speciale della P., con i coniugi B. - S. il 20 novembre 1985) con il quale la P. aveva ceduto a questi ultimi la nuda proprietà del medesimo locale al prezzo di L. 135.000.000, da pagarsi in rate semestrali nei sette anni successivi. Si costituirono in giudizio i coniugi B. e la P., che, nel resistere alle avverse pretese, formularono a loro volta domanda risarcitoria ex art. 96 cod. proc. civ. e nuove produzioni, o a modificare le conclusioni originarie, questo deve farsi oralmente, con inserzione delle nuove deduzioni a verbale […] Dinanzi al giudice istruttore l’oralità vorrà dire ritornare alla naturalezza e allo spirito di lealtà e di comprensione: le schermaglie del procedimento scritto, che si annidano facilmente nei formalismi del procedimento scritto, saranno facilmente sventate dalla vicinanza e dalla confidenza di queste conversazioni senza cerimonie, nelle quali il giudice troverà l’atmosfera adatta per esercitare utilmente le sue iniziative istruttorie e per invitare le parti, prima che qualche loro dimenticanza le faccia incorrere in decadenze e nullità, a completare e a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosca difettosi (art. 282)”, Relaz. al codice, n. 27, Oralità e scrittura. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe Sopravvenuto, nel corso del processo, il decesso della M., la causa fu proseguita da Sa.Fe., in qualità di successore universale della prima. Con sentenza n. 550 del 2003, il tribunale accolse la domanda proposta in via principale e dichiarò, quindi, la nullità del contratto di costituzione di rendita vitalizia per difetto del requisito essenziale dell'alea, e conseguentemente, la nullità del contratto di cessione della nuda proprietà stipulato il 20 novembre 1985, sul rilievo dell'assenza di titolarità, in capo alla cedente, del diritto trasferito ai cessionari. 1.2. All'esito del giudizio di gravame, nel quale l'appellata reiterò (anche) la domanda di restituzione dell'immobile, in relazione al quale nessuna statuizione era stata emessa, nonostante la domanda in tal senso proposta dall'appellante, la corte di appello di Venezia, con sentenza n. 878 del 2006: - dichiarò l'estinzione del giudizio limitatamente all'impugnazione proposta dalla P.; - rigettò l'appello principale formulato dai coniugi B.- S.; - accolse l'appello incidentale del Sa. e condannò i predetti alla restituzione dell'immobile; -in parziale riforma della decisione impugnata, condannò i primi a restituire a quest'ultimo il bene in contestazione. 1.3. I coniugi B. proposero ricorso per cassazione avverso la sentenza, che fu impugnata con gravame incidentale anche dal Sa. Questa Corte, con sentenza n. 10049 del 2008, rigettò il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, accogliendo, invece, il secondo motivo dell'impugnazione principale. Per quel che qui interessa, il giudice di legittimità accolse la censura inerente alla omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale i coniugi B. -S. avevano lamentato la erroneità della sentenza di primo grado, là dove aveva dichiarato la nullità del contratto di rendita vitalizia concluso tra la M. e la P. per difetto di alea, sulla base del mero raffronto tra il valore dell'immobile ceduto (nei limiti della nuda proprietà) e l'entità del vitalizio, tralasciando in tal modo di considerare gli altri obblighi previsti a carico della P., con conseguente necessità di riconsiderare il profilo della sussistenza dell'alea. 1.4. Con atto di citazione notificato il 31 luglio 2008, Sa.F. riassunse il giudizio dinanzi alla designata Corte di Brescia, che con sentenza del 13 gennaio 2011 respinse l'appello proposto dai coniugi B. avverso la sentenza n. 550/2003 del Tribunale di Padova. Il giudice di secondo grado, preso atto in via preliminare del decisum della sentenza di legittimità (e considerato pregiudizialmente che, sulla pronuncia di estinzione, era ormai sceso il giudicato), riesaminò, avuto riguardo alle rispettive obbligazioni reciprocamente assunte dalla M. e dalla P. e alla situazione obiettiva configurabile alla data di perfezionamento del contratto di rendita vitalizia - il precedente accertamento inerente al profilo della sussistenza dell'alea del contratto di rendita vitalizia. Valutati tutti gli elementi necessari, anche sotto il profilo economico, all'individuazione delle prestazioni poste a carico della vitaliziante, la Corte di Brescia confermò il giudizio già espresso dal precedente giudice di appello, che aveva accertato un grave e profondo squilibrio originario in favore della M., tale da escludere il requisito dell'alea e, in definitiva, da determinare la nullità del contratto per mancanza di causa, donde la nuda proprietà dell'immobile oggetto della convenzione non era mai sta trasferita alla P., la quale, a sua volta, non avrebbe potuta cederla ai coniugi B. - S. 1.5. Avverso la sentenza di rinvio questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi, al quale ha resistito con controricorso l'intimato Sa.Fe., a sua volta ricorrente incidentale sulla base di un unico motivo. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 1.5.1. Sono agli atti le memorie illustrative di entrambe le parti costituite. 1.6. esaminando in limine il quarto motivo del ricorso principale, il collegio della seconda sezione investito del ricorso ha rilevato come, con esso, venissero prospettati: -la violazione e falsa applicazione dell'art. 324 cod. proc. civ., in combinato disposto con l'art. 2909 cod. civ., artt. 36, 112 e ss., 167 cod. proc. civ., e in relazione all'art. 1325 c.c., art. 1350 c.c., n. 10, artt. 2643, 2645 e 1872 cod. civ. e artt. 132 e 366 cod. proc. civ.; -il vizio di omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi per il giudizio ex artt. 1325 e 1872 cod. civ., in combinato disposto con l'art. 112 cod. proc. civ. 1.6.1. In particolare, i ricorrenti hanno denunziato l'erroneità della decisione impugnata nella parte in cui la stessa contraddiceva la sentenza n. 1187 del 1992, pronunciata del Tribunale di Padova e divenuta irrevocabile, con la quale era stata respinta la domanda di risoluzione di quello stesso contratto di rendita vitalizia proposta, in data 9 dicembre 1984, da M.G. nei confronti di P. P., ancorchè la sopra indicata pronuncia costituisse giudicato (sostanziale) implicito esterno rispetto all'accertamento dei fatti/diritti costituiti dalla rendita vitalizia e dalla cessione della nuda proprietà dell'immobile. I ricorrenti hanno inteso sostenere l'innegabile identità delle domande proposte dalla M. nel giudizio definito con la richiamata sentenza n. 1187 del 1992 e quelle formulate nel successivo giudizio promosso dal Sa. nel febbraio del 1992, nella veste di procuratore generale della M., essendo stata dedotta in giudizio la nullità del medesimo contratto di rendita vitalizia, stipulato tra la M. e la P., e la conseguente nullità del contratto di cessione della nuda proprietà del 20 novembre 1985 in favore dei coniugi B. -S., non potendosi considerare la cedente titolare del diritto trasferito ai cessionari. Difatti, per effetto del rigetto, con sentenza passata in giudicato, della pregressa domanda di risoluzione, si era formato il giudicato sostanziale implicito -rilevabile d'ufficio -sulla esistenza e validità del contratto di rendita vitalizia, ovvero sulle questioni e sugli accertamenti che avevano costituito il necessario presupposto logico-giuridico della questione o dell'accertamento oggetto della precedente sentenza del Tribunale di Padova. 2. La QUestione sottoPosta aLL'esaMe DeLLe sezioni Unite 2.1. Gli atti del procedimento, fissato per la trattazione all'udienza del 10 aprile 2013 e assegnato alla seconda sezione civile della Corte, sono stati rimessi al Primo Presidente, che ne ha disposto l'assegnazione a queste sezioni unite con ordinanza interlocutoria n. 16630/2013. Si è evidenziato come fosse preliminare all'esame dell'intero ricorso la decisione in ordine al motivo poc'anzi esposto, che poneva una questione di massima di particolare importanza afferente alla individuazione delle condizioni per la formazione e l'estensione dell'efficacia del cd. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto. Va altresì osservato che, con la precedente ordinanza interlocutoria n. 21083, depositata il 27 novembre 2012, la stessa sezione aveva già rimesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite della ulteriore questione di massima di particolare importanza se la nullità del contratto possa essere rilevata d'ufficio non solo allorchè sia stata proposta domanda di adempimento o di risoluzione del contratto ma anche nel caso in cui sia domandato l'annullamento del contratto stesso. 2.2. Nell'ordinanza interlocutoria del 3 luglio 2013, n. 16630, che rimette all'esame delle sezioni unite la prima delle due questioni di diritto, evocando il dictum di cui alla pronuncia di queste stesse sezioni unite n. 14828/2012 -avente ad oggetto, come è noto, la questione della compatibilita del rilievo officioso di una nullità negoziale con la proposizione di una domanda di ri CoNTeNzIoSo NAzIoNALe soluzione contrattuale -si afferma come l'impostazione argomentativa di fondo ed il risultato sfociato nel principio di diritto enunciato con la richiamata sentenza delle Sezioni Unite non siano pienamente condivisibili, richiedendosi un approccio più problematico e più ampio sulla questione relativa alla individuazione delle condizioni per la formazione e l'estensione dell'efficacia del cd. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto. 2.3. In particolare, l'ordinanza muove dal rilievo, ritenuto problematico dal collegio remittente, che la Corte di appello di Brescia, con la sentenza oggi impugnata, ha respinto la censura concernente la dedotta preclusione derivante dal giudicato intervenuto tra la M. e la P. in virtù della pregressa sentenza n. 1187 del 1992 del Tribunale di Padova, che aveva rigettato la domanda di risoluzione del contratto di rendita vitalizia, oggetto della successiva azione di nullità e di annullamento esperita dal procuratore generale della predetta M., ritenendo tale pronuncia inidonea a spiegare gli effetti dell'eccepito giudicato, in quanto, a dire della Corte di Brescia, il Tribunale padovano si era limitato a scrutinare (respingendola) la domanda di risoluzione senza prendere posizione alcuna, neppure in via meramente incidentale, in ordine al tema della validità del contratto, mai sottoposto al suo vaglio. Pertanto, alla stregua di tale situazione processuale, avrebbe dovuto trovare applicazione, nella fattispecie, il principio in base al quale l'autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i limiti rigorosi degli elementi costitutivi dell'azione e presuppone che tra la domanda giudiziale sulla quale è intervenuta la pronuncia passata in giudicato e quella tuttora pendente sussista identità di petitum e di causa petendi. Nella sentenza oggetto dell'attuale ricorso vi è un esplicito riferimento al precedente giurisprudenziale di questa Corte (Cass. sez. III n. 11356 del 2006), secondo il quale la rilevabilità officiosa della nullità del contratto - ammissibile ai sensi dell'art. 1421 c.c. anche nell'ipotesi di domanda di risoluzione dello stesso - non comporta la necessaria declaratoria di tale invalidità con efficacia irretrattabile di cosa giudicata, posto che il giudicato deve intendersi riferito alle ragioni concretamente poste a fondamento della domanda e divenute materia della res litigiosa, non dovendo essere esteso sempre e comunque all'intero rapporto dedotto in giudizio. Sennonchè, - prosegue l'ordinanza interlocutoria - la difesa dei ricorrenti principali ha inteso confutare tale espressa affermazione della decisione impugnata, sostenendo che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, anche in ipotesi di pronuncia di rigetto della domanda (come quella di risoluzione del contratto, nel caso in esame), estende i suoi effetti non solo alla statuizione relativa al bene della vita chiesto dall'attore, ma anche a tutte quelle inerenti all'esistenza e alla validità del rapporto dedotto in giudizio, in quanto accertamenti necessari e indispensabili per pervenire a quella pronuncia (cd. giudicato implicito), perchè emergenti da atti comunque prodotti nel giudizio di merito. In altri termini, stando a questa impostazione, il cd. principio del "dedotto e deducibile" -in virtù del quale l'efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti (giudicato esplicito), anche a quanto esse avrebbero potuto dedurre (giudicato implicito) -concernere le ragioni non dedotte che si pongano come antecedente logico necessario rispetto alla pronuncia, così che deve ritenersi precluso alle stesse parti proporre, in altro giudizio, qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni giuridiche soggettive incompatibili con il diritto accertato. Con la censura cristallizzata nel quarto motivo del ricorso principale si è, dunque, prospettato il problema concernente il se e il come tra la questione decisa in modo espresso (domanda di risoluzione del contratto respinta) e altre questioni (validità del contratto oggetto della domanda di risoluzione) che ne costituiscano antecedente logico-giuridico per rapporto di in RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 dissolubile dipendenza, il giudicato esterno esplicito si estenda alla questione ed agli accertamenti presupposti, senza i quali la prima decisione emessa non avrebbe potuto essere resa (con la formazione sul punto del cd. giudicato implicito): di qui la conseguente inammissibilità di una successiva decisione sui secondi, in un diverso giudizio che investa direttamente gli stessi accertamenti, inammissibilità rilevabile d'ufficio, ove la questione sia stata dedotta nei gradi di merito e risulti documentalmente acquisita, o comunque verificabile ex actis, anche in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 24664 del 2007). 2.4. La questione così prospettata, al pari di tutti i profili ad essa connessi e che rilevino in tutte le azioni di impugnativa negoziale, va esaminata, anzitutto, alla luce della recente pronuncia di queste sezioni unite (Cass. n. 14828 del 4 settembre 2012), che ha affermato il seguente principio di diritto: alla luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell'assetto negoziale, e atteso che la risoluzione contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti ex actis, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso, purchè non soggetta a regime speciale (escluse, quindi, le nullità di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla volontà della parte protetta); il giudice di merito, peraltro, accerta la nullità incidenter tantum senza effetto di giudicato, a meno che sia stata proposta la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, disponendo in ogni caso le pertinenti restituzioni, se richieste. È stato così composto il contrasto emerso nella giurisprudenza di legittimità intorno alla questione della rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto da parte del giudice investito di una domanda di risoluzione del medesimo accordo negoziale. 2.5. La soluzione adottata, che l'odierno collegio ritiene di dovere integralmente confermare nella sua portata precettiva, vale a dire con riferimento alla ratio decidendi individuata in relazione alla fattispecie in concreto esaminata, conforma il ruolo della categoria della nullità alla natura di sanzione ordinamentale conseguente all'irredimibile disvalore assegnato a un invalido assetto negoziale. essa muove, peraltro, dalla premessa che l'azione di risoluzione sia coerente soltanto con l'esistenza di un contratto valido, ponendosi la nullità come prius logico della fattispecie estintiva della risoluzione. L'operatività di tale assunto è, quindi, ammessa entro ben determinati limiti, nel senso che nel- l'ambito di un giudizio di risoluzione contrattuale, il giudice può rilevare d'ufficio la nullità: a) solo se questa emerge dai fatti allegati e provati, o comunque ex actis; b) esclusivamente previa attivazione del contraddittorio sulla questione, incorrendo altrimenti la decisione nel vizio della cd. terza via; c) a condizione che non operi un regime speciale, essendo le nullità di protezione espressamente rimesse al rilievo del contraente "protetto" (il principio risulta, peraltro, soltanto dalla massima ufficiale, ma non anche dalla motivazione della sentenza); d) senza effetto di giudicato, a meno che la relativa domanda sia stata proposta, eventualmente a seguito di rimessione in termini. 2.6. Nella parte finale della decisione - consapevole il collegio delle ricadute che la ricostruzione sistematica operata implicava con riguardo alla delicatissima tematica del giudicato si legge ancora che: a) qualora, dopo il rilievo officioso, sia stata formulata, tempestivamente o previa rimessione in termini, domanda volta all'accertamento della nullità e ad eventuali effetti restitutori, la statuizione sul punto, se non impugnata, avrà effetto di giudicato; CoNTeNzIoSo NAzIoNALe b) nel caso in cui sia omesso il rilievo officioso della nullità e l'omissione sia stata dedotta in appello, il giudice del gravame dovrà rimettere in termini l'appellante; c) ove non sia formulata tale domanda, il rilievo della nullità determina il rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum della nullità, dunque senza effetto di giudicato sul punto. 2.7. Il percorso argomentativo della sentenza si conclude con ulteriori, qui rilevanti, affermazioni: -Il giudicato implicito sulla validità del contratto, secondo il paradigma ormai invalso (cfr. Cass. S.U. 24883/08; 407/11; 1764/11), potrà formarsi tutte le volte in cui la causa relativa alla risoluzione sia stata decisa nel merito, con esclusione delle sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della validità del contratto. -Sarà compito della giurisprudenza indagare circa la necessità di operare qualche dovuta ed opportuna distinzione rispetto alle azioni volte a demolire il vincolo negoziale - talvolta accomunate con la domanda risolutoria, quoad effecta, dalla stessa giurisprudenza di legittimità, peraltro in modo generalizzante e non del tutto consapevolmente critico; -Le considerazioni svolte su di un piano generale in ordine alla ratio della nullità (tutela di interessi generali e sovraordinati) non possono automaticamente estendersi alle fattispecie di nullità speciali (il principio deve, peraltro, essere inteso nel senso che il giudice deve rilevare di ufficio la nullità, salvo che il consumatore vi si opponga, come risulta esplicitamente dalla lettura del folio 9 della motivazione della sentenza, tale dovendo ritenersi il senso complessivo della pronuncia, cui va dato in questa sede ulteriore continuità). 2.8. L'ordinanza interlocutoria assume a fondamento della richiesta di un nuovo intervento di queste sezioni unite che, nella sua premessa logica, la sentenza 14828/2012 riposa sul presupposto della coerenza dell'azione di risoluzione per inadempimento con la sola esistenza di un contratto valido. Ragion per cui dovrebbe ritenersi che la nullità del contratto sia un evento impeditivo destinato a porsi prioritariamente rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione, sicchè il giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda di risoluzione di un contratto, del quale emerga la nullità dai fatti allegati e provati ex actis, non potrebbe sottrarsi all'obbligo del rilievo, senza che ciò conduca ad una sorta di sostituzione della domanda proposta. La regola dell'art. 1421 cod. civ. sarebbe, quindi, applicabile ogniqualvolta l'accoglimento ovvero il rigetto della domanda giudiziale presupponga l'esame della questione inerente alla efficacia del contratto in realtà nullo, e ciò anche nell'ipotesi in cui l'azione abbia ad oggetto la domanda di risoluzione, così che la sua portata sostanziale risulterebbe consonante con la prospettazione della censura di cui al motivo del ricorso principale. 2.9. La soluzione di cui si è detto finora non è pienamente condivisa dal collegio remittente, che invoca un approccio più problematico e più ampio alla questione relativa alla individuazione delle condizioni per la formazione e l'estensione dell'efficacia del cd. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto. L'affermazione - trasparente dalla sentenza n. 14828 del 2012 - secondo la quale, nel caso in cui sia rilevata d'ufficio la questione di nullità del contratto, la decisione su di essa non da luogo a giudicato se non su esplicita richiesta delle parti -conclude il provvedimento interlocutorio -non pare conciliabile con l'asserzione in virtù della quale, ove la questione di nullità non sia sollevata, la decisione sulla risoluzione è idonea a determinare la formazione di un giudicato implicito sulla non nullità del contratto stesso. Infatti, la prima affermazione implica che si tratti di questione pregiudiziale non in senso logico, ma in senso tecnico (alla quale si rivolge l'art. 34 c.p.c. ), suscettibile di accer RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 tamento solo incidenter tantum in mancanza di domanda di parte, cosicchè sarebbe inidonea a comportare la formazione di un giudicato implicito, il quale presuppone una pregiudizialità in senso logico. Al riguardo, costituisce principio pacifico che, in tema di questioni pregiudiziali, occorre distinguere quelle che sono tali soltanto in senso logico, in quanto investono circostanze che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa e devono essere necessariamente decise incidenter tantum, e questioni pregiudiziali in senso tecnico, che concernono circostanze distinte ed indipendenti dal detto fatto costitutivo, del quale, tuttavia, rappresentano un presupposto giuridico, e che possono dar luogo ad un giudizio autonomo, con la conseguenza che la formazione della cosa giudicata sulla pregiudiziale in senso tecnico può aversi, unitamente a quella sul diritto dedotto in lite, solo in presenza di espressa domanda di parte di soluzione della questione stessa. 2.10. Si è già avuto modo di rilevare come con altra ordinanza interlocutoria, di poco precedente a quella relativa al caso in esame, sia stato posta a queste sezioni unite - la questione ha formato oggetto di esame e di pronuncia depositata contestualmente alla presente decisione l'ulteriore quesito della compatibilita di un'azione cd. "demolitoria", quale quella di annullamento (e tuttavia l'indagine è suscettibile di estensione all'azione di rescissione) con la rilevazione di ufficio di una causa di nullità negoziale da parte del giudice investito di quella specifica (ed esclusiva) domanda di annullamento (ovvero di rescissione) del contratto. 2.11. Si pone così oggi al collegio, sia pure diacronicamente, la delicata questione dei rapporti fra (tutte) le azioni di impugnativa negoziale e il disposto dell'art. 1421 c.c., e dell'idoneità delle relative decisioni a formare oggetto di giudicato implicito esterno rispetto a successivi procedimenti che abbiano ad oggetto questioni attinenti alla validità ed efficacia della medesima convenzione negoziale, già vagliata nel primo procedimento. Le molte (e molto autorevoli) voci della dottrina levatesi a commento della sentenza 14828/2012 hanno talora rimarcato una sorta di "timidezza" argomentativa della stessa, per non avere colto questa corte l'occasione per risolvere in modo esaustivo il problema della rilevabilità officiosa della nullità. Si è peraltro tralasciato di considerare che l'estensione della decisione a tale più ampia tematica avrebbe costituito null'altro che un palese obiter dictum, attesa l'estraneità di molte delle problematiche in parola all'oggetto della decisione stessa. Le due differenti fattispecie sottoposte all'esame delle sezioni unite, in questa occasione, ben possono, invece, offrire l'occasione per affrontare funditus tale, complessa problematica, nel tentativo di pervenire ad una soluzione organica, nonostante le obbiettive difficoltà con le quali l'interprete è chiamato a misurarsi, anche a causa della eccessiva frammentazione delle questioni agitate in tema di impugnative negoziali e di effetti del giudicato. 2.12. A seguito delle due ordinanze di rimessione e nell'ottica di un fecondo dialogo della giurisprudenza con la dottrina, pur nelle diversità dei compiti istituzionali, vanno anzitutto delineati i temi di indagine. -I rapporti tra l'azione di risoluzione e la rilevabilità d'ufficio della nullità del negozio nel- l'ipotesi tanto di accoglimento, quanto di rigetto della domanda risolutoria. -I rapporti tra le azioni di annullamento e di rescissione (alle quali non è estranea la facoltà riservata alla curatela fallimentare ex art. 72 l. fall.) e la rilevabilità d'ufficio di una nullità negoziale. - La rilevabilità d'ufficio delle fattispecie di nullità speciali. -I rapporti tra l'azione di nullità esperita dalla parte e la rilevabilità officiosa di una nullità negoziale diversa da quella prospettata (cui può potrebbe essere aggiunta, per completezza di indagine, la questione della rilevabilità d'ufficio della simulazione assoluta). CoNTeNzIoSo NAzIoNALe -L'efficacia del giudicato in successivi processi, instaurati tra le stesse parti, dell'accertamento della nullità oggetto del primo giudizio. 2.13. L'esame delle questioni sopra indicate non può, peraltro, prescindere da una duplice indagine, che investe la fattispecie della nullità negoziale e quella dell'oggetto del processo. È pressochè superfluo premettere che in nessun modo il collegio intende - nè tampoco con pretese di completezza - esaminare e scrutinare tematiche che per la loro complessità hanno costituito oggetto di studi e riflessioni assai risalenti. Il fine che la Corte si propone, difatti, non può che essere limitato alla ricerca di una non insoddisfacente coniugazione del potere di rilevazione officioso di una nullità negoziale e alcuni dei principi-cardine del diritto processuale. 3. nULLità neGoziaLe eD azioni Di iMPUGnatiVa ContRattUaLe 3.1 Come acutamente sottolineato da alcuni dei maggiori civilisti italiani, l'approccio all'art. 1421 c.c. e alla delimitazione del campo di operatività della rilevabilità d'ufficio della nullità appare, in qualche misura, influenzato dalla propensione soggettiva dell'interprete: -a identificare la primaria funzione dell'attività giurisdizionale nella mera composizione delle liti (e cioè nella risoluzione secondo giustizia di un contrasto tra due o più parti); - ovvero, piuttosto, nella attuazione della legge; -ovvero in un concretamento dell'ordinamento, inteso quale attuazione del diritto sostanziale nel processo, quando cioè sorge l'esigenza di valutare la fondatezza dell'azione esperita dalla parte e di affermare in ordine ad essa l'ordinamento nel momento della giurisdizione e, non dissimilmente; -nell'essere la sentenza il mezzo offerto al giudice per applicare la legge nel caso concreto, così che, "se per legge un atto è nullo, anche nel silenzio delle parti il magistrato adito deve provvedere secundum ius pronunciando la nullità, perchè altrimenti violerebbe doppiamente la legge applicando ad un atto nullo una norma che postula invece l'esistenza di un atto valido, e perciò venendo meno al primo ed essenziale dei suoi doveri, di giudicare alla stregua del diritto positivo quale esso è e non quale gli interessati, o per ignoranza o per negligenza, immaginano che sia". L'evidente irriducibilità della ricostruzione di una teoria della nullità negoziale entro i ben precisi limiti di una pronuncia giurisdizionale comporta che l'indagine demandata al collegio non potrà che volgere al solo scopo di operare una scelta (anch'essa senza pretese di definitività, in ragione del carattere storicamente determinato che ne andrà a permeare il fondamento teorico), sì da offrire una plausibile risposta "di sistema" agli interrogativi posti poc'anzi, con riguardo, in particolare, al problema della rilevabilità officiosa della nullità, profilo distinto, come meglio in seguito si vedrà, tanto da quello della sua dichiarazione in una pronuncia, quanto da quello della attitudine al giudicato della dichiarazione di nullità conseguente alla rilevazione officiosa di tale vizio del negozio. 3.2. Il tema coinvolge, all'evidenza, istituti di diritto sostanziale (la patologia negoziale, le diverse forme di sanatoria del negozio invalido, la risoluzione del rapporto contrattuale, la conversione del negozio nullo, solo per citarne alcuni), quanto fondamentali principi di diritto processuale, dei quali è ora superflua ora l'indicazione, donde la estrema difficoltà di raggiungere un equilibrio tra poteri officiosi del giudice e principio della domanda, volta che qualsiasi pretesa di stabilità in questa materia pare ab origine destinata a cedere ad una inevitabile precarietà, tutte le volte che la soluzione offerta coincida con uno dei due opposti estremi, e cioè RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 tanto che si neghi in radice, quanto che si affermi tout court (come nel caso della sentenza n. 6170 del 2005 di questa corte), l'incidenza nel processo della rilevabilità officiosa di un vizio di nullità e la conseguente idoneità del relativo accertamento a divenire cosa giudicata. 3.3. Si comprende allora come la scelta di un definitivo assetto processuale delle azioni di impugnativa negoziale risulti senza dubbio influenzata dall'approdo ad una soluzione predicativa di una dimensione riduttiva ovvero estensiva dei poteri del giudice, proprio in relazione alla natura ed alla funzione che, hic et nunc, la giurisprudenza intende riconoscere alla categoria della nullità negoziale e, conseguentemente - come meglio si dirà in seguito - alla nozione di "oggetto del processo". e nell'accostarsi al problema sin qui delineato non può non immaginarsi che una scelta volta all'eccessiva frammentazione della categoria della nullità risulterebbe insormontabile ostacolo a una ricostruzione unitaria e coerente dell'estensione dei poteri officiosi riconosciuti al giudice ex art. 1421 c.c. 3.4. Nelle sue linee generali il tema è quello della relazione che lega il diritto sostanziale e il processo, tema a ragione ritenuto tra i più complessi ed affascinanti tanto per il civilista quanto per il processualista, come di recente ha osservato un autorevole studioso dei rapporti tra il contratto e il processo. Difatti, se l'art. 1421 c.c. enuncia un principio apparentemente inequivoco, sancendo la rilevabilità officiosa della nullità del contratto senza apparenti limiti e condizioni, il successivo approdo della norma sostanziale nel territorio del processo finisce per essere condizionato dalle disposizioni del codice di rito che segnano i confini posti ai poteri officiosi del giudice. Peraltro, non è seriamente contestabile che il legislatore abbia già compiuto un giudizio di valore sul piano sostanziale, disponendo (il "può" dell'art. 1421 è comunemente e condivisi- bilmente letto come un "deve") il rilievo ex officio della nullità, ma conferendo poi ad essa, sul piano processuale, il carattere di eccezione in senso lato, indipendente da qualsiasi attività delle parti quanto alla sua rilevazione -altro e più complesso discorso, che di qui a breve verrà svolto, meritano le successive fasi della sua dichiarazione/accertamento e della sua idoneità all'effetto di giudicato. 3.5. Come è stato acutamente osservato, i due profili del tema della impugnative negoziali quello sostanziale e quello processuale -non sempre sono destinati a convergere virtuosamente, ma la griglia di valutazione degli interessi tutelati dalla norma che sancisce la nullità si pone come punto di partenza per un distinguo tra le diverse fattispecie di patologia del negozio, ai fini della rilevabilità officiosa o meno del vizio, onde la conclusione nel senso della estensibilità o meno alla singola ipotesi del modello classico delineato dall'art. 1421 deve essere evinta da un'attenta analisi delle diverse tipologie di nullità (speciale, parziale, relativa, "di protezione") incentrata sulla funzione della sanzione di volta in volta prevista dalla norma. Nel motivare la soluzione adottata in tema di rapporti tra nullità officiosa e azione di risoluzione contrattuale, questa Corte, con la citata sentenza 14828/2012, ha dichiaratamente prestato adesione alla tesi tradizionalmente affermata in dottrina, secondo la quale la ratio del rilievo officioso, in capo al giudice, della più grave tra le patologie dell'atto negoziale consiste (anche) nella tutela di interessi generali sovra-individuali. Questa opinione è stata di recente vivificata da persuasivi argomenti di tipo comparatistico, volta che si è opportunamente osservato come anche in ordinamenti che non disciplinano espressamente il rilievo officioso della nullità il connesso potere-dovere del giudice sia tradizionalmente ammesso, in quanto posto a tutela di interessi superindividuali. D'altronde, proprio la natura superindividuale del- l'interesse protetto giustifica la reazione dell'ordinamento nell'ambito del processo, compor CoNTeNzIoSo NAzIoNALe tando che una convenzione affetta di sì grave patologia imponga al giudice di negare efficacia giuridica a un atto nullo. 3.6. Una siffatta ricostruzione della ratio e della funzione del rilievo officioso della nullità contrattuale - pur se recentemente e assai persuasivamente sottoposte a revisione critica, con argomentazioni non prive di suggestioni, da parte di quelle dottrine che ne hanno tra l'altro evidenziato "il debole supporto logico e normativo" - deve essere in questa sede confermata, sia pure al limitato fine di esplorare il territorio della rilevabilità officiosa ex art. 1421 c.c. 3.7. La sistematica della patologia del contratto che individua la ratio della nullità nella tutela di interessi generali dell'ordinamento è certamente coerente con la nullità per contrarietà a norme imperative ovvero a principi fondamentali dell'organizzazione sociale, come nel caso di negozio contrario al buon costume, all'ordine pubblico o a causa illecita. L'obiezione secondo cui non sarebbe corretto attribuire in toto al rilievo officioso della nullità "la funzione di elidere il disvalore regolamentare espresso dal contratto nullo", per la non pertinenza di tale aspetto funzionale rispetto alle ipotesi di cd. nullità strutturali, non è del tutto convincente. Si assume, infatti, che tali ipotesi di nullità presuppongono il difetto di un elemento essenziale del contratto, come la forma o l'accordo, mentre altre sono poste a tutela di un interesse privato, o si connotano come meramente prescrittive di un onere che resta inadempiuto: rispetto ad esse - si afferma - l'ordinamento non manifesta un giudizio di disvalore o di immeritevolezza, quanto, piuttosto, di inutilità. A tale argomento sembra potersi replicare -salvo quanto si dirà tra poco in tema di nullità di protezione - che, in tali ipotesi, insieme con il particolare, si tutela comunque un interesse generale, seppur in via indiretta: l'interesse "proprio dell'ordinamento giuridico a che l'esercizio dell'autonomia privata sia corretto, ordinato e ragionevole". In altri termini, è come se il legislatore, predisposta una struttura normativa "significante", destinata espressamente alla tutela del singolo soggetto, abbia poi voluto sottendere a quella medesima struttura un ulteriore e diverso "significato", non espresso (ma non per questo meno manifesto), costituito, appunto, dall'interesse dell'ordinamento a che certi suoi principi-cardine (tra gli altri, la buona fede, la tutela del contraente debole, la parità di condizioni quantomeno formale nelle asimmetrie economiche sostanziali) non siano comunque violati. Il carattere di specialità della nullità non elide l'essenza della categoria della nullità stessa, coniugandosi entrambe in un sinolo di tutela di interessi eterogenei -in guisa da evitare la eccessiva frammentazione tipica dell'esperienza francese, di tal che quella funzione di tutela di un interesse generale non appare più "fantomatica", come una autorevole dottrina ha proposto di considerare, poichè quello stesso interesse, ben definito, a che non si dia attuazione a un contratto nullo per via giudiziale forma pur sempre (anche) oggetto di un interesse "generale". Le nullità speciali, pertanto, non hanno "fatto implodere il sistema originario delineato dal legislatore del 1942". Se è vero che i fenomeni economico-sociali non si lasciano imprigionare in schematismi troppo rigidi, è altrettanto vero che una equilibrata soluzione che ricostruisca le diverse vicende di nullità negoziale in termini e in rapporti di genus a species appare del tutto predicabile ancor oggi, così come solidamente confortata dalla stessa giurisprudenza comunitaria. 3.8. La chiave interpretativa prescelta appare, del resto, in sintonia con la storia stessa del- l'istituto, che, come si ricorderà, solo con il codice del 1942 approdò per via normativa a una diversificazione della nullità dalla fattispecie dell'annullabilità, creando un sistema affatto speculare sulla scorta dell'esperienza (non più solo francese, ma anche) tedesca, cristallizzata nel BGB (testo normativo che, nel distinguere tra Nichtigkeit e Anfechtbarkeit, avrebbe pe RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 raltro conservato la figura normativa del Rechtsgeschaeft, apparentemente accantonato dal codice italiano: vale la pena rammentare, in proposito, come non esista nel nostro ordinamento una norma corrispondente al § 143 del BGB, secondo la quale l'effetto di annullamento è ricollegato all'atto di parte anzichè a quello del giudice, anche se, al di fuori del processo, l'effetto sostanziale di tale atto si manifesta solo dopo l'emanazione del provvedimento del giudice, onde, di quest'ultimo, la innegabile natura di elemento costitutivo della fattispecie che produce quell'effetto sul piano sostanziale). Il codice civile del 1865, difatti, non disciplinava espressamente la fattispecie dell'annullabilità e trattava unitariamente quelle della nullità e della rescissione (artt. 1300 e 1311), accomunate da una medesima dimensione morfologica (quella della patologia genetica dell'atto), e funzionale (le relative azioni "duravano 5 anni", ferma la imprescrittibilità delle relative eccezioni). Il regime dettato per la nullità era, nei fatti, non dissimile da quello oggi vigente per l'annullabilità, tanto che le cause di nullità contrattuale si estendevano dalla carenza dei requisiti formali all'errore, alla violenza e al dolo incidenti ( art. 1111 c.c. 1865). Il novum del codice del ‘42, ossia la ponderata discriminazione tra le due forme d'invalidità, venne tendenzialmente riportato, nelle riflessioni consolidate della dottrina dell'epoca, al piano "quantitativo" della maggiore o minore gravità del vizio: la nullità rappresentava l'esito di un giudizio di radicale disvalore dell'ordinamento, sanzionando un contratto che, per ragioni strutturali, non era meritevole di tutela, come tale inidoneo a produrre gli effetti voluti dalle parti, anche se non mancò chi, ebbe a discorrere, assai autorevolmente, addirittura di un fenomeno di inqualificazione giuridica, anzichè di semplice qualificazione negativa dell'atto da parte dell'ordinamento. 3.9. Le ricostruzioni più vicine nel tempo impronteranno, come già accennato, la comprensione delle differenze di regime alle diverse finalità perseguite dal legislatore: mentre l'annullabilità tutela interessi qualificati ma particolari, la nullità è volta alla protezione di interessi prettamente generali dell'ordinamento, afferenti a valori ritenuti fondamentali per l'organizzazione sociale, piuttosto che per i singoli (non a caso, e proprio per questo, si è parlato incisivamente di nullità "politiche" rimarcandone la valenza pubblicistica e rammentandosi, nel contempo, come tanto in ordinamenti a noi vicini - quale quello francese e tedesco - quanto in seno al diritto anglosassone la rilevabilità d'ufficio della nullità sia pacificamente ammessa; in Inghilterra e negli Stati Uniti, in particolare, tutte le volte in cui il contratto risulti illegal). Di qui la diversa valutazione giuridica della nullità in chiave di inefficacia originaria e non "precaria", come per l'annullabilità; e, soprattutto, di qui il potere officioso di rilievo giudiziale, non previsto dal codice del 1865. 3.10. Queste considerazioni possono ancora mantenere immutati valore e sostanza -anche se, giova ribadirlo, agli specifici fini della valutazione e dell'interpretazione dell'art. 1421 c.c. - pur alla luce della innegabile trasformazione dell'istituto della nullità in uno specifico presidio di specifici soggetti, attraverso la sempre più frequente introduzione di figure di invalidità cd. relative. Parte della dottrina osserva criticamente che le recenti fattispecie di nullità negoziale mutano la vocazione generale di tale categoria, offrendo protezione a interessi particolari e seriali, facenti capo a soggetti singoli e/o gruppi specifici. Ma è stato incisivamente fatto notare, in senso opposto, che queste nullità cd. di protezione sono anch'esse volte a tutelare interessi generali, quali il complessivo equilibrio contrattuale (in un'ottica di microanalisi economica), ovvero le stesse regole di mercato ritenute corrette (in ottica di macroanalisi), secondo quanto chiaramente mostrato dalla disciplina delle nullità CoNTeNzIoSo NAzIoNALe emergenti dalla disciplina consumeristica, specie di derivazione comunitaria, per le quali si discorre sempre più spesso, e non a torto, di "ordine pubblico di protezione". Non è questa nè la sede per aderire, sul più generale piano dei principi, all'una o all'altra teoria, entrambe sostenute, in dottrina, con dovizia e solidità di argomenti. Tuttavia, per quel che qui interessa -la rilevabilità officiosa della nullità -, la tesi dell'interesse generale va riaffermata. L'analisi prende le mosse, traendo linfa argomentativa, dalla legittimità di una ricostruzione del rilievo officioso della nullità in funzione della tutela di interessi superindividuali alla luce della sua asserita inattualità, avuto riguardo all'ampio numero di nullità cd. speciali poste funzionalmente a tutela della parte debole del contratto. 3.12. Sebbene non si rinvengano disposizioni normative che espressamente escludano la rilevabilità d'ufficio di casi nullità, non pochi autori hanno sostenuto che le nuove fattispecie di nullità cd. protettive, poste al confine fra le due categorie della nullità e dell'annullabilità, sarebbero incompatibili con la rilevabilità d'ufficio e porrebbero un limite di carattere sostanziale ad una tale rilevabilità. e la scelta legislativa di rendere una delle parti arbitra della sorte del contratto parrebbe prima facie porsi in insanabile contrasto logico con l'attribuzione al giudice del potere di sostituirsi ad essa nella valutazione circa la caducazione o la conservazione del vincolo. Ammettere una soluzione diversa creerebbe, dunque, un'insanabile antinomia: da un lato, frusterebbe la ratio della nullità relativa di riservare alla parte protetta la scelta tra conservazione e invalidazione del contratto, dall'altro, porrebbe seri problemi in relazione al principio della disponibilità delle prove. Sarebbe quindi insuperabile la difficoltà di contemperare la ferma preclusione per il giudice di acquisire d'ufficio fatti rilevanti per la dichiarazione di nullità con le nuove nullità di atti che non sono di per sè invalidi, ma (esemplificando) solo se non negoziati, se hanno l'effetto di restringere la concorrenza, se attribuiscono il controllo di una concentrazione o se sfruttano una dipendenza economica. 3.12.1. La tesi che esclude la compatibilità tra poteri officiosi e la disciplina delle nullità protettive, pur nella sua indiscutibile suggestione, non è, peraltro, immune da alcune fragilità argomentative, tanto da essere efficacemente contrastata da altra dottrina, favorevole a estendere l'ambito di applicazione dell'art. 1421 cod. civ. anche a quelle nuove invalidità sancite per la violazione di norme poste a tutela di soggetti ritenuti dalla legge economicamente più deboli, di fronte a situazioni di squilibro contrattuale, sulla scorta del piano quanto efficace rilievo che la legittimazione ad agire ristretta ai soli soggetti indicati dalla norma non si riverbera ipso facto in una consequenziale esclusione del potere di rilievo officioso delle nullità in questione ex art. 1421 c.c. Si è detto "indiscutibile" lo scopo della nullità relativa volto anche alla protezione di un interesse generale tipico della società di massa, così che la legittimazione ristretta non comporterebbe alcuna riqualificazione in termini soltanto privatistici e personalistici dell'interesse (pubblicistico) tutelato dalla norma attraverso la previsione della invalidità. Il potere del giudice di rilevare la nullità, anche in tali casi, è essenziale al perseguimento di interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza quantomeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.: si pensi alla disciplina antitrust, alle norme sulla subfornitura che sanzionano con la nullità i contratti stipulati con abuso di dipendenza economica, alle disposizioni sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, che stabiliscono la nullità di ogni accordo sulla data del pagamento che risulti gravemente iniquo in danno del creditore, RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 ex D.Lgs. n. 231 del 2002 ), poichè lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti dell'autonomia negoziale, ma anche le dinamiche concorrenziali tra imprese. La pretesa contraddizione fra legittimazione riservata e rilevabilità d'ufficio risulta soltanto apparente, se l'analisi resta circoscritta al profilo della rilevazione della causa di nullità. Non può, infatti, tralasciarsi di considerare che il legislatore contemporaneo codifica fattispecie di nullità nelle quali convivono la legittimazione riservata e la rilevabilità d'ufficio (ex aliis, quelle di cui all'art. 36, comma 3 e art. 134, comma 1, Cod. Consumo; quella prevista dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 127, comma 2; e la nullità di cui al D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, art. 7). e il potere del giudice, in questi ambiti, rafforza l'intensità della tutela accordata alla parte che, in ragione della propria posizione di strutturale minor difesa, potrebbe non essere in grado di cogliere le opportunità di tutela ad essa accordata. Va pertanto rivista e precisata in parte qua l'affermazione, contenuta nella sentenza 14828/2012, secondo la quale dovrebbe ritenersi vietato al giudice l'indagine in ordine a una nullità protettiva. Tale affermata esclusione, che ha prestato il fianco alle critiche di chi, in dottrina, lamenta che sostenere l'inammissibilità del rilievo officioso di una nullità speciale, in difetto di una espressa disposizione legislativa in tal senso, condurrebbe a conseguenze incongrue (come, ad esempio, nel caso del preliminare di un acquisto di immobile da costruire nullo perchè carente della fideiussione prevista dalla legge a pena di nullità, D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122, ex art. 2, comma 1), merita, peraltro, una ulteriore precisazione. 3.13. Difatti, la quaestio nullitatis, intesa nella sua più generale portata, si presta a differenti valutazioni a seconda che di essa ci si limiti alla semplice rilevazione, ovvero si proceda alla sua dichiarazione a seguito di accertamento giudiziale (senza affrontare, al momento, la questione dell'idoneità all'effetto di giudicato). 3.13.1. Limitando l'indagine alla sola rilevazione d'ufficio, la stessa sentenza 14828 del 2012 non manca di osservare come la giurisprudenza comunitaria sia univocamente orientata nel senso della sua necessità (e ciò è a dirsi del tutto a prescindere dalla questione se, sul piano del diritto interno, il carattere di rilevabilità officiosa delle nullità speciali sia o meno predicabile sulla base di un'interpretazione estensiva dell'art. 36 del codice del consumo, inteso come norma a carattere generale del sistema delle nullità di matrice consumeristica). D'altronde, non va dimenticato che queste Sezioni Unite non erano state illo tempore chiamate a pronunciarsi su di una generale reimpostazione del sistema delle nullità speciali (sistema che, comunque, sembrerebbe più adatto ad una valutazione caso per caso, attesa la molteplicità delle ipotesi di nullità relativa offerte dal dato normativo, in relazione al diverso aspetto funzionale di ciascuna norma). 3.13.2. Le indicazioni provenienti dalla stessa Corte di Giustizia in tema di rilievo officioso (nella specie, delle clausole abusive nei contratti relativi alle ipotesi di cd. commercio business- to-consumer) consentono di desumere un chiaro rafforzamento del potere-dovere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità, (nella sentenza Pannon del 4 giugno 2009, in causa C-243/08, la Corte ha stabilito che il giudice deve esaminare di ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e, in quanto nulla, non applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga, qualificando, in buona sostanza, in termini di dovere l'accertamento officioso del giudice circa il carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute in siffatti contratti, sia pure con il limite, ostativo alla disapplicazione, dell'opposizione del consumatore). e proprio in conseguenza degli interventi della Corte di giustizia sembra destinata a restare definitivamente sullo sfondo, senza assumere il rilievo che parte della dot CoNTeNzIoSo NAzIoNALe trina ha cercato di attribuirvi, la nozione di nullità relativa intesa come realizzazione di una forma di annullabilità rafforzata (di cui è traccia nel non condivisibile decisum di questa Corte, nella sentenza 9263/2011) anzichè come species del più ampio genus rappresentato dalla nullità negoziale. Nullità che non a torto è stata definita, all'esito del sopravvento del diritto europeo, ad assetto variabile, e di tipo funzionale, in quanto calibrata sull'assetto di interessi concreto, con finalità essenzialmente conformativa del regolamento contrattuale, ma non per questo meno tesa alla tutela di interessi e di valori fondamentali, che trascendono quelli del singolo. Si è così osservato che, se le nullità di protezione si caratterizzano per una precipua natura ancipite, siccome funzionali nel contempo alla tutela di un interesse tanto generale (l'integrità e l'efficienza del mercato, secondo l'insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/ seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti), la omessa rilevazione officiosa della nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole. 3.13.3. La rilevabilità officiosa, pertanto, sembra costituire il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate "di protezione virtuale". Il potere del giudice di rilevarle tout court appare essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti -quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost., e l'uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -, con l'unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l'azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall'orbita della tutela. 3.13.4. Senza dire, poi, come le nuove species di nullità esemplifichino casi totalmente ignoti al legislatore del 1942, onde l'interrogativo sul quanto sia (poco) razionale invocare la nominatività dell'incipit dell'art. 1421 al fine di escludere un non certo irragionevole ricorso al procedimento di integrazione analogica. La riconduzione ad unità funzionale delle diverse fattispecie di nullità -lungi dal risultare uno sterile esercizio teorico -consente di riaffermare a più forte ragione l'esigenza di conferire al rilievo d'ufficio obbligatorio il carattere della irrinunciabile garanzia della effettività della tutela di valori fondamentali dell'organizzazione sociale. La soluzione della rilevabilità officiosa tout court apparirà ulteriormente confermata dalle considerazioni che si andranno di qui a poco a svolgere, alle quali va sin d'ora premesso che il mantenimento dell'unità funzionale della categoria e la conferma della sua ratio super-individuale determinano ricadute non marginali sulle successive scelte dell'interprete quanto agli effetti della rilevazione ex officio iudicis. 3.15. Le questioni di diritto poste in concreto dal tema dei rapporti tra nullità e azioni di impugnativa negoziale che impegnano oggi il collegio sono le seguenti: -LA PRIMA QUeSTIoNe è rappresentata dai rapporti diacronici, anzitutto sotto il profilo logico, tra rilevazione - dichiarazione - effetto di giudicato della nullità negoziale. Tali rapporti appaiono così strutturati: a) La rilevazione (necessariamente obbligatoria) della nullità ex art. 1421 deve più propriamente intendersi come limitata all'attività di rilevazione/indicazione alle parti, ad opera del giudice. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 Si è opportunamente osservato come tutto ciò che in base alla legge può dirsi è che la nullità deve essere rilevata d'ufficio tutte le volte che la parte vuole utilizzare nel processo come valido il contratto nullo. Non v'è dubbio, infatti, che la patte che chieda l'annullamento, la risoluzione o la rescissione di un contratto intenda utilizzare come valido e/o come efficace quel contratto. Tale rilevazione potrà, peraltro, non trasformarsi necessariamente in una dichiarazione di nullità. Costituiscono dimostrazione di tale assunto proprio le fattispecie delle nullità di protezione: se il giudice rileva la nullità di una singola clausola (si pensi a una illegittima deroga al principio del foro del consumatore), e la indica come possibile fonte di nullità alla parte interessata, quest'ultima conserva pur sempre la facoltà di non avvalersene, chiedendo che la causa sia decisa nel merito (perchè, ad esempio, ha valutato la clausola stessa in termini di maggior convenienza, nonostante la sua invalidità). In questo caso il giudice, dopo averla (obbligatoriamente) rilevata, non potrà dichiarare in sentenza, nemmeno in via incidentale, la relativa nullità. b) La dichiarazione della nullità va conseguentemente intesa come pronuncia (previo accertamento) del rilevato vizio di invalidità, accertamento contenuto nella motivazione e/o nel dispositivo della sentenza (amplius, infra sub 5). Tale pronuncia non risulterà sempre obbligatoria, a differenza della già compiuta rilevazione, vero quanto detto poc'anzi in tema di nullità speciali, nonchè, come meglio si specificherà in seguito, in materia di decisioni fondate sulla cd. ragione più liquida (non potendo, in proposito, convenirsi tout court con quella pur autorevole dottrina che costruisce la rilevazione come "sempre e comunque funzionale allo svolgimento di un'attività indirizzata ad una conseguente pronuncia"); c) L'idoneità all'effetto di giudicato Premessa la necessità che la nullità emerga ex actis, vanno in limine evidenziati gli indiscutibili inconvenienti di una nullità rilevata senza (possibili) effetti di giudicato, attesa la valutazione normativa - di tipo sostanziale - dell'estremo disvalore giuridico dell'atto nullo, ex se improduttivo di effetti al di là e a prescindere dall'intervento del giudice, che, quand'anche sollecitato, avrebbe portata soltanto ricognitivo/dichiarativa dell'inefficacia del negozio. La nullità, sul piano sostanziale, non necessita di alcuna fase attuativa per divenire effettiva, poichè la norma che la sancisce rifiuta ab origine la tutela e nega ogni possibile effetto al negozio nullo. Al fine di evidenziare i rischi connessi al mancato effetto di giudicato di una nullità dapprima rilevata e poi dichiarata dal giudice in un provvedimento, si fa, tra le tante - a tacere dell'icastico esempio della vendita dell'ippogrifo, destinata alla scure invalidante dell'intervento giudiziale indipendentemente da qualsivoglia attività delle parti, "con o senza nomina di un consulente tecnico zoologo"), l'ipotesi non del tutto teorica del venditore di un immobile che domandi la condanna dell'acquirente alla corresponsione del prezzo convenuto e veda la sua istanza rigettata perchè il giudice ha rilevato la nullità del contratto, senza peraltro conseguire un titolo restitutorio nel caso in cui l'acquirente abbia, medio tempore, alienato il bene a terzi. In tal caso, la nullità, rilevata ma non dichiarata, potrà fondare una successiva domanda ex art. 2033 c.c., senza che peraltro si formi, nell'originario giudizio, alcun titolo trascrivibile ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c. Per converso, l'incidenza del giudizio non può restare priva di conseguenze, in relazione ai principi-cardine (ivi comprese le preclusioni temporali) che ne disciplinano il fisiologico dipanarsi sino all'emanazione della decisione. Il problema sembra destinato a ricevere soluzione a seguito della disamina delle disposizioni CoNTeNzIoSo NAzIoNALe di cui all'art. 183, comma 4, art. 101, comma 2, art. 34 (ed eventualmente 153) del codice di rito, alla luce del tipo di accertamento che l'attore può invocare in seno al processo, in continenti ovvero ex intervallo. Valga per il momento osservare come la vera ratio della rilevabilità officiosa della nullità non sia quella di eliminare, sempre e comunque, il contratto nullo dalla sfera del rilevante giuridico (che, altrimenti, l'art. 1421 sarebbe stato scritto diversamente, e sarebbe stata attribuita la relativa legittimazione ad agire anche al pubblico ministero, come avviene nell'ordinamento francese ex art. 423 NCPC), ma quella di impedire che esso costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità o comunque la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici. Si intende, allora, come da un lato l'esigenza di preservare la sostanziale unitarietà della categoria della nullità negoziale si coniughi con l'obbligo di rilevazione d'ufficio sempre e comunque imposto al giudice, dall'altro come tale obbligo contemperi in modo equilibrato il duplice valore della tutela degli interessi generali sottesi alla nullità e della salvaguardia del- l'iniziativa di parte nel processo (si rammenti che un esplicito riferimento ai valori fondamentali dell'ordinamento si legge nella sentenza n. 21095 del 2004 di queste stesse sezioni unite, ove si stabilì, in tema di usi bancari e di anatocismo, che l'eventuale difesa del convenuto finalizzata a rilevare determinati profili di nullità o a non individuarne affatto non preclude il potere officioso del giudice di indagare e dichiarare, sotto qualsiasi profilo, la nullità del negozio). Ne consegue che, mentre tra rilevazione e dichiarazione di una nullità negoziale esiste un rapporto di collegamento (i.e. di inclusione), tra dichiarazione ed idoneità al giudicato appare predicabile una relazione di sostanziale identità, come meglio si avrà modo di osservare in seguito. -LA SeCoNDA QUeSTIoNe investe i rapporti tra le azioni di adempimento e di risoluzione (per le quali deve ritenersi ormai pacificamente ammessa la compatibilità con la rilevazione officiosa della nullità), e le domande di rescissione e di annullamento (in relazione alle quali la sentenza 14828/2012 si esprime invece in termini assai più problematici e perplessi, sia pur in un fugace obiter dictum). Riservando al prosieguo della trattazione il necessario approfondimento del tema, è sufficiente ora ricordare come sia stato osservato in dottrina che, nella rescissione non diversamente che nella risoluzione, se un contratto è nullo, e dunque privo ab origine di effetti, non c'è proprio niente da rescindere, poichè la rescissione non è che un altro mezzo per eliminare gli effetti che il contratto produce. -LA TeRzA QUeSTIoNe ha ad oggetto i rapporti tra una domanda di nullità proposta dalla parte e la rilevazione ex officio di una causa diversa di nullità, la cui inammissibilità (costantemente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte: ex aliis, Cass. 16621 del 2008 e 89 del 2007) si fonda, come meglio si dirà in seguito, sulla (non più condivisibile) collocazione della azione di nullità nella categoria delle domande eterodeterminate. 4. Le iMPUGnatiVe neGoziaLi e L'oGGetto DeL GiUDizio 4.1. È noto come la questione della individuazione dell'oggetto del processo sia, da sempre, tra le più dibattute nel panorama dottrinario e giurisprudenziale. Le complesse e delicate problematiche che essa pone, ben lungi dal trovare risposte certe nel diritto positivo, risultano tutte e allo stesso modo condizionate dalla necessità di operare una scelta tra valori talora contrastanti. Da un lato, il "valore" della definitiva indicazione alle parti, all'esito di un processo lungo co RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 stoso faticoso, delle condotte da tenere in futuro in ordine al rapporto sostanziale che le vincola. Dall'altro, la libertà di instaurare una lite su di un solo segmento di una più articolata situazione sostanziale, delimitato dal singolo titolo costitutivo addotto dall'istante come causa petendi. La scelta, in definitiva, tra Recht e Rechtsfrage. Tra diritto (sostanziale) e domanda (giudiziale) di diritto. esula dai compiti di questa Corte la ricerca di risposte definitive da offrire a tale delicatissima questione, poichè il perimetro dell'indagine ad essa riservata è quello delle azioni di impugnativa negoziale. e tuttavia la risposta al quesito, lungi dal costituire vieto esercizio di retorica, appare decisiva per la scelta della soluzione da adottare sul tema dei rapporti tra nullità negoziale ed azioni di impugnativa contrattuale. 4.2. È necessario muovere dall'analisi del rapporto tra il processo e il diritto potestativo cd. sostanziale - qualificato da autorevole dottrina come vero e proprio diritto soggettivo -, che di ogni processo di impugnativa negoziale costituirebbe il vero oggetto, in guisa di diritto fatto valere in giudizio (artt. 81 e 99 c.p.c., artt. 2907 e 2697 c.c. e art. 24 Cost.), in luogo delle situazioni soggettive sostanziali (pretesa, facoltà, obbligo, soggezione) generate dall'atto negoziale (fatto storico/fattispecie programmatica) e dal rapporto intersoggettivo da esso scaturente. Con la rilevante conseguenza di escludere dall'oggetto del processo, e quindi del giudicato qualsiasi accertamento definitivo in ordine alla situazioni soggettive sostanziali che connotano il contenuto del rapporto obbligatorio. Nell'ambito della tutela costitutiva - non rileva in questa sede stabilirne i pur discussi confini -invocata con le azioni di impugnativa negoziale, il processo di cognizione (rectius, l'accertamento che ne scaturisce) diverrebbe così elemento della fattispecie sostanziale cui il legislatore ricollega la produzione di effetti giuridici. 4.2.1. Appare decisiva l'obiezione di chi ha sostenuto che ricondurre l'oggetto del processo alla fattispecie del diritto potestativo (sostanziale tout court, ovvero "a necessario esercizio giudiziale") risulta viziata da un eccesso di concettualismo, destinato, anzichè aiutare a spiegare la realtà, i.e. a identificare quale sia il bene della vita oggetto della disputa tra le parti, ad offuscarla inutilmente, volta che il diritto potestativo civilistico inteso quale autonoma situazione soggettiva potrebbe al più costituire oggetto del processo prima del suo esercizio, e mai dopo: una volta esercitato, in via giudiziale o stragiudiziale, il diritto potestativo è destinato a estinguersi per consumazione, mentre, a seguito del suo esercizio, la contesa delle parti nel processo non è più sull'esistenza o meno del diritto potestativo, bensì sull'esistenza o meno dei fatti modificativi-impeditivi-estintivi ai quali l'esercizio di quel diritto ha preteso di dare rilevanza, ossìa le situazioni soggettive sostanziali. Mutando la visione prospettica, dunque, l'oggetto del processo andrebbe così a identificarsi con la situazione soggettiva sostanziale e con il suo effetto giuridico, mai con fatti o con norme. Peraltro, se il diritto potestativo sostanziale riveste la sola funzione di attribuire, tramite il suo esercizio, rilevanza ai fatti modificatrici-impeditivi-estintivi, esso si pone inevitabilmente al medesimo livello dei fatti e delle norme, in guisa di coelemento di una più complessa fattispecie, in funzione di "interruttore" destinato ad attivare un più vasto "circuito" ad esso preesistente, in conseguenza di una vera e propria "crisi di cooperazione" che ha diviso le parti sul piano del diritto sostanziale, in una (eccezionale) dimensione patologica del libero potere di autodeterminazione che costituisce l'essenza e il fondamento dell'autonomia privata. 4.3. L'indagine volta alla corretta individuazione dell'oggetto del processo, da condursi se CoNTeNzIoSo NAzIoNALe condo i consueti canoni ermeneutici di analisi delle fattispecie giuridiche nel loro duplice aspetto struttura/funzione, postula, in questa sede, la necessità di una Inversion-Methode, che muova dall'analisi (prioritaria) dei valori funzionali del processo. Tali valori possono, hic et nunc, essere individuati: -Nel principio di corrispettività sostanziale, da preservare tout court come valore che lo strumento processuale non può cancellare, incrinare, disarticolare o deformare, ma soltanto rispecchiare e attuare, attesane la sua dimensione essenzialmente strumentale, come espressamente evidenziato (sia pure con riferimento ai rapporti tra gli artt. 2909 e 2932 c.c. e art. 282 c.p.c.) da queste stesse sezioni unite con la sentenza n. 4059 del 2010: si pensi al caso del locatore che agisca per il pagamento del canone, del giudice che rilevi la nullità della locazione, del conduttore che (intenzionato a restare nell'immobile in assenza momentanea di alternative abitative) si limiti provare documentalmente l'avvenuto adempimento, così che il giudicante debba limitarsi a rigettare la domanda dichiarando la nullità del contratto soltanto nella motivazione del provvedimento decisorio. Sarebbe arduo sostenere che sulla quaestio nullitatis possa nuovamente instaurarsi un successivo giudizio, tanto da parte del locatore quanto del conduttore, salvo implicitamente avallare un evidente abuso dello strumento del processo; -Nel principio di stabilità delle decisioni giudiziarie (predicato con dovizia di argomenti, di recente, ancora da queste sezioni unite con la sentenza n. 15295 del 2014 in tema di ultrattività del mandato al difensore), volta che, come si è efficacemente osservato, il potere di azione riconosciuto ai privati non può (più) essere quello di attivare un meccanismo potenzialmente destinato a ripercorrere all'infinito le medesime tappe con provvedimenti che si consente al giudice di revocare o modificare motu proprio o su istanza di parte, bensì quello di pretendere una risposta per quanto possibile definitiva alla domanda di giustizia; -Nel principio di armonizzazione delle decisioni, così da evitare la scomposizione della unità della situazione sostanziale in una indefinita molteplicità rappresentata da tante "minime unità decisorie"; -Nel principio di concentrazione delle decisioni, ad onta di poco meditati interventi legislativi (si consideri, in materia locatizia, la nullità della clausola di determinazione dell'importo del canone per contrasto con norma imperativa che ne prevede la sostituzione ipso iure - nullità che, a norma di legge, non potrebbe essere opposta in via di eccezione per impedire l'accoglimento della domanda fondata sull'inadempimento dell'obbligo di pagamento del canone derivante dalla clausola stessa, prima che sia stato accertato in autonomo giudizio il contenuto dell'obbligo derivante dalla clausola legale deputata a sostituire quella affetta da nullità); -Nel principio di effettività della tutela, ostacolo insuperabile - come di recente affermato da questa Corte con la sentenza n. 21255 del 2013 - per ogni interpretazione di tipo formalistico e inutilmente defatigante rispetto ai tempi della decisione della causa; -Nel principio di giustizia delle decisioni, espressione assai meno declamatoria oggi che in passato, alla luce dell'art. 111 Cost. e art. 6 CeDU. Di tale giustizia decisionale è traccia sensibile la decisione resa da queste sezioni unite con la sentenza n. 18128 del 2005, in tema di rilevo officioso della eccessiva onerosità della clausola penale; -Nel principio di economia (extra)processuale, declinazione del giusto processo inteso (anche) come esigenza di evitare la eventualità di moltiplicazione seriale dei processi e di offrire alle parti una soluzione "complessiva" già entro il primo, sovente assai lungo procedimento; -Nel principio del rispetto della non illimitata risorsa-giustizia: sarebbe un fuor d'opera riproporre le consuete, innumerevoli esemplificazioni delle conseguenze, talvolta paradossali, RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 riconducibili al mancato riconoscimento di un possibile effetto di giudicato all'accertamento giudiziale della nullità negoziale, pur nei limiti imposti dalle norme processuali, sia pure prendendo le distanze da una incondizionata adesione alla teoria dell'effetto espansivo pressochè illimitato dell'accertamento contenuto nella sentenza. e proprio il principio della limitatezza della risorsa giustizia è stato in più occasioni evocato, sia pure indirettamente, da questa Corte regolatrice, come nel caso della ritenuta infrazionabilità del credito in sede giudiziale (Cass. ss.uu. n. 23726 del 2007 in materia di decreto ingiuntivo; Cass. n. 28286 del 2011, in tema di frazionamento della domanda risarcitoria, davanti al giudice di pace e al tribunale, del danno alla persona e alle cose derivante da un unico sinistro stradale); -Nel principio di lealtà e probità processuale, valore cui andrebbe costantemente improntata la condotta delle parti nel processo; -Nel principio di uguaglianza formale tra le parti, rendendo così deducibile tout court anche per l'attore ciò che è sempre opponibile dal convenuto. 4.4. Si esaurisce così l'indagine sull'aspetto funzionale della questione. 4.4.1. Poste tali premesse, appare inevitabile l'opzione strutturale verso una decisione tendenzialmente volta al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio. Una decisione tendenzialmente caratterizzata da stabilità, certezza, affidabilità temporale, coniugate con valori di sistema della celerità e giustizia. Un sistema che eviti di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all'infinito. 4.5. Anteposta la disamina funzionale all'indagine strutturale sull'oggetto del processo, si è già osservato come quest'ultima sia stata fonte, da sempre, di contrapposte interpretazioni, tutte dotate di indiscusso spessore teorico - e tutte egualmente sostenibili, ispirate da opposte visioni che investono la funzione stessa della giurisdizione. Viceversa, non appare di conforto il dato normativo, anzitutto perchè l'art. 2909 c.c. non chiarisce quale sia l'oggetto dell'accertamento giudiziale e l'art. 34 c.p.c. non specifica la nozione di "questione pregiudiziale". Non è certo questa la sede per rievocare il defatigante dibattito sviluppatosi sul tema della pregiudizialità logica (e sulla sua presunta fuoriuscita dal campo di applicazione dell'art. 34), della pregiudizialità tecnica e del punto pregiudiziale. e ancora, gli artt. 12 e 13 c.p.c. appaiono dettati con riferimento a problematiche endo-processuali sicuramente eterogenee rispetta al tema in questione. Si contendono il campo, alla ricerca dell'individuazione dell'oggetto del processo, due contrastanti orientamenti. 4.6. Una prima ricostruzione accentua il profilo privatistico, pur nella consapevolezza delle distonie cui essa conduce in punto di economia del processo e di contraddittorietà delle decisioni. Si evidenzia, in particolare, come niente impedisca all'esperienza processuale di avere proprie e peculiari esigenze, che implicano il superamento di una visione sostanzialistica pura dei fenomeni giuridici, viziata da un semplicismo non dinamico, volta che la domanda opererebbe un'astrazione dal rapporto, deducendo in giudizio una situazione elementare e così determinando essa stessa i limiti della controversia. Il singolo diritto "dispotico" sulla cosa venduta, il prezzo, la consegna. Non il rapporto giuridico nella sua integrità. Un diverso indirizzo valorizza le esigenze pubblicistiche che si vogliono pur sempre sottese alla tutela dei diritti dei privati. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe Si esclude che il processo possa scindere, motu proprio, il rapporto fondamentale (e fondamentalmente unitario) che lega le parti, frammentandolo in segmenti autonomi, così che il pericolo di soluzioni disomogenee e non coordinate andrebbe scongiurato attraverso un meccanismo di armonizzazione tra giudicati, frutto dell'estensione dell'efficacia della sentenza all'accertamento del rapporto sostanziale (in seno alle stesse teorie sostanzialiste, è stato, peraltro, di recente operato un opportuno distinguo tra sentenze di accoglimento della domanda di impugnativa negoziale e sentenze di rigetto, su cui si tornerà funditus nel prosieguo della motivazione). 4.7. Ritiene il collegio che anche sul piano strutturale l'adesione a una delle teorie dell'oggetto del processo sia destinata ad essere inevitabilmente condizionata dalla sua speculare analisi funzionale. 4.7.1. Si rende così necessario dare ingresso a una più ampia visione che tenga nella dovuta considerazione gli inconvenienti della frammentazione di una originaria (ed unitaria) sorgente di rapporti sostanziali in tanti separati rivoli processuali, e delle conseguenze dell'accertamento soltanto incidentale di una più complessa dinamica negoziale, pur non negandosi - come di qui a breve si vedrà - quelli derivanti dell'indiscriminato e incondizionato ampliamento della domanda originaria (si ricorderà come in uno dei tanti progetti di riforma del processo civile si ebbe opportunamente a proporre una radicale riscrittura dell'art. 34 nel senso che "in ipotesi di rapporti complessi, qualora sia fatto valere in giudizio uno dei diritti principali derivanti dal rapporto stesso, l'autorità della cosa giudicata si estende al rapporto fondamentale", con chiaro riferimento al concetto della regiudicata sostanziale ed alla teorica della pregiudizialità soltanto logico-giuridica). 4.7.2. Visione volta ad un approdo che finisce per attrarre nella propria orbita, rendendola oggetto tendenzialmente necessario di inevitabile scrutinio, la situazione di diritto soggettivo fatta valere dall'attore e valutata nella sua interezza, e cioè in relazione alla sua totale ed effettiva consistenza sostanziale. Che all'attore non sia consentito fruire del principio dispositivo in modo tale da ritagliare a proprio piacimento l'oggetto della lite, scomponendo una situazione soggettiva unitaria in una pluralità di sub-oggetti processualmente autonomi è eventualità ormai radicalmente esclusa, come già ricordato, dalla stessa, recente giurisprudenza di questa Corte. 4.8. Nelle azioni di impugnativa negoziale l'oggetto del giudizio è dunque costituito dal negozio, nella sua duplice accezione di fatto storico e di fattispecie programmatica, e (con esso) dal rapporto giuridico sostanziale che ne scaturisce. 4.8.1. Da tale realtà sostanziale il giudizio non potrà prescindere, in funzione quanto meno tendenziale di un definitivo accertamento dell'idoneità della convenzione contrattuale a produrre tanto l'effetto negoziale suo proprio quanto i suoi effetti finali. Questa soluzione è stata criticamente e suggestivamente definita come "un vero e proprio chiasmo", poichè, si sostiene che, in tal modo, il giudicato, rifuggendo il discorso processuale, verrebbe a generarsi nel (e dal) silenzio. La soluzione, di converso, nei termini e con i temperamenti che di qui a breve si individueranno, appare rispettosa proprio delle esigenze funzionali dianzi descritte. 4.8.2. Il riferimento alla struttura negoziale originaria (negozio/fatto storico) non meno che alla fattispecie programmatica in essa contenuta è conseguenza del potere di indagine del giudice su qualsivoglia ragione, tanto morfologica quanto funzionale, di nullità contrattuale: così, il difetto di forma atterrà alla valutazione del negozio/fatto storico, mentre l'impossibilità del- l'oggetto sarà predicabile a seguito dell'individuazione del momento programmatico della RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 convenzione negoziale, che dell'oggetto contiene soltanto la rappresentazione ideale come tale neutra rispetto alla categoria dell'invalidità, mentre la sua impossibilità/illiceità sarà riferibile soltanto alla res nella sua dimensione materiale, quale oggetto reale del programma negoziale. Il riferimento al rapporto negoziale è poi naturale conseguenza del tipo di azione esperita dall'attore: nelle domande di risoluzione e di adempimento, oggetto di contesa è la distonia funzionale del sinallagma, onde la necessità di valutare insieme la dimensione statica (negozio) e dinamica (rapporto) della fattispecie, mentre le domande di annullamento e di rescissione postulano un giudizio sul binomio invalidità/efficacia temporanea dell'atto che, come in seguito si vedrà, non può a sua volta prescindere dalla preliminare indagine del giudice sulla eventuale nullità/inefficacia originaria dell'atto stesso. 4.8.3. La necessità del riferimento al rapporto scaturente dal negozio, oltre che a quest'ultimo, emerge da vicende processuali in cui il delicatissimo compito cui è chiamato il giudice in materia di impugnative negoziali è rappresentato proprio dalla capacità di valutazione unitaria di entrambe le fattispecie. emblematica è una vicenda sottoposta all'esame della Corte di appello di Cagliari (sentenza n. 179 del 1991), che si trovò di fronte ad un singolare caso di domande incrociate di risoluzione contrattuale e di esatto adempimento in relazione ad un contratto il cui contenuto negoziale era affetto da nullità per ritenuta indeterminabilità dell'immobile alienato e del relativo prezzo. Le parti non solo non avevano posto alcuna questione circa l'individuazione dell'oggetto della compravendita e del suo corrispettivo, essendosi limitate a chiedere, l'attore, la risoluzione del contratto per essere stato estromesso dall'appartamento acquistato, la convenuta alienante, in via riconvenzionale, l'eliminazione dei difetti dell'opera (insufficienza statica di una scala e di un balcone) che, insieme con una somma di denaro non precisata, costituiva il corrispettivo della vendita. esaminando la sola scheda negoziale, il giudice pronunciò la nullità dell'alienazione per indeterminabilità dell'oggetto e del prezzo, non avendo tenuto in considerazione il rapporto dipanatosi tra le parti, come rappresentato negli atti processuali. Una corretta trasposizione in sede processuale della teoria della cd. Geschaefstgrundlage (e cioè della "comune base negoziale", anche implicita, che consentì la nascita e al contempo decretò i limiti della teoria negoziale della presupposizione) consente, in definitiva, di affermare che, anche in sede processuale, una comune Grundlage, anche implicita, del processo e del provvedimento di merito che lo definisce consente la prioritaria disamina, da parte del giudice, dei vizi negoziali che decretino la eventuale nullità della convenzione. 4.9. Non può pertanto condividersi, oggi, la tesi che individua l'oggetto del processo in una Rechtsfrage, il cui oggetto è rappresentato dal diritto potestativo fondato sul singolo motivo (di annullamento, rescissione, risoluzione, nullità) dedotto in giudizio. 4.9.1. essa appare, difatti, in contrasto con gli stessi valori predicati da questa Corte con la più volte ricordata sentenza di cui a Cass. 23726/2007, che calò definitivamente la scure del- l'inammissibilità sulla domanda frazionata di un credito anche non risarcitorio dell'attore, derivante da un unico rapporto obbligatorio. Valori a suo tempo individuati nelle regole oggettive di correttezza e buona fede, nei doveri di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. , nel canone del giusto processo di cui al novellato art. 111 Cost. Anche il diritto potestativo (all'annullamento, alla rescissione, alla risoluzione del contratto) postula come oggetto necessario l'esistenza (degli effetti) dell'atto (il che, come si dirà, non CoNTeNzIoSo NAzIoNALe consente di ritenere ammissibile la coesistenza della nullità e dell'annullabilità rispetto a una medesima fattispecie). e ciò è a dirsi tanto se di diritto potestativo si discorra nella sua forma sostanziale quanto se con riferimento a quella del suo necessario esercizio giudiziale: la ricostruzione della tutela costitutiva nella ristretta dimensione del diritto alla modificazione giuridica, ipotizzata come situazione soggettiva rivolta verso lo Stato-giudice, piuttosto che nei confronti della controparte, è destinata a infrangersi sulla più ampia linea di orizzonte rappresentata dalla necessità che il giudice dichiari, in sede tutela costitutiva e non solo, e in modo vincolante per il futuro, il modo d'essere (o di non essere) del rapporto sostanziale che, con la sentenza, andrà a costituirsi, modificarsi, estinguersi. 4.10. Non si intende in tal guisa pervenire a un incondizionato accoglimento del principio del giudicato implicito sul dedotto e deducibile, sempre e comunque predicabile, quoad effecta, in relazione a qualsiasi vicenda di impugnativa negoziale. Il correttivo fondamentale di tale opzione ermeneutica è difatti rappresentato, tra l'altro (e non solo), dal dovere del giudice di rilevare una causa di nullità negoziale, e di indicarla alle parti, lungo tutto il corso del processo, fino alla sua conclusione, attivando tale speculare potere rispetto a quello delle stesse parti di decidere della sorte del rapporto fondamentale, con scelte che non risulteranno prive di conseguenze processuali per quei soggetti del processo colpevolmente inerti, o callidamente silenti. 5. i LiMiti oGGettiVi DeL GiUDiCato - L’oRDine LoGiCo DeLLe QUestioni 5.1. La questione dell'oggetto del processo è strettamente connessa a quella dell'oggetto del giudicato e dei suoi limiti. È espressa la segnalazione in tal senso contenuta in una delle due ordinanze di rimessione, che chiede al collegio di pronunciarsi in ordine alla individuazione delle condizioni per la formazione e l'estensione dell'efficacia del cd. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto. 5.2. Il tema dell'oggetto del giudicato si estende, come noto, a quello del giudicato implicito, i cui problematici confini non possono essere analiticamente esaminati in questa sede. 5.2.1. Per quanto qui di rilievo, va osservato come, al di là delle varie posizioni assunte dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza di questa Corte, il nostro ordinamento positivo non riconosca cittadinanza all'idea di un giudicato implicito che postuli il rigoroso e ineludibile rispetto dell'ordine logico-giuridico delle questioni. 5.2.2. L'ordinanza interlocutoria n. 16630/2013 ritiene, difatti, di non prestare piena adesione al principio di diritto affermato nella sentenza n. 14828 del 4 settembre 2012, ove, per un verso, si sostiene che, poichè la risoluzione contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di merito investito della domanda di risoluzione del contratto ha il potere-dovere di rilevare, previa instaurazione del contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso; e, per altro verso, si opina che il medesimo giudice di merito possa accertare la nullità incidenter tantum senza effetto di giudicato, a meno che non sia stata proposta la relativa domanda, pervenendo, tuttavia, alla conclusione che il giudicato implicito sulla validità del contratto si forma tutte le volte in cui la causa relativa alla risoluzione sia stata decisa nel merito. È quanto risulterebbe verificabile anche nell'ipotesi, oggetto della presente controversia, di rigetto della domanda per effetto della "ragione più liquida", ovvero in conseguenza dell' RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 esame esclusivo di una questione assorbente, idonea, di per sè sola, a sorreggere la decisione e tale da non richiedere alcuna valutazione sulle questioni concernenti l'esistenza e la validità del contratto. L'ordinanza interlocutoria sollecita invece una ulteriore e più attenta riflessione sul problema se sia o meno possibile rimettere in discussione la validità di un contratto dopo che, in una precedente causa promossa per ottenerne la sua risoluzione (ma analogo quesito è da porsi per le ipotesi di annullamento e di rescissione), il giudice si sia comunque pronunciato nel merito, in assenza di qualsivoglia indagine su un'eventuale invalidità del contratto stesso, senza che la relativa sentenza sia successivamente impugnata. 5.2.3. Si ritiene di generale applicazione il principio secondo il quale l'autorità del giudicato, tendente a impedire un bis in idem e un eventuale contrasto di pronunce, copre il dedotto e il deducibile, vale a dire non solo le ragioni giuridiche dedotte in quel giudizio, ma anche tutte le altre, proponibili in via di azione o di eccezione, le quali, benchè non dedotte specificamente, si caratterizzano per la loro inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente fatte valere. Questo principio di creazione giurisprudenziale rispetta in modo rigoroso l'ordine logico-giuridico delle questioni, portandolo alle sue conseguenze estreme. esso poggia sul seguente argomento logico: se il giudice si è pronunciato su di un determinato punto, ha evidentemente risolto in senso non ostativo tutti quelli il cui esame doveva ritenersi preliminare a quello esplicitamente deciso. 5.2.4. La dottrina offre del fenomeno una lettura parzialmente diversa. Quanto alle questioni pregiudiziali di merito, si osserva da più parti che esse sono coperte dal giudicato solo se, per legge o per volontà delle parti, il giudice vi abbia esteso la sua diretta cognizione: diversamente, si tratterebbe di valutazioni rilevanti incidenter tantum. Secondo altra impostazione, sarebbe sempre e comunque coperta dal giudicato la cd. "pregiudizialità logica" (distinta da quella cd. "tecnica"), che comprende tutte le questioni le cui soluzioni non coerenti con la decisione sul merito ne avrebbero impedito la pronuncia. Altri, infine, sulla premessa che proprio il rilievo della piena autosufficienza del giudicato esplicito renderebbe inutile la stessa nozione di giudicato implicito, ha messo in discussione la stessa configurabilità di pronunce implicite. In tal senso si è sostenuto che la decisione del giudice "è quella che è, e non quella che sarebbe dovuta essere: se il giudice, dovendo pronunciarsi su un certo requisito, non lo fa, dire che sul punto egli ha emesso una decisione implicita, rappresenta, con ogni evidenza, nient'altro che una finzione; in realtà, l'unica cosa che può correttamente affermarsi è che egli non ha deciso affatto". L'argomento logico per il quale se il giudice si è pronunciato su un determinato punto ha evidentemente risolto in senso non ostativo tutti quelli il cui esame doveva ritenersi preliminare a quello esplicitamente deciso, pur apparendo persuasivo, va opportunamente temperato. Non sempre il rispetto dell'ordine logico nella trattazione delle questioni esprime una scelta di efficienza e di coerenza processuale: l'efficienza, la stabilità e la definitiva strutturazione di una decisione dipende invece dal tipo di controversia e dal tipo di decisione che il giudice intende adottare, e costituisce un valore pregnante, ma non assoluto, delle decisioni stesse. 5.2.5. Non bisogna, pertanto, sovrapporre la successione cronologica delle attività di cognizione del giudice con il quadro logico della decisione complessivamente adottata in esito ad esse, all'interno delle quali si collocano i passaggi che portano alla decisione finale. L'ordinedi trattazione delle questioni va infatti distinto dall'ordinedi decisione delle stesse. Il principio trova conferma nel diritto positivo: sia l'art. 276 c.p.c., comma 2, sia l'art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2 - del quale le modifiche originariamente apportate dal D.L. n. 69 CoNTeNzIoSo NAzIoNALe del 2009, art. 79 sono state poi soppresse in sede di conversione -disciplinano rispettivamente l'attività del collegio e la struttura della motivazione del provvedimento decisorio finale, a conferma della correlazione tra ordine delle questioni e struttura della decisione. Più in generale, anche a voler prescindere dal dato normativo, non sembra discutibile che il nostro ordinamento processuale contempli un modello di trattazione unitaria, in cui esame sul rito e trattazione del merito si svolgono all'interno dell'unico processo. Una indicazione in tal senso si ricava dall'art. 187 c.p.c., comma 2, che consente la rimessione in decisione della causa in presenza di una questione preliminare di merito: nè risulta che, a tal fine, il giudice debba avere previamente accertato l'esistenza dei requisiti processuali. Le questioni preliminari di merito si modulano, invece, assai diversamente dalle pregiudiziali di rito, sempre avuto riguardo al tema dell'ordine logico-giuridico delle questioni, nel senso che non sempre soggiacciono a una rigorosa sequenza logica di trattazione e decisione. L'ordine col quale il giudice ritiene di esaminare e decidere ciascuna di esse in rapporto al medesimo petitum (inteso come bene della vita) deve essere stabilito caso per caso, alla ricerca di un equilibrio tra la discrezionalità di scegliere le questioni da trattare anche in ragione della necessità o meno di istruttoria (e quindi in funzione del principio di economia processuale che sostiene il cd. canone della ragione più liquida) e il principio dispositivo che permea di sè il processo civile. Pertanto, il giudice deve rigettare sic et simpliciter la domanda se la ragione che fonda la decisione non esige alcuna attività istruttoria. 5.3. Alla luce di tali considerazioni, la questione dei limiti oggettivi del giudicato va affrontata escludendo in limine la bontà della tesi, pur suggestiva, che individua nel collegamento dell'art. 1421 con l'art. 2907 c.c. la chiave interpretativa dei rapporti tra nullità e azioni di impugnativa negoziale. Si è sostenuto, con argomentazioni assai persuasive, che proprio la norma di cui all'art. 2907 c.c., comma 1, nel prevedere una deroga al principio della domanda e nell'imporre al giudice l'obbligo di pronunziare (nei casi tassativamente previsti dalla legge) senza impulso di parte, e al di là dei limiti della domanda stessa, consentirebbe, in considerazione degli interessi su- perindividuali protetti dalla nullità, una pronuncia ex officio di quel vizio genetico, pur in assenza di espressa domanda. Si eviterebbe così la dissonanza logica e cronologica tra rilevazione, dichiarazione della nullità ed effetto di giudicato della relativa pronuncia. 5.3.1. Ma si è altrettanto efficacemente replicato in proposito che la statuizione dell'art. 2907 c.c. riconduce la rilevazione officiosa ai casi in cui il giudice può prendere l'iniziativa per una pronuncia estranea al processo in corso (com'era previsto per l' art. 8 l. fall., ante riforma del 2006), quando, cioè, l'impulso d'ufficio non è richiesto per risolvere il merito di quella stessa controversia. essa non è dunque riferibile al distinto problema dei poteri del giudice relativi alla controversia promossa dalla parte. Inoltre, sul piano degli strumenti processuali, altro è rilevare la nullità, altro è dichiararla con effetto di giudicato. 5.3.2. Il legislatore, configurando la nullità come oggetto di un'eccezione in senso lato ("il giudice può rilevare d'ufficio"), non l'ha ritenuta meritevole di un'autonoma iniziativa officiosa volta ad un suo pieno accertamento sempre e comunque con effetto di giudicato, pur nel silenzio delle parti, anche se ha nel contempo escluso ogni diretta e immediata correlazione tra l'art. 1421 c.c. e gli artt. 99 e 112 c.p.c. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 5.4. oggetto del processo, oggetto della domanda giudiziale e oggetto del giudicato risultano allora cerchi sicuramente concentrici, ma le cui aree non appaiono sempre perfettamente sovrapponibili. Gli stessi autori che ne propugnano l'assoluta identità convengono poi con l'affermazione secondo cui la reale portata del giudicato, soprattutto in caso di pronuncia di rigetto, è determinata dai motivi della decisione, ove la controversia abbia riguardato esclusivamente un segmento del più ampio rapporto sostanziale (l'esemplificazione più significativa è quella della domanda di condanna al pagamento di una singola rata, pur oggetto di un più ampio rapporto contrattuale). La pronuncia di rigetto fondata esclusivamente su motivi attinenti a tale limitata frazione del rapporto (rata non scaduta ovvero non dovuta o prescritta) induce anche i fautori dell'assoluta corrispondenza tra oggetto della domanda, oggetto del processo ed oggetto del giudicato a ritenere che non si sia in presenza di alcuna statuizione vincolante sulla esistenza/inesistenza del rapporto sostanziale, restando tale più vasta questione "assorbita" nel limitato decisum del caso di specie. 5.4.1 L'affermazione va condivisa, con la conseguenza che la perfetta corrispondenza, sempre e comunque, tra gli oggetti, rispettivamente, della domanda, del processo e del giudicato, non appare, ancor oggi, predicabile tout court in assenza di una esplicita previsione legislativa in tal senso. Se oggetto della domanda (e del processo) sarà sempre il petitum sostanziale e processuale dedotto dall'attore (il pagamento della singola rata dell'obbligazione), anche se ab initio riferito, ipso facto, alla sua causa petendi (il negozio sottostante) - il che obbliga il giudice, pur in assenza di eccezione di parte, a rilevare ex officio eventuali profili di nullità della situazione giuridica sostanziale sottesa alla domanda stessa, valutata nella sua interezza (e cioè del ne- gozio/rapporto sottostante) - non può escludersi che, proprio in forza dei ricordati principi di speditezza, economia e celerità delle decisioni, quel processo abbia termine, senza che la nullità sia dichiarata nel provvedimento decisorio finale, con una pronuncia fondata sulla ragione più liquida di rigetto della domanda (prescrizione, adempimento, mancata scadenza dell'obbligazione), nella consapevolezza di non dovere affrontare, nell'esplicitare le ragioni della decisione, il più vasto tema della validità del negozio, che avrebbe eventualmente imposto una troppo lunga e incerta attività istruttoria. Proprio la facoltà del giudicante di definire il processo celermente, sulla base della ragione più liquida (criterio di cui meglio si dirà in prosieguo) impedisce di affermare la perfetta sovrapponibilità dell'oggetto del processo all'oggetto del giudicato. 5.5. Su tali premesse riposa la risposta alla questione del giudicato implicito sulla "non nullità" negoziale, di cui si rintraccia un sintetico riferimento nella sentenza 14828/2012. Si è rilevato nell'ordinanza di remissione come non appaia del tutto coerente ritenere nel contempo che, in caso di rilevazione e trattazione della questione pregiudiziale sulla nullità del contratto, su di essa non si possa formare il giudicato "a tutti gli effetti", se non quando sia stata all'uopo proposta espressa domanda di accertamento incidentale ex art. 34, ma che, in caso di rigetto della domanda di risoluzione riconducibile all'accertamento in ordine alla insussistenza dell'inadempimento (o della sua gravità), ciò precluda irrimediabilmente successive azioni volte a far dichiarare la nullità di quel medesimo contratto. L'aporia potrebbe, peraltro, risultare soltanto apparente. Si legge al punto 2.4 della sentenza del 2012, che il giudicato implicito sulla validità del contratto, secondo il paradigma ormai invalso (cfr. Cass. S.U. 24883/08; 407/11; 1764/11), potrà formarsi tutte le volte in cui la causa relativa alla risoluzione sia stata decisa nel merito, con CoNTeNzIoSo NAzIoNALe esclusione delle sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della validità del contratto. 5.6. Il principio di diritto così esposto è stato interpretato da autorevole dottrina nel senso che, ove la motivazione sulla nullità, pur potendo, nessun problema si ponga e nulla dica (accogliendo o respingendo per altre ragioni la domanda proposta), ebbene allora e solo allora essa avrebbe l'attitudine a un giudicato di merito "a monte" sulla questione pregiudiziale del rapporto fondamentale, risultandone così accertata la non nullità del contratto nel suo complesso, anche in vista di ogni successiva e diversa lite e vicenda processuale. La locuzione finale che si legge al punto 2.4. della sentenza poc'anzi ricordata (forse poco esplicita, perchè permeata dell'eco della giurisprudenza formatasi sul giudicato implicito sulla giurisdizione, e dunque su di un giudicato processuale e non di merito), scomposta e semplificata, sembra invece significare che la formazione del giudicato implicito sulla validità del contratto è esclusa per quelle decisioni prive di statuizioni implicanti (e cioè dalle quali implicitamente desumere) l'affermazione della validità del contratto. Dunque, il giudicato implicito sulla non nullità andrebbe a formarsi con riferimento a quelle sole decisioni contenenti statuizioni che implichino (e dunque non affermino esplicitamente) la ritenuta validità del contratto. La mancanza di statuizioni da cui ricavare, per implicito, un riconoscimento di validità contrattuale sarebbe, pertanto, ostativa al formarsi del giudicato implicito sulla non nullità del negozio. 5.7. Il tema non si presta a soluzioni generalizzate -e men che meno semplicistiche -, ma evoca la necessità di una duplice distinzione, a seconda, cioè, del tipo di sentenza (di accoglimento o di rigetto) pronunciata, e del tipo di comportamento (mancata rilevazione, ovvero rilevazione senza dichiarazione in sentenza) tenuto dal giudice nell'estensione della motivazione. La questione andrà approfondita, ai fini che occupano il collegio, nel prosieguo della motivazione. 5.8. Così individuati i confini tra oggetto del processo e oggetto del giudicato, costituisce ulteriore e specifico tema di indagine la questione dell'idoneità della pronuncia resa in seguito ad un'azione di impugnativa negoziale a divenire cosa giudicata. La giurisprudenza di questa Corte, con due delle pronunce che, più di altre, l'hanno affrontata funditus, si è espressa in modo non del tutto consonante. 5.8.1. Si legge in Cass. n. 6170 del 2005 che, a norma dell'art. 1421 cod. civ., il giudice deve rilevare d'ufficio le nullità negoziali non solo se sia stata proposta azione di esatto adempimento, ma anche quando sia stata esperita un'azione di risoluzione o di annullamento o di rescissione del contratto, e deve procedere all'accertamento incidentale relativo a una pregiudiziale in senso logico-giuridico (concernente cioè il fatto costitutivo che si fa valere in giudizio), accertamento idoneo a divenire cosa giudicata, con efficacia pertanto non soltanto sulla pronunzia finale ma anche (e anzitutto) circa l'esistenza del rapporto giuridico sul quale la pretesa si fonda. La sentenza, dopo avere distinto tra questioni pregiudiziali in senso tecnico e questioni pregiudiziali in senso logico - definendo queste ultime come quelle relative ai fatti costitutivi del diritto che si fa valere davanti al giudice -limita l'applicazione dell'art. 34 c.p.c. alle sole questioni pregiudiziali in senso tecnico. Con riferimento ai punti pregiudiziali in senso logico, viceversa, l'efficacia del giudicato coprirebbe, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale, ma anche l'accertamento che si presenti come necessaria premessa o come presupposto lo- gico-giuridico della pronuncia medesima (il cd. giudicato implicito). La maggiore e più rilevante novità di questa pronuncia, rispetto ad altre decisioni che pure si RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 erano discostate dall'orientamento dominante sul tema della disomogeneità funzionale del- l'azione di adempimento rispetto a quelle di risoluzione rescissione ed annullamento, risiede proprio nell'affermazione dell'efficacia di giudicato dell'accertamento incidentale della nullità. A fondamento di tale conclusione, il collegio fece ricorso all'argomento cd. per inconveniens, costituito dal fatto che, a voler escludere il giudicato sull'accertamento della nullità, la parte che ha visto respingere la propria domanda di risoluzione per inadempimento a causa della nullità del contratto potrebbe essere a sua volta convenuta per l'adempimento, correndo in tal modo il rischio di una differente valutazione da parte del giudice della nuova causa, senza potere riproporre a sua volta la domanda di risoluzione. 5.8.2. In senso sostanzialmente opposto, Cass. n. 11356 del 2006 osserverà che la pronunzia di rigetto della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non più soggetta a impugnazione non costituisce giudicato implicito - con efficacia vincolante nei futuri giudizi -là dove del rapporto che ne costituisce il presupposto logico-giuridico non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice le questioni concernenti l'esistenza, la validità e la qualificazione del contratto. Con la conseguenza che la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione adottata sulla base del principio della cd. "ragione più liquida", ovvero emessa in termini meramente apodittici, senza un accertamento effettivo, specifico e concreto del rapporto da parte del giudice, al punto da risultare evidente il difetto di connessione logica tra dispositivo e motivazione, non preclude la successiva proposizione di una domanda di nullità del contratto, in quanto in tal caso si fanno valere effetti giuridici diversi e incompatibili rispetto a quelli oggetto del primo accertamento, sicchè, trattandosi di diritti eterodeterminati (per l'individuazione dei quali è necessario, cioè, fare riferimento ai fatti costitutivi della pretesa che identificano diverse causae petendi), non può ritenersi che all'intero rapporto giuridico, ivi comprese le questioni di cui il primo giudice non abbia avuto bisogno di occuparsi per pervenire alla pronunzia di rigetto, il giudicato si estenda in virtù del principio secondo cui esso copre il dedotto ed il deducibile. Nella sentenza è ben chiara la contemporanea necessità di garantire una inevitabile estensione oggettiva all'accertamento giurisdizionale e di armonizzare la pronuncia con i confini tracciati dalla domanda concretamente dedotta nel processo (armonizzazione chiovendiana, volta ad un accertamento giurisdizionale vertente sul singolo diritto fatto valere come petitum) e avverte come la radicalizzazione della questione possa condurre a conseguenze eccessive, chiarendo che, se un'estensione della portata oggettiva del giudicato trova fondamento nell'esigenza di evitare la formazione di decisioni definitive contrastanti, di pari dignità appariva l'esigenza di evitarne una dilatazione eccessiva limitando il portato del deducibile. La seconda pronuncia della Corte appare condivisibilmente rivolta alla ricerca di soluzioni non meccanicistiche, e per quanto possibile equilibrate. L'accertamento vincola in altri processi se le parti lo hanno voluto, nel rispetto del principio dispositivo, ovvero se, nel nuovo processo, si discuta di un effetto giuridico non solo dipendente, ma inscindibilmente legato per ragioni di funzionalità sostanziale con l'effetto su cui si è già deciso. Solo questi "nessi di senso giuridico inscindibile" - ad esempio, il valore biunivoco del sinallagma - esigono non tanto un accertamento incidentale ex lege, quanto piuttosto un vincolo selettivo al motivo portante della prima decisione (soluzione che riecheggia da presso la teoria zeuneriana del vincolo al motivo portante, di cui autorevole dottrina si è fatta sostenitrice in Italia). 5.9. È indiscutibile che il sintagma "limiti oggettivi del giudicato", specie se riferito a rapporti cd. complessi, evochi situazioni in cui il petitum del processo sia parte di un rapporto giuridico più ampio, e, alla luce di quanto sinora esposto, la soluzione da offrire al tema delle impu CoNTeNzIoSo NAzIoNALe gnative negoziali non può prescindere dalla necessità di evitare una disarticolazione, tramite il processo, di una realtà sostanziale irredimibilmente unitaria. È altrettanto certo che il principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato hanno a loro volta dignità di Generalklauseln nel processo civile. 5.10. La complessa questione è destinata a ricevere soddisfacente soluzione alla luce dell'(ancor più valorizzato in sede legislativa con la riforma del 2009) obbligo del giudice di provocare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d'ufficio per tutto il corso del processo (per quel che qui interessa, di primo grado). Un obbligo che trova il suo diacronico fondamento normativo nel combinato disposto delle norme di cui all'art. 183 c.p.c., comma 4, art. 101 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost. 5.10.1. L'intervento legislativo del 2009, con la nuova formulazione dell'art. 101, comma 2, non dovrebbe consentire dubbi di sorta: il giudice ha l'obbligo di rilevare la nullità negoziale non soltanto nel momento iniziale del processo, ma durante tutto il suo corso, fino al momento della precisazione delle conclusioni. e sulla rilevanza di tale obbligo, già l'art. 124 c.p.p. 1988 parve esprimere un più generale principio dell'intero universo processuale, non limitato al solo settore penale: l'obbligo pur non cogente dei magistrati di osservare le disposizioni codicistiche anche quando l'inosservanza non comportava alcuna sanzione di nullità, o altra sanzione processuale. 5.10.2. Quanto al contenuto ed alla portata precettiva dell'art. 111 della Carta fondamentale, è stato recentemente osservato da queste stesse sezioni unite (Cass. ss.uu. ord. 10531/2013) come il principio della rilevabilità d'ufficio delle eccezioni in senso lato appaia funzionale ad una concezione del processo forse troppo semplicisticamente definita come pubblicistica, ma che, ad una più attenta analisi, trae linfa applicativa proprio nel valore di giustizia della decisione (lo stesso testo dell'art. 183, nel disegno di legge originario, prevedeva la possibilità di modificare la domanda solo tenendo ferma l'allegazione dei fatti storici, ma la formula venne abbandonata proprio per la rigidità che avrebbe conferito al sistema, ostacolando ogni allegazione nuova, ancorchè volta a valorizzare risultanze acquisite agli atti). Per altro verso, l'introduzione di un sistema rigido di preclusioni ha reso più vivo il senso dell'obbligo del giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio, obbligo che si traduce in una tecnica di conduzione del processo che ne impone oggi la indicazione ben prima del maturare delle preclusioni istruttorie -che prima dell'introduzione dell'art. 101 comma 2 sembravano porsi come assolutamente ostative a un ampliamento del thema decidendum. 5.11. All'interrogativo circa i rapporti che, all'esito della rilevazione officiosa del giudice, corrono tra la domanda di nullità proposta dalla parte e quella originaria, è agevole rispondere come poco rilevante sia discorrere di mutatio libelli vietata ovvero di emendatio consentita. Di per sè considerata, la domanda di nullità riveste un indiscutibile carattere di novità, se diviene oggetto di una richiesta di accertamento a seguito del rilievo officioso del giudice. Ma tale novum processuale non potrà più esser destinato a cadere sotto la scure delle preclusioni imposte dall'art. 183 c.p.c. post riforma del 1995. Non si tratta, infatti, di consentire al- l'istante una tardiva resipiscenza processuale, bensì di riconoscere un senso ad un itinerario processuale che, nell'ambito della corretta dialettica tra le parti e il giudice, consente di pervenire a un effettivo e definitivo accertamento in relazione a una questione emersa per la prima volta, sia pur ope iudicis, in una qualsiasi fase del giudizio. 5.11.1. Sarebbe, d'altronde, un evidente paralogismo ritenere tempestiva una domanda nuova quando tale esigenza nasca dalla riconvenzionale o dalle eccezioni sollevate dal convenuto, e non anche quando essa tragga origine da una rilevazione officiosa obbligatoria (si badi, oggi RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 a pena di nullità della sentenza), imposta al giudice a fini di completezza dell'accertamento e di giustizia della decisione lungo tutto il corso del processo di primo grado, anche in attuazione di evidenti esigenze di economia processuale. 5.11.2. e se la rilevazione d'ufficio della nullità realizza tra i suoi principali effetti l'instaurazione del contraddittorio, sembra assai arduo sostenere che tale stimolo officioso non possa risolversi nella ammissibilità della formulazione delle corrispondenti domande anche oltre il limite degli atti introduttivi. All'esito della rilevazione officiosa in sede di riserva della decisione, l'attore avrà ben più interesse a proporre (anche in via incidentale) una domanda di accertamento, anzichè limitarsi a illustrare le eventuali ragioni che, a suo giudizio, depongono nel senso della validità del contratto. Ne deriva che, se la nullità venisse poi esclusa dal giudice nel provvedimento decisorio finale di merito, egli si troverebbe a disporre di un accertamento di non-nullità dell'atto (idoneo a diventare cosa giudicata) opponibile al convenuto in qualsiasi altra occasione, mentre la dichiarata nullità del contratto a seguito di domanda di accertamento (pre)costituirebbe un titolo idoneo a paralizzare eventuali, successive pretese del convenuto fondate su quel medesimo contratto. 5.11.3. Il nuovo art. 101, comma 2 conferma tale conclusione e impone una interpretazione dei poteri delle parti estesa alla facoltà di proporre domanda di nullità (e spiegare la conseguente attività probatoria) all'esito della sua rilevazione officiosa nel corso di giudizio sino alla precisazione delle conclusioni. 5.11.4. È questo l'unico possibile significato da attribuire al sintagma "memorie contenenti osservazioni sulla questione", oltre a quello di consentire al giudice una migliore ponderazione della rilevanza assorbente della stessa nella decisione della causa. Ché, se il contenuto di tali memorie dovesse limitarsi a un'attività solo assertiva (come quella riservata, invece, all'interveniente adesivo dipendente, ex art. 268 c.p.c.: Cass. n. 15787 del 2005), si tornerebbe, in buona sostanza, alle sentenze "della terza via" ante-riforma, poichè quelle "osservazioni" non risulterebbero in alcun modo funzionali a coniugare il diritto di difesa delle parti con quelle esigenze di economia processuale che costituiscono, invece, la ratio dell'art. 101, comma 2. 5.11.5 La norma di cui si discorre consente, invece, una proposizione formalmente "tardiva" della domanda di accertamento. 5.11.6. Così rettamente interpretato il nuovo itinerario endoprocessuale disegnato dalla riforma del 2009, perdono in larga misura di significato molte delle riserve e delle obiezioni mosse all'idoneità di una pronuncia a costituire cosa giudicata anche a prescindere dalle conclusioni rassegnate dalle parti, e salvo le eccezioni che di qui a poco si esploreranno. 5.12. Non sembra, peraltro, che tale facoltà sia destinata ad operare in guisa di conversione, sia pure consentita ex lege, della domanda originaria, ponendosi piuttosto una questione di ordine decisorio tra domande. 5.12.1. La parte, difatti, potrà: -rinunciare alla domanda originaria e coltivare la sola actio nullitatis, così che non di conversione nè di modificazione della domanda originaria par lecito discorrere, ma di vera e propria autonoma domanda di accertamento conseguente al rilievo officioso del giudice. -coltivare entrambe le istanze, mantenendo ferma, a fianco alla domanda di accertamento (principale o incidentale ex art. 34), quella inizialmente proposta (adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento, revoca, scioglimento del contratto), per l'ipotesi che l'accertamento della nullità dia esito negativo, e che il contratto risulti alfine valido, una volta espletata l'istruzione probatoria indotta dall'attività di rilevazione ex officio. Anche in tal caso, si CoNTeNzIoSo NAzIoNALe assisterà ad un fenomeno non già di conversione, ma di cumulo (subordinato o alternativo) di domande -così che, evaporata la questione di nullità, il giudice dovrà pur sempre decidere della domanda originaria. 5.13. Perde così definitivamente di consistenza la questione della novità della domanda di accertamento della nullità, novità che, in dottrina, viene opportunamente esclusa anche "in virtù della sua forte portata sistematica". La ammissibilità della sua proposizione risulta, difatti, del tutto speculare alla (eventuale) tardività della rilevazione officio iudicis, poichè da essa finisce per trarre legittimità e fondamento. e altrettanto opportuna appare la riflessione secondo cui la questione non è rappresentata dalla novità, quanto dalla "complanarità" tra domande conseguenti ad una questione pregiudiziale rilevata ex officio. 5.13.1. L'efficacia del contemperamento tra attività officiosa di rilevazione/dichiarazione della nullità da parte del giudice, poteri delle parti ed idoneità all'effetto di giudicato della pronuncia si coglie, su di un piano effettuale, anche sotto il profilo della trascrizione. 5.13.2. Proprio dalla disciplina dell'istituto di pubblicità dichiarativa può desumersi il diverso interesse delle parti a introdurre o meno una domanda, incidentale o principale, di accertamento della nullità a seguito della relativa rilevazione officiosa. Anche nei casi in cui la nullità dichiarata nella motivazione della decisione sia "catturata" nella regiudicata, ciò non significa che essa sarà opponibile indifferentemente a tutti i terzi, atteso che il regime di opponibilità varia a seconda che un vizio del contratto sia fatto valere mediante la proposizione di una domanda (anche riconvenzionale) ovvero in via di eccezione o d'ufficio. 5.13.3. L'art. 2652 cod. civ., nel disciplinare la trascrizione delle domande giudiziali, prevede l'operare della efficacia del meccanismo pubblicitario cd. prenotativo nel solo caso della sentenza che accoglie la domanda - mentre le dichiarazioni giudiziali di nullità, annullamento, risoluzione, rescissione o revoca sono soggette, ai sensi dell'art. 2655 cod. civ., a semplice annotazione in margine alla trascrizione o iscrizione dell'atto, con effetto a valere dal momento della formalità. Pertanto, se l'attore abbia domandato la risoluzione/rescissione/annullamento del negozio, ma il giudice, accertata d'ufficio la nullità del contratto, rigetti la domanda, il conflitto fra l'attore e i terzi aventi causa dalla parte convenuta (che medio tempore abbiano acquistato un diritto incompatibile con quello dell'attore), quand'anche abbiano trascritto il loro titolo dopo la trascrizione della domanda originaria, viene risolto a favore degli aventi causa dal convenuto, a differenza di quanto accadrebbe in caso di sentenza di accoglimento. L'accertamento d'ufficio della nullità, pur ammettendone la "annotabilità" ex art. 2655 cod. civ. (la norma discorre, difatti, genericamente, di sentenza dichiarativa di atto nullo) non sarà comunque loro opponibile. In tal caso, al soggetto interessato a rendere opponibile la nullità del contratto in parola a tali terzi non resterebbe che proporre in un nuovo giudizio una domanda di accertamento della nullità, facendo valere il giudicato implicito che si è formato nel precedente giudizio in forza del rilievo d'ufficio e avendo cura di trascrivere tale domanda non oltre cinque anni dalla trascrizione dell'atto nullo (ex art. 2652 c.c., n. 6). Appare allora evidente l'ulteriore profilo di interesse della parte a chiedere al giudice l'accertamento della nullità con effetto di giudicato sul punto nel primo processo, onde munirsi di un titolo immediatamente trascrivibile: il verbale o l'atto processuale contenente la domanda così formulata nel corso del processo sarebbe, difatti, trascrivibile quale "domanda diretta a far dichiarare la nullità" dell'atto trascritto. 5.14. Prima di trarre conclusioni definitive sull'idoneità all'effetto di giudicato della pronuncia RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 che abbia rilevato una causa di nullità negoziale dichiarandola nella sentenza - del tutto analogo è il discorso con riferimento all'ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. -, è necessario interrogarsi sui rapporti tra giudicato implicito e ordine logico delle questioni di merito. 5.14.1. La rilevanza degli aspetti strutturali di una decisione -e conseguentemente dell'ordine di trattazione delle questioni -va apprezzata ancora una volta con uno sguardo di sistema, che vede il processo civile scandire il suo itinerario dai principi di conservazione, conseguimento dello scopo, economicità, ai quali si affiancano le regole sulle preclusioni e l'acquiescenza, nel rispetto dei canoni costituzionali di giustizia (giusto processo e giusta decisione), di ragionevole durata, di rispetto del contraddittorio. Il legislatore non lascia il giudice privo di riferimenti normativi. Le regole maggiormente significative al riguardo vanno desunte dagli artt. 132, 276, 277 e 279 c.p.c., nonchè artt. 118 e 119 delle relative disp. att. Si noterà come la legge pare indicare un ordine preciso nella trattazione delle questioni: l'approccio per fasi alla decisione finale è direttamente scandito dall'art. 276 (deliberazione), ma è desumibile anche dall'art. 279 (forma dei provvedimenti del collegio, anche se la rubrica suona al giorno d'oggi al tempo stesso anacronistica e recessiva). 5.14.2. Com'è noto, tale ordine prevede l'esame dapprima delle questioni pregiudiziali, poi del merito della causa (art. 276, comma 2); fra le prime, la precedenza è accordata alle questioni relative alla giurisdizione e alla competenza, poi alle pregiudiziali di rito, indi alle preliminari di merito, infine al merito in senso stretto (art. 279, comma 1, nn. 1, 2 e 3). 5.14.3. La previsione di un tale ordine non è mai stata ritenuta espressione della imposizione di una sequenza obbligata dalla quale il giudice non possa discostarsi in base alle esigenze volta a volta emergenti. Anche il più logico dei criteri assunti può dover essere adeguato alla fattispecie concreta dedotta in giudizio. Ne risulta confermata la tesi secondo cui, se, in linea generale, è indubbio che le questioni pregiudiziali (o impedienti o assorbenti) debbano essere esaminate prima di quelle da esse dipendenti, i parametri operativi ben possono essere molteplici, e quell'ordine è suscettibile di essere sovvertito. Tali parametri sono costituiti dalla natura della questione, dalla sua idoneità a definire il giudizio, dalla sua maggiore evidenza (cd. liquidità), dalla sua maggiore preclusività, dalla volontà del convenuto. 5.14.4. Non è questa la sede per indagare funditus sulle formule pregiudizialità e preliminarità. È sufficiente distinguere, per quanto è qui di interesse, tra questioni riguardanti il rito e questioni attinenti alla fattispecie sostanziale dedotta in giudizio, aventi ad oggetto sia elementi estintivi, modificativi, impeditivi, sia elementi relativi alla integrità della fattispecie stessa. La risoluzione delle prime è funzionale a eliminare gli impedimenti che si frappongono all'accertamento della fondatezza della domanda. Le seconde svolgono una funzione strumentale e preparatoria. 5.14.5. Sotto tale profilo, la pregiudizialità delle questioni processuali assume un significato diverso da quella delle questioni di merito. La base positiva è offerta non soltanto dall'art. 187 c.p.c., commi 2 e 3 e art. 279, comma 2, ma soprattutto dall'art. 276 c.c., comma 2, ai sensi del quale "il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa". La disposizione è riferita non solo alla ipotesi di rimessione in decisione ad istruttoria completa, ma anche a quella provocata da una questione preliminare di merito, se l'art. 189, comma CoNTeNzIoSo NAzIoNALe 2 dispone che "la rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell'art. 187, commi 2 e 3". La necessità di rispettare l'ordine delle questioni rito/merito ha, così, quale unica conseguenza la inammissibilità di un rigetto della domanda sia per motivi di rito che di merito: dall'avvenuta verifica della insussistenza del requisito processuale discende sempre l'impossibilità di pervenire anche ad una statuizione sul merito. 5.14.6. L'assunto della inossidabile primazia del rito rispetto al merito va poi disatteso alla luce di una recente giurisprudenza di questa stessa Corte (ex aliis, Cass. ss.uu. 15122/2013), evocativa del pensiero di autorevole dottrina. 5.14.7. Maggiore liquidità della questione significa, in particolare, che, nell'ipotesi del rigetto della domanda, occorre dare priorità alla ragione più evidente, più pronta, più piana, che conduca ad una decisione indipendentemente dal fatto che essa riguardi il rito o il merito. Alla base di tale criterio - inutile sottolinearlo ancora - vi è un'evidente esigenza di una maggiore economia processuale, poichè la sua applicazione consentirà di ridurre l'attività istruttoria e quella di stesura della motivazione. Così riducendo i tempi del processo. 5.14.8. Maggiore preclusività della questione equivale a sua volta ad una migliore economia processuale: tra più ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile (tra un rigetto per motivi di rito e uno per ragioni afferenti al merito, il giudice dovrebbe scegliere il secondo). 5.14.9. Volontà del convenuto sarà, di regola, quella volta a ottenere una pronuncia di rigetto che sia quanto più preclusiva di altri giudizi, al fine di non vedersi esposto alla reiterazione di pretese da parte dell'attore, anche se tale regola conosce una importante variabile, rappresentata proprio dalla rilevabilità d'ufficio di una determinata questione: in tal caso, infatti, non basterebbe la volontà del convenuto ad invertire l'ordine logico delle questioni, attraverso la richiesta di subordinazione dell'una all'altra. 5.15. La rilevazione officiosa della nullità da parte del giudice non è, quindi, soggetta ad alcun vincolo preclusivo assoluto, quanto alla sua trattazione ed al relativo ordine che ne consegue. 5.16. All'esito della ricognizione che precede, possono affermarsi i seguenti principi: -La nullità deve essere sempre oggetto di RILEVAZIONE/INDICAZIONE da parte del giudice; -La nullità può essere sempre oggetto di DICHIARAZIONE/ACCERTAMENTO da parte del giudice; -L'espresso accertamento contenuto nella motivazione della sentenza sarà idoneo a produrre, anche in assenza di un'istanza di parte (domanda o accertamento incidentale) L'EFFETTO DI GIUDICATO sulla nullità del contratto in mancanza di impugnazione sul punto; -La mancanza di qualsivoglia rilevazione/dichiarazione della nullità in sentenza è idonea, in linee generali ma non in via assoluta, e non senza eccezioni - come di qui a breve si dirà - a costituire GIUDICATO IMPLICITO SULLA VALIDITA' DEL CONTRATTO. 6. La RiCostRUzione sisteMatiCa DeLLe azioni Di iMPUGnatiVa neGoziaLe 6.1. Prima di procedere alla elaborazione di una sorta di "quadro sinottico" (infra, sub 7) delle diverse ipotesi in cui la nullità negoziale rileva e spiega influenza in seno al processo, è necessario affrontare il tema dei rapporti (di omogeneità ovvero di eterogeneità) tra tutte le azioni di impugnativa negoziale. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 6.1.1. La giurisprudenza di questa Corte, benchè non sempre consapevolmente, ne ha quasi sempre accomunate le sorti, anche se la sentenza 14828/2012, sia pur soltanto a livello di obi- ter dictum, sembrò voler indicare, più pensosamente, la strada di una possibile differenziazione tra azioni di adempimento e di risoluzione da un canto, e azioni cd. "demolitorie" (rescissione, annullamento) dall'altro. 6.2. L'utilità sistematica di una soluzione predicativa dell'omogeneità funzionale e di disciplina tra tutte le azioni di impugnativa negoziale si desume, peraltro, dalla analisi dei rispettivi caratteri morfologici, da esaminarsi (anche) sul piano sostanziale, come emergerà dalle considerazioni che seguono. a) L'azione di risoluzione 6.3. Con il revirement di cui a Cass. ss.uu. 14828/2012 si ammette in via definitiva il potere/dovere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità in presenza di un'azione di risoluzione contrattuale, e si mette a nudo il fraintendimento determinato in parte qua dalla pretesa violazione dei principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, valorizzando ad abundantiam, ma del tutto opportunamente, il principio della collaborazione fra il giudice e le parti, sostanzialmente prescritto dall'art. 183, comma 4, oltre che formalmente indicato dall'art. 88 codice di rito. 6.4. È convincimento del collegio che tale soluzione sia da confermare tout court, specificando che essa deve ritenersi applicabile a tutte le ipotesi di risoluzione, e non soltanto a quella per inadempimento, oggetto di esame nella sentenza del 2012. 6.4.1. La rilevazione officiosa della nullità può, infatti, avere ingresso anche nel giudizio avente ad oggetto la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, attesa la facoltà alternativa di reductio ad aequitatem riconosciuta, ex art. 1467, comma 3, al contraente interessato comunque alla conservazione del contratto - reductio ovviamente non consentita in ipotesi di negozio nullo. La legittimità di tale rilevazione ex officio appare altrettanto necessaria in caso di domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, perchè se è vero che si è comunque in presenza di uno scioglimento di diritto del contratto -onde l'automaticità dell'effetto ablativo/liberatorio dovrebbe indurre ad escludere la rilevabilità officiosa -, non è meno vero che l'accertamento della oggettività ed inevitabilità dell'evento, ovvero dell'eventuale parzialità della sopravvenuta impossibilità, o ancora dell'eventuale necessità di individuazione del momento della specificazione e della consegna della res e della conseguente traslazione del rischio, potrebbero richiedere lunghi e defatiganti accertamenti processuali, mentre la quaestio nullitatis potrebbe essere risolta de plano e in tempi assai rapidi. Nè vanno trascurate le differenze di effetti costituiti dai profili risarcitori/restitutori delle rispettive declaratorie conseguenti all'uno o all'altro accertamento (si pensi al contratto di prestazione d'opera professionale stipulato tra un ente locale e un progettista, nullo per difetto di forma scritta ma del quale sia chiesta la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta dell'opus publicum: è evidente che eventuali questioni risarcitorie e/o di indebito arricchimento riceveranno soluzioni diverse a seconda che, di quel contratto, si disponga la risoluzione ovvero si dichiari la nullità). In tutti i casi di risoluzione contrattuale, inoltre, la incongruità di una soluzione che consenta la risoluzione di un contratto nullo e l'insorgere di un eventuale obbligo ancillare di risarcimento rispetto a un titolo inefficace ab origine impone di ritenere sempre e comunque rilevabile ex officio la nullità del negozio. 6.5. La questione posta dall'ordinanza di rimessione in ordine al giudicato sulla non-nullità CoNTeNzIoSo NAzIoNALe negoziale merita, invece, una più approfondita riflessione, che condurrà (si anticipa sin d'ora) ad una soluzione che, pur nel solco delle argomentazioni svolte funditus dalla sentenza del 14828/2012, in parte dovrà discostarsene. b) L'annullamento e la rescissione 6.6. Si pone al collegio la ulteriore questione della necessità di procedere, o meno, ad una radicale distinzione tra l'azione di risoluzione e le azioni cd. demolitorie del vincolo contrattuale rispetto alla rilevabilità ex officio della nullità negoziale. 6.6.1. La stessa sentenza del 2012 mostra, difatti, di dubitare, non senza ragione, della correttezza di una soluzione che estenda i principi adottati per l'adempimento e la risoluzione anche alle azioni di annullamento e di rescissione. 6.6.2. La questione è stata, come già ricordato, oggetto di rimessione a queste sezioni unite. 6.6.3. L'ordinanza interlocutoria n. 21083/2012 muove, difatti, dalla premessa secondo cui, nella sentenza del 4 settembre 2012, n. 14828, si afferma testualmente che la soluzione adottata in tema di risoluzione non sarebbe con altrettanto nitore ravvisatile nel caso di azione di annullamento. Aggiunge, in proposito, il collegio remittente che alcuni autori, nell'indagare la tematica che ci occupa e più in generale la funzione dell'azione di nullità, hanno evidenziato che la rilevazione incidentale della nullità è doverosa nei casi di azione per l'esecuzione o la risoluzione del contratto, ma non nel caso in cui siano allegati altri vizi genetici, come avviene nell'azione di annullamento. La relativa domanda non postula la validità del contratto, sicchè, sebbene la tradizione giurisprudenziale e dottrinale dell'orientamento favorevole al rilievo d'ufficio apparenti le ipotesi di risoluzione, annullamento e rescissione, andrà a suo tempo verificato se sussistono i presupposti per questa equiparazione. Con la pronuncia del 2012 si ritenne opportuno -volutamente, nel rispetto della specifica quaestio facti concretamente posta alle sezioni unite della Corte - lasciare impregiudicato il problema della estensibilità anche alle ipotesi di annullamento (o di rescissione) dei principi enunciati in tema di rapporti tra domanda di risoluzione e rilievo di ufficio della nullità del contratto, pur lasciando intendere che, con riferimento alle prime, il modello argomentativo adottato per la seconda non sarebbe stato facilmente replicabile. 6.6.4. Peraltro, l'ordinanza interlocutoria sottolinea ancora come, nella giurisprudenza di questa Corte, le ipotesi di risoluzione, annullamento o rescissione di un contratto siano state solitamente (quanto acriticamente e) accomunate tra loro, pur riferendosi la quasi totalità dei precedenti giurisprudenziali ad ipotesi in cui risultava proposta l'azione di risoluzione. Proprio alla luce di tale giurisprudenza, la precedente ordinanza interlocutoria, del 28 novembre 2011, n. 25151, cui aveva fatto seguito la sentenza 14828/2014, indicò come più ampia questione da risolvere, rispetto a quella poi decisa, se la nullità del contratto possa essere rilevata d'ufficio non solo allorchè sia stata proposta domanda di esatto adempimento, ma anche allorchè sia stata domandata la risoluzione, l'annullamento o la rescissione (equiparandosi alla risoluzione lo scioglimento da parte del curatore ai sensi della legge fall., art. 72) del contratto stesso. 6.6.5. Si individuò, in particolare, come uno dei termini del contrasto giurisprudenziale, la pronuncia di cui a Cass. 2.4.1997, n. 2858, intervenuta in relazione ad una domanda di annullamento del contratto. La Corte ritenne che la domanda di annullamento, allo stesso modo di quella di risoluzione, presupponesse, in realtà, la validità del contratto, facendosi valere con essa un diritto potestativo di impugnativa contrattuale nascente dal contratto, non meno del diritto all'adempimento. e poichè la validità del contratto è il presupposto anche della domanda di RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 annullamento, il rilievo officioso della nullità da parte del giudice non eccedeva, per l'una come per l'altra, il principio sancito dall'art. 112 cod. proc. civ. 6.6.6. L'ordinanza interlocutoria esporrà ancora le principali ricostruzioni dottrinali in materia: da quella secondo la quale nullità ed annullabilità possono coesistere rispetto a una medesima fattispecie concreta, avendo entrambe la stessa funzione di eliminare ex tunc gli effetti negoziali (così che il giudice non potrebbe porre a base della sua pronuncia un fatto impeditivo differente da quello dedotto dalla parte senza cadere nella sostituzione d'ufficio della domanda proposta), a quella per cui la perdurante efficacia fino alla pronuncia di annullamento, dotata di effetto costitutivo, imporrebbe di ritenere che l'annullabilità sia oggetto di un diritto potestativo. e l'utilità del suo esperimento verrebbe meno, per mancanza dell'oggetto nell'ipotesi di nullità del negozio, senza che sia possibile riscontrare una significativa differenza fra azione di nullità ed azione di annullamento. In tale prospettiva, è stato ancora affermato che, per rispettare il principio della domanda, il giudice non potrebbe "dichiarare" la nullità con effetti di giudicato, ma solo rilevarla incidenter tantum. Viene infine riportata l'opinione secondo cui, mentre la validità e l'esistenza del contratto sono presupposti non solo da chi ne chiede l'adempimento, ma anche da chi ne domanda la risoluzione o la rescissione, la domanda di annullamento del contratto non ne presuppone tanto la validità, quanto l'inidoneità a produrre effetti, sicchè la fattispecie dell'annullamento si differenzierebbe da tutte le altre azioni di impugnativa negoziale. 6.7.1 La questione posta dall'ordinanza di rimessione 21083/012 evoca, dunque, le perplessità sollevate incidenter tantum dalla sentenza 14828/012, le stesse che autorevole dottrina ha ritenuto in più occasioni di manifestare in subiecta materia. 6.7.1. In particolare, si è sostenuto che la proposizione di un'azione a carattere demolitorio (annullamento/rescissione) non consentirebbe il rilievo d'ufficio della nullità, avendo essa stessa il medesimo scopo di "annientamento" del contratto, ed avendo l'annullamento e la rescissione ad oggetto l'azione stessa; precisandosi peraltro che, in tema di rescissione, doveva darsi conto dell'esistenza di una peculiare ipotesi nella quale si ammette il potere-dovere del giudice di procedere al rilievo officioso della nullità, e cioè quella della nullità per violazione di norme imperative con conseguente sostituzione della clausola invalida con quella prevista per legge, ossia quando sia proprio la prima a determinare "le condizioni inique" ex art. 1447, ovvero la sproporzione tra prestazioni", ex art. 1448. In tal caso il giudice, rilevata la nullità della clausola e preso atto della sua sostituzione ex lege, dovrebbe riconoscere il venir meno dei presupposti dell'azione di rescissione e rigettare la domanda. 6.7.2. Altra dottrina ha proposto una ulteriore distinzione tra azione di rescissione (ritenuta omologabile quoad effecta a quella di risoluzione) e domanda di annullamento, della quale si afferma, viceversa, la incompatibilità con il rilievo officioso della nullità contrattuale. In tema di rescissione -si osserva -l'art. 1450 c.c., attribuendo al convenuto il potere di evitare la caducazione dell'atto con l'offerta di una modificazione idonea a ricondurlo ad equità, finirebbe per garantire forza vincolante al contratto nullo. La differente disciplina della rilevabilità officiosa si fonderebbe, pertanto, sulla radicale differenza che, sul piano sostanziale, caratterizza il vizio che colpisce il contratto annullabile (il vulnus arrecato all'integrità del consenso) rispetto a quello rescindibile. 6.8. entrambe le tesi postulano, dunque, una ulteriore frammentazione funzionale delle azioni di impugnativa negoziale. 6.8.1. entrambe le tesi tralasciano, però, di considerare l'esistenza di altre speculari norme di sistema, il cui contenuto e la cui comune ratio non sembrano consentire la soluzione della ir CoNTeNzIoSo NAzIoNALe rilevabilità officiosa della nullità contrattuale in presenza di azioni di impugnativa negoziale diverse da quelle di adempimento e di risoluzione. 6.8.2 Non è questa la sede per affrontare la delicatissima problematica delle azioni costitutive, e della possibilità di configurarne una categoria unitaria. Ma un definitivo riconoscimento dell'omogeneità funzionale delle azioni di impugnativa negoziale appare al collegio una conseguenza inevitabile, una volta esclusa la fondatezza della tesi che considera oggetto dell'azione di annullamento non già le situazioni soggettive sostanziali sorte dal contratto, bensì il diritto potestativo di annullamento (sostanziale, ovvero a necessario esercizio giudiziale). 6.9. All'accoglimento di una tesi improntata al criterio del distingue frequenter, difatti, sembrano frapporsi ostacoli tanto di tipo strutturale, costituiti dall'esistenza un vero e proprio plesso di norme "di sistema", la cui ratio appare del tutto omogenea e del tutto analoga a quella dell'art. 1450 c.c., quanto di tipo funzionale, destinati a spiegare influenza sulle conseguenze di un eventuale predicato di non rilevabilità officiosa della nullità in presenza di una domanda di annullamento e/o di rescissione. La questione da risolvere, difatti, non è il pregiudiziale accertamento della originaria efficacia dell'atto, una volta promossa l'azione di rescissione/annullamento, per le ragioni già esposte in ordine alla insoddisfacente ricostruzione delle impugnative negoziali come espressione di diritti potestativi. 6.9.1. Sul piano strutturale, e circoscrivendo l'analisi allo stretto ambito codicistico, gli ostacoli alla teoria della frammentazione sono costituiti, oltre che dall'art. 1450, dagli artt. 1432 e 1446 c.c. (a tacere dell'art. 1815 c.c., comma 2, norma, peraltro, specificamente settoriale dettata in tema di nullità parziale). Le disposizioni in parola costituiscono l'esatto pendant dell'art. 1467 c.c., dettato in tema di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. e se appare comunemente assurdo ritenere che il convenuto in un giudizio risolutorio possa evitare la caducazione del contratto nullo offrendo di modificarne equamente le relative condizioni, è altrettanto impensabile che questo possa accadere per un negozio rescindibile o annullabile. L'art. 1450 dispone: il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità. L'art. 1432 stabilisce: la parte in errore non può domandare l'annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l'altra offra di eseguirlo in modo conforme al contenuto ed alle modalità del contratto che quella intendeva concludere. È appena il caso di aggiungere che, in entrambe le ipotesi, tale offerta può intervenire tanto in via stragiudiziale, prima che un'azione di rescissione/annullamento sia stata introdotta dinanzi al giudice, quanto in sede giudiziaria, banco iudicis e a lite in corso.Pur in assenza di una disposizione analoga al § 143 del BGB (secondo la quale l'effetto di annullamento è ricollegato all'atto di parte anzichè alla pronuncia del giudice), sarà comunque la parte a porre fine alla controversia e ad ogni possibile accertamento sulla nullità del contratto. L'art. 1446 recita: nei contratti plurilaterali l'annullabilità che riguarda il vincolo di una sola delle parti non importa annullamento del contratto, salvo che la partecipazione di questa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Di tali disposizioni appaiono indiretto, ma significativo corollario l'art. 1430, che prevede la rettificabilità del negozio viziato da errore di calcolo, e l'art. 1440, dettato in tema di dolo incidente per l'ipotesi in cui i raggiri non siano stati determinanti del consenso, con obbligo di risarcimento dei danni per il contraente in mala fede. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 6.9.3. Quanto alle residue ipotesi di annullabilità (dolo causam dans, violenza morale, incapacità), le disposizioni contenute negli artt. 1434, 1435, 1436, 1437, 1438 e 1439 sono tali da imporre una serie di accertamenti di fatto che potrebbero risultare assai complessi e defatiganti (il carattere ingiusto e notevole del male minacciato; le qualità e le condizioni soggettive del minacciato; la provenienza e la rilevanza della violenza diretta contro terzi diversi dai prossimi congiunti; la rilevanza determinante e non soltanto incidente dei raggiri; gli artifici usati dal terzo a beneficio del deceptor e la loro necessaria conoscenza da parte di quest'ultimo; le cause e l'entità dello stato temporaneo e transeunte di incapacità), ma che perderebbero ipso facto ogni rilevanza processuale una volta rilevata de plano la eventuale nullità del contratto ex art. 1421 c.c. 6.9.4. Le disposizioni di legge poc'anzi citate costituiscono un vero e proprio sottosistema normativo, sicuramente omogeneo, la cui univoca ratio consiste nel riconoscimento della facoltà di paralizzare l'impugnativa negoziale della controparte che lamenti l'errore (essenziale e riconoscibile), il raggiro (determinante del consenso), la violenza morale (ingiusta e notevole), l'approfittamento dello stato di bisogno. Ciò in evidente sintonia con quanto previsto in costanza di giudizio di risoluzione per inadempimento o eccessiva onerosità sopravvenuta. Se il potere di paralizzare l'azione di annullamento o di rescissione attraverso l'offerta banco iudicis di una efficace reductio ad aequitatem del contratto è destinato a stabilizzarne definitivamente l'effetto negoziale non prohibente iudice (o addirittura nell'inerte silenzio del giudice), la originaria nullità di quella convenzione deve porsi, invece, in termini assolutamente impeditivi del perdurare di un effetto mai nato, e come tale irredimibilmente ostativo all'attuazione dell'originario programma contrattuale. Se al giudice fosse impedito l'esercizio del proprio potere officioso ex art. 1421 c.c., difatti, la reductio ad aequitatem si risolverebbe nella definitiva stabilizzazione dei (non) effetti del- l'atto, in guisa di sanatoria negoziale diversa dalla conversione, che resta invece l'unica forma di possibile "sanatoria" di un negozio nullo. Nè vale obiettare che, in un successivo giudizio, la nullità di quel negozio potrebbe sempre essere fatta autonomamente valere. A tacere dei differenti effetti in tema di trascrizione e di diritti dei terzi, di cui è cenno in precedenza, tale soluzione sarebbe in insanabile contraddizione con quanto sinora si è andato esponendo sul tema dell'oggetto del processo, dei valori funzionali ad esso sottesi, della stabilità ed affidabilità delle decisioni giudiziarie. 6.9.5. Sul piano funzionale, un ulteriore e non meno rilevante coacervo normativo si erge ad ostacolo insuperabile per la teoria della frammentazione. L'art. 1443 dispone che, se il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti, questi non è tenuto a restituire all'altro la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio; L'art. 1444 prevede che il contratto annullabile possa essere convalidato dal contraente al quale spetta l'azione di annullamento mediante un atto che contenga la menzione del contratto, del motivo di annullabilità e la dichiarazione che si intende convalidarlo; L'art. 1445 dichiara impregiudicati i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede dalla pronuncia di annullamento (che non dipenda da incapacità legale) salvi gli effetti della trascrizione della relativa domanda. Anche sotto l'aspetto degli effetti di un processo in cui fosse impedita la rilevazione di ufficio della nullità, si coglie appieno, alla luce di tali disposizioni, la differenza tra una pronuncia CoNTeNzIoSo NAzIoNALe costitutiva di annullamento/rescissione del negozio e una sentenza di accertamento della sua originaria nullità. Ben diverso, esemplificativamente, sarà il comportamento processuale della parte che, proposta domanda di annullamento del contratto, dubitando dello spessore delle prove addotte, si determini nel corso del giudizio a convalidare il negozio, rispetto a quello conseguente alla rilevazione officiosa della nullità di quel medesimo contratto - rilevazione cui seguirà, con ogni probabilità, la domanda di accertamento, principale o incidentale ex art. 34, con definitivo tramonto di ogni intento di convalida di un atto insanabilmente inefficace. Ancor più dissimili saranno le conseguenze di una sentenza che abbia accertato la nullità di un contratto contrario a buon costume del quale sia stata chiesta la rescissione perchè concluso in stato di pericolo, con conseguente esclusione del diritto ad equo indennizzo. 6.9.6. La questione va ulteriormente considerata, quoad effecta, in relazione alle diverse declaratorie e ai diversi accertamenti contenuti nella sentenza rispetto ai terzi acquirenti, che vedranno fatti salvi i diritti acquisiti in caso di pronuncia di annullamento, ma non di nullità, e in relazione alle azioni risarcitorie conseguenti al tipo di pronuncia adottata. Se il giudice condannasse il convenuto al risarcimento del danno conseguente alla pronuncia di annulla- mento/rescissione, egli non farebbe che dare diverso vigore, sia pure soltanto sotto il profilo risarcitorio, al contratto nullo, in spregio all'art. 1421 c.c. 6.9.7. La diversità degli effetti restitutori rispettivamente derivamenti dall'accoglimento di una domanda di annullamento e di una domanda di nullità si colgono poi con riferimento ai rapporti di durata: nel primo caso, e non nel secondo, difatti, le prestazioni eseguite saranno irripetibili (un contratto di locazione del quale si chiede l'annullamento o la rescissione, se dichiarato nullo, obbligherà il locatore alla restituzione dei canoni, diversamente dal caso in cui l'azione originariamente proposta venga accolta senza alcun rilievo officioso della nullità della locazione). 6.10. Le azioni di impugnativa negoziale sono, pertanto, disciplinate da un plesso normativo autonomo e omogeneo, del tutto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale. Ogni ipotesi di limitazione posta alla rilevabilità officiosa della nullità deve, pertanto, essere definitivamente espunta dall'attuale sistema processuale con riguardo a tutte le azioni di impugnativa negoziale. 6.10.1. La soluzione risulta del tutto omogenea a quella più volte adottata da questa stessa Corte di legittimità in ordine alla possibilità per il giudice cui venga richiesta la declaratoria di nullità di un contratto di pronunciarne invece l'annullamento sulla base dei medesimi motivi addotti dalla parte a fondamento della propria azione, in forza del rilievo che, in tal caso, si tratterebbe di un mero adeguamento riduttivo della domanda (Cass. 1592/1980; 6139/1988; 11157/1996). Se è lecito discorrere di adeguamento riduttivo della domanda sulla base dei medesimi fatti, non meno legittimo è riconoscere il principio della rilevabilità officiosa della nullità per evitare che di un contratto inefficace ab origine si discorra, comunque, in seno al processo, in termini di efficacia caducabile, con le conseguenze sinora esaminate. 6.10.2. Premessa la omogeneità funzionale di tutte le azioni di impugnativa negoziale, e indipendentemente dalla bontà della tesi dell'assorbimento della annullabilità nella quaestio nullitatis, è innegabile che le due fattispecie si trovino in una relazione reciprocamente conflittuale, che ne esclude qualsivoglia coesistenza o concorrenza. Al di là delle discussioni circa la validità/invalidità dell'atto annullabile (del quale va senz'altro riaffermata la duplice dimensione di invalidità/efficacia caduca bile), quel che appare incontestabile è che l'atto annullabile RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 sia produttivo di effetti, e che presupposto necessario della fattispecie dell'annullabilità sia proprio l'esistenza e la produzione di effetti negoziali eliminabili ex tunc. 6.10.3. Appare legittimo l'approdo a una ricostruzione unitaria della fattispecie del negozio ad efficacia eliminabile, che comprende tanto negozi invalidi ma temporaneamente efficaci (il contratto annullabile e quello rescindibile), quanto negozi validi ed inizialmente efficaci, ma vulnerati nella dimensione funzionale del sinallagma (il contratto risolubile, quello destinato allo scioglimento ex art. 72 L.F., ovvero allo scioglimento per mutuo dissenso). 6.11. Va pertanto affermato il principio secondo il quale la rilevabilità ex officio della nullità va estesa a tutte le ipotesi di azioni di impugnativa negoziale - senza per ciò solo negarne le diversità strutturali, che le distinguono sul piano sostanziale (adempimento e risoluzione postulano l'esistenza di un atto morfologicamente valido, di cui si discute soltanto quoad effecta, rescissione e annullamento presuppongono una invalidità strutturale dell'atto, pur tuttavia temporaneamente efficace). 6.12. L'impugnativa negoziale trova, in definitiva, la sua comune Grundlage, e cioè il suo fondamento di base, nell'assunto secondo cui, non sussistendo ragioni di nullità, il giudice procede all'esame della domanda di adempimento, esatto adempimento risoluzione, rescissione, annullamento, scioglimento dal contratto ex art. 72 L.F., scioglimento del contratto per mutuo dissenso. c) La nullità diversa da quella invocata dalla parte 6.13. Il duplice quesito posto a queste sezioni unite dalle due ordinanze di remissione più volte ricordate non ricomprende esplicitamente la fattispecie del rilievo ope iudicis di una causa di nullità diversa da quella originariamente prospettata dalla parte con la domanda introduttiva. 6.13.1. esplicite (e legittime) istanze di precisazioni in merito provenienti dalla dottrina, evidenti esigenze sistematiche, innegabili ragioni di completezza argomentativa sul tema delle impugnative negoziali inducono, peraltro, il collegio all'analisi di questa ulteriore tematica. 6.13.2. La giurisprudenza di questa Corte appare, sul punto, ampiamente consolidata (con l'isolata eccezione di cui a Cass. 4181/1980, in motivazione) nel senso dell'impossibilità per il giudice di procedere al rilievo officioso di un motivo di nullità diverso da quello fatto valere dalla parte (ex multis, Cass. 11157/1996, 89/2007, 14601/2007, 28424/2008, 15093/2009, 11651/2012). È stato evidenziato al riguardo come tale orientamento si fondi sulla riconducibilità dell'istanza di declaratoria della nullità alla categoria delle domande (relative a diritti) eterodeterminate. 6.13.3. Questo orientamento è stato oggetto di molteplici e penetranti rilievi critici da parte della dottrina, concorde nel ritenere che la domanda di nullità negoziale, volta all'accertamento negativo della non validità del contratto, si identifichi in ragione di tale petitum, consentendo ed anzi imponendo al giudice di accertarne tutte le sue possibili (ed eventualmente diverse) cause. Si osserva che la sentenza dichiarativa della nullità di un contratto per un motivo diverso da quello allegato dalla parte corrisponde pur sempre alla domanda originariamente proposta, sia per causa petendi (l'inidoneità del contratto a produrre effetti a causa della sua nullità), sia per petitum (la declaratoria di invalidità e di conseguente inefficacia ab origine dell'atto). Si aggiunge che le domande aventi ad oggetto una questio nullitatis postulano l'accertamento negativo dell'esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, onde nessun mutamento sarebbe predicabile in relazione alle singole cause di nullità che l'attore possa dedurre. Si precisa infine che, a fronte di una domanda di accertamento e declaratoria di nullità del contratto, sussiste sempre l'imprescindibile potere-dovere del giudice di rilevare anche d'ufficio i diversi motivi di nullità non allegati dalla parte ex art. 1421 c.c., poichè il rilievo non CoNTeNzIoSo NAzIoNALe avrà più ad oggetto una eccezione, ma un ulteriore titolo della domanda, in forza del quale essa potrà trovare legittimo accoglimento a condizione che la diversa causa di nullità emerga dalle rituali allegazioni delle parti o dalle produzioni documentali in atti. 6.13.4. La domanda di nullità sarebbe pertanto unica rispetto ai diversi, possibili vizi di radicale invalidità che affliggono il negozio: così, la doglianza dell'attore volta all'accertamento di un difetto di causa non esclude che, accertatane la validità sotto quel profilo, il contratto risulti poi patentemente nullo per difetto di forma. e la rilevazione ex officio di tale vizio non contrasterebbe nè con l'originario petitum (la domanda di declaratoria di nullità negoziale) nè con la causa petendi (il contratto di cui si assume la nullità). 6.13.5. Al giudice cui sia stata proposta la corrispondente istanza dovrebbe pertanto essere riconosciuto il potere-dovere di accertare tutte le possibili ragioni di nullità, non soltanto quella indicata dall'attore, anche in ragione della ratio sottesa alla fattispecie invalidante. In tal modo, e salvo sempre il rispetto del principio del contraddittorio ex art. 184 c.p.c., comma 4 e art. 101 c.p.c., comma 2 sulle diverse cause di nullità rilevate dal giudice, non si travalicherebbero i limiti imposti dal principio dispositivo, poichè la domanda di nullità per- tiene ad un diritto autodeterminato, ed è quindi individuata a prescindere dello specifico vizio (rectius, titolo) dedotto in giudizio (È stata felicemente evocata, in proposito, l'immagine del carattere "grandangolare" di tale giudizio). 6.13.6. La domanda di accertamento della nullità negoziale si presta allora, sul piano dina- mico-processuale, a un trattamento analogo a quello concordemente riservato alle domande di accertamento di diritti autodeterminati, inerenti a situazioni giuridiche assolute, anch'esse articolate in base ad un solo elemento costitutivo. Il giudizio di nullità/non nullità del negozio (il thema decidendum e il correlato giudicato) sarà, così, definitivo e a tutto campo indipendentemente da quali e quanti titoli di nullità siano stati fatti valere dall'attore. 6.14. La soluzione opposta condurrebbe, sul piano processuale, a conseguenze assai problematiche. L'eventuale giudicato di rigetto della domanda di nullità comporterebbe, difatti, l'accertamento della non-nullità del contratto, con conseguente preclusione di ulteriori azioni di nullità di quel rapporto negoziale sulla base di diversi profili, con il conseguente delinearsi di una (inammissibile) forma di sanatoria indiretta erga omnes di un contratto nullo, ma non più accertabile come tale. La diversa soluzione della proponibilità in altro processo di una diversa questione di nullità è ancora una volta destinata ad infrangersi sulle argomentazioni sinora svolte in tema di valori funzionali del processo e del suo oggetto, e di esigenze di concentrazione e stabilità delle decisioni giudiziarie. La domanda di accertamento della nullità del contratto ha ad oggetto, in definitiva, l'accertamento negativo dell'esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, così che il giudicato di rigetto di tali domande accerta la non nullità del negozio, la conseguente (non in)esistenza del rapporto, e preclude qualsiasi nuova azione di nullità di quel negozio sotto ogni ulteriore profilo. 6.14.1. Le incongruenze di una soluzione restrittiva emergono ancor più chiaramente proprio qualora la nullità sia invece oppostain via di eccezione dal convenuto. Quest'ultimo, evocato in giudizio per l'adempimento del contratto, potrebbe difendersi tanto eccependo l'avvenuto adempimento, ovvero l'inadempimento della controparte, quanto l'esistenza di una specifica causa di nullità che il giudice reputi infondata a fronte di una conclamata diversa causa di nullità. In tutti questi casi, e segnatamente in quest'ultimo, il differente RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 vizio di nullità sarebbe rilevabile in via officiosa, trattandosi di eccezione in senso lato, con evidente quanto ingiustificata disparità del trattamento riservate all'attore e al convenuto parti rispetto ad una medesima species facti. 6.15. Non pare condivisibile la pur seria obiezione di chi, paventando nella rilevazione officiosa di una causa diversa di nullità una inammissibile sostituzione del giudice all'impostazione difensiva della parte "che, per scelta tattica o strategica, o soltanto per errore, abbia fatto valere una causa di nullità, in ipotesi infondata, in luogo di un'altra invece sussistente": l'aporia di una nullità contrattuale non più accettabile non pare superabile impedendo poi all'altra parte, che avanzi una successiva pretesa fondata su quel contratto (nullo ma non dichiarato tale nel precedente giudizio), di agire in giudizio sulla base di una inammissibilità della domanda per abuso del diritto. Proprio la preclusione all'intervento officioso imposta al giudice impedisce, in fatto, di ravvisare nella specie un'ipotesi di abuso dello strumento del processo, se nel precedente processo il thema decidendum sia stato confinato all'accertamento della causa di nullità dedotta dall'attore. 6.15.1. Nè pare vulnerato il diritto di difesa del convenuto (del quale autorevole dottrina paventò, in passato, il rischio "dello spiazzamento delle difese"), volta che, rilevata dal giudice la diversa questione di nullità, alle parti sarebbe accordato tutto lo spazio difensivo conseguente a tale rilevazione, e ciò sino alla riserva in decisione della causa da parte del giudice alla luce dell'armonica architettura processuale oggi disegnata dagli artt. 183 e 101 c.p.c. proprio in funzione della piena esplicazione del contraddittorio. 6.15.2. L'eco di una conferma, sia pur indiretta, della rilevabilità ex officio di una diversa causa nullità sembra potersi rinvenire nella sentenza di queste sezioni unite, n. 10955 del 2002, resa in tema di prescrizione. Con quella pronuncia si specificò che, eccepita dalla parte una determinata tipologia di prescrizione, non è precluso al giudice rilevarne un tipo diverso, senza che a ciò fosse di ostacolo la sua natura di eccezione in senso stretto, a condizione che fosse stato attivato il contraddittorio. Il fondamento di tale decisione apparve proprio l'esatta individuazione dell'oggetto del processo, vale a dire la (invocata estinzione della) situazione sostanziale fatta valere dalla controparte, della quale il convenuto chiedeva, al di là ed a prescindere dal tipo di prescrizione invocata, una declaratoria di definitiva estinzione dell'intero rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 6.15.3. Appare altresì consonante con tali principi l'opzione di queste sezioni unite in tema di usi bancari e di anatocismo di cui alla già citata sentenza n. 21095 del 2004, ove si legge che l'eventuale difesa del convenuto finalizzata a rilevare determinati profili di nullità, o a non individuarne affatto, non preclude il potere officioso del giudice di indagare e dichiarare, sotto qualsiasi profilo, la nullità del negozio (nel medesimo senso, ancora, in tema di abusivo riempimento di moduli da parte della banca quanto alle dichiarazioni di aumento delle fideiussioni, Cass. 17257/2013). 6.15.4. Va pertanto affermato il principio della legittimità del rilievo officioso del giudice di una causa diversa di nullità rispetto a quella sottoposta al suo esame dalla parte. 6.16. Il potere di rilevazione officioso del giudice deve essere altresì valutato in relazione alla fattispecie della nullità parziale. 6.16.1. La prevalente giurisprudenza di questa Corte ha sempre adottato, in materia, un orientamento fortemente restrittivo, affermando la eccezionalità dell'effetto estensivo della nullità della singola clausola all'intero negozio (tra le altre, Cass. 16017/2008, 27732/2005, 1189/2003, 4921/1980), e specificando che la pronuncia dichiarativa della nullità dell'intero contratto, a fronte di una domanda che miri all'accertamento della nullità della singola clau CoNTeNzIoSo NAzIoNALe sola, incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione, essendo specifico onere della parte che abbia interesse ad una declaratoria di nullità tout court dimostrare che il contratto non si sarebbe concluso senza tale clausola, giusta disposto dell'art. 1419 c.c. A fronte di tale pressochè unanime orientamento si pone il dictum di cui a Cass. 18 gennaio 1988 n. 32, che, in tema di collegamento negoziale, ha ritenuto applicabile ai contratti collegati la disposizione di cui all'art. 1419 cod. civ., per modo che la nullità parziale del contratto o la nullità di singole clausole di un contratto importa la nullità dei vari contratti collegati, nullità che può essere rilevata d'ufficio, allorchè sia stato accertato il collegamento funzionale tra i negozi stessi. 6.16.2. Anche su questo punto, parte della dottrina mostra di dissentire dalla quasi unanime giurisprudenza. 6.16.3. Si è difatti osservato che, sul piano dei principi, la formulazione dell'art. 1419 c.c., comma 1 non consente di desumere una regola generale dell'ordinamento volta a privilegiare la nullità parziale. 6.16.4. Si sono così indicati due essenziali criteri cui ancorare l'eventuale attività officiosa del giudice: -Il criterio della volontà ipotetica volto alla ricostruzione del probabile e presumibile intento dei contraenti, tenuto conto dell'id quod plerumque accidit, se essi avessero saputo che una parte del negozio era priva di efficacia; -Il criterio del giudizio oggettivo di buona fede (prevalente in altri ordinamenti europei, come quello inglese, dove vige la cd. blue pencil rule, secondo cui le parti nulle di una convenzione devono poter essere cancellate con un semplice tratto di matita affinchè il contratto possa essere conservato), che postula un'attività di tipo controfattuale da parte del giudice volta ad accertare se il vigore del regolamento parziale sia coerente con il modello distributivo di oneri e vantaggi su cui i contraenti avevano consentito, o se, al contrario, la caducazione di parte dell'accordo provochi una tale alterazione dell'economia del contratto che il mantenimento e l'esecuzione del residuo comporterebbero conseguenze obbiettivamente non riconducibili al disegno dell'autonomia privata, attraverso un giudizio di compatibilità tra quanto ancora attuabile e quanto inizialmente convenuto e programmato dalle parti. 6.16.5. A giudizio del collegio, le critiche non colgono nel segno, anche se le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità non possono essere tenute ferme, poichè appaiono fondate sulla sovrapposizione concettuale dei due distinti momenti della rilevazione e della dichiarazione della nullità totale. È innegabile che entrambi i criteri suggeriti dalla dottrina assegnerebbero al giudice un compito assai arduo, sovente inattuabile. È altresì innegabile che quel che rileva, nella specie, è la diversità strutturale del petitum rivolto al giudice: un petitum evidentemente volto alla conservazione e non alla dichiarazione di inefficacia/inesistenza degli effetti negoziali. Ma tali legittime considerazioni -che hanno indotto la giurisprudenza di questa Corte a escludere l'ammissibilità di un potere officioso del giudice - vanno inscritte nella più vasta orbita della dissonanza e della diacronia tra rilevazione e dichiarazione-idoneità all'effetto di giudicato della nullità negoziale. Non v'è, difatti, alcun motivo, sul piano normativo, nè letterale nè logico, per escludere il potere della (sola) rilevazione officiosa di una nullità totale da parte del giudice nell'ipotesi in cui le parti discutano invece della nullità della singola clausola negoziale. e appare probabile che, all'esito di tale rilevazione, una delle parti formuli domanda di ac RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 certamento di nullità totale dell'atto secondo le modalità indicate dagli artt. 183 e 101 c.p.c. L'ipotesi residuale, per cui entrambe le parti insistano nella originaria domanda di accertamento di una nullità soltanto parziale del contratto, vedrà il giudice vincolato ad una pronuncia di rigetto della domanda, poichè, al pari della risoluzione, della rescissione e dell'annullamento, non può attribuire efficacia, neppure in parte - fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale - una (parte di) negozio radicalmente nullo. 6.17. L'ipotesi speculare -quella secondo cui, chiesta dalle parti la declaratoria di nullità totale del contratto, il giudice potrebbe dichiarare la nullità parziale senza incorrere in un vizio di ultrapetizione: così Cass. 16017/2008 - si presta a non difformi conclusioni. 6.17.1. Premessa la condivisibilità delle critiche mosse alla soluzione adottata con la citata sentenza -in ragione della diversità della tutela richiesta, volta che la nullità totale comporta un effetto dichiarativo di caducazione del rapporto negoziale e dei suoi effetti, mentre quella parziale mira ad un effetto conservativo di parte del negozio, così che una declaratoria di nullità parziale finirebbe per contrastare irrimediabilmente con il petitum attoreo -, va peraltro osservato come, anche in questo caso, il potere-dovere del giudice si limiti alla rilevazione di una fattispecie di nullità parziale, lasciando poi libere le parti di mantenere inalterate le domande originarie. Ma è del tutto evidente che, confermate in sede di precisazione delle conclusioni le domande di nullità totale, non sarà in alcun modo consentito al giudice, attraverso l'emanazione di una non richiesta sentenza "ortopedica", una inammissibile sovrapposizione del proprio decisum alla valutazione e alle determinazioni dell'autonomia privata espresse in seno al processo. 6.18. A non dissimili conclusioni deve pervenirsi in tema di conversione del negozio nullo. Si è di recente ritenuto di offrire risposta positiva alla questione della relativa rilevabilità officiosa, sostenendosi che, ove il giudice dichiari la nullità del contratto, le parti resterebbero spogliate della facoltà di avvalersi dell'art. 1424 c.c., vedendosi così precluso il risultato di conseguire l'assetto di interessi dapprima divisato. 6.18.1. L'argomentazione, pur suggestiva, non può essere condivisa. I poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale, difatti, non possono estendersi alla rilevazione (non più di un vizio radicale dell'atto, ma anche) di una possibile conversione del contratto in assenza di esplicita domanda di parte. È decisivo, in tal senso, il dato testuale dell'art. 1424 c.c., a mente del quale il contratto nullo può (non deve) produrre gli effetti di un contratto diverso. La rilevazione della eventuale conversione, difatti, esorbiterebbe dai limiti del potere officioso di rilevare la nullità (i.e. di rilevare la inattitudine genetica dell'atto alla produzione di effetti), ma si estenderebbe, praeter legem, alla rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione negoziale. Soluzione del tutto inammissibile, in mancanza di un'istanza di parte, poichè in tal caso è di una dimensione di interessi soltanto individuali che si discorre, diversamente che per la nullità tout court (in tal senso, Cass. 195/1969, 3443/1973, 2651/2010, 6633/2012, nonchè Cass. 10498/2001 in tema di conversione del licenziamento nullo in recesso ad nutum, "da eccepirsi ritualmente e tempestivamente da parte del datore di lavoro", e Cass. 6004/2008 che ha escluso la facoltà del giudice, che aveva accertato la nullità di una cessione d'uso perpetuo di posti d'auto all'interno di un condominio, di convertire il relativo negozio in un contratto costitutivo di un diritto d'uso trentennale avvalendosi del disposto dell'art. 979 c.c., comma 2). 6.18.2. Deve pertanto escludersi che l'orientamento minoritario di cui a Cass. 9102/1991, 5513/1987 e 6632/1987, favorevole alla rilevabilità d'ufficio della conversione, possa trovare ulteriore continuità. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe * 7. i PoteRi DeL GiUDiCe neLLe azioni Di iMPUGnatiVa neGoziaLe 7.1. I rapporti tra nullità negoziale ed impugnative contrattuali vanno così sintetizzati: 1) Il giudice ha l'obbligo di RILEVAREsempre una causa di nullità negoziale; 2) Il giudice, dopo averla rilevata, ha la facoltà di DICHIARARE nel provvedimento decisorio sul merito la nullità del negozio (salvo i casi di nullità speciali o di protezione rilevati e indicati alla parte interessata senza che questa manifesti interesse alla dichiarazione), e RIGETTARE LA DOMANDA -di adempimento, risoluzione, annullamento, rescissione -, specificando in motivazione che la ratio decidendi della pronuncia di rigetto è costituita dalla nullità del negozio, con una decisione che ha attitudine a divenire cosa giudicata in ordine alla nullità negoziale; 3) Il giudice deve RIGETTARE la domanda di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento SENZA RILEVARE - Né DICHIARARE - l'eventuale nullità, se fonda la decisione sulla base della individuata ragione più liquida: non essendo stato esaminato, neanche incidenter tantum, il tema della validità del negozio, non vi è alcuna questione circa (e non si forma alcun giudicato sul)la nullità; 4) Il giudice DICHIARA LA NULLITà del negozio nel dispositivo della sentenza, dopo aver indicato come tema di prova la relativa questione, all'esito della eventuale domanda di accertamento (principale o incidentale) proposta da una delle parti, con effetto di giudicato in assenza di impugnazione; 5) Il giudice DICHIARA LA NULLITà del negozio nella motivazione della sentenza, dopo aver indicato come tema di prova la relativa questione, in mancanza di domanda di accertamento (principale o incidentale) proposta da una delle parti, con effetto di giudicato in assenza di impugnazione; 6) In appello e in Cassazione, in caso di mancata rilevazione officiosa della nullità in primo grado, il giudice HA SEMPRE FACOLTà DI RILEVARE D'UFFICIO LA NULLITà. 7.2. Va infine osservato, prima di ricostruire attraverso un più articolato schema sinottico le varie ipotesi che possono verificarsi nel giudizio di primo grado, come la rilevabilità officiosa delle eccezioni in senso lato risulti posta in funzione di una concezione del processo che solo un'analisi superficiale può ritenere "eccessivamente pubblicistica", e che invece, più pensosamente, fa leva sul valore della giustizia della decisione. 7.3. il PRoCesso Di PRiMo GRaDo A - RILeVAzIoNe eX oFFICIo DeLLA NULLITà DA PARTe DeL GIUDICe (art. 183 c.p.c., comma 4 - art. 101 c.p.c., comma 2) 1) A seguito della rilevazione officiosa del giudice: -La parte PRoPoNe DoMANDA di accertamento della nullità del contratto (in via principale ovvero incidentale); - Il giudice ACCeRTA e statuisce sulla nullità del contratto; - L'accertamento è idoneo al giudicato sulla nullità negoziale; 2) A seguito (e a dispetto) della rilevazione officiosa del giudice: -le parti NoN PRoPoNGoNo DoMANDA DI ACCeRTAMeNTo DeLLA NULLITà, secondo un'ipotesi è definita, nella sentenza 14828/012 e da parte della dottrina, "soltanto residuale", ma comunque meritevole di esame al fine di una complessiva disamina della questione, pur senza ricorrere ad ipotesi di scuola (è il caso dell'attore adempiente per aver versato in toto il corrispettivo in denaro di una compravendita, il quale, nonostante la rilevata nullità, insiste nella domanda di risoluzione per ottenere, oltre alla restituzione della res, anche il ri RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 sarcimento dei danni; ovvero del locatore e del conduttore che abbiano entrambi interesse a che il contratto di locazione, pur indicato loro ex officio come nullo, non sia dichiarato tale, volendo entrambi limitare il giudizio alla questione del pagamento o meno di alcuni canoni, se la questione può risolversi sulla base della ragione più liquida - prescrizione, comprovato adempimento, comprovato inadempimento della controparte); -le parti chiedono al giudice, in sede di precisazione delle conclusioni, di pronunciarsi SULLA SoLA DoMANDA oRIGINARIA; -In dispositivo, il giudice RIGeTTA LA DoMANDA, sic et simpliciter, non potendo pronunciare la risoluzione, l'annullamento, la rescissione di un contratto nullo; -In motivazione, il giudice DICHIARA di aver fondato il rigetto sulla rilevata nullità negoziale: -L'accertamento/dichiarazione della nullità è idoneo alla formazione del giudicato, in sostanziale applicazione (peraltro estensiva) della teoria, di matrice tedesca, del cd. vincolo al motivo portante - possono citarsi, in proposito, i classici esempi della compravendita che non potrà ritenersi esistente rispetto all'obbligo di consegnare la cosa al compratore quando il diritto del venditore al prezzo sia stato negato in conseguenza della (rilevata e) dichiarata nullità del contratto (e viceversa); ovvero della locazione, che, parimenti, non potrà riconoscersi ai fini del pagamento del canone quando il diritto alla consegna della cosa sia stato negato in conseguenza della (rilevata e) dichiarata nullità del contratto. Il vincolo del motivo portante, peraltro, se si ammette che, in motivazione, il giudice possa, in modo non equivoco, affrontare e risolvere, dichiarandola, la tematica della validità/nullità del negozio, non si limiterà ai soli segmenti del rapporto sostanziale dedotti in giudizio in tempi diversi, ma si estenderà a tutti i successivi processi in cui si discuta di diritti scaturenti dal contratto dichiarato nullo (onde la necessità di discorrere di oggetto del processo non soltanto in termini di rapporto, ma anche di negozio fatto storico/fattispecie programmatica). Si evita così il (non agevole) riferimento ai "diritti ed effetti strettamente collegati al giudicato di rigetto da nessi funzionali di senso giuridico", che renderebbe assai arduo il compito del giudice di merito. La sostanziale differenza dell'ipotesi in esame rispetto ad un accertamento pleno iure della nullità negoziale si coglie sotto (il già indagato) aspetto della trascrizione e della (in)opponi- bilità ai terzi dell'effetto di giudicato: l'attore che voglia munirsi di un titolo utile a tali fini dovrà, difatti, formulare, in quello stesso processo, una domanda di accertamento, in via principale o incidentale, della nullità come rilevata dal giudice. 3) A seguito della rilevazione officiosa del giudice di una nullità speciale: -le parti NoN PRoPoNGoNo DoMANDA DI ACCeRTAMeNTo DeLLA NULLITà e chiedono al giudice di pronunciarsi sulla domanda originaria; -Il giudice RIGeTTA (o ACCoGLIe) LA DoMANDA pronunciandosi soltanto su questa: pur avendo rilevato la nullità di protezione in corso di giudizio, non la dichiara in motivazione, limitandosi a rigettare la domanda, ove ne ricorrano i presupposti, per altro motivo, ovvero ad accoglierla, se fondata; -Non v'è accertamento della nullità speciale nella sentenza, dunque non si pone alcun problema di giudicato, attesa la peculiare natura della nullità; 4) A seguito della rilevazione officiosa del giudice: -le parti NoN PRoPoNGoNo DoMANDA DI ACCeRTAMeNTo DeLLA NULLITà e chiedono al giudice di pronunciarsi sulla domanda originaria; -Il giudice ACCoGLIe LA DoMANDA pronunciandosi soltanto su questa: dopo aver rilevato la nullità nel corso del giudizio, egli non la dichiara in motivazione poichè, re melius CoNTeNzIoSo NAzIoNALe perpensa, nel corso del processo, all'esito delle allegazioni e delle prove offerte, si convince che la nullità da lui in origine rilevata era in realtà insussistente e dunque non poteva essere dichiarata (è il caso della nullità per difetto di causa concreta del negozio, la cui esistenza e validità sia successivamente emersa in corso di giudizio); -Si forma il giudicato implicito sulla NoN-NULLITà del contratto, la cui validità non potrà più essere messa in discussione tra le parti in un altro processo, non avendo le parti stesse pur potendolo, nel corso del giudizio di primo grado, a seguito del rilievo del giudice - formulato alcuna domanda di accertamento incidentale, e non essendo, pertanto, loro consentito di venire contra factum proprium, se non abusando del proprio diritto e del processo, abuso il cui divieto assume, ormai, rilevanza costituzionale ex art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. B - MANCATA RILeVAzIoNe eX oFFICIo DeLLA NULLITà DA PARTe DeL GIU- DICe 1. Il giudice ACCoGLIe LA DoMANDA (di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento): la pronuncia è idonea alla formazione del giudicato implicito sulla validità del negozio, (salva rilevazione officiosa del giudice di appello); 2. Il giudice RIGeTTA LA DoMANDA (di adempimento, risoluzione rescissione, annullamento): si forma il giudicato implicito sulla validità del negozio, salvo il caso in cui (ed è quello di specie) la decisione non risulti fondata sulla ragione cd. "più liquida", del cui fondamento teorico la processualistica italiana è tributaria di Bruno Rimmerlspacher, e la cui ratio appare efficacemente distillata nel disposto dell'art. 187 c.p.c., comma 2 e dell'art. 111 Cost. e altrettanto efficacemente evidenziata nella recente giurisprudenza di questa Sezioni Unite (Cass. 9.10.2008, n. 24883, in motivazione). L'adozione di una decisione sulla base della ragione più liquida (la prescrizione del diritto azionato, l'adempimento, la palese non gravità dell'inadempimento, l'eccepita compensazione legale) a fronte di una eventualmente complessa istruttoria su di una eventuale quaestio nullitatis postula che il giudice non abbia in alcun modo scrutinato l'aspetto della validità del contratto, con conseguente inidoneità della pronuncia all'effetto di giudicato sulla non-nullità del contratto (alla medesima soluzione si perverrà ove la quaestio nullitatis sia stata oggetto di mera difesa o di semplice eccezione da parte del convenuto, nel qual caso il giudice non avrà nessun obbligo di pronuncia in ordine ad essa, potendo ancora una volta decidere in base alla ragione più liquida, tale obbligo di pronuncia nascendo, di converso, soltanto in presenza di apposita domanda). 3. Il giudice RIGeTTA LA DoMANDA (di adempimento, risoluzione rescissione, annullamento). Il giudicato implicito sulla non nullità del negozio si forma (in tutti gli altri casi) se, nella motivazione, egli accerti e si pronunci non equivocamente nel senso della validità del negozio. 4. Il giudice RIGeTTA LA DoMANDA, essendo stato SIN DALL'oRIGINe investito di una domanda di nullità negoziale, senza aver rilevato ALCUNA ALTRA CAUSA DI NULLITà NeGozIALe - L'accertamento della non nullità del contratto è idonea al passaggio in giudicato, di talchè, in altro giudizio, non potrà essere ulteriormente addotta, a fondamento del- l'azione, una diversa causa di nullità. * 7.4. Le soluzioni adottate dal collegio sul tema dei rapporti tra rilevazione officiosa della nullità e azioni di impugnativa negoziale offrono implicita risposta all'ulteriore quesito posto alla Corte dall'ordinanza di rimessione 16630/2013 circa la portata dell'onere di conformazione gravante sulle sezioni semplici ai sensi del novellato art. 374 c.p.c., comma 3, onere che deve RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 ritenersi limitato all'applicazione del solo principio di diritto posto a fondamento del decisum delle sezioni unite e che costituisce la ratio decidendi della fattispecie concreta, senza estendersi a tutte le ulteriori argomentazioni svolte in guisa di obiter dictum o comunque contenute nella parte motiva della sentenza. 7.5. Il caso di specie rientra nell'ipotesi sopra considerata sub B - 2. 7.5.1. Ne consegue l'impredicabilità dell'effetto di giudicato conseguente alla pronuncia sulla domanda di risoluzione del contratto di rendita vitalizia, fondata sulla ragione più liquida senza che il giudice abbia, in motivazione, nè rilevato nè dichiarato la nullità del negozio. 7.5.2. Ne consegue il rigetto del quarto motivo del ricorso principale, non emergendo dagli atti di causa -cui la Corte ha accesso essendo denunciato un vizio processuale -alcun elemento dal quale evincere che il Tribunale di Padova, investito della domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di rendita vitalizia nel contesto del procedimento definito con la sentenza n. 1187 del 1992, abbia affrontato la tematica della validità/invalidità degli atti negoziali sottoposti al suo esame. 7.5.3. Ne consegue la speculare fondatezza del ricorso incidentale, di tal che le domande di restituzioni proposte con esso devono essere accolte. Tali restituzioni vanno disposte da questa stessa Corte con decisione nel merito, non risultando all'uopo necessari ulteriori accertamenti di fatto. * 8. Tutti i restanti motivi del ricorso principale devono essere respinti. 8.1. Va preliminarmente dichiarata la inammissibilità del terzo motivo di ricorso, con il quale viene oggi riproposta al collegio una censura già esaminata e dichiarata inammissibile (onde l'effetto di giudicato) da questa Corte regolatrice con la sentenza 10049/2008 (si tratta della doglianza relativa alla asserita nullità del processo e della sentenza per non avere il GoA dichiarato in primo grado l'estinzione del giudizio a motivo della tardiva costituzione dell'erede Sa. dopo la morte della sua dante causa); 8.2. Del pari inammissibile (prima ancora che palesemente infondato nel merito) risulta il sesto motivo del ricorso, con il quale viene censurata la sentenza emessa in sede di rinvio, nel contempo, per un vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di appello (poichè la corte lombarda aveva ritenuto assorbito il sesto motivo di appello in quanto relativo a temi correlati alla domanda di annullamento del contratto di rendita vitalizia), per un difetto di ultrapetizione (per avere il giudice bresciano pronunciato su di una causa di nullità non prospettata dall'attrice), ed ancora, nello svolgimento del motivo, per una pretesa insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e ciò in spregio alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che, in subiecta materia, ha evidenziato in più occasione la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da tale, irredimibile eterogeneità. 8.3. Infondato appare il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia una pretesa violazione, da parte della Corte territoriale, del principio di intangibilità della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata da questo giudice di legittimità nel 2008. Ma nessun fraintendimento del contenuto del dictum di legittimità risulta nella specie imputabile ai giudici del rinvio, che hanno correttamente interpretato il senso di quella decisione in termini di necessità di un nuovo e irrinunciabile accertamento del requisito dell'alea con riferimento al contratto di rendita vitalizia, in relazione alla situazione obbiettiva configurabile alla data di perfezionamento del contratto (così, testualmente, la sentenza oggi impugnata al folio 25 della motivazione). Nè va trascurato di considerare, sotto altro profilo, il principio di diritto secondo CoNTeNzIoSo NAzIoNALe cui, qualora l'accoglimento in parte qua del ricorso per cassazione abbia riguardo ad un vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata, il merito della controversia resta del tutto impregiudicato, onde la legittimità della prospettazione di nuove questioni relative ad esso (ex multis, Cass. 15629/2006, affermativa di un principio di diritto cui il collegio intende dare continuità). 8.4. Del pari immeritevole di accoglimento (pur volendo prescindere dai non marginali profili di inammissibilità che lo caratterizzano, attesa la rinnovata coesistenza di plurime ed eterogenee censure, che denunciano presunte violazione di legge insieme con asseriti vizi strettamente motivazionali) risulta il secondo motivo di ricorso, e ciò tanto nella parte in cui esso ripropone (infondatamente) la questione del preteso giudicato interno scaturente dalla già ricordata pronuncia di questa Corte del 2008 sotto il profilo dell'accertamento del rischio nel contratto di vitalizio, quanto in quella con cui pone questioni di ermeneutica contrattuale che non colgono nel segno, avendo il giudice di merito fatto buon governo dei principi posti a presidio dell'attività interpretativa dei contratti. Il motivo, sì come articolato, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolve, in realtà, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 nella parte in cui il giudice del merito ha (del tutto correttamente) ritenuto di riesaminare il merito della causa secondo le indicazioni ricevute dalla sentenza di legittimità, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo così all'impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. È principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo -sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica -delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedi- mentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente a porsi dinanzi al giudice di legittimità. In particolare, poi, quanto allo specifico profilo dell'interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento al contenuto del complesso tessuto negoziale per il quale è processo, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice va in questa sede ribadito che, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza e logicità della motivazione addotta (tra le tante, di recente, Cass. n. 2074/2002): l'indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi, nella specie, entrambi impredicabili), con la conseguenza che deve essere negato ingresso ad ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati. 8.5. Infondato risulta ancora il quinto motivo di ricorso - con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1418 c.c., artt. 99, 100, 115, 116, 214, 215 e 221 c.p.c., artt. 1326, 1362 ss., 1704, 1722 e 1723 c.c., e la nullità della sentenza impugnata per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - avendo la Corte territoriale correttamente applicato i principi di diritto dettati in tema di nullità negoziale, con specifico riguardo agli effetti riflessi della pronuncia di invalidità del contratto di vitalizio tanto sulla procura speciale conferita da P.P. a M.G. quanto sulla compravendita del 20.11.1985, con la quale quest'ultima cedette la nuda proprietà dell'immobile ancor oggi oggetto di controversia ai coniugi B. - S. (compravendita nulla per difetto, da parte della dante causa, della facoltà di disporre in conseguenza della nullità originaria del contratto di rendita vitalizia del precedente 5 dicembre 1984). 8.6. il settimo motivo di ricorso risulta, infine, assorbito dalla integrale compensazione delle spese dell'intero procedimento disposta in questa sede. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale e, decidendo nel merito, accoglie la domanda di restituzione così come proposta, condannando i ricorrenti alle dovute restituzioni. Dichiara interamente compensate tra tutte le parti costituite le spese dell'intero procedimento. Così deciso in Roma, il 8 aprile 2014. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe Permessi di soggiorno per motivi umanitari: la rilevanza della integrazione sociale. il contenzioso, la sentenza della Corte di Cassazione, la giurisprudenza dei giudici di merito UNO SCAMbIO DI EMAIL SU CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE, SENTENZA 23 FEbbRAIO 2018 N. 4455 Da: Lorenzo D'Ascia Inviato: giovedì 1 marzo 2018 18:24 A: Avvocati_tutti oggetto: Permesso di soggiorno per motivi umanitari - Cass., Sez. I civ., n. 4455/2018 Sul contenzioso dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, allego la sentenza n. 4455/2018 della I sezione della Corte di Cassazione, che si pronuncia in maniera compiuta sul tema della rilevanza o meno dell’avvenuta integrazione sociale maturata in Italia dai richiedenti protezione internazionale (spesso anche grazie ai servizi di assistenza forniti o finanziati da soggetti pubblici) nelle more della conclusione del procedimento amministrativo. In molte sentenze dei giudici di merito (e, per la verità, anche in qualche pronuncia della Cassazione) si è ultimamente affermato che, una volta accertato che un richiedente asilo non ha diritto alla protezione internazionale, la raggiunta integrazione sociale in Italia darebbe diritto di per sè a un permesso per motivi umanitari. Alla Corte di Cassazione avevamo chiesto un intervento che negasse ogni rilevanza all’integrazione sociale maturata dai richiedenti; la sentenza n. 4455/2018 ha accolto il ricorso affermando che l’integrazione può assumere rilevanza ai fini dell’accertamento della vulnerabilità del richiedente, ma non in maniera esclusiva, bensì in comparazione con la condizione di partenza del richiedente, che deve essere connotata comunque da un rischio di compromissione dei suoi diritti fondamentali inalienabili. Pur non essendo, in linea di principio, del tutto soddisfacente (dal momento che l’integrazione sociale pare davvero un fuor d’opera), la sentenza della Cassazione riafferma con forza che, ai fini della concessione della protezione umanitaria, è sempre necessario verificare la sussistenza nel Paese di origine di un rischio specifico per il richiedente di una “significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili”. In particolare, nella sentenza n. 4455/2018 la Corte di Cassazione ha ravvisato i seguenti parametri di accertamento del presupposto della protezione umanitaria: 1) “situazione oggettiva del Paese di origine in cui vi sia una effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento del richiedente”: ossia una “situazione d’instabilità politico-sociale che esponga a situazioni di pericolo per l’incolumità personale, anche non rientranti nei RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 parametri del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 o a condizioni di compromissione dell’esercizio dei diritti fondamentali riconducibili alle discriminazioni poste a base del diritto al rifugio politico, ma non aventi la peculiarità della persecuzione personale potenziale od effettiva” ; oppure: 2) “la mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa” : ad esempio: a) la “esposizione seria alla lesione del diritto alla salute” ; b) una “situazione politico-economica molto grave con effetti d’impoverimento radicale riguardanti la carenza di beni di prima necessità, di natura anche non strettamente contingente” ; c) “una situazione geo-politica che non offre alcuna garanzia di vita all’interno del paese di origine (siccità, carestie, situazioni di povertà inemendabili)”. Queste condizioni peraltro non possono essere accertate, genericamente, con riferimento alla situazione complessiva del Paese d’origine, ma devono “necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 cit.”. I giudici di merito dovranno quindi prendere posizione, sulla base di elementi di prova sufficienti, sulla condizione personale dei richiedenti, non potendo limitarsi a richiamare una generalizzata situazione di malessere o povertà in un determinato Paese, accompagnata o meno alla creazione di legami sociali o lavorativi con il Paese di accoglienza. Quanto al livello di integrazione lavorativa e sociale raggiunta dal richiedente, la Corte ha precisato, che “non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili”. Il livello di integrazione sociale non può, dunque, avere una valenza esclusiva per il riconoscimento della protezione umanitaria, potendo solo “concorrere a determinare una condizione di vulnerabilità che, sulla base di elementi legati alla vicenda personale del richiedente, deve essere apprezzata nella sua individualità e concretezza”. È auspicabile che i giudici di merito si attengano a questi principi, ridu CoNTeNzIoSo NAzIoNALe cendo drasticamente le sentenze di riconoscimento generalizzato della protezione umanitaria. avv. Lorenzo D’Ascia Avvocatura Generale dello Stato Da: Massarelli Ilia Inviato: giovedì 1 marzo 2018 18:50 A:D'Ascia Lorenzo; Avvocati_tutti oggetto: R: Permesso di soggiorno per motivi umanitari - Cass., Sez. I civ., n. 4455/2018 Salutiamo con favore questa sentenza. Anche se purtroppo già immagino l’applicazione che ne verrà fatte da molte Corti d Appello ... non molto dissimile da quella che già fanno .... soprattutto in punto di integrazione sociale. Sto aspettando una pronuncia proprio su questo specifico profilo (integrazione economico sociale/migrante economico). avv. Ilia Massarelli Avvocatura Generale dello Stato Da: Giuffredi Loredana Data:01/03/2018 20:47 (GMT+01:00) A: Massarelli Ilia , Avvocati_tutti oggetto: Re: Permesso di soggiorno per motivi umanitari - Cass., Sez. I civ., n. 4455/2018 ... la Corte d'appello di Bologna (in riforma dell'opposto prevalente orientamento del locale Tribunale), è del tutto (sino ad ora, ma la sentenza del 2018 della Cassazioneci farà perdere i risultati positivi raggiunti in questo Distretto) fuori dal coro, come mi pare anche quella di Torino. Con ordinanza 13 novembre 2016 in R.G. 13726/2015 il Trib. Bologna ha affermato: "la circostanza che il ricorrente si sia ben ambientato in Italia, stia studiando la lingua italiana e partecipando ad un corso per apprendere un mestiere -tutti fatti certamente encomiabili -non possono però porre il cittadino straniero in una posizione di particolare vulnerabilità che sconsigli il suo rientro in Patria e ai fini della valutazione relativa al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. “Infine, il ricorrente ha 24 anni ed è ormai un uomo adulto”. In caso di “individuo di personalità formata, età vigorosa e buona salute, non è ravvisabile alcuna situazione di carattere umanitario” (Corte Appello Bologna 14 marzo 2017 n. 652). Come motivato dalla Corte d’Appello di Bologna, Sez. 2^, con sentenza n. 264/15 del 23 gennaio 2015, “pur dovendo riconoscersi che l’art. 32 comma RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 3 cit. contiene una norma di chiusura volta a consentire la protezione dello straniero in tutti i casi in cui non sussistono i presupposti per lo status di rifugiato e per la protezione sussidiaria, non può peraltro dilatarsi la portata della previsione normativa fino a rimetterla alla mera discrezione del soggetto chiamato a farne applicazione, autorità amministrativa o autorità giudiziaria, onde evitare che il riconoscimento della protezione dipenda da scelte od opinioni personali e per garantire, al tempo stesso, una indispensabile esigenza di certezza giuridica”. Come puntualmente rilevato da Corte Appello Bologna 12 ottobre 2017, n. 2375: “non può che constatarsi come sarebbe oltremodo contraddittorio ritenere che i tempi necessari al completamento della procedura di riconoscimento della protezione internazionale (comprese le eventuali fasi giurisdizionali), i quali sono volti a garantire nel modo più ampio possibile proprio la posizione dell’istante, possano di per sé far sorgere un diritto alla permanenza indefinita sul territorio dello Stato”. Irrilevante poi che il ricorrente stia imparando la lingua italiana o si sia “adoperato” per svolgere servizi messi a disposizione dal territorio per i richiedenti asilo, ecc., in quanto “il percorso di integrazione intrapreso è sintomatico né più né meno del semplice rispetto delle regole del vivere civile all’interno di un Paese diverso dal proprio, che fornisce assistenza ed ospitalità” (Trib. Bologna 7 settembre 2016 in R.G. 6793/2016). Ha rigettato analogo ricorso e negli stessi termini la Corte appello Torino n. 1599/2017: “l’aver svolto tirocini formativi o attività lavorative o di volontariato null’altro indicano se non l’utilizzo da parte del richiedente asilo degli strumenti messi a sua disposizione dal sistema accoglienza e, in particolare, da quanto previsto dal Dlgs 18/08/2015 n. 142 in attuazione della Direttiva 2013/337 UE. L’art. 22 di detto decreto consente lo svolgimento da parte dei richiedenti asilo di attività di istruzione o lavorative, ma esclude anche espressamente che esse costituiscano causa di riconoscimento del titolo di protezione richiesto, avendo invece, il diverso scopo di consentire allo straniero di condurre una vita attiva nella fase necessaria per il completamento della procedura della domanda di protezione”. Ancora: “Con la sentenza n. 15466/14 la Corte di Cassazione ha chiarito che il presupposto per concedere la protezione c.d. umanitaria è rappresentato da situazioni di vulnerabilità non rientranti nelle misure tipiche o perché aventi il carattere della temporaneità, o perché vi è un impedimento al riconoscimento della protezione sussidiaria o, infine, perché caratterizzate da un’esigenza comunque qualificabile come umanitaria (problemi sanitari etc.). Non si ritiene che tra tali esigenze rientri quella del lavoro o di un tenore di vita idoneo al benessere proprio e della propria famiglia poiché alla tutela di tali esigenze è preordinata la disciplina del soggiorno per motivi di lavoro” (Corte Appello Bologna 12 giugno 2017 n. 1400). CoNTeNzIoSo NAzIoNALe “L’aver intrapreso un fattivo ed intenso percorso di integrazione sociale in Italia, poi, non pare possa assumere rilevanza ai fini del riconoscimento della misura della protezione umanitaria, la quale postula non tanto una situazione di meritevolezza del richiedente in Italia ma un pericolo di lesione dei suoi diritti fondamentali in caso di rientro nel Paese di origine, pericolo, peraltro, da escludersi nella specie per quanto argomentato in precedenza” (Corte Appello Bologna 12 giugno 2017 n. 1402). “L’affermazione fatta dal Tribunale sul positivo inserimento del ricorrente nel contesto del Paese ospitante è da reputarsi elemento estraneo alla valutazione della richiesta di protezione in esame” (Corte d’appello Bologna, sent. 17 marzo 2016 n. 463). Con ordinanza 21 settembre 2017 in R.G. 2016/14904, sempre il Trib. di Bologna ha affermato: “la permanenza in Italia che si sta protraendo da tempo non può essere considerata, di per sé, in assenza di specifici elementi caratterizzanti il caso in esame, motivo per giustificare la protezione umanitaria, trattandosi di dato, autonomamente considerato, privo di un significato proprio, in quanto collegato ad elementi del tutto casuali”. In termini anche Corte Appello Bologna 2 agosto 2017 n. 1801 che ha ribadito che “la protezione internazionale non è un “premio” allo sforzo di successivo inserimento del ricorrente”. Infatti, come ben ritenuto dalla Cassazione con ordinanza 21 dicembre 2016 n. 26641, con cui ha rigettato una domanda d’asilo, “né rilevano, all’evidenza, le prospettive d’integrazione in Italia, in mancanza del diritto di soggiornarvi”. "La ricerca di un futuro migliore, se pur umanamente più che comprensibile, non è titolo per l’ottenimento dei provvedimenti di protezione richiesti” (Corte appello Bologna 6 ottobre 2017 n. 2278; in termini ex multis Corte appello Bologna 10 ottobre 2017 n. 2348; Corte appello Bologna 12 ottobre 2017 n. 2371, Corte appello Bologna 4 dicembre 2017 n. 2873). Queste sono solo alcune; ne ho numerosissime altre favorevoli e mi auguro che la questione, portata alle Sezioni Unite, venga decisa al più presto. avv. Loredana Giuffredi Avvocatura dello Stato di Bologna Cassazione civile, sez. i, sentenza 23 febbraio 2018, n. 4455 -Pres. Francesco Tirelli, Rel. Maria Acierno, P.M. Francesca Ceroni (conforme) -Min. Interno (avv. Stato Lorenzo D’Ascia) c. Y.M. FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza n. 1238 del 15 dicembre 2016 la Corte d'appello di Bari, investita dell'impugnazione proposta da Y.M., cittadino gambiano, avverso l'ordinanza del Tribunale della medesima città, ha riconosciuto allo stesso il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6. Accertata l'insussistenza del di RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 ritto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, la Corte territoriale ha tuttavia rilevato, a sostegno della decisione, che lo straniero si trova in Italia da oltre tre anni, è pienamente integrato nel nostro tessuto sociale e ha un lavoro stabile con un'adeguata retribuzione. Inoltre, il rimpatrio forzoso nel Paese d'origine lo esporrebbe a una situazione di particolare vulnerabilità, stante la grave situazione di compromissione dei diritti umani ivi presente. 2. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'interno sulla base di un unico motivo. Non ha svolto difese l'intimato. 3. L'Amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, evidenziando che la Corte d'appello ha erroneamente valorizzato, quali presupposti del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l'integrazione sociale dello straniero e la generica compromissione dei diritti umani cui egli sarebbe esposto in caso di rientro in Gambia. Da un lato, il livello di integrazione dello straniero -che soggiorni provvisoriamente in Italia in attesa che venga definita la sua domanda di protezione internazionale - non può costituire, di per sè solo, un motivo di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari; dall'altro, la compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza non è sufficiente a giustificare la protezione umanitaria in mancanza di uno specifico rischio personale del richiedente. 4. Il ricorso è, nei limiti che si esporrano, fondato. 4.1. Il quadro normativo interno. Giova in primo luogo premettere che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è regolato, nei suoi presupposti, dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Testo unico dell'immigrazione), che stabilisce che "il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione". Parimenti il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, lett. c-ter), regola il rilascio da parte della Questura di tale titolo di soggiorno su richiesta del parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale o previa acquisizione di documentazione riguardante i motivi della richiesta stessa, "relativi ad oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale". Infine, l'art. 28, lett. d), D.P.R. 394 cit., disciplina l'ipotesi del rilascio del permesso umanitario nei casi - stabiliti, a loro volta, dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 -in cui non possa disporsi l'allontanamento verso un altro Stato a cagione del rischio di persecuzioni o torture, in attuazione del principio del non-refoulement sancito dall'art. 19, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali del- l'Unione europea. La L. n. 110 del 2017, art. 3, comma 1, ha introdotto il c. 1.1, dopo il comma 1 dell'art. 19, nel quale è previsto un sostanziale ampliamento delle condizioni di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria essendo stato aggiunto il fondato motivo di essere sottoposti a tortura e, comunque essendo stato espressamente imposto di tenere conto nel giudizio da svolgere delle "violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani". La disposizione non è direttamente applicabile, ratione temporis, al presente giudizio ma è significativo evidenziarne il contenuto e l'attenzione rivolta non tanto alla enucleazione di condizioni soggettive di vulnerabilità quanto alla verifica del livello di tutela o, al contrario, di violazione dei diritti umani nel paese di origine, così da evidenziare l'intangibilità di un nucleo ineliminabile di CoNTeNzIoSo NAzIoNALe essi. Peraltro l'insufficienza della situazione di vulnerabilità intesa in senso astratto e non calato nella complessiva condizione del richiedente tratta da indici soggettivi e oggettivi (questi ultimi riferibili al paese di origine), è rilevabile nel comma 2 bis dell'art. 19, nel quale si precisa, da un lato, che possono sussistere situazioni qualificabili come vulnerabili che non giustificano il riconoscimento della protezione umanitaria e possono determinare il respingimento o l'esecuzione dell'espulsione e dall'altro che a tali misure occorre dare attuazione con modalità compatibili con le singole situazioni personali debitamente accertate. 4.2. Le caratteristiche generali della protezione umanitaria. La protezione umanitaria, in conclusione, costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia, come rende evidente l'interpretazione letterale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, (cd. decreto "procedure"), in base a cui "nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale" (nella forma del rifugio o della protezione sussidiaria) e "ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6". Ne discende che la protezione umanitaria è collocata in posizione di alternatività rispetto alle due misure tipiche di protezione internazionale, potendo l'autorità amministrativa e giurisdizionale procedere alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della prima soltanto subordinatamente all'accertamento negativo della sussistenza dei presupposti delle seconde (cfr. Cass. n. 15466 del 7 luglio 2014). 4.3. Il quadro europeo. Pur non avendo un esplicito fondamento nell'obbligo di adeguamento a norme internazionali o europee, tale forma di protezione è tuttavia richiamata dalla Direttiva comunitaria nr. 115/2008, che all'art. 6, par. 4, prevede che gli Stati possano rilasciare in qualsiasi momento, "per motivi umanitari, caritatevoli o di altra natura", un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di una Paese terzo il cui soggiorno è irregolare. La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha altresì chiarito che gli Stati membri possono concedere forme di protezione umanitaria e caritatevole diverse e ulteriori rispetto a quelle riconosciute dalla normativa europea (in particolare la direttiva n. 95 del 13 dicembre 2011, c.d. direttiva "qualifiche"), purchè non modifichino i presupposti e l'ambito di applicazione della disciplina derivata dell'Unione (sent. 9 novembre 2010, caso Germania c. b. e D., C-57/09, C-101/09), com'è stabilito dall'art. 3 della direttiva n. 95/2011, che consente l'introduzione o il mantenimento in vigore di disposizioni più favorevoli in ordine ai presupposti sostanziali della protezione internazionale, purchè non incompatibili con la direttiva medesima. 4.4. Le inferenze. I "seri motivi" di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5, comma 6, cit.), alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass., sez. un., n. 19393/2009 e Cass., sez. un., n. 5059/2017), non vengono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicchè costituiscono un catalogo aperto (Cass. n. 26566/2013), pur essendo tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un'esigenza qualificabile come umanitaria, cioè concernente diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale (cfr. Cass., sez. un., 19393/2009, par. 3). RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 Infine, la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell'asilo costituzionale (art. 10 Cost., comma 3), secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass. 10686 del 2012; 16362 del 2016), unitamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle libertà democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tutt'ora oggetto di ampio dibattito. 5. L'integrazione sociale. Nel caso di specie la Corte d'appello, condividendo un certo orientamento emerso nella giurisprudenza di merito, ha valorizzato, in via del tutto prevalente, l'integrazione sociale dello straniero nel tessuto sociale italiano, tento conto del contesto di generale compromissione dei diritti umani che caratterizza il suo Paese d'origine. Sul punto è necessario rilevare, in primo luogo, che il parametro dell'inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel Paese d'origine, idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili. Con riferimento al caso di specie, il parametro di riferimento non può che cogliersi, oltre che nell'art. 2 Cost., nel diritto alla vita privata e familiare, protetto dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, così come declinato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, senz'altro da includersi nel catalogo (aperto) dei diritti della persona da prendere in esame in sede di riconoscimento della protezione umanitaria. Sotto tale specifica angolazione, al fine di valutare l'esistenza e l'entità della lesione dei diritti contenuti nell'art. 8 Cedu, occorrerà partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Tale punto di avvio dell'indagine, è intrinseco alla ratio stessa della protezione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l'allontanamento. La condizione di "vulnerabilità" può, tuttavia, avere ad oggetto anche la mancanza delle condizioni minime per condurre un'esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un'esistenza dignitosa. L'allegazione di una situazione di partenza di vulnerabilità, può, pertanto, non essere derivante soltanto da una situazione d'instabilità politico-sociale che esponga a situazioni di pericolo per l'incolumità personale, anche non rientranti nei parametri del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 o a condizioni di compromissione dell'esercizio dei diritti fondamentali riconducibili alle discriminazioni poste a base del diritto al rifugio politico, ma non aventi la peculiarità della persecuzione personale potenziale od effettiva. La vulnerabilità può essere la conseguenza di un'esposizione seria alla lesione del diritto alla salute, non potendo tale primario diritto della persona trovare esclusivamente tutela nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 36 oppure può essere conseguente ad una situazione politico-economica molto grave con effetti d'impoverimento radicale riguardanti la carenza di beni di prima necessità, di natura anche non strettamente CoNTeNzIoSo NAzIoNALe contingente, od anche discendere da una situazione geo-politica che non offre alcuna garanzia di vita all'interno del paese di origine (siccità, carestie, situazioni di povertà inemendabili). Queste ultime tipologie di vulnerabilità richiedono, tuttavia, l'accertamento rigoroso delle condizioni di partenza di privazione dei diritti umani nel paese d'origine perchè la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano lai dignità. Ne consegue che il raggiungimento di un livello d'integrazione sociale, personale od anche lavorativa nel paese di accoglienza può costituire un elemento di valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza di una delle variabili rilevanti della "vulnerabiltà" ma non può esaurirne il contenuto. Non è sufficiente l'allegazione di un'esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d'origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell'impedimento all'esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all'interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l'effettività dell'inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L'accertamento della situazione oggettiva del Paese d'origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell'accertamento da compiere. (cfr. Cass. n. 420/2012, n. 359/2013, n. 15756/2013). 6. La valutazione della vulnerabilità. È necessaria, pertanto, una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all'esito di tale giudizio comparativo, risulti un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.). Deve precisarsi, al riguardo, che, così come per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria, incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all'accertamento della situazione oggettiva relativa al paese di origine anche in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria. Del resto all'interno del sistema giurisdizionale relativo alla protezione internazionale, così come regolato dai D.Lgs n. 251 del 2007 e D.Lgs. n. 25 del 2008 e successive modificazioni, la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità poste a base della protezione umanitaria deve essere verificata officiosamente dalle Commissioni territoriali (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32) quando non vi siano i requisiti per lo status di rifugiato e per la protezione sussidiaria, non operando, in tale fase del procedimento, il principio dispositivo. Correlato a tale caratteristica propria soltanto dell'accertamento delle condizioni di vulnerabilità ai fini della protezione umanitaria, è il dovere d'integrazione istruttoria officiosa che permea anche nella fase giurisdizionale di merito l'accertamento delle condizioni soggettive ed oggettive riguardanti la protezione umanitaria. Tale peculiare accertamento, una volta verificata la proposizione della domanda in via subordinata od esclusiva, rivolta al riconoscimento di un permesso di natura umanitaria, impone al giudice di verificare se le allegazioni RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 e le complessive acquisizioni istruttorie, pur se predisposte normalmente in funzione del riconoscimento degli status tipici, non conducano all'accertamento di una condizione qualificata di vulnerabilità, ai fini della verifica della quale non è necessaria, oltre alla formulazione della domanda, un corredo ulteriore di allegazione e prova. La rilevata conformazione della ripartizione dell'onus probandi non consente, tuttavia, di eludere la necessità della valutazione comparativa che prenda le mosse dalla condizione attuale del paese di origine al fine di porla in relazione con la conquistata condizione d'integrazione socio economica e di verificare se il rientro determini la specifica compromissione dei diritti umani adeguatamente riconosciuti e goduti nel nostro paese. 7. Il giudizio comparativo. Meritano pertanto di essere condivisi i rilievi svolti dall'Amministrazione ricorrente secondo i quali, se assunti isolatamente, nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza integrano, di per sè soli e astrattamente considerati, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione in questione. Deve, infatti, osservarsi che il diritto al rispetto della vita privata tutelato dall'art. 8 CeDU al pari del diritto al rispetto della familiare può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l'applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (com'è il caso di specie) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (Corte eDU, sent. 8 aprile 2008, ric. 21878/06, caso Nnyanzi c. Regno Unito, par. 72 ss.). Al riguardo un riscontro normativo indiretto della necessità di operare un bilanciamento in sede di riconoscimento della protezione umanitaria è fornito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma quarto; art. 9, comma 2; e art. 15, comma 2, nei quali sono considerati "gravi motivi umanitari" quelli che comportano un vero e proprio impedimento al ritorno nel Paese d'origine. Tali norme, riguardanti rispettivamente il rifugio politico e la protezione sussidiaria, prevedono che, se il richiedente ha già subito persecuzioni o danni gravi ma sussistano elementi per ritenere che non li subirà più in futuro, non può comunque negarsi il riconoscimento dello status qualora sussistano i gravi motivi umanitari; per la medesima ragione non può disporsi la cessazione dello status che sia stato già riconosciuto pur a fronte di un mutamento delle circostanze iniziali. Parimenti il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, lett. c-ter), e art. 28, lett. d), sopra richiamati, pongono a fondamento del permesso umanitario l'esistenza di fattori impeditivi al rimpatrio. Inoltre, il parametro dell'inserimento sociale e lavorativo dello straniero ancorerebbe tale forma di soltanto a circostanze di carattere stabile e tendenzialmente permanente, mentre il complessivo regime giuridico proprio delle misure di natura umanitaria sembra ispirato alla tutela di situazioni tendenzialmente transitorie e in divenire, come si evince del D.P.R. n. 21 del 2015, art. 14, comma 4, che stabilisce il rilascio da parte del Questore di "un permesso di soggiorno di durata biennale" ove la Commissione nazionale, in sede di cessazione o revoca dello status di protezione internazionale riconosciuto, accerti la sussistenza di "gravi motivi di carattere umanitario". In ciò si coglie la differenza decisiva rispetto agli status di protezione internazionale, al cui riconoscimento consegue, invece, la concessione di un permesso di soggiorno di durata quinquennale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 23), che costituisce titolo, al concorrere degli altri requisiti previsti, per il rilascio di un permesso di sog CoNTeNzIoSo NAzIoNALe giorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, facoltà che viene espressamente esclusa per coloro che sono titolari di un permesso umanitario (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, comma 3, lett. b)). Quanto, invece, al secondo aspetto, relativo alla generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza, esso costituisce un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente, come si evince pure dal già richiamato comma 1.1 del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che nella verifica della sussistenza del rischio di sottoposizione a tortura in caso di rimpatrio, impone la valutazione dell'esistenza, nello Stato verso cui il soggetto si troverà ad essere allontanato, di "violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani". Tale elemento, tuttavia, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui all'art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 cit., che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei "seri motivi" attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare suddetti fattori di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 7492/2012, par. 3). 8. Conclusioni. A tale accertamento la Corte d'appello si è sostanzialmente sottratta, avendo fatto discendere il riconoscimento della protezione umanitaria da presupposti che, per i motivi anzidetti, non possono essere considerati in via esclusiva, ma soltanto come elementi che possono concorrere a determinare una condizione di vulnerabilità che, sulla base di elementi legati alla vicenda personale del richiedente, deve essere apprezzata nella sua individualità e concretezza. 9. Principio di diritto. In conclusione il ricorso deve essere accolto nei limiti indicati in motivazione. Il provvedimento impugnato deve essere cassato con rinvio alla Corte d'Appello di Bari perchè si attenga al seguente principio di diritto: "Il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dall'art. 5, comma 6; art. 19, comma 2 T.U. n. 286 del 1998 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d'integrazione sociale nel nostro paese, non può escludere l'esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza. P.Q.M. Accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 dicembre 2017. RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 Una causa su ricongiungimento familiare e adozione “nazionale”. L’atto defensionale dell’avvocatura TRIbUNALE DI PADOVA, ORDINANZA 27 FEbbRAIO 2018, N.R.G. 6543/2017 In tema di ricongiungimenti familiari e in particolare di adozioni nazionali avvenute in altri Paesi e fatte valere dai genitori adottivi residenti in Italia ai fini del visto d’ingresso richiesto per i presunti figli adottivi - così aggirando le più restrittive procedure di adozione internazionale di competenza della C.A.I. -, la decisione in rassegna resa dal Tribunale di Padova. La decisione nega l’automatica riconoscibilità dell’adozione nazionale ghanese quando sia stata disposta, come peraltro la maggior parte delle adozioni in Ghana, sulla sola base delle norme consuetudinarie (di natura tribale) ivi vigenti, con la stringata, ma pregnante motivazione che il vincolo di filiazione così sancito dall’ordinamento straniero “non è compatibile con i principi dell’ordinamento interno”. Il giudice di merito pare porre, altresì, le prime basi per sconfessare l’orientamento di Cassazione finora sfavorevole che si era formato con riferimento specifico all’istituto della kafala dei Paesi islamici (1). beatrice Favero* CT 3324/2017/FA TRIBUNALe DI PADoVA ud. 27.2.2018 ore 11:30 - R.G. 6543/2017 MeMoRIA AUToRIzzATA nel procedimento instaurato ex art. 30, comma 6, T.U. Immigrazione per Il MINISTeRo DeGLI AFFARI eSTeRI, C.F. 80213330584 rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia, C.F. 94026160278, presso cui è domiciliato in Venezia alla Piazza San Marco n. 63 indicandosi altresì per le comunicazioni processuali la disponibilità a ricevere presso il fax +39 040.361109 e l’indirizzo PeC ads.ve@mailcert.avvocaturastato.it, - resistente contro Il sig. o.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Chiara Busani del Foro di Modena, (*) Procuratore dello Stato. (1) “Non può essere rifiutato il nulla osta all’ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell’interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di Kafalah pronunciato dal giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito” Cass. civ., Sez. Un., sent. 16 settembre 2013 n. 21108. Cfr. G. VASSALLo, Anche l’affidamento in Kafalah consente il ricongiungimento familiare, in www.altalex.com. CoNTeNzIoSo NAzIoNALe presso lo studio della quale in via Nonantolana n. 192, Modena, è elettivamente domiciliato, - ricorrente * * * Con il ricorso avverso viene chiesto l’annullamento del provvedimento di diniego del visto d’ingresso a favore di P.P. emesso dall’Ambasciata d’Italia ad Accra, Ghana, il 27 giugno 2014, n. prot. 935/2014. * * * Il patrocinio dello Stato, avvalendosi della facoltà concessa da codesto Tribunale all’udienza di prima comparizione dello scorso 7 novembre 2017, ritiene di formulare le presenti difese integrative, dirette a chiarire i motivi dell’infondatezza del ricorso originario nonché le ragioni per le quali è radicalmente escluso per l’Amministrazione la possibilità di agire in autotutela nel senso richiesto da controparte e sollecitato alla scorsa udienza anche da codesto Giudice. In particolare, infatti, l’istanza di revisione in sede di autotutela presentata il 9 gennaio 2018 dall’Avvocato Chiara Busani ha dato luogo ad un attento riesame dell’intera pratica al termine del quale è stato emesso un nuovo e più circostanziato provvedimento di diniego, basato su tutte le circostanze di cui ora si darà conto. Si premette che i ricorrenti, regolarmente residenti in Italia dal 2001, tanto da aver recentemente acquisito la nazionalità italiana, sono sottoposti alle norme dell’ordinamento italiano per quanto riguarda le adozioni internazionali, in particolare alla legge 4 maggio 1983 n. 184, come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476. All’art. 29 bis comma 1, tale legge, prevede che “le persone residenti in Italia che si trovano nelle condizioni prescritte dall’art. 6 e che intendono adottare un minore straniero residente all’estero, presentano dichiarazione di disponibilità al Tribunale dei Minorenni del distretto in cui hanno la residenza e chiedono che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione”. Una volta ottenuto tale decreto d’idoneità, il cittadino italiano o straniero dovrà dare incarico ad uno degli enti autorizzati ad operare nel campo dell’adozione internazionale per adottare un minore. Infine, gli interessati dovranno chiedere un nulla osta alla Commissione per le Adozioni Internazionali istituita presso la Presidenza del Consiglio. orbene, gli interessati hanno ritenuto di non sottoporsi alla presente procedura che - si ribadisce - è obbligatoria per tutti i cittadini italiani e stranieri residenti in italia. Tale fondamentale omissione è suscettibile di inficiare già da sola la legittimità dell’adozione, facendo venire meno un eventuale interesse soggettivo dei ricorrenti a ricongiungersi con la minore P.P. L’istanza di revisione in autotutela presentata dal ricorrente sostiene tuttavia che l’atto in esame non sia un’adozione internazionale ma piuttosto nazionale nei confronti della quale la CAI non sarebbe competente. Tuttavia, seppur si volesse considerare che i ricorrenti, regolarmente residenti in Italia da 17 anni, non siano sottoposti alla normativa di cui sopra, occorre in ogni caso che l’Ambasciata verifichi che l’adozione nazionale sia stata regolarmente concessa in accordo con la legge del Paese di cui il minore è residente e che i principi che regolano le adozioni in quel dato Paese siano compatibili con quelli posti dall’ordinamento italiano a tutela dell’ordine pubblico interno e in linea con le principali convenzioni internazionali in materia. Ciò è chiaramente ed espressamente stabilito dall’art. 33, comma 2, secondo il quale “È fatto divieto alle autorità consolari italiane di concedere a minori stranieri il visto di ingresso nel territorio dello Stato a scopo di adozione, al di fuori delle ipotesi previste dal RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 presente Capo e senza la previa autorizzazione della Commissione” per le Adozioni Internazionali. ebbene, ciò è esattamente quanto l’Ambasciata d’Italia in Ghana ha fatto, nell’esclusivo superiore interesse del minore, riscontrando però una serie inquietante di omissioni, contraddizioni, abusi e dichiarazioni mendaci che hanno portato alla conclusione che l’ “adozione” era stata approvata dal Tribunale di obuasi sulla base di una rappresentazione dei fatti completamente falsa. e, peraltro, come si è già detto e si ribadirà a conclusione della memoria, è proprio la Repubblica del Ghana a chiedere ai partner internazionali, al fine di contrastare e porre fine al drammatico traffico di esseri umani tramite adozione ”di non riconoscere alcuna validità alle ordinanze emesse dai giudici ghanesi dal 2013”. Di seguito per maggior comodità si richiama brevemente l’iter della procedura in oggetto, così come già ricostruito nei precedenti scritti difensivi: -In data 2 settembre 2013 è stata depositata presso la Cancelleria Consolare la domanda di visto di ingresso per motivi familiari della minore P.P., sulla base del nulla osta al ricongiungimento familiare emesso dallo Sportello Unico per l’Immigrazione di Padova l’11 luglio 2013 in favore del ricorrente e dell’atto di nascita della minore, inteso a documentare il vincolo di filiazione che la legherebbe al ricorrente, anche in forza di un’ordinanza emessa dal Tribunale di obuasi il 12 febbraio 2009 sulla sola base di una semplice dichiarazione giurata della presunta nonna della minore che non risulta peraltro essere mai stata prodotta agli atti. -A seguito di primi accertamenti documentali è emerso che la sentenza in parola non consentiva un immediato recepimento ai fini dell’emissione del visto di ingresso, poiché basata sul diritto consuetudinario piuttosto che sulla vigente normativa civile (Children’s Act, 1998 Act 560). Tale circostanza è stata confermata dal Ministero della Giustizia del Ghana (office of the Judicial Secretary) che distingue l’ordinanza di Adozione (Adoption order) emessa in base alla vigente legge del Ghana e l’ordinanza di Adozione Consuetudinaria (Customary Adoption order), che è una mera convalida di una decisione adottata tra le parti in ambito privato o tribale. L’Ufficio competente ha pertanto avviato una fase istruttoria intesa a determinare il rispetto dei seguenti princìpi: a) ACCeRTAMeNTo DeLLo STATo DI ABBANDoNo DeLLA MINoRe: La minore sarebbe stata informalmente affidata alle cure della nonna materna. La madre, R.M., sarebbe deceduta il 9 dicembre 2008. Il decesso non è mai stato documentato con atti avente valore civile ma solo con dichiarazioni giurate. Il padre sarebbe irreperibile dalla nascita, in base a quanto dichiarato dalla nonna affidataria in una dichiarazione giurata del 31 luglio 2012, tre anni dopo l’ordinanza del Tribunale di obuasi. Lo stesso tuttavia risulta formalmente essere il “padre” nell’atto di nascita, ciò malgrado non è stato avviato alcun procedimento inteso a acquisire il suo eventuale consenso. Sulla base di questi atti lo stesso è tuttora titolare della potestà genitoriale. Non solo, il Signor A.P., padre biologico della minore, dato per irreperibile dalla Signora M.B. nella sua dichiarazione giurata (e neanche considerato dal giudice di obuasi che, nell’ordinanza del 2009 evidentemente rassicurato dalla Signora B. nella dichiarazione giurata mai depositata -, aveva perfino omesso di considerare che la minore avesse un padre in vita, tanto a riprova della scarsa se non nulla accuratezza nell’accertamento “giudiziale” che ora si vuol far valere) rivelava di essere sempre stato in Ghana e di essere residente proprio ad obuasi (casa numero ...), nel medesimo villaggio dove risiedono la Signora M.B. e la minore P.P. Certo, il Signor CoNTeNzIoSo NAzIoNALe P. rivela nella sua dichiarazione giurata che, all’epoca dell’ “adozione consuetudinaria” nel 2009, egli si trovava in un’altra località all’interno del Ghana (e non all’estero come falsamente dichiarato dalla Signora M.B.). Ma rimaneva ugualmente l’unico a poter esercitare la potestà genitoriale nei confronti della minore, che non poteva certo essere data in adozione dalla presunta nonna peraltro ad una coppia che viveva stabilmente all’estero da diversi anni (e che non risulta peraltro venire in Ghana di frequente, visto che il ricorrente risulta essere stato nel proprio paese di origine solo una volta in 5 anni tra il 2010 e il 2015). A rendere l’intera vicenda ancora più inquietante, si riveda il rapporto del Dipartimento degli Affari Sociali del 28 novembre 2013, a cui si è già fatto riferimento: innanzitutto, si consideri che il servizio sociale ghanese è stato attivato solo 4 anni dopo la celebrazione della presunta adozione consuetudinaria, quando la legge ghanese prevede -ovviamente -che i servizi sociali debbano essere attivati prima di un’adozione avente effetti civili. Nel documento vi si legge, infatti, che i coniugi adottanti si erano presi cura della madre della minore, la Signora G.M., nel periodo in cui questa era in attesa della minore P.P. Peccato che gli interessati all’epoca si trovassero già da anni in Italia e che non abbiano prodotto alcuna prova a sostegno della loro presenza in Ghana in quel periodo. Non solo, ancora più grave appare la circostanza che la Signora M.B., ancora una volta, dichiari ai servizi sociali come il padre biologico della minore avesse lasciato la loro comunità nel dicembre 2006 e che da allora non fosse più tornato. Peccato che, come precedentemente riportato, giusto un mese prima avesse effettuato una dichiarazione giurata presso la Corte di obuasi! Il parere dei servizi sociali ghanesi, pertanto, si basa su due presupposti falsi, ovvero che i ricorrenti si fossero presi cura della madre della minore durante il periodo di gravidanza (quando erano in Italia) e che il padre biologico della minore fosse irreperibile (quando meno di un mese prima effettuava un giuramento e risultava risiedere proprio nel medesimo villaggio della minore). Tutto ciò tacendo il fatto che le indagini in oggetto avrebbero dovuto svolgersi prima di effettuare l’adozione, non certo 4 anni dopo (durante i quali i due ricorrenti non hanno neanche fornito alcuna prova di cura nei confronti di una minore asseritamente adottata e poi abbandonata). b) INDICAzIoNe DI UNA PReVIA INDAGINe SULL’IDoNeITà DeLLA CoPPIA ADoTTIVA: Si ribadisce anche che, neppure ora in sede di istanza di autotutela, risulta essere mai stato portato alcun ulteriore elemento utile -né in Italia né tantomeno in Ghana -sull’idoneità della coppia adottiva che risiede in Italia dal 2001 e che mantiene già 5 figli. Tale adempimento risulta essere imprescindibile tanto per il diritto italiano quanto per quello ghanese. L’ordinanza emessa dal Tribunale di obuasi si limita pertanto a prendere atto di una decisione concordata in ambito privato da soggetti senza potestà genitoriale (la presunta nonna), dando atto del rapporto genitoriale instaurato senza alcun atto istruttorio propedeutico all’ordinanza stessa e basandosi su una falsa rappresentazione dei fatti fornita dalla Signora M.B. Tali approssimazioni si riflettono evidentemente sulla documentazione di stato civile. Sono in effetti presenti: 1) estratto dell’atto di nascita emesso il 20 novembre 2011 dallo Stato Civile di obuasi che non tiene alcun conto dell’ordinanza, seppur emessa due anni prima; 2) estratto dell’atto di nascita emesso il 4 marzo 2014 dallo Stato Civile di obuasi, dal quale si rileva: a) una discrepanza nel nome del padre adottivo (S.o. i invece di o.S.); b) che l’atto RASSeGNA AVVoCATURA DeLLo STATo - N. 4/2017 è basato su una dichiarazione di nascita della madre naturale, R.M., seppur asseritamente deceduta da anni; c) l’assenza di note a margine che diano atto dell’ordinanza di adozione consuetudinaria. entrambi gli atti di nascita sono pertanto irricevibili ai fini del ricongiungimento familiare. Alla luce di tutti gli elementi così ripercorsi, che l’istanza di revisione in autotutela presentata dall’Avvocato di parte ricorrente non ha minimamente confutato, non portando alcun dato nuovo o diverso idoneo a mutare la ricostruzione - corretta fin dall’inizio - dell’Amministrazione degli esteri, l’Ambasciata ha ritenuto di emettere un nuovo provvedimento di diniego maggiormente circostanziato e che ricostruisce le numerose ed inquietanti anomalie riscontrate nella pratica in oggetto (doc. 7). Pertanto, si ritiene che appaiano palesi ai fini del presente giudizio le seguenti circostanze, che dovranno indurre codesto Giudice al rigetto della domanda: a) i ricorrenti, in presenza di un padre biologico in vita tenuto scientemente celato alle autorità locali, non posseggono certo la potestà genitoriale nei confronti della minore P.P. ai sensi del diritto ghanese; b) se i ricorrenti intendono adottare la minore ai sensi della legge italiana e ghanese, debbono procedere di conseguenza rispettando le leggi nazionali ed internazionali, come qualunque altro cittadino, che - si ricorda - sono poste dal diritto interno e dal diritto internazionale ad esclusiva tutela dei minori e la cui ratio è, tra l’altro, il contrasto del traffico internazionale di minori, un fenomeno drammaticamente attuale in Ghana. *** Tutto ciò premesso, l’Amministrazione degli esteri, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata, insiste per le già dispiegate conclusioni, chiedendo il rigetto del ricorso avverso nonché di tutte le istanze anche istruttorie ivi articolate, in quanto irrilevanti e per l’effetto la conferma del provvedimento di reiezione della domanda di visto al ricongiungimento familiare emessa dall’Ambasciata d’Italia ad Accra, nonché la conferma del nuovo provvedimento di rigetto dell’istanza di ritiro in autotutela dello stesso, con vittoria di spese e competenze legali di causa o quanto meno con compensazione delle spese, visto l’atteggiamento processuale dell’Amministrazione. Si produce, a integrazione della documentazione già prodotta, il seguente documento: 7. provvedimento di rigetto dell’istanza di autotutela presentata dal ricorrente il 9 gennaio 2018. Venezia, 22 febbraio 2018 beatrice Favero PRoCURAToRe DeLLo STATo tribunale di Padova, ordinanza 27 febbraio 2018 nrg 6543/2017. (...) Il Giudice visto il ricorso e l’allegata documentazione, sentite le parti. Ritenuto che vanno condivisi i rilievi svolti da parte del Ministero non essendo individuabile un vincolo di filiazione compatibile con i principi dell’ordinamento interno a fronte delle inquietanti anomalie riscontrate nella pratica in oggetto PQM Rigetta il ricorso Spese compensate. LeGISLAzIONeeDATTUALITà Sentenza Operazione CONDOR: Diritto, Verità, Memoria e Giustizia (Convegno tenuto a Roma il 15 febbRaio 2017, univeRsità di Roma tRe) (*) “il processo Condor ha permesso di mantenere aperta la ricerca di memoria e giustizia per le vittime di regimi tirannici, di dare voce ai tanti familiari delle persone scomparse, di affermare che la violazione dei diritti umani ed i crimini contro l’umanità non possono essere nascosti in eterno. Chi si batte per la tutela oggi dei diritti delle persone, dei diritti civili, dei diritti sociali sa che esiste un filo indistruttibile tra le vicende di ieri e le brutalità che oggi si commettono in tante parti del mondo, tra vecchi e nuovi desaparecidos” Arturo Salerni, avvocato di parte civile intervento di luca ventrella -Avvocato dello Stato Io ho sostenuto nel Processo Condor per l’Avvocatura dello Stato, la costituzione di parte civile e l’interesse della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ma non tanto, come avviene in processi del genere per crimini contro l’umanità - io ho partecipato personalmente, sempre come parte civile, a processi per le stragi naziste dell’estate del ’44 (Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto e altre stragi minori come Bardine di San Terenzio, Vinca) dove in parte abbiamo affrontato istanze analoghe. Qual è l’interesse dello Stato a costituirsi parte civile in processi del genere nei confronti di efferati crimini contro l’umanità? La Presidenza del Con (*) Convegno organizzato da CILD - Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili in collaborazione con Università di Roma Tre, Progetto Diritti e Antigone. Si pubblicano la trascrizione dell’intervento al convegno dell’avvocato dello Stato Luca Ventrella, unitamente alla trascrizione integrale della sua arringa nel processo Condor. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 siglio non è tanto l’apparato governativo, il Governo Italiano, così come pure autorizzato dalla Costituzione. Qui è l’ente esponenziale della collettività nazionale, siamo tutti quanti noi, la comunità nazionale che reagisce, che si indigna, si sente lesa, vilipesa, quando i diritti umani vengono calpestati, violati brutalmente, conculcati ai danni di cittadini italiani in qualsiasi parte del mondo. Compito dello Stato è anche, tra i principali, affermare dei valori di dignità umana, libertà, giustizia, autodeterminazione, rispetto verso gli altri. Farsi promotore di valori che sono racchiusi nella nostra Carta Costituzionale oltre che, chiaramente in Convenzioni Internazionali di tutela dei diritti umani. Per cui non può tollerare che i diritti umani ai danni di cittadini italiani vengano violati, calpestati, repressi in qualsiasi parte del mondo questi si trovino. Ma dovrebbe essere un compito di qualsiasi Stato. In questo processo non avevamo solo alcune vittime italo-sudamericane, italo-uruguayani, italo-argentini. Alcuni di loro hanno trovato giustizia, altri no, per morte dei rei, ma molti hanno trovato giustizia con la condanna all’ergastolo dei responsabili degli alti vertici politici e militari dei vari Stati membri del Plan Condor. C’è un’altra ragione che ha radicato questo Processo, ma questo attiene più alla giurisdizione: il fatto che uno degli imputati fosse scappato dall’Uruguay per non farsi processare e che fosse l’imputato residente a piede libero in Italia. Questo ha radicato anche sotto questo profilo la giurisdizione di questo processo. Ma il profilo che mi preme sottolineare a tanti giovani studenti è che lo Stato siamo tutti noi. Non è il Governo, non è il potente di turno, ma è la collettività nazionale. Questo è importante in tutti questi grandi processi contro crimini contro l’umanità: sono sì diritti umani codificati ma, anche prima della convenzione di Ginevra, trovano fondamento nello ius gentium, sono valori universali, fondanti di qualsiasi convivenza democratica, prima ancora di un qualsiasi Stato di diritto moderno quale l’Italia. Questo Processo e questa sentenza senza dubbio hanno avuto una portata storica, questo è innegabile. Pensiamo solo che è stato il primo processo in Europa contro il Plan Condor. Intorno al 2000 in Italia abbiamo avuto un processo per desaparecidos italo-argentini in Argentina. Era il cosiddetto Processo Esma, dal nome della polizia segreta legata alla Marina Argentina, ma non si parlava di Piano Condor. Metterò in luce più gli aspetti positivi che le ombre di questa sentenza. Pensiamo che è la prima sentenza di condanna in Europa al Plan Condor e la prima al mondo che ha portato a una condanna all’ergastolo per omicidio per la presa della Moneda, il giorno del Golpe. Ero un bambino e mi colpì tantissimo quell’11 settembre 1973, con quella spettacolarizzazione, non eravamo allora abituati a quell’impatto massmediatico. Sotto le televisioni di tutto il mondo ci fu l’assalto dei carri armati, dell’aviazione, di tutte le forze militari contro la Moneda, come fosse il nostro Palazzo Chigi, contro il Presidente li LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà beramente e democraticamente eletto dal popolo cileno. Ebbene, quel giorno che tutti conoscono non ha avuto nel mondo una sola condanna per quei fatti -sembra assurdo. Forse solo in Francia, ma non si trattava di omicidio, bensì di sequestro qualificato. Ci siamo qui riusciti per l’omicidio di Juan Montiglio, il giovane italo- cileno capo dei GAP che erano i giovani amici del presidente, scelti personalmente da Allende che non si fidava della sola difesa dei Carabinieri e della Polizia. Erano ragazzi universitari che avevano una minima pratica delle armi. Soto, l’autista personale di Allende, ebbe salva la vita perché Montiglio gli disse di andare nel Palazzo di fronte, il Ministero dei trasporti, che si trovava su un’altura, per ingaggiare da lì un conflitto a fuoco contro i carri armati e gli aerei. Non avrebbe mai immaginato di sparare con le pistole a degli aerei. Eppure riuscirono a resistere per otto ore tenendo sotto scacco marina, aviazione ed esercito. resistenza che pare irritò molto Pinochet. Questi ragazzi fino all’ultimo non si sono voluti arrendere, fino a che Allende non ordinò loro di uscire prima di togliersi la vita. Furono tra i primi a essere trucidati. Parliamo dell’11 settembre 1973, una fase Pre-Condor. La nascita ufficiale del Plan condor si fa risalire alla riunione a Santiago del Cile del 26 settembre 1975. Nel processo italiano abbiamo ottenuto la condanna del fucilatore di Peldeue, Valderrama, oscuro personaggio della storia fino a questo momento, un militare che vive libero, mentre altri sono già condannati all’ergastolo o sono già in galera. È stato raggiunto da questa condanna in quanto si è riusciti a dimostrare che era lui fra i fucilatori di Peldeue. È stato riconosciuto responsabile dell’omicidio aggravato ai danni di questo nostro concittadino Montiglio che fu portato a Peldeue, ucciso e smembrato dalle granate e buttato in una fossa comune. Per questo si è trattato di un Processo e di una sentenza di portata storica, ma non di un processo alla storia. Questo è uno dei dilemmi e delle antinomie che questo incontro suggerisce: il rapporto fra Diritto e Verità storica. Assistiamo tante volte a un possibile scollamento tra verità storica e verità processuale. Qui la Storia in fondo ha già emesso il suo giudizio. Questi fatti sono successi indubbiamente 40 anni fa e formano pagine di storia. Troccoli ha scritto un libro “L’ira del leviatano”, un’apologia della tortura. Non ha mai ammesso di aver ucciso o fatto sparire qualcuno ma ha ammesso di aver trattato in maniera disumana i detenuti, di averli sequestrati (moltissimi l’hanno visto) ma senza odio - così ha affermato. Era un professionista della violenza. Per certi versi, secondo il sentire comune, è un reo confesso. Perché dopo quelle torture alla fine questi andavano fatti sparire. Era proprio il protocollo Condor che lo prevedeva, diceva proprio che ogni Stato si doveva far carico della propria spazzatura. dopo averli torturati, spremuti per avere le informazioni, venivano fatti sparire. Non se ne doveva trovare resto, come in una sorta di damnatio memoriae. Troccoli rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 ha scritto quelle cose ma è andato assolto. E qui l’uomo della strada e anche il giovane studente si chiede: ma come mai? Ma allora a che serve il diritto? Noi sappiamo che sono colpevoli, ma un conto è la verità storica (la Storia ha emesso il suo verdetto) e un conto è il Diritto. Il processo penale non è un processo alla storia. Questo scollamento, questa discrasia, questa non esatta sovrapponibilità di ciò che noi sappiamo essere stato commesso con l’accertamento delle responsabilità penali individuali. Erano contestati agli imputati, essendo il sequestro prescritto e mancando nel nostro ordinamento il reato di tortura, l’omicidio plurimo aggravato, quindi crimini contro l’umanità premeditati, sevizie, motivi abbietti e futili, chiaramente imprescrittibili, una volta accertati. Ma il processo penale, per sua natura ontologica, è teso ad accertare l’esistenza di responsabilità penali personali per quei singoli specifici tipi di reato contestati. È un processo che è denso di garanzie che a qualcuno potrebbero apparire eccessive, però si dice: meglio un colpevole fuori che un innocente in galera. C’è il meccanismo fatidico del limite del ragionevole dubbio. Per ciò che noi sappiamo essere storicamente accaduto (e gli 8 ergastoli stanno lì a dimostrarlo) potrebbe però, nei confronti di singole, specifiche imputazioni, quindi parti specifiche di reato contestato, non essere raggiunta la piena prova al di là di ogni ragionevole dubbio. Non voglio anticipare le motivazioni della sentenza, che va rispettata. Anche il giudice ha dei paletti, che derivano dalle garanzie del processo penale e che è bene che ci siano per non scivolare nelle dittature degli Stati autoritari dove si parla di giustizia sostanziale. Queste garanzie fanno sì che un uomo che con tutta probabilità si è macchiato di crimini per cui è indegno di appartenere alla razza umana, possa andare assolto per la insufficienza di prove, ex 530 secondo comma. Si apre il grande tema della prova nel Processo Penale. La prova che può essere prova diretta, e quindi o una prova documentale, come in questo caso o la prova di testimoni oculari. Abbiamo avuto tanti testimoni che hanno riconosciuto Troccoli e gli altri che sono stati assolti. Testimoni che sono stati chi torturato, chi sequestrato. Però probabilmente quello che è mancato è che il testimone oculare che ha assistito a quelle angherie, a quei sequestri, non ha visto in quel momento la vittima dell’omicidio che è stato contestato. Ma anche il diritto, se si fondasse sulla testimonianza oculare, la così detta prova regina, non avrebbe senso fare i Processi. I grandi processi sono processi indiziari, e la prova logica si forma, come insegnano numerose massime della Cassazione, con una gravità di indizi seri, precisi e concordanti, che vanno valutati prima singolarmente, nella loro certezza storica, non possono essere illazioni gli indizi. Non possono essere impressioni gli indizi, ecco perché quando si raggiunge una condanna basata su una prova logica è una condanna che ha una prova di resistenza superiore a quella che si fonda su una testimonianza diretta oculare, proprio per la fallacia senso-percettiva dell’essere umano. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà Ma quando tanti indizi gravi, precisi e concordanti convergenti nella dimostrazione delle condotte criminose, valutati prima singolarmente, nella loro intrinseca valenza dimostrativa e poi, come dice la Cassazione (per es. sent. 20461 del 12 aprile 2016) complessivamente in una visione unitaria dove possa risolversi l’ambiguità di ciascuno di questi indizi al di là di ogni ragionevole dubbio, con un alto grado di credibilità razionale, è quasi una ragionevole certezza: per condannare qualcuno all’ergastolo, non basta un giudizio probabilistico. Certo la tesi accusatoria può essere la più probabile, ma qui ci vuole qualcosa di più: un alto grado di credibilità razionale che sussiste anche qualora le ipotesi alternative (che certo in questo caso le difese hanno goffamente articolato) pur astrattamente formulabili, sono prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose (id quod plerumque accidit) e dell’umana razionalità. E qui forse il margine per ottenere una rivalutazione di quei materiali di quel corposo compendio indiziario che siamo riusciti a fornire alla Corte, ma che evidentemente non è stato ritenuto dalla Corte sufficiente a superare quel limite del ragionevole dubbio, che Troccoli e altri imputati uruguayani abbiano effettivamente commesso anche solo per concorso morale. ricordiamo che non erano solo esecutori materiali questi galantuomini, Troccoli era il Capo dell’S2 del Fusna, il braccio operativo dell’intelligence uruguayana quindi era un giovane tenente di vascello ma aveva alle sue dipendenze uomini oltre che operare in prima persona. Quindi concorso materiale o morale ci si poteva forse arrivare. Le condanne all’ergastolo che fanno di questa una sentenza storica rappresentano una virtuosa osmosi tra verità storica e processo penale, grazie ai nostri testimoni, ai nostri esperti, fra cui l’archivista Giulia Barrera, Carlos osorio, un cileno che vive a Washington e dirige un grande archivio privato (NSI) che si occupa di raccogliere materiali declassificati, cioè quei documenti top secret che poi vengono declassificati e appartengono alla Cia e al dipartimento di Stato. osorio ha portato numerosi documenti e ce li ha illustrati e ci ha spiegato come avviene questo processo di declassificazione. Ci sono stati Presidenti americani, come Clinton, come obama che hanno dato spontaneamente un maggior impulso rispetto ad altri. Ma molti di questi documenti sono stati ottenuti grazie a un sapiente lavoro di lobbying lecita e legittima da parte di associazioni non governative. Posso ritenere che questi documenti abbiano costituito in questa osmosi virtuosa tra Storia e Processo penale, la base più solida per poter arrivare alla condanna all’ergastolo con isolamento diurno per omicidi pluriaggravati degli alti vertici di tutti gli Stati membri del Plan Condor. Mi viene in mente un documento Cia del 10 giugno 1976, anno della repressione in Argentina ai danni di cittadini cileni, uruguayani che avevano cercato rifugio lì. C’è un dialogo registrato tra Kissinger e l’allora Ministro degli esteri argentino Ammiraglio Guzzetti, in cui quest’ultimo dice: “Noi qui ab rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 biamo un problema di terrorismo - abbiamo visto in realtà che si trattava di persone dissidenti che lottavano per ideali di libertà, giustizia e per un mondo migliore, non di pericolosi terroristi - dobbiamo coordinarci meglio contro la sovversione e ci stiamo coalizzando con i Paesi vicini (e li elenca: inizialmente Cile, Uruguay, Paraguay, Bolivia e nel ’76 anche il Brasile, inizialmente come osservatore esterno poi con l’accordo di eliminazione dei dissidenti)”. (...) Mi viene in mente Juan Carlos Blanco, ministro degli esteri uruguayano dal ’72 al’76, che in un documento del dipartimento di Stato versato agli atti del Processo a firma di Condoleeza rice, si definisce l’ideologo della terza guerra mondiale, l’ultimo baluardo della cristianità contro la minaccia comunista. Uno che ristruttura i servizi segreti al Ministero degli esteri col compito di reperire per primi notizie sul conto di suoi connazionali che avevano trovato rifugio all’estero, di sapere dagli altri Stati dove si trovassero e fare controinformazione dicendo che in Uruguay tutto era tranquillo. Già in galera per l’omicidio di Michelini senatore uruguayano ucciso a Buenos Aires a maggio del’76. Sono documentati il viaggio di Juan Carlos Blanco che prende contatto qualche mese prima coi funzionari argentini. Michelini era un senatore che aveva trovato rifugio in Argentina dopo il Golpe del ’73. Lui come Ministro degli esteri gli aveva annullato il passaporto poi era andato in Argentina a prendere contatti ed è tutto documentato. Ecco l’osmosi con i documenti storici. La certezza storica e giuridica coincidono. Michelini aveva chiesto aiuto all’ambasciata uruguayana in Buenos Aires che glielo aveva negato. Juan Carlos Blanco in seguito si complimenta con loro. Michelini viene ucciso insieme a Gutierrez ruiz, ex presidente della Camera dell’Uruguay democratico e all’ex presidente boliviano Torres nella stessa operazione, maggio del ’76, due figure centrali. Blanco sta scontando l’ergastolo per zelmar Michelini e per l’insegnante Elena Chinteros che è stata sequestrata nel Giardino dell’ambasciata venezuelana in spregio a ogni regola di immunità diplomatica. Ma non era mai stato condannato per altri omicidi come quello di Banfi. Siamo anche qui in una fase di Pre-Condor. Nel settembre del ’74. Sparisce questo cittadino italo- uruguayano a Buenos Aires insieme a Latronica che si salverà miracolosamente e ha testimoniato al processo Condor. dopo torture indicibili Banfi viene ritrovato in un campo al Confine tra Uruguay e Argentina, coperto di calce viva ma ancora riconoscibile. Per il caso di Luis Stamponi, italo-argentino, personalità di spicco, inseguito a lungo, in tutti gli Stati, alla fine catturato in Bolivia, trasferito ad orletti e fatto sparire, Juan Carlo Blanco ispiratore viene condannato sulla base di documenti storici. Stessa sorte è toccata alla madre di Stamponi, Mafalda Corinaldesi, che era andata a cercare tracce del figlio, ritorna a Buenos Aires e viene prelevata dai militari in borghese e scompare. (...) Lo scopo iniziale del Condor era contrastare la coordinatora revolutio LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà naria (c’era un abbozzo di coordinamento fra i vari movimenti sovversivi, come i Tupamaros, l’MLN, il Mir cileno, che però gli stessi documenti riconoscono debole). Gli Stati mettono in campo tutta la forza brutale dei loro servizi segreti per contrastarli con l’efficacia militare sistematica, capillare, volta all’annichilimento, all’annientamento fisico, morale psicologico, generazionale, una sorta di pulizia etnica. Le donne venivano portate incinte e fatte partorire da sole in gabbia, incappucciate. Appena partorivano i figli venivano loro strappati e venivano dati in adozione. Ma non si può parlare certo di adozioni, come di nulla che evochi una qualche forma di legalità. I bambini venivano dati in modo abusivo a coppie di poliziotti senza figli che poi si incaricano di inoculare loro dei valori più consoni alla dittatura. Quasi che coloro che non la pensassero come le dittature, non avessero neanche il diritto di produrre, trasmettere qualche valore positivo ai propri figli. Abbiamo assistito in questo processo a una barbarie ripetuta, abbiamo ascoltato i racconti di un inferno in terra dei sopravvissuti in maniere rocambolesche che hanno avuto il coraggio, la dignità di far ascoltare i loro racconti e far valere tutta la loro sete di giustizia. La Memoria: spesso se ne parla e si usa come un vuoto simulacro retorico. In realtà la memoria è fondamentale in ogni civile convivenza democratica, non tanto e non solo per ricordare chi valorosamente ha dato la vita per ideali di libertà e giustizia, ma soprattutto per fungere da testimone di valori da tramandare alle future generazioni. Noi viviamo in Paesi liberi, democratici, dove certi valori si tende a darli per scontati. Non è vero. Non si fa mai abbastanza nell’elevare la soglia dell’attenzione verso la tutela dei diritti umani che possono essere conculcati in ogni momento e in ogni parte del mondo. La memoria è importante per il ricordo delle vittime e per il passaggio di testimone perché certe compressioni barbare, atroci dei diritti umani non abbiano più a verificarsi. Giustizia: questa parola ha ispirato tanti di noi a intraprendere la carriera di giuristi. Il diritto può talvolta coincidere con la giustizia. Concludo citando un film che tanti di voi sicuramente hanno visto: Philadelphia. Tom Hanks viene mobbizzato ed espulso dallo studio legale in cui lavora perché omosessuale e affetto da AIdS. denzel Washington lo patrocina e lo interroga davanti alla Corte in modo sferzante. “tu pensi di essere un buon avvocato?” “Penso di essere un eccellente avvocato”. “Cosa te lo fa dire?” “mi piace il diritto”. “e cosa ti piace di più del diritto?” “a volte, non troppo spesso, ma a volte accade, e basta anche la possibilità che il diritto possa coincidere con la giustizia del caso concreto, a rendere questo mestiere il più bello del mondo”. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 CORTe DI ASSISe DI ROMA - RITO ASSISTe SezIONe III CORTe D’ASSISSe AULA BUNKeR ROMA - RM0076 PROCeDIMeNTO PeNALe n. R.G. C.A. 2/15 - R.G.N.R. 31079/05 Udienza del 21/10/2016 doTT.SSA CANALE EVELINAdoTT. CoLELLA PAoLodoTT. VITALoNE VINCENzo Presidente Giudice a latere Giudice a latere doTT.SSA CUGINI TIzIANA Pubblico Ministero (...) Parte Civile Presidenza del Consiglio - Avvocato Ventrella AVV. VENTrELLA -Grazie Presidente, buongiorno Signori della Corte. Prendo oggi la parola in quest’aula per concludere a nome della Presidenza del Consiglio. È un processo storico, non il primo che si svolge in Italia che ha ad oggetto dei desaparecidos, cittadini italiani e non solo, scomparsi in Sudamerica, processo che ha una grande rilevanza e che giustifica la costituzione della Presidenza del Consiglio quale ente esponenziale della collettività nazionale, proprio per i valori di dignità umana, di libertà, di autodeterminazione che sono alla base di qualunque civile convivenza democratica e che ogni stato ha il compito di promuovere e di assicurare ai propri cittadini, che sono stati pesantemente e brutalmente, direi, violati dalle condotte ascritte agli odierni imputati. È un processo che ha una sua rilevanza storica ma è bene chiarire inizialmente che non è un processo alla storia, la storia ha già dato il suo giudizio su certi fatti, su certe atrocità commesse nel Cono sud del Sudamerica, purtroppo e non solo, sono atrocità che troviamo in epoche diverse in tante parti del mondo. Ma non è un processo alla storia dicevo, è un processo penale, è un processo di vittime e carnefici. Verrebbe da dire vittime in carne e ossa se la peculiarità tragica, ulteriore, di questo processo è il fatto che per molte vittime non abbiamo neanche i resti, neanche le ossa. È un processo penale che si propone ontologicamente il compito di accertare delle responsabilità penali che sono inevitabilmente personali per cui è necessario, e questo è il mio compito che, nella divisione dei ruoli che ci siamo dati, nella divisione del lavoro anche con le altre Parti Civili private, cercherò di svolgere oggi. Cioè di inquadrare giuridicamente i fatti, l’ampio compendio probatorio che è affluito in questo processo, fatto di testimonianze molto toccanti, di sopravvissuti, di parenti delle vittime, di persone che hanno attraversato, hanno fatto viaggi di migliaia di chilometri dall’altra parte del mondo per venire qui a testimoniare il loro dolore, la tragedia che hanno vissuto, che ha devastato le proprie vite, e la loro sete di giustizia; non di vendetta certo, ma di giustizia sì, acuita dal fatto che, come dicevo, LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà moltissimi di loro non hanno neanche i resti dei propri congiunti, dei propri cari su cui piangere. Per cui mi propongo il compito, anche grazie alla puntuale esaustiva ricostruzione dei fatti compiuta dal Pubblico Ministero nella propria requisitoria, davvero completa e commendevole per lo sforzo fatto, proprio per l’amplissimo compendio probatorio. È un processo che forse più di ogni altro, anche tra i tanti maxi processi con tantissimi imputati, tante vittime, tanti capi di imputazione, ma questo proprio per la connessione stretta di queste operazioni congiunte che rappresentano proprio il cuore di questo processo, la peculiarità di questo processo, date proprio da questa pianificazione della lotta antisovversiva, come la chiamavano. Quindi queste operazione congiunte tra i vari stati ha necessitato di un’attività certosina, tesa a incrociare i vari dati. Vari dati, elementi di prova, non solo testimonianze, ma anche documenti, una gran copia di documenti che sono affluiti in questo processo, e che il Pubblico Ministero ben ha saputo incrociare, intrecciare e fornire alla valutazione di questa Corte. Questo da un lato mi esonera da addentrarmi nella ricostruzione dei fatti se non per qualche rapida incursione necessaria proprio perché nel processo penale non si può prescindere dal fatto, ma cercherò di inquadrarli giuridicamente, affrontando delle questioni giuridiche che il processo penale, come questo, occupa, richiede, di essere affrontato. Questo anche, d’altro lato, per non togliere poi spazio alle parti civili private che mi seguiranno che avendo tutti i loro singoli casi provvederanno poi nel dettaglio in maniera puntuale da par loro a illustrare alla Corte tutto il materiale probatorio che forma appunto il sostegno all’Accusa e alla richiesta di condanna che è stata già chiesta e che anche noi chiederemo al termine della nostra arringa. Questo diciamo è il metodo che cercherò di seguire. Nell’affrontare le questioni giuridiche che questo processo pone mi rivolgerò ovviamente soprattutto ai membri non togati della Corte, quindi chiederò preventivamente, e chiedo sin d’ora venia ai Giudici togati se affronterò concetti a loro chiaramente ben noti. dicevamo, un processo di vittime e carnefici. Chi sono gli odierni imputati innanzitutto? Sono tutte persone che nella diversità del ruolo svolto, anche nei diversi stati, facevano parte del Piano Condor e rivestivano il ruolo o di vertice delle forze armate, comunque posizioni e ruoli di comando, o comunque hanno avuto un ruolo fondamentale nel perseguire certi obiettivi politici. Comandanti delle strutture operative, dei servizi di intelligence, o di centri di detenzione clandestina. Anche personalità politiche, ministri, comandanti dell’esercito. Tutti accumunati comunque da un ruolo di comando, da una autonomia decisionale e accumunati anche dalla medesima finalità che il Piano Condor, che verrò rapidamente accennando, si proponeva; vale a dire il compito di annientare - questa parola è stata usata più volte in quest’aula dai nume rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 rosi testi che si sono succeduti, dagli esperti, dagli storici - di annichilire la sovversione. Non già il terrorismo, non parliamo di pericolosi terroristi, la sovversione, cioè coloro che non la pensavano come i militari, come le giunte militari. Coloro che si opponevano alle dittature militari. E questa è l’altra parte, l’altra faccia del processo, le vittime. Chi erano queste vittime? Pericolosi terroristi armati fino ai denti? No, tutt’altro! Erano ragazzi, studenti, che lottavano per un mondo migliore, ha detto qualcuno, per ideali di libertà, giustizia, di solidarietà. o come omar Venturelli, personaggio emblematico, ex sacerdote, professore, barbaramente trucidato, con una figlia piccola che invocava in punto di morte e che è venuta a rendere una preziosa testimonianza, molto toccante anch’essa, il quale si batteva appunto, certo non era un pericoloso sovversivo, era un ex sacerdote, aveva a cuore principi, valori come la scolarizzazione delle campagne, delle povera gente. Erano periodi di grande analfabetismo e c’era una ricchezza, qui parliamo del Cile in questo caso, ma non è molto diversa negli altri paesi del Piano Condor, dove la ricchezza era nelle mani di una oligarchia, spesso di latifondisti, quindi una stretta minoranza che sicuramente ad elezioni democratiche sarebbe stata spazzata da una maggioranza di gente povera. Ed ecco perché per mantenere anche, ecco le finalità economiche, questa ricchezza nelle mani di pochi nacquero poi i colpi di stato che si sono succeduti in quegli anni. omar Venturelli quindi si batteva per un’ideale di distribuzione delle terre, di scolarizzazione. Viene riconosciuto addirittura da un suo allievo che lo riconosce e che poi dice “se lo sono caricato”, ammette; anche questo è nelle pagine del processo. o come, non lo so, per rimanere nei casi cileni, Montiglio: un giovane che sì sapeva maneggiare le armi, che venivano scelti tra i GAP personalmente dal Presidente Allende che non si sentiva evidentemente sicuro soltanto protetto dai Carabinieri e dalla Polizia Investigativa, e quindi si circondava di un piccolo numero di ragazzi, certo fedeli all’ideologia socialista anche questi, che lottavano per valori di libertà, di giustizia, di solidarietà, e che avessero un minimo di pratica nelle armi. Certo non si aspettavano mai, come la testimonianza del Soto, l’autista di Al- lende, che ha testimoniato qui, che ora vive esule in Svezia, di dover sparare con le pistole agli aerei. Hanno resistito per otto ore valorosamente nell’assalto alla Moneda. Lui si salvò perché andò lì nel palazzo del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture che era in una posizione più elevata rispetto alla Moneda e si trovò a fronteggiare con delle armi degli aerei senza sapere neanche come si sparava a un aereo. Questo per fare capire la sproporzione di forze in campo, la ferocia, la barbarie e la volontà repressiva, ma di annientamento, tesa a schiacciare. E questi poveri GAP furono i primi a essere trucidati proprio per ordine di vertici militari, da Pinochet in giù, proprio perché si erano permessi di tenere in scacco LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà l’esercito, l’aviazione per otto ore, solo per difendere le istituzioni, come fosse il nostro Palazzo Chigi, il Presidente, liberamente e democraticamente eletto. Vennero spazzati via, trucidati, torturati, resti spariti perché non ne rimanesse traccia, come in una sorta di damnatio memoriae. E questo modus procedendi nella lotta alla sovversione, nella repressione, nell’annientamento, nell’annichilimento, costituisce esso stesso una prova, potremmo dire, di questo collegamento che c’era tra le diverse polizie segrete delle dittature militari dei paesi del Piano Condor: inizialmente Cile, Argentina, Bolivia, Uruguay, successivamente Brasile, poi Perù, Ecuador. La nascita del Piano Condor - le finalità sono spiegate benissimo dalle testimonianze dei nostri testi, il professor Carlos osorio, e la procuratrice, ex procuratrice Mirtha Guianze, per cui io faccio un rinvio per la Corte che ben ha lette le testimonianze, le leggerà, e quindi non starò a ripetere se non per flash ciò che è già agli atti di questo processo. La nascita quindi e l’ideologia che stava dietro, perché questi stati, perché soprattutto le intelligence, le direzioni delle intelligence, delle polizie segrete delle varie dittature militari decidono, a un certo punto, la riunione di Santiago che segna il momento ufficiale di nascita che è del 26 Novembre 1975, decidono di rafforzare il coordinamento antisovversivo per contrastare che cosa? L’ideologia comunista, i valori di sinistra. Ma vediamo che vengono perseguitati anche in maniera militare, con una sistematicità, un’efficienza militare tutti coloro che erano impegnati nel sociale, che perseguivano delle ideologie contrapposte a quelle antidemocratiche delle varie dittature. E noi vediamo che al di là delle operazioni congiunte, che pure sono emerse, su cui qualcosa ovviamente non potrò non dire, vediamo innanzitutto un primo filo rosso che lega i vari eventi, i vari imputati dei diversi stati, nelle diverse operazioni, nelle diverse ondate repressive: il modus operandi con cui venivano effettuati i sequestri, le catture, le apprensioni fisiche dei vari sovversivi, dei vari perseguitati, anche che cercavano riparo, rifugio in altri stati. Non c’era scampo per loro, venivano presi con modalità simili da personale militare, paramilitare in borghese, spesso in borghese, armato fino ai denti, per strada, nelle case, picchiati, malmenati, incappucciati, ammanettati, buttati nelle macchine, nei falcon spesso tristemente noti, senza targa, e portati nei centri di detenzione clandestina. Anche se di diversa nazionalità, operazioni congiunte, abbiamo diverse testimonianze che ci dicono che gli uruguaiani a Buenos Aires venivano presi sì da Polizia argentina, ma anche uruguaiana. Ci sono testimoni che hanno riconosciuto uruguaiani. Ad esempio Tabare daners, uno dei membri dell’S2, insieme a Troccoli che comanda l’operazione dossetti, che viene riconosciuto dal vice presidente del consorzio che poi scrive la lettera ai nonni della figlia dei coniugi dossetti, Soledad, che la vanno lì a prendere. riconosce, era un rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 uruguaiano con la macchina da scrivere Tabare daners. E lo ritroveremo al Fusna come giudice istruttore, ruolo che anche il Troccoli ha rivestito nei confronti, ad esempio, di Cristina Fin, in cui si faceva firmare la dichiarazione confessoria finale prima di essere avviata al carcere militare. Viene riconosciuto mi pare da Uriate, un altro dei testi. E mentre il Troc- coli interroga dosil chiedendogli di dossetti, nel Novembre - dicembre, fino al 10 dicembre, il 21 dicembre 1977, delle squadre operative miste uruguaiane e argentine si occupano della cattura dei coniugi dossetti a Buenos Aires. E lì il Troccoli dice: “ormai Josè ce l’abbiamo, siamo riusciti a trovarlo”, e cessano quindi le domande su dossetti. Si muovevano liberamente sul territorio, non soltanto sul territorio dei singoli stati ma anche con operazioni congiunte soprattutto tra Uruguay e Argentina. Abbiamo moltissime prove, moltissime testimonianze di cittadini uruguaiani, italiani, catturati a Buenos Aires, imprigionati, torturati nei centri di detenzione clandestina. difficilmente andavano all’Esma questi, erano dei centri di detenzione clandestina specializzati in cui c’erano sia argentini che uruguaiani: il Pozo de Banfield, Pozo de Quilmes, i nomi sono ormai tristemente noti anche alla Corte. Coti Martinez. dopodiché venivano trasferiti illegalmente in Uruguay. Non c’era estradizione, non c’era bisogno di nulla. Andavano lì, si chiamavano gli uruguaiani, e la cosa avveniva a parti invertite. donde i viaggi del Troccoli e degli altri in Argentina per interrogare, assumere dichiarazioni, rendere dichiarazioni da Buenos Aires, farle vedere ai detenuti uruguaiani a Montevideo, al Fusna. Vengono mostrate le dichiarazioni per stimolarli a parlare "guarda che io le so queste cose". Questo avviene nell'operazione GAUA, abbiamo tantissime testimonianze di queste connessioni. Il filo rosso, rosso richiama il sangue che ha insanguinato il Cono sud, delle modalità repressive, delle modalità pratiche, delle modalità crudeli, delle sevizie, delle crudeltà con cui poi questi dopo il sequestro venivano barbaramente e in maniera atroce torturati. Abbiamo tante testimonianze vivide, toccanti, di persone ormai anziane che non hanno retto al pianto a distanza di tanti anni, confessando qui cose che ledono la dignità di ogni essere umano, alcuni dei quali non hanno mai detto ai figli di essere stati violentati, addirittura quando erano ragazzi, avevano 16 anni. Penso a dario Artigas, che ha avuto tutti i fratelli imprigionati, torturati e la sorella scomparsa e che è riuscito poi, dopo anni, a ritrovare, grazie anche alle Abuelas de Plaza de Mayo, la piccola Vittoria figlia di Maria Artigas, anche lui torturato, violentato in Argentina e in Uruguay. Queste modalità repressive, queste modalità, la corrente, ... quindi nei vari stati non cambiano molto. Se voi leggete è veramente un filo rosso agghiacciante, atroce, da villa Grimaldi a orletti, le scariche elettriche nella bocca, ai piedi, ai genitali. Questo accanimento che tanti testi hanno ricordato ma anche alcuni esperti hanno LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà spiegato, che sono venuti qui a deporre, hanno depositato le loro relazioni, questo accanimento apparentemente, non apparentemente, morboso sulla genitalità, sugli apparati genitali degli uomini e delle donne è un segno chiaro, al di là della barbarie che abbiamo dovuto ascoltare che queste povere vittime hanno dovuto subire, quasi di una negazione della capacità riproduttiva, come se queste persone sovversive, colpevoli solo di pensarla in maniera diversa, di coltivare valori fondanti qualsiasi civile convivenza democratica, diversi diametralmente da quelli delle dittature militari, non potessero neanche trasmettere questi valori alla loro prole. E quindi questo accanimento, queste sevizie, al di là delle perversioni dei vari aguzzini, che si lega strettamente anche con quell'operazione che chiamerei di pulizia etnica, di apprensione violenta dei figli: molte di queste ragazze desaparecidos venivano tenute in vita incinte fino a che non partorivano. L’'ha detto bene, l’ha ricordato il pubblico ministero, le modalità barbare con cui queste povere donne incappucciate legate venivano come bestie in cattività in gabbia fatte partorire da sole, dovevano poi pulire la gabbia e non potevano neanche allattare, gli veniva strappato il figlio veniva dato in adozione, chiamiamola così. Carlos Caspos d’Elia che è venuto qui i testimoniare ha chiarito bene come non si può parlare di adozione a coppie spesso di poliziotti, di militari facenti parte della stessa polizia segreta, coppie senza figli che si preoccupavano loro di crescere, cercando di inoculare questi valori di odio e di violenza, cercando di fare tabula rasa. Una damnatio memoriae, i genitori sparivano e i figli venivano salvati ma soltanto per essere indottrinati di valori altri, di valori perversi. Anche qui su questo traffico di minori, anche questo un altro filo rosso che ci fa capire come poi i vari paesi fossero legati. Penso soltanto a titolo di esempio ai gemelli Giulien, figli di uruguaiani, genitori catturati, portati a Automotores orletti, a Anatole Victoria, visti da testimoni che hanno qui testimoniato, quindi portati da funzionari dei servizi -donne qui hanno poi riferito - al centro del SId a Montevideo. Il SId era il servizio di informazione della difesa, dipendeva dall'esercito, aveva tra i suoi capi Gavazzo, numero 302, il numero 2, l’equivalente di Troc- coli al Fusna. I due avevano stretti rapporti. E quindi da figli di uruguaiani incarcerati, detenuti, torturati a orletti, genitori scomparsi, portati rivisti al SId di Montevideo e poi fatti ritrovare così, abbandonati in una piazza di Valparaiso in Cile, dove furono poi adottati in questo caso da persone inconsapevoli di quello che questi poveri bambini avevano subito. Anche questo, anche la sorte di questi bambini rappresenta un modus procedendi che legava tutti i vari paesi del Piano Condor e che fa capire come, ancora una volta, che il modus operandi di questa sorta di pulizia etnica, di barbarie repressive, di annientamento dell'altro, di annientamento del diverso fosse una costante che legava tutti questi vari paesi che ho prima men rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 zionato. Si dirà “ma questo problema di... c'era un'ideologia anticomunista”... Ma sgombriamo il campo subito da queste possibili eccezioni difensive che peraltro abbiamo già sentito tristemente in altri processi, in altri crimini contro l'umanità commessi in tempo di guerra che non; mi riferisco ad esempio alle stragi naziste, dice "va beh quelli erano il nemico, eravamo in guerra". Bisogna avere ben presente che nessuna ideologia può giustificare simili atrocità, simili barbarie. E alla fine mi sono trovato a dire - avendo partecipato a quei processi che dicevo, la strage di Sant'Anna di Starzemma, Marzabotto, Bardine San Terenzo, Vinca, come pure il processo alle Foibe, nell’aula Bunker - e alla fine mi sono trovato a dire le stesse cose: cioè non c’è un’ideologia di destra o di sinistra che possa mai giustificare simili barbarie, simili atti di pulizia etnica, che sia nei confronti di prigionieri di guerra, che sia nei confronti di donne, bambini, vecchi, inermi, o nei confronti di ragazzi, di giovani studenti armati soltanto dei loro ideali di libertà e giustizia. Sono tutti crimini contro l'umanità pluriaggravati, imprescrittibili, che devono essere puniti, che non meritano cittadinanza, che violano apertamente dei valori universali dell'essere umano, certamente codificati, ma non c'è bisogno di codificarli, valori di ius gentium direi: la dignità delle persone, la libertà di autodeterminarsi, il rispetto delle idee altrui, valori di integrazione di civile convivenza democratica che sono stati barbaramente vilipesi insieme ai corpi straziati delle povere vittime. In particolare uno degli ideologi, possiamo chiamarlo così, del Plan Condor era Blanco Estradé. Merita una menzione particolare in questo processo anche per il ruolo apicale rivestito all’interno del governo, che era un membro del Cosena, era ministro degli esteri dell'Uruguay dal 1972 al 1976, il quale riveste un ruolo davvero chiave, che ben ha chiarito Mirtha Guianze nella sua testimonianza. In particolare in un documento declassificato dal dipartimento di Stato a firma di Condoleezza rice, viene definito come l'ideologo della teoria della terza guerra mondiale, almeno sedicente. Cioè lui, questo diceva, questa era l'ideologia che propugnava, come ultimo baluardo della civilizzazione cristiana contro il comunismo. Ecco il nome di questa ideologia malata, perversa, che è stata inoculata quindi come una forma quasi di terrorismo di Stato, è stato detto anche questo anche dalla Mirtha Guianze, perché è vero, è partita dai vertici che noi qui processiamo, non solo i vertici politici ma i vertici anche delle organizzazioni militari, i vertici o comunque gente che ha rivestito un ruolo fondamentale degli apparati di sicurezza e tutti erano pienamente consapevoli, pienamente aderenti questo progetto criminale che, ripeto, quale che sia l'ideologia che lo sosteneva si realizzava con modalità operative sicuramente e manifestamente criminose che non possono assolutamente essere giustificate in nessuna civile convivenza democratica, e in nessuno LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà Stato democratico. È per questo che rileggendo le carte di questo processo mi venivano dei flash, dei flashback, mi sembrava di risentire, sentendo anche le dichiarazioni spontanee che, bontà sua il Troccoli ha reso davanti a questa Corte, di riecheggiare sinistramente degli argomenti difensivi, sentiti da Priebke, che si ritrovano anche nel video messaggio, nel testamento spirituale di Priebke: “Eravamo dei militari, abbiamo eseguito gli ordini". Il Troccoli ammette anche nel suo libro, in articoli, che, con una vanità che batte l'intelligenza, si è preoccupato di scrivere, di rendere interviste. Anche l'articolo “io assumo, io accuso" dove ammette di avere trattato inumanamente i detenuti, ma senza odio. Ah, meno male! Pensiamo cosa avrebbe potuto fare se li avesse pure odiati. Come un professionista della violenza, uno che scrive “L’ira del Lieviatano”, una sorta di apologia della tortura. Sottotitolo "il metodo della furia". Ma c'era bisogno di tutto questo per perseguire l'annientamento fisico dell'avversario, dei cosiddetti sovversivi? Che non erano, come dicevo, pericolosi terroristi. La spoliazione non solo dei beni ma della prole. davvero un livello di perversione che non ammette giustificazione, non ammettono scriminanti. Le scriminanti, anticipo possibili eccezioni difensive, argomenti difensivi, "eravamo militari", come diceva Priebke e tutti gli altri delle varie stragi che ho menzionato prima, delle stragi naziste, "abbiamo eseguito gli ordini". Almeno qui non dice "se no mi passavano per le armi", lui era uno dei capi dell'S2. “Eravamo in guerra". Sì ma anche in guerra, anche nel conflitto aspro, a parte che non era una guerra, al di là di quello che diceva Blanco Estradè, l’ideologo della teoria della terza guerra mondiale, anche nel conflitto aspro, anche nelle vere guerre l’uomo deve essere uomo, deve comportarsi da uomo, e le condotte criminose che sono state poste in essere dagli odierni imputati, ognuno nel proprio ruolo, ognuno nel proprio Stato e nella connessione che lega tutte queste, non sono comportamenti, non sono comportamenti umani, sono comportamenti barbari. E ricordo soltanto come anche qui richiamando la giurisprudenza che certo è ben nota a codesta Corte, soprattutto magari per i Giudici Popolari, anche qui nella sentenza Priebke, 12595/98, si parla chiaramente, dove in presenza di barbaro eccidio in danno di prigionieri inermi c'è una violazione dei più elementari principi umanitari, dello ius gentium. Allora poi non era ancora in vigore la convenzione di Ginevra, ma dice: “Nel pur inadeguato quadro normativo esistente al tempo della Seconda Guerra Mondiale, presentava carattere manifestamente criminoso per la selezione sproporzione del numero delle vittime, per le efferate modalità di esecuzione collettiva delle uccisioni. In tali circostanze si imponeva agli ufficiali - dice la Cassazione Penale nel 98 - destinatari dell’ordine, ammesso che non fossero loro stessi a darlo ... obbiettivamente connota il disvalore proprio di un orribile delitto contro l’umanità rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 e il dovere di disobbedienza”. Cioè, altro che l’obbligo di eseguire. Andiamo al di là! o la facoltà di rifiutare! No, per il militare anche in tempo di guerra c’era l’obbligo e c’è tuttora di disubbidire all’ordine manifestamente criminoso quale non poteva non essere considerato quello di torturare, violentare questi poveri ragazzi, con queste modalità così efferate e atroci che ben giustificano anche la richiesta, tra le varie aggravanti, anche della aggravante del 61 numero 4 della crudeltà e delle sevizie, su cui pure anche la sentenza Priebke e altre pure parlano lungamente. Ma anche le sentenze di primo grado del Tribunale militare per le stragi di Bardine San Terenzio, di Vinca. È una giurisprudenza un po’ così, diciamo tralaticia, per fortuna, che questa Corte ben conosce e che richiamo anche per averla conosciuta e in piccola e umile parte contribuito a crearla e a farla consolidare. Sono principi generali ripeto. Se pensiamo che anche addirittura nel Codice Penale Militare di guerra tedesco, in tempo di guerra, era previsto l’obbligo di disobbedire, quindi è proprio una giustificazione veramente quasi patetica e risibile, se non fosse vigliacca! “Eravamo militari, abbiamo eseguito gli ordini”. Qui invece c’è una adesione totale! Noi vediamo come proprio aderivano, vivevano quasi per questo insomma. I testi lo raccontano bene, negli interrogatori erano proprio invasati, avidi di informazioni, avrebbero fatto qualsiasi cosa. E l’esito era sempre quello, sia che avessero parlato sia che non avessero parlato. Lo dice pure il teste osses, uno dei GAP che è venuto qui a testimoniare, che ha avuto una vita da film, un bel personaggio, che ha fatto una ricostruzione molto lucida quanto accorata, che si è salvato in circostanze rocambolesche. dice: “Io non ho mai parlato perché mi avrebbero ucciso comunque, sia se avessi parlato che se non avessi parlato”. A parte che per quelli che hanno parlato è difficile giudicare comportamenti che non erano umanamente esigibili quali sopportare quello che non era umanamente sopportabile né giustificabile sotto ogni profilo. Quindi l’elemento psicologico c’è tutto, dell’adesione al piano criminoso, la consapevolezza del contributo causale. Veniamo adesso ad affrontare piano piano un altro argomento, un altro macro tema, quello del concorso di persone, in particolare del concorso morale che pure è stato profondamente arato. Anche qui richiamo tutte le sentenze della Cassazione sulle varie stragi di Marzabotto quando l'ordine manifestamente criminoso viene trasmesso lungo la catena di comando, qui abbiamo quasi tutti vertici, non tutti in posizione apicale. Ma anche nel caso della strage di Ce- falonia, l'uccisione degli ufficiali italiani che si erano arresi dopo aver valorosamente combattuto, che veniva, si dice, dicevano, direttamente dal Fuhrer, quindi non si poteva non eseguire. Anche lì si è arrivati finalmente ad una condanna del Tribunale Militare di roma in data 11 dicembre 2013, esattamente a 70 anni dall'eccidio di Cefalonia, dove si dice LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà che, anche se provenisse dai massimi vertici, dal Fuhrer in persona, per cui questi militari italiani -quelli erano militari italiani, che avevano combattuto valorosamente ma ormai erano prigionieri di guerra che quindi godevano di uno status inviolabile come cittadini inermi -andavano uccisi in quanto considerati traditori dell'alleanza tra Italia e Germania. Primo caso di resistenza da parte di militari all'esercito occupante tedesco. Era manifestamente illegittimo, e era un ordine manifestamente criminoso in relazione al quale già l'articolo 40 del Codice Penale Militare di Pace, nella formulazione all’epoca vigente stabiliva la corresponsabilità del- l’esecutore unitamente a chi aveva impartito l’ordine. La determinazione della condotta come manifestamente criminosa rileva per escludere la sussistenza della scriminante dell'adempimento del dovere. ricevuto un ordine manifestamente illecito costituente reato, certo non poteva sfuggire la criminalità manifesta di quest'ordine, il militare di grado inferiore aveva il dovere di non darvi esecuzione. E anche la giustificazione che per fortuna non ho sentito dire dal Troccoli “ma poi mi avrebbero passato per le armi”, ci sono casi insomma, lo stesso Chavez dominguez per cui giustamente la Pubblica Accusa ha chiesto il proscioglimento, era pure uno dei capi, si occupava del laboratorio meccanico, non entrava nello Stato Maggiore, ha disapprovato, alla fine è stato destituito, ha chiesto di essere trasferito. Forse sarebbe stato interessante fargli qualche domanda, consentire qualche domanda ulteriore sulla posizione di Troccoli, visto che lui comunque un anno è stato lì, anche se in una palazzina distante cento metri, e quindi qualcosa di più sapeva su quello che, anche se non lo condivideva, non ha aderito, e quindi giustamente per lui è stata chiesta l’assoluzione, non ha commesso il fatto, non ne condivideva nulla né nella materialità né nell’elemento soggettivo. Però sapeva, come una mosca nel latte, si rende conto del latte in cui è caduta. Ma comunque il compendio, voglio dire, il compendio probatorio a carico degli odierni imputati è tale e tanto che tutto sommato non c’era bisogno di far fare delle dichiarazioni accusatorie a Chavez dominguez contro Troccoli. Sappiamo già troppo di lui e il suo comportamento non aveva nessuna giustificazione. Ma al di là delle prove dirette, dei riconoscimenti da parte dei testimoni, da parte dei sopravvissuti che il Pubblico Ministero ha puntualmente ben elencato, andandoli a discernere nell’amplissimo materiale probatorio, dei sopravvissuti anche in situazioni rocambolesche. Pensiamo a Sarah Mendez, a Ana Quadros, che si salvano nel primo volo di orletti per una serie di circostanze abbastanza fortuite, altrimenti avrebbero subito la sorte degli altri. Perché lì tra di loro c’era anche la figlia di Michelini, ricordiamo, e il padre era stato appena barbaramente trucidato, quarant’anni orsono insieme a Gutierrez Luis, Presidente della Camera, dopo il colpo di stato. Nel primo volo c’era la figlia quindi di Michelini, rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 del senatore Michelini, e la stessa Ana Quadros era figlia di un ambasciatore, che aveva fatto subito ricorso, si era dato da fare per i diritti umani. E in più lì c’erano le pressioni degli Stati Uniti che noi vediamo attraverso tutti i documenti che ci ha illustrato il professor osorio che vigilavano quindi, con una posizione neutrale, in parte con qualche interesse, ma certo di fronte a degli eccessi intervenivano manifestando per le vie diplomatiche delle forti pressioni, come di fronte allo spettacolare omicidio di Latelier Washington, addirittura, orchestrato dalla dINA, che dopo di quello viene chiusa e il Cile viene punito, o anche di fronte a certi eccessi compiuti dall’Argentina, laddove si dice, in questi documenti declassificati che osorio ci ha illustrato, che dice “Qui ormai i vertici politici sono in preda ai servizi segreti, stanno prendendo troppo piede”. E questo è uno dei casi in cui si minacciano anche, in queste pressioni diplomatiche, anche i tagli di finanziamenti internazionali, per cui lì l’Uruguay decide di fare quella famosa farsa, messinscena, dello Shangri-la, dello Chalet Susi, nota in diversi modi, ma insomma sappiamo tutti di che cosa stiamo parlando che suscitò peraltro la reazione furibonda, furente dell'Argentina che reagii aspramente, che era uno Stato che in quel momento stava prendendo quasi il comando delle operazioni Condor sostituendo il Cile che era stato un po' penalizzato e che si stava un po' defilando. E dice "non succeda mai più che voi portate dei prigionieri uruguaiani detenuti clandestinamente in Argentina facendo la conferenza stampa per fare vedere che non muore nessuno in Uruguay; e questi raccontano, raccontano che sono stati detenuti. Ma che siete matti?” Tant'è che c'è stata poi la seconda ondata, di qualche mese dopo dove gli stessi portati ad orletti, a cavallo tra il Settembre e l’ottobre del 76 ... non sopravviverà nessuno. Alcuni di questi verranno poi portati in Uruguay ma clandestinamente perché, questa è un'altra delle costanti, il protocollo Condor prevedeva, più testi l'hanno riferito, che ognuno si facesse carico della propria spazzatura. Noi ve li catturiamo, vi chiamiamo, vi avvertiamo, venite qua ad interrogare e a torturarli, prendete verbali di dichiarazioni e poi ve li riportate, ma clandestinamente, nessuno deve sapere, e li fate sparire. Non devono ricomparire vivi! Tutto ciò deve rimanere assolutamente top secret, era una lotta alla sovversione assolutamente condotta dai servizi segreti, dalle polizie segrete. Quindi quella spettacolare messinscena provoca la reazione furibonda dell'Argentina, ormai fuori controllo, anche da parte degli Stati Uniti che più che manifestare preoccupazione, tant'è che si riesce a salvare soltanto in maniera fortunosa, fortuita, i sequestrati del primo volo di orletti mentre per i secondi non vi sarà il minimo scampo. Come poi per le successive operazioni congiunte: pensiamo a quella dell'anno dopo e l'anno successivo, quella contro i GAU. Perché poi c'è proprio un piano militare di annientamento che parte da un'organizzazione che mira a ster LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà minare quella. Se si trova un collegamento come ad esempio nel caso dei GAU tra i montoneros, montoneros argentini, viene preso de Gregorio, e lui è in possesso di passaporti di membri GAU. E lì si accende la lampadina e scatta la repressione feroce verso tutti i membri dei GAU che si trovano a Buenos Aires, quasi, hanno detto dei testi, e ci sono anche dei documenti che osorio ci ha illustrato, come un’opera di ringraziamento da parte delle autorità argentine, un’operazione così massiva compiuta in un altro Stato al di fuori di qualsiasi legalità, di qualsiasi legittimità: si è consentito a truppe uruguaiane che hanno operato insieme di operare quella seconda o terza ondata, insomma l'ondata di arresti e di sequestri e di torture e di detenzione contro i GAU a cavallo tra il dicembre del 1977 e il gennaio del 1978, che si conclude il 3 gennaio con la cattura di Célica Gomez a Buenos Aires. Quindi tutti i rifugiati GAU, quasi come ringraziamento per il fatto che gli uruguaiani avessero consegnato ruben de Gregorio su cui parla lungamente anche daniel rey Piuma, che l’ha conosciuto personalmente, che lavorava lì alla Prefettura Navale. Ce lo descrive fisicamente: un ragazzone alto, un bel ragazzo simpatico, si presentò così. Si accorsero che le impronte non corrispondevano ai passaporti e in più aveva il passaporto di una ragazza dei GAU e lì scatta questa operazione congiunta, de Gregorio viene consegnato tramite le lance, perché lì il braccio di mare, un fiume in realtà, insomma è un estuario, però comunque è facilmente raggiungibile, quindi questi scambi di prigionieri tra l’Uruguay e l’Argentina e viceversa avvenivano spesso tramite lance. Questo ce l’hanno raccontato in molti, ma soprattutto nelle testimonianze di daniel rey Piuma che poi ha avuto anche la ventura, diciannovenne, di vedere affiorare lì dal mare, dal rio della Plata, sulla spiaggia, una serie di corpi, forse chissà, argentini, buttati dai voli della morte. Non lo so. Ma fatto sta che anche quelli che fossero argentini, che fossero... a parte che recavano delle legature con nodi nautici, quindi probabilmente vittime dell’Esma argentina, ma anche i segni inequivoci, atroci, di torture, di violenze subite, di violenze sessuali, nasi strappati, e il resto che avete visto in quelle fotografie e che non sto... Non ho bisogno di suggestionare la Corte con certi particolari atroci che già hanno turbato le conoscenze di tutti quanti noi. Pensiamo a quel povero ragazzo, 19 anni, che vede lì, vede affiorare questi morti in queste condizioni, viene chiamato a compiti di dattiloscopista, a prendere le impronte dei torturati al Fusna. Sente, li sente gridare, li vede portare in pessimo stato nella stanza lì del Fusna, riconosce i carcerieri, vede anche donne che torturavano e rimane sconvolto. rimane lì tre anni e la sua vita è segnata per sempre. Certo però dalle dichiarazioni che formano parte del giudizio, che sono state acquisite in quanto irripetibili, certo si conserva ancora un ricordo nitido, lucido, altro che pazzo. Certo c’era da perdere veramente la ra rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 gione! Lui è riuscito a disertare, è riuscito poi a riparare in olanda già nel 1980 e ha avuto ripetute minacce di morte. E lui ha visto tutto e ce lo racconta, ha visto de Gregorio, ci parlava, giocano a carte insieme. Poi si è capito chi era e l’hanno dato, l’hanno portato con le lance all’Esma e lì è stato ucciso. Gli argentini venivano portati all’Esma dove gli uruguaiani non sono mai stati. Gli uruguaiani andavano in altre carceri, Pozo de Banfield, Pozo de Quilmes, Coti Martinez, dove poi venivano subito, prontamente, avvertiti gli omologhi uruguaiani: “Li abbiamo presi, sono qua”. Ma tante volte nelle operazioni di cattura, come in quella di dossetti, erano comandate dagli stessi uruguaiani. C’era questo scambio di informazioni che costituisce la costante del Piano Condor. Inizialmente nasce, ci hanno spiegato bene anche gli esperti, come uno scambio di informazioni, come è normale che sia nei rapporti tra servizi segreti; scambio di banche dati, mettere in comune banche dati. Ma poi a un certo punto l’appetito vien mangiando, c’è un’escalation, si alza l’asticella, si capisce che in fondo ci si poteva anche non limitare a questo, intensificare il coordinamento anti sovversivi nel coordinamento repressivo. E quindi si arriva allo scambio di prigionieri al di fuori di qualsiasi legalità, di qualsiasi formalità, e anche allo scambio di tecniche di tortura. Alla fine Troccoli si vanta pure: “Ma gli abbiamo insegnato noi”, no? Lo dice nel libro. “Nel 74 sono venuti quelli dell’Esma lì al Fusna, per le tecniche di guerriglia urbana”. Mah! Sarà solo questo? Ammesso che ci fosse bisogno di un’azione anti guerriglia urbana! In realtà li si comunicavano le tecniche di tortura che noi vediamo: la corrente elettrica... cioè, sono atrocemente e tristemente le stesse da Villa Grimaldi, a Automotores orletti, il sottomarino, le torture sessuali, le finte uccisioni, le finte fucilazioni. Hanno veramente subito di tutto e di più, e Troccoli si vanta giustamente: “Gliel’abbiamo insegnato noi!”. E lui pure va a fare il corso di formazione, di aggiornamento. Certo, era un professionista della violenza, no? L’ha detto. Un certo qual malinteso onore militare. Ecco, questi sono i personaggi, i carnefici a fronte delle vittime. Ma, dicevo, al di là dei riconoscimenti dei testimoni, come Sara Mendez che riconosce Gavazzo. Gavazzo lo riconosco tutti veramente perché lui era proprio il più vanitoso, era un narcisista, si presentava con nome, cognome, soprannome, in uniforme, a volto scoperto. E lo riconoscono tutti. E lo riconoscono in varie parti, lui era il numero 2 del SId, 302. Viene visto a orletti, da Sara Mendez, gli presenta Manuel Cordero che violenterà Ana Quadros, che pure riconosce Gavazzo. Si presentavano. Viene riconosciuto da Artigas, quando viene sequestrato con i fratelli, tra cui Maria Artigas, ruben e oscar Alberto. Si presenta a casa direttamente, affronta lui, omone di più di un metro e ottanta, la madre degli Artigas donnina piccola, ma tenace, tosta, discendente dagli Artigas, da Artigas, LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà padre della repubblica uruguaiana, come ci ha fieramente ricordato il teste che è venuto a deporre. dice: “Io porterò via tutti i tuoi figli, per il più piccolo ci tornerò dopo”. Infatti mantiene la promessa. Verrà poi violentato a 16 anni, allora aveva 13 anni. E lì siamo in Uruguay, a Montevideo. Ma, ripeto, viene riconosciuto anche a orletti. Viene riconosciuto al Fusna, donde gli stretti rapporti tra SId, Fusna, oCoA. Ci hanno spiegato che cosa era l’oCoA, un organizzazione di coordinamento antisovversivo, operazioni antisovversive. Non era un servizio segreto in sé, erano in quattro, erano uno per ogni regione militare, e loro si chiamano oscar; Silvera Quesada, era un’oCoA, oscar. ramas Pereira era un’oCoA. Vengono visti e riconosciuti. Anche Silvera Quesada viene riconosciuto, viene visto al Fusna. Lui che era un’oCoA da rosa Bareix. Lo dice “si vantava di saperci fare con le donne, che lui era un esperto a fare parlare le donne”. Non a caso poi lo mettono a direttore del carcere militare femminile, dove poi rosa Bareix verrà portata. Viene presentato anche lui dal Gavazzo. Vasquez Bisio, li vedono a volto scoperto parlare, questionare, polemizzare. Sì, dice, rivaleggiavano, no? Vasquez Bigio che era il numero 307, erano tutti... erano tutti in carriera, potevano anche rivaleggiare, come qualcuno ha detto, sullo scambio di informazioni all’interno, perché poi, è lì la vanità ancora una volta, che quasi verrebbe da sorridere se non stessimo parlando di atrocità barbare, avevano paura che gli togliessero il merito, quindi le informazioni si passavano da Troccoli a Gavazzo, “però non tutte perché poi l’esercito ci toglie il merito eh!”. Erano tutte medaglie, tutti trofei, tutte le informazioni che venivano estorte, pur di annientare completamente, di annichilire anche nelle generazioni a venire coloro che non la pensavano come loro, coloro che lottavano per un mondo migliore, è stato detto, per ideali di libertà e di giustizia. Quindi molti di loro sono stati riconosciuti. Ci sono riconoscimenti visivi, sia nel momento della cattura... C’è dosil, mi pare dosil, a parte che dice Troccoli “io sì ho trattato, ma non ho mai ucciso, fatto sparire”, ... lui faceva tutto, era il comandante certo, era l’S2, era ben fiero e consapevole di questo, con un’autonomia decisionale, il diritto di vita e di morte praticamente su ciò che avveniva sui prigionieri, ma era anche quello che poi in prima fila conduceva anche le operazioni di sequestro, di apprensione materiale. Come nel caso dosil che lo riconosce. dice: “Ma lei è sicuro”, fa la difesa? “Ma come no?! Me lo sono trovato a casa”. Eh! “Mi ha sbattuto al muro, mi ha puntato il mitra alla gola «tu vieni con noi», a faccia scoperta, in borghese”. Salvo poi quando magari interrogavano al Fusna, che comunque era una sede ufficiale, poi il Fusna abbiamo visto come, è emerso tra le pieghe del processo, avesse anche dei suoi centri clandestini di tortura, il famoso Chacra, il Cerro, su cui daniel ray Piuma, rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 se fosse venuto, gli avremmo fatto delle domande. Sapeva più di quello che ha detto nelle sue dichiarazioni. Ed è emerso anche da altri testi. È stato chiesto anche dalle difese di Parte Civile dice: “Eh, sì, anche la Guianze ha detto che ne sapeva qualcosa, ma non si è potuto indagare nei processi sul Larcerbeau e Armenlino, perché sì era una collina che stava lì dietro il Fusna, ma lì chissà che cosa... quali orrori si potrebbero scoprire. L’orto, la Chacra, dietro la collina, il Cerro, lì succedeva di tutto, no? odore di campagna... si riferisce di un’agonizzante, un teste riferisce di un agonizzante che viene, ancora vivo, agonizzante dato in pasto ai maiali. Per cui quando si dice al Fusna “no non moriva nessuno”, non è vero. Lo stesso daniel ray Piuma riferisce anche di argentini torturati, morti, in maniera atroce anche al Fusna. Si cercava di non farlo proprio lì nella sede ufficiale proprio per... Anche perché lì spesso apparivano anche con le uniformi, cosa che invece in altri centri di tortura clandestina, ad esempio la Tablada, l’ “inferno grande”... Anche i nomi mettono solo i brividi. Ecco, se poi non avessimo le testimonianze a renderceli vividi, attuali, ... , dove pure è stato visto Gavazzo più volte, e dove vengono portati, alla Tablada alcuni uruguaiani che vengono sequestrati a Buenos Aires nell’operazione contro i GAU. Penso a Cabezudo, il campione di scacchi, il professore, lui ha cercato rifugio a Buenos Aires. A Célica Gomez, sequestrata il 3 Gennaio 1978 che chiude quell’ondata repressiva che comincia il 21 dicembre 1977 cui Troccoli partecipò fieramente. Ci sono prove dei viaggi che fece in Argentina a cavallo tra Natale e Capodanno sotto copertura. E che continuò poi dopo in Uruguay, perché rileggendo, in particolare avevo detto che avrei cercato di non parlare dei fatti, ma è inevitabile, delle incursioni dei fatti: la testimonianza del teste Gal- lero del 21 ottobre 2015, un sopravvissuto in maniera miracolosa, rocambolesca, torturato più volte viene portato alla Tablada e apparentemente non gli fanno nulla. Lui non sa dove è capitato, lo tengono lì nudo, seduto su uno sgabello, legato, ammanettato, bendato, ma non viene torturato, è stato già torturato prima peraltro eh, non si facevano mancare nulla. Quasi lui si illude, dice “ma qui mi hanno già torturato, mi hanno già fatto firmare un foglio”... “No - dice una giovane guardia non... se stai qui c’è ancora qualcosa che deve venire fuori. I diavoli sono in viaggio, qui è l’inferno. Sei capitato all’inferno. Quando ti portano sopra la scala di tutto, non si può resistere”. E lì ci racconta veramente l’inferno, l’inferno vero, l’inferno in terra. Corrente elettrica, viene appeso, gli vengono bruciati i piedi, appiccando fuoco sotto con gli aguzzini che ridono, lo dileggiano. “Mira lo direitos humanos”, i diritti umani qui siamo noi. C’era da uscire veramente di senno. E al di là delle sofferenze che uno è costretto a subire vede dei compagni, li riconosce, scendendo faticosamente nudo, coi piedi bruciati da questa scala, perché lì il centro LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà torture era sopra, cercando di appoggiarsi al corrimano, alzando la benda riconosce appeso Cabezudo sequestrato a Buenos Aires. E lo ritroviamo lì alla Tablada, come ritroviamo Celica Gomez che viene violentata a turno, ripetutamente, fino a ucciderla, dagli guzzini. E lui sta nella stanza accanto, senza porte, e riconosce, vede le carceriere, la gorda, la negra che facevano entrare a turno gli uomini, che facevano battute grevi, pesanti. E lì c’era la Barrientos, argentina ma moglie di uruguaiano, di Fuarte, arrestata anche lei incinta. La biologa. Anche essa violentata ripetutamente, con commenti di questi che commentano, il corpo di questa è violato, e dicevano: “Ma chi l’avrebbe detto che era biologa questa?”. E tutto viene riportato, e il Gallero ascolta tutto, sta lì, coi genitali sanguinanti e i piedi bruciati, ascolta e ha paura anche di dormire, perché là di notte violentavano chiunque. Andavano... ci iniettavano di tutto, davano dei sali per farci allentare gli sfinteri. Ma cose allucinanti, veramente l’Inferno grande! mai nome fu più adatto. E lì non avevano le divise, era uno dei tanti centri di detenzione clandestina di tortura dove veramente si scatenavano le più profonde abiezioni. E da lì veramente pochi sono usciti. Per questo è particolarmente preziosa la testimonianza toccante, autentica, vivida di questo Gallero che ci dice pure, a un certo punto “portatemi Gallero”. E qui dice: “Ma Gaglio o Gallero?” E Gaglio era un altro di quelli che erano arrestati a Buenos Aires, anche lui c’era. E l’inferno si scatena quando dopo questa quiete che precede la tempesta lui sente e riferisce puntualmente le persone che arrivavano e questi che vengono portati e quello che chiede sei, sette caffè. dice questi sono tutti... sono quasi assiderati, venivano portati, chissà, con le lance, seminudi, in pessimo stato. Una cosa pure che riferisce daniel ray Piuma: “Mentre gli argentini che venivano trasferiti in uruguaiani erano in stato migliore, gli uruguaiani che venivano dall’Argentina arrivano già in pessime condizioni generali”. Lì si preoccupano di portargli dei caffè caldi perché erano già arrivati... E lì si scatena poi l’inferno vero, i diavoli erano in viaggio e arrivano, uomini e donne che torturavano senza pietà, con modalità efferate, con una adesione totale che andava al di là di qualsiasi finalità di estorcere delle informazioni. C’era un sadismo, un godimento, una adesione, un segno proprio di malvagità d’animo. Quando scende la scala Gallero e vede Cabezudo torturato, appeso, il suo torturatore dice: “Non hai parlato, mi hai fatto faticare! Però mi sono tolto lo sfizio”. E gli dice pure una parolaccia. dice: “Adesso portatemi la legna qua sotto”. E l’altro gli dice: “Attento, non dare fuoco a tutto”. Cioè, proprio i più bassi istinti! Tant’è vero che non hanno davvero nulla di umano e per questo meritano la più pesante ed esemplare, meritata, delle condanne. Ma, ripeto, al di là dei riconoscimenti visivi, delle prove dirette, dei testimoni oculari che ho citato, rosa Bareix, Cristina Fynn, dosil, Gallero, Sara Mendez, Ana rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 Quadros, e tanti altri sopravvissuti in maniera fortunosa, rocambolesca, soccorre in un processo penale come questo, ma come tanti processi penali, anche la prova logica. Non possiamo dire che questo sia un processo indiziario, certo ci sono tante di quelle prove, ma accanto alla prova diretta, la cosiddetta prova regina, il riconoscimento oculare che tante volte potrebbe, se isolato, essere fallace. Qui, insomma, Gavazzo l’hanno visto ovunque e in tantissimi, e così tanti altri, Silvera Quezada, Troccoli. Soccorre però la prova logica, e qui lo dico più, ovviamente, come avevo premesso, più per i membri non togati, non starò certo a spiegare ai membri togati della Corte cosa è la prova logica, ma tante volte nei processi, in tanti grandi processi, in fondo se pensiamo anche a tutte le stragi naziste per cui abbiamo ottenuto delle condanne, all’ergastolo, non si andava a cercare a distanza poi di così tanti anni la pistola fumante, il testimone oculare che non era... lì addirittura parliamo di fatti di settanta anni fa, qui di quaranta, quindi abbiamo più testimoni, ma ripeto: a integrazione della prova diretta per coloro tra gli odierni imputati che non fossero stati riconosciuti direttamente, non è che per questo dobbiamo concludere per una assoluzione, sarebbe sommamente ingiusto, soccorre il criterio della cosiddetta prova logica, cioè dei tanti indizi, molteplici, gravi, seri, precisi e concordanti. La Cassazione con massime tralatice che non starò a ricordare, dall’ultima sentenza del 12 Aprile 2016, la più recente, dove spiega, il compito del Giudice di merito nel valutare i singoli indizi, da prima singolarmente presi nella loro certezza storica; è chiaro, non devono essere delle illazioni, qualcosa di verosimile, devono essere degli elementi certi, possibilmente molteplici. Anche se sono gravi potrebbero anche non essere tanti. In questo caso ce ne sono molteplici e gravi, anche precisi e anche concordanti, convergenti nella dimostrazione delle condotte criminose ascritte. Quindi da un lato bisogna prima valutare i singoli elementi per verificarne la certezza e intrinseca valenza dimostrativa e successivamente procedere a un esame globale degli elementi certi per accertare se le relative ambiguità di ciascuno di essi possa in una visione unitaria risolversi consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, cioè con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali e estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. Questi sono gli insegnamenti, ho citato solo l’ultima massima della sentenza 20461 del 12 Aprile 2016 della Sezione I della Cassazione, ma potrei citarne tante altre che però vi risparmio perché sono ben note, soprattutto ai membri togati di codesta Eccellentissima Corte. E devono concorrere ovviamente nella dimostrazione, quindi, nel quadro probatorio. In mancanza anche solo di uno di essi gli indizi non possono assurgere LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà al rango di prova idonea a fondare responsabilità penale. Proprio dal- l’esame globale unitario di essi, dopo una analisi singulatis degli stessi, serve proprio a dissolverne, se ci sono i presupposti, la relativa ambiguità dimostrativa di ciascuno di essi. Quindi va valorizzata in una prospettiva globale e unitaria. (Inc.) c’è il rapporto che si trova in massime della Cassazione, dove appunto devono essere molteplici ma, di fronte a una gravità, in presenza di indizi particolarmente gravi può essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto. Cassazione, Sezione V, 21 Febbraio 2014, numero 16397. Ce ne sono tante altre insomma, qui poi francamente la molteplicità non preoccupa proprio questa difesa. Abbiamo tali e tanti di quegli elementi indiziari che appunto concorrono, singolarmente presi e valutati globalmente, concorrono a dimostrare il quadro probatorio, ripeto al di là dei riconoscimenti pure copiosi che ci sono stati di numerosi imputati. Concorre, prova logica e prova diretta, concorrono e quindi anche per coloro che apparentemente nel processo non sono venuti proprio sotto la luce dei riflettori e hanno tenuto una posizione così, da dietro le quinte, pur essendo anch’essi non capitati lì per caso. Parliamo che tutti gli imputati erano vertici, avevano posizioni di comando, avevano ruoli fondamentali all’interno dei rispettivi apparati, dei rispettivi paesi, dei rispettivi stati membri del Piano Condor, chi ruolo apicale, chi ruolo di vertice dei servizi, chi ruolo di capo dell’esercito o comunque dei quadri anche con un’autonomia decisionale. Questo è importante, qui ci si dice “ero un militare, eseguivo gli ordini”. In questo contesto anche un capo dell’S2, che certo aveva sopra di sé dei capi, Marquez era il capo della Marina, c’era Jaun Solo, che era sopra di lui, ma l’S2 che poi condivide e si scambia con Larcebeau, a cavallo tra il dicembre 1977 e il Gennaio 1978, ne eredita e ne condivide tutti i compiti, si scambiavano i ruoli. L’S2 come ci ha detto la Guianze non era una persona fisica, era un ufficio, c’erano più persone, si condividevano, anche Tabaren denaz era un altro dei capi, dei concapi. PrESIdENTE - Avvocato le chiedo scusa, dobbiamo sospendere per dieci minuti. - La Corte dispone una breve sospensione. -Alla ripresa: PrESIdENTE - Prego Avvocato. Parte Civile Presidenza del Consiglio - Avvocato Ventrella AVV. VENTrELLA -riprenderò un po’ il filo e pian piano mi avvicinerò alle conclusioni. Abbiamo ancora qualche argomento, qualche questione giuridica da affrontare e cercherò di farlo nel modo migliore e anche più sintetico possibile. Avevo accennato al grande tema del concorso di persone, accanto a quello della prova logica indiziaria, integrante la prova diretta; rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 agli odierni imputati vengono contestate una serie di condotte criminose in concorso tra di loro, al di là del concorso materiale, molti di loro abbiamo visto, ecco perché associo i due argomenti, abbiamo le prove che abbiano partecipato anche materialmente, abbiano dato il loro contributo causale al verificarsi del reato, alla commissione del reato. Il loro efficiente contributo causale assolutamente consapevole. Penso che sull’elemento psicologico non vi sia proprio alcun dubbio, una adesione totale, maniacale, febbricitante in alcuni di loro. Erano come invasati nel dare attuazione a questo Piano Condor, al quale ognuno apportava il proprio contributo causale, tante volte anche in una autonomia decisionale, visto che chi più chi meno tutti gli imputati rivestivano una funzione di comando, e aveva un’autonomia decisionale, anche se poi avevano, come spiegavo alla fine, prima dell’interruzione, potevano avere anche dei superiori gerarchici, come il caso del Troccoli, Marquez o Juan Solo. Quindi molti di loro hanno un contributo materiale sia all’esecuzione del piano, di questa pianificazione criminosa sia proprio materialmente al sequestro di persone. ricordiamo il Troccoli riconosciuto da dosil, e gli interrogatori. Il Gavazzo poi non lo sto più a menzionare perché l’hanno riconosciuto tutti, si presentava anche con nome e cognome, soprannome, indirizzo, uniforme, con grande pompa e vanità. E quando affronta la mamma di Maria Artigas, la prima donna ma tenace, come ricorda con affetto il figlio, lei dice: “Ma che stai facendo?” “Ti porto via tutti i tuoi figli, l’ultimo ci penso dopo”. E quando portano via Maria Artigas, che cerca di difendere i fratelli, e lo affronta fieramente e dice, ricorda il fratello: “Lei si assume tutta la responsabilità di quello che sta facendo”, lui la guarda quasi con spezzo, con dileggio: “Io so benissimo quello che sto facendo, ne sono assolutamente consapevole”. E poi lo si vede, Gavazzo, nel partecipare alle catture ma anche poi lo si trova nel centro di Auto- motores orletti, viene riconosciuto lì, si presenta, presenta altri al SId, al Fusna. Erano tutti collegati, tutti partecipavano nel medesimo progetto, nel medesimo programma criminoso, aderendo con piena consapevolezza non solo di quello che loro, come il tronfio Gavazzo dice, di quello che facevano ma anche del contributo causale apportato dagli altri concorrenti. E quindi sia nella fase dell’ideazione ma anche soprattutto dell’esecuzione: sequestri, torture, trattamento inumano nei confronti dei detenuti, come eufemisticamente lo chiama il Troccoli, che ha il cattivo gusto, tra le altre cose, di equiparare al trattamento da lui subito a regina Coeli. Insomma,... francamente cadute di stile che... Va beh, non ci si può aspettare di meglio da un personaggio del genere. E quindi sono pienamente consapevoli anche del contributo efficiente, causale alla realizzazione di questo piano, aderiscono con un’enfasi, una dedizione quasi febbricitante, ripeto, ognuno nel suo ruolo, nella sua funzione, anche materialmente. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà Ma accanto al concorso materiale che pure è contestato bisogna ricordare, soprattutto ovviamente ancora una volta, soprattutto ai Giudici non togati, la rilevanza fondamentale nel nostro ordinamento dei principi generali anche sul concorso morale che non è un quid minus rispetto al concorso materiale, ci sono diversi modi di partecipare alla commissione di un reato. Se pensiamo ancora una volta a tutti i processi sulle stragi naziste, lì addirittura avvenuti a settant’anni, sentenze di condanna intervenuti a settant’anni dai fatti, qui sono quarant’anni, a distanza di tanto tempo è difficile andare a trovare la pistola fumante. Ma anche lì, e faccio un altro collegamento, tutti coloro che furono condannati rivestivano tutti una funzione di comando, avevano tutti loro, si sono difesi eseguendo gli ordini, ma certo, certamente, trasmettendo l’ordine, lungo la catena di comando, a seconda della loro rispettiva posizione che nella stessa ricoprivano, ai loro sottoposti. E ognuno di loro aveva dei sottoposti che poi magari hanno eseguito materialmente. Accanto a loro, accanto ai loro cari, perché no, ma anche ove non fosse raggiunta la prova della partecipazione materiale a queste barbarie, a questi crimini atroci da parte degli odierni imputati, dobbiamo sempre ricordare che gli è contestato anche il concorso morale, che non è qualcosa di diverso, ripeto, un quid minus; ad esempio c’è una recente sentenza della Cassazione, Sezione I, 7845, del 21 Gennaio 2015, che dice che in tema di concorso di persone nel reato nel caso in cui all’imputato sia stata contestata sia la partecipazione materiale al fatto delittuoso che quella morale, la condanna solo per quest’ultima non comporta ovviamente, aggiungo io, una pronunzia assolutoria parziale rispetto al contributo materiale, in quanto comunque lui risponde del reato, anche se si è limitato per ipotesi, per accidente, per molti di loro ci sono prove copiose, dovizie di prove, sul concorso materiale, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, ripeto. Ma quand’anche per taluni degli odierni imputati non fosse raggiunta la prova o diretta o cosiddetta indiziaria, logica, del concorso materiale, soccorrono i principi generali in tema di concorso morale di persone, così come scolpiti da massime anche qui tra- latice, consolidate, della Corte di Cassazione che ci insegnano come nel concorso morale è sufficiente... innanzitutto il contributo causale può assumere somme differenziate e atipiche della condotta, vale il principio della atipicità del contributo alla condotta criminosa e all’interno di questo concetto il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la somma di un contributo agevolatore e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita e difficoltà. Ne deriva che a tal fine è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 commissione del reato mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato le possibilità di produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo in Plan Condor diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti. Questa è una massima della Corte di Cassazione, Sezione V, recente sentenza 3 Novembre 2015, numero 44402. Potrei citarne tante altre e chiaramente risparmio alla Corte la lettura di principi che sono fondamentali del nostro ordinamento e che sono ben noti. Quindi la sufficienza quando non fosse raggiunta, ripeto ancora una volta a me stesso, la prova sia diretta che logica del concorso materiale, comunque è sufficiente che il comportamento tenuto dal concorrente morale abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminoso ma anche che lo abbia semplicemente soltanto rafforzato esercitando un apprezzabile sollecitazione idonea a influenzare la volontà altrui. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 2260 del 16 Gennaio 2015. E qui altro che apprezzabile sollecitazione idonea a influenzare la volontà altrui. Questi stavano lì, vivevano lì H24 per portare a termine questo piano sistematico di annientamento, di annichilimento dell’opposizione, di chiunque la pensasse diversamente. Fisica, morale, psicologica, generazionale, una sorta di pulizia etnica. Stavano lì, vivevano per quello, non pensavano a altro. Altro che Natale in famiglia! Lasciamo perdere! Addirittura la Corte di Cassazione ammette che costituisca concorso morale, e quindi ne risponda, qui siamo in un altro campo, ma la sola presenza, il solo implicito assenso del capo sono idonei a costituire la condizione per la realizzazione del crimine e comunque a rafforzare significativamente il relativo proposito. Non vogliamo arrivare a tanto, anche perché qui altro che tacito assenso! Ma comunque ciò che rileva e ciò che è certo e ciò che è emerso dagli atti, dalle testimonianze, dai documenti acquisiti nell’istruttoria dibattimentale testé conclusa, una cosa è certa: che comunque questi ordini passavano, passavano ai subordinati, venivano trasmessi lungo la catena di comando. Quanto meno questo, su questo, c’è una prova che non è soltanto una prova indiziaria, è una prova logica. Cioè loro si trovavano in una funzione di comando, diversi gradi della catena militare, della gerarchia militare e comunque quanto meno hanno rafforzato il proposito di chi ha commesso materialmente questo crimine quand’anche non l’abbiano commesso o non venga raggiunta la prova della loro commissione materiale. Su questo pochi dubbi possiamo avere e va ricordato ancora una volta come in tutte le sentenze di condanna dei criminali nazisti che si sono macchiati delle atroci stragi che hanno insanguinato l’Italia nel- l’estate del ‘44, soprattutto, non si è cercata lì la pistola fumante, e anzi, ricordo, anche una assoluzione di un soldato semplice la cui imputazione LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà si fondava soltanto su una isolata sporadica, senza riscontri, testimonianza oculare a distanza di tanti anni. Ebbene quel soldato semplice esecutore materiale fu assolto, fu l’unico a essere assolto. Mentre tutti gli altri, anche sergenti, non parliamo di generali, quindi non solo chi era nel battaglione della morte di ryder, ma insomma erano anche sergenti, caporali, tenenti, capitani, comunque avevano alle loro dipendenze almeno due o tre persone. Ebbene sono stati tutti condannati proprio sulla raggiunta prova del concorso morale, dell’avere comunque trasmesso lungo la catena di comando ai propri sottoposti quest’ordine manifestamente criminoso a cui loro stessi avevano, in quanto militari, il dovere di disobbedire perché non riesco a immaginare onestamente qualcosa di più manifestamente criminoso di un ordine del genere, un ordine che consente di perpetrare simili barbarie contrarie a ogni più elementare umanità e dignità delle persone, ai propri sottoposti. Ebbene in quelle sentenze voi troverete, dalla sentenza Priebke, ma insomma in tutti questi casi, da Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, li ho già nominati, Bardine San Terenzio, come la prova viene raggiunta, al di là della prova logica, attraverso concorso morale che in tutto e per tutto è equiparato al concorso materiale. Non è un quid minus. In questo processo rispetto a quelle condanne ottenute a settant’anni di distanza abbiamo molto più materiale probatorio, molte più prove, molti più indizi gravi, precisi, seri e concordanti, molte più testimonianze per fortuna. E quindi sarà più agevole il compito di attribuire le responsabilità penali, ritengo, per codesta Eccellentissima Corte, agli odierni imputati, quanto meno, ripeto, a titolo di concorso morale per avere trasmesso il comando ai propri sottoposti, a coloro che hanno poi eseguito materialmente simili barbarie. Qualche parola merita di essere spesa visto che si tratta di reati pluriaggravati e che l’accertamento anche qui delle circostanze aggravanti è importante perché venga comminata la pena per l’ergastolo. ovviamente sulla premeditazione non dirò nulla, parliamo proprio di un processo emblematico, un caso emblematico, una pianificazione così capillare, militare, sistematica, di una repressione antisovversiva così pianificata in questa maniera con connessione e coordinamento tra tutte le polizie segrete, più premeditazione di questa è difficile immaginare. E quindi anche con il dolo della premeditazione ovviamente. Ma appena due parole sulle aggravanti delle sevizie e crudeltà, solo perché le connetto a quello che da ultimo stavo dicendo, alla barbarie di queste condotte. Anche qui la giurisprudenza, soprattutto formatasi in tema di delitti, crimini contro l’umanità, delle stragi naziste, può essere utilmente richiamata proprio perché stabiliscono, riconoscono per tutti quanti, ovviamente, da un lato il contenuto oggettivo prevalentemente fisico delle sevizie mentre quello oggettivo prevalentemente morale della crudeltà, anche se rivelano en rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 trambi l’animo malvagio della gente, al quale si addebita di aver oltrepassato i limiti di normalità causale nella produzione dell’evento e di avere trasmodato in una manifestazione di efferatezza, infliggendo sofferenza alle vittime, sevizie, o comportandosi verso la stessa o altri anche al di fuori dei mezzi di attuazione del reato in modo tale, -conclude il (inc.) - da farla soffrire anche moralmente. Veramente ciò che abbiamo sentito dalle voci accorate, sofferenti dei testimoni, dei sopravvissuti, viene proprio rappresentato quasi icasticamente da queste massime delle sentenze, della giurisprudenza applicate a altri crimini contro l’umanità caratterizzate però da analoga crudeltà, da analoghe sevizie, da analoghe barbarie verso gente inerme, denudata, umiliata, deprivata di tutto, dei figli, degli averi, degli affetti, della vita in ultimo, della dignità. Perché vi siano sevizie e crudeltà occorre ancora, si dice, la Cassazione dice, occorre un quid pluris rispetto all'esplicazione ordinaria dell'attività necessaria per la consumazione del reato, perché proprio la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole la condotta del reo, rivelandone l'indole malvagia, la pravità di animo, l'insensibilità ad ogni richiamo umanitario. Sentenza della Cassazione Penale, 6 ottobre 2000, ma tante altre, 1283. Anche qua si dice: "La drammatica incisività - sembra attagliarsi perfettamente a quello che abbiamo sentito dalle voci dolenti fiere ma lucide e drammatiche dei testimoni che si sono succeduti di quanto ricostruito affatto sulla scorta degli strazianti riferimenti dei sopravvissuti sentiti come testimoni e delle risultanze di tutte le altre dichiarazioni acquisite costituisce la conferma più pregnante della ricorrenza della aggravante. Uno sconvolgente eccesso di malvagità emerge infatti dai dolorosi racconti dei testimoni i quali hanno dato modo di ricostruire dettagliatamente la materialità dei fatti connotati sia nel loro profilo ideativo che nell'estrinsecazione esecutiva da una spietatezza e da una insensibilità morale che hanno toccato livelli difficilmente immaginabili”. Quindi sconvolgente grado di crudeltà. “diffusa ed intrinseca, la ferocia dei mezzi e dei metodi usati per il compimento dell'efferato eccidio”. E quindi in questo caso sembra, queste massime tratte dalla giurisprudenza delle stragi naziste si attagliano perfettamente. Qui c’è proprio quel quid pluris: era necessario per estorcere, ammesso che fosse lecito e legittimo, perché noi non crediamo, di cercare di estorcere delle informazioni a degli oppositori politici, era veramente necessario, tutto questo? Il quid pluris rispetto all'esplicazione ordinaria dell'attività necessaria per la consumazione del reato, la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole la condotta del reo rivelandone l'indole malvagia, l'insensibilità ad ogni richiamo umanitario. “No qui diritti umani siamo noi”, “mira los dere humanos”! Eh?! A Gallero torturato. Così come pure deve essere riconosciuta accertata anche l'aggravante dei mo LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà tivi abietti e futili, il 61 numero 1, che tiene alla formazione e alla volontà del soggetto agente, ed è tale qualora riveli in quest'ultimo un così elevato grado di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza e di disprezzo in ogni persona di moralità media. Anche qui Cassazione I Penale, sentenza 8 ottobre 1993, non sono massime consolidate che si ripetono, la 10359. L'efferata determinazione ad agire mostrata dagli imputati consistente nel deliberato, il pressoché totale annientamento, qui si parla di abitanti della zona, quindi oppositori politici, i cosiddetti sovversivi, ragazzi e ragazze armati solo delle loro speranze di offrire un mondo migliore, di lottare per ideali di libertà e giustizia, che si opponevano alla dittatura militare come forse avremmo fatto tutti quanti noi se ci fossimo trovati in quelle circostanze. E qui anche sotto il profilo dei motivi abietti e futili, anche qui non può valere come giustificazione ad escludere l'ideologia perversa che li animava. ripeto, al di là di qualsiasi valutazione politica di destra o di sinistra che fosse ma certo mettere in piedi questo Piano Condor che prevedeva questa cooperazione così massiva, con queste operazioni congiunte, queste squadre della morte che attraversavano tutto il Cono sud senza frontiere, senza conoscere frontiere in un clima di totale impunità. dice qualche teste: "Tutti sapevamo quello che poteva accadere, c'era un clima di terrore, terrorismo di stato, tutti sapevamo". Ma non è che questo "tutti sapevamo" può valere a costituire quasi un'attenuante, "si faceva così". Le parole di Vasquez Espizio, stigmatizzate dalla Guianze, a cui è stata riconosciuta in secondo grado una attenuante per avere ammesso non di avere ucciso. ovviamente, nessuno di questi militari ha avuto il coraggio di ammettere uccisioni, sparizioni. No, hanno trattato i detenuti in maniera inumana ma senza odio eh! Poi certo facevano a volte sparire anche i cadaveri in barili di combustibile di 200 litri a cui davano fuoco, così ci ha detto Vasquez Espizio, si faceva così anche in Argentina. Ma certo questo non può valere a costituire una attenuante per coloro che nulla hanno ammesso, non hanno avuto un momento di resipiscenza, di ravvedimento, di pentimento, di commozione per le vittime. “Eravamo in guerra, agivamo così, si faceva così”. Il protocollo Condor, ognuno si fa carico della propria spazzatura. Immaginiamo per un attimo che cosa voleva dire vivere in quegli anni in Sudamerica: la pensavi diversamente? Non avevi scampo, non avevi rifugio. Andavi in un altro stato? Ti prendevano! Sapevano tutto di te: il tuo soprannome da bambino, ti prendevano, ti strappavano tuo figlio, tua moglie, i tuoi affetti! Non c’era scampo! E quindi motivi abietti e futili, nessuna ideologia può valere a giustificare, ed anche ammettere delle cose che sono emerse senza assumersene la colpa non può valere a costituire una aggravante come invece giustamente è stato fatto per Vasquez Espi- zio, e giustamente stigmatizzato dalla Guianze. Qui c’era bisogno di una rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 assunzione di responsabilità, come neanche il Troccoli ha fatto. Sì, ho trattato, ma senza odio, da professionista della violenza. “Era così, eravamo in guerra, si faceva così!”. Ebbene no! C’era la possibilità di sottrarsi a questo! Chavez dominguez l’ha fatto. Ci potevano essere delle mosche nel latte a cui non è successo niente. Certo, non hanno avuto forse la folgorante carriera che magari si aspettavano, per cui erano entrati in Marina, ma sono stati destituiti. Nessuno è stato passato per le armi! Cosa che è ricorrente in tutte le stragi, anche naziste. Priebke: "Ha però ce l'avrebbero...". Non è vero, storicamente mai nessuno, in nessun angolo del mondo chi si è sottratto all'esecuzione di un ordine manifestamente criminoso ha subito delle conseguenze personali. Quindi anticipando una possibile eccezione difensiva non c'era neanche lo stato di necessità, non succedeva nulla, bastava non aderire, bastava sottrarsi e dire: “Io non sono entrato in Marina per fare queste cose”, come ha fatto Chavez dominguez, per cui giustamente è stata chiesta l’assoluzione. È stato destituito. Sognava la carriera militare diversa ma è capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Però si è sottratto. Non basta dire "era così, si faceva così, lo sapevamo tutti". I motivi abietti e futili rimangono, è questa la stessa ragione per cui gli odierni imputati non meritano affatto, a giudizio di questa parte civile, la concessione delle attenuanti generiche, non un segno di ravvedimento. Cosa può essere a concretare che a considerare le attenuanti generiche? La giovane età? No erano soggetti che avevano allora... non erano ragazzini, avevano sui trent'anni, erano uomini fatti pienamente consapevoli delle loro azioni, pienamente adesivi al progetto. "So bene quello che faccio", dice Gavazzo con sprezzo in faccia a Maria Artigas, prima di portarla via! Il lungo tempo trascorso? Anche questo non è un elemento sufficiente, non è un elemento sufficiente proprio perché, così come per alcuno l’incensuratezza potrebbe esserci, “io non sono mai stato processato”, è scappato in Italia, “ non sono mai stato arrestato". Un galantuomo. Il lungo tempo trascorso. Ma nessuno di tali profili può essere tenuto in conto al fine del riconoscimento delle attenuanti generiche. Si tratta di persone ai vertici o della catena politica o militare, degli apparati di sicurezza, che hanno maturato una rimarchevole esperienza anche attraverso mirate formazioni, specifici corsi, con attestati di benemerenza. Erano bravi in questi corsi! Erano giunti a rivestire posizioni gerarchiche significative, come dimostrano i gradi rivestiti. Avevano una consapevolezza e una determinazione del tutto appaganti in ordine alla loro capacità di apprezzare la portata delle condotte di cui si sono resi responsabili. E quindi la Cassazione in questi casi, ripeto, il parallelo è costante, ma non posso richiamare tutta la giurisprudenza in tema di crimini contro l'umanità, di stragi naziste dove appunto la Cassazione dice che occorre valutare il significato puramente formale della giovane età e LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà anche della incensuratezza se il comportamento sia stato comunque cinico ed impietoso nell'arco di tutta la vicenda. Ma anche la lontananza nel tempo dei fatti, a parte che certi crimini, certe atrocità, certe efferatezze hanno una loro attualità, da un lato forse intuitiva per persone che hanno una media sensibilità, ma vivendo processi come questo, sentendo testimonianze così vivide, così recenti come se fossero successe ieri, capiamo il perché certi crimini contro l'umanità devono necessariamente essere imprescrittibili, devono essere puniti in ogni tempo, qui ed ora, affinché nella speranza ragionevole, secondo valori di giustizia, non si ripetano più. Quindi la lontananza nel tempo del fatto che comunque si appiattisce diacronicamente nel dolore vivido, attuale, recente, bruciante, ferite mai rimarginate acuite dalla mancata restituzione dei resti delle povere vittime. Ebbene passaggio del tempo può essere letto anche in un'altra chiave, proprio per le riflessioni ed i bilanci sulla vita ante acta che solitamente accompagnano l'avanzare dell'età, ebbene questo non ha indotto nei rei alcuna meditazione sulle pregresse condotte, non c'è stato in nessuno di loro, neanche in Vasquez Espizio che dice “Ma sì, si faceva così, facevamo tutti così, ma io non ho fatto niente, non ho ammazzato nessuno”, un momento di pentimento, una resipiscenza, un chiedere scusa realmente. Non scrivere libri “L’ira del Leviatano”, “Il metodo della furia”, “Il professionista della violenza”. “Sì, ho trattato in modo inumano, ma senza odio!”. E ci viene a dire adesso, a distanza di anni le stesse cose che ha scritto nel libro! Mah! Nonostante il lungo tempo trascorso! Lui è scappato in Italia, non si è fatto processare lì. Ha i figli lontani, ha la moglie qui in Italia, ha tutto il tempo di pensare ai crimini commessi. Non una parola di pentimento! E anzi che cosa ci dice il Troc- coli, con un’altra caduta di stile veramente esecrabile se non stessimo parlando di ben peggio? Ha pure il cattivo gusto di citare Scipione l’Africano! “L’altra mia patria non avrà le mie spoglie”? Ma pensa innanzitutto a restituire le spoglie e i resti delle povere persone che hai contribuito a fare sparire e che hai torturato barbaramente anziché citare, riempirti la bocca di citazioni colte che proprio non ti appartengono! Per cui a queste persone noi dovremmo concedere attenuanti generiche per il passare del tempo? È proprio nell'andare avanti dell'età che uno fa i bilanci cerca di capire le cose giuste che ha fatto. Invece no, c'è una rivendicazione fiera in un malinteso onore militare “ero militare ho eseguito gli ordini in guerra". Mah! Non hanno indotto nei rei alcuna rimeditazione! E dice ancora la Cassazione, ma anche le sentenze di merito, come dice giustamente il Tribunale, non ha potuto aderire alla propensione all'oblio quando dagli stessi imputati, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso dagli eccidi, ancora emana il leitmotiv della dolorosità delle condotte criminose in esame senza la minima deflessione! “Per tacere del rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 fatto che in una prospettiva, che si avrebbe difficoltà a non definire realistica, si potrebbe eccepire che nel caso che ci occupa il passaggio del tempo, vale anche nel nostro caso che il correlato avanzare dell'età degli imputati abbia sostanzialmente coinciso con un lungo periodo di impunità ed assenza di pentimento”. Ebbene che ora scontino le loro pene! Se esiste una giustizia sarà compito di questa Corte erogare agli imputati le giuste pene per i loro misfatti. da ultimo, e qui ancora una volta la sentenza Priebke del 1998, 16 novembre 1998, la 12595 che anche in questa materia dice: "da ultimo, ma non come ultima considerazione dal punto di vista della valenza, si deve tenere presente che l'eccezionale gravità ed efferatezza del fatto, secondo la giurisprudenza di legittimità pacifica, di per sé sola giustificherebbe il diniego delle attenuanti di cui tratta si ampia giurisprudenza". In ogni caso il peso, quindi, anche se vi fosse spazio in via del tutto ipotetica ed è negata da questa difesa per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, il peso specifico, la natura, il numero delle plurime circostanze aggravanti avrebbe comunque portato inevitabilmente ad un giudizio di sub valenza delle diminuenti con riferimento al disposto articolo 69 del Codice di Procedura Penale. Presidente e Signori della Corte mi avvio alle conclusioni, spero di essere stato fedele ai tempi che avevo cercato di darmi, le cose da dire erano molte, ho cercato da un lato di non ripetere la puntuale ricostruzione del fatto del Pubblico Ministero e dall’altro di lasciare spazio poi alle Parti Civili che mi seguiranno che da par loro, con dovizia di argomenti, poi ricostruiranno i singoli casi di loro spettanza. Quanto alla posizione di questa Parte Civile avevo accennato all’inizio al danno subìto, alle ragioni della costituzione dello Stato. Qui non trattiamo, o non solo, di Stato come governo, come apparato governativo, ma qui la presidenza del Consiglio rappresenta, con la mia modesta persona, l'intera collettività nazionale. Cioè in processi come questo di crimini contro l'umanità vengono veramente sfregiati, violati, vilipesi, calpestati in maniera frontale e barbara dei principi fondamentali posti alla base di ogni civile convivenza: libertà, giustizia, autoderminazione, rispetto degli altri, integrazione, che sono anche i valori fondanti della nostra Carta Costituzionale e che ogni stato, e in questo la Presidenza del Consiglio, hanno l’obbligo, il dovere, istituzionale direi, di promuovere, assicurare ai loro cittadini in ogni parte del mondo si trovino. Per questo c'è un danno morale gravissimo che accanto anche un danno patrimoniale legato anche a tutti questi accertamenti, ai costi da ripristino della giustizia dopo così tanto arrivare a una sentenza è una cosa che comporta anche dei costi dei danni patrimoniali distinti, dei danni non patrimoniali è pure altamente rilevanti. Gli Stati nazionali, i rispettivi governi sono infatti notoriamente ... di diritto/dovere LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà a tutela della vita, dell'integrità psico-fisica della libertà dei propri cittadini. L’istanza di rispetto dei dritti umani trova pieno riconoscimento oltre che nella nostra Carta Costituzionale, sin dal 1948 con la dichiarazione Universale dei diritti Umani. Parliamo di valori universali, valori che derivano dallo ius gentium, e che giustificano una richiesta anche di condanna e (inc.) civili anche particolarmente grave e pesante nei confronti degli odierni imputati. Quindi non solo per la gravità dell'offesa, la diffusione e il rilievo, la piaga, le ferite alle collettività nazionali, ai cittadini italiani nel mondo e non solo ma a ciò va aggiunto anche danno patrimoniale connesso all'eccezionale dispendio di energie, di uomini e mezzi necessari a fronteggiare i fatti al fine di ristabilire la tutela delle posizioni soggettive ai cittadini italiani all'estero, così gravemente e in maniera tanto abietta ed efferata violate dai fatti reati per cui si procede. Per cui si chiede la condanna degli odierni imputati, le pene ritenute di giustizia e risarcimento in favore della Presidenza del Consglio dei Ministri dei danni patrimoniali pari ad euro 5 milioni oltre ai danni non patrimoniali e morali pari a 5 milioni, ovvero determinarsi in via equitativa comunque con provvisionale immediatamente esecutiva di euro 1 milione, nonché la condanna alla rifusione delle spese ed onorari di costituzione in giudizio come da nota che si deposita. Grazie. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 Turismo procreativo: Mater semper certa est? (Uno sguardo alla maternità surrogata) Silvia Luna* sommaRio: 1. il monito di strasburgo: Paradiso e Campanelli vs italia - 2. Cosa si intende per maternità surrogata - 3. diverse tipologie di maternità surrogata - 4. motivi per i quali si ricorre alla maternità surrogata - 4.1 sterilità della donna o incapacità di portare aventi la gravidanza - 4.2 malattie trasmissibili dalla donna - 4.3 maternità di comodo - 4.4 Rapporto tra la maternità surrogata e il diverso istituto dell’adozione -5. argomenti a favore della pratica della surrogazione -5.1 principio dell’autodeterminazione -5.2 diritto ad avere un figlio? -6. argomenti a sfavore della maternità surrogata -6.1 Rischi per salute fisica della donna e del bambino - 6.2 lesione della dignità della donna e oggettivazione del bambino - 6.3 aspetti comparatistici e principio del best interest of child - 6.4 la maternità surrogata alla luce della legge 40/2004 -6.5 illiceità del contratto di surrogazione ai sensi dell’art. 1322 c.c. e dell’art. 1343 c.c. (illiceità della causa) -6.6 illiceità del contratto di surrogazione in riferimento all’oggetto e indisponibilità dello status filiationis - 6.7 Contrarietà della pratica all’art. 5 c.c. - 6.8 illiceità del contratto rispetto al buon costume e ordine pubblico - 7. turismo procreativo e il problema della contrarietà all’ordine pubblico internazionale dei contratti di surrogacy - 8. Profili penalistici e il reato di alterazione di stato 9. Conclusioni e spunti di riforma. 1. il monito di strasburgo: Paradiso e Campanelli vs italia. La sentenza della Grande Camera Paradiso e Campanelli c. italia del 24 gennaio 2017, ricorso n. 25358/12, fa riferimento ad un caso verificatosi in Italia e affrontato successivamente davanti agli organi giurisdizionali europei. In particolare, nel caso di specie, si richiedeva alla Corte se fosse stato leso l’art. 8 della CEdU. La Grande Camera, con una sentenza approvata a maggioranza di 11 giudici, ha ribaltato completamente la decisione di primo grado affermando che non si è configurata una violazione della norma ora richiamata da parte dello Stato italiano. Infatti si stabilisce che: “the Court does not un- derestimate the impact which the immediate and irreversible separation from the child must have had on the applicants’ private life. While the Convention does not recognize a right to become a parent, the Court cannot ignore the emotional hardship suffered by those whose desire to become parents has not been or cannot be fulfilled. However, the public interest at stake weigh heavily in the balance, while comparatively less weight is to be attached to the applicants’ interest in their personal development by continuing their relationship with the child. agreeing to let the child stay with the applicants, possibly with (*) Laurea Magistrale in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura generale dello Stato. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà a view to becoming his adoptive parents, would have been tantamount to le- galizing the situation created by them in breach of important rules of italian law. the Court accepts that the italian courts, having assessed that the child would not suffer grave or irreparable harm from the separation, struck a fair balance between the different interests at stake, while remaining within the wide margin of appreciation available to them in the present case”. Tralasciando le questioni di fatto relative al caso concreto, il richiamo della decisione di cui sopra è utile per affrontare in maniera adeguata il tema, incentrato appunto sulle forme di procreazione artificiale e, in particolare, sulle problematiche dettate dal ricorso alla maternità surrogata, alla quale i coniugi italiani avevano fatto ricorso recandosi in una apposita clinica in Ucraina. 2. Cosa si intende per maternità surrogata. Iniziamo subito con l’inquadrare concettualmente l’argomento dicendo che per maternità surrogata è inteso in dottrina: “la pratica attraverso la quale una donna, per soddisfare esigenze di maternità e paternità altrui, dietro corrispettivo, o a titolo gratuito, contrattualmente noleggia, con il richiesto consenso del marito, se sposata, il proprio utero ad una coppia di coniugi impossibilitata ad avere figli per sterilità della partner, impegnandosi a farsi fecondare artificialmente con il seme del marito di quest’ultima, a condurre a termine la gravidanza, nel rispetto di determinate norme di comportamento, e a consegnare alla predetta coppia di coniugi committente il figlio così concepito, rinunciando ad ogni diritto su di esso” (1). A differenza delle altre pratiche riproduttive, quindi, la surrogazione deve considerarsi a tutti gli effetti come una sorta di estensione scientifica della naturale capacità umana di riprodursi, resa possibile solo grazie alle innovazioni che si sono avute nell’ambito scientifico e medico negli ultimi anni (2). Alcuni autori hanno messo in evidenza come in realtà tale pratica non sarebbe nuova, ma anzi sia esistita anche in tempi passati. riferimenti sono già rinvenibili nella Bibbia (3) e nel diritto romano, dove si era sviluppata la prassi (1) G. MILAN, la madre su commissione. Problemi giuridici, in giust. Civ., 1985, p. 312. (2) Si veda I. CorTI, la maternità per sostituzione analisi del fenomeno, in AA.VV., verso nuove forme di maternità?, Milano, 2002, pag. 21. L’autrice adesso citata, all’interno del suo articolo, rinvia anche alla definizione data da Cassano, cioè “a differenza delle altre pratiche riproduttive, la surrogazione di maternità si caratterizza nell’essere una forma di eterointegrazione all’insufficienza biologica della donna sterile, dal momento che consiste nell’intervento di una volontaria, estranea alla coppia, nel processo procreativo, determinando una nuova forma di fecondazione eterologa o omologa, qualora il materiale genetico provenisse dai genitori committenti”. G. CASSANo, le nuove frontiere del diritto di famiglia, Milano, 2000, p. 164. (3) dove la stessa Sarah convinse Abramo ad avere una figlia dalla schiava Hagar e lo stesso fu per Giacobbe che ebbe due figli dalla schiava della propria moglie rachele, si veda I. CorTI, la maternità per sostituzione analisi del fenomeno, in AA.VV., verso nuove forme di maternità, Milano, 2002, pagg. 12 ss. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 di offrire la propria moglie all’amico nel caso di sterilità della donna di que- st’ultimo (4). Nonostante i riferimenti storici adesso richiamati, in virtù proprio del progresso scientifico, cui prima si è fatto riferimento, la tematica in questione si è notevolmente complicata, ponendo delle questioni giuridiche, di cui ci occuperemo, che non sono sempre state risolte in maniera opportuna e uniforme da parte del legislatore (5). difficoltà si riscontrano anche a seguito della crisi del concetto di famiglia così come inteso storicamente: cioè unione tra uomo e donna basata sul vincolo del matrimonio. Infatti, proprio grazie a queste tecniche innovative, si può sicuramente affermare che tale modalità artificiale di procreazione non è oggi, al contrario di quanto avveniva in passato, prerogativa di coppie committenti sposate o conviventi, ma è anche una tecnica che potrebbe, almeno in linea astratta, prestarsi ad essere utilizzata da coppie omosessuali e da donne singole che, per il mero desiderio di procreare, ricorrono a tale procedura (6). 3. diverse ipotesi di maternità surrogata. Si evidenzia come l’unicità della definizione di maternità surrogata, precedentemente delineata, possa essere riferita a situazioni molto diverse tra loro. All’interno di tale concetto possono infatti distinguersi due ipotesi principali: quella della c.d. surrogazione parziale (7) e la diversa ipotesi di surrogazione totale. Con la prima espressione intendiamo fare riferimento al fatto che la madre gestazionale si limita solamente a portare avanti la gravidanza, mentre il materiale genetico, necessario per la procreazione, non deriva dalla medesima, manifestandosi in maniera ancora più netta la scissione tra maternità biologica (4) Si veda E. CANTArELLA, ll paradosso romano: la donna tra diritto e cultura, in AA.VV., orientamenti civilistici e canonistici sulla condizione della donna, Napoli, 1996, pagg. 14 ss. (5) I maggiori problemi riscontrabili sono quelli che fanno leva: 1) sull’intrusione del terzo nel processo di procreazione e nella relazione di coppia e in particolare sul fatto che il contributo della madre gestazionale è molto più intimo e personale rispetto a quello del semplice donatore di seme; 2) tale pratica viene vista come contraria alla dignità della donna, soprattutto se alla base è previsto un corrispettivo economico; 3) tale pratica può destare problematiche al minore che subisce la rottura di quei profondi legami che si vengono ad instaurare durante la gravidanza con colei che lo porta in grembo. In tali termini si veda G. BALdINI, volontà e procreazione: ricognizione delle principali questioni in tema di surrogazione di maternità, in dir. fam. e Pers., 1998, pag. 754 ss. (6) In tal senso si veda FArAoNI che afferma che “oggi, grazie allo sviluppo delle tecnologie moderne è possibile realizzare il proprio desiderio di genitorialità in modo indipendente rispetto all’intimità sessuale: potendosi avvalere di una volontaria, ciascun soggetto può soddisfare il proprio desiderio di generare, di avere figli, ecc., mantenendo intatto il proprio stato di single, oppure il proprio orientamento omosessuale” A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplinai, Milano, 2002, p. 28. (7) Per sostituzione parziale si fa riferimento anche al concetto di utero in affitto o locazione di utero. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà e quella gestazionale e, di conseguenza, tra procreazione e gestazione (8). In questo caso occorre distinguere il caso di fecondazione intracorporea (9) da quella extracorporea. Nella seconda ipotesi, invece, la madre surrogata oltre a mettere a disposizione il proprio corpo per portare avanti la gravidanza, dona anche la cellula uovo necessaria per la fecondazione e procreazione del bambino. Questa a sua volta si distingue in omologa, o AIH (Artificial insemination by husband) oppure eterologa AId (artificial insemination by donor) (10). La pratica ora in esame può coinvolgere un numero di soggetti diverso a seconda del caso concreto. Si potrebbe arrivare, infatti, ad un massimo di 5 soggetti coinvolti (11). (8) Si veda G. MILAN, la madre su commissione. Problemi giuridici, in giust. Civ., II, p. 316. L’autrice fa riferimento al fatto che l’embrione, prodotto in vitro a seguito dell’incontro tra la cellula uovo della committente e il seme del marito, viene successivamente trasferito nel corpo della gestante. Ciò che più preoccupa di tale pratica è la definitiva rottura dell’unitarietà funzionale del contributo femminile al progetto di concepimento e nascita del minore. In tali termini delle preoccupazioni sono state avanzate per la prima volta da G. BALdINI, il quale ha evidenziato come in tal modo si abbia “un vero e proprio sdoppiamento dell’apporto naturalistico tra due soggetti diversi: la moglie, cui appartiene l’ovulo fecondato, è la c.d. madre genetica, mentre la donna che provvede alla gestazione è la c.d. madre uterina. si pone perciò la necessità di compiere una tragica scelta tra due verità parziali: quella genetica e quella del parto, entrambe ugualmente importanti in quanto, se la prima comporta la trasmissione di un determinato patrimonio genetico, è la seconda che, giorno per giorno, plasma alla vita l’embrione altrui, con un collegamento intimo alle funzioni vitali della donna, che dovrà affrontare tutti i rischi e sacrifici connessi ad una gravidanza”. G. BALdINI, volontà e procreazione: ricognizione delle principali questioni in tema di surrogazione di maternità, in dir. fam. e Pers.,1998, pagg. 761 ss. Questa forma viene utilizzata quando le ovaie della donna sono perfettamente funzionanti, ma prive di un utero efficiente (o che per motivi clinici non possono sostenere una gravidanza). Nel caso in questione si ha la separazione tra il momento volitivo e il concepimento, tale che la procreazione non avviene mediante la decisione unica da parte di un uomo e una donna, ma costituisce un atto complesso che coinvolge altri soggetti: medici, intermediari, donatori di sperma e di ovociti, donna che si presta a portare avanti la gestazione altrui. In tal senso si veda anche M. GorGoNI, le nuove tecniche di procreazione assistita: verso una legislazione europea, in dir. fam. per., II, 1990, p. 680 e ss. (9) Si predilige la fecondazione intracorporea nei casi in cui la donna pur non avendo l’utero conserva comunque la sua capacità ovulatoria. Tale preferenza è legata anche al fatto che il concepimento avviene per vie sessuali. Solo dopo la formazione dello zigote vi sarà il trasferimento di questo, dall’apparato genitale della donna committente, nell’utero della madre gestazionale. In tal senso si veda A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pag. 24. (10) La fecondazione extracorporea, detta anche FIVET, è più complessa perché presuppone il ricovero in ospedale e anestesia totale. L’embrione viene generato dalla fusione in provetta dei gameti sessuali provenienti dalla coppia committente: gli ovociti prodotti in sovrannumero vengono prelevati direttamente dalle ovaie e messi in provetta con gli spermatozoi. A fecondazione avvenuta e raggiunto lo stadio di divisione di 4 cellule, gli embrioni vengono trasferiti mediante catetere nella cavità uterina della volontaria. In tal senso si legga C. FLAMIGNI, il libro della procreazione. la maternità come scelta, Milano, 1998, pag. 325. (11) Il caso presuppone che ci siano due donatori: uno del seme maschile, l’altra di quello femminile; una coppia di committenti; una madre gestazionale. Un caso simile si è per la prima volta presentato in California, dove la bambina era nata grazie a 5 persone. Nel caso di specie si veda re Buzzanca, 61 Cal. App.4th 1412, 1998. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 Altra differenza inerente a tale pratica è quella che distingue la maternità surrogata commerciale da quella posta in essere per fini altruistici. La prima si basa su un vero e proprio contratto a titolo oneroso stipulato tra la coppia committente e la madre gestazionale. Con tale accordo, a seguito del pagamento richiesto da colei che dà alla luce il bambino, il nascituro, una volta venuto al mondo, verrà consegnato direttamente alla coppia che desiderava la prole e registrato nell’atto di nascita a loro nome quali genitori. Alla base di tale contratto vi sono quindi degli interessi economici che spingono la madre surrogata a utilizzare il proprio corpo per la pratica in esame (12). Per quanto concerne, invece, la surrogazione per fini altruistici avviene senza che alla base ci sia uno scambio di denaro tra la coppia committente e la madre gestazionale. Per parte della dottrina tale surrogazione dovrebbe essere intesa come un vero e proprio progetto collaborativo, consigliabile, in determinate circostanze, anche dal punto di vista medico per superare il problema della sterilità (13). Tale tipo di pratica può presupporre un rapporto di amicizia che lega tutti i soggetti coinvolti (14)(15). (12) La tematica della surrogazione dietro corrispettivo è stata una di quelle maggiormente esaminate da parte della dottrina. Ancora oggi, gli orientamenti sfavorevoli alla surrogazione, fanno leva sul fatto che vi sia una commercializzazione della capacità riproduttiva della donna. ovviamente tale pratica è facile che si realizzi soprattutto in determinate zone del mondo, dove a seguito di crisi economiche e situazioni disagiate cui i cittadini sono sottoposti, le donne accettano qualsiasi cosa, anche rifiutare il loro naturale diritto di potestà sul minore, pur di guadagnare qualcosa. (13) In tal senso si veda A.B. FArAoNI la quale afferma che “ci sono delle sterilità troppo gravi per essere curate con le moderne tecniche fiv. inoltre più di metà delle coppie si iscrivono ad un programma fiv e non riescono ad avere un figlio biologico. infine, il costo elevato e la bassa percentuale di successi della fiv fa desistere fin dall’inizio molte coppie dal tentare questa strada. Quando il desiderio di avere ed allevare dei bambini è molto forte, e quando tutte le altre possibili cure della sterilità sono state tentate, per costruire una famiglia molte coppie sono costrette a rivolgersi altrove. necessariamente tutte le alternative passano attraverso uno o più genitori biologici esterni all’unità familiare”. Inoltre sempre negli stessi termini si fa riferimento al fatto che il contributo della madre gestazionale è senza alcun dubbio molto intimo e personale, ma ciò non toglie che esso possa essere, comunque, considerato come una manifestazione di solidarietà sociale fra donne, avente finalità terapeutica. In tali termini G. BALdINI, volontà e procreazione: ricognizione delle principali questioni in tema di surrogazione di maternità, in dir. fam. e Pers., 1998, pagg. 756 riprende il pensiero di L. Khaiat. (14) Nel caso di specie possiamo rinviare ad un caso che si è realmente verificato in Italia, deciso dal tribunale di roma con ordinanza del 17 febbraio del 2000. Nel caso in esame due coniugi, di cui il marito affetto da oligospermia e la moglie da malformazione congenita dell’apparato genitale che non preclude la produzione di ovociti, concludevano un contratto di prestazione medica finalizzata alla fecondazione di ovociti in provetta, in attesa del successivo impianto dell’embrione nell’utero della madre gestazionale, nonché amica della coppia. L’ordinanza del giudice appare innovare completamente l’orientamento dominante in giurisprudenza fino a quel momento. Infatti, il giudice ritenne lecita la possibilità di procedere a tale pratica, verificato il consenso della madre surrogata e il fatto che lo stesso non fosse stato concesso a titolo oneroso. (M. SESTA, la maternità surrogata tra deontologia regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, pagg. 483 ss.). (15) occorre già da ora rilevare, nonostante il successivo accertamento che verrà condotto a seguito di tale articolo, che numerose sono anche le posizioni della dottrina contrarie a tale pratica, nonostante alla base non vi sia uno scambio di denaro tra le parti. Il motivo principale di tale ostilità è dovuto al fatto che si correrebbe il rischio di far passare per altruistiche delle pratiche mosse da finalità mera LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà 4. motivi per i quali si ricorre alla maternità surrogta. 4.1 sterilità della donna o incapacità di portare a termine la gravidanza. Il motivo ancora oggi principale per il quale si ricorre a tale tipo di pratica si deve rintracciare nella volontà di superare l’inabilità, fisica e biologica, di portare a termine una gravidanza, con riferimento concreto alle ipotesi di sterilità femminile (mancanza di ovulazione, malformazioni tubariche, menopausa precoce, anzianità del materiale genetico) oppure di impossibilità di gestazione (per congenita assenza dell’utero, per anomalie dell’apparato uterino, come pure in conseguenza di interventi chirurgici di isterectomia). Inoltre, tale pratica è spesso utilizzata da parte di coppie dello stesso sesso che intendono avere un bambino (16). 4.2 evitare trasmissione di malattie genetiche al bambino. Una seconda ragione per la quale si ricorre oggi a tale tipo di procedura si rintraccia nella volontà di non trasmettere alla prole delle malattie genetiche di cui i genitori sono affetti. Il riferimento classico è al caso Baby M, verificatosi in New Jersey (17). Nel caso di specie la coppia committente ricorse alla pratica della surrogazione non per l’infertilità della donna, ma per evitare che il bambino potesse essere affetto dalla sclerosi multipla, malattia di cui era portatrice la madre committente. Il caso in questione ha posto delle problematiche relative alla validità del contratto di surrogazione stipulato dai coniugi Stern (coppia dei genitori committenti) e la signora Mary Beth Whitehead (madre surrogata), la quale dopo aver dato alla luce il bambino rivendicava il diritto di maternità su quest’ultimo. Completamente contrapposte sono state le decisioni assunte dai giudici di primo e secondo grado, nonostante in entrambi i casi si sia statuito che il minore sarebbe stato affidato, alla luce del fondamentale principio del “best interest of child” (di cui ci occuperemo successivamente in tale articolo), alla coppia committente. La sentenza di mente commerciali, finendo quindi per legittimare pienamente queste ultime e quindi finendo, in sostanza, per legittimare la disponibilità di un diritto che nel nostro ordinamento è indisponibile, cioè quello di trasmettere la potestà genitoriale del minore ad un soggetto diverso dalla madre naturale, che, come da me condiviso, ritengo debba essere rintracciata nella donna che da alla luce il bambino. Negli stessi termini C.M. BIANCA, diritto civile. 2. la famiglia. le successioni, Milano, 1998, 295, secondo il quale «deve […] escludersi la validità di qualsiasi accordo che preveda la gestione dell’altrui concepimento e l’obbligo della madre di «restituire» il figlio partorito. del concepito non si può infatti disporre già per l’assorbente rilievo che qui l’atto dispositivo avrebbe ad oggetto il futuro stato familiare del nascituro». Inoltre L. PALAzzANI, la quale afferma che: “Per quanto si parli di surrogazione gratuita, la gravidanza è di per sé onerosa per tanti profili e basta un rimborso spese gonfiato per celare una retribuzione. la possibilità di un commercio nascosto esiste ed è concreta. l'opposizione alla maternità surrogata non è una questione confessionale, ma è un tema trasversale che riguarda il riconoscimento della dignità della donna e dei diritti del bambino”. (16) A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pag. 25. (17) In re Baby “M”, 525 A.2d 1128, 217 N. J. Super. 313 (N. J. 1987). rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 primo grado, emessa dal giudice Sorkow, è stata considerata come una decisione storica in quanto è andata ad allargare la tutela del diritto di procreazione, ricomprendendovi all’interno una garanzia incondizionata e completa di ogni opportunità procreativa. La stessa sentenza infatti dice che: “se si ammette un diritto a procreare come diretta manifestazione della privacy, non si può non riconoscere la liceità del contratto stipulato dall’aspirante madre con una donna disposta a prestare il proprio utero”. diverso è stato l’orientamento dei giudici di secondo grado (18), i quali, invece, avvicinandosi alle prese di posizione che si rintracciano maggiormente nei paesi Europei, dichiarano il contratto di surrogazione come non valido e illegale. 4.3 maternità di comodo. Altra realtà di cui si deve prendere atto è quella che mostra come molto spesso i soggetti ricorrono a tali pratiche di procreazione solo e soltanto per motivi di opportunità. In tal senso penso che la definizione che meglio possa esprimere tale concetto sia quella di maternità di comodo (19). In sostanza, il progresso scientifico e l’evoluzione tecnologica hanno portato ad una generale rivalutazione, rispetto al passato, del ruolo femminile all’interno della società. Se, da una parte, questo ha assicurato il riconoscimento di diritti simili a uomini e donne all’interno degli Stati, dall’altra parte, l’uguaglianza riconosciuta ad entrambi i sessi ha portato ad un appiattimento delle differenze, snaturando il concetto stesso di donna, ma soprattutto quello di madre. Tale maternità di comodo si viene ad avere tutte le volte in cui si ricorre a tale pratica per evitare di togliere tempo al lavoro oppure perché non si è disposti a cambiare il proprio stile di vita o anche solo per un mero fattore estetico, quindi per evitare che i segni della maternità possano danneggiare l’estetica del proprio corpo. 4.4 difficoltà riscontrabili nella procedura di adozione. differenze tra i due istituti. Sicuramente uno dei motivi che spinge oggi a ricorrere alla surrogazione è imputabile anche alla lunghezza dei procedimenti che permettono di poter adottare un bambino. occorre a mio avviso innanzitutto chiarire le differenze tra i due istituti ora menzionati. La finalità dell’adozione è quella di garantire una famiglia ad una persona che già esiste e che si trova in stato di obiettivo abbandono morale e materiale, al quale lo Stato ha l’obbligo di porre rimedio assicurando la migliore sistemazione presso una nuova famiglia giudicata idonea alla sua educazione e al (18) In re Baby M, 537, A.2d 1227, 109 N.J. 369 (N.J. 1988). (19) I. CorTI, la maternità per sostituzione analisi del fenomeno, in AA.VV., verso nuove forme di maternità?, Milano, 2002, pag. 15. L’autrice parla in realtà di motivi di convenienza. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà suo sviluppo (20). al contrario di quanto avviene nell’adozione dove l’interesse principale che si intende perseguire è quello del minore (21), nella procedura di surrogazione, invece, si dà maggiore rilevanza a quella che è la volontà o il desiderio dei coniugi committenti. A dimostrazione di ciò occorre fare riferimento al fatto che nelle pratiche adottive vi è un ampio controllo pubblico sulla procedura, volto ad accertare quale tra le tante sia effettivamente la coppia che possa al meglio occuparsi dello sviluppo del minore. Tale tipo di controllo è, invece, del tutto assente nel caso di surrogazione di maternità, infatti, non solo la coppia potrà decidere attraverso quale procedura ottenere un bambino, ma i committenti potranno anche scegliere la madre gestazionale arbitrariamente, andando quindi in parte a definire quelli che saranno i connotati fisici del nascituro stesso. Pare, quindi, che la lesione della soggettività del minore, in tale pratica, è conseguente alla originariamente esclusa determinazione del suo migliore interesse. L’affidamento alla coppia committente avviene solo a seguito di una definizione soggettiva dei rapporti parentali tra le parti dell’accordo, trascurando non solo l’esclusiva competenza in materia dell’autorità giudiziaria, ma soprattutto l’equivalente diritto della madre surrogata a vedere il figlio parte della propria famiglia (22). Nonostante il procedimento di adozione debba essere, per le ragioni sopra esposte, ma soprattutto per il migliore interesse del minore, preferito al ricorso alla surrogazione, è pur vero che la congestione burocratica presente nel nostro ordinamento non assicura una definizione tempestiva di tali procedure. Senza anticipare le conclusioni, ritengo che una normativa in tema di adozione che garantisca una maggiore flessibilità potrebbe essere una soluzione da utilizzare per contenere, o quanto meno limitare, il ricorso a tali tecniche di procreazione artificiale. Non sono mancati autori che hanno accennato al fatto che il ricorso a tali pratiche si sia intensificato solo per eludere quelle che sono le norme di legge che regolano l’istituto dell’adozione. Infatti, il fine perseguito con il contratto di surrogazione è quello di: “inserire il nato nella famiglia della coppia committente, con evidente violazione dei principi in tema di adozione. la legge 183/84 prevede infatti una procedura precisa per ottenere in adozione un bambino” (23). Proprio perché tale procedura è stata introdotta per la salvaguardia degli interessi del minore, la legge è corredata di una serie di previsioni spe- (20) G. MILAN, la madre su commissione. Problemi giuridici, in giust. Civ., 1985, pag. 327. (21) Proprio perché il minore ha diritto a vivere con la propria famiglia, l’adozione si pone nel nostro ordinamento come extrema ratio cui ricorrere nel caso di incapacità della famiglia di sangue. (22) In tale termini si veda A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pag. 60. (23) In tali termini A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pag. 235. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 cificamente concernenti ipotesi di reato realizzabili proprio in sede di accordo surrogativo (24). 5. argomenti a favore della pratica della surrogazione. La possibilità di ricorrere a tale tecnica ha diviso la dottrina. Se, da una parte, vi sono degli autori che legittimano il ricorso a tali procedure, altri negano la possibilità di servirsi del corpo di un’altra donna per poter avere un figlio. ora esamineremo i più importanti argomenti che propendono per una visione favorevole a tale pratica, i quali si fondano sostanzialmente sul principio dell’autodeterminazione e sull’idea che sussista in capo ai coniugi un diritto ad avere un figlio. 5.1 il principio di autodeterminazione. L’introduzione di nuove pratiche permette di aprire la strada ad una nuova realtà sociale, in cui si diffonde la possibilità di realizzarsi come genitori indipendentemente dal rapporto sessuale di coppia. Tale nuova culturizzazione dell’amore procreativo pone le basi per l’emersione di nuovi modelli familiari alternativi a quelli tradizionali (25). La progressiva espansione del fenomeno surrogativo è dovuta all’esasperazione di una mentalità che postula un’assoluta centralità dell’autodeterminazione dei soggetti. dimostrazione di ciò è data dal fatto che anche coloro che sono fertili possono ricorrere a tali pratiche per gestire al meglio le loro attività professionali (26). In particolare l’idea di ricorrere a tale procedura viene avallata da una parte del movimento femminista il quale ritiene che questo sia lo strumento per la liberazione delle donne dal “peso” della maternità biologica (27), e, quindi, un mezzo di emancipazione femminile (28), dimo- (24) L’art. 71 della legge 183/84, sostituito dall’art. 35, dispone che “chiunque in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere di definitività un minore ovvero lo avvia all’estero perché sia definitivamente affidato, è punito con la reclusione da 1 a 3 anni”. La genericità della disposizione ora menzionata sembra lasciare intendere che nell’ambito della surrogazione una simile fattispecie si possa venire a configurare tranquillamente. Infatti la madre gestazionale dovrebbe affidare in via definitiva il bambino alla coppia dei coniugi committenti, non valendo come causa di esclusione del reato la circostanza che uno dei due coniugi committenti sia anche il genitore biologico del nato. (25) G. MILAN, la madre su commissione. Problemi giuridici, in giust. Civ., 1985, pag. 312. (26) P. zATTI, maternità e surrogazione, in nuova giur. civ. comm., II, 2000, pag. 199. (27) “se fino ad adesso la maternità appariva come un’istituzione affermata dalla cultura patriarcale, la quale esigeva dalle donne istinto piuttosto che intelligenza, dedizione piuttosto che auto- realizzazione, disponibilità verso gli altri piuttosto che attenzione verso il proprio io, il progresso scientifico sembra invece permettere alle donne non soltanto di poter scegliere in modo libero e razionale se, quando e dove procreare, ma di decidere anche le modalità di procreazione”. In tali termini C. SHALEV, nascere per contratto, Milano, 1992 pag. 150 ss. (28) In questi termini anche S. rodoTà, tecnologie e diritti, Bologna, 1995, pag. 194. L’illustre giurista infatti afferma che: “il riconoscimento di un diritto incomprimibile a disporre del proprio corpo assume il significato di un’espansione del potere femminile, al di là della specifica vicenda della ma LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà strativo del fatto che le donne sono «eticamente responsabili, capaci di governare la loro sensibilità emotiva e di assumersi responsabilità» (29). L’idea alla base del principio di autodeterminazione fa leva sulla libertà assoluta della donna circa le modalità di disposizione del proprio corpo (30). Tale concezione, pur cercando di garantire un’uguaglianza in diritto e in fatto tra uomini e donne, a parere di chi scrive, non fa altro che omologare le due figure, andando ad incidere negativamente proprio sul ruolo femminile, non tanto, dal punto di vista sociale, ma soprattutto, familiare. 5.2 diritto ad avere un figlio? Proprio la possibilità, avutasi con l’avanzamento tecnologico e scientifico, di procreare anche quando manchino le condizioni naturali e biologiche per farlo, è alla base della rivendicazione del diritto soggettivo ad avere un figlio (31). Questa pretesa potrebbe portare a riconoscere l’esistenza di un diritto ternità di sostituzione, che viene così collocata in una dimensione nella quale sia i rischi della commercializzazione sia quelli legati alla lesione della dignità della donna dovrebbero essere cancellati da questa superiore affermazione di potere”. In termini simili anche G. BALdINI, pag. 765, il quale afferma che: “attribuire autonoma rilevanza giuridica alla volontà della donna di avere un figlio significa prendere atto dell’importanza che, in tutte le tecniche di procreazione assistita, assume la valutazione attenta degli atti causativi della nascita, cioè l’individuazione della titolarità dell’interesse perseguito nella vicenda della responsabilità del suo avvio. ma significa anche evitare un’ingiusta disparità di trattamento fra uomo e donna: come è noto infatti se in caso di a.i.d. (secondo l’opinione prevalente) il marito diviene padre perché da il proprio consenso (nonostante la mancata corrispondenza biologica con il nato), non si capisce perché la stessa cosa non sia valida per la moglie”. (29) occorre già qui affermare che nel dibattito femminista vi sono due visioni contrapposte: la prima è quella cui ho appena fatto riferimento nel testo, la seconda, invece, è quella che rifiuta il ricorso alla maternità surrogata perché tale procedura andrebbe a ledere la dignità della donna in quanto si assimila la donazione di utero ad una forma di schiavitù. In tal senso si può rinviare anche a Marx e Engels che sul manifesto del partito comunista scrissero: “la borghesia [che] ha strappato il velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva i rapporti di famiglia, e li ha ridotti a un semplice rapporto di denari”. (30) Addirittura non sono mancati autori che hanno affermato che con i contratti di maternità surrogata la donna acquisterebbe nuovamente la coscienza della propria femminilità, ma soprattutto potrebbe assumere il controllo del proprio destino procreativo, esprimendo una chiara scelta a favore di una gravidanza che contribuisca a realizzare i progetti familiari altrui, eliminando alla radice le ipotesi di generazione della prole al solo scopo della necessità di una discendenza per l’uomo. In tali termini G. FErrANdo, libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999, pag. 311. Contraria alla pratica della surrogazione invece è L. Muraro, la quale ha affermato che “la più risibile difesa della maternità surrogata è quella che protesta contro i divieti e le proibizioni, in nome della libertà. Qui non si tratta di proibire, si tratta di non sbagliare. l’idea di istituire un mercato per le creature del corpo femminile fecondo, che conseguenze potrebbe avere? un mercato equivale alla possibilità di fare soldi e per alcuni (quanti?) non sarà altro che questo, affari e profitto (…)”. L. MUrAro, l’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, 2016. Si veda anche http://www.womenews.net/lanima-del-corpo-contro-lutero-inaffitto- edito-da-la-scuola-e-lultimo-libro-della-filosofa-luisa-muraro/it. (31) Il diritto ad essere genitori è infatti inteso come diritto fondamentale della persona, diritto a diventare genitori e di valutare e decidere le scelte in relazione al bisogno di procreare, con la precisazione che lo status genitoriale può trovare completezza nell’adozione, ma anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico. Il problema riconnesso a tale enunciazione è dato dal fatto che si vanno a sovrapporre il diritto alla procreazione, sicuramente esistente, con il diritto a svolgere il ruolo sociale di rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 alla procreazione (32) ed è posta alla base dello slogan “un figlio a tutti i costi” (33). Si comincia, quindi, ad elaborare un concetto di genitorialità indipendente dal dato biologico, connesso invece a quello di responsabilità, superando il tradizionale riconoscimento basato sul mero legame di sangue del rapporto genitore-figlio (34). La stessa Corte Costituzionale a seguito del problema di legittimità sorto in riferimento al divieto dell’eterologa sancito all’interno della legge 40/2004 (35), aveva specificato che: “la determinazione di avere un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può non essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali”. La provocazione che si intende in questa sede porre, però, è: siamo veramente certi che la legalizzazione della pratica di cui discutiamo non vada a ledere alcuni valori costituzionali del nostro ordinamento? (36). genitore, indipendentemente dalla propria capacità riproduttiva. Coerentemente con tale interpretazione Sesta avvalora tale tesi mostrando come la disciplina dell’adozione è improntata a soddisfare prevalentemente l’interesse del minore abbandonato e non l’interesse della coppia a divenire genitori. da tali considerazioni l’autore adesso citato esclude che vi sia l’esistenza di un incondizionato diritto ad essere genitori. M. SESTA, la maternità surrogata tra deontologia regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, pagg. 494 ss. (32) La stessa A.B. Faraoni scrive, che la procreazione può essere considerata come un insieme di attività che si sviluppano nel corso del tempo e che concerne molti comportamenti disparati: la sua importanza primaria, quale processo di continuazione della specie, e la delicatezza dell’ambito che concerne richiede una valutazione attenta della relativa regolamentazione. La sua necessità, infatti, non permette di esimerla da determinate regole e procedure, giacché, sebbene la nostra conoscenza scientifica relativa alla riproduzione della specie umana sia abbastanza recente, siamo consapevoli della sua natura complessa e multiforme. (33) Vi sono significative pronunce di merito e legittimità con le quali molti giudici aditi hanno cominciato a prendere coscienza del fenomeno procreativo come oggetto di un autonomo diritto della personalità. Facciamo riferimento a Trib. roma, 14 febbraio 2000, c.d. ord. Schettini “in un’ottica che concepisce la società come un organismo in continua evoluzione, ove sia rispettata l’autorealizzazione individuale, deve essere riconosciuto, quale diritto fondamentale della persona, il diritto a diventare genitori e di valutare e decidere le scelte in relazione al bisogno di procreare, con la precisazione che lo status genitoriale può trovare completezza nell’adozione ma anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico, dovendosi, quindi, propendere in determinati casi, per la validità del contratto di sostituzione di maternità”. Contrario all’idea in base alla quale sussista un diritto ad avere un figlio è Josè Bovè, il quale afferma che: «désir d’enfant n’est pas droit à l’enfant»: il desiderio di avere un figlio, non fonda alcun “diritto” ad avere un figlio. Soprattutto se questo figlio è letteralmente oggetto di un traffico internazionale che preme per la legalizzazione di tale schiavismo, e che coinvolge madri povere e disperate che cedono il proprio corpo per poche centinaia di dollari a cliniche indiane o ucraine che, preventivamente, collocano la loro merce sul mercato con tanto di listini dei prezzi. Inoltre negli stessi termini di Bove anche il Tribunale di Monza 27 ottobre 1989. All’interno della sentenza emessa dal collegio infatti si fa riferimento esplicito al fatto che non si può parlare di un vero e proprio diritto alla procreazione. (34) Sentenza Corte Costituzionale 162/2014. (35) I. CorTI, la maternità per sostituzione analisi del fenomeno, in AA.VV., verso nuove forme di maternità?, Milano, 2002, pag. 54. (36) Nel caso di specie siamo sicuri che la legalizzazione della pratica della surrogazione non porti alla vera e propria schiavitù della donna e quindi alla sua commercializzazione della sua capacità riproduttiva? Inoltre, siamo sicuri che un eventuale contratto di surrogazione non sia contrario al principio dell’ordine pubblico in quanto va ad incidere negativamente sull’indisponibilità degli status fami LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà Infatti tale pretesa ad avere un figlio, qualora esistesse, deve essere bilanciata con altre esigenze ugualmente meritevoli di tutela tra le quali, ovviamente, il rispetto pieno di quei diritti che sono riconosciuti al minore e al concepito, definito all’interno del nostro ordinamento come una persona in fieri e quindi titolare di alcuni diritti fondamentali quali il rispetto all’integrità psicofisica e alla sua identità (37). 6. argomenti a sfavore della maternità surrogata. La riproduzione mediante ricorso alla tecnica della surrogazione ha fatto sorgere numerose questioni dal punto di vista medico, morale e filosofico. Coloro che si dicono contrari a questa pratica fanno leva su alcuni argomenti fondamentali: • rischi per la salute fisica della donna e del bambino • Lesione della dignità della donna e oggettivazione del nascituro • riferimento alle incertezze giuridiche che incidono soprattutto sul benessere del minore. di seguito cercheremo di analizzare singolarmente e in maniera esaustiva ogni singolo punto sopra evidenziato. 6.1 Rischi per la salute fisica della donna e del bambino. La modalità più utilizzata per la realizzazione della maternità surrogata è quella che si basa sulla formazione in vitro dell’embrione, il quale verrà poi trasferito nell’utero della madre gestazionale (38). Tale tipo di pratica è stata però definita come “un’operazione molto complessa che impegna notevolmente medici pazienti e che esige pazienza, attenzione, prudenza, comunicazione e tranquillità (…). È infine un’operazione complessa sul piano biologico, basata su assunti empirici e su grossolane approssimazioni, è inevitabile che, malgrado l’impegno dei medici che la eseguono, possa causare effetti collaterali e complicazioni di vario genere” (39). Per quanto riguarda la donna i rischi fisici che corre sono dovuti al fatto che vi è, prima di dare avvio alla procedura in questione, un’attività di preparazione compiuta sul suo corpo, finalizzata sia alla produzione degli ovuli sia liari o non vada ad eludere la legge sull’adozione? In tali termini G. GIANI, Procreazione artificiale e gravidanza surrogata per spirito di liberalità: il bilanciamento tra libertà di autodeterminazione della donna e best interest del nascituro, in foro it., 2000, pagg. 1699 ss. (37) Integrità psicofisica che secondo la dottrina maggioritaria sarebbe messa in crisi qualora i genitori utilizzino tali pratiche di procreazione. Infatti, si avrebbe uno sdoppiamento delle figure genitoriali che potrebbero incidere negativamente sul minore, il quale, ancor prima di nascere o subito dopo il parto, sarebbe già oggetto conteso dai diversi soggetti che hanno partecipato alla sua procreazione. (38) Infatti tale pratica assicura che l’embrione prodotto abbia un legame genetico con la coppia committente. (39) In tal senso C. FLAMIGNI, il libro della procreazione. la maternità come scelta, Milano, 1998, pag. 367. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 alla preparazione del suo organismo per l’insediamento dell’embrione generato in vitro (40). Per quanto concerne i rischi che può subire l’embrione, invece, bisogna fare riferimento al fatto che la manipolazione esterna, il congelamento e infine l’eventuale biopsia embrionale possono danneggiare lo zigote, ma soprattutto ne possono determinare la minore suscettibilità di impianto nell’utero, complicando l’avvio della gravidanza, la quale, se anche dovesse realizzarsi (41), potrebbe essere di natura multipla, ponendo delle difficoltà sia per la gestante che per il nascituro (42). Proprio per evitare le possibili conseguenze negative derivanti da tale maternità multipla, alcuni giustificano la richiesta di consenso ad una riduzione del numero degli embrioni durante la gestazione. Tale tematica pone, però, un problema di fondo in quanto non solo sembrerebbe avallare l’utilizzo di pratiche eugenetiche e di aborto selettivo, ma andrebbe a confermare la tesi, sostenuta da una parte della dottrina (perlopiù dai libertari e dagli utilitaristi), di quanti ritengono l’embrione non ancora un soggetto di diritto e quindi non tutelato all’interno del nostro ordinamento. 6.2 lesione della dignità della donna e oggettivazione del bambino. La maggiore preoccupazione che si pone in riferimento al tema trattato è dovuta al fatto che parte della dottrina ritiene che le pratiche di surrogazione ledono la dignità della donna, vittima della commercializzazione della sua stessa capacità procreativa. Infatti, qualora tali pratiche fossero considerate legittime all’interno del nostro ordinamento si rischierebbe di sfruttare in chiave socio-economica delle funzioni esclusive della donna, la quale, a seguito della scissione tra contributo fisico e quello spirituale, andrebbe ad essere considerata come un mero strumento di cui la coppia committente si serve per poter avere un figlio (43). Anche una parte del movimento femminista è con (40) La necessità di sincronizzare il suo apparato riproduttivo richiede infatti un trattamento di induzione all’ovulazione mediante stimolazione ormonale, un evento di per sé non naturale e che può pertanto condurre ad una condizione patologica, detta sindrome da iperstimolazione ovarica, capace di determinare effetti negativi sulla generale condizione di salute fisica, ma soprattutto di alterare la futura capacità riproduttiva femminile. ovviamente a tali rischi si aggiunge la prevedibile possibilità di infezione attribuibile allo sperma donato, soprattutto nel caso in cui la procedura sia stata realizzata senza screening medico ed al di fuori dei centri autorizzati. (41) Trattandosi di un’operazione difficile infatti, per la cui riuscita è necessario che una catena di eventi si svolga senza intoppi, è possibile che fallisca molto spesso. In questi termini C. FLAMIGNI, il libro della procreazione. la maternità come scelta, Milano, 1998, pag. 367. (42) La gravidanza multipla deve essere considerata una complicazione temibile e si deve fare di tutto per evitarla. Il motivo per cui ci sono ancora tante gravidanze multiple è una conseguenza delle terapie farmacologiche d’induzione dell’ovulazione e dal fatto che per aumentare le chances di gravidanza per embrione trasferito, si trasferiscono tutti gli embrioni prodotti, toccando cifre incredibili. A.B. FA- rAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pagg. 42 ss. (43) “Per quanto le conseguenze possano apparire desiderabili, la considerazione del fatto che le persone trattino gli altri come mezzi per la realizzazione dei propri fini va considerato suscettibile di LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà trario all’utilizzo di tali pratiche (44), in quanto la previsione di un pagamento per portare avanti la gestazione potrebbe celare un nuovo tipo di sfruttamento sociale, una sorta di schiavitù delle donne. Altra problematica che si è posta è quella relativa al fatto che tale tipo di pratica sembrerebbe accessibile solo alle coppie benestanti (45), le quali darebbero vita ad un vero e “proprio commercio internazionale di esseri umani, reso possibile dallo sfruttamento delle donne selezionate provenienti da Paesi in via di sviluppo” (46). Forse il problema maggiore che, a mio avviso, si viene ad avere qualora una condanna morale. un trattamento di questo tipo di una persona da parte di un’altra assume l’aspetto di un vero e proprio sfruttamento qualora siano considerati anche interessi economici. Pertanto, è proprio lo sfruttamento economico della maternità surrogata che ci preoccupa in via primaria, anche se non in maniera esclusiva”. Tali parole sono tratte dal rapporto Warnock, 1984, 8.17. in tali termini anche la convenzione internazionale di Bioetica adottata dal Consiglio di Europa che nell’art. 21 afferma: “il corpo umano e le sue parti non devono essere in quanto tali fonti di guadagno”. Principio ripreso anche dalla Supreme Court nel caso Baby M. dove ritennero la surrogazione “potentially de- grading to a women”. (44) In particolare il dissenso di tale movimento si fonda sull’osservazione che la “surrogazione porta alla spersonalizzazione della donna nell’attività di procreazione e si fonda sulla sua particolare vulnerabilità allo sfruttamento economico all’interno di un sistema patriarcale: il consenso della donna (a sottoporsi a tale pratiche) è una mera finzione in quanto le questioni connesse al destino sessuale e riproduttivo della donna non possono essere risolte tramite accordi personali”. In tali termini C. SHALEV nascere per contratto, Milano, 1992, pag. 153. Negli stessi termini anche la filosofa femminista S. AGACINSKI, la quale ha affermato che: “nonostante le prese di posizione contrarie e molto chiare di tutte le autorità in materia, le lobby delle industrie biotecnologiche esercitano una pressione tremenda. dalla California alla Russia la procreazione medicalmente assistita rappresenta un grosso affare economico. le agenzie comprano e vendono ovociti e spermatozoi, ma quello che più manca alla loro catena di produzione è la disponibilità del ventre femminile. e allora si rivolgono a donne molto fragili, reclutate su un grande mercato che possiamo qualificare come neocoloniale (…). impedire che, come la prostituzione, anche la pratica dell’utero in affitto trasformi le donne in prestatrici di un servizio: sessuale o materno. il corpo delle donne deve essere riconosciuto come un bene indisponibile per l’uso pubblico. la madre surrogata non è forse madre genetica ma è senza dubbio anche lei una madre biologica, tenuto conto degli scambi biologici che avvengono per nove mesi tra la madre e il feto. il bambino in questo modo diventa un bene su ordinazione, dotato di un valore di mercato” http://27esimaora.corriere.it/articolo/le-femministe-e-la-maternita-surrogata-la-donna-non-e-un-mezzodi- produzione-di-bambini/it; si veda anche http://www.linterferenza.info/attpol/3351/it. In Italia negli stessi termini si è espressa la filosofa L. MUrAro, la quale ha affermato che: «non esiste un diritto di avere figli a tutti i costi, eppure ce lo vogliono far credere: finito il tempo delle grandi aggregazioni e dei partiti, è un nuovo modo di fare politica cercando consensi. l’utero in affitto si innesta in questa tendenza, anche se è nato prima, negli usa, con gli effetti che sappiamo. È la strada attuale per lo sfruttamento del corpo delle donne». http://27esimaora.corriere.it/articolo/le-femministe-e-la-maternitasurrogata- la-donna-non-e-un-mezzo-di-produzione-di-bambini/it ; http://www.linterferenza.info/attpol/3351/it. (45) “sulla base della nostra esperienza personale in questo settore, anticipiamo la gamma sia da $ 75,000 a $ 150,000 (che sarebbe il peggiore dei casi con spese massime prevedibili). l’importo medio speso è $ 80,000”. da questo si ricava che le cifre indicate non sono proprio abbordabili a tutti, ponendo quindi una discriminazione tra i soggetti stessi https://www.surrogacysolutionsinc.com/it/aspiranti-genitori/anticipated-costs/it; http://www.linterferenza.info/attpol/3351/it. (46) In tali termini C. SHALEV, nascere per contratto, Milano, 1992, pag. 150 ss. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 si decida di ricorrere a tali pratiche è individuato nel fatto che la madre gesta- zionale e il bambino subiscono dei traumi a livello psicologico a seguito della nascita di quest’ultimo. È, infatti, innegabile che la mercificazione dell’attività riproduttiva della donna si ripercuota poi sul “benessere psichico del minore, il quale, purtroppo, potrebbe percepirsi come frutto di un mero accordo commerciale” (47). Infatti, “la previsione di un compenso per la nascita di un essere umano, a prescindere dall’effettiva definizione a questo data, fissa un valore economico e determina la caratterizzazione della persona come merce venduta: anche se si configura il rapporto quale vendita di servizi, e non quale vendita di bambini, non muta il risultato negativo, vale a dire l’assegnazione di un valore commerciale ad un bene non valutabile, quale è la vita” (48). dall’altra parte, invece, la madre gestazionale, obbligata per questioni economiche ad accettare il contratto con la coppia committente, potrebbe poi subire delle ripercussioni psichiche importanti in quanto costretta ad abbandonare controvoglia suo figlio (49). Anche il fine altruistico non elimina assolutamente il rischio che alla base di tale pratica vi sia uno sfruttamento a livello psicologico della madre gesta- zionale. Infatti, la scelta della donna di “prestare” il proprio utero in favore di un familiare, potrebbe essere condizionata da un sentimento di lealtà familiare o addirittura di dovere. 6.3 aspetti comparatistici e il principio del best interest of child. Per quanto concerne la legittimità o meno di ricorrere a tali tipi di pratiche occorre fare un’analisi degli ordinamenti dei diversi Stati e concludere con un esame comparatistico che faccia riferimento al nostro ordinamento. Possiamo sostanzialmente discernere gli Stati in due macrogruppi fondamentali, quelli che prevedono una vera e propria regolamentazione del fenomeno della surrogazione dal punto di vista giuridico, legittimando in pieno il ricorso a tali pratiche, ferme restando delle limitazioni esplicitamente imposte dalla legge, e, dall’altra parte, gli Stati che considerano illecita tale procedura. (47) In tali termini G. BALdINI, volontà e procreazione: ricognizione delle principali questioni in tema di surrogazione di maternità, in dir. fam. e Pers., 1998, pag. 756. (48) In tali termini C. SHALEV, nascere per contratto, Milano, 1992, pag. 160. (49) ormai è riconosciuto a livello anche scientifico che già in fase gestazionale si instaurano dei profondi legami tra il feto e la madre gestazionale. In tal senso si rinvia anche al pensiero di L. PA- LAzzANI, vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica la quale afferma che “la maternità surrogata pone tutta una serie di problemi etici che non possono e non devono essere trascurati in particolare c'è il problema del distacco del bambino dalla madre, quando è noto che durante la gravidanza si instaura un profondissimo legame biologico, ormonale, relazionale tra il nascituro e la mamma, in un dialogo così intenso che la nascita rappresenta un trauma. Con la maternità surrogata il trauma è doppio: sia per la donna che, pur magari con tutte le migliori intenzioni ha ospitato la gravidanza e ora, dopo nove mesi, si vede portar via il bambino che ha custodito in grembo e sia per il figlio che viene privato della madre”. https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/terragni-e-palazzani-rimossibambini- e-mamme-a-pagamento.it. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà La pratica in esame è giuridicamente lecita e regolamentata in russia, India, Gran Bretagna e in alcuni Stati degli Usa e territori dell’Australia, all’interno dei quali sono state introdotte solo delle linee guida da seguire rimettendo al singolo Stato la possibilità di emanare una disciplina specifica su tale materia che potrebbe anche vietare la pratica in questione (50). In Europa, invece, gli Stati sono tendenzialmente inclini a non legittimare il ricorso a tali pratiche (51) (le uniche eccezioni sono riscontrabili in Portogallo (52) e in Inghilterra, dove a seguito del Report of committee of inquiry into human fertilization and embriology, venne redatta la prima legge organica in materia si surrogazione, ove si riconosce l’utilità di tale strumento per superare le problematiche legate alla sterilità ed infertilità umana (53)). La Corte di Strasburgo, nonostante abbia garantito agli Stati membri la possibilità di disciplinare discrezionalmente le questioni relative alle pratiche di surrogazione, ha previsto che, in materia, il principio generale che ogni Paese deve perseguire è quello del “best interest of child” (54). Tale interesse del minore, menzionato nella già citata (50) In particolare la pratica della maternità surrogata è vietata in Michigan, dove è punita con cinque anni di carcere. Inoltre nello Stato di New York, l’affitto di uteri è civilmente punibile con multe severe e non è neppure ammessa la maternità surrogata altruistica, tanto che la madre legale resta quella che partorisce. Gli Stati che ammettono in vario modo l’affitto di uteri per denaro sono Florida, Nevada, New Hampshire, Tennessee e Texas, che però precisano che i firmatari dei contratti devono essere coppie sposate. California, Arkansas e Maryland hanno invece una normativa molto meno restrittiva. https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/mercato_usa. (51) In Austria e Germania vi è un esplicito divieto, mentre in Svizzera è vietata ogni tipologia di donazione di embrioni e di maternità sostitutiva per tutelare la dignità della madre gestazionale e del nascituro. Si veda in tal senso C. VArANo, la maternità surrogata e l’interesse del minore: problemi e prospettive nazionali e transnazionali, in fam. e diritto, 2017, pagg. 825 ss. (52) La fecondazione assistita è in questo caso riservata però solo a coppie sposate o conviventi (più precisamente conviventi da almeno due anni). In tali termini art. 6 comma 1, legge 32/2006. A norma dell’art. 10, infatti, si prevede che “si può ricorrere alla donazione di ovociti, spermatozoi ed embrioni quando, secondo le conoscenze medico-scientifiche obbiettivamente disponibili, non si possa ottenere una gravidanza attraverso tecniche che utilizzino gameti dei beneficiari e assicurino condizioni idonee a garantire la qualità dei gameti”. (53) La maternità surrogata è infatti l’unica alternativa per una coppia sterile che desideri un figlio che presenti una connessione biologica con almeno uno dei genitori e, se da un lato può essere obbiettato che tale pratica costituisca una forma di sfruttamento del corpo della donna e che leda la sua dignità, dall’altro, può essere vista come un atto di generosità posto in essere consapevolmente da una donna verso un’altra. Lo status giuridico del minore nato mediante surrogazione è regolamentato dallo Human fertilisation and embryology act, in vigore dal 1990, che, all’articolo 30 dichiara il nato come figlio legittimo della coppia committente e lascia alle autorità competenti il controllo della regolarità del contratto posto in essere. Se tale regolarità viene accertata al momento della consegna del minore da parte della madre surrogata ai genitori committenti, il Tribunale emette contestualmente un’ordinanza che regolarizza la situazione giuridica del minore. La validità del contratto di surrogazione è sostanzialmente legata al rispetto dei requisiti di gratuità e consensualità. (54) Tale principio è richiamato anche dall’art. 3, 1 comma, della Convenzione dei diritti del fanciullo, N.Y 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con la L. 27 maggio1991, n. 176. Il primo comma dell’articolo recita infatti: “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 sentenza della corte del New Jersey in riferimento al caso Baby M., consiste in una valutazione di rispondenza delle concrete condizioni di vita del bambino a nove criteri fondamentali: se il bambino è voluto e programmato; equilibrio emotivo delle persone che vivono nell’ambiente domestico del bambino; equilibrio e tranquillità delle famiglie; capacità degli adulti di riconoscere e soddisfare le esigenze fisiche ed emotive del bambino; attitudine delle famiglie nei riguardi dell’educazione e loro capacità di stimolare e incoraggiare la curiosità e l’apprendimento; capacità degli adulti di prendere decisioni razionali; capacità degli adulti di inculcare nella vita del bambino attitudini positive su questioni concernenti la salute; capacità degli adulti di spiegare al bambino le circostanze della nascita con la minor confusione possibile e con il maggior sostegno emotivo; capacità e propensione degli adulti ad aiutare il bambino nei problemi che incontrerà nella sua esistenza. Pur non esistendo alcun trattato e alcuna norma che disciplinino in maniera esplicita la procreazione assistita a livello internazionale, molti autori affermano che il diritto di procreazione è stato implicitamente riconosciuto come meritevole di tutela in sé e per sé, fermo restando l’esistenza di limiti cui tale diritto dovrebbe essere sottoposto per la tutela di altri interessi con i quali potrebbe entrare in conflitto (55). A sostegno di quanto finora detto occorre evidenziare che, proprio per garantire la soddisfazione del desiderio di maternità di alcune donne, in Spagna si è ormai diffuso ampiamente il c.d. metodo r.o.P.A. (Reproduction ovum Partner assisted). Tale pratica, utilizzabile solo da coppie lesbiche, che per questioni di incapacità naturale non possono procreare, consiste sostanzialmente in una ovodonazione di una donna a favore della compagna, la quale, invece, si presta a portare avanti la gravidanza (56). Tale pratica è quindi da considerarsi come un sottoinsieme del più ampio concetto di surrogazione. La legge sulla riproduzione assistita spagnola 14/2006 riconosce che, quando si utilizza il metodo r.o.P.A, entrambe le pro (55) In tali termini si veda infatti G. BALdINI, tecnologie riproduttive e problemi giuridici, Torino, 1999, pag. 17. In realtà occorre mostrare come anche a livello comunitario non vi è una unicità di vedute in merito alla liceità di tale pratica. In tal senso, infatti, nella relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia, adottata dalla plenaria del Parlamento europeo il 30 novembre 2015, si condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani. Risoluzione del Parlamento europeo sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'unione europea in materia http://www.europarl.europa.eu/sides/getdoc.do?pubref=-//EP//TEXT+rEPorT+A8-20150344+ 0+doC+XML+V0//IT. (56) In pratica una delle due donne fa inseminare i propri ovuli che verranno poi trasferiti nel grembo della partner che porterà a termine la gravidanza, a seguito della quale nascerà un bambino con il patrimonio genetico del donatore di seme e della propria compagna. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà genitrici sono madri del figlio nato e su di questo vantano gli stessi diritti senza la necessità che si ricorra all’adozione successiva (57). Tralasciando di per sé gli aspetti tecnici relativi a tale modalità di procreazione, il problema di specie che si pone in questa circostanza è che il bambino nato è figlio di due donne, cioè ha sin dalla sua origine due madri. Questo inevitabilmente genera un’insicurezza che può essere destabilizzante in vista dell’armonico sviluppo psicofisico del fanciullo. Nella legislazione spagnola perciò, a parere di chi scrive, si è data maggiore rilevanza al diritto di procreare piuttosto che ai diritti del minore e alla tutela del suo interesse. Completamente diverso invece è il bilanciamento di tali due interessi in Italia. Infatti, il principio del best interest of child nel nostro ordinamento deve essere interpretato alla luce degli artt. 2 e 30 della Costituzione e, quindi, dando una rilevanza maggiore alla promozione della personalità del soggetto umano in formazione e alla sua educazione nel luogo a ciò ritenuto più idoneo, da ravvisarsi in primis nella famiglia di origine. Tale interpretazione è stata avallata anche dal Tribunale di Monza (58), cui si sono rivolti dei coniugi committenti per richiedere l’esecuzione del contratto surrogatorio stipulato con una madre gestazionale (59). Il Tribunale, stabilendo che “il contratto deve necessariamente realizzare un rapporto giuridico a contenuto patrimoniale”, “rifiuta di definire la prestazione della madre surrogata, come una vendita o una concessione in godimento di beni del valore inestimabile, quali la vita di un figlio e l'affetto di una madre”. Proprio per tali ragioni concluse affermando l'infungibilità dei doveri dei genitori biologici, il diritto del minore di crescere all'interno della famiglia di sangue (salvo casi di oggettiva necessità, cioè di inadeguatezza o incapacità di que- st'ultimi (60)) e sostenne l'inesistenza di un “diritto alla procreazione” tutelato (57) Tale metodo roPA è previsto solo per le donne sposate a seguito dell’introduzione della legge zapatero del 2005. Con tale legge, voluta fortemente dal premier socialista dalla quale prende anche il nome, si è legalizzato il matrimonio omosessuale, equiparandolo a quello tradizionale. (58) Tribunale di Monza 27 ottobre 1989, in dir. di famiglia e delle persone N. 1/1990, pagg. 184-203, con nota di M. VENTUrA. (59) Il Tribunale, infatti, nelle motivazioni affermò che: “assumeva a valore primario la promozione della personalità del soggetto umano in formazione e la sua educazione nel luogo a ciò più idoneo, da ravvisarsi in primo luogo nella famiglia d’origine e, soltanto in caso d’incapacità di questa, in una famiglia sostitutiva”. La conclusione cui è pervenuto il tribunale di Monza sembra essere simile a quella adottata dalla CEdU, che si è pronunciata in un caso di surrogazione verificatosi in Francia (mennesson c. francia). Secondo l’interpretazione della Corte “il primario interesse a definire la propria identità come essere umano, compreso il proprio status di figlio o di figlia di una coppia di genitori” costituisce un diritto incluso nel concetto di rispetto per la vita privata e familiare. (60) L’articolo 30, 2° comma, Cost. prevede, inoltre, il dovere del legislatore e dell’autorità pubblica in generale di predisporre quegli interventi che pongano rimedio nel modo più efficace al mancato svolgimento dei compiti da parte dei genitori di sangue e cioè delle funzioni connesse al dovere-diritto di mantenere, istruire ed educare i figli. Ne deriva il carattere funzionale del diritto dei genitori di sangue, che sta e viene meno in relazione alla capacità di assolvere i compiti previsti nel 1° comma dell’art. 30 Cost.: il carattere di effettività che deve rivestire l’assolvimento dei compiti stessi, non delegabili ad altri e, dunque, da svolgersi con impegno personale e diretto. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 dalla Costituzione, non potendosi desumere da alcuna disposizione che il desiderio di avere un figlio sia elevato a diritto di rango costituzionale. La meritevolezza del desiderio di procreare, anche mediante l’uso di tecniche artificiali e la collaborazione di una madre surrogata, è indiscutibile, ma il diritto del minore ad avere una identità personale certa sembra di gran lunga essere prevalente (61). La consapevolezza della maggiore rilevanza degli interessi del figlio, nato a seguito dell’accordo di surrogazione, si fonda sulla centralità della sua personalità e della sua dignità ed è da ricondurre al principio dell’inviolabilità dei diritti individuali (62). Una forte difesa del best interest of child è ravvisabile in particolare nella Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata in Italia con la legge d’esecuzione del 27 maggio 1991, n. 176. All’art. 3 di tale Convenzione infatti si fa riferimento al fatto che l’interesse del fanciullo deve essere sempre considerato come preminente, obbligando quindi gli stati che hanno ratificato tale convenzione a garantire la protezione e vigilare sul corretto funzionamento delle istituzioni che hanno la responsabilità dei medesimi. Nello stesso testo all’art. 6, comma 2, si fa riferimento anche al fatto che “gli stati parti assicurano in tutta la misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo”, il quale in base a quanto sancito nell’articolo successivo “ha il diritto ad avere un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed essere allevato da essi”. Lo stesso art. 8 fa poi riferimento al fatto che “gli stati si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali”. Proprio in virtù di ciò il fanciullo non può essere separato dai propri genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano che questa separazione sia necessaria per l’interesse del bambino (art. 9) (63). L’articolo car- (61) Negli stessi termini M. dogliotti il quale afferma che: “la preoccupazione per l’ambiente familiare e sociale del fanciullo appare indiscutibile, ricollegandosi alla protezione del fanciullo e di ogni altro soggetto debole”. M. doGLIoTTI, maternità “surrogata”: contratto, negozio giuridico, accordo di solidarietà?, in fam. dir., 2000, pag. 155 ss. (62) In tali termini A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pagg. 118 ss. Già da tali premesse possiamo comprendere come non può considerarsi valido un contratto che, riducendo il figlio a rango di oggetto, violi il valore umano del minore persona. In tali termini M. doGLIoTTI, maternità “surrogata”: contratto, negozio giuridico, accordo di solidarietà?, in fam. dir., 2000, pag. 156 ss. (63) L’art. 9 fa riferimento alle c.d. autorità competenti. Già da tale formulazione quindi sembrerebbe illegittima la pratica della surrogazione, dal momento che il bambino viene ceduto previo contratto, a titolo oneroso o gratuito, dalla madre gestazionale alla coppia di committenti, senza che ci possa essere un controllo pubblico su tale disposizione. Una lesione della convenzione è anche ravvisabile in riferimento all’art. 12 il quale recita: “Gli stati garantiscono ai fanciulli il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo saranno prese in considerazione tenendo conto non solo della sua età, ma anche del suo grado di maturità”. Tale articolo, sempre prendendo come parametro di riferimento il tema trattato, sarebbe leso. Infatti sono i genitori che con arbitraria di LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà dine della Convenzione, per quanto concerne il nostro tema, è però l’art. 16, il quale recita: “nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti legali al suo nome e alla sua reputazione. il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze” (64). A sostegno dell’importanza di tale Convenzione non può che menzionarsi l’art. 117 della nostra Costituzione, il quale recita: “la potestà legislativa è esercitata dallo stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, obbligando lo stato italiano a rispettare gli impegni assunti a livello internazionale. In sostanza le norme di tale Convenzione sono delle norme interposte tra le leggi ordinarie o fonti di primo grado e le norme di rango Costituzionale, costituendo parametro di costituzionalità nei confronti delle altre leggi interne. In altri termini, leggi interne potranno essere dichiarate incostituzionali ad opera della Corte Costituzionale, se esse si pongono in conflitto con norme “interposte” immesse nel nostro ordinamento attraverso trattati internazionali. d’altro canto, le stesse norme internazionali non possono porsi in contrasto con le norme costituzionali, ché sarebbero suscettibili di annullamento da parte della Corte Costituzionale (65). Inoltre, in una recente pronuncia della Corte Costituzionale (66) è stato ribadito che il principio del best interest of child è preminente anche nelle scelte che gli organi giurisdizionali sono chiamate ad adottare in tema di filiazione quando i genitori abbiano fatto ricorso a pratiche surrogative. Nel caso di specie il Tribunale di Milano aveva accolto l’istanza di disconoscimento di figlio naturale promossa dal curatore speciale, nominato dal tribunale dei minori su istanza del PM, nei confronti di una madre committente che risultava genitrice in un atto di nascita straniero trascritto in Italia, ai sensi dell’art. 263 c.c. La questione sollevata dalla Corte d’Appello di Milano ha posto invece “al centro l’interesse del bambino, nato a seguito di surrogazione di maternità realizzata all’estero, a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita”; per i giudici della rimes sposizione vanno a incidere ab origine sullo status filiationis del minore, comprimendo non solo il diritto di questo ad avere uno status giuridico veritiero, di essere messo in condizioni di scegliere e sapere in che modo è venuto al mondo. (64) Come si può negare sulla base di tale articolo, che la maternità surrogata e le questioni giuridiche che da questa scaturiscono non sono delle vere e proprie interferenze arbitrarie e/o illegali nella vita del minore? (65) In tali termini C. dI PAoLo, spunti critici in tema di effettività della Convenzione per i diritti del fanciullo nell’ordinamento italiano, in http://d7.unicam.it/afg/sites/d7.unicam.it.afg/files/di_Paolo_Spunti_critici.pdf. (66) Sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2017. https://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 sione, il difetto di veridicità del riconoscimento come figlio dovrebbe venir meno di fronte all’interesse del minore. Infatti, nella sentenza si afferma che: “proprio al fine di garantire tutela al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, sin da epoca antecedente alla legge n. 40 del 2004, questa Corte -senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, né [...] il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione -si è preoccupata invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato [...], non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima - in base all'art. 2 della Costituzione - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare” (67). Nel rigettare la questione la Corte ha posto in rilievo “l’accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione” come pure “l'elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale” (68), elemento che è parte necessaria della valutazione comparativa tra l’interesse del minore e l’accertamento della verità. Non solo è inammissibile che l’esigenza di verità della filiazione s’imponga sull’interesse del minore in modo automatico, ma lo è parimenti il contrario. La sentenza, anziché sancire la pretesa legittimità della pratica, ne ribadisce l’illegittimità e centra il suo giudizio sulla sorte da dare al minore, che non ha compiuto alcuna scelta in ordine ad essa e ha diritto ad una famiglia, affidando al giudice ordinario in casi da ritenere non solo emergenziali ed eccezionali, ma anche limitati - stante la precipua competenza tecnica del tribunale dei minori -la constatazione di un legame genitoriale con una famiglia idonea, nei soli casi in cui la rescissione sarebbe pregiudizievole allo stesso. 6.4 la maternità surrogata alla luce della legge 40/2004. Proprio per le ragioni sopraesposte, la legge 40 del 2004 ha previsto un divieto di surrogazione (69), corredato da apposita sanzione penale in caso di (67) Sentenza Corte Costituzionale n. 272/2017, § 4.1.3. (68) Sentenza Corte Costituzionale n. 272/2017, § 4.3. disvalore di tale pratica dovuto non solo al fatto che si dispone degli status personali, ma anche dal fatto che, come accaduto nel caso della sentenza in esame, le incertezze giuridiche che si hanno incidono inevitabilmente sulla parte più debole del rapporto, ovvero il minore. (69) occorre ricordare che a seguito di una sentenza della corte costituzionale 162/2014 tale divieto all’eterologa è venuto meno perché visto in contrasto con le norme costituzionali. Ciò nonostante è rimasto fermo il divieto a ricorrere alla pratica della surrogazione all’interno del nostro ordinamento. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà trasgressione (70). La ragione fondamentale per cui non è ammissibile il ricorso a tali pratiche la si deve rintracciare nel fatto che sembra inopportuno, ad oggi, andare a contraddire il brocardo latino in base al quale “mater semper certa est” (71). Infatti, l’idea di una eventuale frantumazione del contributo della donna nell’ambito della procreazione potrebbe destare delle problematiche giuridiche, oltre che sociali, che non sono ancora agilmente risolvibili da parte del nostro legislatore e che porterebbero ad un disordine inaccettabile all’interno del nostro Paese. L’individuazione della figura femminile cui deve essere attribuita la maternità giuridica del nato rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei maggiori problemi posti da tale pratica, essendo la surrogazione caratterizzata di per sé dalla partecipazione di due o tre donne al processo generativo. Se per l’accertamento della paternità potrà discutersi se dare prevalenza al padre biologico o a quello sociale, per la maternità, invece, ai sensi dell’art. 269, comma 3, del c.c., madre è da considerarsi colei che dà alla luce il figlio, dal momento che il parto è l’elemento decisivo per l’identificazione di questa. Secondo la norma ora in esame quindi sarebbe la madre gestazionale a vedersi attribuita la maternità giuridica, a nulla rilevando né la scissione del- l’apporto naturalistico, né la diversa volontà delle parti. Le principali motivazioni addotte a sostegno di tale opinione si fondano su tali considerazioni: • è nel comportamento della madre portatrice che va ravvisato l’elemento di autoresponsabilità necessario alla costituzione del concetto giuridico di maternità; • è grazie al contributo della gestante che la vita della persona sorge e si sviluppa in un legame simbiotico con la madre fino al parto; • è con la gestante che il nascituro instaura, nel periodo della gravidanza, uno strettissimo legame simbiotico che si concreta in una comunanza delle funzioni vitali. di contro alcuni autori ritengono che l’interpretazione data all’art. 269 c.c. debba essere aggiornata alla luce delle possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico e scientifico che più volte ho messo in evidenza. Infatti, madre è colei che dona il proprio materiale genetico e non colei che porta avanti la gravidanza (72). (70) Ben presto quindi anche all’interno del nostro ordinamento si è posto il problema di cercare di trovare una soluzione a quel fenomeno, in continua espansione, definito come Turismo procreativo. (71) Ma soprattutto andare a disporre negozialmente di uno status filiationis, andando con la propria condotta ad incidere negativamente anche sul minore il quale avrebbe diritto a conoscere le sue vere origini e il diritto a crescere nella propria famiglia di sangue. (72) Tale questione è richiamata in modo specifico da P. VErCELLoNE, la fecondazione artificiale, in digesto, disc. priv. sez. civ., XV, 1997, pag. 401. L’autore da ultimo menzionato infatti ritiene che la maternità dovrà spettare alla donna senza la cui azione in accordo con quella del partner non si sarebbe rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 Anche accettando tale tesi però si arriva a sancire lo sdoppiamento della figura materna. Infatti, pur valorizzando il contributo biologico della madre committente, non si può sicuramente andare a negare il legame che il nascituro instaura con quella gestazionale. Una tale situazione più che avere conseguenze sul piano giuridico, incide sicuramente, in maniera del tutto negativa, sul minore, il quale si trova ad essere considerato come un oggetto conteso sostanzialmente da due famiglie ancor prima di essere nato o subito dopo essere venuto al mondo (73). Proprio la maggiore rilevanza che si da all’interesse del minore, ha portato a far si che il nostro ordinamento non riconosca la validità dei contratti di surrogazione stipulati dalle parti. La stessa posizione è stata assunta anche dal Consiglio d’Europa -Assemblea Parlamentare, che l’11 ottobre 2016 ha bocciato (74) (con 83 no, 77 sì e 7 astenuti) il rapporto, presentato dalla parlamentare belga Petra de Sutter, che proponeva di affidare al comitato dei ministri dell'organizzazione il compito di considerare la desiderabilità e fattibilità di elaborare delle linee guida per garantire i diritti dei bambini in relazione agli accordi di maternità surrogata. Per la maggioranza dei parlamentari italiani la proposta contenuta nella raccomandazione de Sutter era inaccettabile perché senza una condanna esplicita di tutte le forme di maternità surrogata qualsiasi regolamentazione della pratica, anche se tesa a difendere i diritti dei più vulnerabili, finirebbe per costituire un consenso al suo uso (75). Anche il Parlamento Europeo, con riso- avviato il processo biologico che porta al nuovo soggetto. di contro a tale idea in Italia il comitato di bioetica si è finora espresso negativamente sulla possibilità di ammettere in Italia l’utilizzo della procedura in esame, e prevede l’attribuzione dello status di filiazione in base alle norme presenti nel codice civile. In tal senso possiamo riprendere anche l’art. 34 seconda proposta Santosuosso, il quale esplicitamente sancisce che è vietato qualsiasi accordo con il quale una donna si impegni a fornire, sia pure gratuitamente, il suo ovocita per portare avanti la gravidanza fino al parto e cedere al nascituro ad altra coppia, ancorchè di questa faccia parte chi ha fornito il seme fecondante. In realtà recentemente si tende a risolvere la problematica relativa alla individuazione della madre del nato facendo sì che il padre riconosca per primo come figlio naturale, il figlio, che la madre uterina è libera di non riconoscere, chiedendone quindi l’inserimento nella famiglia legittima, con il consenso della madre genetica, la quale poi potrà chiedere l’adozione ex art. 44 comma 1 lett. B, l. 184/83. Spesso però la madre genetica potrebbe non ritenere soddisfacente formalizzare la propria posizione attraverso il ricorso all’adozione. In tali termini F. MACIoCE, fecondazione assistita e maternità sociale, in AA.VV., verso nuove forme di maternità?, Milano, 2002, pagg. 113 ss. (73) Il trauma del minore è dovuto alla situazione di incertezza giuridica che si viene a determinare dal momento che alla madre committente così come a quella gestazionale devono essere riconosciuti i fondamentali diritti legati alla maternità. (74) http://assembly.coe.int/nw/xml/Votes/dB-Votesresults- EN.asp?VoteId=36189&docId=16001&MemberId= con link alla raccomandazione. (75) In tal senso in Italia la situazione che si verrebbe a creare è ben conosciuta. Infatti, la legge 40 del 2004 vietava l’eterologa, ma disciplinava determinate conseguenze, negli articoli successivi, che si poteva produrre dal ricorso a tale pratica. Questo non ha portato poi ad altro che legittimare l’utilizzo dell’eterologa all’interno del nostro ordinamento e quindi far dichiarare dalla corte costituzionale la parziale illegittimità della norma che vietava l’eterologa. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà luzione 17 dicembre 2015 (76), Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'unione europea in materia, ha statuito “115. condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani’’. 6.5 illiceità del contratto di surrogazione ai sensi dell’art. 1322 c.c. e dell’art. 1343 (illiceità dalla causa). Anche a prescindere dalla sanzione penale di cui all’art. 12, comma 6, L. 40/2004 qualora in Italia fosse stipulato un accordo tra la coppia committente e la madre gestazionale per ricorrere alla surrogazione, tale tipo di contratto dovrà essere qualificato come atipico e quindi ricondotto alla disciplina di cui all’art. 1322 del c.c. I contratti che rientrano nella norma ora in esame sono riconosciuti dal nostro ordinamento solo e soltanto se volti alla realizzazione di interessi considerati come meritevoli di tutela. Tralasciando il fatto che il desiderio della coppia di avere un figlio può essere considerato come meritevole di tutela, il problema fondamentale si pone quando tale ambizione lede, come nel caso di specie, alcuni diritti del minore stesso, in primis quello ad avere una propria identità personale, a sapere quale siano i propri genitori e a vivere all’interno del proprio nucleo familiare d’origine. Proprio l’interesse del minore ritenuto predominante in tali situazioni deve spingerci a ritenere che la consegna del bambino, a seguito della stipulazione di un accordo di surrogazione, e l’arbitraria rinuncia al riconoscimento del rapporto di filiazione (che abbiamo detto essere impossibile in quanto si va ad incidere su un diritto indisponibile) non sarebbero comunque atti leciti all’interno del nostro ordinamento, sia in relazione al già citato art. 1322 c.c. sia in riferimento all’art. 1343, inerente la causa del contratto. 6.6 illiceità dell’oggetto del contratto e indisponibilità degli status personali. Ai sensi dell’art. 1346 c.c. l’oggetto del contratto deve essere possibile lecito determinato o determinabile. La mancanza di uno di questi requisiti rende nullo il contratto ex art. 1418, comma 2, c.c. Per quanto concerne l’argomento trattato il problema maggiore si pone in riferimento alla possibilità e la liceità dell’oggetto. Il Tribunale di Monza ha infatti stabilito che: “non possono formare oggetto di contratto e, comun- (76) http://www.europarl.europa.eu/sides/getdoc.do?pubref=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-20150470+ 0+doC+XML+V0//IT&language=IT rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 que, è vietato costituirli, modificarli o estinguerli negozialmente, gli status personali, quale quello di figlio o madre, i munera, quali la potestà dei genitori, e i diritti personali dei minori all’educazione e al mantenimento nella famiglia iure sanguinis”. Possiamo sicuramente affermare che, anche in questo caso, la valutazione negativa che si dà al contratto di surrogazione concluso tra le parti è ricollegabile al fatto che i genitori stessi non possono decidere di rinunciare al diritto di filiazione in quanto questo andrebbe a ledere gli interessi del soggetto più debole, ovvero del bambino e i suoi diritti fondamentali che gli sono sin dall’inizio riconosciuti. Gli status personali, quali quello di figlio o genitore, costituiscono un settore sottratto a qualsiasi operatività della libera negoziazione dei privati (77)(78). Per tale ragione è nullo l’accordo che si fondi sull’alienazione o disponibilità a titolo gratuito (e a maggior ragione anche a titolo oneroso) di un’attività personale ed intima quale quella gesta- tiva (79). 6.7 illiceità della pratica ai sensi dell’art. 5 c.c. Problemi di illiceità a tale pratica si pongono anche in riferimento all’art. 5 c.c., il quale si occupa degli atti di disposizione del proprio corpo. Nel caso in esame è indubbio che la gravidanza e il parto comportano un impiego corporeo globale per la donna che, nonostante i progressi della scienza medica, potrebbe causarle una diminuzione permanente dell’integrità fisica, come già in parte sopra evidenziato (80). Ciò trova ulteriore conferma nel combinato disposto dell’art. 5 c.c. con la legge 458/67 e quella 592/67, dalle quali emerge che la possibilità di disporre del proprio corpo in favore degli altri non è illimitata. Infatti, il sacrificio della propria integrità psicofisica non deve eccedere i limiti posti dal rispetto della dignità umana e non deve danneggiare in modo irreparabile la vita e la salute del disponente. A sostegno della contrarietà dell’accordo di surrogazione all’art. 5 del c.c. occorre richiamare il fatto che “il corpo non è considerato assolutamente oggetto, né solamente la manifestazione esterna dell’individuo, ma (è) una componente basilare della persona. l’art. 32 della costituzione tutela la sa (77) Si veda A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pag. 215 ss. (78) Se si ammettesse la disponibilità dello status filiationis potremmo dire che siamo in presenza di un’abdicazione del ruolo parentale della madre surrogata. Tale tesi è inaccettabile, dal momento che l’attribuzione della potestà genitoriale è da ricollegare alla procreazione, da intendersi non come fatto materialisticamente considerato, ma come fatto umano. In tali termini M. SESTA, la maternità surrogata tra deontologia regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, pag. 490. (79) In tali termini si espresso il Tribunale di Monza il quale ha sancito che “non possono essere dedotti in obbligazione una prestazione ricadente nel compimento dello sviluppo fetale del nascituro che non è un bene giuridico (…)”. (80) Si rinvia sopra al § 6.1. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà lute intesa come integrità psicofisica considerandola un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della collettività. tutto ciò comporta un’estensione del concetto di integrità fisica di cui all’art. 5 c.c., che oggimai deve necessariamente estendersi fino a comprendere l’intero campo coperto dalla tutela costituzionale sopra indicata; conseguentemente deve ritenersi vietato anche l’atto di disposizione che determina una diminuzione permanente anche solo della integrità psichica” (81). 6.8 Contratto di surrogazione e contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume. Per quanto concerne poi la conformità del contratto di maternità ai principi di ordine pubblico, si rileva una violazione delle disposizioni poste a tutela del minore, in quanto viene sostanzialmente negato al nascituro il diritto ad essere allevato nella propria famiglia c.d. naturale (82), nonché il diritto a conoscere la propria provenienza genetica e a vedersi attribuito uno status veridico (83). La scissione che viene compiuta tra le due figure materne in ambito surrogativo è, per molti (84), destinata a realizzare un grave pregiudizio per il minore che è allontanato dalla madre di parto. Inoltre, secondo altri, un ulteriore motivo di illiceità è ravvisabile nella capacità di tali pratiche di turbare la società civile, in quanto determinano uno sconvolgimento della nitidezza dei rapporti sociali, confondendo gli specifici ruoli assunti dai singoli componenti della comunità (85). delle questioni si sono poste in riferimento al fatto che non è stato agevole comprendere se per ordine pubblico si dovesse fare riferimento a quell’insieme di principi interni sui quali si fonda il nostro ordinamento, oppure si dovesse fare riferimento all’ordine pubblico internazionale, inteso come complesso di principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico e fondati su esigenze di tutela di diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti nazionali. In ogni caso a seconda dell’accezione (81) In tali termini M.T. CArBoNE, maternità, paternità e procreazione artificiale, in dir. fam., 1993, pag. 859. (82) Il diritto del bambino ad essere allevato nella propria famiglia d’origine, ma soprattutto dalla propria madre naturale è messo in evidenza anche dall’art. 1 della legge 183/84 relativa all’adozione, in quanto viene esaltato il ruolo che la famiglia di sangue ha nello sviluppo del minore. (83) ricordiamo che per ordine pubblico devono intendersi quell’insieme di principi ricavabili dal complesso di norme vigenti in un dato momento storico ... ... violi le disposizioni poste a tutela del minore, le quali impongono che il rapporto di filiazione si svolga in modo naturale, che al nascituro sia riconosciuto il diritto ad essere allevato nella propria famiglia, che ciascuno possa avere conoscenza della propria provenienza genetica. In tali termini d. CErICI, Procreazione artificiale, pratica della surroga e contratto di maternità, in dir. fam. e pers., 1987, pagg. 1017-1018. (84) In tal senso A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002 pagg. 239 ss. (85) In tal senso A.B. FArAoNI, la maternità surrogata. la natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Milano, 2002, pagg. 238 ss. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 sposata, sicuramente il contratto di surrogazione dovrebbe considerarsi come illecito dal momento che sacrifica oltremodo gli interessi del nascituro. Infine il contratto in esame contrasterebbe anche con il buon costume (86), in quanto, nell’attuale società, è contrario ai principi morali medi generalmente condivisi che una donna impieghi a favore di terzi una funzione così intima e personale quale quella della gestazione (87). Tale accordo, infatti, conduce all’oggettivazione delle funzioni riproduttive, permettendo un uso dell’utero della donna deviante, perché non utilizzato a favore della stessa. di contro a tale orientamento maggioritario, alcuni autori considerano lecito il contratto di maternità surrogata, in quanto determinerebbe la nascita di nuove vite umane. Inoltre, la realizzazione delle istanze procreative altrui mediante l’intervento di una madre gestazionale non sarebbe da considerarsi a priori contrario all’ordinamento vigente, se non altro finché sia salvaguardata l’integrità fisica della gestante (88). Nonostante le tesi di alcuni autori siano aperte all’ammissione di tale pratica all’interno del nostro ordinamento, in generale non si è ancora formato un consensus favorevole all’utilizzo di tale procedura. Qualora un domani questa pratica dovesse essere ammessa, per garantire una maggiore tutela del minore, bisognerebbe introdurre dei rimedi giuridici ad hoc che disciplinino in maniera dettagliata delle situazioni ad oggi controverse. Innanzitutto bisognerebbe capire e disciplinare quali siano le conseguenze riconnesse all’inadem- (86) Per buon costume devono intendersi i principi etici comunemente accettati, i quali non sono arbitrariamente enunciati dall’interprete, ma sono rinvenibili in documenti che sono idonei a rappresentare un minimo etico attuale condiviso, meritevoli di essere individuato e di essere fatto proprio dall’ordinamento, anche in una società pluralista come quella attuale. In questi termini M. SESTA, la maternità surrogata tra deontologia regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, pagg. 493 ss. (87) In tali termini M. doGLIoTTI. L’autore afferma la contrarietà di tale contratto al buon costume affermando che: “la coscienza sociale e morale non può permettere la commercializzazione di una funzione così elevata e delicata come la maternità: ciò comporterebbe una gravissima lesione della dignità della persona umana. e se non vi fosse la richiesta di corrispettivo? se una donna accettasse l’immissione dell’ovulo altrui, animata da ragioni di stretta solidarietà? Qui il contrasto con la morale non sarebbe così clamoroso, ma il contratto sarebbe parimenti nullo, almeno allo stato della nostra legislazione. non potrebbe la donna obbligarsi a riconsegnare il figlio, per il semplice fatto che sarebbe essa stessa la madre. il nato acquista la capacità giuridica al momento del distacco dall’alveo materno e a nulla rileva che vi sia stata immissione di un ovulo altrui. la donna che ha offerto il suo ovulo non avrebbe nessun diritto” negli stessi termini anche la sentenza del tribunale di Monza che affermò sostanzialmente che: • i doveri personali ed economici dei genitori di sangue sono infungibili • il diritto del minore di crescere nella famiglia formata da questi ultimi e di avere una famiglia sostitutiva solo nel caso di incapacità o inadeguatezza di questa, nonché il diritto di qualunque figlio ad avere un unico e comune status filiationis. (88) Non sussisterebbe inoltre il paventato contrasto con l’art. 5 del c.c. in quanto la gestazione per conto di terzo consiste in un atto di disposizione del proprio corpo non contrario all’ordine pubblico e al buon costume, ma anzi da esaltare in quanto garantisce soddisfazione di interessi e desideri che trascendono la propria sfera individuale (in tali termini r. LANzILLo, fecondazione artificiale, la locazione di utero, diritto dell’embrione, in Corr. giur., 1984, pag. 638). LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà pimento del contratto da parte della madre surrogata o da parte dei committenti (il problema si pone soprattutto in riferimento al fatto che se il bambino è successivamente rifiutato da parte di chi l’ha “commissionato”) (89). Considerata la legislazione attuale e considerati in primis i valori costituzionali sui quali il nostro sistema si fonda, non possiamo ammettere la validità giuridica di tali contratti di surrogazione in vista dell’interesse predominante del minore e del diritto ad avere una propria e unica identità personale. 7. turismo procreativo e il problema della contrarietà all’ordine pubblico in- ternazionle dei contratti di surrogacy. dopo aver dimostrato che il contratto di surrogacy in Italia sarebbe invalido e illecito indipendentemente dal dettato normativo di cui all’art. 12 comma 4 della legge del 2004, è utile ora soffermarsi sul tema inerente all’ordine pubblico internazionale. Prima di affrontare tale argomento ritengo sia utile andare a spiegare le ragioni per cui si pongono tali problematiche all’interno del nostro ordinamento. Infatti, essendo proibita nel nostro Stato la maternità surrogata, i soggetti che vogliano ricorrere a tale pratica sono costretti a recarsi all’estero, in particolare verso quegli Stati in cui tale modalità di procreazione è ammessa dal punto di vista giuridico. Tale tipo di fenomeno, che chiameremo “turismo procreativo” o anche “cross-border phenomenon” (90), ha come obiettivo quello di superare i divieti di legge imposti da un ordinamento, cercando all’estero la possibilità di realizzare il proprio interesse alla genitorialità. In sostanza la coppia committente ottiene il riconoscimento del legame di filiazione con il figlio nato all’estero mediante surrogazione di maternità attraverso un procedimento di exequatur del provvedimento emanato nello Stato straniero o con semplice trascrizione dell’atto di nascita ivi redatto. In Italia si è posta la questione sul riconoscimento nel nostro ordinamento di tutti coloro che sono nati all’estero attraverso tale pratica (91). (89) Infatti se il bambino commissionato viene abbandonato perché portatore di handicap si pone il delicato problema di stabilire le conseguenze giuridiche derivanti da un siffatto comportamento. Per Baldini considerato che sono stati i soggetti committenti ad aver determinato con la propria decisione, l’avvio del processo procreativo, agli stessi dovrebbe essere imposto almeno l’obbligo di mantenere il nato, prima così fortemente voluto e poi rifiutato. Per Baldini, quindi, indipendentemente dalla validità o meno del contratto di surrogazione sarebbe conforme all’interesse del nato essere considerato figlio legittimo della donna e dell’uomo che così fortemente l’hanno desiderato, rispetto alla donna semplice gestante per conto altrui. In tali termini G. BALdINI volontà e procreazione: ricognizione delle principali questioni in tema di surrogazione di maternità, in dir. fam. e Pers., 1998, pag. 756. (90) In tali termini si veda A. QUErCI, la maternità per sostituzione tra diritto interno e Carte costituzionali, in fam. e dir., 2015, pagg. 1142 ss. Il turismo procreativo, insito nel fatto che non tutti gli stati regolamentano allo stesso modo l’accesso a tale forme di procreazione artificiale, pone poi dei problemi nell’ambito del diritto internazionale pubblico e privato e sulla possibilità che possano aversi dei conflitti di legge. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 Il problema del valore da conferire alla trascrizione dell’atto di nascita ha notevole rilevanza, non tanto per quanto concerne i profili penalistici (che esamineremo di seguito), quanto per capire se il limite dell’ordine pubblico (che gli artt. 16 e 65 della l. 218/1995 pongono al recepimento della legge straniera nonché degli atti e dei provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità) osti o meno al riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione instauratosi all’estero tra i membri della coppia “committente” e il nato a seguito di surrogazione di maternità. Partendo dai dati normativi presenti all’interno del nostro ordinamento, dobbiamo specificare subito che l’art. 18 del d.P.r. 396/2000 prevede l’impossibilità di andare a trascrivere gli atti contrari all’ordine pubblico. Ciascun ordinamento può autonomamente stabilire quali sono i criteri che possono portare alla nascita di un rapporto di genitorialità. Questo fa sì che un certificato di nascita può risultare vero in uno Stato ma falso in un altro (essendo tali criteri completamente diversi), venendosi così a creare delle incertezze giuridiche cui lo stesso Stato Italiano ha dovuto spesso rispondere di fronte agli organi giurisdizionali europei. La Corte di Cassazione, proprio in virtù dell’articolo sopracitato, nella sentenza n. 24001/2014 ha negato la trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita formato in Ucraina, che attribuiva la genitorialità di un bambino nato da maternità surrogata ad una coppia sprovvista di legami biologici con il minore. In particolare, la Suprema Corte ha reputato legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, essendo questo “privo di assistenza materiale e morale da parte dei genitori”, identificati con la madre surrogata e con il donatore di gameti maschili (a propria volta privi della qualità di genitori secondo la legge ucraina, oltre che non identificabili). Alla base della decisione vi è la qualificazione dell’atto di nascita come contrario all’ordine pubblico internazionale desunta da tre ordini di ragioni. In primo luogo, “va osservato che l’ordinamento italiano - per il quale madre è colei che partorisce (art. 269 c.c., comma 3) - contiene, alla l. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un’altra donna … il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, di regola posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali”. (91) Il riconoscimento in Italia dei bambini nati all’estero come figli della coppia committente, a parere di chi scrive, equivarebbe a eludere un divieto imposto dalla legge e quindi sostanzialmente garantire la possibilità di ricorrere alla surrogazione anche all’interno del nostro ordinamento, baipassando la normativa contenuta nella legge 40 del 2004. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà Inoltre, la maternità surrogata si porrebbe in conflitto con “la dignità umana (92) - costituzionalmente tutelata - della gestante e con l’istituto del- l’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di geni- torialità priva di legami biologici con il nato. … neppure può sostenersi che il divieto in discussione si pone in contrasto con la tutela del superiore interesse del minore, da considerare preminente ‘in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi’ ai sensi dell’art. 3 della Convenzione di new York richiamata nel ricorso. il legislatore italiano, invero, ha considerato, non irragionevolmente, che tale interesse si realizzi proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando, come detto, all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico. e si tratta di una valutazione operata a monte dalla legge, la quale non attribuisce al giudice, su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto”. I ricorrenti in cassazione sostenevano che la contrarietà all’ordine pubblico del certificato di nascita ucraino non potesse essere ricavata sic et simpliciter dal divieto di maternità surrogata di cui all’art. 12, comma 6 della legge 40/2004, trattandosi di norma imperativa che non esprimerebbe un principio di ordine pubblico (nella specie verrebbe in rilievo il c.d. “ordine pub (92) Anzitutto, essa implica la disposizione del corpo della donna, che ripugna assai più della disposizione di parti staccabili del corpo, quali sono considerabili i gameti, oggetto di "dono" o "donazione" nell'ambito della fecondazione eterologa. Associandosi ad un accordo che precede la gravidanza, la surrogazione implica non un mero atto di disposizione del proprio corpo, bensì l'obbligazione di disporre del proprio corpo e cioè di restare incinta e cedere il neonato a terzi. Una tale obbligazione strumentalizza il corpo femminile, perché degrada la donna ad esclusivo mezzo di soddisfacimento dei fini altrui. Il problema non è quindi quello dell'onerosità della pratica. Quand'anche sia gratuita, la surrogazione fa della donna un mezzo per realizzare il progetto di genitorialità di altri. Se poi è onerosa, a ciò si unisce la commercializzazione del corpo umano, che è vietata all'art. 21 della Convenzione di oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina ed all'art. 3, comma 2, lett. c) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. d'altra parte, se la surrogazione venisse ammessa, bisognerebbe coerentemente garantire per legge la coercibilità dell'obbligo di "consegnare" il neonato dopo il parto alla donna committente, strappandolo così a colei che l'ha partorito e che frattanto potrebbe aver cambiato idea e desiderare di tenerlo come proprio figlio: ma questa coercibilità appare talmente ripugnante, da suggerire a ritroso di non ammettere la surrogazione stessa. Non è a dire, quindi, che nell'identificazione della maternità la gestazione sia più importante dei geni: è che la surrogazione di maternità destabilizza il sistema, violandone principi fondamentali, assai più della donazione di ovociti e deve pertanto, in quanto socialmente più allarmante, essere rigorosamente vietata. È logico, allora, che il relativo divieto sia di ordine pubblico, perché enunciato da una norma imperativa posta a presidio di quei stessi principi irrinunciabili che altrimenti la pratica offenderebbe. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 blico internazionale”, nel quale non rientrerebbe il divieto di maternità surrogata, posto che il divieto disposto dalla legge italiana non è condiviso da altri ordinamenti di civiltà giuridica pari alla nostra). La Corte di cassazione, nel ritenere infondato questo motivo di ricorso, sancisce che: “È certamente esatto che l’ordine pubblico non si identifica con le semplici norme imperative, bensì con i principi fondamentali che caratterizzano l’ordinamento giuridico”; è invece inesatto che tali principi si identifichino, come sostengono i ricorrenti, con “i valori condivisi della comunità internazionale che il prudente apprezzamento del giudice non può trascurare, armonizzandoli con il sistema interno. l’ordine pubblico internazionale, infatti, è il limite che l’ordinamento nazionale pone all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri, a protezione della sua coerenza interna; dunque non può ridursi ai soli valori condivisi dalla comunità internazionale, ma comprende anche principi e valori esclusivamente propri, purché fondamentali e (perciò) irrinunciabili. È peraltro evidente che, nella individuazione di tali principi, l’ordinamento nazionale va considerato nella sua completezza, ossia includendovi principi, regole ed obblighi di origine internazionale o sovranazionale” (93). La Cassazione muove da una prospettiva “in astratto” della valutazione dell’interesse del minore, giungendo ad affermare che il giudice, su tale punto, stante la scelta effettuata a monte dal legislatore, non avrebbe alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto. di contro all’impostazione adesso esposta, la Corte d’Appello di Bari ha ritenuto che i contratti di surrogazione, stipulati all’estero da coniugi italiani, non sarebbero contrari all’ordine pubblico internazionale. Tale assunto era basato su due motivi fondamentali: da una parte la liceità di ricorrere a tale pratica prevista in determinati Stati e, dall’altra, il fatto che il principio cardine da seguire rimane sempre quello del best interest of child, da interpretare in modo tale che il contratto di surrogazione concluso all’estero possa, attraverso la successiva trascrizione, essere suscettibile di produrre degli effetti giuridici anche in Italia (94). (93) Negli stessi termini Cassazione 14878/17 che da una definizione di ordine pubblico internazionale ritenendo che questo consista “nell’insieme dei principi fondamentali caratterizzanti l’atteggiamento etico giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico: dunque in oggi il complesso di principi a carattere generale, intesi alla tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, spesso sanciti da dichiarazioni o convenzioni internazionali. il giudice italiano deve dunque esaminare la contrarietà all’ordine pubblico internazionale dell’atto estero, con riferimento ai principi della nostra Costituzione, ma pure, tra l’altro, alla dichiarazione onu dei diritti dell’uomo, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ai trattati fondativi e alla Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea e, con particolare riferimento alla posizione del minore e al suo interesse, alla dichiarazione onu dei diritti del fanciullo, alla convenzione onu dei diritti del fanciullo e alla Convenzione europea di stra- sburgo sui diritti processuali del minore”. (94) In questo senso quindi la Corte d’Appello ritiene che il principio del best interest of child deve essere interpretato dal giudice “in concreto”, tenendo conto degli effetti pregiudizievoli che nella situazione particolare il mancato riconoscimento del provvedimento straniero su cui si fonda la relazione LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà In realtà non possono condividersi le conclusioni della Corte d’Appello di Bari secondo cui “…la maternità surrogata è ammessa da alcuni stati dell’unione europea, sicché non è contraria all’ordine pubblico internazionale, essendo evidente che questa non collide con le esigenze di garanzia di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo…”. In sostanza, quindi, va apprezzata la decisione della Cassazione che ha ammesso che il richiamo all'ordine pubblico non possa esaurirsi con il mero rispetto di norme imperative, ma che ricomprende anche principi fondamentali dell’ordinamento interno, anche se questi non coincidono con i valori condivisi dalla comunità internazionale. Non si può sostenere che il divieto di maternità surrogata sia in contrasto con la tutela dell'interesse superiore del minore, in quanto, per il legislatore italiano, tale interesse si realizzerebbe effettivamente solo attraverso l'istituto dell'adozione, grazie al quale "l'attuazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico" si viene ad avere a seguito di una valutazione non affidata alla mera discrezionalità del giudice, ma accompagnata anche da garanzie proprie del procedimento giurisdizionale. L'interesse superiore del minore verrebbe garantito proprio mediante l'apertura di una procedura di adozione, unico mezzo previsto per individuare i soggetti maggiormente idonei ad assicurare un ottimale ambiente familiare ad un minore che ne è sprovvisto. Aggirare il percorso dell'adozione, violando la normativa in materia, equivarrebbe a porre in pericolo tale interesse primario così come si ritiene sia accaduto con la sentenza della Cassazione n. 19599 del 2016, con la quale la Corte Suprema ha ammesso la possibilità di andare a trascrivere un atto di nascita formato all’estero, a seguito di una procedura di roPA spagnola, in cui il bambino risulta ab origine avere due madri (95). Ancora una volta, quindi, prima ancora di soffermarci su questioni di diritto penale interno, quali potrebbero essere i divieti previsti dalla nostra legge (art. 12 legge 40/2004), dovremmo soffermarci sulle questioni sostanziali e parentale avrebbe avuto sul minore. In tali termini B. SALoNE, Contrarietà all’ordine pubblico della maternità surrogata e dichiarazione di adottabilità del minore, in dir. civ. cont., 7 dicembre 2014. (95) Proprio con tale sentenza voglio mettere in evidenza la confusione ad oggi esistente a livello giurisprudenziale in merito alla liceità o meno del ricorrere a tali tecniche di riproduzione artificiale. A mio avviso comunque con l’ultima sentenza menzionata (Cass. 19599/16) in realtà non si fa altro che legittimare la disposizione arbitraria dello status filiationis di chi in utero est, ledendo quindi i diritti riconosciuti al nascituro non solo da leggi interne al nostro ordinamento, ma anche da Convenzioni di carattere internazionale. Nel caso di specie, a mio avviso i giudici sono incorsi nell’errore di ritenere che per ordine pubblico internazionale debba farsi rilievo solo a valori condivisi dalla comunità giuridica sovranazionale. Gli errori in realtà sono 2: da una parte, come messo in evidenza precedentemente, non tutti gli stati riconoscono la liceità di tale pratica (quindi non può ravvisarsi nel caso di specie un valore condiviso pienamente all’interno della comunità giuridica sovranazionale), inoltre, non si tiene conto della definizione di ordine pubblico internazionale resa dalla sentenza 14878/17, richiamata nella nota precedente. Ci si augura una rimeditazione della questione inerente alla roPA che in realtà, come sopra accennato, prevede una cessione di uno status indisponibile dalla gestante a colei che ha donato l’ovulo. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 quindi sul fatto che qualora tale pratica venisse ammessa si lederebbe il diritto inviolabile del nascituro ad avere uno status giuridico veritiero e non alterato. Proprio la predominanza dell’interesse del fanciullo rispetto a quello degli altri soggetti coinvolti nelle diverse vicende, spinge a concordare con l’orientamento sposato dai giudici di legittimità nel 2014 in base al quale la trascrizione di un atto di nascita straniero a seguito del ricorso della coppia alla pratica della maternità surrogata è contrario all’ordine pubblico internazionale (96). Tanto si deduce anche dalle recenti affermazioni di Corte Costituzionale n. 272/2017 (vedi supra) sull’elevato disvalore giuridico della pratica i cui effetti nell’interesse del minore sarebbero solo eccezionalmente sanabili. 8. Profili penalistici e il reato di alterazione di stato. Per quel che concerne il nostro Paese, gli accordi di surrogazione e le successive richieste di trascrizione degli atti di nascita hanno dato origine a procedimenti penali portando, contraddittoriamente, in alcuni casi alla condanna per alterazione di stato (e alla conseguente cancellazione del nome della madre committente dall’atto di nascita) ed, in altri, alla opposta decisione di procedere all’annotazione nei registri dello Stato civile di parental order che ordinavano di sostituire, nell’atto di nascita, il nome della committente italiana a quello della partoriente. Le risposte della giurisprudenza sono state quindi negli ultimi dieci anni a dir poco confuse e contraddittorie per quanto concerne le fattispecie contestate. Il caso in questione è esattamente quello che si è posto nella sentenza della Grande Camera richiamata in premessa. Nel caso di specie, infatti, i coniugi italiani Paradiso e Campanelli si recavano in una clinica in Ucraina proprio per ricorrere alla surrogazione. Il problema sorse quando in Italia non si riconobbe la potestà genitoriale dei coniugi molisani, ai quali furono imputati sia la violazione della legge 40 del 2004 art. 12, sia la violazione dell’art. 495 c.p. sia quella dell’art. 567 (alterazione di stato) c.p. In particolare l’art. 567 c.p. punisce “chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità”. Tale fattispecie fa esclusivo riferimento alla formazione dell’atto di nascita e non anche alla trascrizione dell’atto di nascita all’interno dei pubblici registri (97). Il problema che si pone, quindi, è quello di capire se l’attività di trascrizione possa essere ricompresa in quella di formazione e quindi se può o meno configurarsi tale fattispecie di reato. Vi sono degli autori che ritengono che, non avendo la trascrizione del (96) In particolare tale pratica non potrebbe essere ammessa per l’operare del principio del neminem laedere, principio di struttura di ogni ordinamento. Tale principio sarebbe infatti leso ogni qualvolta la madre gestazionale e i committenti dispongano di un diritto (futuro e incerto) spettante ad altri. (97) C. TrANQUILLo, Contributo allo studio del reato di alterazione di stato tramite surrogazione di maternità, in diritto Penale Contemporaneo, 2015, 17 novembre 2015, p. 21. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà l’atto efficacia costitutiva, ma solo dichiarativa, il reato non sussiste, essendosi l’atto formato secondo le norme previste all’interno dello Stato straniero e senza che vi sia stata alcuna falsità (98). Vi sono comunque delle incertezze in giurisprudenza, infatti, alcuni sposano un orientamento diverso, ravvisando come la trascrizione abbia efficacia costitutiva, dal momento che è con la stessa che in Italia si viene a determinare il riconoscimento dell’esistenza di uno status filiationis tra il nato e la coppia (99). In merito a tale problematica si è però mostrato come l’impossibilità di trascrivere l’atto di nascita per contrarietà all’ordine pubblico non possa di per sé essere una condizione sufficiente per integrare la fattispecie di reato di cui all’art. 567 c.p., dal momento che quell’atto risulta valido all’interno del Paese in cui tale pratica si è svolta (principio della lex loci). Per la configurazione del reato si ritiene che basti la sussistenza del dolo generico, la cui esistenza dovrebbe, per la Corte di Cassazione, essere esclusa nel caso in cui i minori, nell’atto di nascita effettuato all’estero, risultavano essere figli della coppia committente, la quale in buona fede, una volta rientrata in Italia, chiedeva la trascrizione di tale atto (100). La giurisprudenza osserva come, ai fini della configurabilità del delitto (98) M. WINKLEr, una nuova pronuncia su surrogazione di maternità all’estero e falsa dichiarazione in atti dello stato civile in una sentenza del tribunale di milano, Trib. Milano 8 aprile 2014 G.U.P. Mastrangelo, in diritto Penale Contemporaneo, 27 aprile 2014, p. 2. Così la pensa T. TrINCHErA, Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all’estero: tra alterazione di stato e false dichiarazioni al pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 437. (99) Cassazione Penale, sez. VI, 26 febbraio 2016 n. 8060. In dottrina invece si veda C. TrAN- QUILLo, Contributo allo studio del reato di alterazione di stato tramite surrogazione di maternità, in diritto Penale Contemporaneo, 2015, 17 novembre 2015, p. 22. (100) In questi termini si veda Cassazione Penale, sez. VI, 17 novembre 2016 n. 48696. La coppia, benché fosse a conoscenza del divieto di surrogazione di maternità previsto in Italia, si è recata in Ucraina ove tale pratica è pienamente lecita ed ha agito nella consapevolezza che i certificati di nascita rilasciati dalle autorità competenti fossero del tutto regolari. Secondo la legge del luogo, infatti, la maternità surrogata è consentita laddove il 50% del patrimonio genetico del nato provenga da uno dei genitori committenti, di conseguenza il certificato rilasciato alle suddette condizioni si deve ritenere perfettamente lecito. La Corte di Cassazione, con la pronuncia che qui si commenta, ha stabilito che il reato deve ritenersi escluso nell'ipotesi di dichiarazioni di nascita effettuate ai sensi del d. P. r. 396 del 2000, art. 15, in ordine a cittadini italiani nati all'estero e rese all'autorità consolare sulla base di certificato redatto dalle autorità ucraine che indichi i dichiaranti come genitori, in conformità alle norme stabilite dalla legge del luogo. Per giungere a tale conclusione, i giudici di legittimità partono dalla lettera dell'articolo 567 comma 2 del codice penale che punisce chiunque, nella formazione di un atto di nascita, alteri lo stato civile di un neonato con false dichiarazioni, false attestazioni o false certificazioni. Il bene giuridico tutelato dalla norma viene individuato nell'interesse del minore alla verità dell'attestazione ufficiale della propria discendenza. Posto che i certificati di nascita consegnati dagli imputati alle autorità consolari, per ottenere la trascrizione nel registro dello stato civile, ai sensi degli artt. 15 e 17 del d.P.r. n. 396 del 2000, sono stati validamente formati secondo la lex loci del Paese di nascita dei minori, essi non costituiscono false attestazioni o certificazioni, come richiesto dall'art. 567 comma 2 del codice penale, né possono ritenersi ideologicamente falsi. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 di cui all’art. 567, comma 2, c.p., sia necessaria un’attività materiale di alterazione di stato che costituisca un quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione e si caratterizzi per l’idoneità a creare una falsa attestazione, attribuendo al figlio una diversa discendenza attraverso l’indicazione di un genitore diverso da quello naturale (101). Come già anticipato non vi è omogeneità di vedute da parte della giurisprudenza in riferimento al fatto che si perfezioni o meno tale reato nei confronti della coppia committente. A dimostrazione di ciò possiamo fornire alcuni esempi pratici che sono stati oggetto d’esame da parte dei giudici italiani. Il primo dei casi cui facciamo riferimento è quello deciso dal Tribunale di Milano (102). Nel caso di specie una coppia di coniugi italiani, a causa del- l’impossibilità della donna di portare a termine la gravidanza, si rivolgeva in una clinica privata in Ucraina. A seguito della nascita del bambino, avente per metà il patrimonio genetico del padre della coppia committente, l’ufficiale di stato civile di Kiev forma l’atto di nascita indicando quali genitore del neonato i coniugi italiani. rientrati in patria, la Procura della repubblica di Milano, una volta effettuate le indagini preliminari, chiede il rinvio a giudizio dei coniugi, imputando loro la fattispecie di cui all’art. 567 del c.p. (103). La quinta sezione del Tribunale di Milano ha assolto i soggetti, sostenendo che l’atto di nascita era stato formato nel rispetto della legge del luogo ove il bambino è nato, quindi l’attività svolta era conforme alla lex loci (104). In sostanza per il Tribunale solo “la falsità espressa al momento della prima obbligatoria dichiarazione di nascita è in grado di determinare la perdita del vero stato civile del neonato, mentre le dichiarazioni mendaci rese in epoca successiva possono eventualmente integrare il meno grave reato di falsa attestazione o dichiarazione su qualità personali ex art. 495 co. 2 n. 1 c.p.” (105). La sentenza finisce (101) In questi termini si veda Cassazione Penale, sez. V, 5 aprile 2016 n. 13525, in giurisprudenza Penale Web, 6 maggio 2016. In tali termini nella sentenza ora citata si fa riferimento al fatto che ai fini del perfezionamento della fattispecie di reato di cui all’art. 567 c.p. è necessario che “la condotta comporti un’alterazione destinata a riflettersi sulla formazione dell’atto di nascita”, mentre il reato non si configura quando l’atto di nascita si è già formato (Cassazione Penale, sez. VI, 17 settembre 2014 n. 47136). In tal senso anche Cassazione Penale, sez. VI, 5 maggio 2008 n. 35806. Infatti, il reato non si andrebbe a configurare tutte le volte che i genitori committenti dichiarino alle autorità di aver fatto ricorso a tale pratica, difettando la condotta falsificatrice e quindi mancando i requisiti per l’avvio di un’azione penale nei confronti dei coniugi. In tali termini C. TrANQUILLo, Contributo allo studio del reato di alterazione di stato tramite surrogazione di maternità, in diritto Penale Contemporaneo, 2015, 17 novembre 2015, p. 13. (102) Trib. Milano, Sez. V pen., 15 ottobre 2013. (103) Questo perché nella formazione dell’atto di nascita si è attribuito al neonato uno stato civile diverso da quello che gli spetterebbe secondo la legge italiana. Infatti, il figlio risulta figlio della donna che non ha partorito andando quindi a contraddire l’art. 269 del c.c. (104) Questo perché nella formazione dell’atto di nascita si è attribuito al neonato uno stato civile diverso da quello che gli spetterebbe secondo la legge italiana. Infatti, il figlio risulta figlio della donna che non ha partorito andando quindi a contraddire l’art. 269 del c.c. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà quindi per negare che la trascrizione dell’atto di nascita da parte dell’ufficiale di stato civile italiano sia contrario all’ordine pubblico sia interno che internazionale, dato che il ricorso alla tecnica della surrogazione di maternità è lecito in molti Paesi europei ed il diritto di concepire mediante ricorso alle tecniche di procreazione assistita rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 CEdU. opposta, invece, è la conclusione adottata dal Tribunale di Brescia. Anche in questo caso la coppia ha fatto ricorso alla surrogazione di maternità, accertata a seguito di una perizia disposta in sede giudiziale, dalla quale è emerso che i gemelli nati erano figli naturali del marito della coppia, ma non presentavano nessun legame biologico con la moglie. Anche in questo caso è stata esercitata l’azione penale nei loro confronti, ritenendo che si fosse configurato il reato di cui all’art. 567 del c.p. Il Tribunale di Brescia ha, però, ritenuto che si sia avuta la violazione di tale articolo del codice penale a causa delle mendaci attestazioni fornite all’ufficiale di Stato Civile da parte dei genitori (106). Una situazione simile a quella ora richiamata si è presentata di fronte al Tribunale di Varese. Anche in questa circostanza, al pari della decisione assunta dai giudici di Milano, il Tribunale ritiene che: “non essendovi elementi sulla base dei quali poter affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'atto di nascita non sia conforme alle legge ucraina, ad avviso del tribunale, si deve necessariamente concludere che il documento sia stato formato nel rispetto della legge del luogo dove il bambino è nato e all'esito di una procreazione medicalmente assistita validamente praticata all'estero”. Tuttavia, anche in questo caso le mendaci informazioni fornite dai coniugi alle autorità italiane, hanno fatto sì che si andasse ad integrare la fattispecie di reato di cui all’art. 495 c.p., cioè la falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale su qualità personali (107). Ciò nonostante si procedette all’assoluzione degli im- (105) Secondo quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di ordinamento dello stato civile (d.P.r. 3 novembre del 2000 n. 396), le dichiarazioni di nascita effettuate dai cittadini italiani all’estero “devono farsi secondo le norme stabilite dalla legge del luogo delle autorità locali competenti, se ciò è imposto dalla legge stessa” (art. 15). (106) Infatti la coppia committente aveva mentito in merito alla nascita dei bambini, dichiarando che questi fossero nati in modo naturale quindi senza ricorrere a tecniche di procreazione artificiale. Ciò posto, quindi, commette il reato di alterazione di stato di cui all'art. 567 co. 2 c.p. chi denuncia come proprio il figlio nato da fecondazione eterologa, perché in tal modo il neonato non consegue uno stato di famiglia conforme al reale rapporto di procreazione. In questo caso quindi solo apparentemente vi è una difformità tra quella che è la decisione assunta dai giudici di Milano e quella del Tribunale di Brescia. Si realizza il delitto di alterazione di stato anche quando la falsità riguarda la procreazione, come nel caso di maternità surrogata (o utero in affitto), perché il neonato risulta figlio di una donna che non lo ha realmente partorito. In tali termini si veda T. TrINCHErA. “ancora in tema di alterazione di stato e procreazione medicalmente assistita all’estero: una sentenza di condanna del tribunale di brescia” in Rivista diritto Penale Contemporaneo. (107) Anche in questo caso infatti la coppia aveva mentito alle autorità italiane fingendo una gravidanza e un parto naturali. I coniugi hanno però dichiarato il falso in un momento successivo alla for rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 putati dal momento che “secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, è divenuto sostanzialmente ininfluente il metodo di concepimento della prole quale presupposto per il riconoscimento della maternità e paternità” (108) e dal momento che le dichiarazioni mendaci che incidono sullo stato civile di una persona, rese in un momento successivo rispetto alla prima e obbligatoria dichiarazione di nascita, non integrano il delitto di alterazione di stato (109). Per quanto concerne il luogo di consumazione del reato, il giudice ha ritenuto che l’azione non si possa considerare conclusa in territorio straniero, dovendosi dare un’interpretazione più ampia del principio sancito all’interno dell’art. 6 c.p. (110). Lo stesso Tribunale nella sentenza esplicita che perché il reato si consideri commesso in Italia “ non è necessario che la parte ivi compiuta raggiunga livelli di rilevanza penale autonoma, essendo sufficiente che una qualsiasi frazione della condotta si sviluppi sul territorio potendo persino consistere in attività rilevante … per la maturazione dell’accordo volto al perfezionamento di un fatto di reato poi commesso all’estero” (111). Nel caso di specie gli imputati hanno maturato l’accordo di compiere il reato in Italia, realizzando successivamente tale condotta illecita in Ucraina. La conclusione cui giunge il Tribunale di Varese è la seguente: “le dichiarazioni rese dagli imputati non hanno comportato alcun nocumento per l’interesse tutelato posto a presidio della veridicità dell’attestazione, dal momento che nel vigente sistema è divenuto sostanzialmente ininfluente il metodo di concepimento della prole quale presupposto per il riconoscimento della maternità o paternità… inoltre mazione dell’atto di nascita e prodromico all’assegnazione dello status di genitore in conformità all’ordinamento italiano. In tali termini T. TrINCHErA Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all’estero: tra alterazione di stato e false dichiarazioni a pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pag. 428. Lo stesso tribunale di Varese ritiene però che ci siano stati tutti gli elementi costitutivi perché si configurasse il reato di cui all’art. 495 c.p., con l’applicazione dell’aggravante di cui al 2 comma, n. 1, in quanto il fatto è stato commesso in atti dello stato civile. (108) Quinta sezione Corte Europea dei diritti dell’Uomo, sentenze del 26 giugno 2014 (ricc. 65192/11 e 65941/11). Il richiamo alle sentenze è effettuato sempre dalla decisione assunta dal tribunale di Varese. Nelle sentenze mennesson vs francia e labassee vs francia la Corte Europea ha affermato che costituisce violazione dell’art. 8 Cedu il rifiuto opposto da uno stato di riconoscere valore legale tra padre e figli biologici nati a seguito della pratica di surrogazione. Tale assunto si fonda non tanto sul fatto che sia stata lesa o turbata la vita familiare dei coniugi che hanno presentato il ricorso, quanto sul fatto che gli effetti del mancato riconoscimento del rapporto di filiazione non sono confinati solo alla sfera giuridica dei genitori, ma si estendono anche a quella dei minori stessi, i quali si trovano inevitabilmente in una situazione di incertezza giuridica (incertezza legata al fatto che risultano essere, in Ucraina, figli della coppia committente, mentre in Francia no). In tali termini T. TrINCHErA, Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all’estero: tra alterazione di stato e false dichiarazioni a pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pagg. 426 ss. (109) Cass. sez. III, 12 giugno 2013 n. 19405. Tale sentenza è stata esplicitamente richiamata anche dal Tribunale di Milano. (110) L’art. 6 c.p. sancisce che la legge italiana deve essere applicata tutte le volte che in tutto o in parte l’azione o omissione si siano realizzate nel nostro territorio. (111) Trib. Varese 8 ottobre 2014 pag. 9. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà il legislatore non ha previsto, né imposto che le parti interessate si esprimano in merito alle tecniche cui hanno fatto ricorso per la fecondazione”. In altre parole la condotta consistita nel rendere false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale sullo stato civile del minore, in assenza di una normativa che consenta di conservare le informazioni relative all’identità dei donatori dei gameti o della donna che ha fornito il proprio utero per la gestazione, è destinata a perdere di significato sino a diventare penalmente irrilevante, perché il fatto trasmuta da falso punibile a falso innocuo (112). Per quanto concerne l’orientamento dei giudici di legittimità invece, con la sentenza n. 8060/2016 Corte di Cassazione ha attestato, senza mezzi termini, che “la condotta di alterazione di stato presuppone la registrazione anagrafica in italia, risultando collegata indefettibilmente a questo momento la nascita dell’insieme di situazioni giuridiche che l’ordinamento riconosce allo stato di filiazione”. dal che è stato fatto conseguire che “la formazione dell’atto di nascita in esito a condotte viziate da falsità ideologica che non esondano i confini dello stato nel quale si sono formate non rilevano ai fini della ritenuta consumazione del reato di cui all’art. 567 c.p., comma 2 … al più le stesse possono rilevare quali condotte funzionali a riscontrare in forma tentata il reato in questione laddove la mancata trascrizione in italia sia conseguenza di scelte estranee alla volontà del dichiarante (ad esempio perché l’ufficiale dello stato civile non provveda a trascrivere perché l’atto è contrario all’ordine pubblico)”. Pertanto, la Suprema Corte ritiene integrato l’art. 567, co. 2 c.p. ogniqualvolta, all’esito di dichiarazioni mendaci da parte dei c.d. committenti, risulti trascritto un atto di nascita volto ad attribuire la genitorialità di un neonato a persone prive di legami genetici con esso, a prescindere dal- l’esistenza di un atto di nascita estero che si esprima in tal senso. Infondato risulta essere per i giudici di legittimità l'orientamento sposato dai diversi tribunali, secondo il quale, poiché l'evento alterativo dello stato deve prodursi al momento della formazione dell'atto, il reato non sussiste perché l'atto di nascita si è formato validamente all'estero secondo la lex loci (113). di contro la Cassazione ritiene che l'alterazione dello stato sussiste tutte le volte in cui al nato è attribuito un titolo dello stato che gli attribuisce una genitorialità difforme da quella che gli spetta secondo la procreazione (114). di conseguenza, (112) T. TrINCHErA, Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all’estero: tra alterazione di stato e false dichiarazioni a pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, pagg. 430. Lo stesso autore ritiene inoltre che la soluzione prospettata nella sentenza del Tribunale di Varese non è neppure contraria all’art. 12 della legge 40 del 2004, dal momento che tale legge ha un ambito di applicazione circoscritto alle sole condotte commesse in Italia. Manca quindi nel nostro ordinamento una disciplina specifica che regoli il caso di chi si reca all’estero per utilizzare tale tipo di procedura. (113) Trib. Milano, 15 gennaio 2014, in foro it., 2014, II, c. 371. (114) L'atto formato all'estero secondo la lex loci è quindi atto valido alla stregua di quel diritto, ma falso per il diritto italiano, perché non corrisponde alla realtà della procreazione né a fattispecie co rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 poiché fino a quando l'atto di nascita formato all'estero non è stato trascritto questo non è un atto di nascita valevole per il diritto italiano (come quel titolo dello stato che, accertando lo stato, solo può alterarlo, cioè accertarlo falsamente), la condotta dichiarativa volta alla trascrizione dell'atto di nascita è, se falsa (perché dichiara la genitorialità di chi non ha legame procreativo con il nato), alterativa dello stato del neonato, qualora si faccia luogo alla trascrizione e quindi alla formazione dell'atto di nascita come atto rilevante per il diritto italiano (115). Ciò vale non solo allorché i committenti si presentino all'ufficiale di stato civile chiedendo la trascrizione (nel qual caso, il reato è evidentemente commesso in Italia), ma anche quando gli stessi sollecitino l'ambasciata italiana del paese straniero in cui l'atto di nascita è stato formato a trasmettere per via consolare l'atto medesimo all'ufficiale di stato civile italiano (ex art. 17, comma 1, ord. st. civ.) e, per l'effetto, rendano all'estero una dichiarazione corrispondente a quella che viene resa direttamente all'ufficiale di stato civile nella prima ipotesi, ossia la dichiarazione che essi sono i genitori (dichiarazione normalmente documentata per iscritto, mediante la compilazione di apposito modulo predisposto dall'ambasciata stessa) (116). Peraltro, ad incrementare la confusione in ordine ai riflessi penali della surrogazione di maternità praticata all’estero è intervenuta una seconda sentenza della Suprema Corte, orientata in senso contrario all’unico precedente di legittimità (e al contempo conforme all’opinione maggioritaria nella giurisprudenza di merito). In particolare nella sentenza della Quinta Sezione in data 10 marzo 2016, n. 13525, si è infatti escluso in radice che il delitto ex art. 567 c.p. possa essere integrato da un atto di nascita che “risulta perfettamente legittimo alla stregua della normativa nella quale doverosamente è stato redatto”. Allo stesso modo si sono espressi i giudici nella sentenza 48696/2016 la cui massima può essere così riassunta: “va esclusa l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 567, comma 2, c.p. nel caso di dichiarazioni di nascita effettuate ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 396 del 2000, in ordine a cittadini italiani nati all'estero e rese stitutiva speciale dello stato di figlio che ne ammetta la costituzione sulla base della surrogazione della maternità. L'attività dichiarativa dei committenti, volta a trasfondere l'accertamento contenuto nell'atto straniero in accertamento di diritto italiano tramite il relativo titolo, è pertanto ideologicamente falsa. in tali termini rENdA, la surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore, in Corriere giur., 2015, 4, 471. (115) Proprio perché l'atto di stato civile non è ancora formato, nel momento in cui i committenti rendono le false dichiarazioni, ad essere integrato non è il diverso e più blando reato di false dichiarazioni a pubblico ufficiale su proprie qualità personali in atto dello stato civile (art. 495, comma 2, n. 1 c.p.), il quale peraltro - se le dichiarazioni sono rese all'autorità consolare e quindi se il reato è considerato come commesso all'estero - esige quale condizione di punibilità la richiesta del Ministro della giustizia (art. 9, comma 2, c.p.), ma proprio il reato di alterazione di stato. In tali termini rENdA, la surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore, in Corriere giur., 2015, 4, 471. (116) rispetto al dolo dei dichiaranti, questo sussiste sol che vi sia consapevolezza da parte loro che la committente non è madre del nato. In tali termini rENdA, la surrogazione di maternità tra principi costituzionali ed interesse del minore, in Corriere giur., 2015, 4, 471. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà all'autorità consolare sulla base di certificato redatto dalle autorità ucraine che li indichi come genitori, in conformità alle norme stabilite dalla legge del luogo. nel caso di specie, in particolare, la legislazione ucraina consente di fare ricorso alla cd. maternità surrogata eterologa e gli imputati hanno agito nella convinzione che le certificazioni di nascita loro rilasciate in ucraina fossero del tutto regolari e, dunque, senza consapevolezza di commettere un'alterazione di stato, pertanto non c'è stato il dolo previsto per la configurabilità del delitto di cui all'art. 567 c.p., comma 2” (117). La disomogeneità di vedute e l’incertezze su come e se punire i soggetti che ricorrono a tali pratiche all’estero, richiedendo poi la trascrizione in Italia, genera una confusione, dal punto di vista giuridico, inaccettabile all’interno del nostro Paese. Confusione alla quale si dovrebbe porre fine solo rimettendo la questione alle Sezioni Unite affinché queste si pronuncino in maniera definitiva oppure auspicando in un tempestivo intervento del legislatore. 9. Conclusioni e spunti di riforma. Il fatto che non sussista, ad oggi, nemmeno a livello giurisprudenziale, una visione da tutti condivisa in merito al fatto che i bambini nati da tale tecnica di procreazione debbano essere riconosciuti come figli o meno della coppia committente, induce a fare delle riflessioni. Il fatto che il nostro ordinamento e in particolare le norme della nostra Carta fondamentale facciano riferimento alla madre che dà alla luce il bambino come donna che ha la responsabilità genitoriale sul minore non è una conclusione azzardata. Ci si augura infatti che casi simili a quelli decisi dal Tribunale e dalla Cassazione, in maniera confusionaria e non sempre coerente, non si verifichino nel nostro ordinamento in virtù del rispetto del principio del best interest of child. Proprio sulla base di questo principio si ritiene non basti la proibizione al ricorso a tale pratica solo all’interno del nostro ordinamento, ma è necessaria invece una normativa che vieti tali pratiche anche a coloro che pur non avendo la cittadinanza italiana, abbiano un rapporto qualificato con il nostro territorio. dal momento che l’interesse del fanciullo è ritenuto sempre predominante, deve essere condiviso l’assunto in base al quale tali pratiche non possono ammettersi, cercando di risolvere il problema del turismo procreativo, che è solo un vero e proprio escamotage per andare ad eludere i divieti imposti dalla legge. Una sanzione éclatante dovrebbe essere prevista anche per le coppie che fanno ricorso a tali procedure all’estero. Questo non perché il loro interesse non sia meritevole di tutela, ma solo perché incide su altri diritti, in particolare di terzi soggetti, che non possono in alcun modo essere oggetto di negoziazione o essere compressi. Per realizzare ciò pare utile richiamare la proposta di legge, presentata alla (117) http://www.dirittifondamentali.it/media/1088/cass-pen-n-48696-2016.pdf. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 Camera dei deputati il 21 marzo 2016, n. 3686 che all’art. 8 presenta delle modifiche da apportare all’art. 71 della legge 184/1983 e sancisce che il primo comma debba essere sostituito dal seguente: «fatto salvo più grave reato, chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all’estero o lo introduce dall’estero nel territorio nazionale perché sia definitivamente affidato, è punito con la reclusione da tre a cinque anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000. la pena si applica anche nel caso in cui il fatto sia commesso da cittadini italiani all’estero”, mentre il sesto comma debba essere sostituito dal seguente: “Chiunque svolge opera di mediazione al fine di realizzare l’affidamento di cui al primo comma è punito con la reclusione fino cinque anni e con multa da euro 10.000 a euro 50.000 per ciascuna mediazione avviata. la pena si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo danaro o altra utilità a terzi, accolgono minori di età, anche stranieri, in illecito affidamento con carattere di definitività. la pena si applica anche nel caso in cui il fatto sia commesso da cittadini italiani all’estero”; deve aggiungersi, in fine, il seguente comma: “la condanna per le violazioni di cui al presente articolo comporta l’inidoneità a ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare”. Inoltre l’art. 9 della stessa proposta di legge andrebbe ad incidere sull’art. 12 della legge 40 del 2004 sancendo che: “chiunque, al fine di accedere allo stato di madre o di padre, fruisce della pratica della surrogazione della maternità è punito con la reclusione da uno a tre anni e con una multa da 600.000 euro a un milione di euro. Chiunque organizza, favorisce o pubblicizza la pratica della surrogazione della maternità è punito con la reclusione da due a cinque anni e con una multa da 1.200.000 euro a 2.000.000 di euro. le disposizioni del presente comma nonché, limitatamente al caso di concorso di reati, quelle dell’articolo 567, secondo comma, del codice penale, si applicano altresì quando il fatto sia commesso da cittadini italiani all’estero. la condanna per uno dei reati di cui alla presente legge comporta anche l’impossibilità definitiva di accedere agli istituti dell’adozione e dell’affidamento, di cui ai titoli i-bis, ii, iii e iv della legge 4 maggio 1983, n. 184”; inoltre al comma 6, le parole: «o la surrogazione di maternità» sono sostituite dalle seguenti: «ovvero organizza in favore di terzi o pubblicizza la pratica della surrogazione della maternità” (118). Si fa riferimento anche ad un altro disegno di legge, in discussione oggi al Senato, presentato il 23 marzo 2016, n. 2296 che andrebbe a modificare l’art. 12 della legge 40/2004, così sostituendolo: “Chiunque organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o embrioni è punito con la reclusione da 1 a 3 anni e la multa da euro 600.000 (118) In tal senso si veda http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PdL0050400.pdf LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà a euro 1.000.000; chiunque, in qualsiasi modo, organizza, pubblicizza, utilizza o ricorre alla surrogazione di maternità è punito con la reclusione da 2 a 5 anni e con la multa da euro 1.200.000 a euro 2.000.000. le disposizioni di cui al periodo precedente nonché, limitatamente al caso di concorso di reati, quelle di cui all’articolo 567, comma 2, del codice penale, si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da un cittadino italiano. salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la pena della reclusione da 2 a 8 anni e con la multa da euro 25.000 a 200.000, chiunque commercia, vende, acquista ovvero, in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo, riceve un compenso per ottenere cellule e tessuti di origine umana prelevati da persona vivente. l’importazione di cellule e tessuti di origine umana, a scopo clinico, è consentita solamente da istituti di cellule e tessuti di tipo non profit. l’esportazione di cellule e tessuti di origine umana è consentita solamente verso istituti di cellule e tessuti di tipo non profit. Per coloro che commettono i delitti di cui ai commi precedenti è fatto divieto di adottare il minore e, se vi è stata condanna, l’adozione cessa in conseguenza della decadenza dall’esercizio della potestà dei genitori. fuori dei casi di concorso punibile, soltanto la madre biologica può attribuire il proprio cognome al minore ed esercitare la potestà di genitore. È disposta l’interdizione dall’esercizio professionale nei confronti del- l’esercente di una professione sanitaria condannato per uno dei delitti di cui al presente articolo”. La finalità di tale ultima proposta adesso indicata è quella di punire sul territorio italiano chi abbia compiuto all’estero condotte che, analogamente a quanto disposto dall’articolo 604 codice penale in materia di turismo sessuale, possono definirsi di “turismo a fini di procreazione”. dall’altra parte criticabile è il concreto procedimento d’adozione all’interno del nostro ordinamento. Infatti, il protrarsi ad oltranza di tale procedura, e spesso per termini indefiniti è un fattore deterrente che spinge le coppie a ricorrere a soluzioni alternative (119) (120). (119) Le lungaggini burocratiche relative a tali procedimenti sono ad oggi il problema maggiore che deve essere risolto all’interno del nostro ordinamento. Per l’adozione internazionale i tempi che incidono maggiormente sono quelli relativi alle procedure nei Paesi di origine. Ma i tempi si allungano anche a causa della procedura italiana per la valutazione di idoneità, che si prolunga ben oltre il tempo fissato dalla legge 184/83 di 6 mesi e mezzo. Per non parlare della trascrizione della sentenza straniera nei registri italiani che, a volte, richiede anche un anno: il bambino adottato non è ufficialmente figlio e cittadino italiano, con tutte le conseguenza che possono derivarne, anche di rischio di un secondo abbandono in un Paese straniero. http://www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/documentiApprovati/AdozioniAffidamento/documentoConclusivo. htm. anche http://www.vita.it/it/article/2016/03/09/adozioni-6-cose-da-fare-subito-senzaaspettare- la-nuova-legge/138582/it. (120) In Italia nel 2014 erano ospitati nelle comunità di accoglienza 19.245 minori, ma la maggior parte di loro non era stato dichiarato adottabile. Non sono stati diffusi dati ufficiali sui minori che sono ospitati dai centri di accoglienza e che sono stati dichiarati adottabili, ma solo stime fatte dalle associa rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 È inaccettabile che ad esempio alcuni bambini dopo aver vissuto la maggior parte della loro vita con una famiglia cui sono affidati dai servizi sociali, vengano successivamente trasferiti, a seguito della dichiarazione di adottabilità, presso un nucleo familiare diverso, perdendo il legame con la coppia che li ha visti crescere. Tale situazione viene in parte avallata dall’art. 4 della legge 184/1983 che va a disciplinare proprio l’affidamento del minore in attesa che venga accertato lo stato di abbandono morale e materiale e che venga dichiarato adottabile (121). In particolare ritengo di dover sposare l’idea in base alla quale, indipendentemente dal fatto che la famiglia affidataria sappia benissimo di poter correre il rischio di non poter adottare il bambino, in virtù proprio dell’interesse del minore, qualora ci sia tra il fanciullo e gli affidatari un rapporto ormai consolidato, sarebbe lesivo allontanare questo dal nucleo familiare del quale per lungo tempo ha fatto parte (122), così come potrebbe risultare lesivo o frustante per la coppia che adotta, il fatto che il minore inevitabilmente mantenga dei rapporti con la famiglia affidataria, presso la quale ha vissuto per la maggior parte della sua vita (123). zioni che si occupano del tema. Secondo le stime del Centro italiano aiuti all’infanzia, i minori adottabili nel 2014 erano 1.397, di cui 278 abbandonati alla nascita. Le adozioni nazionali in un anno sono state tra le mille e le 1.300. E anche le adozioni internazionali non sono molte: nel 2015 sono state 2.100 (secondo l’associazione Ai.Bi.). Il 50 per cento in meno rispetto al 2010. Costi elevati, trafile burocratiche molto lunghe, tempi dilatati, la mancanza di una banca dati nazionale dei bambini adottabili, sono tra le cause della diminuzione delle adozioni in Italia. Si veda https://www.internazionale.it/notizie/ 2016/03/02/adozione-italia. (121) L’art. 4 della legge 184/1983 recita infatti: L'affidamento familiare è disposto dal servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e, se opportuno, anche di età inferiore. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile. Nel provvedimento di affidamento familiare debbono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario. deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento ed il servizio locale cui è attribuita la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare od il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi del primo o del secondo comma. L'affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l'interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia di origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore. Il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata previsto ovvero intervenute le circostanze di cui al comma precedente, richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l'adozione di ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore. Il tribunale, sulla richiesta del giudice tutelare o d'ufficio nel- l'ipotesi di cui al secondo comma, provvede ai sensi dello stesso comma. (122) In questo senso, cioè dando rilevanza al rapporto affettivo instauratosi tra il minore e gli affidatari, si è mossa la legge 173 del 2015, tesa a modificare la legge 184/1983. La legge in particolare riconosce proprio il diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiari. (123) rapporti di cui, a seguito dell’introduzione del comma 5 ter all’art. 1 della legge sull’adozione, il giudice dovrà tenere in considerazione sia attraverso le valutazioni dei servizi sociali sia ascoltando il minore di dodici anni, o di età inferiore, “se capace di discernimento”. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà Proprio per evitare la problematica sopra evidenziata è necessario andare ad accelerare le procedure e l’iter da seguire per l’adozione, senza sacrificare ovviamente quei controlli necessari per garantire uno sviluppo armonico e sereno del minore (124). In tal senso occorre che vi sia una riforma organica, a parere di chi scrive, tale da far sì che i tempi della procedura viaggino parallelamente ai tempi dei bambini e allo sviluppo di questi (125). Si potrebbe ad esempio, in primis, stabilire di affidare temporaneamente il minore a coppie che hanno già di per sé i requisiti per richiederne la successiva adozione, onde evitare proprio quell’allontanamento forzato che potrebbe turbare il fanciullo (126) e successivamente garantire, attraverso una normativa processuale più snella, che ovviamente richiede il rispetto dei termini legali per entrare in vigore, una maggiore efficienza del sistema e una maggiore rapidità e uniformità delle procedure. In conclusione non resta che riaffermare che nonostante le problematiche dettate dalla procedura adottiva, legate, come messo in evidenza poc’anzi, ai tempi processuali lunghi e ad un iter farraginoso, ad oggi questa risulta essere la sola pratica che tutela integralmente gli interessi del minore e quella alla quale le coppie dovrebbero ricorrere; la sopra menzionata sanatoria di situazioni consolidate, nell’interesse del minore e non dei genitori committenti, affermata dalla Corte Costituzionale 272/2017 avendo carattere eccezionale, (124) In tal senso una proposta di legge, presentata il 12 aprile 2016 e non ancora discussa, ha evidenziato, come si legge nel preambolo che: “la legislazione sulle adozioni presenta dei problemi relativi soprattutto alla lunghezza delle procedure. Compito del legislatore è pertanto quello di semplificare le procedure in modo da garantire ai genitori adottivi la certezza dei tempi relativi alle stesse. Pertanto, la presente proposta di legge prevede la riduzione dei tempi delle procedure di adozione rendendoli più ragionevoli”. Lo stesso art. 1 della proposta di legge è finalizzato a modificare l’art. 6 della legge sull’adozione, modificando il primo comma sostituendo le parole “tre anni” con quelle di “due anni”. Altra proposta di legge all’interno dello stesso preambolo mostra come gli adottanti devono essere affettivamente in grado di mantenere, istruire ed educare i minori che intendono adottare, previa verifica di tali condizioni da parte del tribunale per i minorenni e da parte dei servizi socio-assitenziali degli enti locali. Nella stessa proposta si fa riferimento esplicito al fatto che tali riforme da apportare alla legge 184/1983 sono necessarie per evitare che le norme di legge ivi contenute siano eluse dalle nuove forme di stepchild adoption, soprattutto quelle legate alla maternità surrogata, in cui nessuno di questi princìpi viene mantenuto, né la stabilità della relazione, né la differenza di età, ai fini dell’idoneità valutata da terzi a garanzia del minore. (125) Nella legge vanno introdotti dei termini perentori per l’espletamento della procedura. Quelli previsti sono attualmente spesso disattesi e il problema si ripresenta in ogni passaggio procedurale. (126) Idea avallata dal nuovo art. 1 comma 5 bis della legge 173 del 2015. Nello specifico, il comma 5 bis, prevede che, qualora la famiglia affidataria chieda di poter adottare il minore, il tribunale per i minorenni nel decidere sull'adozione, dovrà considerare i legami affettivi ed il rapporto consolidato tra il minore e la famiglia affidataria. Tale comma è stato introdotto in quanto i bambini in affido sono circa 15.000 e per la maggioranza si tratta di affidi prolungati, spesso “sine die”. L’affido è una forma temporanea di protezione non adatta a tutelare definitivamente il bambino e come tale può essere applicata solo temporaneamente. Concepito originariamente con una durata di 2 anni, riteniamo che l’affido possa essere prorogato in caso di necessità per, al massimo, altri due anni. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 residuale ed essendo, stante la competenza e i mezzi istruttori a disposizione del Tribunale dei Minori, sottoposta ad una positiva valutazione della coppia. Al legislatore non si fa altro, in sostanza, che chiedere di migliorare tale pratica, fermo restando, che una riforma dell’istituto può essere utile per arginare, almeno in parte il ricorso alle note tecniche di procreazione artificiale, che da sempre pongono delle problematiche etiche, sociali e, non per ultime, giuridiche all’interno del nostro Paese. Corte europea dei Diritti dell'Uomo, Grande Camera, sentenza 24 gennaio 2017 (*) - Ricorso n. 25358/12 - Causa Paradiso e Campanelli c. Italia -Pres. Luis López Guerra, giudici Guido raimondi, Mirjana Lazarova Trajkovska, Angelika Nußberger, Vincent A. de Gaetano, Khanlar Hajiyev, Ledi Bianku, Julia Laffranque, Paulo Pinto de Albuquerque, André Potocki, Paul Lemmens, Helena Jäderblom, Krzysztof Wojtyczek, Valeriu Gritco, dmitry dedov, Yonko Grozev, Síofra o’Leary. PROCeDURA 1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 25358/12) proposto contro la repubblica italiana con cui due cittadini di questo Stato, sig.ra donatina Paradiso e sig. Giovanni Campanelli («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 27 aprile 2012 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»). (omissis) 3. In particolare i ricorrenti sostenevano che le misure adottate dalle autorità nazionali nei confronti del minore T.C. erano incompatibili con il loro diritto alla vita privata e familiare tutelato dall’articolo 8 della Convenzione. 4. Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). Il 27 gennaio 2015, una camera della suddetta sezione composta da Isil Karakas, presidente, Guido raimondi, András Sajó, Nebojša Vucinic, Helen Keller, Egidijus Kuris, robert Spano, giudici, e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione, ha dichiarato il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo sollevato dai ricorrenti in loro nome sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione concernente le misure adottate nei confronti del minore T.C. e irricevibile quanto al resto, e ha concluso, con cinque voti contro due, che vi era stata violazione dell’articolo 8. Alla sentenza era allegato il testo dell’opinione parzialmente dissenziente comune ai giudici raimondi e Spano. Il 27 aprile 2015, il Governo ha chiesto il rinvio della causa dinanzi alla Grande Camera ai sensi dell’articolo 43 della Convenzione. Il 1º giugno 2015, il collegio della Grande Camera ha accolto tale richiesta. (omissis) (*) Traduzione della sentenza a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali, eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, con la collaborazione della dott.ssa Daniela Riga, funzionario linguistico. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà IN FATTO I. Le CIRCOSTANze DeL CASO DI SPeCIe 8. I ricorrenti - moglie e marito - (...) A. L’arrivo del minore in Italia 9. dopo aver cercato di avere un figlio e dopo avere invano fatto ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, i ricorrenti si proposero di diventare genitori adottivi. 10. Il 7 dicembre 2006, essi ottennero l’autorizzazione del tribunale per i minorenni di Campobasso per adottare un bambino straniero ai sensi della legge n. 184 del 1983, intitolata «diritto del minore ad una famiglia» (di seguito: la «legge sull’adozione»), a condizione che l’età del minore fosse compatibile con i limiti previsti dalla legge (paragrafo 63 infra). I ricorrenti dichiarano di essere rimasti invano in attesa di un bambino da adottare. 11. Successivamente decisero di ricorrere nuovamente a tecniche di procreazione assistita e di rivolgersi ad una madre surrogata in russia. A tale scopo presero contatti con una clinica situata a Mosca. La ricorrente sostiene di essersi recata a Mosca e di aver trasportato dall’Italia e depositato presso la clinica il liquido seminale del ricorrente debitamente conservato. Fu trovata una madre surrogata e i ricorrenti conclusero un accordo di maternità surrogata con la società rosjurconsulting. dopo una fecondazione in vitro riuscita il 19 maggio 2010, due embrioni furono impiantati nell’utero della madre surrogata il 19 giugno 2010. 12. Il 16 febbraio 2011 la clinica russa attestò che il liquido seminale del ricorrente era stato utilizzato per gli embrioni da inserire nell’utero della madre surrogata. 13. La ricorrente si recò a Mosca il 26 febbraio 2011, poiché la clinica aveva annunciato la nascita del bambino per la fine del mese. 14. Il bambino nacque a Mosca il 27 febbraio 2011. Alla stessa data la madre surrogata diede il suo consenso scritto affinché il minore fosse registrato come figlio dei ricorrenti. La sua dichiarazione scritta e datata lo stesso giorno, letta ad alta voce in ospedale in presenza del suo medico, del direttore sanitario e del capo reparto dell'ospedale è così formulata (traduzione francese dalla versione originale russa): «Io sottoscritta (...) ho messo al mondo un bambino presso la clinica ostetrica (...) di Mosca. I genitori del bambino sono una coppia sposata di italiani, Giovanni Campanelli, nato il (...) e donatina Paradiso nata il (...), che hanno dichiarato per iscritto di voler impiantare i loro embrioni nel mio utero. Sulla base di quanto espresso sopra e conformemente al comma 5 del paragrafo 16 della legge federale sullo stato civile e al comma 4 del paragrafo 51 del codice della famiglia acconsento a che nell’atto e nel certificato di nascita i coniugi di cui sopra siano iscritti come genitori del bambino da me partorito. (…)» 15. Nei giorni successivi alla nascita del figlio, la ricorrente restò con lui in un appartamento a Mosca che aveva precedentemente preso in affitto. Il ricorrente, rimasto in Italia, poté comunicare regolarmente con lei tramite internet. 16. Il 10 marzo 2011, i ricorrenti furono registrati come genitori del neonato dall’ufficiale dello stato civile di Mosca. Sul certificato di nascita russo, che indicava che i ricorrenti erano i genitori del bambino, venne apposta l’apostille conformemente alle disposizioni della Convenzione del- l’Aja del 5 ottobre 1961 che abolisce la necessità della legalizzazione degli atti pubblici stranieri. 17. Il 29 aprile 2011, la ricorrente, munita di certificato di nascita, andò al consolato italiano di Mosca per ottenere i documenti che le permettevano di tornare in Italia con il bambino. Il Consolato d'Italia rilasciò i documenti che permettevano a quest'ultimo di partire per l'Italia con la ricorrente. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 18. Il 30 aprile 2011 la ricorrente e il bambino arrivarono in Italia. 19. Con una nota del 2 maggio 2011 -che non è stata inserita nel fascicolo -il Consolato d'Italia a Mosca comunicò al tribunale per i minorenni di Campobasso, al Ministero degli Affari esteri, alla prefettura e al comune di Colletorto, che il fascicolo relativo alla nascita del bambino conteneva dei dati falsi. 20. Qualche giorno dopo, il ricorrente chiese al comune di Colletorto la registrazione del certificato di nascita. B. La reazione delle autorità italiane 21. Il 5 maggio 2011, il procuratore della repubblica avviò un procedimento penale a carico dei ricorrenti, indagati per «alterazione dello stato civile» ai sensi dell’articolo 567 del codice penale, per «uso di atto falso» ai sensi dell’articolo 489 del codice penale e per violazione dell’articolo 72 della legge sull’adozione perché avevano portato il bambino in Italia senza rispettare la procedura prevista delle norme sull’adozione internazionale contenute in questa legge (paragrafo 67 supra). 22. Parallelamente, il 5 maggio 2011, il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni di Campobasso chiese l’apertura di un procedimento di adottabilità affinché il minore potesse essere dato in adozione ritenendo che ai sensi di legge il bambino doveva essere considerato in stato di abbandono. Lo stesso giorno il tribunale per i minorenni nominò un curatore speciale e aprì un procedimento di adottabilità. 23. Il 16 maggio 2011 il tribunale per i minorenni, su richiesta del procuratore della repubblica, mise il minore sotto curatela. Il curatore del bambino chiese al tribunale di sospendere la potestà genitoriale dei ricorrenti, in applicazione dell’articolo 10, comma 3, della legge sull’adozione. 24. I ricorrenti si opposero alle misure concernenti il minore. 25. Su richiesta del tribunale per i minorenni del 10 maggio 2011, i ricorrenti ricevettero, il 12 maggio 2011, la visita di una equipe di assistenti sociali. risulta dalla relazione redatta da costoro e datata 18 maggio 2011 che i ricorrenti erano stimati e rispettati dai loro concittadini, che disponevano di un buon livello di reddito e vivevano in una bella casa. Secondo la relazione, il bambino era in perfetta salute e il suo benessere era evidente perché i ricorrenti si occupavano di lui in maniera ottimale. 26. Il 25 maggio 2011 la ricorrente, assistita dal suo avvocato, fu interrogata dai carabinieri di Larino. L’interessata dichiarò di essersi recata in russia da sola, nel settembre 2008, con il liquido seminale di suo marito. dichiarò che aveva sottoscritto un contratto con la società rosjurconsulting, che si era impegnata a trovare una madre surrogata disposta ad accogliere nel proprio utero il materiale genetico della ricorrente e di suo marito, tramite la clinica Vitanova di Mosca. La ricorrente spiegò che questa pratica era perfettamente legale in russia e le aveva permesso di ottenere un certificato di nascita che alla voce genitori riportava le generalità dei ricorrenti. Nel giugno/luglio 2010 la ricorrente era stata contattata dalla società russa perché era stata trovata una madre surrogata che aveva dato il suo consenso all’intervento. 27. Il 27 giugno 2011 i ricorrenti furono sentiti dal tribunale per i minorenni. La ricorrente dichiarò che dopo aver tentato invano per otto volte la fecondazione in vitro, mettendo in pericolo la sua salute, era ricorsa alla clinica russa perché, in questo paese, era possibile utilizzare gli ovuli di una donatrice, che venivano poi impiantati nel ventre della madre surrogata. 28. Il 7 luglio 2011 il tribunale ordinò di eseguire un test del dNA per stabilire se il ricorrente era il padre biologico del bambino. 29. L’11 luglio 2011 il Ministro dell’Interno chiese all’ufficio dello stato civile di rifiutare la registrazione dell’atto di nascita. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà 30. Il 1° agosto 2011 il ricorrente e il bambino si sottoposero al test del dNA. Il risultato del test mostrò che non vi erano legami genetici tra loro. 31. A seguito del risultato di questo test, i ricorrenti chiesero spiegazioni alla clinica russa. Alcuni mesi più tardi, con lettera del 20 marzo 2012, la direzione della clinica manifestò loro la propria sorpresa quanto ai risultati del test del dNA. A suo parere, vi era stata una indagine interna dal momento che vi era stato chiaramente un errore, ma non era stato possibile individuarne il responsabile perché nel frattempo si erano verificati licenziamenti e nuove assunzioni. 32. Il 4 agosto 2011 l’ufficio dello stato civile del comune di Colletorto rifiutò di registrare il certificato di nascita. Avverso tale rifiuto i ricorrenti presentarono ricorso al tribunale di Larino. Il seguito della procedura è esposto ai paragrafi 46-48 infra. 33. Il pubblico ministero chiese al tribunale di Larino di dare una nuova identità al minore e di rilasciare un nuovo certificato di nascita. (omissis) [La Corte dà atto che il TM disponeva l’allontanamento del minore dai coniugi e il suo affidamento a una casa famiglia con decreto 20 ottobre 2011, confermato in Appello, e che la stessa Corte, in separato procedimento di delibazione del certificato di nascita ucraino, ne sanciva la contrarietà all’ordine pubblico perché falso] F. La sorte del minore 49. A seguito dell’esecuzione del provvedimento emesso il 20 ottobre 2011 dal tribunale per i minorenni, il bambino rimase in una casa famiglia per circa quindici mesi, in un luogo sconosciuto ai ricorrenti. I contatti tra i questi ultimi e il minore furono vietati. I ricorrenti non poterono avere alcuna notizia di lui. 50. Nel gennaio 2013, il minore fu dato in affidamento famigliare in vista della sua adozione. 51. All’inizio di aprile 2013, il tutore chiese al tribunale per i minorenni di attribuire un’identità convenzionale al minore, affinché potesse essere iscritto senza difficoltà a scuola. Spiegò che il bambino era stato affidato ad una famiglia il 26 gennaio 2013, ma che era privo di identità. Per il tutore, questa «inesistenza» aveva forti ripercussioni sulle questioni amministrative: in particolare non si sapeva sotto quale identità iscrivere il bambino a scuola, nel suo libretto delle vaccinazioni e al suo domicilio. È vero che questa situazione rispondeva allo scopo di non permettere ai ricorrenti di capire ove si trovasse il minore al fine di proteggerlo meglio, tuttavia, il tutore spiegò che una identità convenzionale temporanea avrebbe permesso di mantenere il segreto sulla reale identità del minore e, al tempo stesso, avrebbe permesso a que- st'ultimo di accedere ai servizi pubblici mentre fino ad ora gli era possibile utilizzare soltanto i servizi medici di emergenza. 52. risulta dal fascicolo che tale richiesta fu accolta dal tribunale per i minorenni, e che il minore ricevette un’identità convenzionale. 53. Il Governo ha fatto sapere che l’adozione del minore è ormai effettiva. (omissis) C. Valutazione della Corte 1. Considerazioni preliminari 131. La Corte osserva anzitutto che il minore T.C. è nato da un embrione ottenuto da una donazione di ovociti e da una donazione di sperma effettuata da donatori sconosciuti, ed è stato messo al mondo in russia, da una donna russa che ha rinunciato ai suoi diritti su di lui. Pertanto non esiste alcun legame biologico tra i ricorrenti e il minore. I ricorrenti hanno pagato circa 50.000 EUr per ricevere il minore. Le autorità russe hanno rilasciato un certificato di nascita che attestava che loro erano i genitori ai sensi dell’ordinamento russo. I ricorrenti rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 hanno quindi deciso di portare il minore in Italia e di vivere in questo paese con lui. Le origini genetiche del minore rimangono sconosciute. Il caso di specie, pertanto, riguarda ricorrenti che, agendo al di fuori di ogni regolare procedura di adozione, hanno portato in Italia dal- l’estero un minore che non aveva alcun legame biologico con nessuno dei due genitori e che è stato concepito - secondo quanto asserito dai giudici nazionali - attraverso tecniche di procreazione assistita illegali ai sensi dell’ordinamento italiano. 132. La Corte osserva che nelle cause Mennesson c. Francia (n. 65192/11, CEdU 2014 (estratti)) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, 26 giugno 2014), due coppie di aspiranti genitori avevano fatto ricorso alla gestazione per conto terzi negli Stati Uniti e si erano stabilite con i loro figli in Francia. In quelle cause era stata dimostrata l’esistenza di un legame biologico tra il padre e i figli e le autorità francesi non avevano mai contemplato l’ipotesi di separare i figli dai genitori. La questione al centro di quelle cause era il rifiuto di registrare i dati di un certificato di nascita redatto all’estero in indiscussa conformità con la legislazione del paese di origine e il diritto dei figli di ottenere il riconoscimento della loro filiazione. Sia i genitori che i figli erano tutti ricorrenti dinanzi alla Corte. 133. Contrariamente alle cause Mennesson e Labassee sopra citate, la presente causa non riguarda la registrazione di un certificato di nascita rilasciato all’estero e il riconoscimento della filiazione rispetto a un minore nato da un accordo di gestazione per conto terzi (paragrafo 84 supra). Al centro del caso di specie vi sono le misure adottate dalle autorità italiane che hanno determinato la separazione definitiva del minore dai ricorrenti. Infatti, i giudici nazionali hanno affermato che non si trattava di una surrogazione di maternità «tradizionale», visto che non era stato usato il materiale biologico dei ricorrenti. È stato posto l’accento sul mancato rispetto delle procedure previste dalla legislazione sulle adozioni internazionali e sulla violazione del divieto di usare gameti di donatori ai sensi dell’articolo 4 della legge sulla procreazione medicalmente assistita (si veda il passaggio pertinente del provvedimento del tribunale per i minorenni, paragrafo 37 supra). 134. Pertanto, la questione giuridica al centro della causa è se, date le circostanze sopra esposte, sia applicabile l’articolo 8; e, in caso affermativo, se le misure urgenti ordinate dal tribunale per i minorenni -che hanno determinato l’allontanamento del minore -costituiscano una ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della vita famigliare e/o della vita privata, ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione e, in questo caso, se le misure impugnate siano state adottate conformemente all’articolo 8 § 2 della Convenzione. 135. Infine, la Corte rammenta che il minore T.C. non è un ricorrente nel procedimento dinanzi ad essa, visto che la camera ha rigettato le doglianze sollevate dai ricorrenti per suo conto (paragrafo 86 supra). La Corte è chiamata a esaminare unicamente le doglianze sollevate dai ricorrenti in loro nome (si vedano, a contrario, Mennesson, sopra citata, §§ 96-102, e Labassee, sopra citata, §§ 75-81)). 2. Applicabilità dell’articolo 8 della Convenzione 136. La Corte rammenta che la camera è giunta alla conclusione che esistesse una vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore (paragrafo 69 della sentenza della camera). Ha inoltre ritenuto che la situazione lamentata riguardasse anche la vita privata del ricorrente, in quanto la posta in gioco per lui era la determinazione di un legame biologico con il minore (paragrafo 70 della sentenza della camera). di conseguenza l’articolo 8 della Convenzione era applicabile alla presente causa. 137. Il Governo contesta l’esistenza di una vita famigliare nel caso di specie, basandosi essenzialmente sull’assenza di un legame biologico tra i ricorrenti e il minore e sull’illegalità della condotta dei ricorrenti ai sensi dell’ordinamento italiano. Esso sostiene che, visto il comportamento contrario alla legge adottato dai ricorrenti, tra loro e il minore non può esistere LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà alcun legame tutelato dall’articolo 8 della Convenzione. Afferma inoltre che i ricorrenti hanno vissuto con il minore per soli otto mesi. 138. I ricorrenti chiedono alla Corte di riconoscere l’esistenza di una vita famigliare nonostante l’assenza di un legame biologico con il minore e del riconoscimento della filiazione nell’ordinamento italiano. Sostanzialmente, affermano che nel diritto russo è riconosciuto un legame giuridico di filiazione e che essi hanno instaurato dei legami affettivi stretti con il minore durante i suoi primi otto mesi di vita. 139. La Corte deve quindi pronunciarsi sulla questione della possibilità che i fatti di causa riguardino la vita famigliare e/o privata dei ricorrenti. a) Vita famigliare i. Principi pertinenti 140. La questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita famigliare è essenzialmente una questione di fatto, che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A n. 31; e K. e T. c. Finlandia sopra citata, § 150). Il concetto di «famiglia» di cui all’articolo 8 riguarda le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami «famigliari» de facto, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile (Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994, § 30, serie A n. 297-C; Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, § 55, serie A n. 112; Keegan c. Irlanda, 26 maggio 1994, § 44, serie A n. 290; e X, Y e z c. regno Unito, 22 aprile 1997, § 36, recueil 1997 II). 141. Le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di costituire una famiglia né il diritto di adottare (E.B. c. Francia [GC], n. 43546/02, § 41, 22 gennaio 2008). Il diritto al rispetto di una «vita famigliare» non tutela il semplice desiderio di costituire una famiglia; esso presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx, sopra citata, § 31), o almeno di una relazione potenziale, che si sia potuta costituire, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio (Nylund c. Finlandia (dec.), n. 27110/95, CEdU 1999-VI), o di una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se non era ancora pienamente stabilita una vita famigliare (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A n. 94), o ancora della relazione tra un padre e il figlio legittimo, anche quando si sia dimostrato, anni dopo, che non era basata su un legame biologico (Nazarenko c. russia, n. 39438/13, § 58, CEdU 2015 (estratti)) o dalla relazione nata da un’adozione legale e non fittizia (Pini e altri c. romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 148, CEdU 2004-V (estratti)). ii. Applicazione al caso di specie 142. Pur se è indubbio che non vi sia un legame biologico tra i ricorrenti e il minore, le parti hanno proposto argomenti diversi in merito alla legittimità del vincolo genitoriale, riconosciuto dall’ordinamento russo, che legava i ricorrenti al minore (paragrafi 107 e 118 supra). 143. È vero che, come il Governo indica nelle sue osservazioni (paragrafo 118 supra), la questione della conformità del certificato di nascita all’ordinamento russo è stata effettivamente esaminata dalla corte d’appello di Campobasso, che ha confermato il rifiuto di registrare il certificato in questione, ritenendo che violasse la legislazione russa (paragrafo 47 supra). I ricorrenti non hanno contestato questa tesi dinanzi alla Corte di cassazione (paragrafo 84 supra). 144. Tuttavia, la formulazione delle disposizioni della legislazione russa applicabili il 27 febbraio 2011, data di nascita del minore, e il 10 marzo 2011, data in cui i ricorrenti sono stati registrati come genitori a Mosca, sembra confermare l’argomento proposto dai ricorrenti dinanzi alla Corte, secondo il quale all’epoca dei fatti l’esistenza di un legame biologico tra il minore e gli aspiranti genitori non era esplicitamente richiesto dalla legislazione russa (paragrafi 73 rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 74 e 107 supra). Inoltre, il certificato in questione riportava semplicemente che i ricorrenti erano i «genitori», senza specificare se fossero i genitori biologici (paragrafo 16 supra). 145. La Corte osserva che la questione della conformità del certificato di nascita alla legislazione russa non è stata esaminata dal tribunale per i minorenni nell’ambito delle misure urgenti adottate nei confronti del minore. 146. dinanzi ai giudici italiani, la potestà genitoriale esercitata dai ricorrenti sul minore è stata riconosciuta implicitamente, nella misura in cui ne era stata richiesta la sospensione (paragrafo 23 supra). Tuttavia, la potestà genitoriale in questione era dubbia per i seguenti motivi. 147. La situazione dei ricorrenti era in conflitto con l’ordinamento nazionale. Secondo il Tribunale per i minorenni di Campobasso (paragrafo 37 supra), e indipendentemente dagli aspetti di diritto penale, vi era una situazione di illegalità, che consisteva in primo luogo nel fatto di aver portato in Italia un minore straniero che non aveva legami biologici con nessuno dei genitori, in violazione delle norme in materia di adozioni internazionali e, in secondo luogo, nell’avere sottoscritto un accordo che prevedeva la consegna del liquido seminale del ricorrente al fine della fecondazione degli ovociti di un’altra donna in violazione del divieto, operato dalla legislazione italiana, della procreazione assistita eterologa. 148. La Corte deve accertare se, nelle circostanze di causa, la relazione tra i ricorrenti e il minore rientri nella sfera della vita famigliare ai sensi dell’articolo 8. La Corte accetta, in determinate situazioni, l’esistenza di una vita famigliare de facto tra un adulto o degli adulti e un minore in assenza di legami biologici o di un legame riconosciuto giuridicamente, a condizione che vi siano legami personali effettivi. 149. Nonostante l’assenza di un legame biologico e di un legame di filiazione giuridicamente riconosciuto dallo Stato convenuto, la Corte ha ritenuto che esistesse un vita famigliare tra i genitori affidatari che si erano presi cura di un minore temporaneamente e il minore in questione, sulla base degli stretti legami personali tra loro, del ruolo rivestito dagli adulti nei confronti del minore e del tempo trascorso insieme (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 48, 27 aprile 2010, e Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, § 37, 17 gennaio 2012). Nella causa Moretti e Benedetti, la Corte ha attribuito importanza al fatto che il minore era arrivato nella famiglia all’età di un mese e che, per diciannove mesi, i ricorrenti avevano condiviso con lui le prime importanti tappe della sua giovane vita. Ha anche rilevato che le perizie condotte sulla famiglia per ordine del tribunale avevano evidenziato che il minore era ben integrato nella famiglia e profondamente attaccato ai ricorrenti e ai loro figli. Inoltre, i ricorrenti si erano anche occupati dello sviluppo sociale del minore. Tali elementi sono stati sufficienti perché la Corte ritenesse che esistevano tra i ricorrenti e il minore legami interpersonali stretti e che i ricorrenti si erano comportati sotto tutti i punti di vista come i suoi genitori, e che pertanto esistevano tra loro «legami famigliari» de facto (Moretti e Benedetti, sopra citata, §§ 49-50). La causa Kopf e Liberda riguardava una famiglia affidataria che si era presa cura, per un periodo di circa quarantasei mesi, di un minore che era arrivato nella loro casa all’età di due anni. Anche in questo caso, la Corte è giunta alla conclusione che esistesse una vita famigliare, visto che i ricorrenti avevano sinceramente a cuore il benessere del minore e che un legame affettivo si era stabilito tra le persone interessate (Kopf e Liberda, sopra citata, § 37). 150. Inoltre, nella causa Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo (n. 76240/01, § 117, 28 giugno 2007) -che riguardava l’impossibilità di ottenere il riconoscimento giuridico in Lussemburgo di una decisione giudiziaria peruviana con cui era stata pronunciata l’adozione piena della seconda ricorrente a vantaggio della prima ricorrente - la Corte ha riconosciuto l’esistenza di LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà una vita famigliare nonostante il mancato riconoscimento giuridico dell’adozione, sulla base del fatto che dei legami famigliari de facto esistevano da più di dieci anni tra le ricorrenti e che la sig.ra Wagner si comportava a tutti gli effetti come la madre della minore. 151. È pertanto necessario, nel caso di specie, esaminare la qualità dei legami, il ruolo rivestito dai ricorrenti nei confronti del minore e la durata della convivenza tra loro. La Corte ritiene che i ricorrenti abbiano concepito un progetto genitoriale e si siano assunti il loro ruolo di genitori nei confronti del minore (si veda, a contrario, Giusto, Bornacin e V. c. Italia (dec.), n. 38972/06, 15 maggio 2007). Hanno intessuto stretti legami affettivi con lui nelle prime tappe della sua vita, come efficacemente riferito, del resto, nelle perizie redatte dall’equipe di assistenti sociali su incarico del tribunale per i minorenni (paragrafo 25 supra). 152. Per quanto riguarda la durata della convivenza tra i ricorrenti e il minore nel caso di specie, la Corte osserva che questi ultimi hanno vissuto insieme per sei mesi in Italia, preceduti da un periodo di circa due mesi di convivenza della ricorrente con il minore in russia. 153. Sarebbe certamente poco opportuno definire una durata minima della convivenza necessaria per costituire una vita famigliare de facto, visto che la valutazione di ogni situazione deve tenere conto della «qualità» del legame e delle circostanze di ciascun caso. Tuttavia, la durata della relazione con il minore è un fattore chiave affinché la Corte riconosca l’esistenza di una vita famigliare. Nella causa Wagner e J.M.W.L. sopra citata, la convivenza era durata per oltre dieci anni. Analogamente, nella causa Nazarenko (sopra citata, § 58), nella quale un uomo sposato aveva assunto il ruolo genitoriale prima di scoprire di non essere il padre biologico del minore, il periodo trascorso insieme era durato oltre cinque anni. 154. È vero che, nel caso di specie, la durata della convivenza con il minore è stata maggiore di quella della causa d. e altri c. Belgio, ((dec.), n. 29176/13, § 49, 8 luglio 2014), nella quale la Corte ha ritenuto che vi fosse vita famigliare, tutelata dall’articolo 8, per una convivenza durata solamente due mesi prima della separazione temporanea di una coppia belga e di un minore nato in Ucraina da una madre surrogata. In quel caso, tuttavia, vi era un legame biologico tra il minore e almeno uno dei genitori e la convivenza era ripresa successivamente. 155. Per quanto riguarda l’argomento proposto dal ricorrente secondo il quale egli era convinto di essere il padre biologico del minore, visto che aveva consegnato il suo liquido seminale alla clinica, la Corte ritiene che tale convinzione -smentita nell’agosto 2011 dall’esito del test del dNA - non possa compensare la breve durata del periodo in cui ha vissuto insieme al minore (si veda, a contrario, Nazarenko, sopra citata, § 58) e non sia pertanto sufficiente per determinare una vita famigliare de facto. 156. Sebbene la fine della loro relazione con il minore non sia direttamente imputabile ai ricorrenti nel caso di specie, nondimeno essa è la conseguenza dell’incertezza giuridica che essi stessi hanno determinato rispetto ai legami in questione, adottando una condotta contraria all’ordinamento italiano e venendo a stabilirsi in Italia con il minore. Le autorità italiane hanno reagito rapidamente a questa situazione chiedendo la sospensione della potestà genitoriale e avviando la procedura per l’adottabilità (paragrafi 22-23 supra). Il caso di specie differisce dalle cause Kopf, Moretti e Benedetti, e Wagner sopra citate, in cui l’affidamento del minore ai ricorrenti era, rispettivamente, riconosciuto o tollerato dalle autorità. 157. In considerazione dei fattori sopra esposti, vale a dire l’assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, la breve durata della relazione con il minore e l’incertezza dei legami dal punto di vista giuridico e malgrado l’esistenza di un progetto genitoriale e la qualità rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 dei legami affettivi, la Corte ritiene che le condizioni per poter concludere che esiste una vita famigliare de facto non siano soddisfatte. 158. Pertanto, la Corte conclude che, nel caso di specie, non sussiste una vita famigliare. (omissis) c) Conclusione 165. In considerazione di quanto sopra, la Corte conclude che non vi è stata vita famigliare tra i ricorrenti e il minore, e ritiene invece che le misure contestate riguardino la vita privata dei ricorrenti. Ne consegue che l’articolo 8 della Convenzione si applica a questo titolo. 3. Sul rispetto dell’articolo 8 della Convenzione 166. Nella fattispecie, i ricorrenti sono stati danneggiati dalle decisioni giudiziarie che hanno portato all’allontanamento del minore e alla presa in carico di quest’ultimo da parte dei servizi sociali ai fini della sua adozione. La Corte ritiene che le misure adottate nei confronti del minore - allontanamento, affido famigliare senza contatto con i ricorrenti, nomina di un tutore si traducano in una ingerenza nella vita privata dei ricorrenti. 167. Tale ingerenza è contraria all’articolo 8 a meno che non sia giustificabile dal punto di vista del paragrafo 2 di questa disposizione, cioè a meno che non sia «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi tra quelli elencati in tale disposizione e non sia «necessaria in una società democratica» per raggiungere tali scopi. a) «Prevista dalla legge» (omissis) 172. L’articolo 37bis della legge sull’adozione prevede che ai minori stranieri che sono in Italia si applichi la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza (paragrafi 63 e 65 supra). La situazione del minore T.C., la cui nazionalità non è conosciuta e che è nato all’estero da genitori biologici sconosciuti, è stata assimilata a quella di un minore straniero. 173. In queste circostanze, la Corte ritiene che fosse prevedibile che l’applicazione del diritto italiano da parte dei giudici nazionali portasse alla constatazione che il minore si trovava in stato di abbandono. 174. Ne consegue che l’ingerenza nella vita privata dei ricorrenti era «prevista dalla legge». b) Scopo legittimo 175. Il Governo si dichiara d’accordo con la sentenza della camera che ha accettato che le misure in questione miravano alla «difesa dell’ordine» e alla protezione dei «diritti e delle libertà » del minore. 176. da parte loro, i ricorrenti contestano che tali misure servissero a proteggere i «diritti e le libertà» del minore. 177. Nella misura in cui la condotta dei ricorrenti contravveniva alla legge sull’adozione e al divieto nel diritto italiano delle tecniche di procreazione assistita eterologa, la Grande Camera ammette il punto di vista della camera secondo il quale le misure adottate nei confronti del minore tendevano alla «difesa dell’ordine». Peraltro, essa ammette che tali misure miravano anche alla protezione dei «diritti e delle libertà» altrui. In effetti, la Corte giudica legittima, rispetto all’articolo 8 § 2, la volontà delle autorità italiane di riaffermare la competenza esclusiva dello Stato per riconoscere un legame di filiazione - e ciò unicamente in caso di legame biologico o di adozione regolare - allo scopo di tutelare i minori. 178. Pertanto le misure controverse rispondevano a scopi legittimi. c) Necessità in una società democratica i. Principi pertinenti LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà (omissis) 181. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, la nozione di necessità implica che l’ingerenza corrisponda a un bisogno sociale imperioso e, in particolare, che sia proporzionata allo scopo legittimo perseguito tenuto conto del giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concomitanti in gioco (A, B e C c. Irlanda, sopra citata, § 229). Per determinare se una ingerenza sia «necessaria in una società democratica», si deve tenere conto del fatto che un margine di apprezzamento viene lasciato alle autorità nazionali, la cui decisione rimane soggetta al controllo della Corte, competente per verificarne la conformità alle esigenze della Convenzione (X, Y e z c. regno Unito, sopra citata, § 41). 182. La Corte rammenta che, per pronunciarsi sull’ampiezza del margine di apprezzamento che deve essere riconosciuto allo Stato in una causa che solleva questioni rispetto all’articolo 8, si deve tenere conto di un certo numero di fattori (si vedano, tra molti esempi, S.H. e altri c. Austria, sopra citata, § 94, e Hämäläinen c. Finlandia [GC], n. 37359/09, § 67, CEdU 2014). Quando è in gioco un aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di un individuo, il margine lasciato allo Stato è normalmente ristretto (Evans, sopra citata, § 77). Invece, quando non vi è un consenso tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, che sia sull’importanza relativa dell’interesse in gioco o sui mezzi più appropriati per proteggerlo, in particolare quando la causa solleva questioni morali o etiche delicate, il margine di apprezzamento è più ampio (Evans, sopra citata, § 77, e A, B e C c. Irlanda, sopra citata, § 232). Il margine di apprezzamento, è generalmente ampio anche quando lo Stato deve garantire un equilibrio tra interessi privati e pubblici concomitanti o diritti diversi tutelati dalla Convenzione (Evans, sopra citata, § 77 e dickson, sopra citata, § 78). 183. Se le autorità godono di ampia libertà in materia di adozione (Wagner e J.M.W.L., sopra citata, § 128) o per valutare la necessità di prendere in carico un minore (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 67, CEdU 2002 I), in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque avere acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistevano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare il minore (zhou c. Italia, n. 33773/11, § 55, 21 gennaio 2014). 184. Quanto al riconoscimento da parte della Corte del fatto che agli Stati in linea di principio deve essere riconosciuto un ampio margine di apprezzamento nei casi che sollevano delicate questioni di ordine etico per le quali non esiste un consenso su scala europea, la Corte rinvia all’approccio moderato adottato sulla questione della fecondazione assistita eterologa nella causa S.H. e altri (sopra citata, §§ 95-118), e alla sua analisi riguardante la maternità surrogata e il riconoscimento giuridico del legame di filiazione tra gli aspiranti genitori e i minori legittimamente concepiti all’estero nella sentenza Mennesson (sopra citata, §§ 78-79). (omissis) ß. Motivi pertinenti e sufficienti 196. Per quanto riguarda i motivi addotti dalle autorità interne, la Corte osserva che queste ultime si sono fondate in particolare su due serie di argomenti: in primo luogo, hanno avuto riguardo alla illegalità della condotta dei ricorrenti e, in secondo luogo, all’urgenza di adottare provvedimenti riguardanti il minore, che esse consideravano «in stato di abbandono» ai sensi dell’articolo 8 della legge sull’adozione. 197. La Corte non dubita della pertinenza dei motivi invocati dai giudici interni. Tali motivi sono direttamente legati allo scopo legittimo della difesa dell’ordine e anche della protezione del minore -non solo di quello di cui trattasi nel caso di specie ma dei minori in generale considerata la prerogativa dello Stato di stabilire la filiazione mediante l’adozione e mediante rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 il divieto di alcune tecniche di procreazione medicalmente assistita (paragrafo 177 supra). 198. Quanto al punto di stabilire se i motivi addotti dai giudici nazionali fossero anche sufficienti, la Grande Camera rammenta che, contrariamente alla camera, essa ritiene che i fatti di causa non rientrino nella nozione di vita famigliare, ma unicamente in quella di vita privata. Perciò, è opportuno esaminare la causa non dal punto di vista del mantenimento di una unità famigliare, ma piuttosto sotto il profilo del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata, dal momento che ciò che è in gioco nel caso di specie è il loro diritto allo sviluppo personale attraverso la loro relazione con il minore. 199. Nelle circostanze particolari della causa, la Corte ritiene che i motivi addotti dai giudici nazionali, che erano centrati sulla situazione del minore e sull’illegalità della condotta dei ricorrenti, fossero sufficienti. .. Proporzionalità (omissis) 204. In definitiva, i giudici nazionali avevano come principale preoccupazione quella di porre fine a una situazione illegale. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Corte ammette che le leggi che sono state violate dai ricorrenti e i provvedimenti adottati in risposta alla loro condotta perseguivano lo scopo di proteggere degli interessi generali importanti. 205. Per quanto riguarda gli interessi privati in gioco, vi sono quelli del minore da una parte e quelli dei ricorrenti dall’altra. 206. Per quanto riguarda gli interessi del minore, la Corte rammenta che il tribunale per i minorenni di Campobasso ha tenuto conto dell’assenza di legame biologico tra i ricorrenti e il minore, e ha dichiarato che era necessario trovare quanto prima una coppia che potesse prendersi cura di lui. Tenuto conto della tenera età del minore e del breve periodo che aveva trascorso con i ricorrenti, il tribunale non ha aderito alla perizia di una psicologa presentata dai ricorrenti, secondo la quale la separazione avrebbe avuto conseguenze devastanti per il minore. rinviando alla letteratura in materia, il tribunale ha ritenuto che il semplice fatto di essere separato dalle persone che si prendevano cura di lui non avrebbe comportato una condizione psicopatologica nel minore in assenza di altri fattori di causalità. Ha concluso che il trauma causato dalla separazione non sarebbe stato irreparabile. 207. Quanto all’interesse dei ricorrenti a proseguire la loro relazione con il minore, il tribunale per i minorenni ha osservato che nessun elemento del fascicolo confermava le dichiarazioni degli interessati secondo le quali essi avevano consegnato alla clinica russa il materiale genetico del ricorrente. Il tribunale ha aggiunto che, dopo aver ottenuto il consenso all’adozione internazionale, avevano aggirato la legge sull’adozione riportando il minore in Italia senza l’approvazione dell’organo competente, ossia la commissione per le adozioni internazionali. Alla luce di questa condotta, il tribunale per i minorenni ha dichiarato di temere che il minore fosse uno strumento per realizzare un desiderio narcisistico della coppia o esorcizzare un problema individuale o di coppia. Inoltre, ha ritenuto che la condotta dei ricorrenti gettasse «un’ombra importante sull’esistenza di reali capacità affettive ed educative e di un istinto di solidarietà umana, che devono essere presenti in coloro che desiderano integrare i figli di altre persone nella loro vita come se fossero propri figli» (paragrafo 37 supra). 208. Prima di esaminare la questione di stabilire se le autorità italiane abbiano debitamente valutato i diversi interessi in gioco, la Corte rammenta che il minore non è ricorrente nella presente causa e, per di più, non era un membro della famiglia dei ricorrenti nel senso del- l’articolo 8 della Convenzione. Ciò premesso, non risulta che l’interesse superiore del minore e il modo in cui tale interesse è stato valutato dai giudici nazionali non rivestano alcuna im LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà portanza. A questo proposito, la Corte osserva che l’articolo 3 della Convenzione sui diritti del minore esige che «in tutte le decisioni che riguardano i minori, (...) l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione fondamentale», senza tuttavia precisare la nozione di «interesse superiore del minore». 209. Il caso di specie si distingue dalle cause che riguardano la scissione di una famiglia mediante la separazione di un minore dai suoi genitori nelle quali, in linea di principio, la separazione è una misura che può essere ordinata soltanto se l’integrità fisica o psichica del minore sia in pericolo (si vedano, tra altre, Scozzari e Giunta, sopra citata, §§ 148-151, Kutzner, sopra citata, §§ 69 82). Nel caso di specie, invece, la Corte ritiene che i giudici interni non fossero tenuti a dare la priorità al mantenimento della relazione tra i ricorrenti e il minore, e si trovassero piuttosto di fronte a una scelta delicata: permettere ai ricorrenti di continuare la loro relazione con il minore, e in tal modo legalizzare la situazione che questi avevano imposto come un fatto compiuto, o adottare misure volte a dare al minore una famiglia conformemente alla legge sull’adozione. 210. La Corte ha già rilevato l’importanza degli interessi generali in gioco. Inoltre, essa ritiene che il ragionamento dei giudici italiani riguardante l’interesse del minore non rivestisse un carattere automatico o stereotipato (si veda, mutatis mutandis, X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, § 107, CEdU 2013). I tribunali, nell’ambito della loro valutazione della situazione specifica del minore, hanno ritenuto auspicabile darlo in affidamento ad una coppia idonea ai fini dell’adozione ma hanno anche valutato l’impatto che avrebbe avuto su di lui la separazione dai ricorrenti, concludendo sostanzialmente che la separazione non avrebbe causato al minore un pregiudizio grave o irreparabile. 211. Al contrario, i giudici italiani non hanno attribuito molta importanza all’interesse dei ricorrenti a continuare a sviluppare delle relazioni con un minore di cui desideravano essere i genitori. Non hanno espressamente esaminato l’impatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore avrebbe avuto sulla loro vita privata. Tuttavia, la causa deve essere esaminata dal punto di vista della illegalità della condotta dei ricorrenti e del fatto che la loro relazione con il minore era precaria dal momento stesso in cui hanno deciso di risiedere con lui in Italia. Il legame è divenuto ancora più tenue quando, una volta conosciuto l’esito del test del dNA, è risultato che non vi era alcun legame biologico tra il secondo ricorrente e il minore. 212. I ricorrenti affermano che la procedura è stata viziata da varie lacune. Per quanto riguarda l’idea che non sarebbe stato consultato alcun perito, la Corte osserva che il tribunale per i minorenni ha preso in esame il rapporto redatto da una psicologa prodotto dai ricorrenti, senza tuttavia aderire alla conclusione di cui al rapporto in questione, secondo la quale la separazione dai ricorrenti avrebbe avuto conseguenze devastanti per il minore. A questo proposito, la Corte attribuisce una certa importanza all’osservazione del Governo secondo la quale il tribunale per i minorenni è composto da due magistrati togati e da due specialisti (paragrafo 69 supra). 213. Per quanto riguarda l’argomentazione dei ricorrenti secondo la quale i tribunali non hanno esaminato soluzioni alternative alla separazione immediata e irreversibile dal minore, la Corte osserva che, dinanzi al tribunale per i minorenni gli interessati hanno chiesto anzitutto che il minore fosse affidato a loro in via provvisoria, in attesa di una successiva adozione. Secondo la Corte, si deve tenere in mente che la procedura rivestiva un carattere di urgenza. Qualsiasi misura di natura tale da prolungare il soggiorno del minore presso i ricorrenti, come il suo affidamento provvisorio presso di loro, avrebbe comportato il rischio che il semplice trascorrere del tempo non portasse a una risoluzione della causa. 214. Peraltro, oltre all’illegalità della condotta dei ricorrenti, il Governo sottolinea che essi hanno superato il limite di età per l’adozione previsto all’articolo 6 della legge sull’adozione, ossia una differenza di età di massimo 45 anni per uno dei genitori adottivi e di 55 anni per il rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 secondo. La Corte rileva che la legge autorizza i tribunali a fare delle eccezioni a questi limiti di età. Nelle circostanze della presente causa, non si può rimproverare ai tribunali nazionali di avere omesso di esaminare questa opzione. d. Conclusione 215. La Corte non sottovaluta l’impatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore deve aver avuto sulla vita privata dei ricorrenti. Se la Convenzione non sancisce alcun diritto di diventare genitore, la Corte non può comunque ignorare il dolore morale che sentono coloro il cui desiderio di genitorialità non è stato o non può essere soddisfatto. Tuttavia, l’interesse generale in gioco ha un grande peso sul piatto della bilancia mentre, in confronto, si deve accordare una importanza minore all’interesse dei ricorrenti ad assicurare il proprio sviluppo personale proseguendo la loro relazione con il minore. Accettare di lasciare il minore con i ricorrenti, forse nella prospettiva che questi diventassero i suoi genitori adottivi, sarebbe equivalso a legalizzare la situazione da essi creata in violazione di norme importanti del diritto italiano. La Corte ammette dunque che i giudici italiani, avendo concluso che il minore non avrebbe subito un pregiudizio grave o irreparabile a causa della separazione, hanno garantito un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco, rimanendo nei limiti dell’ampio margine di apprezzamento di cui disponevano nel caso di specie. 216. Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione. PeR QUeSTI MOTIVI, LA CORTe, rigetta, all’unanimità, le eccezioni preliminari del Governo; dichiara, con undici voti contro sei, che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà Prospettive di sviluppo locale. Alcune riflessioni Guglielmo Bernabei* sommaRio: 1. Criticità del modello locale - 2. Prospettive di sviluppo locale - 3. federalismo fiscale e sviluppo locale. 1. Criticità del modello locale. L’Italia dei Comuni, da oltre vent’anni, è oggetto di riforme che fanno parte del più generale tentativo di innovare la pubblica amministrazione. Tali riforme si sono rese necessarie per due motivi principali: da un lato, l’insostenibilità economica di un sistema pubblico così come era strutturato e, dall’altro, la necessità di modernizzarlo in modo coerente e credibile rispetto all’impianto costituzionale. Inoltre, la crisi della finanza pubblica e la correlata esigenza di ridurre la spesa si accompagnavano ad una crescente insoddisfazione dei cittadini, a causa della diffusa percezione di inefficienza ed opacità del sistema pubblico (1). Fino agli scorsi decenni, il Comune era organizzato e gestito secondo le caratteristiche del tradizionale modello burocratico. Le risorse finanziare venivano trasferite dallo Stato centrale e dalle regioni all’ente territoriale secondo il criterio della “spesa storica”. Tale logica legava la natura dell’azione pubblica al rispetto della legalità formale, ponendo meccanismi di garanzia finalizzati a prevenire comportamenti negativi rispetto alle finalità pubbliche piuttosto che promuovere comportamenti virtuosi degli amministratori. Pertanto, le competenze delle amministrazioni comunali erano connesse, soprattutto, al rispetto della legalità e alla minuziosa conoscenza della normativa e delle procedure. Questo modello gestionale, alla lunga, si è rivelato insostenibile ed inappropriato. Alcuni interventi di riforma avviati in Italia, a partire dagli anni ’90, hanno interessato trasversalmente tutta la pubblica amministrazione (2), mentre altri hanno riguardato singoli settori istituzionali (3). rispetto alla definizione dei confini tra Stato e mercato, si è avuto un deciso ridimensionamento del ruolo della pubblica amministrazione, attraverso la creazione di aziende (*) Avvocato e dottore di ricerca in diritto costituzionale. (1) G. MArTINI, il potere sanzionatorio della Corte dei conti per fatti di cattiva amministrazione, in M. ANdrEIS, r. MorzENTI PELLEGrINI (a cura di), Cattiva amministrazione e responsabilità amministrativa, Atti dell’incontro preliminare AIPdA, Bergamo 7 giugno 2016, Torino, 2016, pagg. 122 e ss. (2) Tra i tanti esempi si possono ricordare la legge 241/1990, di disciplina del procedimento amministrativo e la legge costituzionale n. 3/2001 di revisione del Titolo V della Costituzione. (3) Esempi sono i decreti legislativi nn. 502/1992 e 517/1993 di riforma del settore sanitario e la legge 277/93 di modifica del sistema elettore locale. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 specializzate nella gestione dei servizi pubblici. Tale processo, più evidente a livello locale, è stato avviato dal 1993 con l’ampliamento delle forme istituzionali disponibili per la gestione dei servizi pubblici (4). Accanto alla gestione in economia e al consorzio sono state previste soluzioni più “imprenditoriali” quali l’azienda speciale, la società per azioni, oltre all’“esternalizzazione” (5). Successivamente sono state introdotte forme di privatizzazione di servizi in vari settori strategici, come, ad esempio, il gas, l’elettricità, i trasporti e l’assistenza sociale (6). Ne è derivata la diffusione di meccanismi di mercato allo scopo di garantire maggiore efficienza e offerta per l’utente (7). rispetto alle regole di funzionamento del settore pubblico sono stati introdotti, a livello comunale, una serie di tecniche di gestione manageriale proprie dell’esperienza privata, secondo la logica, di derivazione anglosassone, del new public management. Per quanto riguarda, poi, il decentramento delle funzioni tra livelli istituzionali ha trovato applicazione il principio di sussidiarietà. La legge costituzionale n. 3 del 2001, modifica del Titolo V della Costituzione, ha introdotto i provvedimenti cardine in tal senso, strutturando costituzionalmente alcune delle scelte già anticipate a livello amministrativo nei decenni precedenti (8). Essa agisce principalmente su due fronti: da un lato, attribuendo allo Stato le sole funzioni residuali, ovvero quelle funzioni che, per motivi di opportunità economica, politica e istituzionale, non possono essere esercitate dagli altri livelli di governo; dall’altro, con la modifica dell’art. 118 Cost., viene riconosciuta la sussidiarietà (9), verticale ed orizzontale. In questo modo vengono devolute ai Comuni tutte le funzioni amministrative e, nel contempo, viene stabilito l’obbligo per l’ente comunale di favorire, per lo svolgimento delle attività di interesse generale, l’iniziativa autonoma dei cittadini, in forma singola o associata (10). In particolare, mediante la sussidiarietà orizzontale, il (4) G. GIorGIo, G. MArINUzzI, (a cura di), gli amministratori comunali tra gestione del territorio e impegno politico, in Quaderni anci-ifel, n. 4/2013, pag. 10. (5) E. FrEdIANI, tra cittadini e amministrazioni pubbliche: “dialogo procedimentale e partecipazione”, in M. CAMPEdELLI, P. CArrozzA, L. PEPINo (a cura di), diritto di welfare, Bologna, 2010, pag. 388. (6) P. BIANCHI, A. BoNoMI, gli aspetti giuridici e istituzionali della società della salute, in M. CAMPEdELLI, P. CArozzA, E. roSSI (a cura di), il nuovo welfare toscano: un modello? la sanità che cambia e le prospettive future, Bologna, 2009, pagg. 187 e ss. (7) V. E. FErIoLI, le disposizioni programmatiche dei nuovi statuti regionali sulla tutela dei diritti sociali: tanti “proclami” e poca efficacia, in E. CATELANI, E. CHELI (a cura di), I principi negli statuti regionali, Bologna, 2008, pagg. 45 e ss. (8) G. VESPErINI, i “signori” dell’ordinamento locale nella nuova disciplina costituzionale, in giorn. dir. amm., 2003, pag. 770. (9) E. dE MArCo, sussidiarietà e autonomia nell’attuale quadro normativo costituzionale, in E. dE MArCo, Problemi attuali della “sussidiarietà”, Milano, 2005, pagg. 3 e ss.; G. MArTINI, il potere di governo del territorio, in A. PIoGGIA, L. VANdELLI (a cura di), la Repubblica delle autonomie nella giurisprudenza costituzionale, Bologna, 2006, pag. 165. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, ha la possibilità di cooperare con le istituzioni locali nel definire gli interventi che incidono sulle realtà sociali a lui più vicine. In questo contesto, si colloca anche la revisione costituzionale dell’articolo 119 nella misura in cui delinea i principi fondamentali del federalismo fiscale (11). L’assetto dei rapporti economico- finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, contemplati dalla legge delega 42/2009, è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa per gli enti decentrati (12), nel pieno rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale (13). La concessione di maggiore autonomia e responsabilità avrebbe dovuto far nascere, nella gestione dell’ente, una sorta di “circolo virtuoso”. Le funzioni svolte dai Comuni, infatti, in quanto enti di prossimità vicini alla comunità di riferimento, hanno ricadute dirette sul territorio (14). Il meccanismo elettorale, che prevede l’elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale, consente agli elettori/amministrati di esprimere il proprio giudizio sulla base dei risultati dell’attività istituzionale. A garantire il buon operato dell’ente comunale, dunque, in ultima istanza, agisce il controllo dei cittadini (15). Le riforme brevemente esposte, pur rappresentando una forte disconti- (10) G. PASTorI, il principio di sussidiarietà fra legislazione e giurisprudenza costituzionale, in E. dE MArCo, Problemi attuali della “sussidiarietà”, cit., pag. 43. (11) F. CorTESE, la Corte conferma che le ragioni del coordinamento finanziario possono fungere da legittima misura dell’autonomia locale, in le Regioni, n. 4/2014, pag. 793; P. FALLETTA, l’espansione dei principi statali di coordinamento della finanza pubblica ai poteri ordinamentali sugli enti locali, in giur. Cost., n. 2/2014, pag. 1118. (12) G. rIVoSECCHI, il coordinamento della finanza pubblica: dall’attuazione del titolo v alla deroga al riparto costituzionale delle competenze?, in S. MANGIAMELI, il regionalismo italiano tra giurisprudenza costituzionale e innovazioni legislative dopo la revisione del titolo v, Milano, 2014; T. SCArABEL, l’evoluzione del coordinamento della finanza pubblica: brevi considerazioni a margine di Corte costituzionale n. 272/2015, in le Regioni, n. 2/2016, pag. 415; L. ANToNINI, il coordinamento della finanza pubblica nella riforma costituzionale: la materia diventa competenza esclusiva statale, ma restano fuori le autonomie speciali. un gap difficile da colmare, in federalismi.it, n. 1/2016. (13) F. MErLoNI, sul destino delle funzioni di area vasta nella prospettiva di una riforma costituzionale del titolo v, in istituzioni del federalismo, n. 2/2014, pag. 243. Inoltre cfr. CorTE dEI CoNTI – SEzIoNE dELLE AUToNoMIE, audizione sulla finanza delle Province e delle Città metropolitane - Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, 23 febbraio 2017. (14) E. CArLoNI, differenziazione e centralismo nel nuovo ordinamento delle autonomie locali: note a margine della sentenza n. 50/2015, in diritto Pubblico, n. 1/2015, pag. 149; P. CoLASANTE, dati e tendenze del contenzioso costituzionale fra stato e Regioni (2006-2010), in N. VICECoNTE, P. CoLA- SANTE (a cura di), la giurisprudenza costituzionale e il nuovo “regionalismo”, Milano, 2012, pag. 61. (15) In tale direzione si pone anche il decreto-legge n. 174/2012, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213, che reca numerose disposizioni concernenti gli enti locali, prevedendo l’obbligo di trasparenza dei redditi degli amministratori dei Comuni con più di 15mila abitanti, il cui stato patrimoniale dovrà essere pubblicato annualmente, nonché all’inizio ed alla fine del mandato, e ridisegna il sistema dei controlli interni. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 nuità con il precedente modo di gestione dell’ente locale, non hanno avuto sempre un percorso “lineare”; anzi, nel corso delle varie legislature parecchi sono stati i ripensamenti e le contraddizioni rispetto alla via intrapresa. Il risultato è che il dato normativo è incerto; vecchie e nuove norme spesso si accavallano tra loro o si contraddicono, e le riforme iniziate non sono giunte a compimento. Sarebbe necessario, da parte del legislatore statale e regionale, uno sforzo congiunto per portare a termine, in maniera organica, coerente e sistematica il complesso delle disposizioni che si sono succedute nel tempo (16). Al contrario, la crisi economica che si è abbattuta negli ultimi anni, ha incrementato il ricorso alla decretazione di urgenza. La necessità di ridurre i costi dell’apparato pubblico ha spinto il legislatore ad intervenire pesantemente anche nei confronti dei Comuni, in assenza di concertazione e con provvedimenti imposti. In queste condizioni amministrare un ente comunale presenta una serie di criticità che rende necessario elaborare ed introdurre nuove soluzioni gestionali. 2. Prospettive di sviluppo locale. Sotto la spinta della, seppur incompleta, riforma autonomista, lo sviluppo dei concetti di autonomia e di sussidiarietà, in un contesto finalizzato ad incrementare la partecipazione attiva della società civile, può far accrescere il ruolo che i cittadini possono esercitare sull’esito delle funzioni pubbliche. Per gli amministratori locali si tratta di ripensare e riorientare le modalità di public governance. Il paradigma gestionale della public governance si basa sull’assunto che la missione dell’ente pubblico non si esaurisce nella produzione efficiente dei servizi pubblici, nella minimizzazione dei costi e nella massimizzazione dei ricavi, ma richiede, altresì, l’esistenza di meccanismi di accountability con la comunità di riferimento, considerata sia in termini di utenti/consumatori di servizi sia in termini di cittadini. Questi ultimi, al fine di vedere protetti i loro interessi e soddisfatte le esigenze, possono istaurare un rapporto trasparente con l’ente comunale, che deve rendere conto delle proprie scelte e delle proprie azioni. occorre, dunque, che i Comuni si aprano all’esterno e agiscano in un contesto di “rete”. Con una logica gestionale a rete, il ruolo degli amministratori diventa quello di coordinare, attraverso regole e prassi amministrative, le strutture organizzative e i processi istituzionali. Gli enti comunali da soli centri produttivi di servizi debbono coltivare l’aspirazione di trasformarsi in centri strategici di una fitta rete di relazioni tra (16) G. GArdINI, Crisi e nuove forme di governo territoriale, in istituzione del federalismo, n. 3/2015, pag. 559. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà organizzazioni pubbliche, private e del terzo settore per il soddisfacimento di bisogni complessi e per la realizzazione di obiettivi condivisi. Si tratta di un approccio nuovo, in cui il concetto di “buon governo” non riguarda soltanto l’efficiente uso delle scarse risorse disponibili rispetto a quanto prodotto, ma anche i processi istituzionali, i quali devono essere caratterizzati da apertura verso l’esterno. dato che, nella complessità del contesto socio economico attuale, non esistono singoli soggetti con a disposizione tutte le informazioni e il potere di risolvere i problemi che emergono dal territorio, il punto focale della public governance diventa l’interazione tra pubblico e privato. La crescente importanza dell’azione coordinata di più soggetti per la realizzazione dei programmi pubblici dovrebbe stimolare lo sviluppo di una più attenta interazione tra le azioni di governo e la società civile, e di una diversa relazione tra interventi decisi e gestiti a livello politico-amministrativo e forme di auto-organizzazione a livello sociale. L’universo dei Comuni italiani, dunque, sta affrontando una ridefinizione dei propri confini (17), sia in senso strettamente amministrativo e territoriale, sia in termini di ruoli e di responsabilità assunte. Tale fase di transizione è determinata dal combinarsi di due fenomeni: da un lato, la forte spinta dei decisori pubblici nazionali a favore di politiche di riordino territoriale, tornate all’ordine del giorno dopo numerose proroghe e periodi di congelamento; dall’altro, la pressione esercitata dall’Unione Europea in favore di un coinvolgimento diretto ed attivo delle Città nell’utilizzo dei fondi comunitari. Nel primo caso le politiche nazionali di riordino territoriale impattano sull’universo dei Comuni italiani, traducendosi principalmente negli enti ed istituti noti con il nome di Città metropolitane, Unioni di Comuni e fusioni intercomunali (18). Nel secondo caso si rendono, invece, necessarie operazioni di categorizzazione dei territori comunali italiani nell’ambito dei percorsi di definizione delle modalità con le quali impiegare i fondi comunitari per la coesione durante il prossimo ciclo settennale di programmazione (19). A tal fine, si individuano i Comuni di aree interne, le Città medie e, ancora una volta, le Città metropolitane come territori strategici per l’utilizzo e la gestione dei (17) d. BArToLINI, F. FIorILLo, le associazioni tra Comuni, un approccio teorico, in F. FIorILLo, L. roBoTTI, (a cura di), l’unione dei Comuni. teoria economica ed esperienze concrete, Milano, 2006, pag. 54 e ss. (18) G. GArdINI, Crisi e nuove forme di governo territoriale, in istituzioni del federalismo, n. 3/2015, pag. 541; M. dE doNNo, le politiche regionali di riordino territoriale locale. unioni, fusioni e altre forme associative tra Comuni, in F. BASSANINI, F. CErNIGLIA, A. QUAdro CUrzIo, L. VANdELLI (a cura di), territori e autonomie. un’analisi economico-giuridica, Bologna, 2016, pag. 117; L. VANdELLI, enti locali. Crisi economica e trasformazioni del governo locale, in libro dell’anno del diritto 2012, roma, 2012, pagg. 309 e ss. (19) G. MArINUzzI, T. ULIVIErI, la nuova geografia comunale. dalle città metropolitane alla fusione di Comuni, in Quaderni di analisi, Anci-Ifel, n. 4/2014, pagg. 8 e ss. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 fondi europei. Alla luce della coesistenza dei due fenomeni appena accennati appare utile evidenziare i caratteri della nuova geografia comunale italiana. In tema di risorse, è utile, poi, rifarsi al dato oggettivo dei numeri: l’addizionale Irpef copre circa l’11% delle entrate tributarie; la tassa sui rifiuti il 25%, è fondamentalmente una imposta di scopo finalizzata a finanziare un servizio; le imposte sugli immobili circa il 40%. I dati sugli investimenti della pubblica amministrazione evidenziano, in relazione al Pil, che nel 2008 erano circa il 3,5% del Pil mentre oggi sono circa il 2,3% e si è ridotta ulteriormente anche la spesa di investimento delle amministrazioni locali, che era circa il 2% prima della crisi e, in seguito, si è ridotta all’1,4%. Gli investimenti delle amministrazioni locali erano all’inizio degli anni 2000 circa l’80% del totale degli investimenti pubblici, oggi sono meno del 60%. Il quadro complessivo sottolinea che per affrontare la crisi finanziaria sono stati compiuti interventi molto rigidi e selettivi. Sono stati protetti alcuni servizi, specificamente pensioni e sanità, mentre si è pesantemente intervenuti su altri, in particolare sulla spesa locale, diversa dalla sanità, e sugli investimenti. Si sono anche ridotte le imposte locali, privilegiando di nuovo i trasferimenti. In questo contesto, settori importanti dell’autonomia locale, a cominciare da quella tributaria, sono stati fortemente ridimensionati. L’abolizione dell’Ici, poi diventata Imu, poi Tasi e poi nulla, ha lasciato un vuoto pesante. In termini di responsabilizzazione degli amministratori locali appare inconcepibile che un Comune non possa tassare i propri residenti, ossia coloro che votano e che possono esprimere un giudizio sul comportamento degli enti locali, ma possa tassare, invece, i non residenti e le imprese, che non votano. È esattamente l’opposto di quello che si dovrebbe fare. L’idea che si possa costruire una compiuta autonomia tributaria a livello comunale senza avere una imposta che coinvolga anche la prima casa diventa difficile da immaginare; infatti, l’autonomia tributaria locale, per sua stessa natura, si fonda sugli immobili di residenza. Quale che sia la scelta perseguita, va comunque reintrodotta un minimo di autonomia tributaria, al fine di consentire ai Comuni di avere un margine di variazione sulle proprie entrate. Altrimenti, è difficile sostenere attività di investimento o gestire eventi imprevisti. Per quanto concerne l’addizionale Irpef, come imposta comunale, occorre un intervento importante di rivisitazione. Infatti, l’attività redistributiva tramite Irpef va svolta dallo Stato, e, con circa 8000 Comuni, una addizionale fortemente differenziata può creare effetti distorsivi sulla mobilità dei cittadini. Va, inoltre, rivisto il catasto, onde evitare pesanti distorsioni. Non è stata attuata una legge delega che già lo prevedeva, a causa del fatto che la delega stessa stabiliva l’invarianza di gettito a livello comunale. Tuttavia, l’invarianza LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà si doveva recuperare a livello nazionale, riaggiustando gli effetti su base comunale eventualmente tramite trasferimenti. Se si sono introdotti trasferimenti per compensare i Comuni dell’abolizione di Ici-Imu-Tasi, la stessa cosa poteva essere compiuta per il catasto. Per quanto, poi, riguarda il sistema di riparto dei trasferimenti, la soluzione raggiunta con il calcolo dei fabbisogni standard da parte del Sose crea perplessità metodologiche; risulta poco trasparente, e rischia di limitare eccessivamente l’autonomia dei singoli Comuni. Il tema dei trasferimenti, va, dunque, ripreso da un altro punto di vista. occorre rivedere l’interpretazione data al comma 3 dell’articolo 119 della Costituzione, secondo la quale, per regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni, sono possibili solo i trasferimenti di tipo perequativo, rendendo, così, meno leggibile il quadro dei trasferimenti. Quindi, o si chiede alla Corte Costituzionale di interpretare in modo diverso il comma 3, oppure si trova un altro modo per introdurre nuovamente i trasferimenti. Altra problematica storica italiana è rappresentata dall’eccessiva frantumazione dell’ente comunale: troppi Comuni e, spesso, troppo piccoli per sfruttare le economie di scala, con eccessi di spesa e bassa qualità dei servizi. Teoricamente, la fusione potrebbe essere la soluzione migliore. Ma da un punto di vista politico è probabilmente preferibile la soluzione dell’Unione di Comuni, come passo intermedio, o finale, di un processo di aggregazione. È difficile ricostruire l’esperienza delle Unioni in Italia. Infatti, nonostante l’ampio sviluppo delle Unioni, soprattutto in anni recenti in alcune regioni, non esiste un’anagrafe nazionale delle Unioni stesse, quindi non si sa quante siano, chi ne sia partecipe e cosa fanno. dunque, non è neppure possibile studiarne compiutamente l’efficacia. L’obiettivo potrebbe essere una “soluzione alla francese”, ossia lasciare ai piccoli Comuni la loro autonomia politica, ma centralizzare tutta l’attività amministrativa e offrire in Unione tutti i servizi per cui ci siano rilevanti economie di scala o di scopo. Questo è importante per migliorare l’efficienza dei servizi. Per esempio, l’Italia, nel 2016, ha usufruito di una clausola di flessibilità nei vincoli europei per incentivare gli investimenti pubblici. Ma ex post, invece di aumentare, gli investimenti pubblici si sono ridotti. Ci sono diverse possibili spiegazioni, ma a questo risultato non è estraneo la perdita di capacità progettuale dei Comuni, soprattutto dei Comuni più piccoli, indotta dal blocco del turnover del personale. È necessario ricostruire questa capacità amministrativa ad un livello più alto, l’Unione appunto, per poi offrire questi servizi ai singoli Comuni. Va trovata, inoltre, una soluzione strutturale sugli investimenti, che sono crollati durante gli ultimi anni, anche perché i patti di stabilità, così come sono stati costruiti, hanno bloccato la capacità di spesa dei Comuni. dunque, vanno riviste le regole che hanno condotto al recente crollo. E rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 gli investimenti a livello locale hanno sempre rappresentato una parte maggioritaria della spesa in conto capitale delle amministrazioni pubbliche. Anche gli interventi correttivi, introdotti con la revisione dei patti di stabilità interna, per quanto utili, non risolvono il problema in maniera strutturale. Il sistema, comunque, prevede che un Comune non possa finanziare gli investimenti indebitandosi, ma solo dismettendo attività patrimoniali pre-esistenti. Le possibili proposte, in qualche misura già ipotizzate da interventi legislativi recenti, sono: • re-introdurre una sorta di golden rule a livello municipale, imponendo l’equilibrio di bilancio sulla spesa corrente, ma lasciando la possibilità di indebitarsi, all’interno di limiti predeterminati, per finanziare la spesa per investimenti; • lo Stato lascia uno spazio finanziario per gli investimenti agli enti locali. Visto che l’obiettivo, sancito in sede europea, prevede tassi massimi di indebitamento per il complesso delle amministrazioni pubbliche, lo Stato nazionale potrebbe prevedere un surplus in alcuni componenti dell’aggregato per consentire gli investimenti a livello locale. Per esempio, lo 0,3%-0,4% del PIL ogni anno potrebbe essere destinato agli investimenti degli enti locali e regionali, trovando un meccanismo in cui questo spazio viene allocato a regioni e Comuni tramite bandi competitivi, che naturalmente dovrebbero anche tener conto della situazione finanziaria dei singoli enti e della possibilità di ripagare il debito; • re-introdurre i trasferimenti in conto capitale, rivedendo l’interpretazione corrente dell’articolo 119 Cost., secondo il quale solo i trasferimenti perequativi sono consentiti. Altre ipotesi possono consistere nella possibilità di isolare il sistema della finanza regionale e locale dal resto della finanza pubblica. Ciò sarebbe dovuto avvenire, dal lato della spesa, definendo competenze e livelli essenziali di fornitura di servizi e, dal lato delle entrate, eliminando i trasferimenti e attribuendo specifiche fonti di entrata alle amministrazioni locali, in gran parte compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio, in modo da garantire a queste amministrazioni una relativa certezza sull’ammontare di risorse a loro disposizione, liberandole dalla soggezione delle manovre di finanza pubblica. Al momento la non praticabilità di questa impostazione è data dall’esempio della sanità. Il finanziamento complessivo, infatti, non viene determinato a partire da una valutazione, a livello micro, dei livelli essenziali delle prestazioni. Nella realtà, si parte dal livello macro, si fissa l’ammontare di risorse che è possibile destinare al sistema sanitario nei successivi tre anni, e poi si ripartiscono le risorse stesse sulla base di un pro capite corretto per l’età. LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà 3. federalismo fiscale e sviluppo locale. Una ulteriore questione risiede nella motivazione iniziale della discussione sul federalismo fiscale in Italia, tema strettamente intrecciato con la questione settentrionale. Ancora alla fine degli anni ’80, il federalismo fiscale non era un punto rilevante nell’agenda politica. Quando, negli anni ’90, lo è diventato si è immaginato che, attraverso il decentramento fiscale, fosse possibile spostare risorse da amministrazioni inefficienti ad amministrazioni efficienti, assumendo che quelle inefficienti fossero concentrate al Sud. Se quest’ultimo assunto è fondato, il ragionamento che lo segue, tuttavia, trascura il fatto che i livelli di spesa nel Sud erano e sono più bassi di quelli del Nord. Prendendo in esame il complesso della spesa pubblica nel primo decennio degli anni 2000, e la situazione oggi non è diversa, si vede che, fatta 100 la media italiana pro capite, nelle regioni a statuto speciale del Nord e nel Lazio la spesa è circa 130, nelle regioni a statuto ordinario del Nord e in quelle del centro, escluso il Lazio, è 102-103, nelle regioni del Sud è 80 e 90, 80 in quelle a Statuto ordinario e 90 in quelle a Statuto speciale. Se questo è il quadro di partenza, è chiaro che operazioni di redistribuzione delle risorse finanziarie basate su un criterio di uniformità, nel territorio nazionale, dei livelli essenziali di prestazione dei servizi non porterebbero a uno spostamento di risorse dal Sud al Nord, semmai al contrario. La grave sperequazione non è affrontabile con il mero superamento della spesa storica, ma mediante il grado territoriale di efficienza dei servizi pubblici resi. Un aspetto rilevante, dunque, riguarda il laborioso processo di costruzione dei fabbisogni standard per i Comuni; va, infatti, sottolineata la correlazione tra fabbisogni - misurati sulla base della spesa effettiva e non su livelli essenziali di prestazione - e capacità fiscale. Con particolare riferimento ai fabbisogni standard, la raccolta di informazioni e di dati risulta preziosa non solo in fase di studio, ma anche come strumento di policy. Il meccanismo di sviluppo locale, specialmente in termini di reperimento delle risorse, necessita di un deciso ripensamento. occorre, infatti, garantire alla finanza regionale e locale una relativa certezza di risorse finanziarie. Questo è un aspetto fondamentale; una programmazione effettiva di bilancio che consenta a tutti i soggetti locali, quindi anche ai Comuni e alle regioni, di programmare le proprie politiche. Sulla crisi delle relazioni finanziarie tra livelli di governo su un orizzonte temporale di breve-medio termine, l’idea potrebbe essere quella di prevedere, da parte dello Stato, due distinte manovre economiche; la prima, per la finanza locale e regionale, da approvare entro il mese di settembre, e la seconda per la finanza delle amministrazioni centrali e della previdenza, che seguirebbe i tempi del bilancio dello Stato, da approvare entro dicembre. Tale meccanismo potrebbe garantire un quadro di certezza alle autonomie, e consentirebbe loro di approntare i propri bilanci entro l’anno. In questo rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 senso, la pretesa di eliminare i trasferimenti porta ad artifici che possono diventare pericolosi e che tolgono credibilità all’intero sistema delle autonomie locali (20). Sulla base delle argomentazioni finora introdotte emerge che la necessità, da parte degli enti locali, di reperire risorse conduce alla possibilità di individuare ulteriori forme di federalismo municipale. Tra gli aspetti di maggiore interesse si segnala l’imposizione di scopo, caratterizzata dalla flessibilità con cui può adattarsi agli ordinamenti degli enti locali. In questo modo, si intende evidenziare un duttile strumento in termini di capacità di generare gettito, non foriero di rilevanti complicazioni dal punto di vista degli adempimenti amministrativi nella fase di esazione. risulta centrale, poi, la questione della implementazione dei meccanismi di “cattura del valore” che emergono, ad esempio, dalla realizzazione di infrastrutture a vantaggio di diverse categorie di soggetti che, a vario titolo, ne sono interessati (21). Il principio della cattura del valore, infatti, richiede che i beneficiari sostengano, in larga parte, l’onere dell’infrastruttura, consentendo una migliore redistribuzione dei benefici prodotti dagli investimenti pubblici (22). originariamente il tema si è affermato grazie alla letteratura economica e finanziaria di lingua inglese, la quale si è occupata per prima di “Value Cap- ture” (23). Va, dunque, sviluppata una nuova prospettiva per i governi locali, (20) G. GorI, P. LATTArULo, opere pubbliche: l’effetto della crisi sulla scarsità di risorse e sull’efficienza del mercato, Firenze, IrPET, 2013. (21) P. UrBANI, urbanistica consensuale. la disciplina degli usi del territorio tra liberalizzazione, programmazione negoziata e tutele differenziate, Torino, 2000. (22) S. MoroNI, il falso problema del consumo di suolo e il vero problema dell’uso. Considerazioni sul fattore terra. relazione alla XXXII Conferenza Scientifica dell’Associazione Italiana di Scienze regionali, Torino, 2011. (23) A.A. ALTSHULEr, J.A. GoMEz-IBANEz, the Political economy of exactions of land use exacions, in A.A. ALTSHULEr, J. A. GoMEz-IBANEz, Regulations for Revenue, Brooking Institution, Washington, 1993; r.V. ANdELSoN, land-value. taxation around the World, Blackwell, oxford, 2000; d. BANISTEr, J. BErECHMAN, transport investment and economic development, University College London (UCL), London, 2000; C.r. BoLLINGEr, K. IHLANFELdT, d.r. BoWES, spatial variation in office Rents within the atlanta Region, in urban studies, vol. 3 n. 7/1998, pagg. 1097-1118; J.K. BrUECKNEr, infra- structure financing and urban development: the economic of impact fees, in Journal of Public economics, vol. 66, n. 3/1997, pagg. 383-407; J. CArr, L. SMITH, Public land banking and the Price of land, in land economics, vol. 51, n. 4/1975, pag. 316-330; r. dYE, d.F. MErrIMAN, the effect of tax increment financing on economic development, in Journal of urban economics, vol. 47, 2000, pagg. 139166; r.C. 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AMBorSKI, LEGISLAzIoNE Ed ATTUALITà al fine di mobilitare risorse aggiuntive, sia attraverso i tradizionali canali di debito, sia ricorrendo a forme innovative di finanziamento (24). rientra in questo ambito, ad esempio, la partecipazione di soggetti privati come apportatori di capitali e di capacità progettuale, oltre all’introduzione di imposte di scopo che riescano a cogliere il beneficio generato dalla realizzazione delle nuove infrastrutture (25). La tassazione di scopo risulta maggiormente appropriata per i livelli di governo più vicini ai cittadini, in modo da presidiare la realizzazione delle infrastrutture finanziate; articolate, poi, possono essere le metodologie di cattura del valore. In questo senso, gli approcci identificabili sono due: quello che correla il beneficio ottenuto con il livello di imposizione, tipico delle imposte di scopo per lo sviluppo infrastrutturale, e quello in cui il livello di tassazione è legato al livello di esternalità, secondo il principio del “chi inquina paga”. Quest'ultimo aspetto è tipico delle politiche ambientali finalizzate alla riduzione del livello di esternalità negative, penalizzando la loro produzione con un livello di tassazione più elevato (26). Ne consegue l'esigenza di una precisa identificazione dell’opera da finanziarie tramite imposta di scopo. La scelta, infatti, può ricadere in un intervallo che varia dall’identificazione di un’opera specifica fino alla definizione di un pacchetto di opere tra loro connesse. Va, poi, sottolineato come più ci si allontana dal singolo progetto, più risulta difficile identificare sia le esternalità, positive e negative, sia i soggetti coinvolti su cui le stesse esternalità impatteranno. Si tratta, in ogni caso, di un problema legato alla necessità di misurare correttamente le esternalità, così da modulare la struttura impositiva in maniera efficiente (27). Infatti, occorre “misurare” i soggetti coinvolti al fine di identificare il perimetro dei soggetti beneficiati/penalizzati dall’intervento pub- value capture for urban development: an inter-american Comparison, Working Paper, Lincoln Institute of Land Policy, Cambridge, 2000; r. VICKErMANN, infrastructure and Regional development, Pion Li- mited, London, 1991. (24) V. FErrI, Considerazioni sull’evoluzione della finanza dei Comuni e sul finanziamento della città pubblica, in P. UrBANI (a cura di), Politiche urbanistiche e gestione del territorio, Torino, 2015, pag. 259. (25) A. zATTI, mobilità e sviluppo urbano sostenibile: principi e indicazioni operative, Università degli Studi di Pavia, dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. (26) M. CECCHETTI, la disciplina giuridica della tutela ambientale come “diritto dell’ambiente”, in federalismi. it., pag. 78; S. CIPoLLINA, Considerazioni sulla fiscalità ambientale nella prospettiva del federalismo fiscale, in L. ANToNINI (a cura di), l’imposizione ambientale nel quadro del nuovo federalismo fiscale, Napoli, 2010, pag. 90, il quale afferma che “i problemi ambientali sono poliedrici, per cui si ritiene che l’approccio multiforme sia economicamente più efficace ed efficiente degli strumenti singolarmente considerati”; C. VErrIGNI, tributi di scopo, tutela ambientale e divieto di esecuzione degli aiuti di stato, in Riv. di dir. finanz. e sc. fin., 2006, pag. 23. (27) F. BIAGI, G. BroSIo, G. TUrATI, le imposte di scopo: una rassegna di alcuni casi interessanti, in economia Pubblica, anno XXXIV, n. 5 - 2004. rASSEGNA AVVoCATUrA dELLo STATo - N. 4/2017 blico. La possibilità di individuare soggetti beneficiari, e quindi soggetti passivi per le imposte di scopo, è di fondamentale importanza (28). Nella strutturazione di una adeguata forma di imposizione di scopo, inoltre, va posta attenzione sugli aspetti che possono condizionare l’efficacia di tali forme impositive e degli interventi che esse sostengono. È necessario, poi, porre in evidenza come la maggior parte degli strumenti di cattura del valore rappresentino elementi di rallentamento della crescita urbana, in quanto, i costruttori, per esempio, potrebbero essere incentivati a realizzare altrove i propri investimenti. Qualsiasi sia il modello che si intende seguire è comunque auspicabile che, con l’introduzione di un’imposta di scopo basata sul principio della cattura del valore, si fornisca un impianto che consenta al governo locale di riappropriarsi delle spese sostenute per le infrastrutture, riportando in mano pubblica una quota di quel plusvalore conseguente alle scelte di pianificazione territoriale e/o alla realizzazione di importanti opere pubbliche (29). Pertanto, ponendo come filo conduttore le potenzialità degli strumenti di “cattura del valore”, si vuole sottolineare come il governo locale dovrebbe valersi dell’opportunità di personalizzare questi dispositivi non solo in relazione alle specifiche caratteristiche del contesto territoriale di applicazione ma anche in riferimento alla ottimizzazione del rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti. (28) P. LIBErATI, M. PArAdISo, the positive character of the benefit theory of taxation and accountable local public finance: the thought of sergio steve, Università di roma Tre, dipartimento di Economia, Università di Bari, dipartimento di scienze economiche, 28/06/2012, MPrA Paper n. 43671. (29) C. AGNoLETTI, G. FErrAINA, il “contributo di costruzione” nel finanziamento della città pubblica. il caso dell’area fiorentina, in ISEA e altri, la finanza locale in italia, rapporto 2009, Franco Angeli, 2010. Contributididottrina L’ispezione nel diritto amministrativo Michele Gerardo* Sommario: 1. aspetti generali - 2. ispezione quale atto di procedimento (cd. ispezione istruttoria) - 3. Procedimento amministrativo di ispezione (cd. ispezione ordinaria) - 4. ispezione quale atto del processo amministrativo - 5. Distinzione dall’inchiesta. 1. aspetti generali. Il significato ricorrente del termine ispezione è quello di una osservazione puntuale, di un esame attento di persone, cose, luoghi condotto nell'ambito di una prassi, consueta o straordinaria, a scopo di controllo o di vigilanza o anche per ricavarne elementi di giudizio. In tale essenziale significato l’ispezione è conosciuta nel diritto processuale civile (artt. 118 e 258-264 c.p.c.), nel diritto processuale penale (artt. 244-246 c.p.p.), nel diritto processuale tributario (art. 7, comma 1, D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546), nel diritto processuale contabile (art. 61 D.L.vo 26 agosto 2016, n. 174) nel diritto amministrativo processuale (art. 63, comma 2, D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104) e nel diritto amministrativo sostanziale. L’ispezione, calata nel diritto amministrativo, costituisce quindi una attività della P.A. compiuta per conoscere determinati fatti. Possiamo distinguere ispezioni: - ordinarie o straordinarie, con riferimento al carattere periodico o meno con cui vengono effettuate; -interne o esterne, con riguardo al rapporto che intercorre tra l'ufficio ispezionante e quello ispezionato; -tecniche, contabili, organizzatorie, sulla base del parametro conoscitivo. (*) Avvocato dello Stato. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 La finalità dell’ispezione è, generalmente, quella di verificare che l’oggetto ispezionato rispetti determinate regole ed è quindi collegata alla funzione di vigilanza o controllo; ma può essere altresì quella di acquisire dati per una futura regolamentazione (finalità conoscitiva “pura”). Pertanto, vi sono ispezioni non collegabili a controlli e -parallelamente -controlli che non si sostanziano in ispezioni. come anche possono sussistere controlli che si risolvono esclusivamente in ispezioni. L’ispezione, nel diritto amministrativo, può costituire atto istruttorio di un procedimento amministrativo oppure autonomo procedimento amministrativo (1). nel primo senso si richiama l’art. 6, comma 1, lett. b L. 7 agosto 1990, n. 241 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”). nel secondo senso si richiamano le numerose disposizioni prevedenti procedimenti ispettivi in importanti campi dell’attività amministrativa, tra cui: -artt. 45-48 e 68-75 del r.D. 26 aprile 1928, n. 1297 sulle ispezioni scolastiche; -artt. 24-25 del D.P.r. 10 luglio 1991 n. 231 sull’attività ispettiva del- l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AgcoM); -art. 10 del D.L.vo 17 marzo 1995, n. 230 sui controlli ispettivi del- l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (AnPA) sulla sicurezza degli impianti e la protezione sanitaria contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall’impiego pacifico dell’energia nucleare; -art. 8 D.P.r. 9 maggio 2001, n. 244 sulle procedure istruttorie dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg); -D.L.vo 23 aprile 2004, n. 124 e D.L.vo 14 settembre 2015, n. 149 sul- l’attività ispettiva in materia di lavoro e previdenza sociale (2); -art. 2 della L.r. campania 23 dicembre 2015, n. 20 sulle azioni ispettive nei settori sanitari e socio-sanitari nella regione campania; -art. 213, comma 5, D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50 sull’attività ispettiva dell’Autorità nazionale anticorruzione (AnAc) in materia di vigilanza e contratti pubblici e di erogazione degli stessi (3). 2. ispezione quale atto di procedimento (cd. ispezione istruttoria). nell’ispezione quale atto di procedimento viene in rilievo un atto endo (1) Per un affresco generale sulla materia: A. DegLI eSPoStI, voce ispezioni e inchieste amministrative, in Digesto, 1993 - Aggiornamento 2011; V. tenore, L'ispezione amministrativa e il suo procedimento, giuffré editore, 1999; L. MAzzAroLLI, g. PerIcu, A. roMAno, F.A. roVerSI MonAco, F.g. ScocA (a cura di), Diritto amministrativo, vol. I, IV edizione, Monduzzi editore, 2005, pp. 623-626. (2) Sulle ispezioni in materia di lavoro e previdenza sociale: M. eSPoSIto (a cura di), il nuovo sistema ispettivo e il contrasto al lavoro irregolare dopo il Jobs act, giappichelli editore, 2017 - Volume presentato in Sala Vanvitelli, Avvocatura generale dello Stato, l’11 ottobre 2017. (3) Secondo le evenienze l’ispezione dell’AnAc in materia può anche costituire atto endoprocedimentale o subprocedimento nell’ambito di un autonomo e diverso procedimento. DottrInA 195 procedimentale con funzione istruttoria, al fine di accertare situazioni o comportamenti rilevanti (4). L’ispezione viene effettuata dal responsabile del procedimento amministrativo in forza dell’art. 6, comma 1, lett. b L. n. 241/1990, che così dispone: “il responsabile del procedimento: […] b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. in particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali”. La previsione della norma da ultimo citata è attributiva di potestà, ossia comporta che il potere di ispezione istruttoria costituisce un potere generale, implicito in quello di provvedere (5). nell’evenienza, però, che l’ispezione incida non sui soggetti che hanno iniziato il procedimento, ma sulla sfera giuridica di terzi (es. accesso in abitazioni o luoghi di lavoro, accesso a documenti privati, coinvolgenti soggetti diversi da quelli nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti) occorre -affinché sussista la potestà di ispezione istruttoria - una espressa previsione legislativa, come si ricava dall’art. 14, commi 2 e 3, cost. (6). A tal fine non è sufficiente la sola disposizione di cui al citato art. 6 L. n. 241/1990. L’ispezione si conclude con una relazione (cd. relazione ispettiva o rapporto), atto istruttorio che sarà valutato -insieme a tutte le altre risultanze istruttorie - dalla P.A. in sede di adozione del provvedimento definitorio del procedimento. L’ispezione istruttoria, quindi, costituisce atto -in casi di particolare complessità definitorio di un subprocedimento -strumentale rispetto ad un più ampio procedimento (ad es. di controllo), destinato a sfociare in un provvedimento di amministrazione attiva avente rilevanza esterna. Le indagini ispettive si inseriscono, in particolare, nella fase istruttoria di un più vasto procedimento "principale" e sono dunque di regola preordinate ad acquisire elementi conoscitivi necessari per lo svolgimento del- l’azione amministrativa e per l’adozione di un provvedimento di rilevanza esterna. A titolo esemplificativo, l’ispezione può inserirsi in un procedimento disciplinare coinvolgente personale in regime di diritto pubblico ex art. 3 D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165 come momento istruttorio di verifica di fatti (4) Ex plurimis: e. cASettA, manuale di diritto amministrativo, XVI edizione, giuffré editore, 2014, p. 453. (5) conf. L. MAzzAroLLI, g. PerIcu, A. roMAno, F.A. roVerSI MonAco, F.g. ScocA (a cura di), Diritto amministrativo, cit., pp. 623-624. (6) così L. MAzzAroLLI, g. PerIcu, A. roMAno, F.A. roVerSI MonAco, F.g. ScocA (a cura di), Diritto amministrativo, cit., p. 624; in senso analogo e. cASettA, manuale di diritto amministrativo, cit., p. 454. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 (7) o risultare indefettibile per completare i riscontri finalizzati alla revoca di una concessione. Quale ipotesi tipizzata di ispezione istruttoria si richiama la disposizione dell’art. 1, comma 3, L. 6 novembre 2012, n. 190 sugli atti ispettivi dell’Autorità nazionale anticorruzione (AnAc) nei procedimenti in materia di vigilanza e controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni al fine della prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalità e in materia di rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa (8); si richiama altresì la disposizione dell’art. 14, comma 2, L. 10 ottobre 1990, n. 287 sugli atti ispettivi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nei procedimenti sanzionatori per infrazione ai divieti in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante (9). L’ispezione istruttoria, in quanto atto endoprocedimentale, non è impugnabile. I suoi vizi, se si ripercuotono sul provvedimento finale, devono essere fatti valere impugnando quest’ultimo. Per i principi generali della giustizia amministrativa, il vizio dell’atto ispettivo non è immediatamente lesivo delle situazioni giuridiche soggettive del soggetto nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; manca, quindi, la condizione dell’azione dell’interesse ad impugnare. Va precisato, tuttavia, che il principio della non immedita impugnabilità degli atti di carattere endoprocedimentale è stato talvolta temperato dal giudice amministrativo. In particolare, è stato evidenziato che tale regola incontra un’eccezione nell’ipotesi in cui gli atti endoprocedimentali siano suscettibili di incidere immediatamente (7) ove il procedimento disciplinare coinvolga, invece, personale in regime di diritto privato costituente il regime ordinario del lavoro alle dipendenze delle PP.AA., a seguito della privatizzazione del pubblico impiego attuata negli anni’90 del secolo scorso - la natura giuridica degli atti sarà di diritto privato. Difatti, a termini dell’art. 5, comma 2, D.L.vo n. 165/2001 “le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”. Su tali aspetti: M. gerArDo, A. MutAreLLI, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, giuffré editore, 2012, p. 20 e ss. (8) tali compiti sono precisati: -in ordine alla inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, dall’art. 16 D.L.vo 8 aprile 2013, n. 39 e dall’art. 16 del regolamento sull'esercizio dell'attività di vigilanza in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi nonché sul rispetto delle regole di comportamento dei pubblici funzionari (Deliberazione AnAc 29 marzo 2017, n. 328); -in ordine alla trasparenza delle pubbliche amministrazioni, dall’art. 45 D.L.vo 14 marzo 2013, n. 33 e dall’art. 16 del regolamento sull'esercizio dell'attività di vigilanza sul rispetto degli obblighi di pubblicazione (Deliberazione AnAc 29 marzo 2017, n. 329); -in ordine alla prevenzione della corruzione, dall’art. 16 del regolamento sull'esercizio dell'attività di vigilanza in materia di prevenzione della corruzione (Deliberazione AnAc 29 marzo 2017, n. 330). (9) La normativa di dettaglio è contenuta nell’art. 10 del regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (D.P.r. 30 aprile 1998, n. 217). DottrInA 197 sulla posizione giuridica dell’interessato, come nel caso degli atti di natura vincolata, idonei in quanto tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, oppure degli atti interlocutori, laddove idonei a determinare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione del- l’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato (10). 3. Procedimento amministrativo di ispezione (cd. ispezione ordinaria). nell’ispezione quale oggetto di autonomo procedimento viene in rilievo un procedimento avente quale precipuo oggetto quello di indagare su una data situazione, attraverso verifiche e sopralluoghi. Per verifiche si intendono le attività di esame e riscontro, di tipo documentale, su informazioni, su documenti atti e registri, comunque esibiti dal soggetto ispezionato e su dati elementi e informazioni comunque acquisiti. Per sopralluoghi si intendono tutte le attività condotte mediante ricognizione di luoghi, strutture, impianti, anche con i relativi riscontri di tipo documentale. Il procedimento di ispezione è riconducibile ai procedimenti dichiarativi. Il procedimento dichiarativo ha lo scopo di dare certezza a fatti giuridicamente rilevanti e consta di due momenti logici: uno di acquisizione, l’altro di dichiarazione. Più in dettaglio, nel caso dell’ispezione, viene in rilievo un procedimento dichiarativo di scienza (in tale tipo procedimentale si possono ricondurre altresì l’inchiesta e la verbalizzazione), nel quale l’atto costitutivo è una dichiarazione di scienza. nei procedimenti dichiarativi di scienza vi è l’analisi di accadimenti reali, al fine dell’acquisizione di consapevolezza. La dichiarazione di scienza rende certo l’incerto, certo nel senso di acquisito al mondo della realtà giuridica. I procedimenti dichiarativi di scienza concernono fatti materiali o stati di fatto, qualità di fatto, dati fattuali del mondo reale, all’esito dei quali vi è un acclaramento (11). Il procedimento amministrativo de quo non è destinato a sfociare in un provvedimento, ma in un atto amministrativo di acclaramento. L’atto conclusivo del procedimento, difatti, non ha un contenuto di volizione (12); ossia la P.A. procedente non opera una valutazione e ponderazione degli interessi acquisiti al procedimento al fine della scelta più idonea a curare l’interesse pubblico del quale è attributaria. L’acclaramento, l’atto non provvedimentale conclusivo del procedimento, può costituire inizio di un ulteriore - ancorché collegato e senza soluzione di (10) In tal senso ex multis: cons. St., VI, 20 luglio 2011, n. 4393; cons. St., IV, 4 febbraio 2008, n. 296; t.A.r. Lazio roma Sez. I, 26 gennaio 2012, n. 865. (11) nella descrizione dei caratteri dei procedimenti dichiarativi si è seguita l’impostazione di M.S. gIAnnInI, Diritto amministrativo, vol. II, II edizione, giuffrè editore, 1988, pp. 905 e ss. (12) Ex plurimis: A.M. SAnDuLLI, manuale di diritto amministrativo, XV edizione, Jovene editore, 1989, Vol. I, p. 636. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 continuità -procedimento amministrativo (quest’ultimo da concludersi con l’adozione di un provvedimento). Sicché il procedimento ispettivo, stricto sensu, non è soggetto alla partecipazione procedimentale come delineata negli artt. 7-13 L. n. 241/90, ma alle regole generali dell’azione amministrativa, ovvero buon andamento e imparzialità della P.A. ex art. 97 cost. ciò, beninteso, ove non vi sia una disposizione normativa che preveda espressamente la comunicazione dell’avvio del procediemnto o altro istituto partecipativo. Invece, l’ulteriore procedimento amministrativo che si innesta sul procedimento ispettivo, avente l’acclaramento quale atto di avvio, è sottoposto alle regole della partecipazione procedimentale. Per quanto detto, al procedimento ispettivo può seguire, ad esempio, una sanzione amministrativa pecuniaria e/o accessoria, con applicazione degli istituti procedimentali di cui alla L. 24 novembre 1981 n. 689 (13). autorità procedente e potestà di ispezione. L’ispezione è un procedimento di indagine espletato dagli organi ordinari dell’amministrazione (14). In ossequio al principio di legalità dell’azione amministrativa nell’ambito della riserva di legge relativa (art. 97, comma 2, cost.) la potestà di attivazione del procedimento ispettivo sussiste allorché vi sia, alternativamente - una espressa previsione normativa; -un rapporto organizzatorio di sovraordinazione, regolato da disposizione normativa, intercorrente tra due soggetti o uffici o organi (15). In questa ipotesi, specie quando il rapporto è di gerarchia e di direzione, la postestà di ispezione è uno degli aspetti caratterizzanti il rapporto organizzatorio stesso, senza la necessità di un riconoscimento normativo espresso e puntuale della esistenza della potestà ispettiva; -un rapporto di vigilanza e/o di controllo regolato da disposizione nor( 13) nell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, l’art. 11, comma 3, D.L.vo n. 149/2015 statuisce che le disposizioni della L. n. 689/1981 hanno applicazione, in quanto compatibili, nei confronti dell’Ispettorato nazionale del lavoro, da intendersi quale Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’art. 17 della stessa legge n. 689. t.A.r. Lombardia Milano Sez. II, 1 febbraio 2007, n. 173 statuisce che “Secondo la giurisprudenza […] l'art. 7 della l. n. 241/1990 non esclude che l'adempimento dell'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento possa, se le circostanze lo impongano per garantire la genuinità degli accertamenti dell'amministrazione […], essere preceduto da controlli, accertamenti, ispezioni svolte senza la partecipazione del diretto interessato, che sarà edotto di queste attività con la successiva comunicazione e in tal modo sarà messo in condizione di intervenire nella procedura e contestare, se del caso, la veridicità o esattezza degli accertamenti compiuti e l'idoneità degli strumenti tecnici utilizzati”; in senso analogo cons. Stato Sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3269; cons. Stato Sez. VI, 24 febbraio 2004, n. 3190; cons. Stato Sez. V, 5 marzo 2003, n. 1224. (14) Ex plurimis: A.M. SAnDuLLI, manuale di diritto amministrativo, cit., p. 637. (15) Sui rapporti organizzatori: M.S. gIAnnInI, Diritto amministrativo, vol. I, cit., p. 304 e ss.; F.g. ScocA (a cura di), Diritto amministrativo, III edizione, giappichelli editore, 2014, p. 109 e ss. DottrInA 199 mativa. come già evidenziato, vi sono ispezioni non collegabili a controlli. tuttavia, allorché sussista una funzione di controllo, anche al di fuori di rapporti di sovraordinazione, vi è la potestà di ispezione che rappresenta l’articolazione necessaria del controllo prefigurato. Analogamente all’ipotesi antecente, si è in presenza di una potestà ispettiva da considerarsi implicita nella funzione di controllo su attività. Quando vi è una espressa previsione normativa, questa di solito precisa anche le modalità dell’ispezione (16). La sola previsione della potestà di ispezione, tenendo conto dei connotati essenziali della figura, implica una serie di poteri, tra cui: -potestà di richiedere al soggetto da ispezionare documenti, atti, informazioni, notizie e chiarimenti pertinenti all’oggetto dell’ispezione; -potestà di libero accesso alle sedi, ai locali, agli atti e documenti del soggetto da ispezionare, al fine di acquisire i dati conoscitivi; -potestà di sentire -nel corso delle verifiche -i diretti interessati, gli utenti della struttura ispezionata e quanti altri possano portare notizie utili alle indagini ed acquisire notizie anche mediante analisi, sotto il profilo amministrativo, dei verbali degli organi di controllo degli enti oggetto di ispezione (17). L’ispezione costituisce sempre l'esercizio di una potestà, a fronte della quale vi è una situazione di soggezione (18). inizio del procedimento. L’attività ispettiva ha inizio d’ufficio, con l’atto di assegnazione (detto anche lettera di incarico) della responsabilità dell’istruttoria all’incaricato. L’atto di assegnazione fissa l’oggetto, le eventuali modalità dell’indagine (16) esempi in tal senso: l’art. 10 del D.L.vo n. 230/1995 sui controlli ispettivi dell’AnPA; art. 8 D.P.r. n. 244/2001 sulle procedure istruttorie dell'Aeeg. (17) A. DegLI eSPoStI, voce ispezioni e inchieste amministrative, cit., sul punto rileva che “sul piano della pratica, vi è una decisa tendenza alla tipizzazione dei poteri in argomento con riguardo alle previsioni normative contenute nel codice di procedura penale e in quello di procedura civile; sul piano teorico, invece, regnano ancora perplessità ed incertezze circa la stessa fondatezza di detta prassi. Soprattutto l'applicazione delle norme del codice di procedura penale si espone a parecchie critiche, anche alla luce dell'estensione pressoché illimitata dei poteri ispettivi attribuiti al giudice penale. Del resto, una fedele applicazione analogica di queste ultime norme non è riscontrabile nella pratica delle ispezioni amministrative, neppure di quelle cosiddette a carattere repressivo, come le ispezioni tributarie della Guardia di Finanza. ma anche l'accostamento alla disciplina contenuta nel cod. di proc. civile, se pure più corretto, non pare scevro da forzature, visto che i poteri ispettivi del giudice civile sono soggetti a limitazioni che al contrario non esistono per la P.a., che a sua volta peraltro è sprovvista di particolari poteri attribuiti all'a.g.o. alla luce di quanto appena enunciato sul punto, si è sottolineato come dal raffronto dei poteri di cui è titolare il giudice civile, in forza delle prescrizioni dettate dal codice di quel processo, con quelli propri della P.a., non si possa ricavare un giudizio in termini di maggiore o minore limitatezza o ampiezza, ma semplicemente di diversità. Ed inoltre è stato rilevato che, nel sistema vigente, la disciplina specifica delle ispezioni amministrative è stata ricercata guardando più alla elaborazione giurisprudenziale civile e, in piccola parte, penale, che al mero dettato normativo”. (18) M.S. gIAnnInI, Diritto amministrativo, Vol. II, cit., p. 922. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 e nomina il responsabile del procedimento ispettivo in applicazione degli art. 4 e 5, 1. n. 241/1990. nel caso di sopralluoghi, copia dell’atto di assegnazione è consegnata agli interessati all’inizio dell’operazione ispettiva al fine di fornire prova all’ispezionato dell’esistenza della legittimazione a procedere in capo all’ispettore. L’atto di assegnazione è mero atto amministrativo di natura procedimen- tale, come tale non suscettibile di impugnazione autonoma. atti e prova dell’istruttoria. L’iter procedimentale, nella sua fase centrale istruttoria, si snoda in una serie di operazioni ed atti dell’organo ispettivo procedente, costituenti applicazione dei poteri riconosciuti dall’art. 6, 1. n. 241 del 1990 a qualsiasi responsabile del procedimento. ove a procedere sia un collegio ispettivo, trattandosi di collegio non perfetto, non è necessaria la presenza contestuale di tutti gli ispettori nel corso dei vari incombenti istruttori, mentre indefettibile è la sottoscrizione di detti membri in calce alla relazione ispettiva. I poteri tipici sono quelli sopraevidenziati nel descrivere l’autorità procedente e la potestà di ispezione. L’organo ispettivo che, nell'esercizio delle funzioni, viene a conoscenza di atti e fatti penalmente perseguibili o che causano danno erariale, dovrà denunciare direttamente alle autorità competenti le circostanze, i fatti e gli atti accertati nonché i soggetti presumibilmente responsabili, trasmettendo eventuali documentazioni acquisite (arg. ex artt. 361 c.p. e 52-53 D.L.vo n. 174/2016). Dell'attività svolta, delle dichiarazioni rese e dei documenti acquisiti, è redatto verbale (spesso definito processo verbale di constatazione). Il verbale consiste in un resoconto sintetico redatto da chi procede all'operazione. nel verbale sono riportate le operazioni compiute e le dichiarazioni espresse nel corso delle medesime da parte di chi vi assiste. Il verbale è sottoscritto da chi procede all'operazione e dai soggetti intervenuti. In caso di impossibilità o di rifiuto a sottoscrivere, ne è fatta menzione con l'indicazione del motivo. copia del verbale è rilasciata, a domanda, agli intervenuti (19). Il verbale, per i principi generali in materia come canonizzati anche dal giudice di legittimità, a) fa prova fino a querela di falso in ordine all’estrinseco. Questo, come confermato dall’art. 2700 c.c., attiene alla provenienza del documento dall’organo che lo ha formato, nonché alle dichiarazioni degli intervenuti e agli altri fatti che il verbalizzante attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti; b) fa fede fino a prova contraria sul contenuto dei documenti o di dichiarazioni. (19) In tal senso, ex plurimis, artt. 25, comma 1, D.P.r. n. 231/1991 e 12 D.P.r. n. 244/2001. DottrInA 201 Chiusura del procedimento. come evidenziato sopra, il procedimento amministrativo di ispezione non è destinato a sfociare in un provvedimento, ma si conclude con un atto amministrativo di acclaramento, che - in via eventuale - potrà costituire l’inizio di un ulteriore, ancorché collegato e senza soluzione di continuità, procedimento amministrativo (quest’ultimo da concludersi con l’adozione di un provvedimento). Icasticamente A.M. Sandulli rileva che le ispezioni “possono culminare in un atto ricognitivo o esaurirsi in sé stesse” (20) . Sicché, come già evidenziato, il procedimento ispettivo stricto sensu non è soggetto alla partecipazione procedimentale come delineata negli artt. 7-13 L. n. 241/1990 (21), ma alle regole generali - buon andamento e imparzialità della P.A. - dell’azione amministrativa. Alla stregua di quanto detto, il sopralluogo degli ispettori del lavoro presso la sede di un imprenditore per acclarare il rispetto della normativa in tema di assunzioni di lavoratori dipendenti non va preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento; i verbali acclareranno l’esistenza o meno di infrazioni alla disciplina in materia con le conseguenti, eventuali, contestazioni. Invece l’emissione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale, con conseguente irrogazione delle sanzioni previste dalla normativa di settore, deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento. L’attività ispettiva si conclude con la redazione da parte dell’ispettore di una relazione, con cui si esternano al titolare dell’unità operativa da cui si di (20) A.M. SAnDuLLI, manuale di diritto amministrativo, cit., p. 637. (21) Contra L. MAzzAroLLI, g. PerIcu, A. roMAno, F.A. roVerSI MonAco, F.g. ScocA (a cura di), Diritto amministrativo, cit., p. 623, nota 28 secondo cui è “È evidente che le ispezioni ordinarie costituiscono a loro volta procedimenti autonomi, e come tali soggetti a tutte le regole della l. 241 (termine per provvedere, controdeduzioni, ecc.)”. egualmente contra V. tenore, L'ispezione amministrativa e il suo procedimento, cit., p. 71 per il quale è preferibile ritenere che la comunicazione di avvio del procedimento debba essere effettuata nei confronti dell'ispezionato quando si è in presenza di ispezioni non caratterizzate da "effetto sorpresa", diversamente, laddove l'attività ispettiva sia caratterizzata da siffatto effetto, il contraddittorio verrà differito ad una fase successiva all'acquisizione degli elementi istruttori. In conformità a quanto ricostruito nel testo è la giurisprudenza; all’uopo cons. Stato Sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 6534 precisa che “il promovimento di un'ispezione disposta da un pubblico ufficio, inerendo alla fase delle indagini preliminari ufficiose, non è subordinata ad alcuna necessaria comunicazione agli interessati, in quanto la verificazione ispettiva non è un procedimento finalizzato all'irrogazione della sanzione, bensì un mero strumento di conoscenza, utile alla p.a. per decidere se attivare o meno l'azione disciplinare, per cui deve ritenersi che prima del formale avvio del procedimento la p.a. non sia tenuta, per principio, a dar notizia all'interessato dello svolgimento di atti a carattere meramente preliminare, che potrebbero pure sfociare in un'archiviazione”. In senso analogo t.A.r. emilia-romagna Bologna Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1530, t.A.r. Liguria genova Sez. II, 17 marzo 2009, n. 322 (secondo cui “Se è ragionevole, infatti, che la fase strettamente ispettiva non sia preceduta da un formale preavviso per le ragioni esposte, non risulta viceversa conforme ai disposti dell'art. 7 della Legge 241/90, che assurgono ormai a principio ordinamentale, che l'interessato non debba essere adeguatamente notiziato dei successivi ed autonomi provvedimenti che l'amministrazione intende assumere nei suoi confronti, sulla base delle risultanze della intervenuta ispezione”) e t.A.r. Lombardia Milano, n. 173/2007 cit. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 pende (o all’organo di vertice dell’amministrazione) i risultati acquisiti, integrati da eventuali proposte. La relazione ispettiva non ha natura di provvedimento amministrativo, in quanto non ha un contenuto di volizione, come già precisato. Si configura pertanto come mero atto amministrativo di acclara- mento con funzioni conoscitive per l’amministrazione. Il contenuto della relazione sarà quindi: -l’acclaramento della assenza di irregolarità. tale constatazione sfocia nella archiviazione della pratica da parte dell’organo competente; -l’acclaramento delle irregolarità riscontrate. Si parla in tal caso di atto di constatazione della violazione. copia dell’atto di constatazione della violazione è rilasciata agli ispezionati, i quali lo sottoscrivono (del loro eventuale rifiuto viene dato atto unitamente all'indicazione dei motivi, ove dichiarati); in tal modo viene instaurata una sorta di contraddittorio con l’ispezionato, a cui è consentito replicare agli addebiti mossigli, per evitare l’applicazione delle misure conseguenti ad un atto ispettivo a sé sfavorevole. Le osservazioni a contrasto delle risultanze ispettive possono ragionevolmente indurre l’amministrazione attiva a disattendere le conclusioni dell’ispettore, prevenendo un eventuale contenzioso fondato su risultanze istruttorie non pienamente convincenti (o, talvolta, addirittura inconsistenti o palesemente illegittime). Il mero atto di constatazione di violazione non è idoneo a ledere direttamente posizioni soggettive rilevanti dell’ispezionato, risultando insuscettibile di autonoma impugnativa in sede amministrativa o giurisdizionale per mancanza di attualità dell’interesse del ricorrente. Invece, può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo, talvolta congiuntamente al verbale d’ispezione, il provvedimento definitorio del procedimento amministrativo (ad esempio di controllo) avviato dall’autorità competente, che recepisca i contenuti eventualmente viziati dell’ispezione (c.d. "invalidità derivata"). ove l’atto di constatazione di violazione, consegnato in copia all’ispezionato, risulti, eccezionalmente, lesivo in via immediata di situazioni soggettive facenti capo al soggetto controllato, quest’ultimo potrà impugnare direttamente l’atto, secondo i principi generali esposti sopra a proposito del- l’ispezione quale atto endoprocedimentale. eguale discorso vale per l’atto di assegnazione consegnato - nel caso di sopralluoghi - in copia agli interessati all’inizio dell’operazione ispettiva. un caso del genere può verificarsi quando l’atto di assegnazione o il verbale di constatazione contengano false dichiarazioni, lesive della onorabilità dell’ispezionato. La cognizione della relativa lite, venendo in rilievo diritti soggettivi, spetta al giudice ordinario o, in caso di giurisdizione esclusiva, al giudice amministrativo. innesto di successivo procedimento. L’amministrazione attiva è tenuta -in ossequio ai principi di legalità, DottrInA 203 imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97, comma 2, cost.) -a dare conseguenzialità agli esiti del procedimento ispettivo. essa può, motivatamente, chiedere un riesame agli esiti della relazione (archiviazione o atto di constatazione di violazione); diversamente, è tenuta a procedere agli atti conseguenziali. All’acclaramento delle irregolarità riscontrate all’esito del procedimento ispettivo segue, quindi, un nuovo procedimento che, secondo le evenienze, potrà ad esempio essere: a) un procedimento di secondo grado (ad es. revoca di un contributo); b) un procedimento ablatorio personale (ad es. un ordine di polizia); c) un procedimento sanzionatorio (22). Sicché la relazione verrà posta alla base del procedimento amministrativo (ad esempio sanzionatorio, di recupero di contributi) che sarà avviato dall’autorità competente al quale si applicano le norme sulla partecipazione procedi- mentale ex L. n. 241/1990. In questa evenienza il procedimento ispettivo può qualificarsi come procedimento presupposto rispetto al (successivo) procedimento sanzionatorio. Disposizioni della L. n. 241/1990 applicabili al procedimento ispettivo. La legge n. 241 del 1990 contiene, come è noto, una serie di principi applicabili al procedimento amministrativo, sfociante normalmente in un provvedimento amministrativo. In assenza di diversa normativa speciale, deve ritenersi che le norme della legge n. 241/1990 relative all’attività amministrativa tout court siano applicabili al procedimento ispettivo, mentre non siano ad esso applicabili le norme relative ad un procedimento che sfoci necessariamente in un provvedimento. Alla stregua di tale criterio si applicano al procedimento ispettivo le seguenti disposizioni: - l’articolo 1 sui principi generali dell'attività amministrativa; -l’articolo 2, nella parte relativa all’obbligo di concludere il procedimento nei termini prescritti; -l’articolo 2-bis, comma 1, sulle conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento; - l’articolo 3-bis sull’uso della telematica; -gli articoli dal 4 al 6-bis espressivi delle regole generali in tema di responsabile del procedimento, soggetto ormai connaturato ad ogni procedimento, con l’eccezione delle disposizioni espressamente riferite alla conclusione del procedimento mediante l’adozione di provvedimento espresso; (22) Su tale tipologia di procedimenti: M.S. gIAnnInI, Diritto amministrativo, cit., p. 981 e ss. (per quelli di secondo grado), p. 1132 e ss. (per quelli ablatori personali), p. 1246 e ss. (per quelli sanzionatori). rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 - l’articolo 18 sulla autocertificazione; - gli artt. 22-25 sul c.d. accesso esterno. Ai sensi dell’art. 22, comma 3, “Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6”. In assenza di una espressa norma primaria o di una puntuale indicazione in sede regolamentare (D.P.r. 12 aprile 2006, n. 184, adottato ex art. 24, comma 6, 1. n. 241) che escluda gli atti del procedimento ispettivo dall’accesso, quest’ultimo è pienamente esercitabile sia da parte dell’ispezionato, sia da chiunque vi abbia un interesse giuridicamente rilevante, con le eccezioni soprarichiamate. Invece, sempre alla stregua del sopracitato criterio, non si applicano al procedimento ispettivo le seguenti disposizioni: -l’articolo 2-bis, comma 1-bis, sulle conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso, non venendo peraltro in rilievo - nel caso del procedimento ispettivo - un procedimento ad istanza di parte; -obbligo di motivazione secondo la disciplina di cui all’art. 3 (riferita specificamente ai provvedimenti); - gli articoli dal 7 al 13 sulla partecipazione procedimentale (23); -gli articoli dal 14 al 21 -ad eccezione del 18 -sulla semplificazione dell’azione amministrativa; -gli articoli dal 21-bis al 21-nonies sulla efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo, revoca e recesso. In conclusione, va rilevato che nelle fonti del diritto si rinvengono numerosi esempi di disciplina dettagliata del procedimento ispettivo. un esempio normativo della procedimentalizzazione dell’ispezione, con descrizione del- l’autorità procedente, poteri istruttori, rapporto con la L. n. 241/1990 e raccordi con successivi procedimenti, è costituito dagli artt. 1 e 2 della L.r. campania n. 20/2015. In nota si riporta stralcio dell’art. 2 (24). (23) È escluso, quindi il cd. accesso interno -previsto dall’art. 10, lett. a L. n. 241 del 1990 (“prendere visione degli atti del procedimento”) - agli atti ispettivi (lettera d’incarico, relazione ispettiva). (24) “1. La Giunta regionale, su proposta dell'assessore competente in materia di sanità, adotta, entro il 30 marzo di ciascun anno, il Piano annuale dell'attività ispettiva sanitaria e socio-sanitaria […], predisposto dall'Ufficio previsto nell'articolo 1. il Piano può essere modificato nel corso dell'anno a seguito del verificarsi di situazioni di carattere eccezionale. il Piano individua le aree prioritarie di intervento che formano oggetto dell'attività ispettiva esercitata dalla competente unità nei confronti dei soggetti controllati. 2. L'Ufficio previsto nell'articolo 1 esercita verifiche e sopralluoghi periodici sulle attività assistenziali e socio-assistenziali in conformità al Piano. oltre all'attività ordinaria, in casi di particolare gravità ed urgenza, svolge anche un'attività ispettiva straordinaria, sia di propria iniziativa che su segnalazione formale del Presidente della Giunta, della Giunta, dell'autorità politica competente in materia, della struttura amministrativa della Giunta regionale competente in materia. in ogni caso, l'attività ispettiva è svolta nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione ed è coperta da riservatezza fino alla conclusione della stessa. 3. L'Ufficio previsto nell'articolo 1 può richiedere al soggetto da ispezionare documenti, atti, informa DottrInA 205 zioni, notizie e chiarimenti pertinenti all'oggetto dell'ispezione. Ha libero accesso alle sedi, ai locali, agli atti e documenti del soggetto da ispezionare e può rivolgersi ad altri uffici pubblici regionali per acquisire informazioni e documenti. Nel corso delle verifiche può sentire i diretti interessati, gli utenti della struttura e quanti altri possono portare notizie utili alle indagini ed acquisire notizie anche mediante analisi, sotto il profilo amministrativo, dei verbali dei collegi sindacali degli enti oggetto di ispezione. 4. i Direttori generali delle aziende del Servizio sanitario regionale, degli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico pubblici, degli Enti pubblici ed i legali responsabili degli enti e delle strutture private accreditate oggetto di ispezione hanno l'obbligo di fornire agli ispettori, tempestivamente e comunque entro dieci giorni dalla richiesta, tutti i documenti, atti, informazioni, notizie e chiarimenti richiesti. 5. L'attività ispettiva ha inizio con l'atto di assegnazione della responsabilità dell'istruttoria all'incaricato. Nel caso di sopralluoghi copia dell'atto di assegnazione, nel quale è specificato l'oggetto, è consegnata agli interessati all'inizio dell'operazione ispettiva. Dei sopralluoghi è redatto un verbale nel quale sono descritte le operazioni compiute ed altresì riportate le dichiarazioni di coloro che hanno concorso oppure assistito alle operazioni stesse. il verbale viene sottoscritto dalle parti e copia dello stesso è rilasciata agli interessati. Nel caso in cui gli interessati si rifiutino di sottoscrivere ne viene dato atto unitamente all'indicazione dei motivi, ove dichiarati. 5-bis. Entro trenta giorni, prorogabili motivatamente a giudizio del dirigente, dall'inizio dell'attività ispettiva, l'Ufficio previsto dall'articolo 1: a) provvede all'archiviazione, nella evenienza che non siano riscontrate irregolarità. L'atto di archiviazione, entro il sopraindicato termine, deve essere comunicato alla struttura amministrativa della Giunta regionale competente in materia ed al soggetto ispezionato; b) redige una relazione in cui sono evidenziati gli esiti e le conclusioni, le irregolarità riscontrate nella gestione, nonché i fatti rilevanti sotto il profilo della legittimità e del merito. La relazione contiene una motivata valutazione dell'oggetto della verifica con l'indicazione delle misure che devono essere adottate per eliminare le irregolarità e le disfunzioni riscontrate, nonché specifiche proposte, se sussistono i presupposti previsti dall'ordinamento, per l'emanazione di misure sanzionatorie. La relazione, entro il sopraindicato termine, è comunicata al soggetto ispezionato. La comunicazione deve avere il contenuto di cui all'art. 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241 […] 5-ter. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui alla lettera b) del comma 5-bis, il soggetto ispezionato ha il diritto di presentare per iscritto le proprie osservazioni, eventualmente corredate da documenti. Entro il termine di dieci giorni dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al periodo precedente, l'Ufficio, salva l'archiviazione nella evenienza che non siano riscontrate irregolarità all'esito del contraddittorio - trasmette la relazione ispettiva finale, completa della relazione di cui alla lettera b) del comma 5-bis e delle controdeduzioni alle eventuali osservazioni, alla struttura amministrativa della Giunta regionale competente in materia per i provvedimenti di competenza. 6. La struttura amministrativa della Giunta regionale competente in materia, entro venti giorni dalla ricezione della relazione ispettiva finale adotta e comunica al soggetto ispezionato i provvedimenti conseguenti alle risultanze dell'attività ispettiva. Con tali provvedimenti vengono prescritte le misure che devono essere adottate per eliminare le irregolarità e le disfunzioni riscontrate, nonché adottate le misure sanzionatorie previste dall'ordinamento. 7. i Direttori Generali delle aziende del Servizio sanitario regionale, degli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico pubblici, degli Enti pubblici ed i legali rappresentanti degli enti e delle strutture private accreditate oggetto di ispezione riferiscono all'Ufficio ispettivo e alla competente struttura amministrativa della Giunta regionale, in merito alle azioni intraprese a seguito dei provvedimenti di cui al comma 6, entro trenta giorni dalla relativa comunicazione. Per le aziende o gli Enti del Servizio sanitario regionali, il mancato adeguamento agli adempimenti richiesti a seguito delle verifiche ispettive, in assenza di adeguate e valide controdeduzioni, costituisce, elemento di valutazione in sede di verifica dei risultati di gestione e, nei casi più gravi di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità della amministrazione, costituisce elemento per la decadenza ai sensi dell'articolo 3bis del decreto legislativo n. 502/1992. alle strutture private accreditate si applicano le sanzioni previste dalla normativa settoriale vigente. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 4. ispezione quale atto del processo amministrativo. L’art. 63, comma 2, del D.L.vo n. 104/2010 stabilisce che “il giudice, anche d'ufficio, può […] disporre l'ispezione ai sensi dell'articolo 118 dello stesso codice [rectius: codice di procedura civile]”. L’ispezione costituisce uno dei mezzi di prova del processo amministrativo (25). La disciplina, in via espressa, è la stessa del processo civile (26), atteso il rinvio all’art. 118 del c.p.c. (27). L’ammissione e assunzione dell’ispezione nel processo amministrativo è disciplinata dalle disposizioni contenute negli artt. 64, 65, 68 e 69 D.L.vo n. 104/2010. Per la parte non regolata dalle disposizioni da ultimo indicate si applicano inoltre - attesa la loro portata integrativa rispetto all’art. 118 c.p.c. e comunque in virtù del rinvio disposto dagli artt. 39, comma 1, e 68, comma 1, D.L.vo n. 104/2010 -gli artt. 258-264 c.p.c. disciplinanti l’assunzione di questo mezzo di prova. L’ispezione giudiziale è lo strumento con il quale si acquisisce l’efficacia probatoria di cose, luoghi o corpi di persone, ossia di oggetti che, non essendo acquisibili al processo come documenti, possono soltanto essere fatti materia di osservazione, sì da poter acquisire al processo il risultato di tale osservazione. Il risultato dell’ispezione è consacrato in un verbale, che fa fede fino a querela di falso. resta naturalmente del tutto libera la valutazione del risultato stesso. L’ispezione giudiziale ex se non è autonomamente impugnabile nel pro 8. il dirigente dell'Ufficio che nell'esercizio delle funzioni viene a conoscenza di atti e fatti penalmente perseguibili o che causano danno erariale, denuncia direttamente alle autorità competenti le circostanze, i fatti e gli atti accertati nonché i soggetti presumibilmente responsabili, trasmettendo eventuali documentazioni acquisite. Copia della denuncia è trasmessa all'assessore alla sanità e alla struttura amministrativa interna alla regione competente per la tutela della salute e il coordinamento del sistema sanitario regionale, al legale rappresentante e al presidente del Collegio sindacale dell'azienda sanitaria o altra struttura ispezionata. […]. 10. La struttura ispettiva svolge la propria attività nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 […]. i dati personali forniti, o comunque acquisiti nell'ambito dell'attività svolta, sono trattati per scopi strettamente collegati con l'esercizio dell'attività istituzionale. il personale della struttura ispettiva incaricato del trattamento dei dati accede alle sole informazioni la cui conoscenza è indispensabile per adempiere ai propri compiti e doveri d'ufficio e ne cura la conservazione in modo che non siano accessibili al pubblico”. (25) Sul tema: F.g. ScocA (a cura di), Giustizia amministrativa, VI edizione, giappichelli editore, 2014, pp. 397-398. (26) Sull’ispezione nel processo civile, ex plurimis: c. MAnDrIoLI, Diritto processuale civile, ii volume, il processo ordinario di cognizione, XXV edizione, giappichelli editore, 2016, p. 303 e ss. (27) statuente “il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti negli articoli 351 e 352 del Codice di procedura penale [ora artt. 200, 201, 202 e 204 del vigente c.p.p.]. Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può da questo rifiuto desumere argomenti di prova a norma dell'articolo 116 secondo comma. Se rifiuta il terzo, il giudice lo condanna a una pena pecuniaria da euro 250 a euro 1.500”. DottrInA 207 cedimento giurisdizionale nel quale è acquisita ed i suoi eventuali vizi si riverberano sulla sentenza definitoria del giudizio, ove sussista il nesso di dipendenza ex art. 159 c.p.c. All’evidenza, l’ispezione de qua presenta analogie con quella costituente atto istruttorio di un procedimento amministrativo. 4. Distinzione dall’inchiesta. L’ispezione è un istituto affine all’inchiesta amministrativa. Quest’ultima costituisce una indagine straordinaria di carattere transitorio ordinata dall’autorità competente a un organo appositamente creato e designato per ottenere mediante perizie, esami di documenti, investigazioni, ecc. - un complesso di conoscenze intorno a un fatto, sul quale manchino o siano insufficienti le normali fonti d’informazione. essa appartiene alla categoria degli atti ricognitivi, che sono preceduti da un procedimento di indagine e si concludono con l’adozione di una dichiarazione di scienza relativa ai fatti accertati. Attraverso il procedimento di indagine si accertano fatti o situazioni, in relazione alle quali, a motivo del loro carattere di straordinarietà, si rende necessario attivare una sede peculiare di acquisizione di conoscenza. In considerazione di tale caratteristica, l’espletamento dell’inchiesta è di solito affidato a organi appositamente costituiti, composti da soggetti normalmente estranei all’amministrazione. All’acquisizione dei fatti tramite inchiesta può provvedere la pubblica amministrazione durante lo svolgimento della fase istruttoria (inchiesta istruttoria, quale atto del procedimento) del procedimento amministrativo. nell’ambito di questa fase procedimentale, la legge prevede (citato art. 6, comma 1, lett. b L. n. 241) che possa essere disposto il compimento degli atti necessari all’accertamento d’ufficio dei fatti che costituiranno oggetto di valutazione ai fini della decisione. Il potere di inchiesta, al pari del potere ispettivo, è considerato implicito nel potere di provvedere (28). come nel caso della ispezione, anche l’inchiesta può costituire l’oggetto di un autonomo procedimento amministrativo (inchiesta ordinaria). Sul punto -data l’affinità degli istituti - vanno richiamati i caratteri della ispezione so- praevidenziati. (28) L. MAzzAroLLI, g. PerIcu, A. roMAno, F.A. roVerSI MonAco, F.g. ScocA (a cura di), Diritto amministrativo, cit., p. 625. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 L’impatto dei nuovi termini introdotti con la legge concorrenza nell’ordinamento italiano dei beni culturali Fabrizio Lemme* Sommario: 1. Premessa -2. Sulla modifica del criterio di storicizzazione di una “cosa” che può presentare interesse culturale -3. La tutela penale dei beni culturali nell’ordinamento italiano: inquadramento e riflessioni preliminari -4. alcuni primi effetti della riforma sul piano del diritto penale in relazione agli illeciti penali in materia di beni culturali. L’“esportazione illecita” di beni culturali, in particolare -5. alcuni effetti della riforma sul procedimento amministrativo (ancora) come problemi di diritto inter- temporale. 1. Premessa. Il 29 agosto 2017 è entrata in vigore la Legge 4 agosto 2017, n. 124, “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” che contiene, tra gli altri, alcuni interventi significativi in materia di tutela dei beni culturali. In subiecta materia il provvedimento è stato preceduto e accompagnato da numerose polemiche sia nelle aule parlamentari, come risulta dall’affannoso iter legislativo, sia nella pubblica opinione attraverso i mass media. Da un lato la visione di un patrimonio culturale i cui i beni -scomodando le parole del grande scultore Antonio canova -«formano catena e collezione con infiniti altri» (per dirla più prosaicamente: un patrimonio caratterizzato da diffusività, capillarità, radicalità) e che devono pertanto permanere nel luogo di origine; dall’altra quella del valore transnazionale, ovvero globale, del fenomeno artistico, che è da sempre in gran parte anche economico, e che per sua natura si collega al ruolo prezioso e insostituibile di una storia dell’arte che “si svolge” anche con il lavoro di galleristi, mercanti d’arte, collezionisti, con nuove scoperte, riconoscimenti, attribuzioni. No comment sulle polemiche, alcune prime riflessioni sui fatti. La legge 124/2017, all’art. 1, commi 175 e 176, ha introdotto, tra le varie modifiche, «al fine di semplificare le procedure relative al controllo della circolazione internazionale delle cose antiche che riguardano il mercato dell’antiquariato », una riforma del sistema delle esportazioni dei beni culturali in ambito comunitario ed extracomunitario (1), elevando l’età di una “cosa” che (*) Avv. Prof., esperto di Diritto penale dell’economia - materia per la quale ha tenuto la cattedra nel- l’università di Siena per 18 anni - ed esperto di Diritto dei Beni culturali - materia che insegna all’università Jeam Moulin di Lione. (1) Per l’ambito extra comunitario si segnala la modifica apportata all’allegato A, integrativo della disciplina di cui agli artt. 63, comma 1 e 74, commi 1 e 3 del d.lgs. 42/2004 s.m.i., Codice dei beni culturali e del paesaggio. DottrInA 209 possa presentare interesse culturale, e dunque essere “individuata” come “bene culturale”, da 50 a 70 anni. La ridefinizione della nozione di bene culturale, tanto controversa quanto decisiva - poichè da essa discende l’effettiva applicazione della normativa di tutela in quanto l’ordinamento riconosce che quel bene sia portatore di un interesse, variamente graduato in base al soggetto proprietario, pubblico o privato, e un valore per la cultura del nostro Paese - ha importanti conseguenze sul piano amministrativo e penale del sistema di tutela. tali effetti ovviamente non possono essere disgiunti da quelli propriamente culturali. tra le numerose prospettive d’analisi in tal senso, si concentra l’attenzione sull’interesse culturale che, stando al suo .t.µ.. (2), è ciò che “sta fra” (inter-esse), calato in una certa realtà (storico-identitaria per l’umanità, la nazione o la comunità locale) di cui costituisce, per più aspetti, anche un “nodo”. In quest’ottica le modifiche, per quanto ridotte ma comunque significative, apportate dalla novella legislativa, si potrebbero leggere. Di seguito si esaminano in particolare gli effetti che riguardano la circolazione internazionale dei beni culturali, alla luce delle modifiche operate dalla legge sulle disposizioni del d.lgs. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio (d’innanzi: cBcP). con funzione di premessa generale, si evidenziano alcuni principi che informano il nostro ordinamento in materia di circolazione: «il controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare l’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti» e «detto controllo costituisce funzione di preminente interesse nazionale» (ex art. 64 bis, cBcP); il principio del “divieto con riserva di permesso”, in base al quale l’esportazione è di regola vietata ad eccezione di alcuni casi particolari nei quali viene concessa. Sul tema si evidenzia -anche alla luce della “globalizzazione” della tutela dei beni culturali (3) e, in prospettiva criminologica, dei fenomeni di aggressione che li riguardano su scala mondiale - l’influenza del diritto comunitario e internazionale. In tale contesto, si eleva la delicata e urgente questione della restituzione dei beni culturali illecitamente sottratti che potrebbe, in più punti, incrociare la direttrice della nostra analisi. Solo si accenna all’introduzione di un altro elemento che concorre a modificare il quadro normativo della circolazione dei beni culturali, vale a dire la soglia economica. In precedenza era infatti prevista la sola soglia valoriale del bene con graduazione dell’interesse culturale; oggi invece per alcune categorie di beni aventi valore economico inferiore 13.500 euro, di autore non (2) nella ricchezza semantica e in parte evocativa del termine vengono richiamati: la cura, la sollecitudine, lo zelo. (3) L. cASInI, La globalizzazione giuridica dei beni culturali, in aedon. rivista di arti e diritto on line, 2012, n. 3. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni è ammessa la libera esportabilità. Si tratta di un tentativo di adeguamento, o quanto meno di apertura, al sistema di circolazione delle opere d’arte previsto in altri paesi europei (4), anche alla luce del regolamento (ce) n. 116/2009. Si affida ai decreti attuativi, attesi per lo scorso 30 ottobre, la definizione degli adempimenti a carico del soggetto interessato per comprovare, mediante autocertificazione, che si tratti di cose liberamente esportabili. Aspetto problematico che si lascia, con le altre novità previste, sullo sfondo della presente analisi pur nella consapevolezza che tutte insieme definiscono lo scenario, immediato e futuro, sul quale il Diritto e la pratica devono e dovranno confrontarsi. 2. Sulla modifica del criterio di storicizzazione di una “cosa” che può presentare interesse culturale. Di seguito si analizzano, secondo una prima e cursoria analisi, gli effetti sia sul piano penale sia su quello amministrativo, derivanti dall’innalzamento della soglia temporale della “cosa” di interesse culturale. come meglio si dirà, si dovrà necessariamente partire dalle disposizioni del cBcP interessate dalle modifiche, indagandone il tenore letterale e la qualificazione, nel textum normativo, ovvero in chiave sistematica, così da cogliere i rapporti tra le diverse disposizioni sulle quali la novella legislativa va ad incidere in maniera più o meno diretta. In tal modo si potranno porre, e successivamente forse comporre, più segnatamente alcune questioni di diritto intertemporale, che vedono la scienza giuridica confrontarsi con una nozione imprendibile, da sempre, nella storia dell’umanità: il tempo. Il filosofo Leibniz, che fu pure giurista e matematico, lo considerava (qui semplificando (5)) come l’ordine della successione delle cose: un prima, un dopo, e un dopo ancora. ci si potrebbe interrogare se in questa concezione, meglio rispetto ad altre, si rifletta l’esperienza del mondo del diritto, costituito da costruzioni normative e fatti. e della relazione fra norme e fatti (e dei loro conflitti) nel tempo si occupa appunto la scienza del (4) un esame, in chiave comparativa, di quanto avviene negli altri Paesi europei - quelli confrontabili con l’Italia senza approssimative assonanze sul piano dell’ordinamento giuridico dei beni culturali e della relativa architettura istituzionale - in tema di circolazione internazionale e, più precisamente, sul punto specifico delle modalità e procedure che riguardano l’esportazione (in specie: soglie temporali ed economiche, procedure per la (auto)certificazione; documentazione idonea a comprovare la legittimità dell’esportazione/importazione, rilevante anche in sede doganale), condotto fin nei suoi aspetti di più pratica applicazione (si pensa, in particolare, agli aspetti dell’“interoperabilità” e “omogeneità” delle informazioni e dunque della modulistica utilizzata), potrebbe risultare interessante. La misura del confronto rileverebbe altresì sul piano della tutela penale del patrimonio culturale per la quale, da diversi anni, e da più parti, si invoca una riforma che oggi pare giunta quasi al traguardo, come si dirà nel seguito. D’interesse e d’attualità sull’argomento: AA.VV, Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, giuffrè, Milano 2015. (5) Si veda: V. MAthIeu, introduzione a Leibniz, Laterza, roma-Bari 2008. DottrInA 211 diritto intertemporale, con tale sintagma specificamente intendendo quel «complesso di meta-regole che hanno la funzione di risolvere i conflitti tra norme nel tempo» (6). Deve segnalarsi, invece, sul piano del diritto transitorio, la mancanza nella nuova legge di disposizioni che regolamentino le situazioni costituitesi sotto l’imperio della legge precedente nelle quali potrebbero trovarsi beni ultracinquantennali ma infrasettantenali. La prima modifica interessa gli articoli 10 e 11, cBcP: da essi e dall’art. 2, comma 2, si può desumere la nozione, “mista” e “aperta”, di bene culturale. Dalla condizione di “bene culturale” deriva la sottoposizione alla normativa di tutela prevista nel cBcP. nello spessore della questione definitoria, si accenna alla distinzione tra patrimonio culturale dichiarato e patrimonio culturale reale: il primo da intendersi come il complesso di beni sui quali sia intervenuta una dichiarazione di interesse culturale da parte della competente autorità amministrativa; il secondo invece costituito da tutti quei beni che, pur non essendo stati “dichiarati”, siano caratterizzati da una intrinseca importante culturalità. Deve precisarsi che l’esistenza di tale seconda categoria è contestata da diversi illustri Autori (7) e in materia penale, nello specifico, l’inadeguatezza di tale opzione dipende dal fatto che l’oggetto materiale del reato, che è elemento costitutivo di fattispecie e quindi soggetto al principio di riserva assoluta di legge (art. 25, comma 2 cost.), non può trarsi al di là della stretta legalità e al di là di sicuri parametri di riferimento, che farebbero scadere nel- l’arbitrio il contenuto di una norma incriminatrice. Alla nozione di bene culturale rinviano i diversi “istituti” disciplinati nel cBcP. Dalla categoria giuridica di bene culturale dipende l’effettiva ascrizione del bene al patrimonio culturale (8), la cui tutela rientra tra i principi fondamentali dello Stato, secondo l’art. 9 della costituzione che, per effetto di un’ormai consolidata rilettura, invita ad una visione dinamica del bene culturale come strumento di crescita e promozione della persona umana. Mi sia concessa al riguardo un’incursione nella storia del nostro Paese. trascegliendo tra gli innumerevoli episodi “moderni” di riconoscimento della funzione civile del patrimonio culturale, della sua bellezza e del dovere di tu (6) Si può parlare in questo contesto di meta-regole: di prescrizioni che dal punto di vista della struttura risultano strumentali all’individuazione della norma concretamente applicabile alla fattispecie storica, volte cioè a determinare quale tra le norme coinvolte nel conflitto temporale sia applicabile al caso concreto. M. gAMBArDeLLA, Lex mitior e giustizia penale, giappichelli, torino 2013, p. 20. (7) Su una certa fragilità della nozione (anche) in relazione alla capacità di rispondere all’esigenza di chiarezza e “riconoscibilità” del bene culturale nel suo essere «testimonianza avente valore di civiltà»: F. LeMMe, Compendio di diritto dei beni culturali, cedam, 2013, pp. 26-27. (8) Del patrimonio culturale, nelle sue componenti beni culturali e beni paesaggistici, oggi ricomprese nella nozione unitaria ex art. 2 cBcP, qui si considerano i soli beni culturali. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 telarla, lo Statuto di Siena del 1309 annunciava: «Primo dovere di chi governa è la bellezza, perchè la bellezza della città dà orgoglio ai senesi e allegrezza ai forestieri». Proseguiamo con alcune delle altre modifiche apportate dalla nuova legge. Per effetto del comma 175, lettera a) numero 1) all’art. 10, dopo il comma 3 è stata inserita la lettera d-bis): «le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropo- logico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio artistico della Nazione». In base al nuovo disposto dell’art. 65, comma 4, cBcP deriva la particolare condizione delle cose di cui sopra aventi tra 50 e 70 anni, che risultano inesportabili quando sia avvenuto il riconoscimento del loro interesse eccezionale. Sollevano qualche perplessità: l’ennesimo inserimento di un criterio alquanto indefinito e inafferrabile, nonchè elitario, come quello dell’eccezionalità (9); la previsione del nuovo potere di controllo, ad esito del quale potrebbe avviarsi il conseguenziale procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, da parte dell’ufficio esportazione, per le cose (di assai ampia tipologia: di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) aventi tra 50 e 70 anni, che potrebbe rappresentare un punto sensibile, sul piano della logicità e della coerenza del nuovo sistema (che ha come unico perno il criterio della eccezionalità), oltre che un possibile aggravio per il lavoro dell’Amministrazione. Il problema risulta delicatissimo anche in materia penale per la primazia del principio di riserva assoluta di legge (art. 25, comma 2 cost.) che impone che ogni elemento di fattispecie debba essere espressamente previsto. Ma è il riferimento all’età dei beni di interesse archeologico che mi pare rappresenti il punctum dolens: non tanto il dubbio ermeneutico, da alcuni sollevato, insistente su quale sia il dies a quo per il calcolo degli anni, quanto quello della possibilità che i beni di interesse archeologico vengano esportati. Appartenendo tali beni al patrimonio indisponibile dello Stato italiano per effetto del loro reperimento successivo alla Legge 364/1909 essi sono inespor- tabili, sempre e comunque, anche indipendentemente da una soglia di valore economico (con la sola eccezione delle monete assolutamente ripetitive, presenti in tutti i musei italiani, per le quali venne introdotta un’eccezione). La data del loro ritrovamento non ha dunque alcuna efficacia ed erroneamente si (9) tale criterio dovrà confrontarsi anche con i nuovi indirizzi generali per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione da parte degli Uffici Esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, entnoantropologico, ai sensi dell’art. 68, comma 4, del d.lgs. 42/2004, contenuti nel recente D.M. 6 dicembre 2017 - MIBAct. DottrInA 213 fa risalire ad essa il termine di 50-70 anni, previsto per la creazione dell’opera d’arte. Anche per i beni di cui all’art. 11, comma 1, lettera d), cBcP è stata introdotta la nuova soglia dei 70 anni (oltre al criterio dell’autore non vivente): si tratta, nell’ambito della categoria di beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela, delle opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte. Per tali beni, ai sensi del novellato comma 4, dell’art. 65, non è necessaria l’autorizzazione per l’esportazione ove si tratti di beni ultrasettantenali mentre è sempre esercitabile il nuovo potere attribuito alla P.A. quando si tratti di beni aventi tra i 50 e i 70 anni. In tutti casi in cui rilevi il presupposto dell’età, resta in capo all’interessato l’onere di comprovarne la sussistenza con le medesime modalità (autocertificazione) vigenti in passato. risulta incerto il dies a quo per il calcolo dell’età della cosa (il 31 dicembre?): si attendono per questo e altri dubbi le indicazioni chiarificatrici dei decreti attuativi. La nuova soglia d’età riguarda anche la previsione contenuta nell’art. 12 relativa alla “verifica”, ovvero al meccanismo finalizzato ad accertare nei beni pubblici la presenza dell’interesse culturale eccezionale; fino all’esito di tale accertamento i beni restano sottoposti alle disposizioni di tutela. Sul procedimento di “individuazione”, che si riferisce invece ai beni privati, si dirà nel prosieguo soffermandosi sul destino di quelli ultra quinquagenari ma infra settuagenari. 3. La tutela penale dei beni cuturali nell’ordinamento italiano: inquadramento e riflessioni preliminari. nell’ordinamento italiano la tutela penale dei beni culturali è affidata «ad un insieme di norme diverse per matrice, collocazione sistematica, contenuto e finalità» (10). Le disposizioni sono contenute nel cBcP e nel codice Penale: le prime sono finalizzate a «rendere effettiva la funzione di tutela prevista dal medesimo codice», le seconde colpiscono «alcune condotte che si caratterizzano per l’aggressione diretta del bene, anche indipendentemente dalla violazione delle norme di tutela e dei provvedimenti emanati dall’autorità in attuazione delle stesse» (11). Sul punto deve segnalarsi che è in fase di approvazione il disegno di legge dedicato alla riforma del sistema della tutela penale del patrimonio (10) V. MAneS, La tutela penale, in c. BArBAtI, M. cAMMeLLI, g. ScIuLLo, Diritto e gestione dei beni culturali, Il Mulino, Bologna 2011, p. 289. (11) P. cArPentIerI, La tutela penale dei beni culturali in italia e le prospettive di riforma: i profili sostanziali, in S. MAnAcorDA, A. VIScontI, Beni culturali e sistema penale, Vita e Pensiero, Milano 2013, p. 32. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 culturale. Vale la pena, in una prima e panoramica visione, rilevare che dalla nuova collocazione prevista per le norme incriminatrici nel codice Penale, vale a dire al centro di quello che è il sistema valoriale del nostro ordinamento penale, il ruolo del bene giuridico in questione assume una nuova importanza e centralità sia nella sua dimensione nazionale sia in quella identitaria locale (12). tornando alla nostra indagine, le questioni con le quali dobbiamo ora confrontarci appartengono all’area del diritto penale intertemporale che, richiamando quanto anticipato, è rappresentato da quell’insieme di «norme e principi che dettano criteri generali per tutto l’ordinamento o per un settore specifico, al fine di individuare la norma applicabile nel caso in cui vi siano due norme valide successive nel tempo e incompatibili tra loro» (13), e che rappresenta un punto cruciale dell’ermeneutica penalistica. Ai fini della nostra analisi se ne premettono alcuni principi cardine, che trovano la norma fondamentale nell’art. 2 del c.p. Metodo e guida del diritto intemporale penale è il principio dell’irretroattività delle norme penali sfavorevoli al cittadino ai sensi dell’art. 25, comma 2, cost. L’art. 2, comma 3, c.p., vieta inoltre al giudice di applicare retroattivamente una legge successiva sfavorevole al reo. Pertanto, nessuno può essere punito per fatti che al momento della loro commissione non costituivano reato secondo la legge del tempo in cui furono commessi e ciò stante la necessità di evitare che, per un medesimo fatto, alcuni soggetti vengano puniti, mentre altri siano esenti dalla responsabilità penale solo perché, per scelte di politica criminale, lo stesso fatto, in un dato momento storico era penalmente perseguibile, mentre in seguito si è ritenuto di non doverlo più assoggettare alle maglie della responsabilità penale. Di poi, sulla scorta dei più recenti orientamenti della corte costituzionale, si evince come, mentre la irretroattività della norma sfavorevole trovi diretto riconoscimento nell’anzidetto precetto costituzionale, non può dirsi altrettanto per la retroattività della lex mitior, di cui all’art. 2, commi 2 e 3, c.p., il cui fondamento va individuato nel principio di uguaglianza. La retroattività della legge favorevole può subire eventuali deroghe da parte del legislatore nazionale purchè, in ossequio al suesposto principio, superino positivamente il vaglio in termini di ragionevolezza. Si tenga anche (12) F. LeMMe, Se possedete un metal detector commettete un reato di posizione. Le modificazioni in corso nella tutela penale del patrimonio culturale prevedono pene più severe, in «Il giornale del- l’Arte», Dicembre 2017, p. 18. Sul rapporto tra beni culturali (e paesaggistici) e comunità locale, e in particolare sul piano delle scelte di politica culturale, risulta interessante: M. zoPPI, Beni culturali e comunità locale, electa Mondadori, Milano 2007. (13) g.u. reScIgno, L’atto normativo, Bologna 1988, p. 77. DottrInA 215 conto del fatto che il principio di retroattività, quale corollario di quello di legalità, ha assunto «una propria autonomia che ha ora, attraverso l’art. 117, comma 1, cost., acquistato un nuovo fondamento con l’interposizione dell’art. 7 della ceDu» (14). Si pone ora un ulteriore e decisivo problema, assai dibattuto in dottrina, concernente se e quando sia applicabile il principio della retroattività della norma penale più favorevole nei casi in cui, successivamente alla commissione del fatto, sia stata modificata una norma giuridica in varia forma richiamata dalla norma incriminatrice. nel caso in specie, infatti, la modifica operata dalla novella legislativa non riguarda direttamente la norma penale ma altre norme che, e questo è il passaggio fondamentale, dobbiamo individuare in quale rapporto si trovino con essa: infatti, «non ogni norma richiamata dalla legge penale è, per il solo fatto del richiamo, integratrice di quella (15) ». Si tratta dunque di stabilire nell’ambito del fenomeno della “successione di norme integratrici (16)” cosa significhi “integrazione” e quale sia il criterio dell’integratività. A prima vista, comunemente, integrare significa rendere completo qualcosa che non lo è. orbene, non così facilmente e pacificamente, la scienza penalistica si pone la questione - da affrontarsi sempre al cospetto del principio di legalità e tassatività - distinguendo tra norme “realmente integratrici” e norme “apparentemente integratrici”: solo le prime «concorrono alla descrizione della fattispecie legale astratta, contribuendo a delinerane la fisionomia (17)». Facile perdere la via maestra dell’indagine: si sfiorano infatti numerosi altri temi in chiave problematica che, oltre all’utilità per l’esame de quo, rappresentano inviti all’approfondimento per chi si interessi di diritto dei beni culturali. riprendendo invece la questione che rappresenta il fuoco della nostra attenzione: se e e quando la modifica di una norma in vario modo richiamata dalla legge penale comporti abolitio criminis, con conseguente applicazione della disciplina dell’art. 2, comma 2, c.p., si può ora affermare che «solo la modifica delle norme realmente integratrici dà luogo ad una modifica strutturale della fattispecie legale astratta e, ripercuotendosi sulle scelte politico-cri (14) g. FortI, S. SeMInArA, g. zuccALà, Commentario breve al Codice Penale, ceDAM, Milano 2017, p. 33. (15) g.L. gAttA, abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, giuffrè, Milano 2008, p. 11. Alla trattazione si è fatto riferimento (solo) per quanto utile all’analisi in oggetto, lasciando necessariamente sullo sfondo il vasto orizzonte di problemi che devono affrontarsi nel tentativo di rispondere all’interrogativo assai controverso già anticipato: «Può l’abolitio criminis essere conseguenza di modifiche di norme diverse dalla norma incriminatrice, in vario modo richiamate a sua (reale o apparente) integrazione?» (Introduzione, p. XXI). (16) ibidem, p. 236. (17) ibidem, p. 95. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 minali e sul giudizio di disvalore espresso dal legislatore nella configurazione del reato, può comportare abolitio criminis» (18). A tale considerazione si collega la successiva operazione, ovvero quella del riconoscimento alle norme definitorie della capacità di integrare la norma penale, intendendo con tale espressione quelle «norme - penali o extrapenali -attraverso le quali il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni incriminatrici, concorrendo ad inviduare il contenuto del precetto penale» (19). Si può affermare che le norme definitorie siano norme “realmente integratrici” (20). Deve dirsi, da un punto di vista formale, che l’attuale architettura del cBcP, per esigenze di chiarezza dell’intero sistema nonchè di economia legislativa, (come spesso fa il legislatore) colloca la disciplina sanzionatoria nella parte finale del corpus normativo operando rinvii a definizioni e ad altri elementi contenuti nelle disposizioni precedenti. Pertanto, per una valutazione degli effetti conseguenti alle modifiche apportate dalla l. 124/2017 ad alcune norme del cBcP, si dovrà esaminare ogni singola disposizione, sotto il profilo della struttura ovvero degli elementi che la compongono (21) e che la “integrano”, e dunque dei rapporti internormativi, della tecnica normativa di costruzione e della caratterizzazione teleologica. nel contesto appena tratteggiato, si pongono ora alcuni altri interrogativi utili per la disamina degli effetti della novella legislativa. Innanzitutto quale sia il ruolo della nozione di bene culturale nella disciplina della tutela penale di settore e, secondariamente, se gli articoli 10 e 11, oggetto di modifica, costituiscano “norme definitorie” e, dunque realmente integratrici, delle fattispecie incriminatrici previste dal cBcP: ove ciò venga accertato deriveranno gli effetti sopra delineati. Sul primo interrogativo. una questione di rilevanza fondamentale (che qui solo si accenna) è quella dell’individuazione della definizione di bene culturale rilevante ai fini dell’applicazione delle norme penali, previste nel cBcP e nel c.p. poichè da essa deriva l’effettiva tutela del patrimonio culturale (22). non può tacersi l’esigenza, da più parti espressa in sede dottrinale, di un ri- (18) ibidem, p. 244. (19) g. MArInuccI, e. DoLcInI, manuale di diritto penale. Parte generale, giuffrè, Milano 2017, p. 131. (20) g.L. gAttA, op. cit., p. 85. (21) Sul tema in aggiunta ai manuali “classici”: M. ronco, il reato, vol. I, Bologna, zanichelli, 2007; t. PADoVAnI, Diritto penale, Milano, giuffrè, 2011, p. 11 e ss.; consultato in specie sull’argomento (complesso) degli elementi normativi nella fattispecie penale: A. FIoreLLA, La legge penale e la sua applicazione: le strutture del diritto penale, vol. I, torino, giappichelli, 2016 2016 II, § 4. Scrive l’Autore: «La gamma delle possibilità logiche e reali di introduzione di elementi normativi nelle fattispecie penali è multiforme, potendosi rinvenire gradazioni infinite per le quali una norma risulti più o meno pregna di elementi normativi, con incidenza molto diversa da una norma dall’altra». (22) Si rinvia al volume: AA.VV, Circolazione dei beni culturali, cit. che, in un’ottica di riforma del sistema penale in materia di beni culturali, si sofferma più volte sulla delicata questione. DottrInA 217 pensamento della attuale nozione di bene culturale che oggi pare ancora più attuale (e urgente) alla luce dell’imminente riforma del sistema penale in materia. Deve poi constatarsi che tale nozione rileva altresì sotto il profilo soggettivo del reato: ove si tratti di delitto, punibile a titolo di dolo, è necessario che l’agente abbia conoscenza/conoscibilità normativa del valore culturale del bene aggredito; così anche per i reati propri e, con maggiore acutezza problematica, per i reati comuni e non propri disciplinati nel codice Penale. Per completezza, a proposito degli effetti dell’abolitio criminis, ai sensi dell’art. 2, comma 2 c.p., giova esplicitare che nel caso di sentenza di condanna non ancora pronunciata il soggetto deve essere prosciolto, viceversa nel caso di sentenza già pronunciata cessa l’esecuzione della pena e ogni effetto penale della condanna. 4. alcuni primi effetti della riforma sul piano del diritto penale in relazione agli illeciti penali in materia di beni culturali. L’“esportazione illecita” di beni culturali, in particolare. Le considerazioni appena svolte, di carattere generale, sono propedeutiche per compiere una disamina più specifica delle singole figure di reato che somiglia alla discesa dantesca «dal cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia». Si focalizza l’analisi, tra le condotte di “dispersione” dei beni culturali, sul reato di “contrabbando artistico” (art. 174, cBcP) che prevede due differenti fattispecie: la condotta (commissiva) di chi trasferisce all’estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all’articolo 11, comma 1, lettere f), g) e h), senza l’attestato di libera circolazione (per il territorio ue) o la licenza di esportazione (per il territorio extra ue) e la condotta (omissiva) di chi non fa rientrare nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, beni culturali per i quali sia stata autorizzata l’uscita o l’esportazione temporanee. considerando la prima condotta, si tratta di una fattispecie che punisce la mancata richiesta dell’attestato di libera circolazione, ovvero la mancata sottoposizione del bene al controllo dell’amministrazione (rappresentata da uno qualsiasi degli uffici esportazione presenti nel territorio italiano), chiamata a valutare, sulla base di un giudizio di stretta discrezionalità tecnica, se esso rappresenti o meno un bene importante per la cultura del nostro Paese, come detto in Premessa. In caso affermativo verrà avviato il conseguenziale tra le numerose questioni, si cita quella anticipata della (difficile) individuazione in subiecta materia di un oggetto di tutela corrispondente alle caratteristiche richieste dalla teoria del bene giuridico che ad esso assegna una funzione garantista, selettiva, nonchè dogmatico-interpretativa. Si veda: F. BrIcoLA, voce Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. it., XIX, torino 1973. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale e con il vincolo del bene se ne impedirà in via assoluta la fuoriuscita dal Paese. Per quanto riguarda le “cose” per le quali è obbligatoria la presentazione dell’istanza per l’esportazione: deve trattarsi di cose di interesse storico o artistico, interesse la cui sussistenza sia constatabile ictu oculi, in uno con la loro (prima della l. 124/2017) ultracinquantennalità e la non esistenza in vita dell’autore (23). La norma, edificata secondo lo schema del reato di pericolo astratto, anticipa la soglia della risposta punitiva prima ancora che si verifichi un danno reale, concreto: il reato infatti si configura «indipendentemente dalla produzione di un danno al patrimonio artistico nazionale» (cass. Pen., Sez. III, 29 agosto 2017, n. 39517). Qui inverandosi il discorso condotto al paragrafo precedente, ci si deve 1) porre il problema di quali siano gli elementi costitutivi della fattispecie 2) riconoscere che gli artt. 10, 11 e 65 cBcP (oggi modificati) contengono elementi capaci di integrare la norma incriminatrice e da qui ammettere 3) l’avvenire della successione di leggi penali e del suo governo a norma dell’art. 2 c.p. con gli effetti di cui si è detto. Poniamo ora l’art. 174 alla prova (dei fatti). Ipotizziamo il caso di un soggetto che, in fase di controllo, venga fermato con una “cosa” che presenta un interesse culturale senza attestato di libera circolazione. L’esportatore verrà fermato e indagato per non avere richiesto, e ottenuto, il documento, e dunque per non aver sottoposto il bene al controllo dell’ufficio esportazione configurandosi in tal caso il delitto ex art. 174. Ipotizziamo che si tratti di un bene diventato, successivamente al fatto e per effetto della nuova legge, liberamente esportabile, e che il soggetto venga rinviato a giudizio. In fase processuale, la difesa potrà far valere la nuova previsione secondo il principio del favor rei: il fatto non costituisce più reato e dunque, per effetto della abolitio criminis, l’esportatore potrà essere assolto. Deve però anche anche precisarsi che, nel caso di esportazione di un bene con le caratteristiche che escludono l’obbligo di presentare istanza per il rilascio dell’attestato di libera circolazione, l’agente avrebbe dovuto comunque notiziarne, con autocertificazione e secondo le modalità previste dalla legge, l’ufficio esportazione: per tale mancato adempimento di natura amministrativa al soggetto verrà contestato l’illecito amministrativo previsto dall’art. 165 cBcP. Mentre sul piano della valutazione dell’età del bene pare scontata la possibilità che con la presentazione di documentazione idonea o eventualmente di una perizia disposta dal giudice se ne potrà accertare l’età, richiama invece una certa attenzione, e dunque una disamina che qui necessariamente si rinvia (24), la nota di qualificazione della res sotto il profilo dell’interesse culturale (23) come si legge nella relazione illustrativa del d.lgs. 62/2008 intervenuto per novellare in particolare le disposizioni del cBcP in materia di circolazione internazionale. DottrInA 219 (e del suo grado) ovvero quanto tale qualificazione sia rilevante ai fini della configurabilità del reato. In conclusione: nel caso di giudizi pendenti, ex art. 174 cBcP, riguardanti “cose” che con la nuova legge sono divenute liberamente esportabili sembra si possa propendere con una certa sicurezza per l’applicazione della abolitio criminis con tutte le conseguenze che ne derivano. Potrà trovarsi nella medesima situazione, ovvero far valere e dimostrare le sopravvenute caratteristiche del bene in punto di età (non dissimilmente varrà per la nuova soglia di valore introdotta dalla legge), colui che sarà sottoposto a giudizio per gli altri illeciti penali previsti nel cBcP e nel c.p. In base a un criterio di partizione che guardi alle modalità di aggressione al bene protetto (25), tali condotte criminose si possono “riassumere” in: condotte di danneggiamento del bene, di dispersione e ulteriori condotte di offesa eterogenee rispetto alle prime come la contraffazione (26) e le fattispecie connesse. non si può che rinviare la disamina delle singole fattispecie, che sola può chiarire se rilevi o meno il dato dell’età del bene per la loro configurazione (27), facendo in essa convergere le prime riflessioni in questa sede delineate. 5. alcuni effetti della riforma sul procedimento amministrativo (ancora) come problemi di diritto intertemporale. La riforma, in punto di età del bene, dispiega i suoi effetti anche sulla norma amministrativa: qui si considerano in particolare i due procedimenti amministrativi fondamentali previsti dal “sistema della tutela” dei beni culturali, ovvero quello del rilascio dell’attestato di libera circolazione (art. 65 cBcP) e quello della dichiarazione dell’interesse culturale (art. 14 cBcP). come anticipato, il secondo potrebbe anche avviarsi come conseguenza del diniego dell’attestato di libera circolazione (da parte dell’ufficio esportazione (24) Puntuale sul tema: g. PIoLettI, Commento all’art. 174, in M. cAMMeLLI (a cura di), il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Il Mulino, Bologna, 2007. (25) V. MAneS, La tutela penale, in c. BArBAtI, M. cAMMeLLI, g. ScIuLLo, op. cit., p. 294. (26) Il fenomeno della “falsificazione”, che penalmente trova un presidio repressivo nell’art. 178 cBcP, tormenta non solo il mercato dell’arte ma anche il diritto dell’arte che si trova, in questo come in altri numerosi e in parte imprevedibili casi, di fronte all’«eterno dilemma della sottomissione alle regole del diritto di una attività totalmente creativa e quindi fuori dalle regole, quale è l’opera d’arte» (F. Lemme, 2008). Deve segnalarsi, in punto di età del bene, che l’oggetto materiale del falso artistico può consistere anche in opere non ultracinquantennali, come chiarito e corretto, dopo anni di erronea interpretazione, dalla cassazione (cass. Sez. III, 20 maggio 2003, sent. n. 22038, Pludwinski, in C.E.D Cass. 225318). (27) Ex plurimis: g.P. DeMuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, giuffrè, Milano 2002; F. LeMMe, La contraffazione e alterazione d’opera d’arte nel diritto penale, ceDAM, Padova 2001; S. MAnAcorDA, A. VIScontI, Beni culturali e sistema penale, cit.; A. MAnnA, il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali, giuffrè, Milano 2005; F. MAntoVAnI, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, in riDPP, 1976, pp. 75-76. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 che, come noto, può essere un ufficio differente da quello che si è pronunciato sul diniego dell’attestato). Alla disciplina procedimentale contenuta nel cBPc si aggiunge quella prevista dalla l. 241/90, legge sul procedimento amministrativo. Preliminarmente deve dirsi che il procedimento amministrativo è costituito da «una serie di atti, fatti e attività, tutti tra di loro connessi in quanto concorrono, nel loro complesso, all’emanazione del provvedimento (28)» finale. Anche il procedimento amministrativo, nell’arco temporale che intercorre tra il suo avvio e la sua conclusione, resta esposto al rischio dello ius super- veniens (29). Principio ordinamentale di valenza generale per affrontare il problema è quello del tempus regit actum (30), che trova il suo riconoscimento nell’art. 11 delle disp. prel. c.c. dove è dettato il principio d’irretroattività della legge. una costruzione dottrinale, che si deve a Sandulli, ritiene il procedimento suddivisibile in più subprocedimenti ad ognuno dei quali si applica il diritto vigente in quel momento: una volta concluso il singolo momento procedi- mentale esso risulterà inattaccabile da parte del diritto sopravvenuto. Pur non dandone conto in questa sede, perchè esorbitante dal perimetro dell’indagine, si evidenzia la presenza di diverse ed opposte teorie che si esprimono sul dubbio ermeneutico di cosa accada al procedimento amministrativo per effetto dello ius superveniens basate “sostanzialmente” sulla diversa concezione del procedimento: da un lato una concezione unitaria con regolazione dell’intero iter procedimentale ad opera delle norme vigenti al momento della sua instaurazione, dall’altro una distinzione dei singoli subprocedimenti con applicazione della norma vigente al tempo di ognuno (31). ciò premesso, e tornando al momento nodale della nostra analisi, si può (28) e. cASettA, manuale di diritto amministrativo, giuffrè, Milano 2011, p. 401. (29) Si rinvia, in ambito dottrinario, a quanto si è potuto consultare: A.M. SAnDuLLI, il procedimento amministrativo, Milano 1940: in particolare alla p. 406 l’Autore specificamente teorizza un articolato sistema di diritto intertemporale in base alle diverse tipologie di norme sopravvenute; g.D. coMPortI, op. cit.; P.L. PortALurI, La regola estrosa: note su procedimento amministrativo e ius su- perveniens, eSI, napoli 2013; F. MAISto, Diritto intertemporale. Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del notariato, eSI, napoli 2007: si segnala il cap. I dedicato alla ragionevolezza costituzionale del diritto intertemporale e alla sua natura che pone questioni rilevantissime come: il diritto intertempo- rale in rapporto al parametro dell’eguaglianza costituzionale, alla parità di trattamento giuridico (per un medesimo fatto), alla conoscibilità della norma applicabile da parte dell’interessato. Per la giurisprudenza amministrativa, ex plurimis: cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5381; cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583; t.A.r. reggio calabria, calabria, Sez. I, 27 settembre 2012, n. 598; t.A.r. Perugia, umbria, 31 ottobre 2012, n. 452; cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5381; cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583. (30) Sul canone e la sua matrice giusprocessualistica, si veda g.D. coMPortI, Tempus regit actionem. Contributo allo studio del diritto intertemporale dei procedimenti amministrativi, giappichelli, torino 2001, p. 60. (31) F. MAISto, op. cit., pp. 106-112. DottrInA 221 ora prevedere il destino delle “cose” che abbiano tra 50 e 70 anni, e nello specifico delle: 1) cose sottoposte all’esame da parte dell’ufficio esportazioni per il rilascio dell’attestato di libera circolazione: con l’entrata in vigore della l. 124/2017, le procedure non ancora concluse potranno essere archiviate d’ufficio, con comunicazione all’interessato nei modi previsti dalla l. 241/1990; 2) cose per le quali sia stato negato l’attestato di libera circolazione e siano sottoposte al conseguenziale procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale: si procederà come nel caso sopra esposto. Per entrambi i casi, visto il nuovo potere attributo alla P.A. di vincolare un bene che presenti un eccezionale interesse artistico, storico, archeologico o entnoantropologico, in base a tale nuova previsione l’Amministrazione potrebbe decidere di avviare un nuovo procedimento; 3) cose sottoposte al procedimento di dichiarazione d’interesse culturale non ancora concluso (in circostanze indipendenti dalla disciplina della circolazione internazionale): pacificamente potrà applicarsi la nuova previsione da parte della P.A.; 4) cose vincolate, e dunque beni culturali a tutti gli effetti, prima dell’entrata in vigore della nuova legge: concluso il procedimento di dichiarazione d’interesse culturale, il provvedimento finale parebbe insensibile nei confronti dello ius superveniens: sarà pertanto in base all’iniziativa dell’interessato che potrà avviarsi un nuovo procedimento per la revisione del giudizio. Invita alla riflessione il porre un onere a carico del privato di ripresentare alla P.A. un bene che oggi non ha più i requisiti di legge per essere un “bene culturale”. D’altra parte il mondo dell’arte e dei beni culturali ha necessità di avere certezza della condizione giuridica dei beni in questione. L’onesto cittadino, che per aver adempiuto ad un obbligo di legge si sia visto vincolare un bene (sulla base di un criterio d’età oggi superato), potrebbe sentirsi penalizzato rispetto, ad esempio, all’esportatore che, in seguito ad abo- litio criminis, in sede di processo penale per “esportazione illecita”, sia stato assolto e il suo bene sia divenuto liberamente esportabile e dunque senza “vincolo”. L’ipotesi che si profila pare indubbiare non poco il quadro normativo ridisegnato dalla l. 124/2017. Da prevedere altresì il caso di un soggetto che in passato si sia visto vincolare un bene, tra i 50 e i 70 anni, perchè riconosciuto di interesse culturale “particolarmente importante”, ma non “eccezionale”: deve ammettersi che egli potrà richiedere la revisione del giudizio sulla base di questo nuovo titolo. Deve infine ricordarsi l’inserimento tra le norme transitorie del cBcP dell’art. 128 che risponde alla necessità di una ricognizione e valutazione “aggiornata” delle dichiarazioni di interesse culturale avvenute sotto l’imperio di legislazioni precedenti. La previsione ribadisce che «la storia dell’arte non è scienza esatta, in quanto i risultati proposti sono sempre provvisori, i giudizi rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 espressi sempre relativi» (32). Vi sono buoni motivi per immaginare che la quaestio della «perdurante sussistenza dei presupposti per l’assoggettamento dei beni (...) alle disposizioni di tutela» si presenterà anche in relazione alla sopravvenienza (età del bene) considerata nella presente analisi. Il breve giro d’orizzonte su alcune questioni di diritto intertemporale (alcune all’epoca in cui si scrive forse in parte superate) si ferma qui, come di fronte all’eloquenza del signum silentii presente in alcune (straordinarie) opere d’arte intendendolo, nel repertorio di significati codificati, come un invito ad ulteriore e ancor più approfondita meditazione. (32) F. LeMMe, Compendio, cit., p. 24. DottrInA 223 Per il superamento dell’accertamento tributario come procedimento a contraddittorio “intermittente” Adolfo Mutarelli* Giusy Monaco** Sommario: 1. Premessa. Le fonti - 2. Contraddittorio endoprocedimentale. Stato della giurisprudenza e possibili linee evolutive - 3. Conclusioni. 1. Premessa. Le fonti. Il contraddittorio endoprocedimentale in ambito tributario realizza la partecipazione del contribuente all’attività di accertamento fiscale e consiste nel diritto del destinatario del provvedimento di poter addurre le proprie ragioni in ordine agli elementi che l’Amministrazione finanziaria intende porre a fondamento dell’atto impositivo. L’Amministrazione dovrà, pertanto, valutare attentamente le osservazioni del contribuente e congruamente motivare le ragioni per cui non ha ritenuto di accogliere (in tutto o in parte) le deduzioni proposte. A differenza del procedimento amministrativo, in cui il contraddittorio è stabilito in via generale (artt. 1, 7 e 10, L. 7 agosto 1990, n. 241), nell’ordinamento tributario manca una norma che sancisca in via generale l’obbligatorietà del rispetto di tale principio. In proposito, è aperto il dibattito in dottrina e giurisprudenza se l’esistenza di un tale obbligo generale possa desumersi dal complesso delle discipline relative ai singoli tributi, o se, viceversa, il rispetto del contraddittorio rimanga rigorosamente circoscritto alle esclusive ipotesi normativamente previste. rivolgendo tale indagine all’ordinamento interno, si può agevolmente osservare come vi siano pluralità di norme che dispongono, come obbligatorio, il contraddittorio endoprocedimentale, seppur modulandolo con modalità connotative diverse. Si pensi, ad esempio, all’art. 10, comma 3 bis, L. 146/98 (in materia di accertamenti standardizzati), agli artt. 36 bis, comma 3, D.P.r. 600/73 e 54 bis, comma 3, D.P.r. 633/72, nonché all’art. 6, comma 5, L. 212/2000 (in tema di liquidazioni delle imposte in base alla dichiarazione), all’art. 36 ter, comma 4, D.P.r. 600/73, (in materia di controllo formale delle dichiarazioni), all'art. 10 bis, comma 6, L. 212/00 (in tema di accertamenti in materia di imposte dirette fondati su ipotesi di abuso del diritto) e all'art. 11, comma 4 bis, D.Lgs. 374/90 (in materia doganale). (*) già Avvocato dello Stato. (**) Dottoressa in giurisprudenza, già praticante forense presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di napoli. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 Particolare rilievo, nell’indagine in esame, va riconosciuto all’art. 12, comma 7, L. 27 luglio 2000, n. 212 (cd. Statuto del contribuente), in materia di accertamenti conseguenti a verifiche fiscali effettuate presso i locali del contribuente (1), significativamente rubricato come “diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”. Quest’ultima più recente previsione normativa non appare riferita dal legislatore ad alcun tipo di tributo e, pertanto, deve ritenersi neutra. Al riguardo, occorre indagare se tale previsione sia meramente confermativa dell’obbligo del contraddittorio specificamente sancito rispetto a singoli tributi o, al contrario, se essa costituisca fonte esclusiva e generalizzata del contraddittorio nel procedimento tributario mediante verifica. In tale ultima prospettiva, l’obbligo del contraddittorio scaturirebbe ex se dal procedimento adottato dall’Amministrazione, a prescindere dalla natura del tributo. nell’ordinamento europeo l’obbligo del contraddittorio endoprocedimen- tale costituisce, nell’ambito del procedimento amministrativo e tributario, un principio fondamentale, espressivo del diritto di difesa, trovando la propria fonte normativa nell’art. 41 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, rubricato come “diritto ad una buona amministrazione” (2). tale garanzia comporta, da un lato, “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”; dall’altro, “l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni” (art. 41 cit.). La corte di giustizia ha precisato che il principio in parola deve trovare applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione finanziaria si proponga di adottare un provvedimento lesivo per il contribuente, in modo tale che que- st’ultimo, pena la caducazione del provvedimento stesso, sia posto preventivamente nella condizione di far valere le proprie osservazioni, in ordine agli elementi sui quali l’ufficio intende fondare la propria decisione (3). nell’ordinamento unionale, pertanto, il principio del contraddittorio in ambito tributario prescinde dalla natura del tributo. Dalla illustrata discrasia tra ordinamento interno e ordinamento europeo nasce, dunque, la problematica del contraddittorio endoprocedimentale tra tributi armonizzati e non. 2. Contraddittorio endoprocedimentale. Stato della giurisprudenza e possibili linee evolutive. In particolare, la giurisprudenza si è concentrata sulla possibilità di esten- (1) A. gIneX, il principio del contraddittorio endoprocedimentale nel procedimento tributario, in il Caso.it, 6 giugno 2016. (2) corte di giustizia, 18 dicembre 2008, c-349/07, Sopropè -organizações de Calçado Lda; corte di giustizia, 12 dicembre 2002, in causa c-395/00, Soc. Distillerie Cipriani. (3) corte di giustiza, 3 luglio 2014, in cause riunite c-129/13 e c-130/13, Kamino international Logistics BV e Datema Hellman Worldwide Logistics BV. DottrInA 225 dere il principio sancito dal ricordato art. 12, comma 7, L. 212/00 per le verifiche fiscali, anche agli accertamenti “a tavolino”, per i tributi non armonizzati, per i quali non esista una norma dell’ordinamento interno che preveda l’obbligo del contraddittorio. tale lacuna ha evidentemente comportato che la problematica venisse affrontata con riferimento alla natura dei tributi (armonizzati e non armonizzati). Parte della giurisprudenza (4) ha riconosciuto l’immanenza del principio del contraddittorio endoprocedimentale nel nostro ordinamento amministrativo e tributario (art. 7, L. 241/1990, principi europei e artt. 5, 6, 7, 10, comma 1 e 12, commi 2 e 7, dello Statuto del contribuente). nella riferita prospettiva è stato dato rilievo al citato art. 7, L. 241/1990, evidenziando che l’obbligo di partecipazione ivi previsto non viene meno in forza di quanto disposto dal successivo art. 13, comma 2, che esclude i procedimenti tributari dall’applicazione degli istituti partecipativi di cui all’art. 7. ciò in quanto non si tratta di una esclusione tout court dei predetti istituti, ma solo di un rinvio per la concreta regolamentazione degli stessi alle norme speciali che disciplinano il procedimento tributario. Deve, pertanto, ritenersi compatibile l’istituto della partecipazione con il procedimento tributario; tale partecipazione, tuttavia, non opera seguendo i modelli della L. 241/1990, bensì secondo gli schemi dello Statuto del contribuente, che ha la principale funzione di informare l’attività dell’amministrazione finanziaria alle regole del- l’efficienza e della trasparenza, nonché quella di assicurare l’effettività della tutela del contribuente nella fase del procedimento tributario. nell’ambito delle norme statutarie assume rilevanza peculiare il citato art. 12, il cui comma 7, «nel richiamare il "rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente", qualifica chiaramente la norma come espressiva dei principi di "collaborazione" e "buona fede", i quali, ai sensi del precedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di tutela del- l'affidamento, più specificamente contemplato nello stesso art. 10, comma 2) quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione (art. 97 cost.), di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica» (5). Dal descritto complesso di norme emergerebbe con estrema chiarezza che (4) cass., SS.uu., 29 luglio 2013, n. 18184, in Dir. e Prat. Trib., 2014, 1, 20003, con nota di A. renDA, Contraddittorio endoprocedimentale e invalidità dell’atto impositivo notificato ante tempus: le Sezioni Unite e la prospettiva del bilanciamento dei valori in campo; cass., 4 luglio 2014, n. 15311. (5) testualmente: cass., SS.uu., 29 luglio 2013, n. 18184, cit. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata”, mediante la promozione (anche) nella fase endo- procedimentale del contraddittorio tra amministrazione e contribuente, realizzandosi, in tal modo, il diritto di difesa ex art. 24 cost. e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 cost. Da ultimo, le SS.uu. della cassazione (6), ribaltando tale orientamento, che sembrava destinato a consolidarsi, hanno negato l’esistenza del principio generalizzato del contraddittorio anticipato, affermando che l’art. 12, comma 7, L. 212/00 non sarebbe ex se estensibile agli accertamenti “a tavolino”, per i quali rileva a tale fine la distinzione, fondata sulla natura del tributo, tra armonizzati e non armonizzati. Secondo le Sezioni unite, nell’ambito dei tributi non armonizzati, l’obbligo di attivazione del contraddittorio anticipato, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente nelle ipotesi in cui tale obbligo sia espressamente previsto dalla specifica norma di riferimento. Al contrario, nel campo dei tributi armonizzati, l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale ha portata generale, in applicazione delle norme comunitarie, pur con il limite della necessaria “utilità” di tale previo contraddittorio. Il contribuente, infatti, deve assolvere, in giudizio, «l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l'opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto » (7). Al di là della sensibilità dimostrata nei confronti dell’attività impositiva dello Stato, tale decisum non appare condivisibile, non solo in quanto la motivazione non offre spunti significativi idonei a superare gli articolati rilievi sollevati dalla precedente giurisprudenza, ma anche perché non tiene conto di altri rilevanti profili. In particolare, la sentenza non considera che l’art. 24, L. 7 gennaio 1929, n. 4 (8), rubricato “norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie”, nel prevedere che le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono contestate mediante processo verbale, non assegna alcun rilievo alle modalità di accertamento (se “a tavolino” o a seguito di verifica). Il riconoscimento del generalizzato principio del contraddittorio endo (6) cass, SS.uu., 9 dicembre, 2015, n. 24823, in Dir. e Prat. Trib., 2016, 2, 719, con nota di A. renDA, il contraddittorio preventivo tra speranze (deluse), rassegnazione e prospettive. (7) testualmente: SS.uu. cass., 9 dicembre, 2015, n. 24823, cit. (8) A. MutAreLLI, Processo cautelare e misure fiscali ex art. 26, legge n. 4/1929, in Corr. giur., 1994, pagg. 1371 e ss. DottrInA 227 procedimentale è stato, altresì, confermato in giurisprudenza in tema di iscrizione ipotecaria ex art. 77, D.P.r. 602/73 (9). Le sentenze gemelle delle Sezioni unite appaiono di significativo rilievo nella parte in cui riconoscono tale diritto anche in difetto di una espressa ed esplicita previsione normativa, a pena di nullità dell’atto finale del procedimento (10). né può sottacersi che l’Agenzia delle entrate ha opportunamente avviato un’opera di sensibilizzazione dei propri apparati, orientandoli verso un generalizzato riconoscimento al contribuente del principio di partecipazione al procedimento tributario e, quindi, al contraddittorio preventivo. nella circolare n. 16/e del 28 aprile 2016, infatti, viene riconosciuto un ruolo fondamentale proprio all’obbligo di attivare, prima dell’emanazione dell’atto impositivo, il contraddittorio con il contribuente; ciò con il conclamato scopo di giungere a decisioni partecipate, riducendo il contenzioso innanzi alle commissioni tributarie. nella predetta circolare si legge che: «un’attività di controllo sistematicamente incentrata sul contraddittorio preventivo con il contribuente, da un lato rende la pretesa tributaria più credibile e sostenibile, dall’altro scongiura l’effettuazione di recuperi non adeguatamente supportati e motivati perché non preceduti da un effettivo confronto. (...) Il confronto preventivo, infatti, costituisce la modalità istruttoria più valida, poiché consente al contribuente di fornire chiarimenti e documentazione utili a inquadrare in modo più realistico la fattispecie oggetto di stima e, nello stesso tempo, permette all’Amministrazione finanziaria di pervenire a valutazioni più trasparenti e sostenibili». Allo stesso modo, la recentissima circolare n. 1/2018 della guardia di Finanza, riconosce la sussistenza di un principio generalizzato di contraddittorio, affermando: «non può trascurarsi di considerare che la valorizzazione del contraddittorio, quale mezzo di tutela delle ragioni del contribuente e strumento di garanzia del “giusto procedimento”, è una tendenza chiara e riconoscibile dell’ordinamento tributario. Anche la corte di giustizia ha elevato il contraddittorio a principio generale del diritto comunitario, sancendone la doverosa applicazione ogni volta che l’amministrazione si proponga di adottare un atto lesivo o modificativo della sfera giuridica del destinatario (sentenze 3 luglio 2014, cause c-129/13 e c-130/13, Kamino international Logistics e 18 dicembre 2008, causa n. c-349/07, Sopropè) e tale principio, dotato di forza (9) cass., SS.uu., 18 settembre 2014, n. 19667, in Corr. giur., 2014, 11, 1433, con nota di V. cArBone, “osservatorio -Cassazione Sezioni Unite -iscrizione dell’ipoteca tributaria e comunicazione al contribuente”, e cass., SS.uu., 18 settembre 2014, n. 19668. (10) La tesi secondo cui la violazione da parte dell’Amministrazione fiscale del principio di contraddittorio anticipato, posto a garanzia del diritto di difesa del contribuente, comporta la conseguente nullità dell’atto di accertamento, anche laddove manchi un’espressa comminatoria, è stata avallata in cass, SS.uu., 29 luglio 2013, n. 18184. Si vedano, in tal senso, anche cass., 14 gennaio 2015, n. 406 e cass., 5 dicembre 2014, n. 25759. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 espansiva, può oramai dirsi immanente anche all’ordinamento tributario nazionale » (11). Deve, pertanto, darsi atto di una accelerata evoluzione dell’ordinamento nel suo insieme in favore del riconoscimento della cittadinanza del principio del contraddittorio endoprocedimentale anche nell’ordinamento tributario, quale misura di buona amministrazione. Sicché, nella riferita prospettiva, appare del tutto inattuale la diversificazione a seconda della natura dei tributi, ovvero la distinzione tra accertamenti “a tavolino” o a seguito di verifica. Anche al di là dell’ampio dibattito sull’ambito di operatività nel nostro ordinamento tributario del principio del contraddittorio negli accertamenti “a tavolino”, non appare in alcun modo dubitabile che, seppur circoscritto agli accertamenti a seguito di verifica, l’art. 12, comma 7, L. 212/00, sancisca per gli stessi l’obbligo del contraddittorio, senza alcuna riviviscenza della problematica tra tributi armonizzati e non armonizzati (ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus). La particolare garanzia del contraddittorio nelle ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche fiscali realizza un equo bilanciamento tra la posizione delle parti, in quanto, in tali ipotesi, l’Amministrazione attua una invasione della sfera giuridica del contribuente. Del resto, è evidente che la norma in esame non attiene alla natura del tributo, ma è una norma rigorosamente procedimentale. 3. Conclusioni. Alla luce di quanto precede, è auspicabile il superamento del ricordato orientamento delle Sezioni unite (12), a mente del quale l’operatività del principio del contraddittorio sarebbe diversificato per tipo di procedimento (“a tavolino” o a seguito di verifica) e modulato per tipo di tributo (armonizzati o non). Sotto il primo profilo, appare evidente che per gli accertamenti “a tavolino” per tributi non armonizzati e per i quali non vi è una specifica disposizione che sancisca l’obbligo del contraddittorio, il contribuente sarebbe privato di un diritto di partecipazione nella fase dell’accertamento, sino alla eventuale contestazione giudiziaria, in cui, tuttavia, non avendo avuto modo di far raccogliere le proprie osservazioni nella fase procedimentale, incontrerà i limiti probatori propri del processo tributario. Il tutto con buona pace del principio processuale della parità delle armi, e, per tal via, del principio di effettività di tutela del contribuente (13). In proposito, in più occasioni è stato sollevato incidente di costituzionalità (11) manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, del comando generale della guardia di Finanza, III reparto operazioni -ufficio tutela entrate, pubblicato il 4 dicembre 2017. (12) cass., SS.uu., 9 dicembre, 2015, n. 24823, cit. (13) In ordine al principio di parità delle armi, quale presidio della stessa effettività di tutela, sia DottrInA 229 in ordine a tale diversificato regime, senza che sin qui la corte costituzionale abbia avuto modo di pronunciarsi nel merito, in quanto le questioni sollevate sono state dichiarate manifestamente inammissibili per l’assoluta inadeguatezza della descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale (14), o per l’omessa e comunque non puntuale individuazione delle norme censurate, ovvero per la generica ed incerta formulazione del petitum (15). Qualora, pertanto, non si ritenga di poter aderire alla interpretazione ade- guatrice, da ultimo offerta dalla commissione tributaria di Milano (16), è tempo che la consulta sia nuovamente investita della questione, mediante la formulazione di un quesito con petitum additivo dell’art. 12, comma 7, L. 212/00, in relazione agli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 cost., nella parte in cui non prevederebbe il generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale in relazione a tutti gli accertamenti fiscali, indipendentemente dalla natura del tributo e dal tipo di procedimento accertativo attivato dall’Amministrazione finanziaria. Parrebbe, altresì, configurabile, in relazione all’art. 117 cost., la violazione del principio di “equivalenza” (recentemente ribadito dalla corte di giustizia, proprio in riferimento alla materia tributaria), secondo cui l’autonomia degli Stati membri per i tributi non armonizzati deve riconoscersi «a condizione, tuttavia, che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna» (17). Principio di “equivalenza” che, in ambito europeo, è, peraltro, concepito in funzione di garanzia, a presidio della stessa effettività di tutela (18). In tale chiave interpretativa deve, pertanto, riconoscersi vis espansiva alle già ricordate disposizioni dell’ordinamento interno, che prevedono l’obbligo consentito il rinvio a: A. MutAreLLI, Sull’applicabilità dell’art. 669 - terdecies c.p.c. al processo cautelare davanti al T.S.a.P., in Corr. Giur., 1997, pagg. 40 e ss., secondo cui per “processo giusto” di cui all’art. 111 cost. deve intendersi un processo disciplinato da leggi ordinarie non irragionevoli e cioè rispettose dei principi di effettività di tutela alle cui garanzie deve essere informato il processo. (14) corte cost., ord. n. 187 del 2017, su ordinanza di rimessione, commissione tributaria regionale della toscana, 18 gennaio 2016, n. 122. (15) corte cost., ord. n. 189 del 2017, su ordinanza di rimessione, commissione tributaria regionale della campania, 6 maggio 2016, n. 261. (16) commissione trib. reg. Lombardia - Milano, sez. XXVII, 3 gennaio 2017, n. 2, secondo cui “il principio del necessario contraddittorio endoprocedimentale rileva infatti non soltanto nel caso di contestazione di fattispecie elusive a carico dei contribuenti, ma anche nel caso dei cosiddetti accertamenti a tavolino: su tale ultimo punto la commissione non condivide le conclusioni cui è giunta la Suprema corte di cassazione con la sentenza n. 24823 del 2015 che ha limitato l’operatività del suddetto principio unicamente ai tributi armonizzati”. (17) corte di giustizia, 9 novembre 2017, causa c-298/16, ispas altra c. Directia Generala a Fi- nantelor Publice Cluj, in Foro.it, 2017, IV, c. 374. (18) È agevole a tale riguardo il richiamo alla sentenza della IV Sezione della corte europea, 18 marzo 2010, c-317/08, c-318/08, c-319/08 e c-320/08. In tal senso anche M. gerArDo e A. MutAreLLI, Dubbi sulla compatibilità costituzionale e comunitaria della c.d. mediazione obbligatoria come disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in Lexitalia.it, n. 3/2011. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 del contraddittorio per singoli tributi e, non da ultimo, alla citata norma pro- cedimentale, di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/00. norme, queste, che, nella riferita prospettiva, testimoniano come il principio del contraddittorio sia già penetrato (da tempo) nel nostro ordinamento tributario (19). nell’ottica di un partecipato rapporto tra contribuente e Agenzia delle entrate non appare più attuale la diversificazione di regime ai fini del contraddittorio tra tributi (armonizzati e non, ovvero accertati “a tavolino” o previa verifica); diversificazione che imporrebbe, assai poco ragionevolmente, una tutela endoprocedimentale differenziata, a fronte di un medesimo procedimento accertativo sol perché promosso in relazione a tributi diversi. (19) con la recente ord. 8 febbraio 2018, n. 3060, la VI Sezione della cassazione sembra volersi timidamente orientare verso il riconoscimento dell’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente come norma di procedimentalizzazione del contraddittorio nelle ipotesi di accesso o ispezione ai locali senza distinguere se l’accertamento abbia ad oggetto tra tributi armonizzati e non. DottrInA 231 Le notifiche di atti giudiziari alle pubbliche amministrazioni a mezzo Pec Antonio Tallarida* Sommario: 1. orientamenti giurisprudenziali -2. Principi generali delle comunicazioni telematiche nella P.a. - 3. il processo telematico - 4. Le successive modifiche - 5. i pubblici elenchi - 6. L’indice delle pubbliche amministrazioni (iPa) - 7. La notifica ad indirizzo iPa - 8. invalidità o irregolarità - 9. Sanatoria - 10. Preclusione - 11. Conclusioni. 1. orientamenti giurisprudenziali. Da un po' di tempo si è venuto formando un indirizzo giurisprudenziale molto rigoroso per quanto attiene alle modalità da seguire per le notifiche degli atti giudiziari civili e amministrativi da parte degli avvocati alle pubbliche amministrazioni. Si tratta in particolare delle pronunce di alcuni tAr secondo cui le notificazioni alle amministrazioni pubbliche eseguite ad indirizzi estratti da elenchi diversi dal registro tenuto dal Ministero della giustizia sono nulle, anche se queste non hanno mai comunicato il proprio indirizzo Pec al Ministero. In tal senso si sono espressi: tAr toscana, sez. I, 27 ottobre 2017 n. 1287; tAr Sicilia - catania, sez. III, 13 ottobre 2017 n. 2401; tAr Basilicata - Potenza, sez. I, 21 settembre 2017 n. 607; tAr Sicilia - Palermo, sez. III, sentenza 13 luglio 2017 n. 1842. non mancano tuttavia orientamenti diversi, come quello assunto dal tribunale di Milano, con ord. 8 dicembre 2016, che non ritiene tassativa l’elencazione dei pubblici elenchi contenuta nell’art. 16-ter d.l. n. 179/2012 e s.m. Altre pronunce invece in presenza di nullità/irregolarità della notifica, ne ammettono la sanatoria per effetto della costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente quante volte questa non si sia limitata ad eccepire la nullità ma si sia difesa anche nel merito (v. sub 8). Il più delle volte, l’errore consiste nell’aver utilizzato per la notifica un indirizzo Pec tratto dall’Indice degli indirizzi delle Pubbliche Amministrazioni (IPA), peraltro espressamente previsto e disciplinato dalla legge. In tale situazione di incertezza e considerate le gravi conseguenze che possono derivare da un errore nella notifica, conviene ripercorrere il tormentato iter normativo che ha portato alla situazione attuale. 2. Principi generali delle comunicazioni telematiche nella P.a. Le comunicazioni telematiche con le Pubbliche Amministrazioni hanno (*) già Vice Avvocato generale dello Stato. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 avuto una piena legittimazione -sotto la spinta delle esigenze di modernizzazione e semplificazione dell’apparato amministrativo -con la legge 16 gennaio 2003, n. 3, recante Disposizioni in materia di P.a., che ha previsto l’emanazione di uno o più regolamenti al fine di perseguire maggiore efficienza ed economicità nell’azione amministrativa e promuovere lo sviluppo del Paese, mediante la diffusione dei servizi erogati in via telematica, l’uso della firma elettronica e della Pec, anche nei rapporti tra amministrazione e privati (art. 1, c. 8). A tale previsione ha dato seguito il DPr 11 febbraio 2005, n. 68, con cui si sono stabilite, fra l’altro, le regole per l’utilizzo della Pec, anche se ancora non applicabili al processo (art. 16). La svolta è stata però rappresentata da quella meritoria operazione che ha portato alla elaborazione e approvazione del codice dell’Amministrazione Digitale -cAD (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82), un’autentica rivoluzione nel mondo della P.A. con tale testo si sono dettati i principi ispiratori del nuovo ordinamento digitale delle P.A., sancendo il dovere di Stato, regioni e autonomie locali di assicurare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale (art. 2), il diritto di cittadini e imprese di usare gli strumenti telematici nei rapporti con le P.A. (art. 3) e il diritto-dovere di utilizzare la Pec per ogni scambio di informazioni con i soggetti interessati che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (art. 6). Sulla base del codice e dei suoi successivi sviluppi (v. in particolare art. 34 d.lgs. n. 69/2009; art. 5 d.lgs. n. 235/2010), si è venuto sempre più affermando il principio cardine della piena e doverosa utilizzabilità della Pec nei rapporti tra Amministrazioni e tra queste e i cittadini. tale principio generale ha trovato ulteriori applicazioni e specificazioni con il d.l. 28 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale, che ai commi 6, 7, 8 ha disposto la istituzione di alcuni indirizzi Pec (v. sub 5). Il tutto con la espressa precisazione che “le comunicazioni tra i soggetti di cui ai commi 6, 7 e 8, che abbiano provveduto agli adempimenti ivi previsti, possono essere inviate attraverso la posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6, senza che il destinatario debba dichiarare la propria disponibilità ad accettarne l’utilizzo” (art. 16, c. 9) e che la consultazione di tali indirizzi avviene liberamente e senza oneri (art. 16, c. 10). Si deve a questo punto affermare che l’utilizzo della Pec per la trasmissione e comunicazione telematica con le P.A. costituisce un principio generale dell’ordinamento digitale dell’Amministrazione pubblica, destinato ad avere applicazione in difetto di specifiche deroghe, con connesso diritto-dovere di assicurarlo in funzione delle esigenze di semplificazione, trasparenza e modernizzazione della P.A. perseguite dalle leggi istitutive. DottrInA 233 Il codice ha ora codificato tale principio stabilendo che “le disposizioni del presente codice si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto nelle disposizioni in materia di processo telematico” (art. 2, c. 6, come modif. dall’art. 2, c. 1, lett. a) del d.lgs. n. 179/2016). 3. La giustizia digitale. Il necessario corollario di questo sviluppo è stato rappresentato dalla progressiva estensione della comunicazione digitale anche al processo civile, amministrativo e tributario. A ciò ha dato avvio il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179. conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221, il cui capo VI è denominato “giustizia digitale”. Limitandoci qui al solo tema delle notifiche a mezzo Pec, l’art. 16 di tale legge ha per prima cosa modificato l’art. 149 bis c.p.c., specificando che le notifiche si effettuano agli indirizzi indicati in pubblici elenchi o comunque accessibili alle P.A. (comma 2) e disponendo che “nei processi civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo Pec risultante da pubblici elenchi e comunque accessibili alle P.a., secondo la normativa” (comma 4). In mancanza, esse “sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria” (comma 6). Quindi, al dichiarato “fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle P.a.”, ha previsto l’obbligo per queste di comunicare al Ministero della giustizia l’indirizzo Pec, conforme a quanto previsto dal DPr 11 febbraio 2005, n. 68 e s.m., a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco così formato “è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati” (comma 12). Questo indirizzo è obbligatoriamente (“esclusivamente”) usato per le notifiche alle P.A. che stanno in giudizio avvalendosi di propri dipendenti (comma 7). come si vede chiaramente, mancando l’uso della locuzione “esclusivamente”, in questa fase l’istituzione del nuovo elenco di indirizzi Pec della P.A. non comportava l’obbligo di utilizzarlo per tutte le notifiche alle P.A., fuori del caso previsto al comma 7, intendendosi solo “favorire” le notifiche approntando un indirizzo sicuro, tenuto in un elenco presso il Ministero della giustizia e convivendo questo con l’indirizzo generale delle P.A. (IPA). 4. Le successive modifiche. Appena due mesi dopo la pubblicazione del d.l. n. 179/2012 e dopo una settimana dalla sua conversione in legge, il Legislatore è nuovamente intervenuto nella materia, in sede di legge di stabilità 2013 (l. 24 dicembre 2012, n. 228), aggiungendo, con l’art. 1, comma 19, tre altri articoli all’art. 16: rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 • art. 16-bis, che rende obbligatorio il deposito telematico degli atti processuali, a decorrere dal 30 giugno 2014, nei procedimenti civili, contenziosi, di volontaria giurisdizione, esecutivi, nelle procedure concorsuali e speciali, innanzi al tribunale, disponendo che “il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici” • art. 16-ter, che chiarisce che “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia” • art. 16-quater, che modifica la legge 21 gennaio 1994, n. 53, aggiungendo, fra l’altro, dopo l’art. 3 un nuovo "art. 3-bis. - 1. La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta/elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”. Seguono altre specificazioni sulle notifiche per via telematica. tali disposizioni costituiscono il nucleo essenziale delle notificazioni tramite Pec. Ma gli interventi non finiscono qui, perché con il d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, recante misure urgenti per la semplificazione e trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, sono state apportate ulteriori modificazioni, con l’art. 45-bis, tra cui quella relativa all’art. 16-ter sopracitato, consistente nel sostituire il richiamo all’intero art. 16 del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, con il richiamo al solo “art. 16, comma 6”. Questa modifica, alquanto poco evidente, è all’origine dei problemi qui in esame. Successivamente, con legge 7 agosto 2015, n. 124, è stata data nuova delega al governo per ridefinire e semplificare i procedimenti amministrativi e per favorire i rapporti digitali tra cittadini, imprese e amministrazioni. In attuazione di tale delega è stato adottato il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, che all’art. 7 ha apportato varie modifiche al codice dell’amministrazione digitale consistenti, tra l’altro, nell’inserimento nel codice (divenendone l’art. 6-ter) dell’Indice degli indirizzi delle PA. e dei gestori di pubblici servizi, nel quale DottrInA 235 sono indicati gli indirizzi Pec da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti “a tutti gli effetti di legge” tra le P.A., i gestori e i privati, la cui realizzazione è curata da AgID che può utilizzare a tal fine elenchi e registri già formati dalle amministrazioni pubbliche. Il decreto delegato modifica anche l’art. 6-bis del codice (inserito per effetto del d.l. n. 179/2012, art. 5), relativo all’Indice InI-Pec, aggiungendo alla fine del comma 2 che “gli indirizzi Pec inseriti in tale indice costituiscono mezzo esclusivo di comunicazione e notifiche con le pubbliche amministrazioni”. Infine, il d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, tra le norme di coordinamento, con l’art. 66 ha riprodotto l’art. 16-ter del d.l. n. 179/2012, aggiornandone i richiami normativi (comma 5) ed ha previsto “la confluenza dell’elenco di cui all’art. 16, comma 12, del d.l. n. 179 del 2012 in una sezione speciale del- l’elenco di cui all’art. 6-ter del d.lgs. n. 82 del 2005”, con la precisazione che “ai fini di cui all’art. 16-ter del d.l. n. 179 del 2012, si intende per pubblico elenco anche la predetta sezione dell’elenco di cui all’ art. 6-ter del d.lgs. n. 82 del 2005” (comma 6). Per le notificazioni alle amministrazioni dello Stato restano ferme le norme vigenti sulla difesa in giudizio delle stesse (art. 41, c. 3, c.p.a.), ossia le disposizioni del r.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (v. regolamento PcM 16 febbraio 2016, n. 40, art. 14 e allegate Specifiche tecniche, art. 14), per cui esse vanno effettuate all’indirizzo Pec della competente Avvocatura dello Stato. Peraltro questo susseguirsi di modifiche in una materia già di per sè complessa, non ha giovato alla certezza del diritto ed ha messo in crisi gli operatori e la stessa centralità del codice, il cui art. 73 prevedeva che le successive modifiche avrebbero dovuto attuarsi esclusivamente mediante la modifica e integrazione delle disposizioni del codice stesso. 5. i pubblici elenchi. La legislazione in materia di giustizia digitale ha, come visto, più volte disposto che le comunicazioni e le notificazioni tramite Pec devono provenire da e essere inviate a indirizzi Pec inclusi in pubblici elenchi (v. art. 16 d.l. n. 179/2012). Ma di pubblici elenchi liberamente consultabili ve ne era più d’uno, a partire dal DPr n. 68/2005 (artt. 14, 16). Deve essere perciò sembrato opportuno indicare quali pubblici elenchi di indirizzi fossero utilizzabili per le notifiche: a tanto ha provveduto la legge n. 228/2012, con l’inserimento dell’art. 16-ter nel testo del d.l. n. 179/2012, come sopra riportato. La norma individua per tali una serie di preesistenti elenchi, attraverso il rinvio alle rispettive norme istitutive: • art. 4 d.l. n. 179/2012 (AnPr - Anagrafe nazionale Popolazione residente); rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 • art. 16, c. 12 d.l. n. 179/2012 (registro presso il Ministero della giustizia); • art. 16 d.l. n. 185/2008 (registro delle Imprese, elenchi ordini professionali, IPA); • art. 6-bis d.lgs. n. 82/2005 (InI-Pec); • oltre al registro generale degli indirizzi elettronici presso il Ministero della giustizia regInDe (D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 7). Questa disposizione però, anche nella versione modificata dal d.l. n. 90/2014 (in cui il rinvio all’art. 16 d.l. n. 185/2008 è limitato al solo comma 6), non contiene la specificazione -contenuta in molte altre in materia -del suo carattere esclusivo o tassativo, il che sarebbe stato risolutivo. Lo stesso è da dire per la versione aggiornata di cui al d.lgs. n. 217/2017 (art. 66, c. 5), per cui il problema che si pone è se l’Indice IPA (e successive modifiche) sia un pubblico elenco ai fini delle notificazioni alle Amministrazioni pubbliche. 6. L’indice delle Pubbliche amministrazioni - iPa. L’Indice IPA è stato il primo indirizzario Pec delle P.A. Infatti il codice dell’amministrazione digitale faceva espressamente obbligo alle P.A. di istituire e pubblicare nell’Indice PA almeno una casella di Pec per ogni registro di protocollo (art. 47). Il successivo d.l. n. 185/2008 prevedeva che le P.A., qualora non avessero provveduto ai sensi dell’art. 47 del cAD, dovevano istituire una casella Pec o analogo indirizzo di Pec e darne comunicazione al cnIPA, che provvedeva alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica (art. 16, c. 8). La legge n. 228/2012 lo includeva, come dianzi visto, tra i pubblici elenchi, come tale utilizzabile per tutte le notifiche, fino alla sua esclusione ad opera del d.l. n. 90/2014. Il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, lo ha inserito come art. 6-ter nel cAD (art. 7, c. 2). Infine il d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, lo ha modificato e ridenominato come Indice dei domicili digitali delle P.A. e dei gestori di pubblici servizi, affidandone la realizzazione e gestione all’AgID, e definendolo pubblico elenco di fiducia, da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio e l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge (art. 9, c. 1). Inoltre, come sopra visto, ha fatto confluire al suo interno l’elenco di cui all’art. 16, c. 12, d.l. n. 179/2012, in apposita sezione espressamente definita come pubblico elenco (evidentemente, ai fini delle notificazioni). Da quanto esposto discende che l’IPA è certamente un pubblico elenco in via generale ma resta il dubbio se esso possa essere utilizzato ancora per le notificazioni alle P.A. DottrInA 237 Militano in senso negativo le ragioni accolte dai tAr citati sub 1, consistenti nel fatto che l’art. 16-ter d.l. n. 179/2012, come emendato dal d.l. n. 90/2014, non lo include più tra i pubblici elenchi ai fini nelle notificazioni degli atti civili, penali e amministrativi e degli atti stragiudiziali. Quindi il combinato disposto degli artt. 16-ter e 16-quater porterebbe ad escludere la possibilità di utilizzare l’indice IPA per le notifiche con conseguente nullità di queste (art. 11 l. n. 53/1994). Si può aggiungere che il regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo telematico, adottato con D.M. 16 febbraio 2016, n. 40, ai sensi dell’art. 13 All. 2 al c.p.a., precisa che le notifiche alle Amministrazioni non costituite in giudizio “sono eseguite agli indirizzi Pec di cui all’art. 16 c. 12 d.l. n. 179/2012, fermo quanto previsto dalle norme sull’avvocatura dello Stato” (art. 14). L’all. A a detto regolamento (norme tecniche) aggiunge “esclusivamente avvalendosi degli indirizzi Pec del registro”. Militano invece in senso favorevole alla utilizzabilità dell’Indice anzitutto il fatto che né l’art. 16-ter, d.l. n. 179/2012 e s.m., contiene la doverosa specificazione che sono pubblici elenchi ai fini delle notificazioni “esclusivamente” quelli ivi indicati, né l’art. 16, c. 12 d.l. cit., precisa che tale indirizzo è il “mezzo esclusivo per le notifiche con le pubbliche amministrazioni” (come invece recita, ad esempio, l’attuale art. 6-bis, c. 2, del c.A.D., a proposito del- l’InI-Pec), per cui l’elencazione potrebbe considerarsi non tassativa, come ritenuto dal tribunale di Milano nella pronuncia all’inizio citata. Anche le formulazioni letterali delle due norme farebbero propendere per una loro compatibilità con l’Indice IPA, esprimendosi la prima con “si intendono” per pubblici elenchi (con un mero carattere definitorio e non preclusivo di altri) e la seconda con “al fine di favorire” le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle P.A., senza prevedere sanzioni o conseguenze di sorta. non solo, ma l’art. 16, c. 12, d.l. cit. non prevede nemmeno come si può notificare all’Amministrazione ove questa non abbia comunicato il proprio indirizzo Pec al registro: in tal caso la giurisprudenza citata ritiene che si debba procedere con la notifica cartacea, al che può obiettarsi che il risultato di questa interpretazione è esattamente l’opposto della finalità perseguita dalla legge istitutiva del registro, che è quella di favorire le notificazioni per via telematica. Si tenga conto che tale evenienza è tutt’altro che teorica dato che sinora poche Amministrazioni hanno provveduto al prescritto adempimento, nonostante che il termine di legge sia scaduto sin dal 2014 (poco meno di un migliaio su circa 22.000). né sembra risolutiva la norma regolamentare succitata, data la sua natura meramente tecnica non idonea a qualificare la portata giuridica della disposizione attuata, mentre potrebbe essere significativa la confluenza in esso del registro di cui all’art. 16, c. 12 d.l. n. 179/2012, prevista dal d.lgs. n. 217/2017. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 7. La notifica ad indirizzo iPa. Le considerazioni che precedono inducono a privilegiare una soluzione che contemperi le contrapposte posizioni e tenga conto delle esigenze degli operatori giudiziari coinvolti. Si deve infatti ritenere che l’indirizzo Pec contenuto nel registro (ora sezione speciale dell’IPA) debba essere utilizzato per le notifiche alle Amministrazioni che lo abbiano diligentemente comunicato e che pertanto possono ragionevolmente aspettarsi di ricevere notifiche solo a tale indirizzo dedicato, in coerenza con le indicazioni emergenti della normativa in materia di processo telematico. Qualora invece l’amministrazione non abbia comunicato al registro il proprio indirizzo Pec, questo comportamento inadempiente non può ostacolare l’attuazione del processo telematico né frustrare le finalità sottese alla amministrazione digitale, di semplificazione ed efficienza della Pa. conseguentemente si deve ritenere che in tale caso, non potendo operare la norma speciale, riprendano vigore i principi generali del c.A.D., consistenti nel diritto e dovere di avvalersi della modalità digitale nei rapporti con la pubblica amministrazione e di utilizzare a tal fine gli altri pubblici elenchi di indirizzi Pec esistenti, senza limitazioni. una notifica perciò effettuata all’indirizzo IPA di una Amministrazione che non abbia anche un indirizzo Pec nel registro deve considerarsi perfettamente valida essendo stata eseguita ad un indirizzo risultante da pubblico elenco, in linea con quanto disposto dall’art. 3-bis della l. n. 53/1994 e dagli artt. 137 e 149-bis c.p.c. Depone in tal senso anche l’art. 136, comma 1, c.p.a. (come sostituito dall’art. 45-bis d.l. n. 90 del 2014) che consente la comunicazione ai difensori a mezzo fax “esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all’indirizzo Pec risultante da pubblici elenchi”. Si aggiunga che spesso sono le stesse Amministrazioni ad indicare nelle loro home page l’indirizzo IPA come unico indirizzo Pec, con il risultato, diversamente opinando, di trarre in inganno l’operatore e il cittadino e di vanificarne l’affidamento derivante dalle pubbliche indicazioni. tale soluzione, oltre che legittima e razionale, trova anche conferma nel fatto che nel processo telematico tributario, ai sensi del D.M. 23 dicembre 2013, n. 163, espressamente richiamato dall’art. 16-bis, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, ai fini delle notifiche “per gli enti impositori, l’indirizzo di posta elettronica certificata di cui al comma 1 è quello individuato dall’art. 47, c. 3 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82”, ossia l’IPA (art. 7, c. 5). 8. invalidità o irregolarità. Fermo quanto dianzi esposto, è da domandarsi se una notifica eseguita ad un indirizzo Pec estratto da un pubblico elenco diverso da quelli indicati DottrInA 239 nell’art. 16-ter del d.l. n. 179/2012 e s.m., sia invalida o solamente irregolare. certamente essa non potrebbe essere ritenuta inesistente alla luce dell’insegnamento della Suprema corte di cassazione su tale categoria di invalidità, considerata -atteso il carattere strumentale delle forme processuali e il principio del giusto processo -residuale e limitata, oltre che al caso di totale mancanza materiale dell’atto, alle “sole ipotesi in cui viene posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione”, consistenti: 1) nell’attività di trasmissione svolta da un soggetto qualificato e 2) nella fase di consegna al destinatario (cass., S.u., 20 luglio 2016, n. 14916; cass., VI, ord. 20 luglio 2017, n. 17980; cass., II, ord. 8 gennaio 2018, n. 179). elementi questi certamente sussistenti del caso della notifica ad indirizzo Pec contenuto nell’Indice IPA. nemmeno una siffatta notifica può considerarsi nulla, in quanto -per i principi generali -la nullità deve essere comminata dalla legge (art. 156 c.p.c.), mentre l’unica disposizione in materia (art. 11 l. n. 53/1994) non contempla specificamente tale ipotesi e “là dove commina la nullità della notificazione eseguita personalmente dall’avvocato “se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti” non intende affatto sanzionare con l’inefficacia anche le più innocue irregolarità” (cass., VI, 4 ottobre 2016, n. 19814; c. App. Milano, IV, 21 luglio 2016. n. 3083; cass., VI, 17 giugno 2014, n. 13758). ed infatti l’indirizzo Pec incluso nell’IPA è equivalente alla sede dell’amministrazione per cui si rende applicabile quella giurisprudenza che afferma che una notifica effettuata “ad un indirizzo errato ma all’effettivo destinatario presso la sua sede deve considerarsi valida, trattandosi di una semplice irregolarità” (cass., III, 31 luglio 2017, n. 18937; III, 15 luglio 2003, n. 11066). Si può pertanto ritenere che nel caso di utilizzo di un indirizzo della P.A. diverso da quello indicato nel registro, se corrispondente alla sede dell’amministrazione, come per altri vizi minori, si sia in presenza di una mera irregolarità, sempre sanabile con la costituzione in giudizio del convenuto, anche nel processo amministrativo (art. 44, c. 2, c.p.a.) o con la rinnovazione su ordine del giudice (c. Stato, IV, 4 aprile 2017, n. 1541, per il caso di mancanza di firma digitale). 9. Sanatoria. ove poi si volesse propendere per la ricorrenza, in questo caso, di una fattispecie di nullità, soccorre l’insegnamento della Suprema corte di cassazione, S.u., 23 febbraio 2016, n. 7665, secondo cui “La nullità della notificazione di un atto processuale a mezzo Pec per inosservanza delle relative disposizioni non può mai essere pronunciata se - malgrado l’irritualità della notifica - l’atto è venuto a conoscenza del destinatario. La consegna di un atto processuale all’indirizzo Pec indicato dal destinatario determina la effettiva conoscenza del destinatario. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 È inammissibile l’eccezione relativa ad un mero vizio procedimentale, quando chi la solleva non abbia dedotto che il vizio è idoneo a ledere il proprio diritto di difesa o ad arrecare un pregiudizio all’emanando provvedimento giurisdizionale”. trova infatti applicazione il principio generale, secondo cui “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato” (art. 156, terzo comma, c.p.c.), espressamente applicabile in materia di nullità della notificazione ex art. 160 c.p.c. e art. 44, c. 4-bis, c.p.a. Al riguardo, la giurisprudenza civile è ferma nel ritenere che la costituzione in giudizio del convenuto sana ogni nullità della notificazione con effetto ex tunc (anche se effettuata al solo fine di eccepire la nullità: cass., VI, ord. 9 febbraio 2018, n. 3240; cass., S.u., 20 luglio 2016, n. 14916; cass., II, 12 marzo 2015, n. 4937), così come impedisce ogni decadenza la rinnovazione della notificazione, spontanea o doverosamente disposta ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (cass., VI, ord. 9 giugno 2017, n. 14523). Più variegata è la giurisprudenza amministrativa. una parte di questa, anche dopo l’entrata in vigore del c.p.a., è favorevole a riconoscere l’effetto sanante ex tunc nel caso di costituzione piena (ossia con difese anche nel merito) in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo (v. c. Stato, VI, 5 giugno 2017, n. 2695; VI, 20 marzo 2017, n. 1249; tAr Veneto, I, 8 febbraio 2017, n. 135; tAr Alto-Adige, I, 15 febbraio 2016, n. 86; c. Stato, III, 30 aprile 2015, n. 4697; tAr Abruzzo-L’Aquila, 16 aprile 2015, n. 290; tAr Sicilia-Palermo, III, 27 gennaio 2015, n. 145; c. Stato, III, 14 luglio 2014, n. 3609; VI, 27 novembre 2014, n. 5884; VI, 27 giugno 2014, n. 3260; IV, 12 maggio 2014, n. 2421; VI, 17 gennaio 2014, n. 227; IV, 16 dicembre 2011, n. 6404; tAr Sicilia-catania, III, 6 dicembre 2013, n. 2975; tAr Lom- bardia-Milano, II, 10 maggio 2011, n. 1220, spesso in fattispecie di errata notifica diretta a P.A. o presso la sede di un’Avvocatura dello Stato funzionalmente incompetente). un altro orientamento ritiene invece che la costituzione in giudizio ha effetto sanante solo ex nunc, ai sensi del disposto “innovativo” dell’art. 44, comma 3, c.p.a., che fa salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione, (c. Stato, III, 18 maggio 2016, n. 2064; IV, 28 gennaio 2016, n. 323; VI, 20 gennaio 2016, n. 189; IV, 13 ottobre 2014, n. 5046). Questa interpretazione ha ricevuto un qualche avallo dalla corte costituzionale che con sentenza 31 gennaio 2014, n. 18, ha disatteso l’eccezione di incostituzionalità della norma suddetta sul presupposto che nel processo amministrativo “caratterizzato da brevi termini perentori per la sua introduzione e dall’assenza dell’istituto della contumacia, vige l’opposto principio per cui ai fini della regolare instaurazione del rapporto processuale, il ricorso deve, entro il prescritto termine di decadenza, essere ritualmente notificato all’amministrazione resistente (ed almeno a un controinteressato)”. DottrInA 241 Peraltro, sotto il regime del previgente regolamento (r.D. 17 agosto 1907, n. 642), il principio prevalso e pacificamente seguito dopo l’Ad. Plenaria, 16 dicembre 1980, n. 16, era proprio quello dell’effetto sanante ex tunc della costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente. comunque tale indirizzo sembra trascurare che l’art. 44, comma 4, c.p.a., presuppone l’ordinario effetto sanante della costituzione in giudizio dell’amministrazione con impedimento di ogni decadenza (altrimenti sarebbe incongruo) e che il successivo comma 4-bis fa salvo l’art. 39, c. 2, c.p.a. (rinvio esterno), secondo cui “le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal c.p.c. e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile”, con conseguente piena applicazione dei principi generali degli articoli 156 e 157 c.p.c., per cui si ritorna alla interpretazione e applicazione fattane dalla citata giurisprudenza civile e amministrativa. Ad ogni buon conto, il tAr Veneto, I, con ord. 18 novembre 2016, n. 1281, ha riproposto la questione della costituzionalità dell’art. 44, c. 3. c.p.a., con nuovi approfonditi argomenti fondati sugli artt. 24 cost. e 6 ceDu e ricordando la precedente sentenza della stessa corte costituzionale 8 luglio 1967, n. 97, che ebbe a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 11, terzo comma, r.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, riguardante la nullità assoluta e insanabile della notifica effettuata all’amministrazione invece che alla sede della competente Avvocatura dello Stato, per irrazionalità e mancanza di proporzionalità. È possibile anche ipotizzare che il comma 3 dell’art. 44 c.p.a. volesse più propriamente riferirsi alla “nullità (della notificazione e) del ricorso”, riproducendo così il disposto dell’art. 164, terzo comma, c.p.c., riguardi cioè le sole nullità del ricorso previste dal comma 1 dell’art. 44 (Nullità della notificazione e del ricorso), mentre il comma 4 riguardi quelle della notificazione. una alternativa è rappresentata da quella giurisprudenza che ritiene che nella specie ricorra un errore scusabile (art. 37 c.p.a.) quante volte l’indirizzo IPA trovasi pubblicato nel sito istituzionale dell’ente (tAr Molise, I, ord. coll., 13 novembre 2017, n. 420, riguardante il caso di notifica ad indirizzo diverso della Avvocatura dello Stato; tAr campania, VIII, ord. 15 marzo 2018, n. 1653, con ampia motivazione e richiami). In definitiva, anche nel processo amministrativo telematico la costituzione in giudizio della P.A. o la rinnovazione della notificazione sanano ogni vizio con effetto ex tunc, senza contare che la complessità della legislazione in materia e i diversi orientamenti interpretativi rendono, almeno in queste prime fasi, altamente giustificabile un errore nell’individuazione dell’indirizzo Pec da utilizzare per la notifica. ciò è tanto più vero quando l’Amministrazione non abbia comunicato al registro il proprio indirizzo dedicato alle notifiche e abbia pubblicato sul proprio sito istituzionale, senza avvertenze o specificazioni, l’indirizzo IPA, ingenerando il legittimo affidamento di chi lo consulta rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 (con applicabilità in tale ipotesi anche del principio di cui all’art. 157, 3° comma, c.p.c., secondo cui “la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa”). 10. Preclusioni. tutto quanto esposto vale se l’Amministrazione si costituisce in giudizio. ove invece questa non lo faccia, il giudice dovrà ordinare la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 44, comma 2, c.p.a., se si tratta di irregolarità (v. c. Stato, IV, 4 aprile 2017, 1541) ovvero ai sensi dell’art. 291 c.p.c., in caso di nullità (v. cass., VI, ord. 9 giugno 2017, n. 14523), da ritenersi applicabile, non rilevando l’intervenuta parziale abrogazione (ad opera dell’art. 4, n. 42, dell’All. 4 al c.p.a.) della disposizione di legge (n. 69/2009) che ne estendeva l’applicabilità al processo amministrativo, divenuta superflua stante il rinvio esterno alla disciplina generale del c.p.c. (art. 39 c.p.a.) (contra c. Stato, IV, n. 1249 del 2017). Se poi l’eccezione di nullità della notificazione telematica, non sia stata proposta in primo grado dall’Amministrazione costituita, non sembra che tale eccezione possa essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello (v. per analoghe preclusioni, ispirate alla medesima ratio, gli artt. 38, 167, 183, 416 c.p.c.) né che possa essere proposta in tale sede una volta che la sentenza breve impugnata abbia deciso -senza opposizione -il merito del ricorso (v. c. Stato, V, 5 novembre 2014, n. 5465, V, 27 giugno 2012, n. 3777, IV, 5 luglio 2010, n. 4244, IV, 19 novembre 2009, n. 4117, che hanno affermato la inammissibilità in appello di motivi di opposizione alla adozione della sentenza breve, ex art. 60 c.p.a., non palesati avanti al giudice di primo grado), ostandovi in ogni caso le esigenze di semplificazione, economia processuale e conservazione degli atti e in ossequio al principio costituzionale del giusto processo (art. 111 cost.). 11. Conclusioni. tornando al tema di partenza, si osserva che la tesi accolta dalle ordinanze citate sub 1 non è così blindata come un po' affrettatamente può apparire. come detto, essa si basa sulla modifica letterale apportata dal d.l. n. 90/2014 al testo dell’art. 16-ter del d.l. n. 179/2012, con cui si limita il richiamo dell’art. 16 del d.l. n. 185/2008 al solo comma 6 (e non più all’intero articolo): se ne argomenta che non sarebbe pubblico elenco ai fini delle notifiche e comunicazioni l’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA) istituito dal comma 8 dell’art. 16 d.l. n. 185/2008 e s.m., e pertanto la notifica effettuata a tale indirizzo sarebbe nulla e il ricorso inammissibile, senza talora neanche porsi un problema di sanabilità. In contrario peraltro già è da dubitare del carattere tassativo del disposto dell’art. 16-ter del d.l. n. 179/2012 e s.m., per le ragioni esposte sub 7, ma co DottrInA 243 munque deve ritenersi che quante volte l’Amministrazione, venendo meno alle indicazioni di legge, abbia omesso di dotarsi di un indirizzo Pec nel registro del Ministero della giustizia, riprenda vigore il principio generale del diritto-dovere del cittadino alla comunicazione digitale con la P.A., con conseguente applicazione delle norme del cAD e delle sue prescrizioni, che si ispirano a principi d’ordine pubblico generale. D’altra parte, una notifica effettuata ad indirizzo tratto da un pubblico elenco, specie se previsto dal cAD, non può essere nulla, in difetto di espressa e specifica disposizione di legge, ma solo integrare una mera irregolarità, sempre sanabile. In ogni caso, in considerazione dei principi della strumentalità della forma processuale degli atti e del giusto processo e in applicazione dei principi generali del c.p.c., pacificamente applicabili anche al processo telematico, civile e amministrativo, l’eventuale nullità della notificazione effettuata ad indirizzo Pec diverso della P.A. rimane sanata dalla costituzione in giudizio dell’Amministrazione (specie se piena) e dalla disposta rinnovazione della stessa o preclusa se non dedotta in primo grado. In conclusione, le ragioni letterali, ermeneutiche e interpretative sopra esposte supportano le soluzioni prospettate in favore della validità o sanabilità della notifica Pec effettuata ad indirizzo IPA, e appaiono legittime, eque e coerenti con i principi che regolano la materia delle notificazioni in via telematica nel processo civile e amministrativo nonchè con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 111, 113 cost. e di ragionevolezza e proporzionalità. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 trasparenza amministrativa e nuovo accesso civico dopo il d.Lgs. n. 97/2016 Federica Mariniello* Sommario: 1. Premessa -2. il principio di trasparenza -3. Evoluzione normativa dell’istituto -4. Dalla trasparenza come obbligo di pubblicazione alla trasparenza come libertà di accesso a dati e documenti. Novità del c.d. “Decreto Trasparenza” -5. Natura giuridica del diritto di accesso -6. Nuovo ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’accesso generalizzato -7. il procedimento di accesso -8. Comunicazione ai controinteressati e gratuità dell’accesso -9. responsabilità e sanzioni -10. accesso e riservatezza -11. Considerazioni finali. 1. Premessa. Il decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 “revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” mira a rafforzare la trasparenza amministrativa introducendo sostanziali modifiche al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (1), con il precipuo obiettivo di introdurre parametri organizzativi per la pubblicazione d’informazioni e per la riduzione, razionalizzazione e precisazione degli obblighi gravanti in capo alle amministrazioni pubbliche e di rimodulare l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione degli oneri in materia di trasparenza. La nuova disciplina è tesa a realizzare un profondo cambiamento per tutte le pubbliche amministrazioni, mediante la previsione di uno specifico strumento equivalente al “Freedom of information act” (FoIA): una nuova forma di accesso civico (2), che si sostanzia nel riconoscimento, in favore di tutti i cittadini - in nome di una total disclosure (3) tipica del mondo anglosassone (*) Dottoressa in giurisprudenza, Master in Management e Politiche delle Pubbliche Amministrazioni, presso la LuISS-School of government; Master (in corso) in Sicurezza delle Informazioni ed Informazione Strategica, presso il Dipartimento di Ingegneria Automatica, Informatica e gestionale dell’università La Sapienza di roma, in partnership con il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza ex art. 4 della legge 3 agosto 2007, n. 124. (1) recante “riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” (titolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97), pubblicato sulla G.U. n. 80 del 5 aprile 2013. (2) Il diritto di accesso si configura quale pilastro del diritto amministrativo moderno, soprattutto in termini di effettiva conoscenza da parte del cittadino dell’azione amministrativa. (3) Quando parliamo di “trasparenza statica”, ci riferiamo al fatto che le amministrazioni, per legge o per iniziativa personale, rendono pubblici una serie di dati relativi alla propria organizzazione e alle proprie attività (ad esempio, i dati sui propri dipendenti e i propri bilanci). DottrInA 245 della possibilità di accedere anche ai dati e ai documenti per i quali non sussista un espresso obbligo di pubblicazione. Il nuovo istituto segna il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know) (4), rappresentando per il nostro ordinamento una “rivoluzione copernicana”, che evoca la nota immagine della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro” (5). A partire dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, sul procedimento amministrativo (6), in cui trova la propria originaria disciplina generale - e fino alla legge delega 7 agosto 2015, n. 124 (7) e al d.lgs. n. 97/2016 (8), transitando per la legge n. 190/2012 (9) e il d.lgs. 33/2013 - il diritto di accesso ha permeato l’intero diritto amministrativo. Quella che inizialmente costituiva una “semplice apertura, in una visione di dialettica paritaria, nei confronti e a favore del privato, ha finito con l’investire direttamente e totalmente la Pubblica amministrazione, mettendo in evidenza come il suo operato debba risultare trasparente per tutti i cittadini” (10). 2. il principio di trasparenza. L’accesso ai documenti amministrativi è diretto a favorire la partecipazione dei cittadini all’azione pubblica e ad assicurare la trasparenza e l’imparzialità della stessa. In particolare, in ossequio alla trasparenza, assurta a principio generale che innerva l’intera attività e organizzazione della P.A., quest’ultima è tenuta a garantire la visibilità, la conoscibilità e la comprensibilità degli assetti ordinativi adottati e delle modalità operative in cui si declina l’assolvimento delle funzioni istituzionalmente demandategli, a garanzia di una tutela concreta ed effettiva dell’interesse pubblico (11). con l’espressione concettuale “trasparenza dinamica”, accountability o total disclosure, facciamo un passo ulteriore: pensiamo a una trasparenza che non è concessa dall’alto, ma è la sostanza stessa del rapporto di fiducia instaurato tra cittadini, politica e pubblica amministrazione. (4) F. turAtI, atti del Parlamento italiano, camera dei deputati, sess. 1904-1908, 17 giugno 1908, 22962. (5) consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, Parere 24 febbraio 2016, n. 515. (6) recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, pubblicata sulla G.U. n. 192 del 18 agosto 1990. (7) Legge 7 agosto 2015, n. 124 “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, pubblicata sulla G.U. n. 187 del 13 agosto 2015. (8) Decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 “revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, pubblicato sulla G.U. 8 giugno 2016, n. 132. (9) Legge 6 novembre 2012, n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, pubblicato sulla G.U. n. 265 del 13 novembre 2012. (10) t.A.r. Lombardia, Brescia, Sez. I, 4 marzo 2015, n. 360. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 L’elaborazione successiva - merito della dottrina e della giurisprudenza più accorte -è approdata all’enucleazione del principio de quo, configurandone una distinta fisionomia rispetto a quelli di legalità, imparzialità e buona amministrazione, consacrati espressamente nell’art. 97 cost., e conferendogli una propria autonoma dignità giuridica. In tale prospettiva, il canone della trasparenza si declina nell’attribuzione ai cittadini del potere di esercitare un controllo democratico sull’agere amministrativo, al fine di accertarne la conformità tanto agli interessi pubblici alla cui cura è preordinato, quanto ai precetti normativi che lo disciplinano. tra le innovazioni più qualificanti introdotte dal d.lgs. n. 97/2016 può annoverarsi l’inedita definizione del principio di trasparenza (12) che, superando quella contenuta nelle previgenti disposizioni (13), lo correla funzionalmente ai concetti di prevenzione e lotta alla corruzione (14), di cui alla l. n. 190/2012 (15). nello specifico, la trasparenza viene ora configurata quale accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, finalizzata non soltanto a favorire forme diffuse di controllo da parte dei consociati sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. rappresentando, altresì, una condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive tutelate dall’art. 2 cost., nonché dei diritti civili, politici e sociali, essa integra, in definitiva, il diritto a una buona amministrazione. (11) M. BoMBArDeLLI, voce «Trasparenza», in Enciclopedia Treccani, Diritto on line. (12) cfr. art. 2 (Modifiche all’art. 1 del d.lgs. n. 33/2013) che statuisce: “all’articolo 1, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013, le parole “delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di”, sono sostituite dalle seguenti: “dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti fondamentali e”. (13) cfr. artt. 1, comma 1-bis, l. n. 241/1990 e 11, d.lgs. n. 150/2009. (14) D’altro canto, non vi è dubbio che l’implementazione della trasparenza è argine principale alla corruzione in quanto gli affari illeciti preferiscono, come ha sintetizzato recentemente il Presidente dell’AnAc, l’oscurità e non amano la luce e la trasparenza. (15) com’è noto, la trasparenza è stata introdotta quale criterio generale dell’attività amministrativa dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 che, significativamente, fin dalla sua entrata in vigore è stata appellata, oltre che propriamente come legge generale sul procedimento amministrativo, anche come legge “sulla trasparenza amministrativa”. Più precisamente, però, nel testo originale della legge veniva richiamato il solo principio di pubblicità, mentre quello di trasparenza è stato espressamente inserito, pur senza il corredo di una definizione esplicita, solo con le modifiche apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15. Alla trasparenza amministrativa hanno poi fatto riferimento normative di settore come, ad esempio, il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti), all’art. 2. essa ha poi trovato un’espressa determinazione nel contesto del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 che, all’art. 11, l’ha definita come “accessibilità totale [...] delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti”, finalizzandola “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità”, considerandola, infine, come “livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche”. Questa definizione è stata poi ampliata, in particolare su quest’ultimo punto, dalla l. n. 190/2012, che ha altresì delegato il governo ad adottare quello che è poi diventato, appunto, il d.lgs. n. 33/2013. DottrInA 247 coerentemente, viene rimodulata e ampliata la ratio sottesa al principio di trasparenza: dall’originaria pubblicazione delle informazioni e dei documenti in possesso dell’amministrazione alla garanzia generalizzata della trasparenza della P.A., mediante l’esercizio dell’accesso civico, considerato importante strumento di controllo democratico dell’operato della P.A., in un’ottica accentuata di trasparenza e pubblicità. 3. Evoluzione normativa dell’istituto. Il percorso normativo della trasparenza è contraddistinto da molteplici tappe evolutive (16), ciascuna delle quali connotata dal differente rapporto tra la trasparenza e le relative modalità di realizzazione, di accesso o pubblicità dei dati, dei documenti e delle informazioni (17). La sua consacrazione definitiva (18) quale forma di tutela individuale di situazioni soggettive (e non mezzo di controllo sociale dell’operato della Pubblica Amministrazione (19)) è intervenuta con l’entrata in vigore della legge n. 241/90, nel cui contesto logico-sistematico si attesta il rapporto di strumentalità del diritto di accesso ai documenti amministrativi rispetto alla realizzazione della trasparenza (20). A sottolineare l’ampiezza esplicativa di tale diritto, valga rammentare che: è ridimensionato l’ambito operativo del segreto d’ufficio, che non esprime più un canone generale dell’azione dei pubblici poteri, ma rappresenta un’esplicita eccezione al principio di trasparenza, rigorosamente circoscritta ai soli casi in cui si rileva l’obiettiva necessità di tutelare specifici e delicati settori dell’amministrazione (21); la legittimazione attiva è riconosciuta a tutti i soggetti titolari di una situazione giuridicamente rilevante. (16) F. PAtronI grIFFI, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, n. 8, 2013, 2. (17) A. PAJno, il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, in Giust. civ., n. 2, 2015, 228. (18) La sua esistenza già si desumeva da alcune precedenti norme di legge, quali l’art. 26 della l. n. 816/85 (che sanciva il diritto dei cittadini di prendere visione degli atti comunali) e l’art. 14 della l. n. 349/86 (sul diritto di accesso agli atti contenenti dati ambientali). (19) L’art. 22, comma 1, della l. n. 241/1990, nel testo originario, stabiliva che: «al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge». (20) Peraltro, è bene sottolineare che alla realizzazione della trasparenza, nel senso innanzi inteso, concorrono altresì numerosi altri principi e istituti, quali -ad esempio -l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (stabilito dall’art. 3 l. n. 241/90) e la partecipazione dei privati al procedimento che li riguardi (artt. 7-13). Appare evidente che solo un concreto e diretto coinvolgimento nel- l’iter procedimentale dei destinatari del provvedimento finale, nonché l’esplicitazione delle ragioni logico-giuridiche sottese all’emanazione del provvedimento rendono possibile il controllo democratico dei cittadini sull’azione amministrativa. (21) In passato, la P.A. faceva spesso riferimento all’art. 15 del D.P.r. 10 gennaio 1957 n. 3, ai sensi del quale all’impiegato pubblico era precluso fornire a chi non ne avesse diritto “… informazioni rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 Il successivo D.P.r. 27 giugno 1992, n. 352, ne ha individuato sia le modalità di esercizio, che i casi di esclusione (22). o comunicazioni relative a provvedimenti od operazioni amministrative di qualsiasi natura e notizie delle quali sia venuto a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per l’amministrazione o per i terzi”. Il timore di recare un pregiudizio all’amministrazione finiva per favorire un’applicazione estensiva della disposizione in parola. Prima dell’entrata in vigore della l. n. 241/1990, vigeva la regola generale della segretezza dell’attività amministrativa, consacrata nell’art. 15 del D.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato): essa si concretizzava nel silenzio dei funzionari, nel rifiuto di fornire informazioni e nel diniego di visionare i documenti amministrativi. erano dunque considerate “eccezionali” le norme che garantivano l’accesso ai documenti amministrativi, in relazione ad alcuni settori dell’azione amministrativa (tra questi, quello dell’amministrazione degli enti locali, ex art. 25 della l. n. 816/1985, e quello dell’urbanistica, ex artt. 9 della l. n. 1150/1942 e 10, comma 9, della l. n. 765/1967). L’introduzione della l. n. 241/1990 ha segnato il passaggio da un sistema incentrato sulla segretezza ad un sistema basato sui principi di pubblicità e di trasparenza dell’attività amministrativa, a loro volta espressione dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione codificati nella carta costituzionale. Pertanto, l’art. 28 della l. n. 241/90 ha invertito il rapporto regola-eccezione, confinando il segreto d’ufficio entro ambiti decisamente circoscritti, limitandolo ai soli casi espressamente indicati dalla normativa sull’accesso. (22) L’articolo 3, attinente all’accesso informale, stabiliva che “il diritto di accesso si esercita in via informale mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione centrale o periferico, competente a formare l'atto conclusivo di procedimento o a detenerlo stabilmente. L'interessato deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta, ovvero gli elementi che ne consentano l'individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della richiesta, far constare della propria identità e, ove occorra, dei propri poteri rappresentativi. La richiesta, esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea. La richiesta, ove provenga da una pubblica amministrazione, è presentata dal titolare dell'ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo”. L’art. 4 disciplinava il procedimento di accesso formale, stabilendo che “Qualora non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell'interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite o sull'accessibilità del documento, il richiedente è invitato contestualmente a presentare istanza formale. al di fuori dei casi indicati al comma 1, il richiedente può sempre presentare richiesta formale, di cui l'ufficio è tenuto a rilasciare ricevuta. La richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione è data comunicazione all'interessato. al procedimento di accesso formale si applicano le disposizioni contenute nei commi 2 e 4 dell'art. 3. il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni a norma dell'art. 25, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (2), decorrenti dalla presentazione della richiesta all'ufficio competente o dalla recezione della medesima nell'ipotesi disciplinata dal comma 3. ove la richiesta sia irregolare o incompleta l'amministrazione, entro dieci giorni, è tenuta a darne tempestiva comunicazione al richiedente con raccomandata con avviso di ricevimento od altro mezzo idoneo ad accertare la recezione. il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta perfezionata. responsabile del procedimento di accesso è il dirigente o, su designazione di questi, altro dipendente addetto all'unità organizzativa competente a formare l'atto od a detenerlo stabilmente. Nel caso di atti infra-procedimentali, responsabile del procedimento è, parimenti, il dirigente, o il dipendente da lui delegato, competente all'adozione dell'atto conclusivo, ovvero a detenerlo stabilmente”. Per quanto attiene, infine, alle ipotesi di esclusione, l’art. 8 disponeva che “i documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (4). i documenti contenenti informazioni DottrInA 249 Sull’abbrivio delle indicazioni scaturite dalla successiva elaborazione dottrinaria, dall’evoluzione giurisprudenziale e dalle sopravvenute innovazioni del sistema normativo, l’istituto “generale” dell’accesso è stato ulteriormente rivisitato ad opera della legge 11 febbraio 2005, n. 15 che è intervenuta su alcune disposizioni del capo V della legge n. 241/1990, apportandovi correzioni e integrazioni. In particolare, incidendo in senso restrittivo sul portato dispositivo dell’art. 22, comma 1, ha circoscritto l’ambito di legittimazione attiva, definendo gli “interessati” come «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l’accesso». Pochi mesi dopo, con legge 14 maggio 2005, n. 80, il Legislatore ha espressamente devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi (23). con l’approvazione, poi, della legge 4 marzo 2009, n. 15 (24), il Parla- connesse a tali interessi sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. a tale fine, le amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso. in ogni caso i documenti non possono essere sottratti all'accesso ove sia sufficiente far ricorso al potere di differimento. Le categorie di cui all'art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (4), riguardano tipologie di atti individuati con criteri di omogeneità indipendentemente dalla loro denominazione specifica. Nell'ambito dei criteri di cui ai commi 2, 3 e 4, i documenti amministrativi possono essere sottratti all'accesso: a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (5), dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste nei trattati e nelle relative leggi di attuazione; b) quando possa arrecarsi pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, nonché all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini; d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono. Deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici”. (23) In seguito alle incisive novità normative del 2005, il diritto di accesso ha subito una profonda rimodulazione: invero, «attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse», il diritto di accesso viene adesso considerato quale «principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza» (art. 22, comma 2, l. n. 241/1990). tali finalità devono necessariamente essere combinate con un ulteriore principio cardine della materia, quello secondo cui «Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni» (art. 24, comma 3, l. n. 241/1990). rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 mento ha delegato il governo ad adottare misure di riforma del lavoro pubblico, al fine di assicurare la garanzia della trasparenza dell’organizzazione del lavoro e l’introduzione di sistemi di valutazione del personale e delle strutture, idonei a consentire anche agli organi politici di vertice l’accesso diretto alle relative informazioni. nel quadro del d.lgs. n. 150/2009 (c.d. “riforma Brunetta”), adottato in attuazione della suddetta delega, la trasparenza assurge a metro di valutazione della performance e dei risultati della pubblica amministrazione, poiché preordinata ad assicurare «forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità» (art. 11, comma 1 (25)); da mezzo per garantire la tutela di situazioni giuridiche soggettive diviene, dunque, strumento atto a consentire l’esercizio di un ampio controllo dell’operato dell’amministrazione pubblica. Per tale via, ne risultano profondamente innovati sia l’oggetto che le modalità di realizzazione. Difatti, non sono più il procedimento, il provvedimento e i documenti amministrativi a costituirne il fulcro, ma le “informazioni” relative all’organizzazione, alla gestione e all’utilizzo delle risorse finanziarie, strumentali e umane, nonché la previsione di obblighi di pubblicazione nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni di tutte le informazioni concernenti l’attività, l’organizzazione e l’impiego delle risorse (26). Successivamente, nel 2010, il Legislatore ha iscritto il rito dell’accesso ai documenti amministrativi nel novero dei riti speciali del giudizio amministrativo, collocando la relativa disciplina nell’opportuno contesto “processuale” inaugurato con il codice del processo amministrativo (art. 116 del d.lgs. n. 104/2010). (24) con la legge 18 giugno 2009, n. 69, poi, il Legislatore ha provveduto a “trasportare” dall’art. 22, comma 2, della l. n. 241/1990, all’art. 29, comma 2-bis, della stessa legge, il principio per il quale l’obbligo per la pubblica amministrazione di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa attiene ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della costituzione. (25) La trasparenza, infatti, in attuazione in primis del principio democratico, viene ad essere intesa (sul modello dell’art. 11, d.lgs. n. 150/2009) come «accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni», al dichiarato fine di «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche » (art. 1, comma 1). Ma non basta, perché la trasparenza, nel momento in cui «concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino», viene anche ad essere qualificata quale «condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali », oltre che espressione di quel «diritto ad una buona amministrazione» (art. 1, comma 2) affermato nell’art. 41 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, che eleva appunto la buona amministrazione da «principio» a «diritto». In altre parole, in aperta controtendenza rispetto alla tradizione giuridica italiana, che non aveva sinora mai concepito l’esistenza di «diritti fondamentali nei confronti dell’amministrazione», anche la trasparenza amministrativa diventa finalmente un diritto del cittadino e non più una concessione delle pubbliche amministrazioni. (26) Si deve al codice dell’Amministrazione digitale, recato dal d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, la prima definizione del contenuto obbligatorio dei siti delle pubbliche amministrazioni (art. 54). DottrInA 251 Due anni più tardi, un’ulteriore progressione nello sviluppo normativo della trasparenza si è concretizzata con la legge 6 novembre 2012, n. 190 - recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica amministrazione” - adottata in ossequio all’art. 6 della convenzione dell’organizzazione delle nazioni unite contro la corruzione (27) e in linea con la coerente attuazione nel nostro Paese di politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione, che prevedono il ricorso a forme di pubblicità delle informazioni riguardanti l’attività amministrativa, in generale, e di alcuni settori specifici della stessa, in particolare. Inoltre, la legge in parola reca delega al governo per il riordino degli obblighi di pubblicità, di trasparenza e di diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (art. 1, commi 35 e 36). Il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, attuativo di detta delega, come specificato all’art. 1, realizza, attraverso un ampio ventaglio di obblighi di pubblicità, forme diffuse di controllo dell’operato della P.A. sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. In tale logica, è stabilito che «tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici» (art. 3, comma 1), con la precisazione che «chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente e di utilizzarli e riutilizzarli» ai sensi della disciplina vigente (art. 7, comma 1). La pubblicità diventa così mezzo di realizzazione della trasparenza, rivestendo un ruolo cardine per sostanziare l’open government (28), con contestuale abbandono dello strumento dell’accesso. Accanto a tale forma di pubblicità obbligatoria, il codice della trasparenza ne ha previsto una facoltativa, stabilendo la possibilità per le amministrazioni di disporre la pubblicazione di documenti, atti o informazioni che non hanno l’obbligo di pubblicare (art. 4). In tale contesto, la trasparenza non può, quindi, configurarsi come accessibilità totale al di là del perimetro dell’obbligo di pubblicazione: oltre questo -e fatti salvi i casi di pubblicazione facoltativamente disposta -si appalesa soltanto la possibilità di accesso consentita dalla legge n. 241/1990. come è stato evidenziato, nel sistema prefigurato dal d.lgs. n. 33/2013 coesistono due diverse nozioni di trasparenza, presidiate da due differenti regimi giuridici: l’una come pubblicità relativa alle informazioni, per le quali è previsto un obbligo di pubblicazione; l’altra come accessibilità ex lege n. 241/1990 per gli atti amministrativi non soggetti a obblighi di pubblicità, per i quali continua a operare la commissione per l’accesso (art. 4, comma 7). (27) La convenzione dell’organizzazione delle nazioni unite contro la corruzione è stata adottata dall’Assemblea generale dell’onu il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116 e degli artt. 20 e 21 della convenzione penale sulla corruzione. (28) A. PAJno, il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, cit., 237. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 Alla disciplina contenuta in tale atto normativo va ascritto un duplice merito: aver operato un riordino delle disposizioni in tema di obblighi di pubblicazione e aver introdotto un più organico assetto dei meccanismi di enforcement, in particolare attraverso la previsione dell’accesso civico, quale “pungolo” al corretto adempimento degli obblighi di pubblicazione da parte delle amministrazioni (29). In definitiva, il principio della trasparenza amministrativa, all’esito di una profonda «mutazione genetica», ha assunto una diversa e più ampia configurazione, che si traduce nel diritto «per tutti i cittadini di avere accesso diretto all’intero patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni» (30). In tale nuova veste, diventa strumento fondamentale per alimentare il rapporto di fiducia tra Pubblica Amministrazione e cittadini e per promuovere, contestualmente, il principio di legalità e la prevenzione della corruzione (31). 4. Dalla trasparenza come obbligo di pubblicazione alla trasparenza come libertà di accesso generalizzato a dati e documenti. Novità del c.d. “Decreto Trasparenza”. con l’approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Legge Madia), il lungo cammino della trasparenza amministrativa prosegue verso prospettive innovative. In particolare, con l’art. 7 il governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 33/2013, nel rispetto di una serie di principi e criteri direttivi espressamente indicati. Fra essi, rileva in special modo, ai fini della presente disamina, quello riportato all’art. 7, comma 1, lett. h), che recita: “fermi restando gli obblighi di pubblicazione, riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”. (29) M. SAVIno, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. dir. amm., n. 89, 2013, 798. Sull’opportunità e utilità del riconoscimento di un diritto “civico” all’accesso in corrispondenza degli obblighi di pubblicazione posti dalla legge a carico dell’Amministrazione si veda, in particolare: c. MArzuoLI, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. MerLonI (a cura di), La trasparenza amministrativa, 2008, 62 e ss. (30) r. gAroFoLI, il contrasto alla corruzione. La l. 6 novembre 2012, n. 190, il decreto di trasparenza e le politiche necessarie, in www.giustizia-amministrativa.it, del 30 marzo 2013. (31) con la l. n. 190/2012 si fa riferimento ad un’accezione amministrativistica più ampia del termine corruzione: cfr. sul punto B.g. MAttAreLLA, La prevenzione della corruzione, in Giorn. dir. amm., 2013, n. 2, 123 ss. DottrInA 253 In via attuativa, il Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha proposto uno schema di decreto legislativo in tema di trasparenza, poi sfociato, nella versione rimodulata all’esito del prescritto parere del consiglio di Stato (32) e delle commissioni parlamentari, nel decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97. nello specifico, il nuovo “Decreto Trasparenza” contiene elementi di significativa innovazione in materia di trasparenza amministrativa, di obblighi di pubblicazione e di diritto di accesso civico (33). Dall’originaria previsione di mere forme di pubblicazione di documenti da parte della P.A. si è giunti alla tutela della libertà di accesso a dati e documenti in suo possesso. La regola è, dunque, rappresentata dall’accesso generalizzato ai documenti detenuti dalla P.A., salvo espresse specifiche limitazioni. non occorre alcun interesse qualificato né il diritto risulta limitato a determinati documenti. Il principio si ricava dalla lettura dell’art. 5, comma 2: «chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis». coerentemente, il diritto «non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente» e l’istanza, che può essere presentata telematicamente a diversi uffici, non richiede alcuna motivazione; è solo necessario identificare «i dati, le informazioni o i documenti» richiesti. Il diritto si riferisce, quindi, non solo ai documenti, ma anche ai dati e alle informazioni (34). La Pubblica Amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso. Il diritto di accesso civico impone, però, alla stessa di palesare dati e informazioni non necessariamente già trasfuse in un documento. tale mutamento di prospettiva sottolinea come lo scopo della normativa in materia di trasparenza non sia più, principalmente, quello di ottenere la pub (32) cons. St., Sez. cons., Parere n. 515/2016, reperibile in www.giustizia-amministrativa.it. (33) occorre sottolineare l’importanza dell’art. 2, modificativo dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013, che fa sì che lo scopo della trasparenza non si riduca al solo “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”, ma sia inteso anche a garantire una forma di accessibilità totale, in funzione di tutela dei diritti fondamentali che, come si intuisce dalla lettura del co. 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 33/2013, sono da riferire a “libertà individuali e collettive”, nonché ai “diritti civili, politici e sociali”, al diritto ad una buona amministrazione e alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino. (34) nel sistema della L. 241/1990, erano (e sono nei casi di residua applicazione del diritto di accesso ‘classico’) accessibili solo i documenti già formati; come precisato dall’art. 2 del D.P.r. 184/2006 (regolamento attuazione del diritto di accesso), infatti, “il diritto di accesso (di cui alla L. 241/1990) si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta”. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 blicazione di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, mettendo in atto forme di “voyerismo amministrativo” (35), quanto quello di garantire la libertà di accesso a dati e documenti della medesima “tramite l’accesso civico” in primis, e solo in subordine “tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti” (36). 5. Natura giuridica del diritto di accesso. La valorizzazione del diritto di accesso quale principio generale nell’ambito del nostro ordinamento ha posto il problema della sua riconducibilità nell’alveo dei diritti soggettivi ovvero degli interessi legittimi. Secondo un primo orientamento (37), la pretesa del soggetto all’esibizione del documento amministrativo sarebbe qualificabile come interesse legittimo pretensivo, in base alle seguenti argomentazioni: -a mente dell’art. 24, comma 4, della l. 241/90, la P.A. può differire l’esercizio di tale diritto se lo stesso dovesse in alcun modo pregiudicare la funzione pubblica; ciò sottende il riconoscimento, in capo alla stessa P.A., di una potestà discrezionale finalizzata a scongiurare che l’accesso indiscriminato incida su interessi pubblici ritenuti fondamentali e preminenti su interessi di terzi, ovvero interferisca con la imprescindibile speditezza dell’azione amministrativa (38); (35) D.u. gALettA, alcuni recenti sviluppi del diritto amministrativo italiano (fra riforme costituzionali e sviluppi della società civile), in Giustizia amministrativa (www.giustamm.it), Anno XI, giugno 2014, 1 ss. (36) emblematico, in tal senso, è il nuovo comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, come sostituito dall’art. 6 del d.lgs. 97/2016, ai sensi del quale: “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis”. Se nella versione del 2013 l’articolo 5 configurava l’accesso civico come mera sanzione rispetto all’obbligo di pubblicazione imposto alla P.A., con l’articolato del d.lgs. n. 97/2016 si è passati a un sistema nel quale si è innestato un nuovo diritto di accesso civico ai dati e alle informazioni pubbliche, seppur nei limiti tassativamente previsti dalla legge, anche in assenza di un esplicito obbligo di pubblicazione. Si tratta di un modello già collaudato negli ordinamenti anglosassoni, che prende il nome di FoIA (Freedom of information act), il cui fine è rappresentato precipuamente dalla libertà di accedere alle informazioni possedute dagli apparati pubblici. come ha avuto modo di chiarire la dottrina più autorevole, i modelli delle democrazie liberali, impiantati sul sistema del FoIA, rappresentano un paradigma che persegue tre scopi: accountability, partecipation e legitimacy. Il diritto di conoscere è dunque preposto a consentire un controllo diffuso dell’operato amministrativo, al fine di prevenire fenomeni di corruttela, a garantire una consapevole partecipazione dei cittadini alle scelte di politica pubblica e a rinsaldare la legittimazione della P.A. (37) (cfr. tAr toscana, sez. I, 23 aprile 2004, n. 1225; consiglio di Stato, Adunanza plenaria del 24 giugno 1999, n. 16). (38) È noto, viceversa, che in materia di rapporti patrimoniali coinvolgenti diritti il debitore non può lecitamente rinviare l’adempimento dell’obbligo al di là dei termini stabiliti dalla legge o dal contratto. DottrInA 255 -il conflitto tra il diritto di accesso e la tutela della privacy dei terzi necessita di una composizione equilibrata: la decisione sull’istanza comporta, pertanto, una scelta parzialmente discrezionale, che i regolamenti attuativi adottati dai singoli enti limitano ma non escludono totalmente; -l’art. 25, comma 5, della l. n. 241/90 impone, per quanto attiene al ricorso per l’accesso in pendenza di giudizio, l’obbligo di notifica all’amministrazione o agli eventuali controinteressati, con ciò confermando la natura di interesse legittimo. Dall’ascrivibilità dell’accesso al novero degli interessi legittimi pretensivi deriverebbe: il carattere impugnatorio del giudizio di legittimità dinanzi al giudice amministrativo, avente ad oggetto il provvedimento espresso o tacito di rifiuto, oltre alla necessità di impugnare la decisione negativa nel termine perentorio di 30 giorni, a pena di decadenza; l’obbligo di notifica ai potenziali controinteressati a pena di inammissibilità del ricorso giurisdizionale; la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto contro un nuovo diniego su una seconda richiesta di accesso con identico contenuto della precedente, avendo il secondo rifiuto natura di atto meramente confermativo del primo. oggi, però, l’orientamento interpretativo prevalente in giurisprudenza è quello che configura l’accesso come un diritto soggettivo, in virtù della sua natura di pretesa a un’informazione qualificata, azionabile da qualsiasi soggetto con un’aspirazione giuridicamente rilevante alla conoscenza di determinati atti, tutelabile innanzi al giudice amministrativo, indipendentemente dalla ricorrenza di una posizione giuridica sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo (39). Da tale impostazione consegue: la natura di accertamento del giudizio sulla domanda di accesso, che non si limita, pertanto, ad investire il mero atto di diniego ma coinvolge l’intero rapporto tra P.A. e cittadino; la possibilità per il giudice di predisporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c. (40) in caso di omessa notifica ad almeno uno dei controinteressati (trattandosi di un’ipotesi di litisconsorzio necessario); la possibilità di presentare una nuova istanza nonostante l’omessa tempestiva impugnazione del diniego (o del silenzio della pubblica amministrazione) su quella precedente, poiché tale diritto non è soggetto al breve termine di decadenza. All’esito di tali contrapposizioni giurisprudenziali, anche il Legislatore sembra aver preferito una qualificazione in termini di diritto soggettivo, ritenendo l’istituto dell’accesso afferente ai livelli essenziali delle prestazioni con (39) Si parla di autonomia dell’accesso rispetto alle situazioni soggettive sostanziali sottostanti, di cui il soggetto può chiedere la tutela dopo l’ostensione dei documenti. (40) L’art. 102 c.p.c. recita: “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito”. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 cernenti i diritti civili e sociali che rappresentano un patrimonio giuridico intangibile e, pertanto, non soggetto a discrezionalità amministrativa. nel senso, si coglie un inequivoco e definitivo indice nel comma 7 del- l’art. 24 della l. n. 241/90, che stabilisce la necessità di garantire l’accesso ai documenti la cui conoscenza risulti essenziale per curare o difendere i propri interessi giuridici. Il tenore letterale della disposizione (“deve comunque esser garantito”) non appare conciliabile con una posizione di interesse legittimo e induce a ritenere che ogni pur complessa attività applicativa non potrà mai smarrire la sua natura di attività meramente dichiarativa della sussistenza di presupposti e condizioni normative in costanza delle quali il diritto di accesso trova attuazione (41). 6. Nuovo ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’accesso generalizzato. L’art. 3 del nuovo decreto trasparenza introduce l’art. 2-bis, rubricato “ambito soggettivo di applicazione”, che sostituisce l’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 (42). Ai sensi di tale disposizione, i soggetti nei confronti dei quali è possibile attivare l’accesso civico sono: le pubbliche amministrazioni (43); gli enti economici, gli ordini professionali, le società di controllo pubblico ed altri enti di diritto privato assimilati (44); le società in partecipazione pubblica ed altri enti (41) A. MArrA, La trasparenza degli atti amministrativi, tra diritto di accesso e tutela della privacy, in ratio iuris - num. XXXVI - giugno 2017. (42) Ai sensi dell’abrogato art. 11 del d.lgs. n. 33/2013, “per pubbliche amministrazioni si intendono tutte le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 e alle società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile si applicano, limitatamente alla attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, le disposizioni dell'articolo 1, commi da 15 a 33, della legge 6 novembre 2012, n. 190. Le autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione provvedono all'attuazione di quanto previsto della normativa vigente in materia di trasparenza secondo le disposizioni dei rispettivi ordinamenti. L’art. 11 definiva così l’ambito soggettivo di applicazione del decreto, accogliendo un concetto ampio di “pubbliche amministrazioni”. Alle società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni e alle società controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. (limitatamente alle “attività di pubblico interesse disciplinate dal diritto nazionale o dell’Unione europea”) si applicavano le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 15 a 33 della legge n. 190/2012. (43) Ai sensi del d.lgs. n. 33/2013 per “pubbliche amministrazioni” si intendono “tutte le amministrazioni di cui all’articolo 1, co. 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, ivi comprese le autorità portuali, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione” (art. 2-bis, co.1 del d.lgs. n. 33/2013). La lettera e) afferma che per pubblica amministrazione si considerano tutti i soggetti di diritto pubblico e di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale e comunitario. (44) La disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni è estesa, “in quanto compatibile”, anche a: enti pubblici economici e ordini professionali; società in controllo pubblico come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell’art. 18 della l. n. 124/2015 (d.lgs. n. 175/2016 c.d. testo unico in materia di società a partecipazione pubblica); associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato DottrInA 257 di diritto privato assimilati (45). Inoltre, sempre per quanto concerne i possibili destinatari, la lettera d) della l. n. 15/2005 puntualizza che non assume rilievo la specifica natura pubblicistica o privatistica della disciplina degli atti conoscibili purché, ovviamente, essi attengano ad attività di pubblico interesse. Pertanto, il diritto di accesso non può essere riconosciuto solo in presenza di attività esclusivamente privatistica, totalmente disancorata dall’interesse pubblico, istituzionalmente rimesso alle cure dell’apparato amministrativo. Per quanto concerne, invece, l’ambito oggettivo di applicazione dell’accesso civico generalizzato, esso è costituito dai dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, “ulteriori” rispetto a quelli per i quali non sussista uno specifico obbligo di pubblicazione (46). Dalla lettura dell’art. 5-bis del medesimo decreto si evince, inoltre, che oggetto dell’accesso possono essere anche le informazioni detenute dalle PP.AA. (47). comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti del- l’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni. (45) La disciplina prevista per i soggetti precedenti si applica, sempre in quanto compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all'attività di pubblico interesse normata dal diritto nazionale o dell'unione europea, alle società in partecipazione pubblica, come definite dal d.lgs. n. 175/2016 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) nonché alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici. (46) Differente dall’accesso civico generalizzato è l’accesso civico regolato dal primo comma dell’art. 5 del decreto trasparenza (c.d. “semplice”), correlato ai soli atti e informazioni oggetto di obblighi di pubblicazione, comportando il diritto di chiunque di richiedere i medesimi nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. costituisce, in buona sostanza, un rimedio alla mancata osservanza degli obblighi di pubblicazione imposti dalla legge alla P.A. interessata, esperibile da chiunque (non è, cioè, richiesta, in capo all’istante, una legittimazione fondata sulla dimostrata titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale alla tutela di una situazione giuridica qualificata). Le due forme di accesso civico regolate dal c.d. Decreto trasparenza hanno natura, presupposti e oggetto differenti dal diritto di accesso di cui agli artt. 22 e seguenti, legge n. 241/1990 (c.d. “accesso documentale”). Si osserva che tali disposizioni assumono carattere di specialità - accesso ai documenti amministrativi - rispetto alle norme del Decreto trasparenza afferenti alle modalità di accesso a qualsivoglia documento, atto o informazione detenuta dalla P.A. La finalità dell’accesso documentale è quella di porre i soggetti interessati in grado di esercitare al meglio le facoltà che l'ordinamento attribuisce loro, a tutela delle posizioni giuridiche qualificate di cui siano portatori. Il richiedente deve, infatti, dimostrare di essere titolare di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”; in funzione di tale interesse la domanda di accesso deve essere opportunamente motivata. La legittimazione all’accesso ai documenti amministrativi va così riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti oggetto della domanda di ostensione hanno spiegato o sono idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei propri confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica. (47) L’art. 24 della l. n. 241/90 prevedeva che l’accesso è consentito a chiunque (cittadino, straniero od apolide) sia titolare di un “interesse giuridicamente rilevante”: il concetto rinvia ad una qualsiasi situazione giuridica degna di rilievo ed apprezzamento, ossia comprende una platea di posizioni eterogenee meritevoli di protezione, come anche ad esempio le aspettative e gli interessi diffusi. Sia l’art. 8 del DPr 27 giugno 1992, n. 352 (regolamento di attuazione della disciplina legislativa dell’ac rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 Va evidenziato come le istanze presentate non debbano necessariamente indicare in modo puntuale i documenti richiesti, considerato che molto spesso il privato non sa in quali documenti siano contenute le informazioni di cui ha bisogno. Inoltre, l’accesso non può certamente riguardare documenti non esistenti; tuttavia, spetta all’amministrazione individuare in quali di essi siano effettivamente presenti le informazioni richieste dal privato nel caso in cui sussistano i legittimi presupposti per aderire all’istanza. nel medesimo contesto, è prevista, altresì, una serie di ipotesi di esclusione dell’accesso civico. Il rifiuto, il differimento e la limitazione all’accesso devono essere motivati con riferimento a quanto stabilito dall’art. 5-bis del decreto trasparenza, ossia alle eccezioni assolute (48) e alle eccezioni relative (49). cesso), sia la dottrina e la giurisprudenza richiedono la presenza di un interesse personale (ovvero serio, effettivo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso); concreto; differenziato (ossia non confuso con quello di altri soggetti o con l’interesse pubblico istituzionalmente perseguito dall’amministrazione). La l. n. 15/2005, alla lettera b) del primo comma dell’art. 22, definisce gli “interessati” come “tutti i soggetti privati compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Si chiarisce così l’ambito soggettivo di applicazione dell’accesso dal lato attivo, di chi cioè è titolato a richiederlo: la nuova formulazione è più completa, aggiungendo ai requisiti della personalità e concretezza dell’interesse quello della sua attualità. Ad ogni modo si riafferma la necessità - già evidenziata dalla giurisprudenza -di un contenuto differenziato della posizione propria del richiedente, distinta cioè da quella della generalità dei consociati. (48) nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, “ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241/1990” (art. 5-bis, comma 3). L’AnAc (cfr. Linee guida), oltre a rinviare espressamente alle disposizioni di legge che definiscono specifici divieti di accesso o divulgazione, evidenzia i divieti che derivano dalla vigente normativa in materia di tutela della riservatezza inerenti i dati idonei a rivelare: lo stato di salute, ossia qualsiasi informazione da cui si possa desumere, anche indirettamente, lo stato di malattia o l’esistenza di patologie dei soggetti interessati, compreso qualsiasi riferimento alle condizioni di invalidità, disabilità o handicap fisici e/o psichici; la vita sessuale; le persone fisiche beneficiarie di aiuti economici da cui è possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio eco- nomico-sociale degli interessati. Per gli enti locali, inoltre, risulta di particolare interesse il richiamo della disciplina sugli atti dello stato civile e dell’anagrafe, le cui informazioni risultano conoscibili con le modalità previste dalle relative discipline di settore. (49) Le esclusioni relative sono caratterizzate dalla necessità di adottare una valutazione della richiesta di accesso caso per caso, in merito alla sussistenza del pregiudizio concreto alla tutela di interessi pubblici o privati considerati meritevoli di una peculiare tutela dall’ordinamento e, cioè: - interessi pubblici: a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive; - interessi privati: DottrInA 259 Si tratta, nel primo caso, di ipotesi in cui la necessità di un rifiuto si giustifica al fine di evitare un grave pregiudizio alla tutela di fondamentali interessi inerenti alla sicurezza pubblica, alla sicurezza nazionale, alla difesa e alle questioni militari, alle relazioni internazionali, alla politica e alla stabilità finanziaria ed economica dello Stato, alla conduzione di indagini sui reati e al loro perseguimento, al regolare svolgimento di attività ispettive. Il novero delle ipotesi viene integrato con la disposizione di cui all’art. 5-bis, comma 2, in cui si afferma che l’accesso di cui all’articolo 5, comma 2, è rifiutato anche ove “il diniego è necessario per evitare un pregiudizio alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali”. Seguono poi le ipotesi di esclusione del- l’accesso legate al segreto di Stato e ad altri casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990”. Il rifiuto deve essere espressamente motivato sulla base di un preciso nesso di causalità tra l’accesso e il pregiudizio agli interessi considerati meritevoli di tutela. In tal caso l’ente deve quindi: indicare esplicitamente quale tra gli interessi elencati all’art. 5, commi 1 e 2 - è suscettibile di pregiudizio; dimostrare che il danno (concreto) deriva direttamente dall’ostensione dell’informazione richiesta; provare che esso è un evento altamente probabile e non solamente possibile. Diversamente, in una logica comunque di favore per l’accesso, se l’ente ravvisi la sussistenza dei predetti limiti soltanto per alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito per i restanti. Deve, pertanto, consentire il cosiddetto “accesso parziale”, utilizzando la tecnica dell’oscuramento/obliterazione dei soli dati di cui sia preclusa la conoscenza. occorre sottolineare, infine, che i limiti operano solo nell’arco temporale in cui la tutela è giustificata in relazione alla natura del dato, del documento o dell’informazione di cui è richiesto l’accesso: “i limiti (…) si applicano unicamente per il periodo nel quale la protezione è giustificata in relazione alla natura del dato. L'accesso civico non può essere negato ove, per la tutela degli interessi di cui ai commi 1 e 2, sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento” (art. 5-bis, c. 5). La valutazione del pregiudizio in concreto deve essere a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 compiuta con riferimento allo specifico ambito temporale in cui viene formulata la domanda di accesso: “il pregiudizio concreto, in altri termini, va valutato rispetto al momento ed al contesto in cui l’informazione viene resa accessibile, e non in termini assoluti ed atemporali” (50). conseguentemente, ove ne ricorrano i presupposti ai fini della protezione dell’interesse tutelato, l’ente potrà valutare sufficiente il differimento dell’accesso (51). Dall’elenco sopra citato si può notare come, sebbene le limitazioni potenziali all’accesso civico siano considerate certamente opportune, queste risultino ampie e poco puntuali. Lo sottolinea anche il consiglio di Stato in un suo parere (52), in cui evidenzia la circostanza che, a fronte della genericità delle categorie a cui sono riconducibili le eccezioni ex art. 5-bis, le amministrazioni “potrebbero essere indotte ad utilizzare la propria discrezionalità nella maniera più ampia, al fine di estendere gli ambiti non aperti alla trasparenza”; e che queste eccezioni “possono ragionevolmente aumentare le perplessità circa la concreta efficacia del provvedimento in esame”. Il decreto non esclude la possibilità di rendere pubblico anche qualsiasi altro dato, informazione o documento non oggetto di specifici obblighi di pubblicazione, oscurando gli eventuali dati personali presenti (art. 4, comma 3). Analoga misura si rinviene nei casi di pubblicazione obbligatoria, con l’obiettivo di rendere «non intellegibili i dati personali non pertinenti o, se sensibili o giudiziari, non indispensabili rispetto alle specifiche finalità di trasparenza collegate alla pubblicazione» (art. 4, comma 4), nel rispetto dei principi di non eccedenza e pertinenza nel trattamento dei dati personali (53). ciò in ragione del fatto che l’attuazione del principio di trasparenza amministrativa deve essere in ogni caso contemperata con l’interesse, costituzionalmente protetto, alla tutela della privacy. Pertanto, l’art. 4, comma 1 -in accoglimento delle osservazioni formulate dal garante per la protezione dei dati personali - ha escluso dall’ambito di applicazione del decreto e, quindi, dagli obblighi di pubblicazione, le categorie dei dati sensibili e giudiziari, «assoggettate ad una disciplina di maggior rigore e con più ampie garanzie a tutela dei diritti dell’interessato» (54). gli unici limiti alla diffusione e (50) (cfr. AnAc, Linee guida). (51) S. DotA, M.r. DI ceccA, il Nuovo Diritto Di accesso Civico, indirizzi Procedimentali Ed organizzativi Per Gli Enti Locali, Quaderni anci, 5 dicembre 2016. (52) cons. St., Parere n. 515/ 2016, 85 ss. (53) Art. 11, d.lgs. n. 196/2003. (54) cfr. Parere del garante su uno schema di decreto legislativo concernente il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle PP.AA. -7 febbraio 2013. tuttavia, questo non vuol dire che per i dati personali diversi da quelli sensibili e giudiziari oggetto di pubblicazione obbligatoria venga meno qualsiasi forma di tutela. nel senso cfr. B. PontI, il codice della trasparenza amministrativa: non solo riordino, ma ridefinizione complessiva del regime della trasparenza amministrativa on line, in www.neldiritto.it, secondo cui rimangono pienamente applicabili i meccanismi di tutela successiva. DottrInA 261 all’accesso delle informazioni presi in considerazione dal decreto (cfr. il comma 6 del medesimo art. 4), sono quelli individuati, ai sensi dei commi 1 e 6 dell’art. 24 della l. 7 agosto 1990, n. 241, dalla normativa in materia di tutela del segreto statistico, nonché quelli relativi alla diffusione di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, attese le garanzie segnatamente elevate da cui sono presidiati rispetto all’applicazione della normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi (55). 7. il procedimento di accesso. Il procedimento di accesso civico è avviato con la presentazione del- l’istanza per la richiesta dei documenti, indirizzata all’autorità competente a formare l’atto conclusivo ovvero a detenerlo stabilmente. L’iter deve concludersi con provvedimento espresso e motivato entro 30 giorni dalla presentazione della suddetta istanza, con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati. In caso di accoglimento del- l’istanza de qua, l’amministrazione deve consentire all’interessato l’accesso ai dati o ai documenti richiesti (per l’accesso generalizzato), ovvero, nel caso in cui riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria (per l’accesso semplice), a pubblicare gli stessi sul sito e a comunicare al richiedente l’avvenuta pubblicazione, indicandogli il relativo collegamento ipertestuale. nell’ipotesi in cui si dia corso all’istanza nonostante l’opposizione del controinteressato, salvi i casi di comprovata indifferibilità, l’ente ne dà comunicazione al controinteressato e provvede a trasmettere al richiedente dati e documenti richiesti non prima di 15 giorni dalla ricezione della stessa comunicazione al controinteressato. 8. Comunicazione ai controinteressati e gratuità dell’accesso. Per quanto attiene ai costi connessi al nuovo accesso civico, va sottolineato come, dalla lettura coordinata degli artt. 3 e 5 del d.lgs. 33/2013 emerga che la completa gratuità dell’accesso, per i cittadini, è da limitarsi alla sola ipotesi di fruizione del documento in formato elettronico o cartaceo, da intendersi come mero rilascio ed esame, senza alcuna estrazione di copia. Quest’ultima, invece, sarà subordinata al rimborso del costo di produzione effettivamente sostenuto e documentato per la riproduzione su supporti materiali. Diversamente opinando, sarebbero le pubbliche amministrazioni a dover far fronte a tale esborso che, stante il potenziale numero di istanti, potrebbe rivelarsi particolarmente oneroso. con riguardo al contenimento dei costi dell’attività amministrativa e al- l’economicità dell’azione amministrativa, assume rilievo altresì la disposizione (55) Artt. 59 e 60, d.lgs. n. 196/2003. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 di cui al nuovo comma 4 dell’art. 5, in virtù del quale “l’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati (56), ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la Pubblica Amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione”. Ancorché, nell’ottica del bilanciamento tra esigenze di trasparenza, da un lato, ed esigenze di tutela della riservatezza dei controinteressati, dall’altro, tale previsione debba essere valutata in modo positivo, è tuttavia doveroso sottolineare come, data la platea potenzialmente molto ampia di questi ultimi, i costi, anche in termini organizzativi, che ne deriverebbero in capo alle pubbliche amministrazioni destinatarie di richieste di accesso civico, rischino di risultare insostenibili. 9. responsabilità e sanzioni. Modifiche sostanziali concernono, infine, l’apparato sanzionatorio. nello specifico, il nuovo art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 rubricato “responsabilità derivante dalla violazione delle disposizioni in materia di obblighi di pubblicazione e di accesso civico” attesta che “l'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 5-bis, costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione (57) e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili”, precisando che il responsabile non risponde del- l'inadempimento solo ove provi “che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile”. (56) Si tratta dei soggetti (elencati al successivo articolo 5-bis), che possano avere interesse a: a) la protezione dei propri dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la protezione della libertà e segretezza della propria corrispondenza; c) la protezione degli interessi economici e commerciali (di una persona fisica o giuridica), ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. (57) A questo proposito appare anzitutto evidente che l’inciso "eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione" può significare unicamente che si applicano, al riguardo, le norme di riferimento in materia, le quali prevedono che il danno all'immagine resti circoscritto a un novero di fattispecie ben precise e determinate, consistente nei reati contro la Pubblica Amministrazione ex artt. 314-335 c.p. o in altre ipotesi di rilievo penale espressamente statuite. DottrInA 263 Il mancato rispetto di tali obblighi è idoneo a incidere sulla "retribuzione di risultato" e sul "trattamento accessorio collegato alla performance". Si tratta di una sorta di “sanzione accessoria”, rispetto a questa nuova fattispecie di responsabilità dirigenziale, che appare di entità imprevedibile. 10. accesso e riservatezza. Il rapporto tra accesso e riservatezza è regolato attraverso il coordinamento delle disposizioni dettate dalla legge sul procedimento amministrativo con quelle recate dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice in materia di protezione dei dati personali). tale ultima normativa prevede tre livelli differenziati di tutela, progressivamente rafforzati, dei dati attinenti alla sfera dei privati, ordinati in altrettante categorie, correlate al diverso rilievo assunto da tali dati. La prima tipologia concerne i dati comuni della persona; la seconda, quella dei dati sensibili, idonei a rilevarne l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale della persona. La terza categoria, infine, comprende i dati “supersensibili”, riguardanti lo stato di salute o la vita sessuale della persona. Ex art. 59 del d.lgs. 196/03, i dati comuni vengono disciplinati dalla normativa vigente in materia di accesso, risultando soggetti alle regole generali sancite della legge 241/90. Pertanto, l’istante potrà ottenere l’ostensione dei documenti contenenti tali dati, qualora l’istanza di accesso sia correlata a una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento corrispondente all’interesse alla conoscenza del documento richiesto in relazione al bene della vita da tutelare. Anche con riguardo ai dati sensibili, il d.lgs. n. 196/03 rinvia alla legge n. 241/90, le cui disposizioni disegnano una disciplina più incisiva in tema di esercizio del diritto di accesso, con l’enunciazione di una clausola generale (di cui all’art. 24, comma 7), che definisce un parametro astratto atto a consentire, all’amministrazione e al giudice adito in sede di tutela giurisdizionale, di assecondare la richiesta, qualora essa sia strettamente indispensabile per la cura e la difesa degli interessi giuridici del richiedente. tale clausola demanda agli enti e all’autorità giurisdizionale il compito di verificare, caso per caso, la legittimazione dell’istante ad accedere agli atti in virtù di un interesse giuridicamente protetto e di valutare in quali limiti l’accesso risulti imprescindibile per la concreta tutela di tale interesse. L’istante deve dar prova dell’effettiva indispensabilità dell’accesso, tramite l’allegazione di fatti, circostanze e ragioni di diritto idonei. nel bilanciamento dei contrapposti interessi, l’amministrazione potrà anche individuare modalità di accesso tali da contemperare l’esigenza dell’uno con le ragioni alla riservatezza dell’altro, al precipuo fine di trovare un ade rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 guato punto di equilibrio, in cui risulti effettivamente assicurata la soddisfazione del primo con il contestuale minor sacrificio possibile del secondo (58). Infine, nell’ambito dell’ampia categoria dei dati “sensibili”, una speciale protezione è riconosciuta alle informazioni relative allo stato di salute e alla vita sessuale della persona (cd. dati “sensibilissimi”). L’art. 60 del codice in materia di protezione dei dati personali prevede che quando il trattamento concerne tali dati, esso è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi sia di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. In qualsiasi altra situazione riguardante tale tipologia di dati, non è possibile acconsentire alla richiesta di accesso a dati, documenti e informazioni ritenuti utili dal richiedente per tutelare in giudizio interessi legittimi o diritti soggettivi che, seppur rilevanti, risultino però subvalenti (e, quindi, recessivi) rispetto alla necessità di tutelare la privacy, la dignità e gli altri diritti e libertà fondamentali dell’interessato (59). Di alcuni interessi concernenti la personalità e le libertà fondamentali e inviolabili, lo stesso Legislatore ha già sancito il rango, giudicandolo di per sé adatto a consentire l’accesso. Il riferimento normativo a tali diritti è collegato a un elenco aperto di posizioni soggettive e presuppone una valutazione in concreto dell’effettiva sussistenza di queste ultime e della loro reale inerenza all’istanza, in modo tale da evitare per i destinatari delle richieste e per il giudice adito in caso di impugnazione, il rischio di soluzioni precostituite fondate su un’astratta scala gerarchica dei diritti in contesa. In aggiunta, l’art. 60 del codice della privacy (60) ha posto l’interrogativo sul comportamento che il soggetto pubblico o privato dovrebbe osservare (in caso di richiesta di un terzo di conoscere dati sulla salute o la vita sessuale, oppure di accedere a documenti che li contengono), in particolare allorché si renda necessario stabilire se il diritto dedotto dal richiedente vada valutato “di pari rango” rispetto a quello della persona cui si riferiscono i dati. Al fine di rendere tale giudizio, si appalesa necessario stabilire, quale parametro di raffronto, non tanto il diritto di azione e difesa, quanto il diritto sot- (58) (cons. St., sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6481). (59) Si pensi al caso dell’accesso volto a soddisfare generiche esigenze basate sulla prospettiva eventuale di apprestare la difesa di diritti non posti in discussione in quel momento o riguardanti meri diritti di credito. (60) L’art. 60 recita: “Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”. DottrInA 265 tostante che il terzo desidera far valere in virtù del materiale documentale che intende conoscere. tale diritto può essere ritenuto per tabulas di “pari rango” rispetto a quello alla privacy - giustificando quindi l’accesso o la comunicazione di dati che il terzo desidera mantenere altrimenti riservati -se rientra nell’alveo dei diritti della personalità o delle libertà fondamentali e inviolabili, mentre, al di fuori di tale contesto, deve essere valutato in concreto e contemperato con quello alla riservatezza. La valutazione dell’istanza di accesso deve necessariamente basarsi anche su una specifica verifica, mirata a chiarire se tutti i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale oggetto di richiesta siano effettivamente “necessari” al fine di far valere o difendere gli equivalenti diritti in sede contenziosa. Alle ricordate limitazioni connesse alla pariordinazione di alcuni diritti coinvolti e all’effettiva “necessità” dei dati ai fini dell’azione o della difesa, va aggiunto anche il rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza nel trattamento, sanciti dall’art. 9 (61) della legge n. 675/1996 e dall’art. 22 del codice della privacy (62). (61) I dati personali oggetto di trattamento devono essere: a) trattati in modo lecito e secondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini non incompatibili con tali scopi; c) esatti e, se necessario, aggiornati; d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; e) conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. (62) Ai sensi di tale disposizione: “i soggetti pubblici conformano il trattamento dei dati sensibili e giudiziari secondo modalità volte a prevenire violazioni dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell'interessato. 2. Nel fornire l'informativa di cui all'articolo 13 i soggetti pubblici fanno espresso riferimento alla normativa che prevede gli obblighi o i compiti in base alla quale è effettuato il trattamento dei dati sensibili e giudiziari. 3. i soggetti pubblici possono trattare solo i dati sensibili e giudiziari indispensabili per svolgere attività istituzionali che non possono essere adempiute, caso per caso, mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa. 4. i dati sensibili e giudiziari sono raccolti, di regola, presso l'interessato. 5. in applicazione dell'articolo 11, comma 1, lettere c), d) ed e), i soggetti pubblici verificano periodicamente l'esattezza e l'aggiornamento dei dati sensibili e giudiziari, nonché la loro pertinenza, completezza, non eccedenza e indispensabilità rispetto alle finalità perseguite nei singoli casi, anche con riferimento ai dati che l'interessato fornisce di propria iniziativa. al fine di assicurare che i dati sensibili e giudiziari siano indispensabili rispetto agli obblighi e ai compiti loro attribuiti, i soggetti pubblici valutano specificamente il rapporto tra i dati e gli adempimenti. i dati che, anche a seguito delle verifiche, risultano eccedenti o non pertinenti o non indispensabili non possono essere utilizzati, salvo che per l'eventuale conservazione, a norma di legge, dell'atto o del documento che li contiene. Specifica attenzione è prestata per la verifica dell'indispensabilità dei dati sensibili e giudiziari riferiti a soggetti diversi da quelli cui si riferiscono direttamente le prestazioni o gli adempimenti. 6. i dati sensibili e giudiziari contenuti in elenchi, registri o banche di dati, tenuti con l'ausilio di stru rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 11. Considerazioni finali. In conclusione, non si può non sottolineare il passaggio da una originaria visione della trasparenza, quale strumento limitato alla prevenzione dei “mali” dell’amministrazione, a una considerazione della stessa quale essenziale presupposto per la realizzazione di una buona amministrazione, cioè di un’azione pubblica concretamente ed efficacemente indirizzata ai bisogni dei cittadini e all’effettivo progresso economico e civile della collettività. non si può, però, evitare di considerare che, al fine del raggiungimento della piena maturità di tale principio e dei profondi valori ad esso sottesi, appare imprescindibile un salto culturale, non solo all’interno della pubblica amministrazione, ma anche nella consapevolezza e coscienza dei cittadini. ciò richiede la capacità di superare “la diffusa concezione antagonistica tra cittadini e istituzioni”, facendo in modo che la trasparenza non rimanga “materia di contrapposizione tra una burocrazia che fa resistenza e un populismo che si alimenta nel coglierla in fallo” (63). menti elettronici, sono trattati con tecniche di cifratura o mediante l'utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che, considerato il numero e la natura dei dati trattati, li rendono temporaneamente inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettono di identificare gli interessati solo in caso di necessità. 7. i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale sono conservati separatamente da altri dati personali trattati per finalità che non richiedono il loro utilizzo. i medesimi dati sono trattati con le modalità di cui al comma 6 anche quando sono tenuti in elenchi, registri o banche di dati senza l'ausilio di strumenti elettronici. 8. i dati idonei a rivelare lo stato di salute non possono essere diffusi. 9. rispetto ai dati sensibili e giudiziari indispensabili ai sensi del comma 3, i soggetti pubblici sono autorizzati ad effettuare unicamente le operazioni di trattamento indispensabili per il perseguimento delle finalità per le quali il trattamento è consentito, anche quando i dati sono raccolti nello svolgimento di compiti di vigilanza, di controllo o ispettivi. 10. i dati sensibili e giudiziari non possono essere trattati nell'ambito di test psico-attitudinali volti a definire il profilo o la personalità dell'interessato. Le operazioni di raffronto tra dati sensibili e giudiziari, nonché i trattamenti di dati sensibili e giudiziari ai sensi dell'articolo 14, sono effettuati solo previa annotazione scritta dei motivi. 11. in ogni caso, le operazioni e i trattamenti di cui al comma 10, se effettuati utilizzando banche di dati di diversi titolari, nonché la diffusione dei dati sensibili e giudiziari, sono ammessi solo se previsti da espressa disposizione legislativa. Le disposizioni di cui al presente articolo recano principi applicabili, in conformità ai rispettivi ordinamenti, ai trattamenti disciplinati dalla Presidenza della repubblica, dalla Camera dei deputati, dal Senato della repubblica e dalla Corte costituzionale”. (63) In questi termini M.A. MADIA in “il diritto di sapere è di tutti, la trasparenza è cultura”, 1 aprile 2016 - Corriere della Sera. DottrInA 267 ancora sulla successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria. Si va verso un orientamento condiviso (?!) Daniele Atanasio Sisca* Sommario: 1. Gli orientamenti precedentemente formatisi - 2. Le ultime pronunce del Tribunale e della Corte d’appello di Catanzaro. Una questione risolta? 1. Gli orientamenti precedentemente formatisi. La vicenda inerente la successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio commissariale per l’emergenza ambientale nel territorio della regione calabria (1) ha dato vita ad una serie di problematiche che, ancora oggi, a distanza di cinque anni dalla sua cessazione (2), sembrano non essere completamente risolte. gli orientamenti giurisprudenziali che si sono susseguiti finora hanno finito per palleggiarsi la legittimazione a succedere tra la regione calabria e la Presidenza del consiglio dei Ministri (3). nonostante le pronunce chiarificatrici n. 8/2016 della corte costituzionale (4) e n. 2700/2016 del consiglio di Stato (5), non mancano diverse decisioni difformi. Il tribunale di catanzaro, come si vedrà appresso, in alcune sentenze ha, finanche, espressamente affermato di discostarsi dalle interpretazioni fornite dal consiglio di Stato. nello specifico, gli orientamenti enucleati dalla corte d’appello e dal tribunale del capoluogo calabrese possono essere sintetizzati nel modo seguente. Il primo - attributivo della legittimazione a succedere tout court in capo alla regione calabria -non prendeva in considerazione la speciale disposizione di cui all’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422, l. 27 dicembre 2013, n. 147 (“Le disposizioni di cui al presente comma (6) trovano applicazione nelle (*) Dottore in giurisprudenza, già praticante forense presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di ca- tanzaro. (1) Per un approfondimento della questione, ci si permette di rinviare a SIScA, La successione degli Enti Pubblici: il caso controverso del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria, in rass. avv. Stato, n. 3/2016, pp. 244 ss. (2) L’ufficio commissariale ha definitivamente cessato tutte le proprie funzioni in data 31 dicembre 2012, giusta o.P.c.M. n. 4011 del 22 marzo 2012. (3) tali orientamenti sono stati dettagliatamente esaminati in SIScA, La successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria: una questione ancora aperta, in rass. avv. Stato, n. 3/2017, pp. 266 ss. (4) In www.cortecostituzionale.it. (5) In www.giustizia-amministrativa.it. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell’art. 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati”) (7). In particolare, secondo questo orientamento, per effetto della cessazione dell’ufficio commissariale “la regione ha proseguito, in regime ordinario, le iniziative in corso finalizzate al superamento della criticità in materia ambientale al fine di attuare il definitivo trasferimento di tutti i rapporti giuridici pendenti in capo alla regione medesima, mentre alcun subentro risulta attuato in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri, che risulta, pertanto, estranea alla pretesa e dunque carente di legittimazione a contraddire” (8). Il secondo orientamento sosteneva, di converso, che il rapporto successorio delineato dall’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013 trovasse applicazione soltanto quando i commissari delegati siano qualificati come “rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati” (9). Quest’ultimo orientamento è apparso certamente più conforme al complessivo contenuto della norma, valorizzandone anche l’ultimo inciso. In ogni caso, però, restava da capire quale fosse il discrimine tra soggetti designati (o meno) dalle amministrazioni ordinariamente competenti, agli effetti dell’applicazione dell’inciso di cui sopra. La prima pronuncia che pone l’accento su tale aspetto - chiarendo la portata letterale dell’ultimo inciso cit. - è la n. 2700/2016 del consiglio di Stato, la quale, nel cercare di porre rimedio a tali dubbi interpretativi, ha affermato che “la successione universale ex comma 422 resta esclusa solo quando la regione sia rimasta del tutto estranea alla nomina o alla designazione del Commissario delegato”. con la locuzione “del tutto estranea” il consiglio di Stato sostiene che (6) Ai sensi del quale “alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell’art. 5, commi 4-ter e 4-quater, della l. 24 febbraio 1992, n. 225 (istituzione del servizio nazionale della protezione civile), subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell’art. 110 del codice di procedura civile, nonché in tutti quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui all’art. 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, già facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell’art. 5 della citata legge n. 225 del 1992”. (7) A sostegno di questo orientamento: App. catanzaro, sez. II, 15 febbraio 2016, n. 483; id., 27 gennaio 2016, n. 95; id., 3 luglio 2015, n. 928; id. 27 gennaio 2016, n. 95, tutte inedite. (8) Assunto già sostenuto dal consiglio di Stato in riferimento all’ufficio del commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione campania. In particolare, con la sentenza cons. St., sez. IV, 23 maggio 2016, n. 211, in www.giustizia-amministrativa.it, dopo aver dato atto del- l’intervenuta sentenza della corte cost. n. 8/2016, i giudici di Palazzo Spada dichiaravano il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del consiglio dei Ministri, ritenendolo non legittimato a succedere nei rapporti del commissario delegato. (9) Sostengono questo orientamento: App. catanzaro, sez. III, 8 giugno 2016, n. 951; id., 19 maggio 2016, n. 801; id., 21 gennaio 2015, n. 62; id., 15 luglio 2016, n. 1250; id., 4 aprile 2016, n. 473, tutte inedite. DottrInA 269 per poter esonerare la regione calabria da qualsivoglia rapporto con il commissario -occorre che la medesima non sia per nulla interferita con il processo di designazione e di nomina (cosa che in realtà non è mai avvenuta in quanto la regione ha sempre, quantomeno, indicato i soggetti ritenuti idonei a svolgere tale incarico) (10). tale pronuncia, facendo luce sull’unico aspetto rimasto oscuro fino a quel momento, sembrava avesse posto fine alla dibattuta questione. così non è stato. Successivamente a tali pronunce, il tribunale di catanzaro ha adottato due diversi orientamenti, il primo (della sez. I) ha condiviso quanto affermato dal consiglio di Stato con la richiamata sentenza; il secondo (della sez. II), invece, lo ha espressamente disatteso, mediante una serie di pronunce che attribuivano la legittimazione a succedere nei rapporti facenti capo al commissario alla Presidenza del consiglio dei Ministri (11). La corte d’appello di catanzaro, successivamente agli arresti della corte costituzionale e del consiglio di Stato, ha inteso seguire la strada tracciata da questi ultimi; non sono rinvenibili, infatti, sentenze della corte territoriale che attribuiscano la legittimazione a succedere in capo alla Presidenza del consiglio dei Ministri. 2. Le ultime pronunce del Tribunale e della Corte d’appello di Catanzaro. Una questione risolta? Le recenti pronunce sembrano, in ogni caso, aver dato una svolta in termini di risoluzione del contrasto giurisprudenziale. La corte d’appello - con due decreti di interruzione (12) - ha continuato a sostenere quanto già affermato in precedenza, ovvero che “nella perdurante incertezza normativa e giurisprudenziale viene in rilievo l’affermazione del Consiglio di Stato (sez. iV, 17 giugno 2016, n. 2700), a mente della quale ai sensi dell’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013, alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell’art. 5, commi 4-ter e 4-quater, l. n. 225/1992, subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell’art. 110 c.p.c., nonché in tutti quelli derivanti dalle dichia- (10) Secondo, il consiglio di Stato il contributo della regione nel processo di nomina sarebbe presunto. Si legge nella citata sentenza, infatti, che “è comunque implausibile che le nomine siano avvenute senza un raccordo con la regione, dato che, rispetto allo stato di emergenza la regione ordinariamente competente non è comunque estranea, giacché, nell'ambito dell'organizzazione policentrica della protezione civile, occorre che essa stessa fornisca l'intesa per la deliberazione del Governo e, dunque, cooperi in collaborazione leale e solidaristica”. (11) Il primo provvedimento è un’ordinanza emessa in composizione collegiale in data 13 gennaio 2017; quelli successivi si rifanno integralmente a quest’ultima riportandola letteralmente nella parte motivazionale. (12) App. catanzaro, sez. III civ., decr. 8 novembre 2017, n. 3143; id., n. 3145, entrambi inediti. rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 razioni di cui all’art. 5-bis, comma 5, d. l. n. 343/2001, convertito con modificazioni, dalla l. n. 401/2001, già facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell’art. 5 della cit. l. n. 225/1992… che, sulla scorta delle allegazioni, tale pare essere il caso della regione Calabria”. Anche la prima sezione del tribunale non si è discostata dall’orientamento adottato in precedenza. Anch’essa, infatti, con tre recenti sentenze (13), nel richiamare a più riprese la sentenza n. 8 della corte costituzionale, ha stabilito che “in base alla normativa [n.d.r. vigente] l’ente competente in via ordinaria è la regione Calabria, da considerarsi successore universale della cessata struttura commissariale, con conseguente difetto di titolarità passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri evocata in giudizio”. tuttavia, va rilevato che nonostante tali pronunce siano conformi a quanto sostenuto dalla corte costituzionale e dal consiglio di Stato, in tutte le fattispecie esaminate non viene in rilievo l’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013, in quanto i commissari delegati erano, in tutti i casi, rappresentati dell’Amministrazione regionale. elementi di novità sono da rinvenire, invece, nelle pronunce emesse dalla seconda sezione del tribunale, la quale aveva già forgiato il citato orientamento che si poneva in maniera distonica rispetto a quello fornito dal consiglio di Stato (14). tuttavia occorre rilevare che soltanto una delle tre sentenze emesse da questa sezione continua a sostenere tale orientamento. Nulla quaestio, infatti, per le pronunce n. 1656 del 25 ottobre 2017 e n. 1851 del 7 dicembre 2017 (di contenuto conforme), con le quali è stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del consiglio dei Ministri in quanto “ai sensi della disposizione da ultimo citata (n.d.r. nella parte motiva della sentenza viene fatto un excursus di tutta la normativa inerente la cessazione dell’ufficio commissariale e la successione dei suoi rapporti, con particolare riferimento anche alla sentenza della corte costituzionale n. 8/2016) la regione Calabria è subentrata nei rapporti attivi e passivi individuati con deliberazione della Giunta regionale sulla base della situazione economica e finanziaria delle autorità d’ambito … senza trascurare la circostanza che, al momento della occupazione del terreno e fino alla consegna dell’impianto di depurazione per la gestione biennale, il Commissario delegato era il Presidente della regione Calabria”. Profili anomali sono riscontrabili, invece, nell’ulteriore sentenza emessa dalla seconda sezione del tribunale di catanzaro, la n. 1803 del 30 novembre 2017. (13) trib. catanzaro, sez. I civ., 12 ottobre 2017, n. 1563; id., n. 1564; id., 31 ottobre 2017, n. 1662, inedite. (14) Per un approfondimento si veda SIScA, La successione degli Enti Pubblici: il caso controverso del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria: una questione ancora aperta, in rass. avv. Stato, n. 3/2017, pp. 266 ss. DottrInA 271 tale pronuncia -nel rifarsi integralmente all’ordinanza emessa dalla stessa sezione in composizione collegiale in data 10 maggio 2017 (15) -fa venire in rilievo i medesimi errori interpretativi già sorti con le pronunce ad essa prodromiche. Il primo errore consiste nell’aver individuato - quale commissario di riferimento per l’applicazione dell’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422 cit. l’ultimo dei commissari succedutesi nel tempo (“Nel caso dell’Ufficio Commissariale per il definitivo superamento del contesto di criticità nel settore dei rifiuti solidi urbani nel territorio regionale calabrese, il Commissario delegato pro tempore, al momento della cessazione delle competenze dell’Ufficio era un Prefetto, il quale certamente non appartiene all’amministrazione regionale e la cui nomina, inoltre, non risulta essere il frutto di una designazione da parte della regione. Pertanto, la conclusione a cui si giunge è quella di escludere che la regione Calabria possa considerarsi successore dell’Ufficio Commissariale nei rapporti giuridici allo stesso facenti capo anteriormente alla sua cessazione”). tale conclusione -secondo la quale la legittimazione passiva sarebbe sempre e comunque della Presidenza del consiglio dei Ministri - collide con il dato letterale della norma pocanzi richiamata, dalla quale emerge, invece, che il riferimento al commissario delegato deve essere condotto alla luce delle specifiche fattispecie di volta in volta scrutinate ovvero prendendo in considerazione il commissario in carica nel momento in cui si è verificato il fatto da cui origina la pretesa fatta valere in giudizio (16). La vera anomalia consiste nella circostanza secondo cui tale ragionamento è stato riproposto nonostante sia già stato smentito, in maniera chiara ed esaustiva, da diverse pronunce sia della corte d’appello che del tribunale di catanzaro (17). (15) La quale a sua volta si rifà all’ordinanza emessa in data 13 gennaio 2017 dalla seconda sezione sempre in composizione collegiale e alla sentenza trib. catanzaro, sez. II civ., 28 febbraio 2017, n. 405, seguita poi da trib. catanzaro, sez. II civ., 10 luglio 2017, n. 1066, tutte inedite. (16) Qualora l’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013 avesse voluto fare riferimento - ai fini dell’individuazione dell’ente in capo al quale trasferire la legittimazione - all’ultimo commissario delegato, di certo non avrebbe previsto quale ente successore di quest’ultimo (in via principale) la regione calabria e, in subordine (in applicazione dell’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422 cit.) la Presidenza del consiglio dei Ministri; di contro, avrebbe fatto riferimento direttamente all’ultimo commissario delegato e, di conseguenza, sancito - senza necessità di ulteriori argomentazioni - la legittimazione tout court della Presidenza del consiglio dei Ministri. (17) In questo senso App., catanzaro, sez. lav., 9 febbraio 2017, n. 1888, nella quale si legge che “Non si comprende per quale motivo il fatto che dal 2005 in poi siano stati nominati commissari delegati funzionari appartenenti alla amministrazione centrale sarebbe sufficiente ad impedire la successione della regione Calabria di cui al comma 422 primo periodo, ai sensi del secondo periodo dello stesso comma. Dal tenore di tale ultima norma, infatti, non si ricava in alcun modo un riferimento alla cadenza temporale delle nomine in favore di rappresentanti degli enti ordinariamente competenti ovvero del- l’amministrazione centrale. anche volendo percorrere la strada tracciata dall’appellata, si potrebbe rASSegnA AVVocAturA DeLLo StAto - n. 4/2017 tale pronuncia, quindi, non consente di ritenere risolto il contrasto giurisprudenziale in ordine alla controversa materia della successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio commissariale. In ogni caso, l’orientamento in essa contenuto, rimane sempre più isolato e poco condiviso; tale pronuncia, infatti, risulta l’unica “controcorrente” emessa di recente. del pari sostenere che poiché un rappresentante ordinariamente competente (il Presidente della regione Calabria appunto) ha rivestito per circa 8 anni il ruolo di commissario delegato per l’emergenza ambientale tanto basterebbe ad affermare la piena operatività della disposizione successoria di cui al primo periodo del comma 422. anzi, proprio perché il secondo periodo non contiene alcun riferimento al momento in cui le nomine possono in astratto essere intervenute, il fatto che il rappresentante della regione abbia comunque e per un certo periodo di tempo rivestito l’incarico di commissario delegato depone per la conclusione che disposto di cui al secondo periodo non opera”; App. catanzaro, sez. lavoro, 22 giugno 2017, n. 956, inedita, nella quale si legge che “sarebbe del tutto incongruo e contrastante con la ratio della legge supporre che anche una sola temporanea e contingente interruzione della nomina o della designazione dei Commissari delegati da parte della regione possa impedire il prodursi di quella successione universale che il legislatore ha previsto”; App. catanzaro, sez. II, 29 novembre 2016, n. 1696; id., sez. I, 1 dicembre 2016, n. 1139; id. n. 1139/2016, n. 1696/2016 e n. 1888/2016; id., sez. lavoro, 4 aprile 2017, n. 799; id., sez. III civ., decreto di interruzione 3 aprile 2017, n. 1093/2017; id., 3 marzo 2017, n. 1425, tutte inedite. RECENSIONI GIUSEPPE EDUARDO POLIZZI (*), Il Magistrato al Parlamento Pubblicazioni della università di Pavia facoltà di giurisPrudenza, studi nelle scienze giuridiche e sociali (Wolters KluWer / cedam, 2017, P.P. i-XXii, 244) IntroDUzIone All'indomani dell'entrata in vigore dello Statuto albertino al magistrato fu riconosciuto un ruolo, all'interno dell'ordine politico-costituzionale, non limitato a quello di mero operatore del diritto bensì esteso a più vasti ambiti, sicché la sua figura sarebbe stata percepita come crocevia di molteplici interessi, talvolta contrastanti tra di loro. nelle diverse fasi storiche di vigenza dello Statuto albertino, invero, vi furono spinte e conseguenti resistenze affinché il magistrato si affrancasse dal controllo della politica, e fosse ridotto, per così dire, a quel ruolo primariamente riconosciuto dalla Costituzione repubblicana del 1948, ossia di titolare della funzione giudiziaria, depositaria privilegiata di uno dei tre poteri dello Stato e per questo assistita da precise guarentigie, funzionali all'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: in primis indipendenza e imparzialità. La riflessione che condusse l'Assemblea costituente a decidere per un modello di magistratura che superasse, e al contempo risolvesse, le storture passate affonda le proprie radici negli anni di vigenza dello Statuto albertino, laddove le leggi elettorali e sull'ordinamento giudiziario, a fronte delle scarse guarentigie statutarie, disegnarono la figura del magistrato e la definirono nei suoi rapporti col potere politico. In tal senso, attraverso la disamina di un profilo circoscritto ai requisiti di eleggibilità al parlamento e, per la sola epoca statutaria, di nomina al Senato (*) Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Pavia. rASSeGnA AvvoCAtUrA DeLLo StAto - n. 4/2017 regio dei magistrati, si tenterà di riannodare il filo di un dibattito tutt'ora in corso, tra scelte di rottura e altre nel segno della continuità, tra questioni in apparenza risolte e altre assolutamente dimenticate, in un tema classico del diritto costituzionale: "magistratura e politica". esula da questa ricerca una più generale riflessione sulla posizione costituzionale della magistratura in epoca liberale e in epoca repubblicana. Per l'epoca statutaria tale approfondimento avrebbe quale necessaria premessa metodologica l'attenzione alle varie fasi di vigenza dello Statuto, le cui regole erano via via modellate dal legislatore liberale, da quello fascista e, infine, dal legislatore della transizione costituzionale, e ai continui ed evidenti "scostamenti" della legislazione dal testo costituzionale albertino. Per l'epoca repubblicana, invece, ben più ampie e note sono le opere di maestri alle quali si è fatto richiamo, laddove necessario per inquadrare il tema oggetto della ricerca. nella fase precedente l'entrata in vigore della Costituzione del 1948, si è tenuta distinta la figura di giudice da quella di pubblico ministero. Il pubblico ministero era sì un magistrato nel senso di titolare di funzioni giudiziarie, ma non era equiparato agli altri: con una locuzione destinata a essere ricordata, mutuata dalla legge sull'ordinamento giudiziario del 1865 e ripresa da quello del 1923, il magistrato addetto alle funzioni requirenti era considerato il «rappresentante del potere esecutivo presso l'autorità giudiziaria ed è posto sotto la direzione del ministro della giustizia». Un «occhio del governo», come lo definì Piero Calamandrei, «distaccato presso gli organi giudiziari, per sorvegliare e stimolare il funzionamento» della magistratura stessa (1). nella fase successiva all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, invece, la distinzione fra magistrati giudicanti e magistrati requirenti non è più rilevante per il tema affrontato, se non per quel che riguarda la normativa sul rientro del magistrato alle funzioni giudiziarie, dopo aver svolto un mandato elettorale presso il parlamento. Da un punto di vista cronologico si è ritenuto di strutturare la ricerca in tre capitoli: l'epoca statutaria e l'epoca repubblicana, separate dal periodo di transizione costituzionale, e di organizzare i temi in sezioni tematiche. Sotto il profilo metodologico, la parte dedicata all'epoca statutaria risente della difficoltà di reperire le fonti di conoscenza necessarie per comprendere come e in quale misura la norma scritta fosse applicata nella prassi. Per tale epoca, dunque, tenendo a mente gli studi prosopografici di Pietro Saraceno, si è proceduto facendo riferimento al dibattito parlamentare sulla formazione delle norme elettorali che hanno regolato la capacità elettorale passiva del magistrato, nelle diverse fasi di vigenza della carta albertina. Per il Senato regio, (1) P. CALAmAnDreI, istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice civile, II, Padova, 1943, in opere giuridiche (a cura di n. CAPPeLLettI), morano, napoli, 1970, 509; vedi anche m. D'AmeLIo, del pubblico ministero, in il nuovo c.p.c. commentato, I, torino, 1943, 326 ss. reCenSIonI 275 invece, si è indagato sulle ragioni per cui taluni e non altri magistrati furono inseriti fra le categorie di nomina al Senato, ai sensi dell'art. 33 Statuto alber- tino. Invece, nella parte che approfondisce il magistrato parlamentare nel- l'epoca repubblicana la ricostruzione è stata più agevole, in considerazione degli elementi di prassi offerti sia dalle delibere del Consiglio superiore della magistratura sia dai provvedimenti adottati nei confronti di alcuni magistrati. In particolare, per quel che riguarda l'epoca liberale, dalla disamina dei diritti politici dei magistrati emerge senz'altro una stretta dipendenza della magistratura dal potere esecutivo: basti far riferimento alla prima legge sull'ordinamento giudiziario, la legge Siccardi del 1851, e alla stessa formulazione "in bianco" della norma sull'inamovibilità di cui all'art. 69 dello Statuto albertino, che da garanzia d'indipendenza diveniva, per via della sua modulazione e interpretazione assai restrittiva, strumento del potere esecutivo per assicurarsi la stretta sorveglianza e dunque il collateralismo della magistratura. Per di più nello Statuto albertino vi erano norme che imponevano al magistrato di essere mero esecutore della volontà del legislatore, precludendogli quell'attività, l'interpretazione della legge, che ai sensi dell'art. 73, era attribuita all'esclusivo appannaggio del potere legislativo. In tale contesto, le norme sui diritti d'elezione e di nomina s'inserirono coerentemente in quegli strumenti volti a ricercare nella magistratura una sorta di adesione all'indirizzo politico del potere esecutivo. Per tale fase si è dunque indagato se il diritto d'essere parlamentare è per la magistratura un premio per la fedeltà dimostrata al potere esecutivo. fedeltà la cui ricerca, nel quadro normativo considerato, trovava coerenza nelle esigenze correlate alle vicende storiche contestuali all'unificazione d'Italia, che per quanto non richiamate nello specifico dell'indagine, sono state tenute in conto per comprendere la ragioni a fondamento delle scelte del legislatore. La prima sezione del capitolo primo è dedicata quindi alla disamina delle condizioni in presenza delle quali il magistrato poteva godere del diritto all'elettorato passivo e dunque essere eletto. Si vedrà che in epoca albertina il diritto del magistrato a essere eletto alla Camera dei deputati non fu mai negato, bensì sottoposto a condizioni, talvolta stringenti, che riflettevano i principi su cui si reggeva l'impianto normativo dello Stato liberale: primi fra gli altri la divisione dei poteri e la libertà di voto. Soltanto verso il declino dello Stato liberale e agli albori del regime fascista, quando si optò per un sistema rappresentativo plebiscitario destinato a sacrificare la libertà di voto alla volontà di fascistizzazione dello Stato, emerse l'esigenza di assicurare, mediante istituti tutt'ora presenti nell'ordinamento repubblicano (l'aspettativa per candidatura politica, l'ineleggibilità relativa e l'aspettativa per mandato politico), l'imparzialità e l'indipendenza del magistrato dagli altri poteri. La seconda sezione si occupa delle condizioni a cui il magistrato fu sottoposto per la nomina al Senato regio: avrebbe, per via della nomina, fatto ingresso in quell'élite di rASSeGnA AvvoCAtUrA DeLLo StAto - n. 4/2017 burocrati che Carlo Alberto volle al proprio fianco nel momento in cui, con la concessione dello Statuto albertino, si spogliava del potere assoluto, in favore di un regime monarchico costituzionale. Del resto, i più alti uffici della magistratura giudicante e requirente erano inclusi nell'elenco, tassativo, di nomina posto nell'art. 33 dello Statuto albertino, ma delle ragioni profonde di tale inserimento, purtroppo, non v'è traccia nei verbali del Consiglio di conferenza, riunito in quei giorni tumultuosi che condussero alla concessione della carta costituzionale. Dunque si è tentato di ricostruire le motivazioni della presenza di taluni (e non altri) uffici della magistratura fra le categorie indicate all'art. 33 dello Statuto albertino, a partire dalla funzione del Senato regio e sulle ragioni per cui altri (e alti) funzionari della pubblica amministrazione erano presenti tra le categorie di nomina. La legislazione statutaria si mosse verso l'esclusione dei magistrati degli uffici inferiori dal circuito politico rappresentativo e l'effetto di tale esclusione produsse un vuoto di rappresentanza delle istanze dei giudici inferiori, istanze di emancipazione da una situazione descritta dalla storiografia come obiettivamente critica: in tale contesto agli inizi del novecento venne costituita l'Associazione nazionale magistrati d'Italia, l'archetipo dell'Associazione nazionale dei magistrati. L'Associazione era la prima occasione di rappresentanza degli interessi delle magistrature gerarchicamente inferiori: uno strumento insidioso, teso a rivendicare condizioni di indipendenza, anche attraverso miglioramenti economici. L'avvento del fascismo, tuttavia, interruppe l'attività dell'Associazione, la quale decise di "morire" piuttosto che forzosamente aderire al regime. Quel fatto segna una «frattura» nella storia del potere giudiziario in Italia che fu il principio di una sorta di «separazione» dalla classe politica, anche dell'alta magistratura, dopo quattro decenni che l'avevano vista «osmotica» (2). nei primi anni del fascismo, prima della svolta autoritaria, vi è qualche elemento che pare stridere con questa ricostruzione: si pensi alla legge elettorale del 1923 che previde, di regola, l'eleggibilità di tutti i magistrati: superando così il sistema consolidatosi fin dalla legge elettorale del 1859, per cui soltanto i magistrati dei più alti uffici dell'amministrazione giudiziaria erano ammessi alla Camera elettiva. Il secondo capitolo, anch'esso suddiviso in due sezioni, tratta rispettivamente del periodo che va dal regime fascista alla fase transitoria, per poi chiudere sul dibattito, avuto in Assemblea costituente, sul tema dell'eleggibilità dei magistrati (celato sotto la discussione sulla possibilità di introdurre limiti all'iscrizione ai partiti politici). Col sistema plebiscitario introdotto con la legge elettorale del 1928 e suc- (2) P. SArACeno, alta magistratura e classe politica dalla integrazione alla separazione. linee di una analisi socio-politica del personale dell'alta magistratura italiana dall'unità al fascismo, roma, 1979, 79. reCenSIonI 277 cessivamente con l'abrogazione della Camera elettiva, nel 1939, e l'istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni, la magistratura venne allontanata dalle istituzioni di rappresentanza fascista. Al contempo, però, si assistette a una progressiva accentuazione del controllo da parte del potere esecutivo: una serie di interventi normativi, di cui si è dato breve cenno, realizzeranno la piena integrazione della magistratura nel tessuto politico, nella logica di un principio rigidamente unitario per cui tutti gli apparati dello Stato sarebbero stati assoggettati al servizio del regime. Caduto il fascismo, l'istanza di apoliticità dei giudici, che pervenne dalla ricostituita Associazione dei magistrati, è da leggersi come una diffidenza nei confronti di quel potere politico che l'aveva assoggettata per lungo tempo: apoliticità intesa come volontà di non compromettere la magistratura, garantendole la libertà di "fare politica" attraverso l'associazionismo. Diversi segnali di questa diffidenza arrivarono sino in Assemblea costituente, laddove il tema dell'eleggibilità fu affrontato, come si diceva, in seno al dibattito sul divieto per i magistrati di iscriversi ai partiti politici, che scaturì da una posizione di dubbio espressa da Piero Calamandrei. nella seconda parte del capitolo secondo si sono analizzate le implicazioni derivanti dall'affermazione, sul piano costituzionale, di un regime di guarentigie per la magistratura e del riconoscimento del suffragio universale quale diritto fondamentale, e quindi delle conseguenze sul tema della capacità elettorale passiva: prima fra le altre l'illegittimità di quei limiti numerici all'ammissione alla Camera dei deputati per i magistrati previsti nella legislazione liberale. In generale, la tesi che si è voluta approfondire è se si possa parlare di "severità" nella modulazione delle regole di eleggibilità dei magistrati, con ciò ponendo le regole sulla concessione del diritto d'essere parlamentare per il magistrato in posizione diametralmente opposta rispetto alla "premialità" emersa in epoca liberale. Col terzo capitolo si entra nella "fase repubblicana" e, nelle tre sezioni in cui è organizzato, si affrontano i profili costituzionali del magistrato candidato, del magistrato eletto, e del deputato-magistrato che deve rientrare in magistratura. nella sezione I, nell'ambito della disamina dello status del magistrato candidato, sono stati analizzati gli istituti di derivazione liberale dell'aspettativa pre-elettorale e dell'ineleggibilità relativa. Per quel che riguarda l'aspettativa pre-elettorale, particolare attenzione è stata posta sulla diversa modulazione delle ragioni di ordine costituzionale poste a fondamento dell'istituto. In epoca liberale l'aspettativa per candidatura politica pare avere quale finalità quella di "neutralizzare" i poteri connessi all'ufficio di magistrato dei gradi inferiori, durante la fase della candidatura, nel momento che a favore di questi ultimi si schiusero le porte della Camera elettiva (dopo l'esclusione dall'elettorato per effetto della legge del 1859), e dunque a conferma di una concezione "duale" della magistratura. In epoca repubblicana il fondamento costituzionale pare rASSeGnA AvvoCAtUrA DeLLo StAto - n. 4/2017 essere più strettamente legato all'esigenza di garantire il prestigio dell'ordine giudiziario. Per quanto, per entrambe le epoche, vi è la ragione comune di evitare ogni forma di captatio benevolentiae del magistrato sul potenziale elettorato nella fase della candidatura. Col medesimo scopo fu ripreso in epoca repubblicana, con la legge elettorale del 1957, un altro istituto le cui origini risalgono anch'esse all'epoca liberale, l'ineleggibilità relativa o territoriale, introdotta con la legge sulle incompatibilità del 1877. L'obiettivo era di valorizzare la presenza dei magistrati in parlamento senza però favorire la loro elezione nel collegio in cui esercitavano le funzioni giurisdizionali. Soltanto per tale via si sarebbe preservato, ancora una volta, il prestigio dell'ordine giudiziario. La ricerca prosegue nel capitolo terzo con la disamina dello status del magistrato eletto. Al pari di quanto affermato in materia di aspettativa pre- elettorale e ineleggibilità relativa, l'aspettativa per mandato elettorale fu introdotta in epoca albertina e più precisamente con la legge elettorale del 1923, rimanendo in vigore sino alla legge elettorale del 1928, quando fu abrogata dato il generale ripensamento del sistema rappresentativo. In epoca albertina dalla sottoposizione all'aspettativa furono escluse una serie di categorie: tra queste vi erano i giudici della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e delle Corti di appello che durante il mandato parlamentare proseguivano a esercitare le funzioni del proprio ufficio: perpetrando, seppur con intensità minore e con ricadute sullo status e non sull'eleggibilità, la differenza tra giudici superiori e giudici inferiori introdotta fin dalla legge elettorale del 1859. In conclusione di ricerca, si è affrontato il tema del rientro del magistrato alle funzioni giurisdizionali, in caso di sconfitta alle elezioni politiche, o alla scadenza del mandato elettorale, o in caso di dimissioni: uno dei profili maggiormente dibattuti e non privo di aspetti problematici. In epoca albertina non essendovi sospensione delle funzioni giurisdizionali né in caso di candidatura politica né in caso di elezione, non fu stabilita alcuna disciplina sul rientro. Del resto, l'attribuzione del diritto d'elezione riguardava quei magistrati che si erano resi fedeli interpreti del potere esecutivo e, una volta ottenuto il diritto d'elezione e goduto, con l'elezione, il premio, non avrebbero dovuto subire alcuna limitazione al rientro alle funzioni giurisdizionali. In epoca repubblicana, invece, in virtù del rinnovato quadro costituzionale, fu posta una disciplina per il rientro del magistrato nelle funzioni giurisdizionali, nel caso in cui non fosse stato eletto o alla conclusione del mandato elettorale. Una disciplina che a oggi trova sede a livello sia primario che secondario delle fonti del diritto, volta a definire le concrete modalità attraverso cui bilanciare il diritto fondamentale del magistrato a candidarsi, ed eventualmente essere eletto, con la necessità che la funzione giurisdizionale sia esercitata in assoluta imparzialità. reCenSIonI 279 GUGLIELMO BERNABEI (*), L’Italia dei Comuni. Prospettive di sviluppo per il sistema di governo locale. (Wolters KluWer / cedam, 2018, P.P. 1-272) L’attuale fase di sviluppo economico, caratterizzata dalle crescenti difficoltà dei distretti industriali e dalla crescente domanda di innovazione, spinge anche lo studioso di autonomie locali ad interrogarsi sull’adeguatezza delle configurazioni urbane e degli assetti delle istituzioni territoriali, per valutare le ipotesi di riforma eventualmente necessarie. A partire dai primi anni Duemila, e soprattutto a seguito della crisi, il tema della dimensione più efficiente delle Città ha riscosso un crescente interesse per le potenzialità di queste di generare sviluppo e di migliorare la qualità urbana e l’equilibrio territoriale. oggi, poi, la situazione economica, nazionale ed internazionale, induce a valorizzare le potenzialità dei nostri territori e a migliorarne la capacità competitiva. Questo volume intende fornire un contributo alla riflessione su alcune prospettive di sviluppo per il sistema di governo comunale. Partendo da una rimeditazione degli assetti di autonomia locale (capitolo 1), si intende meglio comprendere le difficili dinamiche che hanno caratterizzato i tentativi di riforma della finanza locale, sottolineando il ruolo della perequazione (capitolo 2), indicando modelli e casi pratici di possibili nuove forme di implementazione delle risorse comunali, grazie agli strumenti di “cattura del valore” (capitolo 3). Inoltre, meritano attenzione i profili di collaborazione e di sviluppo per quei Comuni che sono anche sedi universitarie, prefigurando un modello ulteriore di “Città universitaria” (capitolo 4). Infine, si indica il caso delle “Città medie”, come paradigma dell’assetto territoriale italiano (capitolo 5). Lo studio, pertanto, ha lo scopo di offrire al lettore una “cassetta degli attrezzi”, il più possibile scientificamente rigorosa, per individuare lo strumento più idoneo di crescita per il sistema di governo comunale, analizzando il contesto istituzionale, amministrativo e socio-economico. Si è, infatti, consapevoli che sussiste un collegamento tra la massimizzazione dell’efficienza, il rispetto dell’equità, la minimizzazione dei costi di amministrazione e l’innovazione degli schemi di finanziamento evidenziati. Ponendo come filo conduttore le potenzialità degli strumenti di “cattura del valore”, si vuole sottolineare come il governo locale dovrebbe valersi dell’opportunità di personalizzare questi dispositivi non solo in relazione alle specifiche caratteristiche del contesto territoriale di applicazione ma anche in riferimento alla ottimizzazione del rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti. (*) Avv., Dottore di ricerca in Diritto costituzionale, regionale e degli enti locali. Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Ferrara. rASSeGnA AvvoCAtUrA DeLLo StAto - n. 4/2017 Il lavoro riprende ed approfondisce anni di studio in tema di autonomie locali grazie al contributo di importanti centri di ricerca. In questo senso un pensiero grato va all’AnUteL, Associazione nazionale degli Uffici tributi degli enti Locali; all’IFeL, Istituto per la Finanza e l’economia Locale, Fondazione istituita dall’Associazione nazionale dei Comuni Italiani (AnCI); al CDS, Centro di Documentazione e Studi dei Comuni italiani. SommArIo PremeSSA IntroDUzIone CAPItoLo PrImo Le AUtonomIe LoCALI neLL’orDInAmento CoStItUzIonALe ItALIAno: DIFFICILe eQUILIBrIo 1. modelli di Autonomie locali 2. Assetti del sistema di autonomia locale 3. Finanza locale e titolo v 4. Il coordinamento della finanza pubblica nel processo di attuazione del titolo v e la giurisprudenza costituzionale 5. La legge delega 42/2009 tra attualità e prospettive 6. Forme di associazionismo comunale e sviluppo locale 6.1 Premessa 6.2 Quadro normativo di riferimento 6.3 Unione di Comuni e valutazione dell’efficienza 6.4 I costi della frammentazione comunale 6.5 Ipotesi di fabbisogni di spesa ed aggregazioni comunali 6.6 Associazionismo comunale. Prospettive 6.7 Fusioni intercomunali: alcuni casi CAPItoLo SeConDo IL rUoLo DeLLA PereQUAzIone neL SIStemA mULtILIveLLo DI FInAnzA LoCALe 1. Introduzione e caratteri generali della questione 1.1 L’avvio del sistema perequativo 1.2 Il versante dei fabbisogni 1.3 La capacità fiscale standard 2. Il ruolo della perequazione nel sistema di governo locale multilivello 2.1 Sistema perequativo per i Comuni delle regioni a Statuto ordinario 2.2 Quadro normativo in materia di perequazione comunale: dalla legge delega n. 42/2009 alla legge di Stabilità 2015 2.3 Il fondo di solidarietà comunale e il riparto perequativo 3. Fabbisogni standard dei Comuni 4. La capacità fiscale standard 4.1 Scelte metodologiche e capacità fiscale standard 5. tributi immobiliari e tax gap 6. vertical Imbalance e fondo perequativo orizzontale 7. Una meta ancora lontana: l’ottima imposta locale 8. I LeP non sono fabbisogni standard 9. Quale ruolo futuro per la perequazione in un sistema multilivello di finanza locale? CAPItoLo terzo “CAttUrA DeL vALore”. moDeLLI e CASI PrAtICI DI ImPLementAzIone DeLLe rISorSe ComUnALI 1. Premessa reCenSIonI 281 2. Quadro normativo di riferimento 3. Imposta di scopo 3.1 obbligo di rimborso in caso di mancato avvio dell’opera 3.2 regole contabili e vincoli alla finanza locale 4. Imposta di scopo e “cattura del valore” 4.1 Ulteriori prospettive di finanza locale 4.2 Un nuovo concetto di imposta di scopo a sostegno degli investimenti 4.3 Il Quadrilatero marche-Umbria 4.4 osservazioni 5. Imposta di soggiorno 5.1 Il caso di San michele al tagliamento - Bibione 5.2 Imposta di soggiorno: criticità 6. Istituzione dell’imposta di sbarco 6.1 Forme di esenzione 6.2 misura dell’imposta e controlli 6.3 Decreto-legge n. 126 del 31 ottobre 2013 in tema di imposta di sbarco 7. Giurisprudenza comunitaria in tema di imposta di soggiorno e di scalo turistico 8. Difficile disciplina di modelli di imposizione di scopo CAPItoLo QUArto ULterIorI StrUmentI DI “CAttUrA DeL vALore”. CoLLABorAzIone UnIverSItà - CIttà, terzA mISSIone e ProDUzIone DI vALore PUBBLICo 1. Premessa. 2. relazione Università - Comune 2.1 terza missione e dati di contesto 3. risorse del sistema pubblico alle Università 4. Produzione e cattura di valore pubblico 4.1 Attivazione congiunta di dinamiche di governance locale 5. Il Comune come destinatario del trasferimento della conoscenza scientifica prodotta nelle Università 6. Ulteriori prospettive di produzione e cattura del valore nel sistema integrato locale Comune Università 6.1 tutela, valorizzazione e sostenibilità degli immobili legati alle funzioni universitarie 6.2 Supporto all’imprenditoria giovanile direttamente legata alla ricerca 6.3 Politiche di attrattività per imprese ed istituzioni di cura 7 Politiche di residenzialità 8 nuove forme di mobilità urbana nel sistema integrato Comune - Università 9 Promozione dello sport in ambito universitario 10 eventi culturali come occasione di produzione e di cattura di valore pubblico nel sistema locale integrato 11 Una visione di insieme del sistema integrato locale nell’ottica della cattura di valore pubblico CAPItoLo QUInto CIttà meDIe e SvILUPPo LoCALe 1. Definizione di Città media e strumenti metodologici 2. verso quale tipologia di Città media? 3. Chi vive in Città medie 4. Indicatori economico-finanziari 5. Servizi 6. Sviluppo sostenibile della Città 7. Partecipazione dei Comuni di medie dimensioni ai fondi europei Finito di stampare nel mese di marzo 2018 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma