ANNO LXIX - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2017 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Francesco De Luca - Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Federico Basilica, Elisabetta Chiarelli, Gabriella D’Avanzo, Guido Denicolò, Marco Esposito, Giuliano Gambardella, Pietro Garofoli, Michele Gerardo, Fernando Musio, Adolfo Mutarelli, Paola Palmieri, Gabriele Pepe, Valentina Pincini, Diana Ranucci, Mario Antonio Scino, Daniele Sisca, Marco Stigliano Messuti, Nicola Usai. Email giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario TEMI ISTITUZIONALI Adolfo Mutarelli, L’Avvocatura dello Stato e il patrocinio dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Precisazioni della Corte Costituzionale sull’esercizio delle funzioni dei procuratori dello Stato innanzi alle magistrature superiori (C. Cost., sent. 29 novembre 2017 n. 245) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Valentina Pincini, L’onere probatorio nell’ambito dei vaccini: commento alla sentenza della Corte di Giustizia UE C-621/15 . . . . . . . . . . . . . . . . Pietro Garofoli, Trasporto aereo e tutela del passeggero: sul quantum della compensazione pecuniaria in caso di ritardo prolungato di un volo con coincidenza (C. giustizia UE, Sez. VIII, sent. 7 settembre 2017, C-559/16) CONTENZIOSO NAZIONALE Le Sezioni Unite sull’esatta interpretazione dell’art. 342 cod. proc. civ.: forma dell’appello (Cass. civ., Sez. Un., sent. 16 novembre n. 27199) . . Elisabetta Chiarelli, La tutela dell’integrità del contraddittorio e della libertà personale nel procedimento di opposizione alla richiesta di archiviazione (Cass. pen., Sez. V, sent. 5 settembre 2016 n. 36857) . . . . . . . . Elisabetta Chiarelli, I limiti della legittima difesa nei luoghi di privata dimora ovvero destinati all’esercizio dell’attività commerciale, professionale o imprenditoriale (Cass. pen., Sez. V, sent. 25 settembre 2017 n. 44011) Daniele Sisca, Approvazione illegittima dei tributi comunali. Le novità a seguito di una recente decisione del Consiglio di Stato (Cons. St., Sez. V, sent. 29 agosto 2017 n. 4104). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Mario Antonio Scino, Depositerie giudiziarie: procedure per la alienzazione -rottamazione dei veicoli oggetto di sequestro . . . . . . . . . . . . . . . . Mario Antonio Scino, Sull’utilizzo della negoziazione assistita nel contenzioso sulle depositerie giudiziarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paola Palmieri, Modalità procedurali per l’operazione di fusione di società concessionarie autostradali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giacomo Aiello, La revoca del finanziamento ad imprese beneficiarie di agevolazioni ex l. n. 46/1982: sul calcolo degli interessi di mora sugli importi da restituire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . federico Basilica, Il regime di incompatibilità dei professori a tempo pieno e a tempo definito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ›› 12 ›› 15 ›› 44 ›› 55 ›› 65 ›› 73 ›› 83 ›› 89 ›› 107 ›› 112 ›› 119 ›› 126 fernando Musio, Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese ex lege 662/96: quesiti in ordine alla escussione della controgaranzia concessa dal Fondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 130 Gabriella D’Avanzo, Crediti erariali e riscossione coattiva in caso di somme percepite e non dovute da dipendenti p.a. a titolo di retribuzione ›› 136 Marco Stigliano Messuti, Stazioni appaltanti e centrali di committenza, compensi ai funzionari in qualità di componenti delle commissioni giudicatrici alla luce del D.lgs 50/2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 140 Diana Ranucci, Fondazione a carattere pubblico, requisiti necessari, disciplina applicabile ai rapporti di lavoro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 147 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Michele Gerardo, Responsabilità degli enti e degli esercenti le professioni per l’erogazione delle prestazioni sanitarie alla luce della legge 8 marzo 2017 n. 24 (cd. “Legge Gelli”) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 157 Giuliano Gambardella, Le Independent Agencies in Europa . . . . . . . . . . ›› 178 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Gabriele Pepe, Giudicato amministrativo e sopravvenienze . . . . . . . . . . ›› 231 Daniele Sisca, La successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria: una questione ancora aperta . . . . . . . . . . . . . . ›› 266 Nicola Usai, La partecipazione del contribuente al procedimento tributario: l’auspicabile ripensamento della dicotomia tra tributi “armonizzati” e tributi “non armonizzati” al vaglio delle Corti . . . . . . . . . . . . . . ›› 279 RECENSIONI Marco Esposito (a cura di), Il nuovo sistema ispettivo e il contrasto al lavoro irregolare dopo il Jobs Act, G. Giappichelli Editore, 2017 . . . . . . . ›› 291 TEMIISTITUZIONALI L’Avvocatura dello Stato e il patrocinio dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro Adolfo Mutarelli* SommArIo: 1. Il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato - 2. La disciplina processuale 3. La rappresentanza in giudizio dell’Ispettorato - 4. Le spese di lite. 1. Il Patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Il primo comma dell’art. 9, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 149 (rubricato “rappresentanza in giudizio”) sancisce in favore della neonata Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata Ispettorato Nazionale del Lavoro (art. 1, punto 1, d.lgs. 149/2015) la conferma del patrocinio istituzionale dell’Avvocatura dello Stato o, più tecnicamente come si esprime l’art. 1, punto 4 dello Statuto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, approvato con d.p.r. 26 maggio 2016, n. 109, la diretta applicazione dell’art. 1 del t.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato di cui al r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611. L’espresso rinvio all’art. 1 r.d. 1611/1933 determina l’affidamento all’Avvocatura dello Stato dello jus postulandi dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro negli stessi termini e perimetro garantito alle Amministrazioni dello Stato e, quindi, con la conseguente applicabilità del particolare regime processuale ivi previsto (1). Mentre il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura per le Ammi- (*) Già Avvocato dello Stato. Il presente lavoro costituisce la rielaborazione del saggio pubblicato nell’opera “Il nuovo sistema ispettivo e il contrasto al lavoro irregolare dopo il Jobs Act”, a cura di MArco ESpoSIto, Giappichelli, torino, 2017 - Volume presentato in Sala Vanvitelli, Avvocatura Generale dello Stato, l’11 ottobre 2017. (1) In ordine ai giudizi e alle autorità dinanzi a cui si esplica lo jus postulandi dell’Avvocatura dello Stato ed alla problematica relativa al rapporto tra personalità giuridica autonoma e inserimento di rASSEGNA AVVocAtUrA DELLo StAto - N. 3/2017 nistrazioni dello Stato (ex art. 1 cit.) comporta, l’applicabilità, tra l’altro, della disciplina del foro erariale (art. 25 c.p.c.) e l’obbligo di notificazione presso l’Avvocatura dello Stato (art. 144 c.p.c. e art. 11 r.d. 1611/1933) (2) non così per gli enti pubblici anche ove autorizzati (ai sensi dell’art. 43 r.d. 1611/1933, come integrato dall’art. 11 l. 3 aprile 1979, n. 103) ad avvalersi in via organica ed esclusiva del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (3). tuttavia è bene subito evidenziare che, mentre le illustrate conseguenze processuali derivanti dall’affidamento del patrocinio istituzionale dell’ente all’Avvocatura dello Stato riguardano tout-court l’intera attività contenziosa in cui può essere coinvolta la nuova Agenzia, una diversa e più articolata soluzione, pur nel rispetto dell’accordato patrocinio istituzionale ex art. 1 r.d. cit., può e deve comporsi rispetto ai giudizi di cui al secondo comma, come del resto sembra voler suggerisce il “Fatto salvo quanto previsto dal secondo comma” con cui si apre la disposizione in esame. Fermo restando l’opzione legislativa per il patrocinio istituzionale, a questa, peraltro criptica, formula sembra doversi riconoscere la significativa funzione di assicurare che i giudizi enucleabili alla luce del secondo comma continuano ad essere processualmente disciplinati dalle norme in vigore. In mancanza di una tale «salvezza», anche ai predetti giudizi si sarebbe dovuto infatti applicare in toto la disciplina del patrocinio istituzionale dell’Avvocatura (art. 1, r.d. 1611/1933) con tutte le conseguenti ricadute di ordine processuale ellitticamente sopra delineate (con il superamento pertanto in parte qua di ogni diversa disciplina in contrasto con il patrocinio istituzionale ex art. 1 cit.). 2. La Disciplina processuale. Il secondo comma dell’art. 9 in commento prevede che l’Ispettorato «può farsi rappresentare e difendere, nel primo e nel secondo grado di giudizio, da propri funzionari nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione, nei giudizi di opposizione a cartella esattoriale nelle materie di cui all’art. 6, comma enti nell’apparato dello Stato si rinvia a A. BrUNI - G. pALAtIELLo, La difesa dello Stato, UtEt - Giuridica, Milano, 2011, passim e, particolarmente, pp. 45 e 117. (2) La corte costituzionale con sentenza n. 97 del 26 giugno 1967, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 11 r.d. 1611/1933, nei limiti in cui esclude la sanatoria della nullità della notificazione. (3) per tali categorie di Enti la giurisprudenza ritiene non sia applicabile il regime di favore previsto per le Amministrazioni dello Stato mancando nell’art. 43, r.d. 1611/1933 il richiamo alle norme che disciplinano il foro erariale e la domiciliazione ex lege presso l’Avvocatura dello Stato ai fini della notificazione degli atti (cass. S.U. 4 novembre 1966, 9523; cass., 5 marzo 1980, 2967 e trib. Napoli, 12 gennaio 1967, in Foro it., 1967, I, c. 1970). così pure per le regioni che ricorrano al c.d. patrocinio facoltativo disciplinato dall’art. 107, D.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 (in ordine ai rapporti tra le modalità di patrocinio sistematico o facoltativo in favore delle regioni, sia consentito il rinvio a A. MUtArELLI, Patrocinio «facoltativo» delle regioni a statuto ordinario da parte dell’Avvocatura dello Stato e mandato ad litem, in Giur. it., 1998, I, p. 667). tEMI IStItUzIoNALI 4, lett. a), del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, nonché negli altri casi in cui la legislazione vigente consente alle amministrazioni pubbliche di stare in giudizio avvalendosi dei propri dipendenti». In relazione alle conclusioni raggiunte nel precedente paragrafo (e al di là dell’immediato rilievo che il comma disciplina la c.d. difesa diretta da parte dell’Amministrazione) (4) deve pertanto osservarsi che ai predetti giudizi dovrà applicarsi il regime processuale così come attualmente disciplinato e “vivente”. può fondatamente ritenersi quindi che, mentre per i giudizi non riconducibili nell’alveo del secondo comma si applicherà in toto il regime processuale derivante dall’affidamento della rappresentanza e difesa all’Avvocatura dello Stato, per i giudizi riconducibili in tale comma il regime processuale dovrà essere di volta in volta coniugato e declinato con la specificità della disciplina processuale ad essi (già) riservata dall’ordinamento. Una volta in tal modo determinato il perimetro processuale applicabile al giudizio, la difesa diretta dell’Amministrazione andrà garantita nel rispetto delle previsioni del 2° comma dell’articolo in esame. partendo dalle illustrate premesse e con specifico e circoscritto riferimento alla vasta area dei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (1° comma dell’art. 22, l. 24 novembre 1981, n. 689) (5), gli stessi continueranno, pertanto, ad essere disciplinati dal rito lavoro «ove non diversamente stabilito dalle disposizioni» dell’art. 6 d.lgs., 1 settembre 2011, n. 150 (6). Ne consegue che, anche in deroga all’art. 11 r.d. 1611/1933 che impone la notificazione degli atti presso l’Avvocatura dello Stato (7), il ricorso in opposizione e il pedissequo decreto di fissazione di udienza devono essere notificati all’Ispettorato, quale autorità amministrativa che ha emesso il provvedimento opposto dotata di una peculiare autonomia funzionale all'irrogazione della sanzione; unica legittimata passiva che rimarrà anche l’unica attivamente legittimata ad impugnare (anche in sede di legittimità) (8) la sentenza conclusiva del giudizio che l'abbia vista soccombente (9). (4) Deve osservarsi che i primi commenti “a caldo” della disposizione non sembrano cogliere appieno il portato della previsione, che viene interpretata con esclusivo riferimento alla disciplina della rappresentanza e difesa in giudizio dell’Amministrazione a mezzo di propri funzionari: cfr. G. toScANo, Difesa delle pubbliche amministrazioni, in Processo del lavoro, (a cura di) c. roMEo, Giappichelli, torino, 2016, p. 116. (5) Appare opportuno rammentare che l’art. 35 l. 689/1981 attribuisce espressamente agli enti di previdenza e assistenza - in alternativa all’impiego del procedimento monitorio - il potere di emettere ordinanza-ingiunzione. (6) con specifico riferimento al procedimento in esame dopo il d.lgs. 150/2011, v. A. SALEttI, La semplificazione dei riti, in riv. dir. proc., 2012, p. 727. (7) In tal senso la consolidata giurisprudenza v. cass., 16 luglio 2010, n. 16774; cass., ord., 25 luglio 2006, n. 16950. (8) cass., 26 ottobre 1989, n. 4444. (9) Ex plurimis: cass., ord., 7 novembre 2013, n. 25080; cass., Sez. lav., 11 agosto 2008, n. 21511; rASSEGNA AVVocAtUrA DELLo StAto - N. 3/2017 Ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, la legittimazione processuale dell’autorità che ha emesso l’atto e l’inapplicabilità dell’art. 11 r.d. 1611/1933 in tema di notificazioni comportano che la notificazione della sentenza deve essere effettuata, in applicazione degli artt. 292 e 285 c.p.c. presso l’Ispettorato opposto (contumace o costituito a mezzo di proprio funzionario) (10) e non presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato (11). Anche la notifica dell’appello e del ricorso per cassazione dovranno pertanto avvenire presso l’Ispettorato in quanto la legge ha assegnato a tale autorità la legittimazione processuale per l’intero arco del procedimento in deroga all’art. 11 r.d. 1611/1933 che impone la notificazione presso l’Avvocatura dello Stato (12). Viceversa nell’ipotesi in cui l’Ispettorato si costituisca a mezzo dell’Avvocatura dello Stato sarà operante l’art. 170 c.p.c. (e non l’art. 11, r.d. 1611/1933) in virtù del quale tutte le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento (ivi compresa la notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve) devono essere effettuate presso il procuratore costituito (e quindi presso l’Ufficio dell’Avvocatura territorialmente competente per il giudizio) (13). La competenza territoriale del giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione (rientrante nella competenza per materia nelle ipotesi di cui all’art. 6, comma 4, d.lgs. 150/2011), è determinata in base al luogo in cui la sanzione è stata applicata con esclusione della disciplina del foro erariale (art. 6 r.d. 1611/1933 e art. 25 c.p.c.) e cioè con mancata attrazione della controversia dinanzi al tribunale in cui ha sede l’Avvocatura dello Stato (14). Inoperatività cass., Sez. lav., 21 aprile 2005, n. 8316. tuttavia in dottrina (p. pAVoNE, Lo Stato in giudizio, Editoriale Scientifica, Napoli, 1995, p. 148) non si è mancato di osservare che l’allora vigente articolo 22 l. 689/1981 (e tuttora l’art. 6 d.lgs. 150/2011) non prevedono espressa deroga dell’art. 11 r.d. 1611/1933 in tema di notificazione presso l’Avvocatura dello Stato. Non può infatti al riguardo trascurarsi che tra obbligo di notificazione presso l’Avvocatura dello Stato e difesa diretta non sussiste un legame inderogabile come osservato dalla più recente giurisprudenza amministrativa in tema di rito di accesso agli atti. In ordine a tale problematica si rinvia, per evidenti motivi di economicità, alla successiva nota (n. 25). (10) cass., 3 luglio 2005, n. 13469; cass., 14 ottobre 2014, n. 21698; cass., 30 gennaio 2009, n. 2528. (11) con riferimento all’analoga problematica sorta con riferimento all’art. 417-bis c.p.c. si rinvia a:M. GErArDo - A. MUtArELLI, Il processo del lavoro pubblico, Giuffrè, Milano, 2012, p. 176 e ss. (12) cass. sez. lav., 12 maggio 2016, n. 9770; cass., 26 aprile 2010, n. 9904; cass., 21 giugno 2007, n. 14543 e, con specifico riferimento a sanzione applicata dall’ispettorato Lavoro ai sensi della l. 689/1981 cass., Sez. lav., 5 dicembre 2003, n. 18595, in Arch. civ., 2004, I, p. 1208. (13) così anche: S. ScArAFoNI - F. VIGNoLI - F. cAIAFA - M. cApoLUpo - M. MArtINI - G. roMEo - G. BoBBIo, La difesa in giudizio della P.A., Giuffrè, Milano, 2010, p. 152. (14) cass., 26 luglio 2004, n. 14057, in Foro it., 2006, I, c. 888. In particolare secondo la Suprema corte «l'inapplicabilità del foro della pubblica amministrazione consegue direttamente ai connotati di specialità del procedimento d'opposizione all'ordinanza ingiunzione. In esso è prevista la notificazione del ricorso all'autorità che ha emesso il provvedimento sanzionatorio, con conseguente inoperatività dell'art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (T.U. delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio tEMI IStItUzIoNALI del foro erariale già, peraltro, normativamente prevista anche (15) per le controversie di lavoro (art. 413 c.p.c.), nonché per le controversie di previdenza e assistenza obbligatoria per le quali la competenza territoriale deve essere determinata con riferimento alla circoscrizione di residenza dell’attore (art. 444 c.p.c.) senza tener conto cioè che la parte convenuta goda (o meno) del c.d. patrocinio istituzionale (art. 1, r.d. 1611/1933) dell’Avvocatura dello Stato (16). La riferibilità della «salvezza» con cui si apre il primo comma dell’art. 9 in esame costituisce pertanto una sorta di rinvio aperto a tutte le altre ipotesi disseminate nella “legislazione” vigente in cui le amministrazioni pubbliche sono abilitate a stare in giudizio avvalendosi dei propri dipendenti (ultima parte del secondo comma) e che consente di ritenere che anche per tali liti viene conservato il regime processuale (già) vigente che non subisce alcuna ulteriore modificazione (vengono cioè conservate le deroghe eventualmente previste alla disciplina processuale derivante dal patrocinio istituzionale del- l’Avvocatura dello Stato). Fermo restando quanto sopra rappresentato, l’Ispettorato in tali controversie potrà pertanto farsi rappresentare da propri funzionari in entrambi i gradi del giudizio. Senza entrare nell’esame delle molteplici ipotesi in cui l’attuale legislazione consente che l’Amministrazione può farsi rappresentare da propri dipendenti, appare necessario accennare alla problematica se l’Ispettorato, nelle controversie di lavoro con i propri dipendenti, possa farsi rappresentare in entrambi i gradi da propri funzionari o, viceversa, debba applicarsi l’art. 417bis c.p.c. che circoscrive al solo primo grado di giudizio la facoltà di rappresentanza diretta a mezzo dei propri “dipendenti”. Senza anticipare quando potrà meglio evidenziarsi infra, sin d’ora deve osservarsi che (anche se il termine “legislazione” non sembra volersi riferire espressamente alla disciplina del codice di procedura civile) il principio di specialità e di successione nel tempo delle leggi sembra autorizzare una lettura estensiva e, come tale, derogatoria in parte qua dell’art. 417-bis c.p.c. dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) sull'obbligatorietà della notifica degli atti all'avvocatura dello Stato (v. per es. Cass. S.U. 24 agosto 1999, n. 599) e la possibilità per l'autorità che ha emesso l'ordinanza di stare in giudizio personalmente. Questa specialità e l'espressa previsione contenuta nell’art. 22 della legge n. 689 del 1981 giustificano l'inapplicabilità dell'art. 25 c.p.c.» (così testualmente da cass., ord., 11 ottobre 2002, n. 14562, in Arch. civ., 2003, I, 803). In dottrina, da ultimo, c. MANDrIoLI - A. cArrAttA, Diritto processuale civile, Giappichelli, torino, 2016, III, p. 323. (15) per una casisitica delle altre ipotesi in cui è prevista deroga alla disciplina del foro erariale si rinvia a A. BrUNI - G. pALAtIELLo, La difesa dello Stato, cit., pp. 137-145. (16) In giurisprudenza si è rilevato che, diversamente opinando, l’art. 444 sarebbe privo di un reale contenuto precettivo v. cass., sez. lav., ord., 19 novembre 2002, n. 16317, in Arch. civ., 2003, p. 967 e potrebbe comportare «differenziazioni di dubbia legittimità costituzionale tra i potenziali beneficiari di tutele assistenziali aventi come controparte un'amministrazione fruente della difesa erariale e i beneficiari di tutele assistenziali o previdenziali aventi come controparte soggetti non fruenti di tale difesa», testualmente da: cass., Sez. lav., 7 giugno 2009, n. 7699, in Foro it., 2001, I, c. 2805. In tal senso ancora da ultimo, cass., Sez. lav., ord., 9 novembre 2004, n. 21317, in Lavoro giur., 2005, p. 381. rASSEGNA AVVocAtUrA DELLo StAto - N. 3/2017 tuttavia è di intuitiva evidenza che per effetto della prospettata ermeneusi in tali giudizi non sarebbe in astratto assicurata neanche in grado di appello la terzietà della difesa tecnica garantita dall’Avvocatura dello Stato con giustificati scrupoli di imparzialità e disparità rispetto alle controversie dei dipendenti delle altre Amministrazioni patrocinate istituzionalmente dall’Avvocatura dello Stato. per tal motivo è pertanto ampiamente auspicabile che l’Avvocatura dello Stato, destinataria della notifica dei ricorsi introduttivi ai sensi dell’art. 415 c.p.c. e cui in via esclusiva compete la insindacabile possibilità di avocazione della trattazione dei predetti giudizi dell’Ispettorato (quantomeno) in appello, valuti con estrema attenzione la ricorrenza dei presupposti per assumere direttamente la trattazione della causa tenendo altresì in debito conto in tale valutazione i valori di imparzialità, trasparenza ed efficienza dell’azione della pubblica amministrazione. Né può infine sottacersi che la scelta di affidare ai funzionari anche l’appello delle controversie in esame appare non tenere in alcun cale che, a differenza dei giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione che hanno natura impugnatoria (17), le controversie di lavoro attengono direttamente al rapporto. 3. La rappresentanza in giudizio dell’Ispettorato. L’affidamento della rappresentanza e difesa della pubblica amministrazione a mezzo di propri dipendenti non costituisce una novità della novella legislativa. trattasi infatti di istituto ampiamente sperimentato nel nostro ordinamento, essendo stato introdotto già con l’art. 1 del regolamento (r.d. 25 giugno 1865, n. 2361), emanato in esecuzione degli artt. 11, 14 e 16 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo (l. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E), secondo cui i funzionari potevano rappresentare le Amministrazioni «per qualsiasi giudizio civile». Nel riportare in nota (18) per evidenti motivi di brevità le più significative (17) Sulla natura (prevalentemente) impugnatoria del giudizio di opposizione a ingiunzione fiscale, ex plurimis, S. ScArAFoNI - F. VIGNoLI - F. cAIAFA - M. cApoLUpo - M. MArtINI - G. roMEo - G. BoBBIo, La difesa in giudizio della P.A., cit., p. 320; S. cArDIN, Principi generali dell’illecito amministrativo, cedam, padova, 2005, p. 128. Si osserva come in tali giudizi è impossibile introdurre domande nuove v. c. MANDrIoLI - A. cArrAttA, Diritto processuale civile, cit., p. 323, (in nota 40). In tal senso anche la giurisprudenza cfr., cass., 7 gennaio 1999, n. 30, n. 3271, in Foro it., 1990, I, c. 1510 e, da ultimo, cass., 2 settembre 2008, n. 22035 secondo cui il giudizio di «opposizione all'ordinanza-ingiunzione […] è, avuto riguardo all'oggetto del giudizio, limitato all'accertamento della pretesa punitiva fatta valere dall'amministrazione nei confronti del destinatario, ed alla sua struttura, prevedente poteri istruttori ufficiosi, inappellabilità delle decisioni etc. ..., non possono essere introdotte domande, eccezioni e questioni diverse da quelli attinenti alla legittimità dell'atto amministrativo impugnato». (18) Si pensi all’art. 3 r.d. 1611/1933 che abilita «innanzi alle preture e agli Uffici di conciliazione» i funzionari alla rappresentanza diretta (di controversa applicazione con riferimento ai giudizi dinanzi ai giudici di pace) ed ancora al successivo all’art. 4 t.U. 1611/1933 secondo cui nei giudizi concernenti il contratto di trasporto dinanzi ai pretori o i conciliatori le FF.SS. erano rappresentate da propri agenti; tEMI IStItUzIoNALI ipotesi in cui via via nel tempo è stata riconosciuta la possibilità per la pubblica Amministrazione di essere rappresentata in giudizio dal proprio “personale”, deve osservarsi che costituisce ipotesi di assoluta novità dinanzi al giudice ordinario, la previsione che consente la c.d. difesa diretta dell’Amministrazione da parte dei propri funzionari, sia in primo che nel secondo grado di giudizio (19). Non può trascurarsi che, nell’ambito del rito lavoro, l’ipotesi più recente in cui è stata attribuita la difesa diretta delle pubbliche amministrazioni è costituita dall’art. 417-bis c.p.c. (introdotto con l’art. 42, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 come modificato dall’art. 19, comma 17, d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387) (20) secondo cui nelle controversie di lavoro, limitatamente al primo grado di giudizio, le pubbliche Amministrazioni possono stare in giudizio avvalendosi dei propri dipendenti. Suscita perplessità il cambio di rotta attuato con il secondo comma dal- l’art. 9 in esame che, seppur circoscritto alle controversie ivi previste, sembra norma poi evidentemente superata per effetto delle trasformazioni che hanno subito nel tempo le FF.SS. (per un excursus si rinvia a A. MEzzotEro - D. roMEI, Il patrocinio delle pubbliche amministrazioni, cSA Editrice, castellana Grotte, 2016, p. 255; r. cApoNI, Privatizzazione dell’ente pubblico e cessazione del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, in Foro it., 1998, I, c. 1827). Ed ancora l’art. 11 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 che in materia di contenzioso tributario prevedeva originariamente che l’Amministrazione finanziaria poteva stare in giudizio direttamente e che, attualmente (a seguito della modifica apportata dall’art. 9 comma 1, lett. d), n. 1 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156) stabilisce che le Agenzie c.d. fiscali di cui al d.lgs. 300/1999 così come l’agente della riscossione stanno in giudizio direttamente; altresì in tema di ordinanza-ingiunzione l’art. 23, 4° comma l. 24 novembre 1989, n. 689 stabiliva che l’Autorità che ha emesso l’ordinanza poteva stare a mezzo di propri funzionari appositamente delegati con previsione poi abrogata dall’art. 34, comma 1, lett. c) d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, poi sostanzialmente confermata dall’art. 6 del medesimo d.lgs. 150/2011. con riferimento al processo amministrativo l’art. 41, t.U. 26 giugno 1924, n. 1054 -seppur con norma nei fatti rimasta inapplicata riconobbe all’Autorità che aveva emanato l’atto impugnato la facoltà di costituirsi dinanzi al consiglio di Stato per il tramite di propri funzionari (cfr. pIAcENtINI, voce «rappresentanza processuale-rappresentanza in giudizio P.A.», in Enc. giur. Treccani, XXV, roma 1988, p. 4) e più di recente l’art. 116 c.p.a. (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) ha previsto in tema di accesso ai documenti amministrativi che dinanzi al giudice amministrativo l’Amm.ne può essere rappresentata “da un proprio dipendente a ciò autorizzato”. con riferimento al giudizio pensionistico dinanzi alla corte dei conti il nuovo codice di giustizia contabile approvato con d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 ha previsto che «L’amministrazione può farsi rappresentare in giudizio da un proprio dirigente o da un funzionario appositamente delegato. Per le Amministrazioni dello Stato e equiparate si applica, anche in grado di appello, la disposizione dell’art. 417-bis c.p.c.». (19) per l’I.N.p.S, non destinataria del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, l’art. 10, punto 6, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 convertito in l. 2 dicembre 2005, n. 248 (comma poi modificato dall'art. 20, comma 5, lettere a, b e c, D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102 e, successivamente, dall'art. 16, comma 9, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2012, n. 35) già prevede che nei giudizi in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità l’Istituto è rappresentato e difeso dai propri dipendenti «con esclusione del giudizio di cassazione». In tema, da ultimo, v. cass., ord., 24 febbraio 2016, n. 3677. (20) per un’analisi ravvicinata delle problematiche poste dall’esegesi dell’art. 417-bis c.p.c. v. A. MUtArELLI, Sub art. 42, in A. corpAcI, M. rUScIANo, L. zoppoLI (a cura di), La riforma dell'organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Nuove leggi civili comm., 1999, p. 1581. rASSEGNA AVVocAtUrA DELLo StAto - N. 3/2017 non tenere adeguatamente conto (peraltro con riferimento ad un contenzioso numericamente e economicamente significativo) della disciplina del processo del lavoro, già in primo grado caratterizzato dalle serrate decadenze processuali che hanno (solo) definiti margini di tutela in sede di gravame e, in secondo grado, dalla sempre crescente professionalità richiesta anche per effetto dei noti interventi che hanno interessato (e interesseranno) il grado di appello e (ove si ritenga in parte qua modificato anche il regime di rappresentanza diretta di cui all’art. 417-bis c.p.c. per le cause istaurate dai propri dipendenti) di quanto già rappresentato nel precedente paragrafo (21). Queste (forse) le considerazioni che hanno spinto il legislatore a riservare il potere di rappresentanza e difesa ai soli “funzionari” (22) con una scelta segnatamente diversa da quella operata con l’art. 19, comma 17, d.lgs. 387/2008 che, intervenendo sull’art. 417-bis c.p.c., sostituì «la restrittiva dizione “funzionario” con quella più generica di “dipendente» (23). cautela tuttavia inidonea a supplire ai rilievi sopra formulati. (21) Si consideri, ad esempio. La complessità processuale della gestione tecnica di una lite introdotta con il c.d. rito Fornero sulla cui applicabilità al pubblico impiego vi è ancora aperto dibattito. È agevole, da ultimo, il rinvio a A. ANDoLFI, Il “rito Fornero” e le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti instaurate dai pubblici dipendenti, in rass. Avv. Stato, 2017, I, p. 137 e ss. (22) Deve ritenersi che, in virtù del rapporto di immedesimazione organica, il funzionario costituendosi in giudizio deve solo far costatare la propria qualità dichiarando di essere stato delegato per il giudizio, senza necessità di produrre la delibera a promuovere o resistere alla lite costituendo meri atti interni. In tal senso cass. 4 giugno 1980, n. 3635 e, più di recente, v. cass., ord., 16 settembre 2011, n. 19027 secondo cui «in materia di difesa della p.A., qualora l'autorità amministrativa sia rappresentata in giudizio da un funzionario delegato, non sono applicabili la disciplina della procura al difensore e i relativi principi, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini della regolarità della costituzione del delegato, la sottoscrizione del ricorso e la sua espressa dichiarazione di stare in giudizio in tale sua qualità. ciò in conformità del principio secondo cui la investitura dei pubblici funzionari nei poteri che dichiarano di esercitare nel compimento degli atti inerenti i loro uffici si presume, costituendo un aspetto della presunzione di legittimità degli atti amministrativi». tuttavia viene correttamente suggerita l’opportunità di un conferimento di delega per iscritto al fine di evitare insorgenti contestazioni o per confutare quelle ex adverso sollevate: S. ScArAFoNI -F. VIGNoLI -F. cAIAFA -M. cApoLUpo -M. MArtINI -G. roMEo -G. BoBBIo, La difesa in giudizio della P.A., Giuffrè, Milano, 2010, p. 336. (23) rispetto alle disposizioni che consentono la rappresentanza e difesa della pubblica amministrazione a mezzo di propri “dipendenti”, il riferimento ai “funzionari” contenuto nell’art. 9 d.lgs. 149/2015 appare maggiormente tutelare l’esigenza di un’adeguata difesa della p.A. Non bisogna infatti dimenticare che la corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 r.d. 1611/1933 (che consente che la p.A. possa farsi rappresentare da propri “funzionari”) «perché la disposizione censurata, ammettendo in generale (e non già in forza di specifica autorizzazione del giudice adito) la rappresentanza in giudizio delle amministrazioni dello Stato a mezzo di propri funzionari per tutte le materie affidate alla competenza del pretore e del giudice conciliatore senza i limiti previsti dalla legge processuale (artt. 82 e 417 c.p.c.), assicura non di meno alle stesse un adeguato patrocinio; che infatti da una parte la difesa personale è comunque limitata perché non rileva indifferenziatamente il rapporto organico in genere, ma è necessario che l'Amministrazione pubblica sia rappresentata da suoi “funzionari”, che in ragione sia della loro qualifica sia dell'incardinamento nel ruolo organico dell'Amministrazione stessa tEMI IStItUzIoNALI Nelle ipotesi (ad es. opposizione ad ordinanza-ingiunzione) in cui non opera la domiciliazione ex lege presso l’Avvocatura dello Stato, la notificazione degli atti introduttivi avverrà presso l’Ispettorato e l’Avvocatura dello Stato verrà, pertanto, a conoscenza della pendenza del giudizio e dell’avvenuto deposito della sentenza da impugnare solo su (eventuale) impulso da parte dell’Ispettorato; sicché assurge a mero proclama l’inciso secondo cui «ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, è fatta salva la possibilità per l’Avvocatura dello Stato di assumere direttamente la trattazione della causa» (dettato che paradossalmente riecheggia l’art. 417-bis c.p.c. in cui tale valutazione era, viceversa, rimessa realmente e direttamente all’Avvocatura dello Stato destinataria, ai sensi dell’art. 415 c.p.c., della notifica dei ricorsi introduttivi). Gli adombrati rilievi avrebbero dovuto suggerire di circoscrivere la difesa diretta solo al primo grado di giudizio (come del resto per il contiguo 417-bis c.p.c.), o, quantomeno, riservare all’Avvocatura dello Stato la previa delibazione se assumere il patrocinio in appello che, viceversa, diviene, allo stato, per tali giudizi non solo astrattamente facoltativo ma anche in concreto del tutto rimesso a uno (auspicabile ma non coercibile) impulso unilaterale del- l’Ispettorato. Del resto, nel senso di una generalizzata concentrazione presso l’Avvocatura dello Stato della valutazione in ordine all’esistenza dei presupposti in virtù dei quali la stessa può “assumere direttamente la trattazione della causa” ex art. 417-bis c.p.c., appare orientata la recente riforma del codice di giustizia contabile (d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, all. 1) che, in tema di processo pensionistico, prevede (art. 158, 2° comma), anche con riferimento al grado di appello, l’espresso rinvio all’art. 417-bis c.p.c. può fondatamente sostenersi che l’Avvocatura dello Stato conserva anche per i giudizi in cui l’Ispettorato è rappresentato e difeso da propri funzionari la possibilità di fornire istruzioni tenuto conto dell’esclusività della funzione consultiva garantita in favore delle Amministrazioni destinatarie di patrocinio (artt. 13 e 47 r.d. 1611/1933) (24) così come di rappresentare e difendere l’Ispettorato anche in primo grado in quanto la c.d. difesa diretta da parte del- l’Ispettorato è (come denota il «può» che apre il secondo comma della disposizione in esame) una mera facoltà. ovviamente per il secondo grado di giudizio resta riservata all’Avvocatura ogni valutazione sul conferimento del proprio patrocinio così come il potere di avocazione degli stessi ove venga a esprimono una elevata professionalità ed una particolare esperienza» (corte cost., ord. 8 giugno 1994, n. 228, in Foro it., 1994, I, c. 3274 e in Giur. Cost., 1994, p. 1919). Decisione che, anche in dottrina, viene ordinariamente letta come un generalizzato riconoscimento di legittimità costituzionale delle norme che prevedono la rappresentanza e difesa della p.A. a mezzo di propri “dipendenti” (così L. BUSIco, La difesa delle amministrazioni pubbliche nelle controversie di lavoro, in www. lexitalia.it). (24) p. rAUSEI, Jobsact, IpSoA, Milano, 2016, p. 517. rASSEGNA AVVocAtUrA DELLo StAto - N. 3/2017 conoscenza, anche indiretta o casuale, della pendenza di una lite su questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici. con riferimento al processo amministrativo l’art. 9 in commento non sembra poter consentire che nei giudizi di accesso agli atti amministrativi, per i quali l’art. 116 c.p.a. (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) già consente la difesa diretta dell’Amministrazione, l’Ispettorato possa farsi rappresentare da propri funzionari nella fase di impugnazione. Ed infatti una tale lettura deve ritenersi preclusa dalla previsione secondo cui nei giudizi dinanzi al consiglio di Stato “è obbligatorio il ministero di avvocato ammesso al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori” (art. 22, punto 2 c.p.a.) (25). rientrano nell’attività procuratoria conferita al funzionario la possibilità di richiedere la notificazione di atti, effettuare la costituzione in giudizio, partecipare alle udienze, curare gli adempimenti di cancelleria, ritirare il fascicolo di parte mentre, sul piano dell’attività difensiva, potrà procedere alla predisposizione e sottoscrizione degli atti difensivi. Al funzionario viene cioè rimessa la gestione tecnica della lite con l’intuitivo limite di non poter compiere atti che comportino la disposizione del diritto controverso (26). 4. Le Spese di lite. Nei casi in cui l’autorità amministrativa è rappresentata in giudizio da un difensore (artt. 82 e 87 c.p.c.), il diritto dell’amministrazione al rimborso delle spese di lite (art. 91 c.p.c.) comprende anche gli onorari di difesa ancorché tale difensore sia anche un dipendente, in quanto il diritto a compenso per l’opera professionale sorge per il solo fatto che la parte vittoriosa è stata in giudizio con il ministero di un difensore tecnico (27). (25) Del resto già con riferimento alla disciplina del processo amministrativo la dottrina ha escluso una tale possibilità. In tal senso v. M.A. SANDULLI, Il nuovo processo amministrativo, Giuffrè, Milano, 2013, II, p. 113; A. QUArANtA - V. LopILAto, Il processo amministrativo, Giuffrè, Milano, 2011, p. 930. con riferimento al giudizio pensionistico dinanzi alla corte dei conti la l. 14 gennaio 1994, n. 19, art. 6, comma 4, prevede che «l'amministrazione, ove non ritenga di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, può farsi rappresentare in giudizio da un proprio dirigente o da un funzionario appositamente delegato». Anche per tali giudizi permane l’obbligo di notificazione del ricorso presso l’Avvocatura dello Stato v. cons. Stato, Sez. VI, 15 ottobre 2014, n. 5154. come di recente rilevato «nei ricorsi in materia di accesso ai documenti, il fatto […] che l'Amministrazione possa essere rappresentata da un proprio dipendente con la qualifica di dirigente, non vale a superare la necessità che la notificazione del ricorso ad Autorità statale debba avvenire presso la competente Avvocatura, a pena di inammissibilità - sempre che la nullità della notifica non sia sanata dalla costituzione in giudizio della P.A. - tenendo presente che in materia non sussiste un legame necessario tra la "difesa personale e diretta", quale eccezione all'obbligo della difesa tecnica delle parti nel processo amministrativo, e la "notificazione personale e diretta", all'organo emanante, del ricorso introduttivo» (cons. Stato, Sez. VI, 23 giugno 2015, n. 3178, in Urbanistica e Appalti, 2015, p. 971). (26) Su tale specifico profilo è agevole il rinvio a: M. GErArDo - A. MUtArELLI, Il processo del lavoro pubblico, cit., p. 175; E. ApIcELLA, La difesa delle amministrazioni pubbliche nelle controversie di lavoro, cit., p. 569 e ss. (27) così cass., 8 settembre 2006, n. 19274. tEMI IStItUzIoNALI ovviamente tale regime non opera allorché in giudizio l’amministrazione si sia avvalsa della facoltà di farsi rappresentare da proprio dipendente (28) che, ovviamente, in quanto non iscritto all’elenco speciale annesso all’albo professionale, non è sottoposto in alcun modo alla disciplina della professione forense e al relativo codice deontologico né può in alcun caso divenire distrattario delle spese di lite (art. 93 c.p.c.). Incomberà tuttavia sul dipendente il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità (art. 88 c.p.c.) e, in ipotesi di violazione, il giudice è tenuto a riferirne all’autorità che esercita il potere disciplinare nei confronti dello stesso. Attesa l’inesistenza di previsioni in proposito, per lungo tempo l’orientamento prevalente era nel senso di escludere la liquidazione delle spese di causa a favore dell’amministrazione rappresentata e difesa in giudizio dal proprio dipendente (29). più di recente si è assistito all’introduzione di specifiche previsioni che hanno previsto e modulato l’applicazione delle spese di giudizio in favore dell’amministrazione anche in tali ipotesi da liquidarsi con riduzione del 20% rispetto ai parametri ministeriali applicabili al giudizio (30). A tali, oramai collaudate previsioni, appare ispirato anche il comma in esame secondo cui, in caso di esito favorevole del giudizio, all’Ispettorato sono riconosciute dal giudice “le spese, diritti ed onorari di lite, con la riduzione del 20 per cento dell’importo complessivo” da quantificarsi in base al decreto del Ministero della Giustizia adottato ai sensi dell’art. 9, comma 2, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27. Le entrate derivanti dall’applicazione di tale previsione sono destinate ad integrare le dotazioni finanziarie dell’Ispettorato. (28) Il compenso professionale non è altresì dovuto nell’ipotesi in cui il dipendente, benché munito del titolo di avvocato, è comparso in giudizio in mera rappresentanza organica dell’ente e non anche quale difensore in senso tecnico in virtù di procura rilasciata ai sensi dell’art. 83 c.p.c. In tal senso cass., 27 agosto 2007, n. 18066. (29) Ne dà atto c. roMEo, Processo del lavoro, cit., p. 120. (30) tra i più recenti riferimenti: la l. 12 novembre 2011, n. 183 ha introdotto (art. 152-bis c.p.c.) la previsione secondo cui nelle controversie di lavoro la liquidazione delle spese di lite in favore del- l’amministrazione, ove rappresentata da propri dipendenti, devono essere liquidate con riduzione del 20% rispetto ai parametri di cui al decreto da adottarsi ai sensi dell’art. 9, comma 2, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27. Già in tal senso l’art. 15, comma 2-bis d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (dal 1 gennaio 2016 art. 15, 2-sexies per effetto dell’art. 9, comma 1, lett. f, n. 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) in tema di liquidazione delle spese nel processo tributario. rASSEGNA AVVocAtUrA DELLo StAto - N. 3/2017 Precisazioni della Corte Costituzionale sull’esercizio delle funzioni dei procuratori dello Stato innanzi alle magistrature superiori CorTE CoSTITUzIoNALE, SENTENzA 29 NovEmbrE 2017 N. 245 Da: De Bellis Gianni [mailto:gianni.debellis@avvocaturastato.it] Inviato: giovedì 30 novembre 2017 13:18 A: Avvocati_tutti oggetto: NotIFIcHE EX Art. 55 FIrMAtE DA procUrAtorI DELLo StAto Segnalo la recente sentenza n. 245/2017 con la quale la corte costituzionale ha respinto l'eccezione della regione secondo cui la notifica del ricorso dello Stato doveva ritenersi inesistente in quanto sottoscritta da un procuratore dello Stato. Ecco la motivazione. Gianni De bellis* “2.– Eccepisce in via preliminare la regione autonoma Sardegna che il ricorso sarebbe inammissibile perché, dal timbro apposto in calce alla relazione di notificazione, l’atto risulta notificato, a mezzo posta, non dall’avvocato dello Stato incaricato dell’affare, bensì da soggetto munito della qualifica di procuratore dello Stato. Secondo la regione, in particolare, i procuratori dello Stato non sarebbero legittimati ad esercitare il patrocinio innanzi alle corti superiori. Ne conseguirebbe la «inesistenza» della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, trattandosi di notificazione effettuata da «persona priva dei poteri di rappresentanza giudiziale», con conseguente impossibilità di applicare l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo. Viene citata, a sostegno dell’argomentazione, una pronuncia del consiglio di Stato (sezione quinta giurisdizionale, sentenza 22 marzo 2012, n. 1631), peraltro relativa all’inesistenza della notifica del ricorso effettuata per via postale da parte di un avvocato del libero foro non iscritto all’albo degli avvocati cassazionisti. L’eccezione non è fondata. In primo luogo, l’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che consente all’Avvocatura generale dello Stato di eseguire la notificazione ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali) -ossia direttamente a mezzo del servizio postale, senza l’in (*) Vice Avvocato Generale. tEMI IStItUzIoNALI termediazione dell’agente notificatore - è pacificamente applicabile anche ai giudizi di legittimità costituzionale (sentenza n. 310 del 2011). In secondo luogo, non può essere condivisa la tesi della regione autonoma Sardegna, che vorrebbe applicare al caso ora in esame il principio desumibile dalla decisione del consiglio di Stato sopra richiamata. tale pronuncia, infatti, si è uniformata all’indirizzo secondo cui la notifica del ricorso deve essere effettuata da un avvocato iscritto all’albo degli avvocati cassazionisti, con riferimento, appunto, alle notificazioni effettuate dai singoli avvocati del libero foro. Questa regola, tuttavia, non si estende alle notificazioni effettuate dall’Avvocatura generale dello Stato, in quanto i procuratori dello Stato - a differenza di quanto mostra di ritenere la Regione resistente -sono legittimati, al pari degli avvocati dello Stato, ad esercitare il patrocinio innanzi alle magistrature superiori. Infatti, il tenore testuale dell’art. 1, secondo comma, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) e dell’art. 8, terzo comma, della legge 3 aprile 1979, n. 103 (Modifiche del- l’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) chiarisce come nessuna limitazione sia prevista per i procuratori dello Stato, i quali, pertanto, possono esercitare, allo stesso modo degli avvocati dello Stato, le funzioni anche innanzi alle magistrature superiori (ciò è confermato dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 febbraio 2013, n. 769). Si aggiunga che l’art. 55 della legge n. 69 del 2009 autorizza l’Avvocatura generale dello Stato, intesa quale ufficio, ad impiegare la modalità di notificazione di cui alla legge n. 53 del 1994. E questo significa che anche un procuratore dello Stato, incardinato nell’ufficio, è autorizzato a dare impulso processuale al ricorso mediante la notificazione di quest’ultimo”. ContEnziosoComUnitarioEdintErnazionaLE L’onere probatorio nell’ambito dei vaccini: commento alla sentenza della Corte di Giustizia UE C-621/15 Valentina Pincini* La sentenza della Corte di Giustizia del 21 giugno 2017, oggi in discussione, si inserisce in un contesto socio-politico particolarmente acceso, soprattutto in Italia, dove il Decreto Legge 7 giugno 2017, n. 73 convertito nella Legge 31 luglio 2017, n. 119 ha imposto l’obbligo di vaccinazione ai bambini da zero a sedici anni che vengono iscritti presso gli istituti scolastici (nidi e scuole dell’infanzia, scuole dell’obbligo, centri di formazione professionale regionale e scuole private non paritarie) a partire dall’anno scolastico 20172018 (1). (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Bologna. (1) Le vaccinazioni obbligatorie sono passate da quattro (anti-difterica, anti-tetanica, anti-poliomielitica e anti-epatite B) a dieci e nello specifico: anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti- epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus Influenzae tipo b (quali vaccinazioni obbligatorie in via permanente), anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella (quali vaccinazioni obbligatorie, sino a diversa successiva valutazione di un’apposita Commissione operante presso il Ministero della Salute che, dopo un monitoraggio di almeno tre anni, potrà decidere se eliminare l’obbligatorietà della vaccinazione o meno). La vaccinazione avviene mediante somministrazione di due prodotti: il cd. esavalente (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus Influenzae tipo b) che viene somministrato per tre volte nel ciclo di base con richiami - anch’essi obbligatori - a sei anni e nel- l’adolescenza, ed il secondo relativo alla vaccinazione cd. quadrivalente (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella) con un ciclo a due dosi. All’obbligatorietà consegue, per i soli bambini della fascia 0 -6 anni, l’impossibilità di frequentare l’istituto scolastico in difetto di vaccinazione, mentre per la scuola dell’obbligo la frequenza è consentita anche ai non vaccinati previo pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria. Per l’iscrizione è necessario presentare idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie, oppure un certificato del curante attestante l’esonero, l’omissione o il differimento RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 Il tema delle vaccinazioni vede, da sempre, contrapposte due fazioni: i no vax ei pro vax. Se i primi insorgono a difesa del loro diritto di autodeterminazione, i secondi a tutela del diritto alla salute dei propri figli. Proprio nella contrapposizione e bilanciamento fra questi due diritti sta la sfida del legislatore, dei giudici e della comunità scientifica al fine di porre rimedio a questa guerra fredda latente. Il conflitto nasce alla fine degli anni ’90, quando sulla rivista scientifica Lancet apparve lo studio, a firma di Andrew Wakefield e nei collaboratori del Royal free Hospital di Londra (2), condotto su dodici pazienti pediatrici affetti delle vaccinazioni, oppure una formale richiesta di prenotazione o attestazione dell’appuntamento per la somministrazione delle vaccinazioni mancanti. La documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni può essere sostituita dalla dichiarazione resa ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 200, n. 445; in tal caso, la documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni deve essere presentata entro il 10 luglio di ogni anno (10 marzo 2018 per l’anno in corso). Le vaccinazioni possono essere omesse o differite solo in caso di accertato pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate ed attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra curante. Sussiste, inoltre, l’obbligo per il dirigente scolastico di segnalare alla AUSL la presenza di studenti senza vaccinazione, la quale contatta i genitori/tutori/affidatari per un colloquio informativo al fine di provvedere all’effettuazione della vaccinazione. Qualora i genitori non si presentino all’incontro o non provvedano alla vaccinazione, la AUSL contesta formalmente l’inadempimento dell’obbligo. Al mancato adempimento dell’obbligo vaccinale consegue la sanzione amministrativa pecuniaria che va da un minimo di € 100,00 ad un massimo di € 500,00 (proporzionata alla gravità dell’inadempimento, come ad esempio al numero di vaccinazioni omesse) e che viene comminata direttamente dall’Azienda Sanitaria Locale territorialmente competente. Il dirigente scolastico ha, inoltre, l’obbligo di non allocare più di uno studente che non può essere vaccinato a causa di gravi e documentati problemi di salute in ogni classe, al fine di proteggere la sua salute sfruttando l’immunità di gregge costituita dalla presenza di tutti gli altri alunni vaccinati, fermo restando il numero delle classi determinato dalle vigenti leggi. Va aggiunto che questa Legge si introduce in un contesto nel quale la Lombardia, la Toscana, la Sardegna, il Piemonte e l’Emilia Romagna, avevano già introdotto l’obbligo vaccinale per la frequenza ai servizi per l’infanzia e si basa sui fondamenti scientifici del Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale 2017/2019 (c.d. Piano Nazionale Vaccini) che aveva proposto il superamento della distinzione fra vaccini obbligatori e vaccini raccomandati, introducendo il concetto di “vaccinazioni necessarie” istituendo, altresì, una procedura concordata tra genitori e pediatra che, in piena sintonia con l’avvenuto abbandono della prospettiva paternalistica in favore dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, consentiva alle famiglie di esercitare il c.d. “dissenso informato” dopo aver ricevuto informazioni precise e complete in merito ai rischi cui un bambino non vaccinato può andare incontro e senza timore di dover subire qualsivoglia sanzione amministrativa, o peggio, una limitazione al proprio diritto-dovere di potestà sui figli. La regione Veneto era andata ancora oltre: con la Legge regionale 23 marzo 2007, n. 7, aveva, infatti, sospeso l’obbligo vaccinale per tutti i nuovi nati a partire dal primo gennaio 2008. Tale soluzione si era resa possibile grazie all’elevato livello di copertura vaccinale raggiunto da queste Regioni, fermo restando l’obbligo della Giunta di ristabilire lo status quo ante in caso di emergenza epidemiologiche. Alla precisazione appena indicata, si deve aggiungere che nel 1999 le strategie vaccinali adottate avevano consentito di raggiungere elevate coperture e, pertanto, veniva meno l’obbligo vaccinale quale condizione per l’ammissione a scuola dell’obbligo. Proprio questa libera determinazione delle parti ha condotto ad una riduzione della copertura tale che ha spinto il legislatore ad introdurre nuovamente l’obbligo vaccinale. 2) A. WAkEfIELD, Ileal lymphoid nodular hyperplasia, nonspecific colitis and pervasive developmental disorder in children, in The Lancet, 1998, 351, pagg. 637-641. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE da disturbi psichiatrici insorti durante lo sviluppo ed associati a diarrea e dolori addominali. In nove di questi pazienti affetti da disturbo autistico, i genitori riferivano che i primi sintomi erano comparsi successivamente alla somministrazione del vaccino MPR. Gli autori ipotizzavano, quindi, che la vaccinazione potesse provocare l’infiammazione intestinale la quale, attraverso specifiche alterazioni metaboliche, avrebbe interferito con la reazione di solfatazione dei glicosoamminoglicani (GAG), molecole che esercitano un ruolo critico nella maturazione del tessuto celebrale. La ricerca ebbe un esito disastroso, poiché provocò nella sola Londra un crollo della percentuale dei bambini vaccinati, che passò dal 90% al 50% del totale, ed effetti simili si ebbero in tutto il mondo anglosassone (3). Tuttavia, indagini successive non confermarono il risultato di quella ricerca, che nel 2004 fu parzialmente ritrattata e nel 2010 definitivamente ritirata dalla rivista Lancet a seguito di un’inchiesta del General Medical Coucil che portò alla radiazione di Wakefield stesso dal Royal College of Surgeon. Non solo furono riscontrati errori metodologici, ma soprattutto la ricerca era stata svolta con intenti utilitaristici: era stata finanziata da un avvocato che intendeva promuovere causa contro le aziende produttrici dei vaccini e lo stesso Wakefield aveva brevettato un sistema per la produzione di tre vaccini separati che avrebbero dovuto sostituire quello esistente ed applicato. Nel 2000 lo statunitense Istitute of Medicine avviò una revisione delle evidenze disponibili relativamente ad una correlazione fra somministrazione di vaccino MMR e insorgenza di autismo che si concluse per una completa indipendenza dei due eventi. Bryan H. king ha definitivamente affermato che “decine di studi hanno mostrato che l’età di insorgenza dell’autismo non varia tra la popolazione di bambini vaccinati e quella di bambini non vaccinati, che la gravità ed il decorso della malattia non differiscono fra vaccinati e non vaccinati e, ora, il rischio di ricorrenza di autismo nelle famiglie non differisce tra bambini vaccinati e non vaccinati” (4). Per queste ragioni, anche una recentissima sentenza della Corte di Cassazione italiana ha escluso il risarcimento del danno al padre di un bambino affetto da autismo (5). Questo già critico contesto viene ulteriormente sollecitato dalla pronuncia in esame, avente ad oggetto l’onere probatorio in capo alle parti processuali nella controversa responsabilità da prodotto difettoso delle case farmaceutiche (3) R. DoMENICI - M. GERBI - B. GUIDI, Vaccini e autismo: scienza e giurisprudenza a confronto, in Danno e Responsabilità, 2016, n. 5, pag. 513. (4) B.H. kING, Promising forecast for autism spectrum disorders, in JAMA, 2015, 313, pagg. 1518-1519. (5) Con una recentissima sentenza (n. 18358/2017), la Corte di Cassazione ha escluso l’indennizzo richiesto da un padre ritenendo che non vi fosse la prova della connessione fra vaccino antipolio e insorgenza dell’autismo. Nello specifico la Suprema Corte ha concluso che la scienza medica citata dal ricorrente “non consente allo stato di ritenere superata la soglia della mera possibilità teorica della sussistenza di un nesso di causalità”. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 produttrici dei vaccini e gli elementi probatori sulla scorta dei quali il giudice deve decidere. È utile chiarire fin d’ora che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha “accantonato la scienza” e, quasi a sedare le due voci antitetiche dei pro vax e no vax, ha detto la sua in materia di prove: in mancanza di consenso scientifico, il difetto del vaccino e il nesso di causalità tra difetto medesimo e patologia insorta possono essere provati con un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti. Senza nulla aggiungere ed anticipare, si deve prendere in esame la vicenda che ha condotto alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’UE. Al termine del ciclo di vaccinazioni contro l’epatite B era stata diagnosticata al sig. W. la sclerosi multipla e, ritenendo esservi un nesso causale fra vaccino somministrato e malattia diagnosticata, quest’ultimo proponeva domanda di risarcimento del danno alla casa farmaceutica produttrice del vaccino, la Sanofi Pasteur. La domanda veniva accolta in primo grado dal Tribunal de Grande In- stance di Nanterre e successivamente respinta dalla Cour d’Appel de Paris. Tuttavia la Cour de Cassation annullava quest’ultima pronuncia perché sfornita di base giuridica. Solo quando veniva nuovamente adita dalla Corte d’Appello di Parigi, la Corte di Cassazione francese decideva di sospendere il giudizio e sottoporre alla Corte di Giustizia dell’UE tre questioni inerenti all’art. 4 della Direttiva 85/374/CEE del Consiglio del 25 luglio 1985 relativo all’onere probatorio in capo al danneggiato (6). A discapito di quanto si possa pensare, l’interesse protetto in via primaria dalla Direttiva sulla responsabilità da prodotto difettoso non è quello della tutela dei consumatori, bensì il corretto funzionamento del mercato interno dell’Unione Europea. Conseguentemente, il rischio dei danni da prodotti difettosi doveva essere allocato in modo da realizzare un buon equilibrio tra gli interessi delle imprese produttrici e quelli dei consumatori esposti a tale ri- (6) Le questioni pregiudiziali proposte sono: «1) Se l'articolo 4 della direttiva [85/374] osti, per quanto riguarda la responsabilità dei laboratori farmaceutici per danni ascrivibili ai vaccini da essi prodotti, a un mezzo di prova che prevede che il giudice di merito, nell'esercizio del suo libero apprezzamento, possa ritenere che gli elementi di fatto presentati dal ricorrente costituiscano presunzioni gravi, precise e concordanti, tali da dimostrare il difetto del vaccino e l'esistenza di un nesso causale tra quest'ultimo e la malattia, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce alcun nesso fra la vaccinazione e la comparsa della malattia. 2) In caso di risposta negativa alla prima questione, se l'articolo 4 della (...) direttiva 85/374 osti a un sistema di presunzioni secondo cui l'esistenza di un nesso causale tra il difetto attribuito a un vaccino e il danno subito dal danneggiato debba sempre essere considerata dimostrata in presenza di determinati indizi di causalità. 3) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l'articolo 4 della (...) direttiva 85/374 debba essere interpretato nel senso che la dimostrazione, a carico del danneggiato, dell'esistenza di un nesso causale fra il difetto attribuito a un vaccino e il danno da essa subito, possa essere considerata fornita soltanto qualora tale nesso venga determinato in maniera scientifica». CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE schio. L’equilibrio doveva essere uniforme in tutti gli Stati membri: così i consumatori, correttamente informati, potevano scegliere consapevolmente l’impresa fornitrice di beni o servizi in qualunque punto del mercato. L’equilibrio di cui si è detto è stato apprezzato soprattutto dai produttori e dagli assicuratori, molto meno dai consumatori, i quali hanno continuato a praticare strade alternative, specie in quegli Stati che da tempo conoscevano sistemi di tutela del consumatore efficienti e collaudati. Nell’ottica di armonizzare le norme in materia di responsabilità sono fondamentali gli artt. 4 - 6 - 7 della Direttiva. Ai sensi dell’art. 4 è il danneggiato a dover dar prova del difetto del prodotto, del danno cagionato e del nesso eziologico fra i due elementi. Si può parlare di prodotto difettoso quando il prodotto stesso non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di tutte le circostanze, fra le quali l’art. 6 richiama la presentazione del prodotto, l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato ed il momento di messa in circolazione dello stesso. Da ultimo e ai sensi dell’art. 7, il produttore non sarà responsabile solo se prova che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto non permettevano di scoprire l’esistenza del difetto. La Direttiva CE 85/374, realizzando un faticoso compromesso tra l’esigenza di tutelare i consumatori e quella di garantire l’efficienza del mercato europeo, lasciava gli Stati membri liberi di scegliere se far gravare il rischio dello sviluppo tecnologico e scientifico sui produttori o se lasciarlo a carico dei consumatori. Uno Stato che avesse scelto la soluzione favorevole a que- st’ultimo avrebbe penalizzato, sotto il profilo concorrenziale, le proprie imprese rispetto a quelle extracomunitarie ed a quelle degli altri Stati membri dell’Unione Europea che avessero optato per la soluzione opposta. Non solo. Un tale approccio probatorio avrebbe potuto scoraggiare la ricerca e l’innovazione ad opera dei produttori soprattuto nel settore farmaceutico. La mappa geografica dell’Unione Europea vede la gran parte degli Stati membri che addossano il rischio di sviluppo a carico dei danneggiati, ad eccezione del Lussemburgo, della finlandia, parzialmente della Germania, limitatamente proprio ai prodotti farmaceutici, e della Spagna, per farmaci e prodotti alimentari (7). Non dimentichiamo che la vicenda prende origine in francia e, pertanto, sarà doveroso il richiamo alla normativa nazionale sul punto, anche perché l’attuazione della Direttiva è avvenuta con dieci anni di ritardo rispetto all’Italia (8). All’epoca dei fatti, l’art. 1386-1 del Codice Civile francese prevedeva la responsabilità del produttore per il danno causato dai suoi prodotti difettosi, indipendentemente dalla circostanza che esso avesse un rapporto contrattuale (7) L. CABBELA PISU, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, in Contratti e imprese, 2008, pag. 633. (8) L. CABBELA PISU, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, cit., pag. 633. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 con la vittima, mentre l’art. 1386-9 richiedeva al ricorrente la prova del difetto, del danno e del nesso causale fra difetto e danno, anche se la giurisprudenza ammetteva che la prova del nesso di causalità poteva desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti. Da questo preliminare inquadramento, appare doveroso approfondire gli elementi costitutivi della responsabilità del produttore, anche per comprendere meglio la vicenda oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia e per indagare la portata della decisione in un contesto conflittuale come quello italiano. Tali elementi sono il difetto, il danno, il nesso di causalità fra difetto e danno, l’elemento soggettivo in capo al produttore e l’onere probatorio. Verranno affrontati con riferimento alla normativa comunitaria ed italiana, perché lo scopo dell’elaborato è quello di individuare gli effetti di tale pronuncia sull’opinione pubblica, anche alla luce della nuova riforma. Il difetto viene descritto nella Direttiva come un disallineamento delle caratteristiche del prodotto agli standard normativi o correnti capace di determinare una minor sicurezza di quella ragionevolmente attesa. Tale definizione si discosta da quella di vizio ovvero difetto ex art. 1490 c.c. (9), dettato in tema di compravendita, e si avvicina a quella dettata in materia di elevata sicurezza del consumatore di matrice comunitaria (10). Non potrà parlarsi di prodotto difettoso, quando lo stesso presenti rischi noti ai consumatori all’interno di uno standard riconosciuto di sicurezza ed, infatti, la normativa offre un parametro generale di riferimento per accertare quando le aspettative del consumatore siano o meno giustificate. Nello specifico, ove non si possa far riferimento alla normativa tecnica di settore, si dovrà far ricorso allo “stato dell’arte”, ovvero alle conoscenze obiettive e condivise dalla scienza in quel dato momento. Deve certamente escludersi la responsabilità del produttore per i cd. danni da “ignoto tecnologico”, ossia quei danni che non potevano ragionevolmente prevedersi al momento della commercializzazione del prodotto (11). La giurisprudenza italiana aggiunge che il difetto dovrà essere provato fin dal momento in cui il prodotto viene messo in circolazione (12). Quanto al danno, va accennata la distinzione fra danno-evento e danno (9) Cass. Civ., 13 gennaio 1997, n. 244. (10) Si deve necessariamente far rinvio all’art. 169 TfUE e all’art. 117 del Codice del Consumo che definisce “prodotto difettoso”, quel prodotto che non offre la sicurezza che si può legittimamente attendere. L’art. 113 del Codice del Consumo definisce, invece, prodotto sicuro qualsiasi prodotto “che in condizioni normali o ragionevolmente prevedibili […] non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l’impegno del prodotto e considerati accettabili nell’osservanza di un livello elevato di tutta della salute e della sicurezza della persona”. (11) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, in Contratto e Impres., 2013, n. 1, pag. 220. (12) Cass. Civ., 8 settembre 2007, n. 20985. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE conseguenza, ove il primo è un connotato dell’illiceità del fatto ed il secondo oggetto del risarcimento del danno: infatti se non vi è il danno-conseguenza, non sorge alcun obbligo risarcitorio (13). Con la locuzione danno-conseguenza si intende qualsiasi alterazione negativa della situazione del soggetto rispetto a quella che si sarebbe avuta senza il verificarsi del fatto illecito, ma anche, grazie all’intervento della Suprema Corte (14), la perdita di chance, ovvero la perdita di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato utile (15). Punto di indagine approfondita è, invece, il nesso di causalità. Dal punto di vista naturalistico, possono ritenersi causa di un determinato evento tutte quelle condotte senza il cui concorso l’evento stesso non si sarebbe realizzato: ai sensi dall’art. 41 c.p., la cd. “causalità materiale o di fatto” (16). Con riguardo al fatto concreto, il giudice dovrà indagare se l’evento dannoso si sarebbe verificato ugualmente in assenza di una determinata condotta ovvero se il danno si sarebbe verificato anche se il vaccino non fosse stato iniettato. Per valutare l’esistenza o meno del nesso causale, la giurisprudenza fa ricorso alla regola del “più probabile che non” - molto meno rigorosa di quella penale “al di là di ogni ragionevole dubbio” - che utilizza l’alta probabilità di conseguire un risultato diverso (perdita di chance) come punto di riferimento. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno parlato di “certezza probabilistica” (17), sostenuta da elementi di conferma e con l’esclusione di ipotesi causali alternative. Eppure, l’obbligo del risarcimento non sempre grava su tutti i soggetti che hanno posto in essere un antecedente necessario dell’evento dannoso, poiché, ai sensi dell’art. 41 co. 2 c.p., andranno selezionate esclusivamente le cause giuridicamente rilevanti, ovvero la cd. “causalità giuridica”. In tal caso la Suprema Corte di Cassazione, espressasi a Sezioni Unite, ha fatto rinvio alla regola della causalità adeguata (definita anche regolarità causale): una condotta si considera causa, in senso giuridico, di un determinato evento se, sulla base di un giudizio ex ante, detto evento ne risulta la conseguenza prevedibile ed evitabile ovvero quella condotta che è normalmente (18) adeguata a cagionare quel determinato evento dannoso sulla base delle comuni regole di esperienza. Tale giudizio di causalità si differenzia dalla colpevolezza perché ciò che rileva non è che l’evento sia prevedibile da parte del (13) Cass. Civ., 12 febbraio 2015, n. 2758. (14) Cass. Civ., SS. UU., 26 gennaio 2009, n. 1850 e Cass. Civ., SS.UU., 27 marzo 2008, n. 7943. (15) f. ToRRENTE -P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, a cura di f. ANELLI e C. GRANELLI, Giuffrè, XXII edizione, pagg. 931 e ss. (16) f. ToRRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pagg. 931 e ss. (17) Cass. Civ., SS.UU., 11 gennaio 2008, n. 576. (18) Cass. Civ., SS.UU., 11 gennaio 2008, nn. 576 - 579 - 582 - 583 - 584; da ultimo Cass. Civ., 22 ottobre 2013, n. 23915 e 23 settembre 2013, n. 21715. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 l’agente (prevedibilità soggettiva), ma che sia prevedibile alla luce delle migliori conoscenze statistiche e/o scientifiche disponibili (prevedibilità obbiettiva) (19). Quest’ultima svolge, quindi, la funzione di circoscrivere l’area del danno risarcibile (20), limitando così la serie causale che andrebbe a ritroso all’infinito (21). Allo stesso modo, non si può prescindere dall’analisi della causalità generale ed individuale (ovvero specifica). La prima riguarda l’indagine sulla possibilità che un dato antecedente, come la somministrazione di una data sostanza o l’esposizione ad una data sostanza, possa causare l’evento dannoso di interesse nella generalità della popolazione. Con la seconda, imprescindibile nell’individuare il risarcimento del caso concreto, si individua la possibilità che un preciso antecedente possa determinare l’evento dannoso osservato nel particolare soggetto (22). Una specifica ipotesi di causalità che rileva nel contesto in esame, essendo considerata da dottrina e giurisprudenza pericolosa l’attività del produttore di vaccini, è quella dell’art. 2050 c.c.: il rapporto fra danno e “l’oggettiva pericolosità dell’attività svolta”. È una forma di responsabilità oggettiva che può essere esclusa solo quando l’evento dipende da causa ignota o quando vi è incertezza nella riconducibilità del fatto all’esercente l’attività pericolosa. In quest’ottica la Corte Costituzionale ha stabilito che non è possibile imputare ad un soggetto la responsabilità civile solo perché è presente occasionalmente nel contesto ambientale in cui si è sviluppato l’evento di danno, pur essendo la sua partecipazione molto prossima (23). Allo stesso modo il nesso causale può essere innescato anche dal comportamento del danneggiato, che si è colposamente o volontariamente esposto al pericolo (24), salvi i casi in cui il comportamento del danneggiato sia stato solo una concausa, nel qual caso si applicherà l’art. 1227 co. 1 c.c. e vi sarà la riduzione del quantum di danno risarcibile, quale regola di evidente equità sostanziale (25). Nel caso oggetto del presente elaborato, proprio la prossimità temporale fra somministrazione dell’antidoto e l’insorgenza della malattia, l’assenza di antefatti medici personali e familiari, l’esistenza di un numero rilevante di casi repertoriati di insorgenza della sclerosi multipla a seguito di simili sommini- (19) f. ToRRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pagg. 931 e ss. (20) Cass. Civ., SS.UU., 1 gennaio 2008, n. 576. (21) Cass. Civ., 21 luglio 2011, n. 15991. G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. (22) R. DoMENICI -M. GERBI -B. GUIDI, Vaccini e autismo: scienza e giurisprudenza a confronto, cit., pag. 513. (23) Corte Cost., 4 marzo 1992, n. 79. (24) Cass. Civ., 15 ottobre 2010, n. 21328. (25) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE strazioni sono stati reputati sufficienti a provare la causalità fra l’evento dannoso della somministrazione del vaccino e l’insorgenza della sclerosi multipla. Ma davvero si può ritenere sufficiente a provare un nesso di causalità una serie di presunzioni, seppur gravi, precise e concordanti, quando la scienza stessa non è in grado di dare una risposta concorde? Negli Stati Uniti è stata coniata la teoria dell’imminent danger to human life doctrine, secondo la quale se una delle parti in contratto, con la propria condotta, mette in imminente pericolo la vita umana sarà responsabile nei confronti del consumatore finale anche se terzo non contraente. Analoga soluzione è stata prospettata in francia mediante l’art. 1386-1 del Codice Civile francese già citato. In Europa, invece, a partire dagli anni ’90 si è iniziata a coniare una disciplina piuttosto dettagliata, ove il farmaco assumeva le forme di un prodotto estrinsecamente pericoloso e, pertanto, si tendeva a regolamentare la situazione antecedente alla messa in circolazione del bene e favorire comportamenti prudenziali, come gli obblighi stringenti del processo di produzione e gli obblighi informativi. La tutela predisposta dalla Comunità Europea non trascurava neanche la fase successiva, potendo il consumatore danneggiato agire in giudizio avverso la casa farmaceutica produttrice (26). La base giuridica della normativa europea è l’art. 115 TfUE che mira ad incidere sul funzionamento del mercato interno al fine di realizzare una concorrenza efficiente ed un buon equilibrio nei rapporti fra operatori economici, armonizzando le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’installazione o sul funzionamento del mercato interno. Proprio a tutela del mercato europeo, a differenza del disposto dell’art. 114 TfUE, non è data la possibilità di prevedere norme in deroga neanche con misure più severe. Inoltre, lo scopo della Direttiva è quello di favorire la circolazione dei beni, siano essi a basso od elevato pericolo, dovendo, allo stesso tempo creare standard di sicurezza comuni, anche per evitare che la normativa degli Stati membri possa creare ostacoli al commercio infracomunitario. Questa scelta di politica europea conduce alla determinazione di un dato onere della prova che cerca di raggiungere un faticoso equilibrio fra i diversi attori del mercato: consumatori, produttori e distributori, imponendo ai primi la prova del difetto ed i costi della causa (27). Sulla scia del tenore giuridico della responsabilità delineata dalla Direttiva, il legislatore tedesco ha previsto una responsabilità oggettiva di tipo as- (26) E. MENGA, La responsabilità del produttore tra onere della prova e nesso causale - responsabilità da farmaco difettoso: il delicato equilibrio tra tutela della salute e la salvaguardia delle esigenze della produzione, in Danno e Responsabilità, 2016, n. 1, pag. 41. (27) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 soluto per il produttore di farmaci, il quale ha anche l’obbligo di assicurarsi. Quanto all’Italia, è necessario inquadrare il percorso storico degli orientamenti giurisprudenziali prima e dopo l’introduzione della Direttiva in parola. Se in assenza della normativa europea e tenuto conto della natura intrinsecamente pericolosa dei prodotti farmaceutici, l’art. 2050 c.c. era una scelta quasi obbligata; con l’introduzione del d.P.R. n. 224/1988, poi confluito nel Codice del Consumo, quali fonti attuative della Direttiva, la norma in esame appariva in contrasto con la normativa comunitaria: la disciplina contenuta nel Codice del Consumo tende a bilanciare le esigenze di tutela della salute del consumatore con le esigenze della produzione, salvaguardando così anche la competitività delle imprese europee sul mercato internazionale, al contrario l’applicazione dell’art. 2050 c.c. vuole incrementare la tutela del paziente-consumatore a detrimento degli interessi della produzione. Entrambe le forme di responsabilità sono di tipo oggettivo, ma si differenziano per la prova liberatoria in capo al produttore: solo nell’ambito probatorio previsto dall’art. 2050 c.c., il fabbricante deve a sua volta provare di aver posto in essere tutte le necessarie cautele, sia preventive sia protettive, mentre tale prova non è richiesta né dalla Direttiva né dalla normativa italiana di recepimento (28). Definire un prodotto pericoloso ex art. 2050 c.c. facilita la pretesa risarcitoria del danneggiato giacché non solo elimina la prova dell’elemento soggettivo (colpa) e limita quella del difetto (che riconduce alla sola prova del nesso causale), ma presuppone anche che detto prodotto presenti intrinseci elementi di pericolosità che prescindono dalla condotta tenuta dall’utilizzatore. Infatti, per essere considerato tale, il prodotto pericoloso deve avere in sé una elevata potenzialità lesiva (29) e non deve derivarla dall’esterno (30). oggi la norma del Codice Civile non deve ritenersi più applicabile, avendo la giurisprudenza della Corte di Giustizia sanzionato quegli Stati membri che avevano applicato la disciplina interna più favorevole al consumatore- paziente e non la Direttiva sui prodotti difettosi (31). Nello specifico, la Corte di Giustizia aveva affermato che la previgente disciplina generale spagnola della responsabilità del produttore, più favorevole al consumatore, non poteva (28) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. (29) Tribunale di Salerno, 2 ottobre 2007. (30) Cass. Civ., 21 ottobre 2005, n. 20359; Cass. Civ., 6 aprile 2006, n. 8095; Cass. Civ., 9 aprile 2009, n. 8688. (31) Si tratta di tre sentenze depositate il 25 aprile 2002: C-52/00 Commissione delle Comunità Europee c. Repubblica francese; C-154/00 Commissione delle Comunità Europee c. Repubblica Ellenica; C-183/00 Gonzales Sanchez c. Medicina Astruriana SA. E. MENGA, La responsabilità del produttore tra onere della prova e nesso causale - responsabilità da farmaco difettoso: il delicato equilibrio tra tutela della salute e la salvaguardia delle esigenze della produzione, cit., pag. 41. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE essere invocata dopo l’attuazione della Direttiva perché l’armonizzazione ha la “finalità di garantire una concorrenza non falsata fra gli operatori economici, di agevolare la libera circolazione delle merci e di evitare differenze nel livello di tutela dei consumatori”. Non solo la Spagna, ma anche la francia. La Corte aveva, infatti, condannato quest'ultima per aver recepito in modo non corretto la Direttiva, parificando la responsabilità del fornitore a quella del fabbricante. Nell’ottica comunitaria, anche la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta per contrastare la tendenza diffusa fra i giudici di merito di favorire il consumatore danneggiato attraverso un vaglio meno rigoroso delle allegazioni probatorie (32), disapplicando di fatto la Direttiva dell’Unione Europea. In definitiva quindi, i margini di discrezionalità per i governi nazionali sono solo quelli lasciati aperti dalla Direttiva stessa: l’art. 13 fa salvi i diritti che competono al danneggiato sulla base del diritto degli Stati membri in tema di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, ma tale disposizione va interpretata nel senso che al danneggiato da un prodotto difettoso resta aperta solo la concorrente tutela contrattuale o extracontrattuale basata su elementi diversi, come la garanzia per vizi che concorre con la responsabilità per colpa (33). Sulla scia del disposto della Direttiva, l’art. 15 d.P.R. 224 -prima -e l’art. 127 del Codice del Consumo - poi - stabiliscono che le disposizioni speciali sulla responsabilità del produttore “non escludono né limitano i diritti che siano attribuiti al danneggiato da altre leggi”. Ciò significa che la normativa generale può essere invocata quando non ricorrono i presupposti applicativi della disciplina speciale (34) e che possa ritenersi ammissibile il cumulo tra azione extracontrattuale ai sensi del Codice del Consumo e azione contrattuale (come ad esempio la garanzia per vizi) nei casi in cui tra produttore e danneggiato esista anche un rapporto contrattuale (per esempio la vendita) (35). In via generale non è ipotizzabile un’applicazione alternativa fra la disposizione europea e quella codicistica, perché nel sistema delle fonti del diritto la normativa di rango comunitario, tendente all’armonizzazione, è prevalente. La dottrina esclude, pertanto, in modo categorico l’applicabilità (32) Tribunale di Monza, 10 febbraio 2015. f. RASPAGNI, Responsabilità del produttore: ripensamenti e conferme in tema di onere della prova del difetto, in Danno e Responsabilità, 2015, pag. 950. L. CABBELLA PISU, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, cit., 2008, pag. 633. E. MENGA, La responsabilità del produttore tra onere della prova e nesso causale - responsabilità da farmaco difettoso: il delicato equilibrio tra tutela della salute e la salvaguardia delle esigenze della produzione, cit., pag. 41. (33) L. CABBELLA PISU, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, cit., pag. 633. (34) Ad esempio, la normativa sul danno da prodotti difettosi può essere considerata come disciplina generale rispetto a specifiche previsioni relative a prodotti specifici. (35) L. CABBELLA PISU, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, cit., 2008, pag. 633. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 della disposizione codicistica nei casi espressamente disciplinati dalla Direttiva (36). Si potrebbe ipotizzare, dunque, l’applicazione dell’art. 2050 c.c. solo accogliendo una nozione ampia di attività pericolosa, tale da ricomprendere ogni attività che produce beni potenzialmente pericolosi per la salute, e si dovrebbe dedurre dalla difettosità o pericolosità del prodotto la pericolosità dell’attività produttiva relativa allo stesso (37). L’applicazione dell’art. 2050 c.c. sarebbe difforme rispetto al diritto comunitario proprio perché la prova che deve fornire il produttore ai sensi della Direttiva è anche quella dell’efficace controllo sulla produzione, quindi molto diversa da quella richiesta dall’art. 2050 c.c., ovvero l’eccezione del fortuito (38). Si può concludere affermando che le intenzioni dei redattori della Direttiva erano quelle di creare una responsabilità oggettiva sul modello di Common Law, che la definisce “strict liability”, senza, perciò stesso assumere i connotati della responsabilità oggettiva assoluta, essendo ammessa la prova contraria ai sensi dell’art. 120 Codice del Consumo. Ed è proprio l’onere dalla prova il punto nodale della riflessione su tale responsabilità (39). Per entrare nel vivo dell’argomento inerente l’onere probatorio, appare utile richiamare una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale rileva che la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presuntiva e non oggettiva: ciò comporta che, al fine di individuare un profilo di responsabilità del produttore, si deve prescindere dall’accertamento della colpevolezza, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza del difetto del prodotto. Tale onere probatorio incombe sul soggetto danneggiato, che deve dimostrare il nesso causale non tanto tra prodotto difettoso e danno, ma fra difetto e danno (40). Secondo la soluzione proposta dalla Cassazione, vi è, pertanto, una presunzione esclusivamente per la colpa, ma non anche per il difetto, la cui prova continua a ricadere sul consumatore. Non si tratta, tuttavia, di probatio diabolica, perché la prova potrà essere suffragata da una serie di circostanze poste al vaglio del giudice ed indicative del difetto del prodotto. In questo modo il legislatore ha voluto evitare che l’esistenza del danno possa essere considerata ex se quale prova del difetto del prodotto: il consumatore deve, quindi, provare la mancanza di sicurezza del prodotto attraverso argomentazioni autonome rispetto a quella della mera verificazione del danno (41). (36) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. (37) E. MENGA, La responsabilità del produttore tra onere della prova e nesso causale - responsabilità da farmaco difettoso: il delicato equilibrio tra tutela della salute e la salvaguardia delle esigenze della produzione, cit., pag. 41. (38) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. (39) L. CABBELLA PISU, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, cit., 2008, pag. 633. (40) Cass. Civ., sez. III, 28 luglio 2015, n. 15851. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE Ai sensi dell’art. 4 della Direttiva n. 85/374/CEE, il danneggiato deve assolvere l’onere di provare il difetto, il danno ed il nesso di causalità fra i due elementi. Nello specifico, il danneggiato dovrà provare l’imperizia del fabbricante sulla fase di progettazione o di produzione del bene, la cd. colpa tecnica (che per la giurisprudenza di merito italiana potrà risultare una prova disagevole per il consumatore se si dovessero individuare carenze organizzate nel processo progettuale e produttivo (42)), oltre al difetto quale mero disfunzionamento del bene coinvolgendo esclusivamente un giudizio tecnico/fattuale (43). Una volta che il danneggiato ha assolto l’onere probatorio, il fabbricante può difendersi mediante l’uso di tre differenti prove liberatorie: il difetto è dovuto alla conformità del prodotto alle regole imperative; il difetto non esisteva al momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione; da ultimo, lo stato delle conoscenze tecniche al momento della messa in circolazione del prodotto non permetteva di scoprire l’esistenza del difetto (44). Da questa prima elencazione delle prove liberatorie, appare evidente che la responsabilità è esclusa per i difetti non casualmente connessi con la messa in circolazione del prodotto, in applicazione della cd. responsabilità per causalità. Tuttavia una parte della dottrina italiana ha avanzato dubbi sulla natura propriamente oggettiva della responsabilità in parola, facendo perno sulla prova liberatoria prevista dall’art. 118 lett. e del Codice del Consumo (45) relativa al c.d. rischio di sviluppo. Infatti il produttore può liberarsi provando che “lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permettevano ancora di considerare il prodotto come difettoso” (46). A differenza delle altre prove liberatorie individuate, la prova relativa al rischio di sviluppo non attiene al nesso causale tra messa in circolazione del prodotto e danno cagionato (47): si tratta piuttosto della prova “che lo stato oggettivo delle conoscenze scientifiche e tecniche, ivi compreso il loro livello più avanzato, al momento della messa in commercio del prodotto (41) E. MENGA, La responsabilità del produttore tra onere della prova e nesso causale - responsabilità da farmaco difettoso: il delicato equilibrio tra tutela della salute e la salvaguardia delle esigenze della produzione, cit., pag. 41. (42) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. (43) Trib. di Pordenone, 16 marzo 2011. (44) G.f. SIMoNINI, La responsabilità da prodotto e l’interpretazione conforme al diritto comunitario, cit., pag. 220. (45) In precedenza, art. 6 d.P.R. n. 224/1988. (46) Il pensiero corre al caso della Talidomide, un farmaco che, assunto da donne in gravidanza, provocò, in diversi Paesi d’Europa, una serie di nascite di bambini malformati: solo dopo queste nascite emerse il rischio connesso all’uso del farmaco, che le conoscenze scientifiche raggiunte al momento della messa in circolazione non consentivano di individuare. In un caso del genere, alla stregua della citata lett. e sarebbe improbabile riuscire ad ottenere un risarcimento. (47) L. CABBELLA PISU, Ombre e luci nella responsabilità del produttore, cit., 2008, pag. 633. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 considerato, non consentiva di scoprire il difetto di quest’ultimo”, sempre che “le conoscenze scientifiche e tecniche pertinenti siano state accessibili al momento della messa in commercio del prodotto” (48). Nel caso in esame, la giurisprudenza della Cour de Cassation aveva stabilito che nell’ambito della responsabilità dei laboratori farmaceutici per danni ascrivibili ai vaccini, la prova dell’esistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità fra difetto e danno subito dal danneggiato poteva risultare da presunzioni gravi, precise e concordanti soggette al libero apprezzamento del giudice di merito. In particolare, da tale giurisprudenza emergeva che il giudice di merito poteva ritenere, nell’esercizio del suo libero apprezzamento, che gli elementi di fatto prospettati da un ricorrente, come il periodo intercorso tra la somministrazione del vaccino e la comparsa di una malattia, nonché l’assenza di precedenti familiari o personali del paziente per quanto riguarda la malattia in questione, costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti, di natura tale da dimostrare il difetto del vaccino e l’esistenza di un nesso di causalità tra quest’ultimo e la malattia manifestatasi, nonostante la constatazione che la ricerca medica non avesse stabilito un nesso fra la vaccinazione e la comparsa della malattia. Dello stesso avviso non era stata la Corte d’Appello di Parigi che aveva escluso la responsabilità della casa farmaceutica, respingendo il ricorso e riformando la sentenza di primo grado, proprio dando vigore all’assenza di consenso scientifico a favore dell’esistenza del nesso di causalità fra vaccino contro l’epatite B e l’insorgenza della sclerosi multipla. Le stesse autorità internazionali e nazionali francesi escludevano l’associazione tra la probabilità di essere colpiti da malattia demielinizzante centrale o periferica (caratteristica della sclerosi multipla) e tale vaccinazione. Per di più, la Corte d’Appello aggiungeva che l’eziologia della sclerosi multipla risultava in molteplici studi medici del tutto sconosciuta, che il processo fisiopatologico ha probabilmente inizio diversi mesi, o addirittura diversi anni prima della comparsa dei primi sintomi, e che dal 92% al 95% delle persone colpite dalla suddetta malattia non hanno precedenti di tale tipo nelle loro famiglie, andando, quindi, ad escludere tutte le presunzioni evidenziate e poste all’attenzione del giudice di merito dal ricorrente. Dato il contrasto giurisprudenziale francese, la normativa interna e comunitaria analizzata nell’ambito dell’onere probatorio, gli orientamenti scientifici escludenti la connessione fra vaccinazione e insorgenza della malattia, appare opportuno indagare i motivi che hanno condotto i giudici della Corte europea alla decisione in parola. In primo luogo la Corte di Giustizia ha affermato che il regime probatorio (48) Corte di Giustizia CE, 29 maggio 1997, causa C-300/1995. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE della Direttiva “non impone al danneggiato di produrre, in ogni circostanza, prove certe e inconfutabili della sussistenza del difetto del prodotto e del nesso di causalità tra quest’ultimo ed il danno subito, ma autorizza il giudice, se del caso, a concludere che tali elementi esistono fondandosi su un complesso di indizi la cui gravità, precisione e concordanza gli consentono di ritenere, con un grado sufficientemente elevato di probabilità, che una simile conclusione corrisponda alla realtà” (49). Tuttavia, un regime siffatto non è di per sé tale da comportare un’inversione dell’onere della prova gravante sul danneggiato ai sensi dell’art. 4 della Direttiva 85/374: tale regime lascia al medesimo l’onere di dimostrare i vari indizi la cui compresenza permetterà (eventualmente) al giudice adito di fondare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza di un difetto del vaccino e del conseguente nesso di causalità tra quest’ultimo e il danno subito. Così come i giudici europei ammoniscono quei giudici nazionali che si accontentano di prove non pertinenti ovvero insufficienti, applicando un regime probatorio troppo poco esigente, perché così facendo si violerebbe non solo la regola sull’onere probatorio previsto all’art. 4, ma, più in generale, l’effettività del regime di responsabilità istituito all’art. 1 di tale Direttiva. In questo modo la giurisprudenza europea, come ha avuto modo di preannunciare l’avvocato generale, ha voluto impedire che fosse compromesso l’effetto utile della Direttiva 85/374: un sistema che esclude ogni modalità di prova diversa dalla prova certa proveniente dalla ricerca medica impedirebbe o renderebbe eccessivamente difficoltosa l’affermazione della responsabilità del produttore in un numero di ipotesi elevato solo perché la ricerca medica non è in grado di stabilire né di escludere l’esistenza del nesso di causalità. Nell’ottica di indirizzare i giudici di merito nazionali, nella sentenza si legge che spetta a quest’ultimi verificare che gli indizi prodotti siano sufficientemente gravi, precisi e concordanti da autorizzare la conclusione secondo cui l’esistenza di un difetto del prodotto appare la spiegazione più plausibile dell’insorgenza del danno, nonostante le argomentazioni presentate a propria difesa dal produttore di modo che il difetto e il nesso di causalità possano ragionevolmente essere considerati dimostrati (50). Il giudice deve, quindi, valutare se le prove fornite siano, secondo il proprio libero apprezzamento, idonee a formare (in modo giuridicamente sufficiente) il proprio convincimento. Il sistema probatorio così delineato cerca di sostenere il paziente-consumatore evitando che il suo onere probatorio diventi una vera e propria probatio diabolica senza perciò stesso provocare un’inversione dell’onere probatorio a discapito del produttore che potrebbe condurre certa parte della giurispru- (49) Corte di Giustizia UE, sez. II, 21 giugno 2017, C-621/15. (50) Corte di Giustizia UE, sez. II, 21 giugno 2017, C-621/15. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 denza a ritener sufficiente una mera possibilità di connessione fra somministrazione della vaccinazione ed insorgenza della malattia. Ciò deve essere impedito e, in merito, la Corte di Cassazione ha escluso, in una recente pronuncia, un indennizzo proprio perché la scienza medica richiamata dal ricorrente non consentiva “allo stato di ritenere superata la soglia della mera possibilità teorica della sussistenza di un nesso di causalità” (51). Per comprendere la portata della decisione in parola si deve approfondire il sistema di vaccinazione esistente nel panorama europeo. L’Italia rimane l’unica nazione, insieme a francia, Grecia ed altri paesi dell’Est, a prevedere l’obbligatorietà delle vaccinazioni, anche se questi Paesi si differenziano per il numero di vaccini resi obbligatori. In francia, Grecia e Portogallo sono obbligatori solo i vaccini contro difterite, tetano e polio, mentre in Belgio esclusivamente quest’ultimo e, quindi, il Paese con il primato di vaccini obbligatori è sicuramente la nostra Nazione. In Paesi come Spagna, Svizzera e Lussemburgo, invece, le vaccinazioni sono tutte raccomandate, salva la possibilità di chiedere il certificato a talune categorie di soggetti. Addirittura in Gran Bretagna godono di tale politica sanitaria già dal 1998 (52). Ad avviso di chi scrive, la portata della sentenza appare travolgente ed in grado di mettere a dura prova la nuova riforma in Italia, pur con una serie di pronunciamenti favorevoli dei Tribunali Amministrativi italiani. Non può trascurarsi un quesito fondamentale: come imporre una limitazione dell’autodeterminazione dei genitori a fronte di una giurisprudenza che prova in tutti i modi ad individuare un nesso di causalità fra difetto e danno pur di rendere il produttore responsabile? Eppure, anche in mancanza di conoscenze scientifiche in grado di escludere, ma nemmeno di dimostrare, la pericolosità della pratica vaccinale, al giudice non viene meno l’obbligo di decidere. Le riforme e gli interventi legislativi dei vari Paesi europei hanno sostenuto tesi diverse ed opposte: in alcuni casi hanno limitato la responsabilità del produttore con il fine ultimo di favorire la ricerca scientifica e la concorrenza leale fra le case farmaceutiche come richiesto dall’Unione Europea, ed in altri casi hanno ammesso forme di responsabilità presuntiva del produttore, favorendo così il consumatore a discapito dei colossi farmaceutici. Eppure non si è raggiunto un punto di contatto e di bilanciamento fra le due tesi contrapposte. Una risposta più che convincente può ricavarsi per il tramite delle parole del giudice delle leggi che, negli anni novanta, con riferimento al vaccino antipoliomielitica, aveva stabilito che il trattamento sanitario fosse compatibile (51) Corte Cass., sentenza n. 18358/2017. (52) www.epicentro.iss.it G. BARToLozzI, Vaccini e vaccinazioni, III edizione, Milano, 2012, pag. 81. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE con il dettato costituzionale di cui all’art. 32 Cost., perché innocuo per il minore “salvo che quelle conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa utilità, appaiano normali in ogni intervento sanitario e pertanto tollerabili” (53) e, soprattutto che gli eventuali rischi per la salute del singolo cittadino erano “ampiamente” superati dai benefici relativi alla salvaguardia della collettività. Proprio quest’ultimo riferimento giustifica la riforma italiana in vigore, anche perché prende le mosse dai dati risultanti dalla copertura vaccinale riscontrata. La soglia di copertura raccomandata dall’organizzazione Mondiale della Sanità per raggiungere la cd. “immunità di gregge” è pari al 95%: se la quota di individui vaccinati all’interno di una popolazione raggiunge questo valore, si arresta la circolazione dell’agente patogeno. Il raggiungimento di tale soglia consente, quindi, di tutelare anche i soggetti fragili che, a causa delle loro condizioni di salute, non possono essere vaccinati. Tuttavia la copertura nazionale delle vaccinazioni è, ad oggi, pericolosamente sotto la soglia raccomandata dall’oMS, non essendovi vaccinazione per la quale si raggiunge il valore indicato per l’immunità di gregge (54). Ciò ha reso necessario l’intervento del legislatore. Certamente la Legge ha fatto buon governo del bilanciamento fra i principi più volte richiamati, anche perché dalla limitazione della libera autodeterminazione derivano benefici per l’intera comunità sotto il profilo del diritto alla salute. La politica meno restrittiva dell’obbligo di vaccinazione degli ultimi anni aveva comportato, infatti, un aumento delle patologie prevedibili con le vaccinazioni e la ricomparsa di quelle considerate ormai debellate a seguito dei vaccini con elevati rischi per l’incolumità non solo dei bambini, ma anche degli adulti. In tale nuovo quadro normativo italiano, la sentenza della Corte di Giustizia assume una centralità primaria perché rischia di rendere ancora più critica la già incerta situazione: un legislatore che impone le vaccinazioni, una scienza medica che caldeggia la somministrazione dei vaccini, ma non sempre è in grado di individuare con assoluta certezza l’eventuale connessione fra vaccinazione ed insorgenza della malattia, una giurisprudenza che cerca di impartire torti e ragioni troppo spesso seguendo presunzioni scollegate dalle teorie scientifiche finendo per mettere a tacere la certezza giuridica. In tale contesto, nell’opinione di chi scrive, un ruolo primario sarà rivestito dal giudice di merito nella sua funzione di “peritus peritorum” (55), cercando di co- (53) Corte Cost., sentenza n. 307/1990. (54) Entrando nel dettaglio, i valori riscontrati fino al 31 dicembre 2016 sono: 46,1% varicella, 80,7% meningococco C, 87,2% parotite, 87,2% rosolia, 87,3% morbillo, 93% epatite B, 93,3% poliomielite, 93,6% difterite, 93,6% pertosse e 93,7% tetano. Inoltre, dall’invio del 2017, sono stati segnalati 3.670 casi di morbillo e 3 decessi, con un incremento di oltre il 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, nonostante la sotto-notifica. Documentazione del Ministero della Salute. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 niugare la verità storica (i fatti di causa), la verità scientifica (i risultati delle ricerche mediche) e la verità processuale (quanto risulta dall’impianto probatorio fornito dalle parti processuali), tenendo fortemente in considerazione che un sistema probatorio eccessivamente rigoroso per il produttore sarebbe deleterio per la ricerca scientifica e che l’assenza di un sistema di vaccinazione ben regolamentato (se non addirittura obbligatorio) potrebbe condurre a notevoli rischi per la salute dell’intera popolazione. Corte di Giustizia UE, seconda sezione, sentenza 21 giugno 2017 in causa C-621/15 - Pres. M. Ilešic , Rel. A. Prechal - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (francia) il 23 novembre 2015 -W e a. / Sanofi Pasteur MSD SNC, Caisse primaire d'assurance maladie des Hauts-de-Seine, Caisse Carpimko. «Rinvio pregiudiziale – Direttiva 85/374/CEE – Responsabilità per danno da prodotti difettosi – Articolo 4 – Laboratori farmaceutici – Vaccino contro l’epatite B – Sclerosi multipla – Prove del difetto del vaccino e del nesso di causalità tra il difetto e il danno subito – Onere della prova – Modalità di prova – Mancanza di consenso scientifico – Indizi gravi, precisi e concordanti lasciati alla valutazione del giudice di merito – Ammissibilità – Presupposti» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi (GU 1985, L 210, pag. 29). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che contrappone le sig.re N., L. e C. W (in prosieguo: «W e a.»), che agiscono sia a nome personale sia in qualità di eredi del sig. J. W, alla Sanofi Pasteur MSD SNC (in prosieguo: la «Sanofi Pasteur») nonché alla Caisse primaire d’assurance maladie des Hauts-de-Seine e alla Carpimko, una cassa autonoma pensionistica e previdenziale, in merito all’eventuale responsabilità della Sanofi Pasteur per danno da un vaccino asseritamente difettoso prodotto dalla medesima. Contesto normativo Diritto dell’Unione 3 Il primo, secondo, sesto, settimo e diciottesimo considerando della direttiva 85/374 sono così formulati: «considerando che il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di responsa- (55) La Corte d’Appello di Bologna (sentenza del 13 febbraio 2015, n. 1767), nel caso prettamente tecnico e scientifico di stabilire il nesso di causalità fra vaccino e sindrome di down, ha accolto il gravame del Ministero della Salute avverso la sentenza del Tribunale di Rimini (sentenza n. 148/2012), stigmatizzando la metodologia del giudice riminese che aveva recepito acriticamente le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio senza curarsi della copiosa letteratura medico-legale contraria, abdicando, quindi e di fatto, la funzione peritus peritorum del giudice. Nella sentenza si legge: “non è quindi possibile ritenere valido il riportato assioma che, in assenza di dimostrazione di altre cause evidenti, che comunque potrebbero non essere del tutto assenti, l’origine del disturbo sia da riferire alla vaccinazione sulla base del solo criterio temporale”. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 33 bilità del produttore per i danni causati dal carattere difettoso dei suoi prodotti è necessario perché le disparità esistenti fra tali legislazioni possono falsare il gioco della concorrenza e pregiudicare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comune determinando disparità nel grado di protezione del consumatore contro i danni causati alla sua salute e ai suoi beni da un prodotto difettoso; considerando che solo la responsabilità del produttore, indipendente dalla sua colpa, costituisce un’adeguata soluzione del problema, specifico di un’epoca caratterizzata dal progresso tecnologico, di una giusta attribuzione dei rischi inerenti alla produzione tecnica moderna; (…) considerando che per proteggere il consumatore nella sua integrità fisica e nei suoi beni è necessario che il carattere difettoso di un prodotto sia determinato non già in base alla carenza del prodotto dal punto di vista del suo uso, bensì in base alla mancanza della sicurezza che il grande pubblico può legittimamente attendersi; che questa sicurezza è valutata escludendo qualsiasi uso abusivo del prodotto che nella fattispecie fosse irragionevole; considerando che una giusta ripartizione dei rischi tra il danneggiato e il produttore implica che quest’ultimo possa esimersi dalla responsabilità se prova l’esistenza di alcuni fatti che lo liberano; (…) considerando che l’armonizzazione risultante dalla presente direttiva non può per ora essere totale ma apre la strada verso una maggiore armonizzazione; (…)». 4 L’articolo 1 della direttiva 85/374 così prevede: «Il produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto». 5 L’articolo 4 di detta direttiva così recita: «Il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno». 6 Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della medesima direttiva: «Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: a) la presentazione del prodotto, b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, c) il momento della messa in circolazione del prodotto». Diritto francese 7 L’articolo 1386-1 del code civil (codice civile) enuncia quanto segue: «Il produttore è responsabile per il danno causato dai suoi prodotti difettosi, indipendentemente dalla circostanza che egli abbia un rapporto contrattuale con il danneggiato». 8 L’articolo 1386-9 del codice civile prevede che: «Il richiedente deve provare il danno, il difetto e il nesso di causalità tra il difetto e il danno». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 9 Ai fini della vaccinazione contro l’epatite B, al sig. W è stato somministrato un vaccino prodotto dalla Sanofi Pasteur, con tre iniezioni praticate, successivamente, il 26 dicembre 1998, il 29 gennaio 1999 e l’8 luglio 1999. Nel mese di agosto 1999, il sig. W ha iniziato a manifestare vari disturbi, che hanno condotto, nel mese di novembre 2000, a una diagnosi di sclerosi multipla. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 10 Il 1o marzo 2005 i periti giudiziari hanno concluso che, dal 20 gennaio 2001, la sclerosi multipla da cui il sig. W era affetto non gli consentiva più di esercitare un’attività professionale. Successivamente, le condizioni del sig. W si sono progressivamente aggravate fino a raggiungere una disabilità funzionale del 90%, che richiedeva la presenza costante di un terzo, situazione protrattasi fino al momento del suo decesso, il 30 ottobre 2011. 11 Nel 2006, il sig. W nonché W e a., ossia tre suoi familiari, hanno presentato, sulla base degli articoli 1386-1 e seguenti del codice civile, un ricorso diretto ad ottenere la condanna della Sanofi Pasteur al risarcimento del danno da essi lamentato a causa della somministrazione al sig. W del vaccino in questione. A sostegno di tale ricorso, hanno fatto valere che la concomitanza tra la vaccinazione e la comparsa della sclerosi multipla nonché la mancanza di precedenti personali e familiari del sig. W relativamente a tale patologia sono tali da far sorgere presunzioni gravi, precise e concordanti quanto all’esistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra l’inoculazione di quest’ultimo e l’insorgenza della suddetta patologia. 12 A tale riguardo, essi hanno richiamato la giurisprudenza della Cour de cassation (Corte di cassazione, francia) secondo cui, come esposto da quest’ultima nella sua decisione di rinvio, nel settore della responsabilità dei laboratori farmaceutici per danni ascrivibili ai vaccini dai medesimi prodotti, la prova dell’esistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra tale difetto e il danno subito dal danneggiato può risultare da presunzioni gravi, precise e concordanti soggette al libero apprezzamento del giudice di merito. 13 In particolare, da tale giurisprudenza emerge che il giudice di merito può, nell’esercizio del suo libero apprezzamento, ritenere che gli elementi di fatto prospettati da un ricorrente, come il periodo intercorso tra la somministrazione del vaccino e la comparsa di una malattia nonché l’assenza di precedenti familiari o personali del paziente per quanto riguarda la malattia in questione, costituiscano presunzioni gravi, precise e concordanti, di natura tale da dimostrare il difetto del vaccino e l’esistenza di un nesso di causalità tra quest’ultimo e la malattia di cui trattasi, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisca un nesso fra la vaccinazione e la comparsa della malattia. 14 Il ricorso dei litisconsorti W è stato accolto dal tribunal de grande instance de Nanterre (Tribunale di prima istanza di Nanterre, francia) con sentenza del 4 settembre 2009. Tale sentenza è stata successivamente riformata dalla cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles, francia), la quale, con sentenza del 10 febbraio 2011, ha affermato che gli elementi da essi dedotti erano idonei a far sorgere presunzioni gravi, precise e concordanti quanto all’esistenza di un nesso di causalità tra l’inoculazione del vaccino in questione e l’insorgenza della malattia, ma non quanto all’esistenza di un difetto di tale vaccino. 15 La Cour de cassation (Corte di cassazione), chiamata a pronunciarsi su un’impugnazione diretta contro tale sentenza, l’ha annullata con sentenza del 26 settembre 2012. In que- st’ultima sentenza, detto giudice ha ritenuto che la cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles), pronunciandosi, con considerazioni di ordine generale, sul rapporto rischi/benefici della vaccinazione e dopo aver riconosciuto, alla luce delle eccellenti condizioni di salute pregresse del sig. W, dell’assenza di precedenti familiari e della prossimità temporale tra la vaccinazione e la comparsa della malattia, che esistevano presunzioni gravi, precise e concordanti che consentivano di affermare che il nesso di causalità tra la malattia e l’assunzione del vaccino era sufficientemente dimostrato, senza CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 35 esaminare se le circostanze particolari da essa così ravvisate non costituissero altresì presunzioni gravi, precise e concordanti tali da dimostrare il carattere difettoso del vaccino, non avesse fornito una base giuridica alla propria decisione. 16 Pronunciandosi su rinvio a seguito di cassazione, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, francia) ha riformato la summenzionata sentenza del tribunal de grande instance de Nanterre (Tribunale di prima istanza di Nanterre) e ha respinto il ricorso di W e a. con sentenza del 7 marzo 2014. In questa sentenza, detto giudice ha rilevato, in primo luogo, che non vi era consenso scientifico a favore dell’esistenza di un nesso di causalità tra la vaccinazione contro l’epatite B e l’insorgenza della sclerosi multipla, e che l’insieme delle autorità sanitarie nazionali e internazionali ha escluso l’associazione tra la probabilità di essere colpiti da malattia demielinizzante centrale o periferica (caratteristica della sclerosi multipla) e tale vaccinazione. Esso ha affermato, in secondo luogo, che da molteplici studi medici emergeva che l’eziologia della sclerosi multipla è attualmente sconosciuta. In terzo luogo, una recente pubblicazione medica avrebbe concluso che, alla comparsa dei primi sintomi della sclerosi multipla, il processo fisiopatologico ha probabilmente avuto inizio diversi mesi, o addirittura diversi anni, prima. In quarto luogo, e da ultimo, detto giudice ha rilevato che studi epidemiologici indicavano come dal 92 al 95% delle persone colpite dalla suddetta malattia non avessero precedenti di tale tipo nelle loro famiglie. Alla luce di questi elementi, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha concluso che i criteri della prossimità temporale tra la vaccinazione e i primi sintomi e della mancanza di precedenti personali e familiari fatti valere da W e a. non potevano costituire, insieme o separatamente, presunzioni gravi, precise e concordanti che consentivano di ravvisare la sussistenza di un nesso di causalità tra la vaccinazione e la malattia considerate. 17 In tale contesto, la Cour de cassation (Corte di cassazione), chiamata a pronunciarsi su un nuovo ricorso per cassazione diretto contro tale sentenza, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’articolo 4 della direttiva [85/374] osti, per quanto riguarda la responsabilità dei laboratori farmaceutici per danni ascrivibili ai vaccini da essi prodotti, a un mezzo di prova che prevede che il giudice di merito, nell’esercizio del suo libero apprezzamento, possa ritenere che gli elementi di fatto presentati dal ricorrente costituiscano presunzioni gravi, precise e concordanti, tali da dimostrare il difetto del vaccino e l’esistenza di un nesso causale tra quest’ultimo e la malattia, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce alcun nesso fra la vaccinazione e la comparsa della malattia. 2) In caso di risposta negativa alla prima questione, se l’articolo 4 della (…) direttiva 85/374 osti a un sistema di presunzioni secondo cui l’esistenza di un nesso causale tra il difetto attribuito a un vaccino e il danno subito dal danneggiato debba sempre essere considerata dimostrata in presenza di determinati indizi di causalità. 3) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 4 della (…) direttiva 85/374 debba essere interpretato nel senso che la dimostrazione, a carico del danneggiato, dell’esistenza di un nesso causale fra il difetto attribuito a un vaccino e il danno da essa subito, possa essere considerata fornita soltanto qualora tale nesso venga determinato in maniera scientifica». sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 18 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4 della RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 direttiva 85/374 debba essere interpretato nel senso che osta a un regime probatorio nazionale, come quello di cui al procedimento principale, in base al quale il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un’azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo, può ritenere, nell’esercizio del libero apprezzamento conferitogli al riguardo, che, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti che consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia. 19 occorre in limine ricordare che, mentre l’articolo 1 della direttiva 85/374 sancisce il principio secondo cui il produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo prodotto, l’articolo 4 di tale direttiva precisa che l’onere di provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno grava sul danneggiato. 20 Si deve altresì ricordare che, conformemente a giurisprudenza costante, detta direttiva persegue, sugli aspetti che disciplina, un’armonizzazione totale delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri (sentenza del 20 novembre 2014, Novo Nordisk Pharma, C-310/13, EU:C:2014:2385, punto 23 e giurisprudenza ivi citata). 21 Per contro, come risulta dal diciottesimo considerando della medesima direttiva, essa non aspira ad un’armonizzazione completa del settore della responsabilità per danno da prodotti difettosi al di fuori degli aspetti che essa disciplina (sentenza del 20 novembre 2014, Novo Nordisk Pharma, C-310/13, EU:C:2014:2385, punto 24 e giurisprudenza ivi citata). 22 A tale riguardo, occorre rilevare, anzitutto, che la direttiva 85/374 non contiene definizioni della nozione di causalità ai sensi degli articoli 1 e 4 della medesima. Per contro, la nozione di «difetto» ai sensi di questi articoli si trova definita all’articolo 6 di tale direttiva. 23 Come emerge dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva in parola, un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui la presentazione di tale prodotto, l’uso al quale esso può essere ragionevolmente destinato e il momento della sua messa in circolazione. Conformemente al sesto considerando della stessa direttiva, occorre effettuare tale valutazione alla luce delle legittime aspettative del grande pubblico (sentenza del 5 marzo 2015, Boston Scientific Medizintechnik, C-503/13 e C-504/13, EU:C:2015:148, punto 37). 24 Peraltro, con riferimento alla prova, occorre sottolineare che sebbene l’articolo 4 della direttiva 85/374 preveda, come ricordato al punto 19 della presente sentenza, che l’onere della prova grava sul danneggiato, né detto articolo 4 né altre disposizioni di tale direttiva affrontano gli altri aspetti relativi all’assunzione di una prova siffatta (v., in tal senso, sentenza del 20 novembre 2014, Novo Nordisk Pharma, C-310/13, EU:C:2014:2385, punti da 25 a 29). 25 Ciò considerato, in base al principio dell’autonomia procedurale e fatti salvi i principi di equivalenza e di effettività, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro fissare le modalità di assunzione della prova, i mezzi di prova ammissibili dinanzi al giudice nazionale competente o, ancora, i principi che presiedono alla valutazione, da parte di detto giudice, dell’efficacia probatoria degli elementi di prova al suo esame nonché lo standard probatorio richiesto (v., per analogia, sentenza del 15 ottobre 2015, Nike CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 37 European operations Netherlands, C-310/14, EU:C:2015:690, punti 27 e 28, nonché sentenza del 21 gennaio 2016, Eturas e a., C-74/14, EU:C:2016:42, punti 30 e 32). 26 Per quanto riguarda, più precisamente, il principio di effettività, esso esige, con riferimento alle modalità procedurali dei ricorsi destinati a garantire la salvaguardia dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, che tali modalità non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti così conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (v. segnatamente, in tal senso, sentenza del 10 aprile 2003, Steffensen, C-276/01, EU:C:2003:228, punto 60 e giurisprudenza ivi citata). 27 Quanto, più specificamente, alla direttiva 85/374, dalla giurisprudenza della Corte emerge che le modalità nazionali di assunzione e di valutazione della prova non devono essere tali da pregiudicare né la ripartizione dell’onere della prova quale prevista all’articolo 4 di tale direttiva né, più in generale, l’effettività del regime della responsabilità previsto dalla suddetta direttiva o gli obiettivi perseguiti dal legislatore dell’Unione attraverso la stessa (v., in tal senso, sentenza del 20 novembre 2014, Novo Nordisk Pharma, C-310/13, EU:C:2014:2385, punti 26 e 30 e giurisprudenza ivi citata). 28 A tale riguardo, è senz’altro vero che un regime probatorio nazionale come quello oggetto della prima questione è tale da agevolare il compito del danneggiato chiamato a fornire le prove richieste per consentirgli di far sorgere la responsabilità del produttore. Infatti, emerge in sostanza dalle prospettazioni contenute nella decisione di rinvio che un regime siffatto non impone al danneggiato di produrre, in ogni circostanza, prove certe e inconfutabili della sussistenza del difetto del prodotto e del nesso di causalità tra quest’ultimo e il danno subito, ma autorizza il giudice, se del caso, a concludere che tali elementi esistono fondandosi su un complesso di indizi la cui gravità, precisione e concordanza gli consentono di ritenere, con un grado sufficientemente elevato di probabilità, che una simile conclusione corrisponda alla realtà. 29 Tuttavia, un regime probatorio siffatto non è, di per sé, tale da comportare un’inversione dell’onere della prova gravante sul danneggiato ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 85/374, poiché tale regime lascia, in tal modo, al medesimo l’onere di dimostrare i vari indizi la cui compresenza permetterà eventualmente al giudice adito di fondare il proprio convincimento quanto alla sussistenza di un difetto del vaccino e del nesso di causalità tra quest’ultimo e il danno subito (v., per analogia, sentenza del 20 novembre 2014, Novo Nordisk Pharma, C-310/13, EU:C:2014:2385, punti da 26 a 28). 30 Peraltro, è necessario precisare - alla luce, in particolare, della circostanza menzionata dal giudice del rinvio secondo cui la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della sclerosi multipla che un regime probatorio che precluda ogni ricorso a un metodo indiziario e preveda che, per soddisfare l’onere della prova previsto dall’articolo 4 della suddetta direttiva, il danneggiato è tenuto a fornire prova certa, tratta dalla ricerca medica, dell’esistenza di un nesso di causalità tra il difetto attribuito al vaccino e l’insorgenza della malattia sarebbe in contrasto con quanto richiesto dalla stessa direttiva. 31 Infatti, uno standard probatorio di tale grado, che finirebbe con l’escludere ogni modalità di prova diversa dalla prova certa tratta dalla ricerca medica, avrebbe l’effetto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 45 delle sue conclusioni, di rendere in un numero elevato di situazioni eccessivamente difficile o - quando, come nella fattispecie, è pacifico che la ricerca medica non ha permesso né di stabilire né di escludere l’esistenza di un nesso di causalità siffatto - impossibile l’affermazione della responsabilità del pro RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 duttore, in tal modo compromettendo l’effetto utile della direttiva 85/374 (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 1983, San Giorgio, 199/82, EU:C:1983:318, punto 14). 32 Una limitazione siffatta quanto al tipo di prove ammissibili sarebbe inoltre in contrasto con taluni degli obiettivi perseguiti dalla suddetta direttiva, nel novero dei quali rientrano in particolare, come emerge dai suoi considerando secondo e settimo, quello di garantire una giusta ripartizione dei rischi inerenti alla produzione tecnica moderna tra il danneggiato e il produttore (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 2015, Boston Scientific Medi- zintechnik, C-503/13 e C-504/13, EU:C:2015:148, punto 42) e, come emerge dal primo e dal sesto considerando della stessa direttiva, quello di tutelare la sicurezza e la salute dei consumatori (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 2015, Boston Scientific Medizintechnik, C-503/13 e C-504/13, EU:C:2015:148, punto 47). 33 Sebbene quindi, dalle considerazioni espresse ai punti da 28 a 32 della presente sentenza, risulti che un regime probatorio nazionale come quello descritto al punto 28 di questa sentenza appaia, in quanto tale, allo stesso tempo neutro per quanto riguarda l’onere della prova previsto all’articolo 4 della direttiva 85/374 e, in linea di principio, idoneo a preservare l’effettività del regime di responsabilità sancito da tale direttiva, garantendo nel contempo il rispetto degli obiettivi da questa perseguiti, nondimeno la portata effettiva di un regime siffatto dev’essere determinata in considerazione dell’interpretazione datane e dell’applicazione fattane dai giudici nazionali (v., per analogia, sentenza del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia, C-129/00, EU:C:2003:656, punto 31). 34 A tale riguardo, è importante che i principi che caratterizzano il suddetto regime probatorio non siano applicati dal giudice nazionale in modo tale da risolversi, in pratica, nel- l’instaurazione a danno del produttore di forme di presunzione ingiustificate, che siano tali da violare l’articolo 4 della direttiva 85/374, o addirittura da pregiudicare l’effettività stessa delle norme sostanziali previste da tale direttiva. 35 Ciò potrebbe avvenire, in primo luogo, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 54, 60 e 75 delle sue conclusioni, nel caso in cui i giudici nazionali applichino tale regime probatorio in modo troppo poco esigente, accontentandosi di prove non pertinenti o insufficienti (v., per analogia, sentenza del 15 ottobre 2015, Nike European operations Ne- therlands, C-310/14, EU:C:2015:690, punti 29 e 43). In una simile situazione, risulterebbero infatti violate non solo la regola sull’onere della prova prevista all’articolo 4 della direttiva 85/374, ma, più in generale, l’effettività del regime di responsabilità istituito all’articolo 1 di tale direttiva, dato che la sussistenza di due dei tre presupposti cui è subordinata la responsabilità del produttore in base a tale direttiva, ossia l’esistenza di un difetto del prodotto e quella di un nesso di causalità tra tale difetto e il danno subito dal danneggiato, non sarebbe sufficientemente verificata dal giudice nazionale. 36 In secondo luogo, l’onere della prova potrebbe altresì risultare violato se i giudici nazionali applicassero il regime descritto al punto 28 della presente sentenza in maniera tale che, in presenza di uno o più tipi di indizi fattuali, si presuma immediatamente e automaticamente che esiste un difetto del prodotto e/o un nesso di causalità tra tale difetto e l’insorgenza del danno. Infatti, in simili circostanze, il produttore potrebbe allora trovarsi, ancor prima che i giudici di merito abbiano preso conoscenza degli elementi di valutazione di cui dispone il produttore e degli argomenti presentati da quest’ultimo, obbligato a rovesciare la suddetta presunzione per opporsi con successo alla domanda (v., per analogia, sentenze del 9 novembre 1983, San Giorgio, 199/82, EU:C:1983:318, punto 14, e del 9 febbraio 1999, Dilexport, C-343/96, EU:C:1999:59, punto 52). CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 39 37 Così, da un lato, spetta ai giudici nazionali garantire che gli indizi prodotti siano effettivamente sufficientemente gravi, precisi e concordanti da autorizzare la conclusione secondo cui l’esistenza di un difetto del prodotto appare, nonostante gli elementi prodotti e gli argomenti presentati a propria difesa dal produttore, la spiegazione più plausibile del- l’insorgenza del danno, di modo che il difetto e il nesso di causalità possano ragionevolmente essere considerati dimostrati. 38 Dall’altro, è necessario che questi stessi giudici facciano in modo che resti impregiudicato il principio secondo cui spetta al danneggiato dimostrare, attraverso tutti i mezzi di prova generalmente ammessi dal diritto nazionale e, come nella fattispecie, segnatamente con la produzione di indizi gravi, precisi e concordanti, l’esistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità. Ciò richiede che il giudice si assicuri di preservare il proprio libero apprezzamento quanto al fatto che una simile prova sia stata o meno fornita in modo giuridicamente sufficiente, fino al momento in cui, avendo egli preso conoscenza degli elementi prodotti dalle due parti e degli argomenti scambiati dalle stesse, si ritenga in grado, alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti del caso al suo esame, di formare il proprio convincimento definitivo al riguardo (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 1983, San Giorgio, 199/82, EU:C:1983:318, punto 14). 39 Quanto agli elementi concreti che caratterizzano la causa su cui, nella fattispecie, il giudice del rinvio è chiamato a pronunciarsi, è necessario ricordare che l’articolo 267 TfUE legittima la Corte non già ad applicare le disposizioni del diritto dell’Unione a un determinato caso di specie, ma solamente a pronunciarsi sull’interpretazione degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione. 40 Secondo costante giurisprudenza, la Corte può tuttavia, nell’ambito della collaborazione giudiziaria instaurata da detto articolo e in base al contenuto del fascicolo, fornire al giudice nazionale gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione che potrebbero essergli utili per la valutazione degli effetti di tali disposizioni (v., segnatamente, sentenza del 28 settembre 2006, Van Straaten, C-150/05, EU:C:2006:614, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). 41 Nella fattispecie, elementi come quelli dedotti nella causa principale e legati alla prossimità temporale tra la somministrazione di un vaccino e l’insorgenza di una malattia nonché alla mancanza di precedenti personali e familiari correlati a tale malattia, così come l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati di comparsa di tale malattia a seguito di simili somministrazioni, sembrano a prima vista costituire indizi la cui compresenza potrebbe, eventualmente, indurre un giudice nazionale a ritenere che un danneggiato abbia assolto l’onere della prova su di lui gravante ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 85/374. Così potrebbe essere, in particolare, nel caso in cui detti indizi conducano il giudice a ritenere, da un lato, che la somministrazione del vaccino costituisce la spiegazione più plausibile dell’insorgenza della malattia e, dall’altro, che tale vaccino non offre quindi, ai sensi dell’articolo 6 di tale direttiva, la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, in quanto esso determina un danno anomalo e particolarmente grave al paziente che, con riferimento a un prodotto di questa natura e alla luce della sua funzione, può in effetti legittimamente attendersi un grado elevato di sicurezza (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 2015, Boston Scientific Medizintechnik, C-503/13 e C-504/13, EU:C:2015:148, punto 39). 42 Come precedentemente sottolineato, eventuali conclusioni del genere possono tuttavia essere tratte con piena cognizione di causa, in ciascun caso concreto, dal giudice chiamato RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 a esaminare il merito di una data controversia solamente dopo che quest’ultimo avrà debitamente preso in considerazione l’insieme delle circostanze della causa al suo esame e, in particolare, tutti gli altri elementi esplicativi e gli altri argomenti dedotti dal produttore volti a contestare la rilevanza degli elementi di prova presentati dalla vittima e a mettere in dubbio il grado di plausibilità, menzionato al punto precedente, della spiegazione offerta dal danneggiato. 43 Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione che l’articolo 4 della direttiva 85/374 dev’essere interpretato nel senso che non osta a un regime probatorio nazionale, come quello di cui al procedimento principale, in base al quale il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un’azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo, può ritenere, nell’esercizio del libero apprezzamento conferitogli al riguardo, che, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti i quali consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia. I giudici nazionali devono tuttavia assicurarsi che l’applicazione concreta che essi danno a tale regime probatorio non conduca a violare l’onere della prova instaurato da detto articolo 4 né ad arrecare pregiudizio all’effettività del regime di responsabilità istituito da tale direttiva. Sulla seconda questione 44 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 4 della direttiva 85/374 debba essere interpretato nel senso che osta a un regime probatorio fondato su presunzioni secondo il quale, quando la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, la sussistenza di un nesso di causalità tra il difetto attribuito al vaccino e il danno subito dal danneggiato deve sempre essere considerata dimostrata in presenza di taluni indizi fattuali predeterminati di causalità. 45 Dall’insieme degli atti a disposizione della Corte emerge che i giudici di merito, chiamati a pronunciarsi su controversie pur molto simili sotto il profilo dei fatti, hanno ripetutamente concluso, sulla base di indizi analoghi, talvolta che questi ultimi erano caratterizzati dalla gravità, dalla precisione e dalla concordanza richieste perché si potesse presumere la sussistenza di un nesso di causalità tra un difetto attribuito a un vaccino contro l’epatite B e l’insorgenza della sclerosi multipla, talaltra che tali caratteristiche fossero assenti. Le decisioni nazionali contraddittorie emesse nella causa principale, richiamate ai punti da 14 a 16 della presente sentenza, costituiscono un’illustrazione di tale situazione. 46 Nella sua prima questione, il giudice del rinvio fa riferimento, peraltro, al libero apprezzamento di cui dispongono i giudici di merito quanto alla valutazione degli indizi fattuali così sottoposti al loro vaglio. 47 In tale contesto, il giudice del rinvio sembra interrogarsi sulla possibilità, per il medesimo o, eventualmente, per il legislatore nazionale, di elencare taluni tipi di indizi materiali predeterminati la cui compresenza sia idonea a condurre automaticamente, attraverso presunzioni, all’individuazione di un nesso di causalità tra il difetto attribuito al vaccino e l’insorgenza della malattia. 48 A tale riguardo, occorre senz’altro ricordare che la salvaguardia dei diritti spettanti ai singoli in forza delle pertinenti disposizioni del Trattato dipende, in larga misura, da succes CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 41 sive operazioni di qualificazione giuridica dei fatti. occorre parimenti rilevare che un giudice chiamato, come il giudice del rinvio nella presente causa, a pronunciarsi in ultimo grado è incaricato, in particolare, di assicurare a livello nazionale l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche (v., in tal senso, sentenza del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo, C-173/03, EU:C:2006:391, punto 36). 49 Cionondimeno, la Corte non è competente a interpretare il diritto nazionale e spetta solamente al giudice nazionale determinare l’esatta portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali. Questo vale, in particolare, per le disposizioni nazionali in materia di prova (v., in tale senso, sentenza del 9 febbraio 1999, Dilexport, C-343/96, EU:C:1999:59, punto 51 e giurisprudenza ivi citata) così come per quelle che fissano le rispettive competenze dei differenti organi giurisdizionali nazionali. 50 Con riferimento alle disposizioni nazionali in materia di prova oggetto della prima questione, occorre sottolineare, tuttavia, che i giudici nazionali chiamati ad applicarle devono tener conto, allo stesso tempo, dei principi enunciati ai punti 37 e 38 della presente sentenza e del principio della certezza del diritto, il cui corollario è rappresentato dal principio della tutela del legittimo affidamento e che, secondo costante giurisprudenza, esige, in particolare, che l’applicazione delle norme giuridiche sia prevedibile per i singoli (sentenza del 2 dicembre 2009, Aventis Pasteur, C-358/08, EU:C:2009:744, punto 47 e giurisprudenza ivi citata). 51 Quanto alle norme in materia di competenza giurisdizionale, spetta esclusivamente al diritto nazionale e al giudice del rinvio determinare -tenendo conto, segnatamente, dei principi menzionati ai punti 37, 38 e 50 della presente sentenza -in che misura le competenze di cui detto giudice è investito gli consentano di sindacare le valutazioni espresse dai giudici di merito relative alla gravità, alla precisione e alla concordanza degli indizi posti al vaglio di questi ultimi, in tal modo contribuendo a garantire la maggiore uniformità possibile nell’applicazione delle norme dell’Unione in questione. 52 Per contro, il ricorso, da parte del legislatore nazionale o, eventualmente, dell’organo giurisdizionale nazionale supremo, a un metodo di prova, come quello prospettato nella seconda questione, secondo cui la sussistenza di un nesso di causalità tra il difetto attribuito a un vaccino e il danno subito dal danneggiato sarebbe sempre da considerarsi dimostrata in presenza di taluni tipi di indizi concreti predeterminati di causalità comporterebbe, segnatamente, la conseguenza di arrecare pregiudizio alla norma relativa all’onere della prova prevista all’articolo 4 della direttiva 85/374. 53 Da un lato, infatti, il giudice del rinvio - precisando, nella sua questione, che, una volta accertati determinati fatti così pre-identificati, l’esistenza di un simile nesso di causalità «debba sempre essere considerata dimostrata» -sembra volersi riferire a una presunzione di tipo assoluto. orbene, da un tipo di presunzione del genere deriverebbe la conseguenza che, anche quando i fatti così pre-identificati non siano, per ipotesi, idonei a dimostrare in modo certo la sussistenza di un simile nesso di causalità, il produttore risulterebbe, in un simile caso, privato di ogni possibilità di produrre elementi di fatto o di far valere argomenti, ad esempio di ordine scientifico, al fine di tentare di rovesciare tale presunzione, e il giudice sarebbe così privato di ogni possibilità di valutare i fatti alla luce di tali elementi o argomenti. Attraverso il suo automatismo, una situazione del genere non solo pregiudicherebbe il principio enunciato all’articolo 4 della direttiva 85/374, secondo il quale l’onere della prova del difetto e del nesso di causalità grava sul danneggiato, ma rischierebbe, per giunta, di ledere l’effettività stessa del regime di responsabilità istituito RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 da detta direttiva. Infatti, in tal modo il giudice sarebbe costretto a riconoscere la sussistenza di uno dei tre presupposti cui è subordinata la responsabilità del produttore in base alla suddetta direttiva, senza che egli possa neppure esaminare se gli altri elementi di valutazione che gli siano stati presentati nel caso al suo esame siano tali da imporre una conclusione opposta. 54 Dall’altro lato, anche supponendo che la presunzione prospettata dal giudice del rinvio sia relativa, nondimeno, qualora i fatti così pre-identificati dal legislatore o dal giudice nazionale supremo risultino dimostrati, la sussistenza di un nesso di causalità sarebbe automaticamente presunta, di modo tale che il produttore potrebbe dunque trovarsi, ancor prima che il giudice di merito abbia preso conoscenza degli elementi di valutazione di cui dispone il produttore e degli argomenti presentati da quest’ultimo, obbligato a rovesciare tale presunzione per opporsi con successo alla domanda. orbene, come già rilevato al punto 36 della presente sentenza, una situazione del genere condurrebbe a una violazione di quanto previsto all’articolo 4 della direttiva 85/374 circa l’onere della prova. 55 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla seconda questione che l’articolo 4 della direttiva 85/374 dev’essere interpretato nel senso che osta a un regime probatorio fondato su presunzioni secondo il quale, quando la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, la sussistenza di un nesso di causalità tra il difetto attribuito al vaccino e il danno subito dal danneggiato deve sempre essere considerata dimostrata in presenza di taluni indizi fattuali predeterminati di causalità. Sulla terza questione 56 Alla luce della risposta fornita alla prima questione, non è necessario rispondere alla terza. sulle spese 57 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: 1) L’articolo 4 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, dev’essere interpretato nel senso che non osta a un regime probatorio nazionale, come quello di cui al procedimento principale, in base al quale il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un’azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo, può ritenere, nell’esercizio del libero apprezzamento conferitogli al riguardo, che, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti i quali consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia. i giudici nazionali devono tuttavia assicurarsi che l’applicazione concreta che essi danno a tale regime probatorio non conduca a violare l’onere della prova instaurato da detto articolo 4 né ad arrecare pregiudizio all’effettività del regime di responsabilità istituito da tale direttiva. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 2) L’articolo 4 della direttiva 85/374 dev’essere interpretato nel senso che osta a un regime probatorio fondato su presunzioni secondo il quale, quando la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, la sussistenza di un nesso di causalità tra il difetto attribuito al vaccino e il danno subito dal danneggiato deve sempre essere considerata dimostrata in presenza di taluni indizi fattuali predeterminati di causalità. RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 trasporto aereo e tutela del passeggero: sul quantum della compensazione pecuniaria in caso di ritardo prolungato di un volo con coincidenza CORTE DI GIUSTIzIA UE, SEzIOnE OTTAVA, SEnTEnzA 7 SETTEMBRE 2017, CAUSA C-559/16 L’interessante sentenza in rassegna ha, in accoglimento delle posizioni espresse dal Governo Italiano che integralmente si allegano, statuito che la compensazione dovuta ai passeggeri in caso di cancellazione del volo con coincidenza deve essere calcolata in funzione della distanza “radiale” tra gli aeroporti di partenza e di arrivo, essendo del tutto irrilevante, ai fini della compensazione, che la distanza effettivamente percorsa sia superiore alla distanza tra i due aeroporti, per effetto della coincidenza. In particolare, secondo i giudici europei, il fatto che vi sia un volo con coincidenza non incide sul disagio e nella determinazione della compensazione si deve tenere conto della distanza ortodromica che sarebbe percorsa da un volo diretto tra l'aeroporto di partenza e quello di arrivo. Per utilizzare le parole della Corte “L'articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004 (…) deve essere interpretato nel senso che la nozione di “distanza” include, in caso di collegamenti aerei con una o più coincidenze, solamente la distanza tra il luogo del primo decollo e la destinazione finale, da stabilire secondo il metodo della rotta ortodromica, e ciò a prescindere dalla distanza di volo effettivamente percorsa”. Ct. 49190/2016 Corte di Giustizia dell'Unione europea osservazioni del Governo della repubblica italiana, in persona dell'Agente Gabriella Palmieri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia in relazione alla causa C-559/16 Domanda di pronuncia pregiudiziale, ex art. 267 TfUE proposta dal Amtsgericht Hamburg [Tribunale distrettuale di Amburgo], per sottoporre a codesta on. Corte di Giustizia dell'Unione europea la seguente questione: "Se l’articolo 7, paragrafo 1, secondo periodo, del regolamento (CE) n. 261/2004 (in prosieguo: il «regolamento») debba essere interpretato nel senso che la nozione di «distanza» includa solamente la distanza diretta, da stabilire secondo il metodo della rotta ortodromica, tra il luogo di partenza e l’ultima destinazione e ciò a prescindere dalla distanza di volo effettivamente percorsa". **** 1. i fatti di causa e le questioni pregiudiziali proposte. 1) Con la domanda pregiudiziale posta nella causa di rinvio il Amtsgericht Hamburg CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE [Tribunale distrettuale di Amburgo] (Germania) ha posto a condesta on. Corte di Giustizia europea il quesito se l'articolo 7, § 1, regolamento (CE) n. 261/2004, debba essere interpretato nel senso che la nozione di distanza includa solamente la distanza diretta tra il luogo di partenza e l'ultima destinazione, secondo il metodo della rotta ortodromica, a prescindere dalla distanza di volo effettivamente percorsa nel caso concreto. 2) La questione è stata ritenuta, dal Giudice remittente, pregiudiziale alla decisione di una controversia nella quale le ricorrenti prenotavano un volo da Roma fiumicino ad Amburgo, per il 22 settembre 2015, con partenza da Roma alle ore 10:25 e scalo a Bruxelles alle 12:40. Quivi avrebbero dovuto prendere la coincidenza da Bruxelles per Amburgo alle ore 13:35 con conseguente atterraggio alle 14:45. 3) I1 decollo avveniva, tuttavia, in ritardo, cosicché l’atterraggio a Bruxelles aveva luogo solo alle 13:22, impedendo quindi alle attrici di prendere il volo di coincidenza. 4) Le attrici venivano quindi imbarcate sul volo successivo, che atterrava ad Amburgo solamente alle 18:35, maturando, dunque, un ritardo di oltre tre ore. 5) Si riteneva pacifico tra le parti che il ritardo «prolungato» verificatosi implicasse la corresponsione di diritti a compensazione pecuniaria, così limitando la materia del contendere solo relativamente al quantum. 6) Le ricorrenti chiedevano a tali fini una compensazione pecuniaria nella misura pari ciascuna a EUR 400,00. Il vettore ha corrisposto, invece, medio tempore, la somma di EUR 250,00 ciascuna; le parti hanno quindi concordemente dichiarato definita la controversia. Le attrici chiedevano in un secondo momento ulteriori EUR 150,00 ciascuna. 7) La suddetta pretesa veniva fondata sostenendo che, nel determinare l'importo della compensazione pecuniaria, ai fini della distanza ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 1, secondo periodo, del regolamento assuma rilievo la distanza di volo effettivamente percorsa e, dunque, la somma delle distanze tra Roma fiumicino e Bruxelles e tra Bruxelles ed Amburgo per un totale di oltre 1500 km, cosicché i diritti a compensazione pecuniaria a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del regolamento ammonterebbero ciascuno a EUR 400. 8) Si opponeva il vettore convenuto, il quale sosteneva, invece, l'opposta tesi secondo cui ai fini della "distanza" di cui all'articolo 7, paragrafo 1, del regolamento rileverebbe la distanza diretta tra il luogo di partenza e l'ultima destinazione, ossia la distanza diretta tra Roma fiumicino e Amburgo. 9) Trattandosi di soli 1326 km, conseguentemente, a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, lettera a), del regolamento, i diritti a compensazione pecuniaria ammonterebbero ciascuno soltanto a EUR 250,00. 10) È fatta questione se la somma da corrispondere al passeggero a titolo di compensazione pecuniaria per il prolungato ritardo subito all'arrivo debba essere calcolata avendo come riferimento la distanza diretta tra punto di arrivo e punto di partenza (metodo della rotta ortodromica) oppure liquidata tenendo conto delle singole tratte effettivamente percorse. 2. il diritto comunitario. 11) L'art. 7 del regolamento (CE) n. 261/2004, così statuisce: Articolo 7 Diritto a compensazione pecuniaria 1. Quando è fatto riferimento al presente articolo, i passeggeri interessati ricevono una compensazione pecuniaria pari a: a) 250 EUR per tutte le tratte aeree inferiori o pari a 1500 chilometri; RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 b) 400 EUR per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1500 chilometri e per tutte le altre tratte comprese tra 1500 e 3500 chilometri; c) 600 EUR per le tratte aeree che non rientrano nelle lettere a) o b). nel determinare la distanza si utilizza come base di calcolo l’ultima destinazione per la quale il passeggero subisce un ritardo all'arrivo rispetto all'orario previsto a causa del negato imbarco o della cancellazione del volo. 2. Se ai passeggeri è offerto di raggiungere la loro destinazione finale imbarcandosi su un volo alternativo a norma dell'articolo 8, il cui orario di arrivo non supera: a) di due ore, per tutte le tratte aeree pari o inferiori a 1500 km; o b) di tre ore, per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1500 km e per tutte le altre tratte aeree comprese fra 1500 e 3500 km; o c) di quattro ore, per tutte le tratte aeree che non rientrano nei casi di cui alle lettere a) o b), l'orario di arrivo previsto del volo originariamente prenotato, il vettore aereo operativo può ridurre del 50 % la compensazione pecuniaria di cui al paragrafo 1. 3. La compensazione pecuniaria di cui al paragrafo 1 è pagata in contanti, mediante trasferimento bancario elettronico, con versamenti o assegni bancari, o, previo accordo firmato dal passeggero, con buoni di viaggio e/o altri servizi. 4. Le distanze di cui ai paragrafi 1 e 2 sono misurate secondo il metodo della rotta ortodromica. 12) I1 Paragrafo 4.4.7. Comunicazione della Commissione (2016/C 214/04) - orientamenti interpretativi relativi al regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio - rubricato "Compensazione pecuniaria per il ritardo all'arrivo in caso di coincidenze" statuisce che: La Corte (43) ritiene che la valutazione di un ritardo debba essere effettuata, ai fini della compensazione pecuniaria prevista dall'articolo 7 del Regolamento, rispetto all'orario di arrivo previsto alla destinazione finale del passeggero come definita all'articolo 2, lettera h), del regolamento, che, in caso di volo con una o più coincidenze, deve essere intesa come la destinazione dell'ultimo volo sul quale si è imbarcato il passeggero. In conformità all'articolo 3, paragrafo 1, lettera a), i passeggeri che perdono una coincidenza, nell’UE o fuori dall’UE, con un volo proveniente da un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro hanno diritto a compensazione pecuniaria se arrivano alla destinazione finale con un ritardo superiore a tre ore, indipendentemente dal fatto che il vettore che opera la coincidenza sia un vettore UE o non UE. nel caso di passeggeri in partenza da un aeroporto di un paese non UE che hanno come destinazione finale un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro, in conformità all'articolo 3, paragrafo 1, lettera b), con coincidenze dirette operate in successione da vettori UE e non UE o solo da vettori UE, il diritto a compensazione pecuniaria dovrebbe essere valutato solo in relazione ai voli operati da vettori UE. La perdita di una coincidenza dovuta a ritardi notevoli ai controlli di sicurezza o al mancato rispetto dell'orario di imbarco del volo da parte dei passeggeri nell'aeroporto di transito non dà diritto ad alcuna compensazione. 3. L'interpretazione della normativa comunitaria. 13) L'art. 7 del regolamento in esame al primo comma, paragrafo 1, stabilisce chiaramente che, "nel determinare la distanza si utilizza come base di calcolo l'ultima destinazione per la quale il passeggero subisce un ritardo all'arrivo rispetto all'orario previsto" e al quarto CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE comma precisa che "le distanze di cui ai paragrafi 1 e 2 sono misurate secondo il metodo della rotta ortodromica". 14) Sembrerebbe, dunque, che con le parole "ultima destinazione" si debba fare riferimento al solo scalo di arrivo, mentre gli scali o coincidenze intermedi dovrebbero essere ininfluenti ai fini della determinazione del calcolo dell'indennizzo. 15) L'interpretazione appare confermata anche dalla Comunicazione (2016/C 214/04) orientamenti interpretativi relativi al regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, in cui la Commissione, proprio temendo il contrasto sul punto, ha specificato che per destinazione finale debba intendersi l'ultima destinazione siccome definita "all'art. 2 lett. h) del Regolamento" e che, con specifico riferimento ai casi in cui il volo abbia una o più coincidenze debba essere interpretata come "destinazione dell'ultimo volo sul quale si è imbarcato il passeggero". 16) È evidente come, a conferma di quanto già sostenuto, "l’ultimo volo" sia ragionevolmente da intendersi come il volo preso dal passeggero per recarsi nella meta finale programmata, senza aver riguardo delle eventuali coincidenze interposte. 17) Così ritenendo, peraltro, sarebbero trattati allo stesso modo i passeggeri che hanno subito un ritardo al momento dell'arrivo, sia se si sono imbarcati su un volo diretto sia se abbiano fatto uno o più scali intermedi. 18) Questa interpretazione sembrerebbe più aderente alla norma del medesimo articolo che prevede che il criterio della rotta ortodromica si applichi anche nei casi di cancellazione e negato imbarco, e dunque eventi in cui gli scali intermedi non sono presi in considerazione. 19) Si osserva che, accogliendo l'opposta interpretazione, che vuole ricomprendere nel computo della distanza rilevante anche le tratte percorse in occasione dello scalo, si addiverrebbe indubbiamente ad un sovvertimento del sistema come pensato dal legislatore comunitario. Infatti, così ritenendo il passeggero beneficerebbe di un eccessivo ed irragionevole trattamento di favore, sia nell'an sia nel quantum del rimborso. 20) Parametrare, infatti, l'an del ritardo sulla base dell'orario di arrivo alla destinazione finale che risultava dal titolo di viaggio e poi calcolare il quantum tenendo conto anche delle altre mete (rectius degli scali), avrebbe come iniquo effetto quello di aumentare irragionevolmente il kilometraggio rilevante ai fini della commisurazione dell'indennizzo, e irragionevolmente tutelare il passeggero, che ha già beneficiato dell'assistenza di cui all'art. 9 Reg. citato, proprio in ragione del ritardo occorso per causa del primo vettore. 21) Appare evidente, pertanto, che ai fini del computo del rimborso de quo per il prolungato ritardo comunque patito dal passeggero, con specifico riferimento al parametro del kilometraggio, debba aversi riguardo alla rotta ortodromicamente calcolata, ossia tenendo conto solamente dei km intercorrenti tra aeroporto di partenza ed aeroporto di arrivo, escludendo la menzione delle eventuali coincidenze. 22) La compensazione pecuniaria di cui all'art. 7 reg. CE n. 261/2004, si sostanzia, pertanto, nel versamento di una somma di denaro, il cui importo è parametrato sulla distanza chilometrica della tratta aerea (secondo il metodo della rotta ortodromica), utilizzando come base di calcolo l'ultima destinazione per la quale il passeggero subisce un ritardo all'arrivo rispetto all'orario originariamente previsto. 23) Vi è, inoltre da rilevare, nella complessiva valutazione della fattispecie, che i collegamenti con scali intermedi generalmente sono più vantaggiosi per il passeggero per le tariffe minori applicate dalle compagnie aeree, non sembrerebbe, quindi corrispondere a canoni di equità sostanziale garantire un maggior vantaggio al passeggero che ha già usufruito di un RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 minor prezzo per il trasporto (sebbene assoggettandosi ad un viaggio più lungo e ben avendo contezza della possibilità di subire ritardi) rispetto al passeggero che ha preferito affrontare un costo maggiore (anche) nella speranza di non dover subire ritardi all'arrivo. 24) Si segnala, infine, che codesta Illustrissima Corte di Giustizia si è già espressa sul punto nelle cause C-11/11, ECLI:EU:C:2013: 106 «folkerts», nonchè con le sentenze Sturgeon e a., punto 61, e Nelson e a., punto 40 (1), in particolare ritenendo che «33. Dal momento che tale disagio si concretizzerebbe, per quanto riguarda i voli ritardati, all'arrivo alla destinazione finale, la Corte ha dichiarato che la valutazione di un ritardo dev'essere effettuata, ai fini della compensazione pecuniaria prevista dall'articolo 7 del regolamento n. 261/2004, rispetto all'orario di arrivo previsto a tale destinazione. 34. Orbene, la nozione di "destinazione finale" è definita all'articolo 2, lettera h), del regolamento n. 261/2004 come la destinazione indicata sul biglietto esibito al banco di accettazione o, in caso di coincidenza diretta, la destinazione dell'ultimo volo. 35. ne consegue che, in caso di volo con una o più coincidenze, ai fini della compensazione pecuniaria forfetaria prevista dall'articolo 7 del regolamento n. 261/2004 è determinante soltanto il ritardo riscontrato rispetto all'orario d'arrivo previsto alla destinazione finale, da intendersi come la destinazione dell'ultimo volo sul quale si è imbarcato il passeggero di cui trattasi». 4. Conclusioni 25) Per le motivazioni sopra esposte, si ritiene conclusivamente che l'art. 7 del Regolamento (CE) n. 261/2004, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91, debba essere interpretato nel senso che ai fini del calcolo dell'indennizzo per il caso di ritardo prolungato all'arrivo alla destinazione finale si debba fare riferimento alla distanza "ortodromica" intercorrente tra l'aeroporto di partenza e l'aeroporto di destinazione finale del passeggero, senza che rilevi la distanza coperta e percorsa in caso di effettuazione di scali e coincidenze. Roma 17 febbraio 2017 Pietro Garofoli Avvocato dello Stato Corte di Giustiza UE, sezione ottava, sentenza 7 settembre 2017, causa C-559/16 -Pres. M. Vilaras, Rel. J. Malenovský - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Amtsgericht Hamburg (Germania) il 4 novembre 2016 - Birgit Bossen e altri / Brussels Airlines. «Rinvio pregiudiziale – Trasporto – Regolamento (CE) n. 261/2004 – Articolo 7, paragrafo 1 – Regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato – Volo effettuato su diverse tratte – Nozione di “distanza” da considerare» La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 feb- (1) I seguenti passi della decisione sono anche riportati nel documento di Comunicazione n. 2016/C214/04, sopra citata. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 49 braio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91 (GU 2004, L 46, pag. 1). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, Birgit Bossen, Anja Bossen e Gudula Gräßmann e, dall’altro, la Brussels Airlines SA/NV, in merito all’importo della compensazione pecuniaria loro dovuta a causa del ritardo prolungato verificatosi su un volo di tale compagnia aerea. Contesto normativo 3 L’articolo 2, lettera h), del regolamento n. 261/2004, rubricato «Definizioni», dispone quanto segue: «Ai sensi del presente regolamento, si intende per: (...) h) “destinazione finale”: la destinazione indicata sul biglietto esibito al banco di accettazione o, in caso di coincidenza diretta, la destinazione dell’ultimo volo; i voli alternativi in coincidenza disponibili non sono presi in considerazione se viene rispettato l’orario di arrivo originariamente previsto». 4 Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), del suddetto regolamento: «1. In caso di cancellazione del volo, ai passeggeri coinvolti: (...) c) spetta la compensazione pecuniaria del vettore aereo operativo a norma dell’articolo 7, a meno che: i) siano stati informati della cancellazione del volo almeno due settimane prima dell’orario di partenza previsto; oppure ii) siano stati informati della cancellazione del volo nel periodo compreso tra due settimane e sette giorni prima dell’orario di partenza previsto e sia stato loro offerto di partire con un volo alternativo non più di due ore prima dell’orario di partenza previsto e di raggiungere la destinazione finale meno di quattro ore dopo l’orario d’arrivo previsto; oppure iii) siano stati informati della cancellazione del volo meno di sette giorni prima dell’orario di partenza previsto e sia stato loro offerto di partire con un volo alternativo non più di un’ora prima dell’orario di partenza previsto e di raggiungere la destinazione finale meno di due ore dopo l’orario d’arrivo previsto». 5 L’articolo 6 di detto regolamento è formulato nei seguenti termini: «Ritardo 1. Qualora possa ragionevolmente prevedere che il volo sarà ritardato, rispetto all’orario di partenza previsto a) di due o più ore per tutte le tratte aeree pari o inferiori a 1500 km; o b) di tre o più ore per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1500 km e per tutte le altre tratte aeree comprese tra 1500 e 3500 km; o c) di quattro o più ore per tutte le altre tratte aeree che non rientrano nei casi di cui alle lettere a) o b), il vettore aereo operativo presta ai passeggeri: i) l’assistenza prevista nell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), e nell’articolo 9, paragrafo 2; e ii) quando l’orario di partenza che si può ragionevolmente prevedere è rinviato di almeno un giorno rispetto all’orario di partenza precedentemente previsto, l’assistenza di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettere b) e c); e RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 iii) quando il ritardo è di almeno cinque ore, l’assistenza prevista nell’articolo 8, paragrafo 1, lettera a). 2. In ogni caso l’assistenza è fornita entro i termini stabiliti dal presente articolo in funzione di ogni fascia di distanza». 6 L’articolo 7 dello stesso regolamento prevede quanto segue: «Diritto a compensazione pecuniaria 1. Quando è fatto riferimento al presente articolo, i passeggeri ricevono una compensazione pecuniaria pari a: a) 250 EUR per tutte le tratte aeree inferiori o pari a 1500 chilometri; b) 400 EUR per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1500 chilometri e per tutte le altre tratte comprese tra 1500 e 3500 chilometri; c) 600 EUR per le tratte aeree che non rientrano nelle lettere a) o b). Nel determinare la distanza si utilizza come base di calcolo l’ultima destinazione per la quale il passeggero subisce un ritardo all’arrivo rispetto all’orario previsto a causa del negato imbarco o della cancellazione del volo. (...) 4. Le distanze di cui ai paragrafi 1 e 2 sono misurate secondo il metodo della rotta ortodromica ». Procedimento principale e questione pregiudiziale 7 Le ricorrenti prenotavano presso la Brussels Airlines un viaggio per recarsi da Roma (Italia) ad Amburgo (Germania), con una coincidenza a Bruxelles (Belgio). Il decollo del volo con partenza da Roma e destinazione Bruxelles era previsto per le ore 10:25, con atterraggio alle 12:40, quello con partenza da Bruxelles e destinazione Amburgo doveva decollare alle 13:35 e atterrare alle 14:45. 8 Il volo da Roma con destinazione Bruxelles è stato ritardato. L’atterraggio a Bruxelles è avvenuto solo alle 13:22 e le ricorrenti non sono riuscite a prendere il volo di coincidenza in tempo. 9 Esse sono in seguito state imbarcate sul successivo volo per Amburgo, atterrato alle 18:35, ossia con un ritardo di tre ore e cinquanta minuti rispetto all’orario di arrivo inizialmente previsto. 10 Secondo il metodo della rotta ortodromica, la distanza tra Roma e Amburgo equivale a 1326 km. La distanza tra Roma e Bruxelles ammonta a 1173 km e la distanza tra Bruxelles e Amburgo è pari a 483 km, ovvero una distanza totale per tali due voli combinati di 1656 km. 11 Le ricorrenti hanno proposto un ricorso dinanzi all’Amtsgericht Hamburg (Tribunale circoscrizionale di Amburgo, Germania), al fine di ricevere una compensazione pecuniaria pari a EUR 400 ciascuna, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 261/2004. 12 Il giudice del rinvio precisa che le parti concordano nel ritenere che le ricorrenti abbiano diritto ad una compensazione pecuniaria a causa del ritardo prolungato sopravvenuto, avendo inoltre la Brussels Airlines già versato a ciascuna EUR 250 a tale titolo. 13 Le ricorrenti chiedono ora un importo ulteriore di EUR 150 ciascuna in quanto, secondo loro, il calcolo della distanza dovrebbe comprendere le loro due tratte, e dunque essere superiore a 1500 km, e non la distanza ortodromica tra Roma e Amburgo. 14 È in tali circostanze che l’Amtsgericht Hamburg (Tribunale circoscrizionale di Amburgo) ha deciso di sospendere il procedimento e di sollevare dinanzi alla Corte la seguente questione pregiudiziale: CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 51 «Se l’articolo 7, paragrafo 1, secondo periodo, del regolamento (CE) n. 261/2004 debba essere interpretato nel senso che la nozione di “distanza” includa solamente la distanza diretta, da stabilire secondo il metodo della rotta ortodromica, tra il luogo di partenza e l’ultima destinazione e ciò a prescindere dalla distanza di volo effettivamente percorsa». sulla questione pregiudiziale 15 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 261/2014 debba essere interpretato nel senso che la nozione di «distanza » include, in caso di collegamenti aerei con una o più coincidenze, solamente la distanza tra il luogo del primo decollo e la destinazione finale, da stabilire secondo il metodo della rotta ortodromica, e ciò a prescindere dalla distanza di volo effettivamente percorsa. 16 In via preliminare occorre constatare che è pacifico che le ricorrenti nel procedimento principale hanno subito, all’arrivo alla loro destinazione finale, un ritardo che dà loro diritto a una compensazione pecuniaria. La sola determinazione dell’importo di siffatta compensazione pecuniaria alle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 261/2004 è dunque in discussione in tale causa. 17 occorre, innanzitutto, ricordare che il testo dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 261/2004 enuncia, in particolare, che, quando è fatto riferimento a tale articolo, i passeggeri ricevono una compensazione pecuniaria variabile da EUR 250 a EUR 600, in relazione alla distanza percorsa dai voli di cui trattasi, tenuto conto dell’ultima destinazione del passeggero coinvolto e fermo restando che siffatta distanza deve essere calcolata, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, di tale regolamento, secondo il metodo della rotta ortodromica. 18 A tale riguardo, occorre rilevare che, pur se l’articolo 5 del regolamento n. 261/2004, relativo alla cancellazione del volo, rinvia all’articolo 7 di tale regolamento, non può dirsi, viceversa, altrettanto a proposito dell’articolo 6 dello stesso regolamento, riguardante il ritardo. 19 Tuttavia, la Corte ha ricordato che tutti gli atti dell’Unione devono essere interpretati in conformità con l’insieme del diritto primario, compreso il principio della parità di trattamento che richiede che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, salvo che siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in tal senso, sentenza del 23 ottobre 2012, Nelson e a., C-581/10 e C-629/10, EU:C:2012:657, punto 33). 20 orbene, la Corte ha statuito che i passeggeri di voli ritardati di tre o più ore e i passeggeri di voli cancellati e imbarcati su un volo alternativo a condizioni che non rispettano i limiti previsti dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), punto iii), del regolamento n. 261/2004 devono essere considerati in situazioni paragonabili, in quanto subiscono un disagio simile, che costituisce la base della loro compensazione pecuniaria (v., in tal senso, sentenza del 23 ottobre 2012, Nelson e a., C-581/10 e C-629/10, EU:C:2012:657, punto 34). 21 Ne consegue che è necessario interpretare il regolamento n. 261/2004 nel senso che i passeggeri di voli che subiscono ritardi di tre o più ore devono beneficiare della stessa compensazione pecuniaria prevista per i passeggeri di voli cancellati, imbarcati su un volo alternativo a condizioni che non rispettano i limiti previsti all’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), punto iii), del regolamento n. 261/2004 (sentenza del 23 ottobre 2012, Nelson e a., C-581/10 e C-629/10, EU:C:2012:657, punto 38). 22 Tale giurisprudenza deve essere interpretata nel senso che richiede che le due categorie RASSEGNA AVVoCATURA DELLo STATo - N. 3/2017 di passeggeri menzionate al punto precedente siano trattate in maniera uguale non soltanto in relazione all’insorgenza stessa del diritto a compensazione pecuniaria, ma anche per quanto riguarda l’importo di siffatta compensazione. 23 Dunque, è alla luce di tale requisito che devono essere interpretati l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 261/2004, nonché l’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), punto iii), di tale regolamento. 24 orbene, come si evince dalla loro formulazione, tali disposizioni prevedono un diritto a compensazione pecuniaria per i passeggeri senza distinguere a seconda che essi raggiungano la propria destinazione finale tramite un volo diretto o un volo con coincidenze. 25 Lo stesso deve valere per il calcolo dell’importo di siffatta compensazione pecuniaria. 26 La scelta e l’ampiezza delle diverse misure adottate nell’ambito del regolamento n. 261/2004 dal legislatore dell’Unione variano, infatti, in funzione dell’importanza dei danni subiti dai passeggeri (v., in tal senso, sentenza del 10 gennaio 2006, IATA e ELfAA, C-344/04, EU:C:2006:10, punto 85). Si deve pertanto ritenere che i diversi scaglioni del- l’importo della compensazione pecuniaria dovuta ai passeggeri rispecchino le differenze dell’entità del disagio che i passeggeri coinvolti subiscono nelle ipotesi di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettere da a) a c), del regolamento n. 261/2004. 27 A tale riguardo, la Corte ha già precisato che ciò che giustifica la compensazione pecuniaria dei passeggeri di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), punto iii), del suddetto regolamento, è il fatto che, a causa della cancellazione in extremis del loro volo, sono privati in concreto della possibilità di riorganizzare liberamente il proprio spostamento. Di conseguenza, se per un motivo o per l’altro essi sono assolutamente costretti a raggiungere la loro destinazione finale in un determinato momento, non possono in alcun modo evitare la perdita di tempo relativa alla nuova situazione, dal momento che non dispongono in proposito di alcun margine di manovra (sentenza del 23 ottobre 2012, Nelson e a., C-581/10 e C-629/10, EU:C:2012:657, punto 35). 28 In relazione alla natura del disagio così subito, il fatto che taluni passeggeri di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), punto iii), del regolamento n. 261/2004 raggiungano la loro destinazione finale non tramite un volo diretto, ma, viceversa, tramite un volo con coincidenze, che comporta un aumento effettivo della distanza percorsa in quest’ultimo caso, non aggrava di per sé l’entità di tale disagio rispetto a quello subito dai passeggeri di un volo diretto. 29 occorre dunque considerare, nella determinazione dell’importo della compensazione pecuniaria, unicamente la distanza tra il luogo del primo decollo e la destinazione finale, a prescindere da eventuali voli in coincidenza. 30 Inoltre, come deriva dal requisito menzionato al punto 21 della presente sentenza, si deve adottare lo stesso metodo di calcolo per quanto riguarda i passeggeri dei voli ritardati di tre e più ore. 31 Più in particolare, la Corte ha precisato che il fondamento della loro compensazione pecuniaria si rinviene nel disagio che consiste nell’aver subito una perdita di tempo pari o superiore a tre ore rispetto alla pianificazione iniziale del loro viaggio, come constatata, anche in caso di voli con coincidenze, all’arrivo alla loro destinazione finale (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2013, folkerts, C-11/11, EU:C:2013:106, punto 35). 32 orbene, in relazione alla natura del disagio in tal modo subito, eventuali differenze in merito alla distanza effettivamente percorsa di per sé non incidono affatto sull’entità di tale disagio. CoNTENzIoSo CoMUNITARIo ED INTERNAzIoNALE 53 33 Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 261/2014 deve essere interpretato nel senso che la nozione di «distanza» include, in caso di collegamenti aerei con una o più coincidenze, solamente la distanza tra il luogo del primo decollo e la destinazione finale, da stabilire secondo il metodo della rotta ortodromica, e ciò a prescindere dalla distanza di volo effettivamente percorsa. sulle spese 34 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (ottava Sezione) dichiara: L’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91, deve essere interpretato nel senso che la nozione di «distanza» include, in caso di collegamenti aerei con una o più coincidenze, solamente la distanza tra il luogo del primo decollo e la destinazione finale, da stabilire secondo il metodo della rotta ortodromica, e ciò a prescindere dalla distanza di volo effettivamente percorsa. CONTENZIOSONAZIONALE Le Sezioni Unite sull’esatta interpretazione dell’art. 342 cod. proc. civ.: forma dell’appello Cassazione Civile, sezione Unite, sentenza 16 novembre 2017 n. 27199 Da: Guido Denicolò Inviato: lunedì 20 novembre 2017 09:17 A: Avvocati_tutti Segnalo l’allegata sentenza delle Sezioni Unite che contiene un utile vademecum sulla redazione dell’appello in materia civile. Buona lettura. Guido Denicolò* Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza 16 novembre 2017, n. 27199 Primo Pres. R. Rordorf, rel. F.M. Cirillo. (omissis) Fissata la discussione del ricorso, la Terza Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 5 aprile 2017, n. 8845, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per la trattazione di due questioni di massima di particolare importanza: l'una, relativa alla rilevanza, ai fini dell'improcedibilità del ricorso, della presenza della copia notificata della sentenza impugnata, prodotta da parte diversa dal ricorrente; l'altra, relativa all'esatta interpretazione dell'art. 342 c.p.c., nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134. In vista dell'udienza davanti a queste Sezioni Unite le parti hanno depositato memorie. (*) Avvocato dello Stato. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 RAGIonI DeLLA DeCISIone 1. La questione rimessa dall'ordinanza interlocutoria. La Terza Sezione Civile -dopo aver premesso che solo la decisione in senso favorevole alla società ricorrente della prima delle due questioni suindicate avrebbe dato ingresso allo scrutinio della seconda - ha chiesto alle Sezioni Unite di stabilire se "sia richiesto all'appellante di formulare l'appello con una determinata forma o di ricalcare la gravata decisione ma con un diverso contenuto, ovvero se sia sufficiente, ma almeno necessaria, un'analitica individuazione, in modo chiaro ed esauriente, del quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi in punto di fatto o di diritto che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice". 2. La procedibilità del ricorso. occorre innanzitutto dare atto che la prima questione prospettata nell'ordinanza interlocutoria è stata nel frattempo già decisa da queste Sezioni Unite con la sentenza 2 maggio 2017, n. 10648, in risposta a precedente ordinanza di rimessione della Prima Sezione Civile. In quella pronuncia è stato affermato il principio secondo cui nel giudizio di cassazione deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità di cui all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest'ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio. Poichè nel caso in esame la stessa ordinanza interlocutoria ha dato atto che la copia notificata della sentenza impugnata si trovava negli atti prodotti dal controricorrente, ne deriva che il principio enunciato nel richiamato precedente risolve ogni dubbio sul punto; per cui, pacifica dovendosi ritenere la procedibilità del ricorso, bisogna esaminare la seconda questione posta, riguardante l'interpretazione delle norme in tema di contenuto dell'atto di appello. 3. L'interpretazione delle norme sul contenuto dell'atto di appello fino alla riforma del 2012. 3.1. Ai fini della soluzione dell'indicata questione, è opportuno ricapitolare brevemente i principali approdi della giurisprudenza di questa Corte nella materia in esame. nel sistema delle impugnazioni, il giudizio di appello viene tradizionalmente individuato come un rimedio che consente, nei limiti dei motivi proposti, il riesame della vicenda processuale definita con la sentenza di primo grado, oggetto diretto della impugnazione. Si sottolinea, in dottrina, come l'appello sia un mezzo di gravame attraverso il quale si realizza il principio, sebbene privo di copertura costituzionale, del doppio grado di giurisdizione, ConTenzIoSo nAzIonALe caratterizzato dall'effetto devolutivo, non automatico e limitato dai motivi di gravame (tantum devolutum quantum appellatum) e da quello sostitutivo, nel senso che, di norma, la sentenza emessa dal giudice di appello si sostituisce a quella impugnata, sia essa confermata o riformata. A differenza di altri mezzi di impugnazione, nei quali c'è una predeterminazione del tipo di vizi che possono essere fatti valere, con conseguente distinzione tra giudizio rescindente e giudizio rescissorio, l'appello è un mezzo ordinario di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, diretto, nella sua funzione essenziale, a provocare un riesame della causa nel merito, non limitato necessariamente al controllo di vizi specifici. Tale funzione tipica, già delineata nel vigente codice di rito fin dal suo testo originario, è stata rafforzata ed ulteriormente ribadita dalla riforma di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353. Dopo tale intervento, si è accentuato il carattere di revisio prioris instantiae del giudizio di appello piuttosto che quello di novum iudicium; si tratta, cioè, di un'impugnativa avverso la sentenza piuttosto che di un rimedio introduttivo di un giudizio sul rapporto controverso, dal momento che in esso la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante (anche incidentale) attraverso la prospettazione e, quindi, la deduzione di specifiche censure, senza che al giudice di secondo grado possa ritenersi assegnato il compito di "ripetere" il giudizio di primo grado, rinnovando la cognizione dell'intero materiale di causa e pervenendo ad una nuova decisione che involga "tutti" i punti già dibattuti in prima istanza. Successivamente alla L. n. 353 del 1990, il giudizio di appello è stato interessato da ulteriori e più limitate modifiche (si ricordano, tra le altre, quella dell'art. 339 c.p.c., introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, quella dell'art. 345 c.p.c., di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, e quelle di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 27). Più di recente, con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il giudizio di appello è stato ancora riformato, in particolare con la modificazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., e con l'introduzione della possibilità di pervenire ad una preliminare pronuncia di inammissibilità nei casi e nei modi di cui agli interpolati artt. 348 bis e 348 ter del codice di procedura civile. 3.2. Tanto premesso, si rileva che il problema dell'esatta interpretazione dei contenuti minimi dell'atto di appello è stato oggetto di più di una pronuncia di queste Sezioni Unite. Già la sentenza 6 giugno 1987, n. 4991, affermò che quell'atto, tanto nel rito ordinario quanto nel rito del lavoro, introduce un procedimento d'impugnazione nel quale i poteri cognitori del giudice, all'infuori delle questioni rilevabili d'ufficio, sono circoscritti dall'iniziativa della parte istante, spettando ad essa di attivarsi per la riforma delle decisioni sfavorevoli contenute nella sentenza di primo grado. Pertanto, l'onere di specificazione dei motivi d'ap RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 pello esige che la manifestazione volitiva dell'appellante, indirizzata a ottenere la suddetta riforma, trovi un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione in proposito della sentenza impugnata, con la conseguenza che i motivi stessi devono essere più o meno articolati a seconda della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, di quella motivazione. La pronuncia, peraltro, aggiunse che l'inosservanza di tale onere determinava la nullità dell'appello e non la sua inammissibilità, "che nessuna norma prevede"; ed interpretò il richiamo all'art. 163 c.p.c., contenuto nel testo dell'art. 342 c.p.c., allora vigente come possibilità che la costituzione del convenuto appellato potesse sanare quella nullità, "con salvezza dei diritti anteriormente acquisiti". Le conclusioni raggiunte da tale pronuncia furono in sostanza confermate da queste Sezioni Unite nella successiva sentenza 20 settembre 1993, n. 9628. essa, dopo aver rilevato che l'appello non è un novum iudicium "con effetto devolutivo generale ed illimitato", ribadì la necessità che le ragioni su cui esso si fonda fossero esposte "con sufficiente grado di specificità, da correlare peraltro con la motivazione della sentenza impugnata: il che, se da un lato consente di affermare che il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale e assoluto, esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte a incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime". Si giunse, così, alla sentenza 29 gennaio 2000, n. 16, nella quale queste Sezioni Unite, componendo ulteriori contrasti insorti in argomento, in qualche modo rivisitarono l'orientamento di cui alla precedente decisione n. 4991 del 1987, pervenendo alla conclusione per cui la violazione dell'art. 342 c.p.c., "determina un vizio dell'atto da qualificare, in prima approssimazione, come invalidità". Indi, classificata l'invalidità in termini di irregolarità, ovvero di nullità, ovvero di inesistenza, la sentenza in esame rilevò che l'art. 164 c.p.c., non può trovare applicazione in tema di appello. Mentre in primo grado la costituzione del convenuto "sana i vizi dell'atto di citazione, perchè consente il raggiungimento dello scopo dell'atto", la costituzione dell'appellato nel giudizio di secondo grado non consente il raggiungimento dello scopo "di evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, attraverso la denuncia della sua pretesa ingiustizia". Di qui la conclusione per cui l'inapplicabilità dell'art. 164 cit. "non esclude che si sia in presenza di un atto nullo", nullità però non sanabile dalla costituzione dell'appellato "e rilevabile d'ufficio dal giudice, trattandosi di accertare la formazione del giudicato interno". Tale nullità fu ritenuta da sanzionare "con la pronuncia d'inammissibilità dell'appello proposto, proprio perchè il giudice, rilevato il vizio dell'atto, inducente il passaggio in giudicato della sentenza, non può non rilevare che il giudizio d'impugnazione non può giungere alla sua naturale conclusione e cioè al giudizio sulla denunciata ingiustizia della pronuncia impugnata". La pronuncia delle Sezioni Unite appena richiamata, quindi, teorizzò, pur ConTenzIoSo nAzIonALe in assenza di un'espressa previsione nel tessuto normativo allora vigente, l'inammissibilità dell'atto di appello redatto in forme non rispettose dell'art. 342 del codice di rito. 3.3. La giurisprudenza degli anni successivi si attenne in sostanza sempre a tale orientamento delle Sezioni Unite, confermando che la sanzione conseguente al mancato rispetto degli artt. 342 e 434 c.p.c., è quella dell'inammissibilità. Fu detto, ad esempio, che "il requisito della specificità dei motivi di appello postula che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza scindibili dalle argomentazioni che le sorreggono", per cui è indispensabile "che l'atto di appello contenga sempre tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione" (sentenza 30 luglio 2001, n. 10401); con la conseguenza che la mancanza di specificità conduce all'inammissibilità dell'appello (sentenze 21 gennaio 2004, n. 967). orientamento, questo, che è stato confermato da molte altre pronunce le quali, con diversità di accenti, hanno posto in luce che l'appello è una revisio prioris instantiae e non un novum iudicium, e che la necessità dell'indicazione, da parte dell'appellante, delle argomentazioni da contrapporre a quelle contenute nella sentenza di primo grado serve proprio ad incanalare entro precisi confini il compito del giudice dell'impugnazione, consentendo di comprendere con certezza il contenuto delle censure. Tutto questo, però, senza inutili formalismi e senza richiedere all'appellante il rispetto di particolari forme sacramentali (v., tra le altre, le sentenze 31 maggio 2006, n. 12984, 18 aprile 2007, n. 9244, 17 dicembre 2010, n. 25588, 23 ottobre 2014, n. 22502, 27 settembre 2016, n. 18932, e 23 febbraio 2017, n. 4695; tali principi hanno trovato conferma anche nelle sentenze di queste Sezioni Unite 25 novembre 2008, n. 28057, e 9 novembre 2011, n. 23299). 4. La modifica normativa del 2012 e la giurisprudenza successiva. 4.1. Con il D.L. n. 83 del 2012, come si è visto, il legislatore è intervenuto riscrivendo il testo degli artt. 342 e 434 del codice di rito. Il testo oggi vigente, applicabile agli atti di appello proposti successivamente alla data dell'11 settembre 2012, non contiene più il riferimento all'esposizione sommaria dei fatti e dei motivi specifici di impugnazione presente nel testo precedente, ma dispone che "la motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata". L'ordinanza interlocutoria ha ricordato che l'interpretazione dei citati articoli non è stata costante nella giurisprudenza di legittimità. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 Mentre, infatti, alcune sentenze, pur richiedendo all'appellante di "individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum", hanno escluso che il nuovo testo normativo imponga alla parte di compiere le proprie deduzioni in una determinata forma, magari ricalcando la decisione impugnata ma con diverso contenuto, altre sentenze hanno richiesto all'appellante una specificità ben maggiore, rilevando che l'impugnazione deve, per non essere inammissibile, offrire una "ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal primo giudice". Altre pronunce hanno invece letto le suindicate disposizioni nel senso che la parte appellante deve affiancare alla parte volitiva dell'impugnazione anche una parte argomentativa, "che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice". 4.2. Rilevano queste Sezioni Unite, innanzitutto, che la giurisprudenza di legittimità che si è andata pronunciando sulle norme introdotte nel 2012 non ha creato, in effetti, alcun contrasto interpretativo. La prima sentenza sull'argomento è, a quanto consta, la n. 2143 del 5 febbraio 2015, della Sezione Lavoro. essa ha evidenziato come la riscrittura della norma sul contenuto dell'atto di appello risponda ad un'esigenza di contenimento dei tempi processuali, ottenibile solo esigendo da parte dell'appellante il rispetto "di precisi oneri formali che impongano e traducano uno sforzo di razionalizzazione delle ragioni dell'impugnazione". Detti oneri devono "consentire di individuare agevolmente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere quindi l'ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono; sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre lo sviluppo di un percorso logico alternativo a quello adottato dal primo Giudice e devono chiarire in che senso tale sviluppo logico alternativo sia idoneo a determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte". Ha quindi aggiunto la Sezione Lavoro che la novella "ha, sostanzialmente e ragionevolmente, recepito e formalizzato gli approdi cui era giunta la giurisprudenza più recente, rendendone certa ed efficace la sanzione processuale". Queste Sezioni Unite, con la successiva sentenza 27 maggio 2015, n. 10878, pronunciata in relazione ad un ricorso per motivi di giurisdizione, hanno avallato e confermato tale orientamento, ribadendo che simile interpretazione è in linea con i risultati cui si era giunti a proposito del testo previgente dell'art. 342, più volte citato. La nuova norma, pertanto, senza rigori di forma, esige che "al giudice siano indicate, oltre ai punti e ai capi della decisione investiti dal gravame, anche le ragioni, correlate ed alternative rispetto a quelle che sorreggono la pronuncia, in base alle quali è chiesta la riforma, cosicchè il quantum appellatum resti individuato in modo chiaro ed esauriente". Ulteriori pronunce, più recenti, sono andate nella stessa direzione. Senza pretese di completezza, si possono richiamare l'ordinanza 5 maggio ConTenzIoSo nAzIonALe 2017, n. 10916, e la sentenza 16 maggio 2017, n. 11999, entrambe della Terza Sezione Civile. L'ordinanza n. 10916 ha affermato che il novellato art. 342 c.p.c., non esige dall'appellante nè la redazione di un progetto alternativo di sentenza, nè alcun "vacuo formalismo", nè una trascrizione integrale o parziale della sentenza impugnata. esso richiede, invece, "la chiara ed inequivoca indicazione delle censure" mosse alla pronuncia appellata, sia in punto di ricostruzione del fatto che di valutazione giuridica, con precisazione degli argomenti che si intendono contrapporre a quelli indicati dal primo giudice. La sentenza n. 11999, oltre ad escludere che l'atto di appello debba essere strutturato come una sentenza ovvero contenere un progetto alternativo di decisione, ha ribadito la perdurante differenza tra l'appello e le impugnazioni a critica vincolata, confermando che lo sforzo di razionalizzazione richiesto alla parte rende oggi inammissibile l'appello contenente solo una sommaria indicazione dei termini di fatto della controversia e delle ragioni per le quali è richiesta la riforma della sentenza. Detta pronuncia ha anche specificato che la riproposizione delle argomentazioni già svolte in primo grado non è di per sè indice di inammissibilità dell'appello, purchè sia articolata in modo da evidenziare gli errori nella ricostruzione del fatto o nell'applicazione delle norme che si imputano alla sentenza di primo grado. Unica pronuncia che potrebbe, peraltro solo a prima vista, apparire dissonante rispetto agli orientamenti ora delineati è la sentenza 7 settembre 2016, n. 17712, della Sezione Lavoro. essa, dopo aver rilevato che il termine "motivazione dell'appello" usato dal legislatore "è tipicamente proprio del provvedimento giudiziale", ha precisato che gli artt. 342 e 434 cit. esigono oggi la proposizione di una nuova e diversa ricostruzione del fatto; vi devono essere, quindi, una "pars destruens della pronuncia oggetto di reclamo" e "una par construens, volta ad offrire un progetto alternativo di risoluzione della controversia, attraverso una diversa lettura del materiale di prova acquisito o acquisibile al giudizio". Di qui la conclusione, richiamata anche nell'ordinanza interlocutoria, secondo cui l'atto di appello deve offrire una "ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal primo giudice". 5. La risposta al quesito. 5.1. Ritengono queste Sezioni Unite che gli approdi interpretativi ai quali la giurisprudenza della Corte è già pervenuta all'indomani della riforma del 2012 debbano essere oggi confermati, con le precisazioni che seguono. La modifica in questione, lungi dallo sconvolgere i tradizionali connotati dell'atto di appello, ha in effetti recepito e tradotto in legge ciò che la giurisprudenza di questa Corte, condivisa da autorevole e maggioritaria dottrina, aveva affermato già a partire dalla sentenza n. 16 del 2000 suindicata, e cioè che, ove l'atto di impugnazione non risponda ai requisiti stabiliti, la conseguente sanzione è quella dell'inammissibilità dell'appello. Ciò che il nuovo RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 testo degli artt. 342 e 434 cit. esige è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze; per cui, se il nodo critico è nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l'eventuale violazione di legge. ne consegue che, così come potrebbe anche non sussistere alcuna violazione di legge, se la questione è tutta in fatto, analogamente potrebbe porsi soltanto una questione di corretta applicazione delle norme, magari per presunta erronea sussunzione della fattispecie in un'ipotesi normativa diversa; il tutto, naturalmente, sul presupposto ineludibile della rilevanza della prospettata questione ai fini di una diversa decisione della controversia. va quindi riaffermato, recuperando enunciazioni di questa Corte relative al testo precedente la riforma del 2012, che nell'atto di appello deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. La maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze ivi contenute sarà, pertanto, diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di primo grado. ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in effetti vagliate, l'atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado; mentre è logico che la puntualità del giudice di primo grado nel confutare determinate argomentazioni richiederà una più specifica e rigorosa formulazione dell'atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa. L'individuazione di un "percorso logico alternativo a quello del primo giudice", però, non dovrà necessariamente tradursi in un "progetto alternativo di sentenza"; il richiamo, contenuto nei citati artt. 342 e 434, alla motivazione dell'atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio. Quello che viene richiesto -in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata -è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perchè queste siano censurabili. Tutto ciò, inoltre, senza che all'appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate. Ritengono queste Sezioni Unite, trattandosi della risoluzione di una questione di massima di particolare importanza che riveste una portata di sistema, di dover ribadire che la riforma del 2012 non ha trasformato, come alcuni hanno ipotizzato, l'appello in un mezzo di impugnazione a critica vincolata. L'appello è rimasto una revisio prioris instantiae; e i giudici di secondo grado sono chiamati in tale sede ad esercitare tutti i poteri tipici di un giudizio di ConTenzIoSo nAzIonALe merito, se del caso svolgendo la necessaria attività istruttoria, senza trasformare l'appello in una sorta di anticipato ricorso per cassazione. La diversità tra il giudizio di appello e quello di legittimità va fermamente ribadita proprio alla luce della portata complessiva della riforma legislativa del 2012 la quale, come ha osservato l'ordinanza interlocutoria, mentre ha introdotto un particolare filtro che può condurre all'inammissibilità dell'appello a determinate condizioni (artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.), ha nel contempo ristretto le maglie dell'accesso al ricorso per cassazione per vizio di motivazione; il che impone di seguire un'interpretazione che abbia come obiettivo non quello di costruire un'ulteriore ipotesi di decisione preliminare di inammissibilità, bensì quello di spingere verso la decisione nel merito delle questioni poste. D'altra parte, come ha giustamente posto in luce l'ordinanza n. 10916 del 2017, è una regola generale quella per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un'ipotesi residuale. nè deve dimenticarsi, come queste Sezioni Unite hanno già ribadito nella sentenza n. 10878 del 2015, che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all'accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, la sentenza CeDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia). 5.2. Deve essere, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: "Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado". 6. L'esame del ricorso. 6.1. Così ricostruiti i termini giuridici del problema, occorre procedere al- l'esame dell'unico complesso motivo di ricorso, tenendo presente che in simili casi la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale. Come queste Sezioni Unite hanno già affermato nella sentenza 22 maggio 2012, n. 8077, infatti, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un'attività deviante rispetto ad un modello RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 legale rigorosamente prescritto dal legislatore -come avviene nel caso odierno, relativo alla regolarità formale dell'atto di appello rispetto al suo modello legale -il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito. (...) Appare evidente a queste Sezioni Unite, dunque, che l'atto di appello era pienamente rispettoso della previsione dell'art. 342 c.p.c., e che pertanto il ricorso deve essere accolto. 7. Conclusione. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata. Il giudizio è rinviato alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione personale, la quale deciderà il merito dell'appello erroneamente dichiarato inammissibile, attenendosi al principio di diritto enunciato al punto 5.2. Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, il 10 ottobre 2017. ConTenzIoSo nAzIonALe La tutela dell’integrità del contraddittorio e della libertà personale nel procedimento di opposizione alla richiesta di archiviazione nota a Cassazione Penale, QUinta sezione, sentenza 5 settembre 2016, n. 36857 Elisabetta Chiarelli* sommario: 1. il caso -2. il principio del giusto processo e l’integrità del contraddittorio come corollario fondamentale - 3. il giusto processo come strumento di tutela dei valori costituzionali e il problema del “bilanciamento” - 4. la tutela del contraddittorio e il bilanciamento con l’inviolabilità della libertà personale alla luce della sentenza della Quinta sezione della Corte di Cassazione. 1. il caso. nei confronti dell’odierna ricorrente, esercente la professione di giornalista, sono state svolte indagini preliminari per il delitto di cui all’articolo 595 del codice penale, commesso nei confronti di un attivista locale, impegnato nelle politiche per il territorio. Ad esito delle predette indagini, la Pubblica Accusa ha ritenuto non fondata la notizia di reato. In particolare, l’Autorità ha ritenuto che la condotta tenuta dall’indagata non costituisse reato, bensì legittimo esercizio del diritto di critica. Di conseguenza, ha proposto istanza di archiviazione delle indagini. Avverso la predetta richiesta è stata proposta opposizione. Ad esito del procedimento così attivato, il Giudice per le indagini preliminari ha invece rilevato la fondatezza della notizia di reato, ma altresì riscontrato la non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ex articolo 131 bis del codice penale. Il Giudicante ha infatti valutato come l’indagata avrebbe dovuto semplicemente prestare più cura nel verificare l’attendibilità del fatto propalato e relativo in particolare alla circostanza per cui l’attivista non avrebbe corrisposto le somme dovute per l’affissione di taluni manifesti, e correlativamente, avrebbe dovuto far uso di un linguaggio più controllato. Quanto all’ordinanza in oggetto, la ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione censurando in particolare la violazione del suo diritto di difesa, ex articolo 24 della Costituzione. La ricorrente ha più esattamente rilevato come l’ordinanza di archiviazione impugnata si fondasse su presupposti diversi da quelli per i quali è stata avanzata richiesta di archiviazione; in particolare, ha rimarcato come il provvedimento de quo si fondasse sulla valutazione (che l’indagata avrebbe inteso contestare in sede di opposizione) per cui il reato previsto all’articolo 595 del codice penale sarebbe stato in realtà commesso, seppure connotato da particolare tenuità. (*) Riceviamo e pubblichiamo la presente nota a sentenza della dott.ssa Elisabetta Chiarelli, già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato (n.d.r.). RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 La Cassazione, Quinta Sezione Penale, con sentenza del 7 luglio 2016, depositata il 5 settembre 2016, n. 36857 si è occupata della seguente questione: se il principio dell’integrità del contraddittorio, previsto dall’articolo 111 della Costituzione possa dirsi rispettato, qualora sia disposta dal Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione per la particolare tenuità del fatto, ex articolo 131 bis, anche in mancanza di un’espressa richiesta in tal senso da parte della Pubblica Accusa nel quadro dell’istanza di archiviazione. L’interesse della sentenza in commento emerge con particolare evidenza poiché pone un problema di bilanciamento tra valori costituzionalmente rilevanti, coinvolti nel procedimento penale, quali, l’integrità del contraddittorio e l’inviolabilità della libertà personale. 2. il principio del giusto processo e l’integrità del contraddittorio come corollario fondamentale. Il principio del giusto processo, introdotto all’articolo 111 della Costituzione, in virtù della Legge Costituzionale del 23 novembre 1999 n. 2, prevede espressamente nei primi due commi: “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. la legge ne assicura la ragionevole durata”. La “rivoluzione copernicana” insita in queste disposizioni attiene ad un profilo metodologico. L’osservanza delle regole che presidiano lo svolgimento del processo penale costituisce un obiettivo prioritario rispetto al traguardo di ottenere una verità “ad ogni costo” in punto di accertamento della responsabilità penale. Il processo penale è infatti un sistema di regole tecniche, volte a definire i comportamenti dei soggetti che vi partecipano. Pertanto, posto che in relazione a ciascuno dei protagonisti della vicenda processuale la relativa area di intervento è ben delimitata, “ciò che ad essi non è espressamente consentito fare è vietato”. Il processo penale è pertanto il sistema di regole con cui lo Stato, nell’esercizio dei suoi poteri autoritativi autolimita la propria sovranità nei confronti del privato cittadino allorquando se ne debba accertare la responsabilità penale. È, più in particolare, un sistema di valori costituzionalmente rilevanti, relativi alle libertà individuali fondamentali, inevitabilmente coinvolte nel fenomeno processuale e che le regole, a fondamento di questo, mirano a presidiare. osservare le predette regole è pertanto garanzia del risultato accertativo, è un presupposto fondamentale per giungere ad una verità processuale che sia il più possibile prossima alla verità sostanziale. Il principio di legalità processuale, sancito all’articolo 111 della Costituzione, segna pertanto il tramonto del “mito del giudicato” e dell’infallibilità del Giudicante. Quest’ultimo, preposto al controllo circa l’osservanza della legge quanto all’esercizio delle iniziative processuali, non può quindi dirsi “legibus solutus” nella formazione del suo libero convincimento. Un risultato accertativo “giusto”, ossia prossimo alla verità ConTenzIoSo nAzIonALe sostanziale, è infatti anche equo. È un risultato che si ottiene consentendo a ciascuna delle parti processuali (Pubblica Accusa e imputato) di esporre le proprie ragioni e di contribuire alla formazione della prova a fondamento della decisione di merito, dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale (ossia, equidistante dagli interessi di parte). In base a quanto esposto, si evince pertanto come l’attuazione di un giusto processo non possa prescindere dall’integrità del contraddittorio e dal metodo dialettico nella formazione della prova. Ciò è espresso chiaramente ai commi tre, quattro e cinque dell’articolo 111 della Costituzione. Il terzo comma prevede infatti nella sua seconda parte che “nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato … abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione o l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore…”. “Parità delle armi” significa, come è ovvio, in conformità al principio di uguaglianza e al suo corollario, principio di ragionevolezza, che anche le prove prodotte dall’imputato sono soggette, alla stregua di quelle fornite dal Pubblico Ministero, al vaglio giudiziale di ammissibilità (1). Al quarto comma dell’articolo 111 è inoltre specificato “expressis verbis” che: “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte del- l’imputato o del suo difensore”. La sanzione comminata dall’ordinamento è pertanto l’inutilizzabilità delle predette dichiarazioni (2). eccezioni al principio del contraddittorio nella formazione della prova sono pur sempre regolate dalle legge, come è espressamente enunciato al quinto comma dell’articolo 111 (3): “la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita”. È pertanto inammissibile qualunque preclusione all’ammissibilità della (1) M. BARGIS, Prime osservazioni sulla modifica dell’art. 111 Cost., in eAD., studi di diritto processuale penale. “Giusto processo” italiano e Corpus juris europeo, Torino, 2002, 45; M. CHIAvARIo, voce Giusto processo, in Diritto processuale penale, ed. vI, Collana Manuali universitari, UTeT Giuridica, 2015; C. ConTI, l’imputato nel procedimento connesso alla luce del giusto processo, in A.A.v.v., la prova penale, G. Gappichelli editore, Torino, 2013. (2) Corte Cost., Sent. n. 184 del 2009. (3) C. CeSARI, “Giusto processo”, contraddittorio ed irripetibilità degli atti d’indagine, in riv. it. dir. proc. pen., 2001, 75; G. GIoSTRA, analisi e prospettive di un modello probatorio incompiuto, in Quest. giust. 2001, 1130; A. MAMBRIAnI, Giusto processo e non dispersione delle prove. i diversi equilibri del processo penale tra scopo conoscitivo e metodo dialettico, Piacenza, 2002; S. RUGGeRI, accertata impossibilità di natura oggettiva ed irripetibilità degli atti: qualche spunto per una ricostruzione verfassungs konform, in Giur. it., 2002, 1770. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 prova prodotta dall’imputato o qualsivoglia restrizione dell’oggetto di questa, che non sia giustificata da una valutazione d’inutilizzabilità o di manifesta superfluità alla luce della “voluntas legis”. opinare diversamente significherebbe destituire di fondamento il diritto di difesa, enucleato all’articolo 24 della Costituzione e confinare l’imputato ad una condizione di “mera aspettativa” quanto alle determinazioni discrezionali del Giudicante. L’esigenza di assicurare un equilibrio tra le parti processuali spiega perché a fronte di una fase procedimentale, connotata dalla preponderanza del ruolo dell’Accusa (quanto alle indagini preliminari) è prevista l’attivazione di controlli da parte della difesa, esplicabili, in particolare, mediante le investigazioni difensive, ovvero, attraverso i rimedi impugnatori e la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello. Alla luce di quanto esposto si evince come il principio di giusto processo, enucleato all’articolo 111 della Costituzione, ed i suoi diretti corollari (in particolare, i principi di legalità processuale e di integrità del contraddittorio) costituiscano costantemente un parametro di verifica circa la conformità rispetto ai valori costituzionali del sistema processuale, a tratti connotato da un garantismo ridondante e spesso “di facciata” (4). 3. il giusto processo come strumento di tutela dei valori costituzionali e il problema del “bilanciamento”. È riduttivo qualificare il procedimento penale come una sequenza di atti che dall’acquisizione della “notitia criminis” si snodi sino alla sentenza di merito definitiva (poiché passata in giudicato). È piuttosto l’intreccio tra il compimento di atti (la cui forma è normativamente predeterminata) e le situazioni giuridiche soggettive (normalmente, di potere e dovere) che li correlano all’autore. Il processo penale è pertanto un fenomeno che coinvolge i valori fondamentali della persona, presidiati dalla Costituzione. La tutela di questi valori è prioritaria rispetto al conseguimento del risultato (l’accertamento della responsabilità penale) e al contempo è garanzia dell’attendibilità di esso. ne consegue pertanto che il problema del “bilanciamento” dei valori in oggetto è in realtà soltanto apparente. Assicurare, ad esempio, una ragionevole durata del processo (ossia, la rapidità nell’accertamento della responsabilità penale) è un obiettivo che non può senz’altro prescindere dalla legalità processuale, principio, di cui tra l’altro, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto il rango sovranazionale (5). (4) Corte eur., Sent. 1 marzo 2006, sejodovic c. italia, Corte eur., Sent. 1 dicembre 2006, zuric c. italia. (5) Corte Cost., Sent. n. 317 del 2009. ConTenzIoSo nAzIonALe 4. la tutela del contraddittorio e il bilanciamento con l’inviolabilità della libertà personale alla luce della sentenza della Quinta sezione della Corte di Cassazione. Il problema relativo al bilanciamento tra valori costituzionali coinvolti nel processo penale (nel caso di specie, l’integrità del contraddittorio e l’inviolabilità della libertà personale) ha indotto la Corte di Cassazione a statuire per l’illegittimità dell’ordinanza di archiviazione emessa dal Giudice per le indagini preliminari. La Corte ha infatti evidenziato come, sebbene la norma all’articolo 411 del codice di rito ammetta l’archiviazione per la particolare tenuità del fatto, ex articolo 131 bis del codice penale, tuttavia, alla luce del comma 1 bis della stessa norma, ad una siffatta situazione non si possa pervenire se non sia stato attivato il contraddittorio sul punto, ossia, se l’esclusione della punibilità in tal senso, non formi oggetto di un’espressa richiesta d’archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero. In sostanza, alla Quinta Sezione è stato posto il seguente quesito: se l’esigenza di assicurare tempestivamente l’“exit processuale” dell’indagata e, quindi, il tempestivo ripristino della sua libertà personale, dovesse cedere il passo all’integrità del contraddittorio. La posizione espressa dalla Quinta Sezione in tale sentenza, prevede che “il provvedimento di archiviazione previsto dall’art. 411, comma 1, cod. proc. pen., anche per l’ipotesi di non punibilità della persona sottoposta alle indagini ai sensi dell’art. 131 bis cod. proc. pen. per particolare tenuità del fatto, è nullo se non si osservano le disposizioni processuali previste dall’art. 411, comma 1 bis, cod. proc. pen., non garantendo il necessario contraddittorio sul punto le più generali disposizioni previste dagli artt. 408 e seguenti cod. proc. pen. ..”. Siffatte conclusioni non sono tuttavia condivisibili, proprio sotto un profilo sistematico. A “prima facie” emerge la contraddittorietà del ragionamento seguito dalla Suprema Corte, alla luce, proprio, del 411 bis del codice di rito. La norma de qua infatti, inquadra un’ipotesi specifica di richiesta di archiviazione, qualora, cioè, la Pubblica Accusa rilevi la particolare tenuità del fatto. Quanto all’ipotesi in oggetto, il legislatore si preoccupa di assicurare la possibilità di esperire opposizione e quindi di attivare un contraddittorio, alla stregua di tutti gli altri casi in cui si avanzi una richiesta di archiviazione. nel caso di specie, il contraddittorio si è oltretutto svolto nel procedimento d’opposizione avviato dall’offeso. L’esigenza di assicurare, a ripristino della libertà personale l’“exit” tempestivo dell’indagato (o dell’imputato) dal procedimento penale, è d’altronde inderogabile. Quanto evidenziato si evince espressamente dall’articolo 129 del codice di rito. Tale norma prevede infatti che nel caso in cui si accerti la non punibilità per ragioni in rito o in merito, debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere in ogni stato e grado del giudizio. La priorità assunta dalla tutela della libertà personale traspare anche dal disposto enucleato all’articolo 358 del codice di rito. In base alla norma in oggetto è obbligo del Pubblico Ministero, in conformità all’ar RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 ticolo 111, terzo comma della Costituzione, acquisire tanto gli elementi a carico (ossia, tesi a dimostrare la colpevolezza), quanto gli elementi a discarico dell’imputato indagato (6). Se a tale obbligo di tutela della libertà personale il Pubblico Ministero non vi assolve, spetta al Giudicante provvedervi secondo le proprie attribuzioni. Dalla ratio sottesa all’articolo 411 del codice di rito emerge inoltre, come la particolare tenuità del fatto sia un elemento ostativo alla “procedibilità”, di portata pressoché oggettiva, alla stregua di una causa estintiva del reato. La pronuncia della Quinta Sezione pertanto, sconta un’evidente miopia interpretativa, in quanto i principi costituzionali coinvolti nel processo penale debbono essere intesi con “elasticità”, ossia in costante rapporto gli uni con gli altri. non deve essere quindi mai smarrita una visione d’insieme, posto che la garanzia della libertà fondamentale della persona è un obiettivo pur sempre prioritario, anche rispetto all’accertamento della responsabilità penale. Cassazione penale, Sezione V, sentenza 5 settembre 2016 n. 36857 -Pres. Fumo, rel. Scar- lini. RITenUTo In FATTo 1 - Con ordinanza del 4 febbraio 2016 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Larino disponeva l'archiviazione del procedimento intentato contro G.R. in ordine al delitto di cui all'art. 595 cod. pen., consumato l’8 marzo 2014 a danno di v.F. che, notiziato della richiesta di archiviazione del pubblico ministero (basata sulla non configurabilità del delitto) aveva presentato opposizione, ritenendo, all'esito dell'udienza camerale, il fatto di particolare tenuità ai sensi e per gli effetti dell'art. 131 bis cod. pen. Il Giudice rilevava che la R. non aveva controllato sufficientemente la verità del fatto propalato, ovverossia che F. non avesse corrisposto quanto dovuto per delle affissioni e, nell'occasione, non aveva adottato un linguaggio contenuto. La non particolare gravità dell'addebito e l'incensuratezza dell'indagata consentivano però di applicare l'art. 131 bis cod. pen. 2 - Propone ricorso l'indagata G.R. 2 - 1 - Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed in particolare degli artt. 127, 411 bis cod. proc. pen. e 24 Cost. L'indagata, chiamata a discutere sulla opposizione alla richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero per motivi attinenti al merito, si era trovata ad essere destinataria di un provvedimento di archiviazione per un diverso motivo, che, al contrario, presupponeva la commissione del fatto. era stato così violato il suo diritto a difendersi. La particolarità dell'archiviazione prevista per la particolare tenuità del fatto era dimostrata dalla particolare procedura prevista dall'art. 411 comma 1 bis cod. proc. pen. proprio per l'ar- (6) Corte eur., Sent. 14 marzo 2002, edwards c. regno Unito; Corte eur., Sent. 27 luglio 2000, Pisano c. italia; in prospettiva di metodo già Corte eur., Sent. 24 novembre 1993, imbrioscia c. svizzera. Sull’efficacia delle indagini v. Corte eur., Sent. 18 maggio 2010, anusca c. moldavia. ConTenzIoSo nAzIonALe 71 chiviazione disposta ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen., non ostandovi il fatto che, ai sensi dell'art. 651 bis cod. proc. pen., quel giudizio, in ordine alla sussistenza del reato, non faccia stato nel processo civile. e dall'art. 469 comma 1 bis da cui deve ricavarsi che la sentenza di proscioglimento, anche se pronunciata ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen., debba essere preceduta dall'audizione delle parti, ed in specie dell'indagato, sul punto, in apposita udienza in camera di consiglio. 2 - 2 - Con il secondo motivo lamenta l'abnormità della decisione in quanto la medesima non era stata richiesta dal pubblico ministero. 2 - 3 - Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e l'omessa motivazione in ordìne alla mancata risposta del giudice alle eccezioni preliminari avanzate ai sensi dell'art. 410 cod. proc. pen. nella memoria. Si era infatti rilevato che, nell'opposizione, non si erano indicate le investigazioni ulteriori ritenute necessarie. Un elemento previsto a pena di inammissibilità dell'opposizione della persona offesa. 3 - Il Procuratore generale di questa Corte chiede l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con restituzione degli atti al Tribunale di Larino, sezione per i giudici delle indagini preliminari, ritenendo fondati i motivi di ricorso. ConSIDeRATo In DIRITTo Il ricorso è fondato. 1 -Il pubblico ministero aveva richiesto l'archiviazione del procedimento instaurato nei confronti di G.R. ritenendo che costei non avesse consumato il delitto di diffamazione ai danni di v.F., posto che l'indagata, nel pubblicare un articolo di critica dell'operato del F., impegnato in politica in quel territorio, aveva esercitato il diritto di critica, rispettando i canoni della continenza delle espressioni usate e della verità della notizia riportata. Di tale richiesta si dava avviso alla persona offesa, che presentava rituale atto di opposizione. Il Giudice fissava l'udienza in camera di consiglio per la discussione sulla richiesta del pubblico ministero e sull'opposizione formulata dalla persona offesa. Si era pertanto seguita la procedura prevista dagli artt. 408, 409 e 410 cod. proc. pen. Il giudice disattendeva la richiesta del pubblico ministero, ritenendo che sussistessero, allo stato, gli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di diffamazione aggravata contestata, ma concludeva per l'archiviazione del procedimento ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen., trattandosi di un fatto di particolare tenuità. Argomentava il giudice che il dettato dell'art. 411, comma 1, cod. proc. pen., gli consentiva di disporre l'archiviazione anche per motivi diversi da quelli individuati nella richiesta della pubblica accusa. e, quindi, anche in riferimento all'ipotesi prevista dall'art. 131 bis cod. pen., espressamente citata in tale disposizione. 2 - La decisione del giudice è però errata, ed il provvedimento è nullo, perché si è violata la specifica disposizione contenuta nel comma 1 bis del citato art. 411 cod. proc. pen., in cui si richiede che, l'eventuale provvedimento di archivìazione ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen., sia preceduto da apposita richiesta in tal senso del pubblico ministero, richiesta che deve essere portata a conoscenza delle parti (sia dell'indagato sia della persona offesa, anche se quest'ultima non ne ha fatto, in precedenza, esplicita richiesta), in modo che, all'udienza in camera di consiglio, il contradditorio fra le parti si svolga proprio su tale questione. Le particolarità della ricordata procedura rispondono alle caratteristiche tipiche dell'istituto: RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 alla decisione positiva sulla sussistenza del fatto reato (che l'indagato ha comunque interesse a contrastare), alla valutazione del danno causato (di evidente interesse per qualsiasi persona offesa, e non solo per chi abbia chiesto di essere notiziata dell'eventuale archiviazione). 3 - Si deve pertanto fissare il seguente principio di diritto: "il provvedimento di archiviazione previsto dall'art. 411, comma 1, cod. proc pen. anche per l'ipotesi di non punibilità della persona sottoposta alle indagini ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen. per particolare tenuità del fatto, è nullo se non si osservano le disposizioni processuali speciali previste dall'art. 411, comma 1 bis, cod. proc. pen., non garantendo i1 necessario contraddittorio sul punto le più generali disposizioni previste dagli artt. 408 e seguenti cod. proc. pen.". 4 - Il provvedimento impugnato va pertanto annullato e l'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l'assorbimento delle residue censure. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Larino, ufficio dei giudici per le indagìni preliminari per il corso ulteriore. Così deciso in Roma, il 7 luglio 2016. ConTenzIoSo nAzIonALe I limiti della legittima difesa nei luoghi di privata dimora, ovvero destinati all’esercizio dell’attività commerciale, professionale o imprenditoriale nota a Cassazione Penale, QUinta sezione, sentenza 25 settembre 2017, n. 44011 Elisabetta Chiarelli sommario: 1. il caso -2. i presupposti della legittima difesa previsti all’articolo 52, comma 1, del codice penale - 3. i presupposti della legittima difesa nel luogo di privata dimora, ovvero nei luoghi destinati all’esercizio di un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale - 4. i presupposti per l’applicazione dell’istituto della legittima difesa alla luce della sentenza della Quinta sezione della Corte di Cassazione. 1. il caso. nei confronti dell’odierno ricorrente, esercente la professione di gestore di un bar, è stata confermata dalla Corte d’Appello la sentenza pronunciata dal Tribunale di Civitavecchia con la quale l’anzidetta Autorità Giudiziaria condannava l’interessato per tentato omicidio ex artt. 56 -575 del codice penale. nel caso di specie, il ricorrente ha colpito con un coltello utilizzato per tagliare il ghiaccio un cliente con il quale si era svolta una colluttazione. In particolare, il cliente era rientrato nel bar, gestito dal ricorrente, dopo aver ascoltato alcuni apprezzamenti che il gestore aveva espresso nei confronti della sua donna. A seguito del gesto compiuto dal cliente che aveva scagliato il suo casco da motociclista contro un distributore di caramelle, ne è scaturito uno scontro fisico tra il cliente e l’odierno ricorrente il quale, raggiunto dal primo dietro il bancone del bar, ha afferrato un fendente e lo ha colpito nella zona paracardiaca. Avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello, con la quale è stata esclusa l’applicazione nei confronti del ricorrente della legittima difesa e la violazione degli articoli 52 e 55 del codice penale, il ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione. La Suprema Corte, ribaditi i presupposti della legittima difesa previsti in particolare all’articolo 52, primo comma del codice penale, ha investito la Corte d’Appello, quale giudice del rinvio, con sentenza Sez. 1, n. 23221 del 27 maggio 2010 depositata il 16 giugno 2010 all’esito del giudizio rescindente. La Corte d’Appello che aveva il compito di accertare nel giudizio di rinvio se il cliente si fosse introdotto nel locale del ricorrente contro la sua volontà, ha invece rilevato che l’offeso si era tolto il casco successivamente al suo ingresso nel bar. Pertanto, la Corte d’Appello rilevava che dalle dinamiche del fatto non risultava in alcun modo che il comportamento posto in essere dal ricorrente costituisse una reazione difensiva necessitata, volta cioè a far fronte al pericolo RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 attuale di un’offesa non altrimenti evitabile ai sensi dell’articolo 52 del codice penale, come riformulato dalla novella legislativa n. 59 del 13 febbraio 2006. Avverso questa sentenza il ricorrente ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando in particolare che il giudice del rinvio aveva omesso di valutare talune risultanze istruttorie (con particolare riferimento ad alcuni apporti dichiarativi acquisiti nell’istruttoria dibattimentale). Dalle risultanze in oggetto, infatti, era possibile a suo dire, riscontrare la ricorrenza nel caso di specie, dei presupposti richiesti all’articolo 52, primo comma del codice penale. La Cassazione, Quinta Sezione Penale, con sentenza del 25 settembre 2017, n. 44011 si è occupata della seguente questione: se ogni situazione di pericolo che si concretizzi nel luogo di privata dimora o nel posto in cui è esercitata un’attività professionale, commerciale o imprenditoriale, possa giustificare la reazione difensiva realizzata, ai sensi dell’articolo 52, primo comma del codice penale. L’interesse della sentenza in commento emerge con particolare evidenza poiché riconduce al bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel caso concreto l’individuazione dei presupposti per giustificare la reazione difensiva realizzata nei luoghi anzidetti. 2. i presupposti della legittima difesa previsti all’articolo 52, comma 1, del codice penale. Ai sensi dell’articolo 52, primo comma “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. L’offesa deve essere più che “contra ius”, “non in iure” ossia non contemplata dall’ordinamento (1). non è quindi scriminato il comportamento se realizzato a fronte dell’intervento del pubblico ufficiale che, ad esempio, proceda ad un arresto. In tal caso, non è assolutamente possibile opporsi al comportamento posto in essere dal pubblico ufficiale. esso, se pur incisivo sull’altrui diritto (alla tutela della libertà personale) è realizzato infatti in conformità alla “voluntas legis”. È invece scriminato il comportamento posto in essere a fronte del pericolo attuale di un’offesa perpetrata da un soggetto “immune”, ossia non punibile (come nel caso previsto all’articolo 90 della Costituzione). Il pericolo dell’offesa deve essere attuale; deve essere cioè contestuale al comportamento difensivo realizzato. non deve essere quindi né passato, né futuro (2). Il requisito dell’attualità sussiste ad ogni modo anche a fronte di un reato permanente (come ad esempio, il sequestro di persona a scopo di (1) Si rimanda a MAnTovAnI, Diritto penale, 2001, ed. Cedam. ConTenzIoSo nAzIonALe estorsione, previsto all’articolo 630 del codice penale). Il pericolo attuale deve concernere l’offesa ad un diritto proprio o altrui. Per diritto si intende una situazione giuridica soggettiva prevista dall’ordinamento a tutela di un determinato interesse, di natura personale o patrimoniale. Quanto al requisito della necessità del comportamento difensivo posto in essere, esso consiste nel fatto che l’agente non deve poter disporre nel caso concreto del “commodus discessus” della fuga. Ad una tale opzione ermeneutica si è pervenuti a seguito dell’avvicendarsi di diversi orientamenti interpretativi. Secondo un primo indirizzo ermeneutico, non poteva domandarsi al- l’agente di non difendersi a fronte del pericolo attuale di un’offesa ingiusta, vincolandolo quindi ad optare in ogni caso per la fuga. viceversa, secondo un indirizzo del tutto opposto, l’agente avrebbe comunque dovuto optare per la fuga anziché per la reazione difensiva. Da una siffatta interpretazione poteva tuttavia scaturire un eccessivo “favor” nei confronti dell’aggressore. L’opzione ermeneutica più opportuna è senza dubbio la seguente. Il comportamento è scriminato in ogni caso in cui non sia possibile in alcun modo evitare il concretizzarsi dell’offesa (3). Pertanto, laddove per l’agente fosse agevole allontanarsi dall’aggressore, il fatto posto in essere non può essere scriminato (4). Ad esempio, non è certo scriminato il comportamento posto in essere da chi, a bordo di un’automobile sia stato provocato da un altro soggetto intenzionato ad addivenire ad uno scontro fisico. In tal caso, il comportamento “difensivo” realizzato è reato perché per l’agente che si trovava a bordo di un’automobile sarebbe stato più agevole evitare il concretizzarsi dell’offesa proseguendo nella guida dell’autovettura, allontanandosi in tal modo dal suo aggressore. Il pericolo non deve essere provocato. Quindi, non può dirsi scriminato il comportamento posto in essere nell’ambito di una rissa, a meno che non ricorra l’ipotesi di un’ “escalation” di violenza (è il caso in cui una semplice “scazzottata” degeneri nell’uso di un coltello da parte di uno dei corrissanti). Relativamente al requisito di proporzionalità richiamato all’articolo 52, (2) Si rimanda a: Cass. I, 29 luglio 1999, in Cass. pen. 2000; Cass. Sez. I, 15 marzo 2000 in Cass. pen. 2000. (3) Si rimanda a FIAnDACA - MUSCo, Diritto penale, parte generale, ed. zanichelli, 2014; Cass. Sez. I, 13 giugno 1994, in Cass. pen. 1995. (4) Si rimanda a: MAnzInI, trattato di diritto penale italiano II, 1981. ed. Utet; PAGLIARo, Principi di diritto penale, 1998, ed. Giuffré; Cass., 24 novembre 1978, in CeD; Cass., 23 aprile 1981, in Cass. pen. 1982; Cass., 28 maggio 1982, in Cass. pen. 1983; Cass., 16 novembre 1982, in CeD; Cass., 9 maggio 1992, in CeD; Cass., 8 ottobre 1992, in Cass. pen. 1994; Cass., 8 ottobre 1992, in CeD; Cass., 1 luglio 1996, in Cass. pen. 1977; Cass., 23 gennaio 1992, in CeD. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 esso concerne il rapporto tra offesa e difesa. non concerne, pertanto, essenzialmente il rapporto tra beni giuridici. Infatti, non sempre, a fronte del pericolo attuale in un’offesa al proprio o all’altrui diritto, che consista, ad esempio, in un’aggressione al patrimonio, corrisponde una reazione difensiva che incida sul medesimo bene. Talvolta, in un caso del genere il bene inciso dall’agente che si difenda dal pericolo attuale dell’offesa può riguardare l’incolumità fisica dell’aggressore. In tal caso infatti, si tratta di verificare se l’agente ha posto in essere un comportamento difensivo che per quanto incida sul bene dell’incolumità fisica dell’aggressore, sia stato realizzato in misura tale da impedire all’antagonista di offendere il proprio o l’altrui diritto. Il rapporto di proporzionalità non può pertanto tradursi semplicemente nella relazione tra i mezzi utilizzati dall’agente e dall’aggressore poiché nel caso concreto essi sono spesso diversi. Quindi, il rapporto di proporzionalità non può che concernere tanto i beni quanto i mezzi utilizzati. È fondamentale quindi guardare alle dinamiche con le quali si svolge la vicenda in concreto (5). Riscontrare il difetto dei presupposti previsti all’articolo 52, primo comma del codice penale, implica pertanto che l’agente venga punito per aver realizzato il reato con dolo, ossia, con la coscienza e la volontà di ledere l’altrui diritto o per eccesso colposo previsto all’articolo 55 del codice penale. Alla luce di quest’ultima norma, l’agente è punito per il compimento del reato a titolo di colpa (sempreché il fatto realizzato sia punibile come delitto colposo secondo la “voluntas legis” ) poiché il comportamento è posto in essere nella “colposa inosservanza” dei limiti della situazione scriminante. Si pensi al caso in cui per negligenza, imprudenza o imperizia l’agente addivenga ad un utilizzo “leggero” dell’arma usata per difendersi. 3. i presupposti della legittima difesa nel luogo di privata dimora, ovvero nei luoghi destinati all’esercizio di un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Ai sensi dell’articolo 52, secondo comma del codice penale è stabilito che “nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzionalità di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; (5) Si rimanda a PADovAnI, voce Difesa legittima, in Digesto penale vol. III, UTeT, Torino, 1989, pp. 496 - 500; RoMAno, in RoMAno - GRASSo, Commentario sistematico del codice penale, 1996, ed. Feltrinelli. ConTenzIoSo nAzIonALe b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione”. Parimenti, al terzo comma è previsto che “la disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”. I luoghi di privata dimora che rilevano ai sensi dell’articolo 52, secondo comma del codice penale, sono individuati “per relationem” rispetto al contenuto della norma prevista all’articolo 614 del codice penale. La nozione di “privata dimora” è quindi ampia. essa ricomprende non soltanto il luogo di abitazione, ma anche ulteriori luoghi come quelli relativi al possesso di camper, baite o baracche. La previsione enucleata al terzo comma dell’articolo 52, nel ricomprendere i luoghi destinati all’esercizio dell’attività professionale, imprenditoriale o commerciale, implica che, ai fini di delimitare l’ambito applicativo della norma, relativamente ai commi 2 e 3, si deve fare riferimento ai luoghi in cui si esplichi anche saltuariamente la personalità dell’individuo. Pertanto, il comportamento scriminato ai sensi dell’articolo 52, commi 2 e 3 del codice penale è posto in essere da chi ha il diritto di escludere altri dal- l’accesso ai predetti luoghi (come si evince “per relationem” dal testo enucleato all’articolo 614 del codice penale). Il diritto di escludere altri dall’accesso ai luoghi anzidetti non appartiene pertanto solo al proprietario, ma anche a chi vi sia presente secondo la volontà del titolare. Quanto al legittimo uso delle armi, il legislatore richiede essenzialmente che il possesso di esse sia autorizzato. Pertanto, non è necessario il possesso del porto d’armi. non è inoltre necessario che vi sia una coincidenza tra chi realizza il comportamento scriminato e chi possiede le armi utilizzate. Il riferimento a “qualsiasi mezzo idoneo” implica che il comportamento preso in considerazione dalla norma può essere realizzato non soltanto attraverso l’uso delle armi, ma anche attraverso l’uso delle mani nude e dell’energia cinetica che da esse sprigiona. Relativamente al rapporto di proporzionalità tra offesa e difesa, esso è assunto dal legislatore come esistente. Tuttavia, ciò non impedisce al giudice di accertare in concreto se sussistono i presupposti della legittima difesa (6). essi sono pur sempre quelli previsti al primo comma dell’articolo 52 del codice penale. La Cassazione è concorde nel ritenere che il comportamento posto in es (6) Si rimanda a PALAzzo, Corso di diritto penale, Torino, 2006, ed. Giappichelli. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 sere per tutelare i propri o gli altrui beni debba essere pur sempre finalizzato a tutelare la propria o l’altrui persona. Quanto appena enunciato si evince dal riferimento compiuto nella norma alla sussistenza di un pericolo di aggressione e alla mancanza di una desistenza da parte dell’aggressore. 4. i presupposti per l’applicazione dell’istituto della legittima difesa alla luce della sentenza della Quinta sezione della Corte di Cassazione. Relativamente al quesito se ogni situazione di pericolo che si prospetti nel luogo di privata dimora o destinato all’esercizio dell’attività professionale, industriale o commerciale possa giustificare la reazione difensiva posta in essere, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha correttamente statuito che “.. la causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma 2, cod. pen., così come delineata dall’art. 1, l. 13 febbraio 2006, n.59, non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco nell’ambiente domestico, alla propria e altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione”. Affermare che la presunzione enunciata dal legislatore relativamente alla proporzionalità tra offesa e difesa, sia assoluta (nei casi previsti ai commi due e tre ) significherebbe violare il principio di uguaglianza sancito all’articolo 3 della Costituzione e sovvertire il rapporto gerarchico tra i beni giuridici espresso nella Carta Fondamentale. nel caso di specie, pertanto, risultano del tutto assenti i presupposti richiesti all’articolo 52 del codice penale per configurare la legittima difesa. È senza dubbio evidente dai fatti di causa che l’agente, in relazione al fatto che l’avversario avesse scagliato il proprio casco contro il distributore di caramelle ubicato nel suo locale, ha colpito con un coltello l’antagonista non per far fronte al pericolo attuale di un’offesa alla propria persona, non altrimenti evitabile. L’agente ha proditoriamente realizzato il comportamento in oggetto per recare un pregiudizio nei confronti del suo antagonista con il quale, per l’appunto, era in atto una colluttazione. In conclusione, la Suprema Corte, in linea di continuità con l’orientamento seguito dalla giurisprudenza di legittimità, ribadisce il principio secondo cui l’istituto della legittima difesa, disciplinato all’articolo 52 del codice penale, deve essere applicato dall’interprete con rigore, in riferimento alle dinamiche del caso concreto. In definitiva, il bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nelle dinamiche “de quibus” costituisce il fulcro dell’interpretazione e dell’applicazione dell’intera disciplina normativa in materia di legittima difesa (7). ConTenzIoSo nAzIonALe Cassazione penale, Sezione Quinta, sentenza 25 settembre 2017 n. 44011 -Pres. Paolo Antonio Bruno, rel. Irene Scordamaglia. RITenUTo In FATTo 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma, quale giudice del rinvio da questa Corte, ha confermato la sentenza del Tribunale di Civitavecchia in data 27 ottobre 2008, come riformata dalla sentenza della Corte di appello di Roma del 8 giugno 2009, che aveva condannato alla pena di anni sette di reclusione G.A. perchè riconosciuto colpevole del delitto di tentato omicidio commesso in danno di R.e., in (oMISSIS). Investita dalla Suprema Corte, con sentenza Sez. 1, n. 23221 del 27 maggio 2010 - dep. 16 giugno 2010, pronunciata all'esito del giudizio rescindente, del compito di riesaminare l'appello proposto dal ricorrente G. con riferimento alla novella legislativa n. 59 del 13 febbraio 2006, accertando se la vittima fosse entrata nel bar gestito dal ricorrente contro la volontà di quest'ultimo, tenendo presente che la detta novella legislativa non aveva innovato l'art. 52 c.p. rispetto ai requisiti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso dell'arma come mezzo di difesa della propria od altrui incolumità o dei propri beni, previsti per la sussistenza della scriminante della legittima difesa, la Corte territoriale ha ritenuto che la circostanza che il R. fosse entrato nel bar gestito dall'imputato G. con il casco ancora in testa e che solo successivamente se lo fosse tolto lanciandolo contro un contenitore di caramelle, dirigendosi poi dietro il bancone a mani nude per aggredire il titolare, deponesse nel senso che il comportamento tenuto dalla parte offesa non poteva ragionevolmente rappresentare per l'imputato una minaccia provvista di consistenza e di attualità: concludeva, quindi, che era da escludere, nel caso concreto, la ricorrenza della scriminante di cui all'art. 52 c.p. per difetto già dell'imprescindibile requisito dell'attualità dell'offesa. 2. Avverso l'anzidetta sentenza ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del proprio difensore, Avv. Mauro Tagliani, articolando un unico motivo di censura, con il quale deduce promiscuamente il vizio di violazione di legge, per inosservanza dell'art. 627 c.p.p., comma 3, e degli artt. 52 e 55 c.p., ed il vizio di motivazione, per la carenza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della prova. Lamenta, in particolare, che il giudice del rinvio non avrebbe adempiuto in maniera esaustiva al compito devolutogli da questa Suprema Corte, avendo omesso di verificare se la parte offesa R. fosse entrato nel bar gestito dal G. contro la volontà di quest'ultimo e se l'imputato non avesse avuto altra possibilità, per difendere l'incolumità propria e di altri o i propri beni, che quella di fare uso dell'arma, rendendo, nondimeno, una motivazione palesemente illogica anche con riguardo al requisito dell'attualità del pericolo. Precisa, altresì, che ove il giudice del rinvio avesse proceduto all'accertamento richiesto, prendendo in considerazione gli apporti dichiarativi raccolti nell'istruttoria dibattimentale e richiamati nel- l'atto di impugnazione, avrebbe potuto apprezzare la ricorrenza, nella situazione data, dell'irrompere della parte offesa nel bar gestito dal G. invito domino; l'attualità del pericolo rappresentato dall'essersi il R. avventato contro l'imputato non a mani nude ma armato del casco che brandiva "in mano alzato" con l'evidente intenzione di colpire a colpo sicuro il G.; l'inevitabilità dell'uso dell'arma, atteso che l'imputato, a fronte della prestanza fisica dell'avversario, stretto dietro al bancone del bar ove l'aveva ricacciato il R., non aveva altri (7) Si rimanda a Cass. pen., Sez. I, 8 marzo 2007, n. 16677, in Giur. it. 2007. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 oggetti a sua disposizione se non il coltello per contrastare efficacemente l'azione dell'aggressore. ConSIDeRATo In DIRITTo 1. Il ricorso è infondato. 2. È noto che con la L. 13 febbraio 2006, n. 59, allo scopo dichiarato di rafforzare la difesa dei cittadini a fronte del dilagare dei reati predatori commessi in luoghi di privata dimora o in luoghi in cui si svolge la personalità umana, il nomoteta ha ritenuto indispensabile aggiungere all'art. 52 c.p., i seguenti due commi: "nei casi previsti dall'art. 614, commi 1 e 2, sussiste il rapporto di proporzione di cui al comma 1 del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata una attività commerciale, professionale o imprenditoriale". Si è, in tal modo, introdotta una presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa che agisce quando sia configurabile la violazione di domicilio da parte dell'aggressore, ossia la sua introduzione o il suo trattenimento nel domicilio altrui contro la volontà del soggetto legittimato ad escluderne la presenza. In tal caso, l'uso dell'arma legittimamente detenuta è ritenuto proporzionato per legge, se finalizzato a difendere la propria o l'altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione. In presenza di queste condizioni, dunque, non è più rimesso ad apprezzamento discrezionale il giudizio sulla proporzionalità tra l'offesa e la difesa, essendo il detto rapporto sussistente per legge, sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole. La giurisprudenza di questa Corte ha, però, precisato che non ogni pericolo che si concretizza nell'ambito del domicilio giustifica la reazione difensiva, atteso che, come suggerito all'interprete dalla collocazione della norma di nuovo conio dopo quella di cui all'art. 52 c.p., comma 1, restano fermi i requisiti strutturali stabiliti dalla disposizione generale: il pericolo attuale di offesa ingiusta e la costrizione e la necessità della difesa, dai quali scaturisce l'inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità o, alle condizioni date, dei beni propri o altrui (Sez. 1, n. 16677 del 8 marzo 2007 - dep. 2 maggio 2007, P.G. in proc. Grimoli, Rv. 23650201). Di conseguenza si è affermato che la causa di giustificazione prevista dall'art. 52 c.p., comma 2, così come delineata dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59, art. 1, non consente un'indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell'ambiente domestico, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione (Sez. 5, n. 35709 del 2 luglio 2014 - dep. 13 agosto 2014, Desogus e altri, Rv. 260316; Sez. 4, n. 691 del 14 novembre 2013 - dep. 10 gennaio 2014, Gallo Cantone, Rv. 257884; Sez. 1, n. 12466 del 21 febbraio 2007 - dep. 26 marzo 2007, Sampino, Rv. 23621701). 3. venendo al caso di specie, ritiene il Collegio del tutto corretta la motivazione della Corte di appello che ha ribadito la impossibilità di applicare la scriminante di cui all'art. 52 c.p., comma 2, al fatto commesso dal G., facendo difetto il requisito del pericolo attuale di un'offesa ingiusta, senza che, peraltro, il giudice del gravame sia incorso nella violazione del- l'obbligo di conformarsi al decisum della Corte di cassazione in esito al giudizio rescindente prescritto dall'art. 627 c.p.p., comma 3. ConTenzIoSo nAzIonALe Difatti l'accadimento per cui vi è processo avvenne intorno alle ore 17 del 25 luglio 2007 nel Comune di ..., all'interno del bar gestito dal G., il quale aveva poco prima, alla presenza di R.e., rivolto battute sgradevoli nei confronti di una giovane donna a questi sentimentalmente legata. Secondo la ricostruzione operata nella sentenza impugnata, il R., uscito dal bar, vi aveva fatto nuovamente ingresso indossando un casco da motociclista e, una volta messovi piede, evidentemente perchè "maldisposto" per quanto in precedenza verificatosi, si era liberato del casco e l'aveva lanciato contro un espositore di caramelle; di poi aveva ingaggiato una colluttazione a mani nude con il titolare del bar, raggiunto dietro il bancone, nel corso della quale questi, afferrato un coltello utilizzato per tagliare il ghiaccio, l'aveva colpito sferrandogli due fendenti da distanza ravvicinatissima, attingendolo con uno dei due nella zona paracardiaca. Ritiene il Collegio che la Corte territoriale, con il dare conto, nei termini indicati, delle cadenze in cui il fatto maturò e raggiunse la sua acme offensiva, e con il precisare che il dato centrale del compendio probatorio dovesse essere colto nel "contesto determinatosi a seguito dell'ingresso di R. nel bar" ove questi si trattenne, evidentemente "maldisposto" per gli apprezzamenti rivolti dal G. alla sua donna, si è validamente conformato al dictum impostogli all'esito del giudizio di rinvio escludendo che la persona offesa si fosse introdotta all'interno del bar contro la volontà espressa o tacita del G., il quale aveva il diritto di escluderlo. All'interno dell'esercizio commerciale, secondo la prospettazione offerta dal Collegio del gravame, R. certamente si trattenne, palesando in tale frangente le sue intenzioni aggressive, ma siffatta condotta non rileva ai fini dell'integrazione della violazione di domicilio siccome descritta dall'art. 614 c.p., comma 2, non essendovi alcun riferimento nella sentenza impugnata all'espressa volontà contraria manifestata dal titolare dello ius excludendi alios, costituente, secondo la dottrina, l'elemento di fattispecie idoneo a descrivere, in termini obiettivi, l'offensività del permanere da parte del soggetto agente in un luogo di privata dimora - o a questo equiparato - all'interno del quale egli si sia introdotto legittimamente. Da ciò consegue che non è ravvisabile l'eccepita violazione dell'art. 627 c.p.p., comma 3, e, altresì, che, non essendovi stata violazione di domicilio da parte della parte offesa del tentato omicidio ascritto all'imputato, nella fattispecie censita fa difetto anche il primo dei requisiti previsti per il venire in essere della scriminante della legittima difesa siccome prevista dall'art. 52 c.p., comma 2, come novellato dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59, art. 1. 4. nessun vizio evidente di motivazione inficia, peraltro, la decisione impugnata nel passaggio in cui il giudice del rinvio ha escluso anche il requisito del pericolo attuale per la propria o altrui incolumità o per i propri beni, risultando pienamente conforme alle regulae iuris stabilite in materia ed ai canoni della logica il ragionamento posto a fondamento del giudizio di merito che ha ritenuto che il comportamento tenuto dal R. non potesse seriamente rappresentare per l'imputato quel pericolo attuale richiesto per la configurabilità della scriminante della legittima difesa. Tale presupposto implica, infatti, un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista volto a porre in essere una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria l'immediata reazione difensiva (Sez. 1, n. 6591 del 27 gennaio 2010 - dep. 18 febbraio 2010, Celeste, Rv. 24656601): caratteristiche, queste, che la Corte di appello, con motivazione insindacabile in questa sede, non ha riconosciuto nell'azione del R. siccome ricostruita. Correttamente, dunque, il Collegio distrettuale ha ritenuto di non estendere il proprio esame al requisito dell'inevitabilità altrimenti della reazione difensiva. 5. va da sè che, se non è giuridicamente prospettabile l'esimente della legittima difesa, non è, concettualmente, ipotizzabile neppure l'eccesso colposo. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 Come è ovvio, l'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicchè, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare che di questa vi fossero le condizioni e, poi, procedere alla differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall'art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria che comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, n. 45425 del 25 ottobre 2005 - dep. 15 dicembre 2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 23335201). ed invero, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, poichè il presupposto su cui si fondano sia l'esimente della legittima difesa che l'eccesso colposo è costituito dall'esigenza di rimuovere il pericolo di un'aggressione mediante una reazione proporzionata (nel caso che ci occupa tale ritenuta ex lege) e adeguata, l'eccesso colposo si distingue per un'erronea valutazione del pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati: ne deriva che, una volta esclusi gli elementi costitutivi della scriminante, non v'è spazio ovviamente -per l'inesistenza di una offesa dalla quale difendersi - per la configurazione di un eccesso colposo, sicchè non vi è neppure obbligo per il giudice di una specifica motivazione sul punto, pur se l'eccesso colposo sia espressamente prospettato dalla parte interessata (Sez. 5, n. 2505 del 14 novembre 2008 - dep. 21 gennaio 2009, olari e altri, Rv. 24234; Sez. 1, n. 740 del 4 febbraio 1997 -dep. 21 gennaio 1998, Men- dicino ed altro, Rv. 20945201). 4. L'infondatezza del motivo determina il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 30 marzo 2017. Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2017. ConTenzIoSo nAzIonALe Approvazione illegittima dei tributi comunali. Le novità a seguito di una recente decisione del Consiglio di Stato nota a ConsiGlio Di stato, sez. v, sentenza 29 aGosto 2017, n. 4104 Daniele Sisca* sommario: 1. la vicenda. i giudizi di primo grado -2. le novità a seguito della sentenza n. 4104/2017 del Consiglio di stato. 1. la vicenda. i giudizi di primo grado. Con una serie di ricorsi, il Ministero dell’economia e delle Finanze impugnava le delibere consiliari di numerosi Comuni di approvazione delle tariffe ed aliquote dei tributi di loro competenza in riferimento all’anno finanziario 2015 (1). Alla base dei ricorsi vi era il mancato rispetto del termine (nell’anno 2015 fissato al 30 luglio) previsto per l’approvazione delle medesime aliquote (2). I giudizi di primo grado venivano definiti quasi tutti (ad eccezione di quello conclusosi in appello con la sentenza esaminata in questa sede) con l’accoglimento dei ricorsi proposti dal M.e.F. Le sentenze, pressochè conformi, affrontavano due questioni: quella preliminare, inerente la legittimazione ad agire del Ministero e quella di merito, inerente la perentorietà del termine previsto dall’art. 1, comma 169, l. n. 296/2006. In merito alla prima questione, quasi tutti i Tribunali Amministrativi Regionali hanno riconosciuto la legittimazione ad agire del M.e.F., qualificandola come legittimazione straordinaria disciplinata dall’art. 52, d.lgs. n. 446/1997, il quale, al comma 4, attribuisce al Ministero dell’economia e delle Finanze la facoltà di “impugnare i regolamenti sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti agli organi di giustizia amministrativa”. La chiarezza testuale di tale disposizione varrebbe ad escludere in radice qualsivoglia interpretazione difforme rispetto alla sua portata letterale. Inoltre, tale legittimazione è stata prevista dal legislatore in funzione e a tutela degli interessi pubblici la cui cura è affidata al Ministero stesso. non ha condiviso tale conclusione, tuttavia, il (solo) T.A.R. Friuli venezia (*) Dottore in Giurisprudenza, già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato di Catanzaro. (1) Per un maggiore approfondimento sia consentito rimandare a SISCA, illegittimità della delibera consiliare con la quale vengono approvate le aliquote e le tariffe dei tributi comunali oltre il termine stabilito per l’approvazione del bilancio di previsione, in rass. avv. stato, n. 2/2017, pp. 201 ss. (2) Termine che, in virtù dell’art. 1, comma 169, l. n. 296/2006, coincide con quello di approvazione del bilancio di previsione (“gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione”). RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 Giulia, il quale, con la sentenza n. 148/2016 (3) (l’unica pronuncia che ha escluso la legittimazione a ricorrere del Ministero) ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per carenza dell’interesse ad agire (4). In ordine alla seconda questione portata all’attenzione dei Tribunali Amministrativi Regionali, è stata affermata, in maniera unanime, la perentorietà del termine previsto dall’art. 1, comma 169, l. n. 296/2006, con la conseguenza che le aliquote e le tariffe dei tributi comunali approvati oltre il suddetto termine sono da considerarsi illegittime e, quindi, inapplicabili all’esercizio finanziario di riferimento. Ulteriore conseguenza sarebbe l’applicazione delle aliquote previste per l’anno precedente in virtù dell’art. 1, comma 169, cit., ultima alinea, ai sensi del quale “in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno”. In sostanza, i Tribunali amministrativi dalla tardiva adozione della delibera impugnata ne hanno fatto discendere, in modo automatico, l’illegittimità. È stata, pertanto, accordata esclusiva rilevanza al dato letterale della disposizione in questione, senza, però, dar conto di altre possibili interpretazioni diverse da quella letterale. Giova segnalare, a tal proposito, che la questione era già stata affrontata in precedenza (per l’annualità 2013) anche dal Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa, il quale aveva affermato che “la perentorietà del termine previsto dall’art. 1, comma 169, della legge n. 296 del 2006 è desumibile dal dato testuale della disposizione […] il termine cui fa riferimento la citata disposizione è quello di approvazione della deliberazione del bilancio annuale di previsione degli enti locali, che per l’anno finanziario 2013 è stato fissato al 30 novembre 2013 dall’art. 8 del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito con modificazioni in l. 28 ottobre 2013, n. 124. Poiché la delibera di aumento delle aliquote è stata approvata successivamente al 30 novembre 2013, le nuove aliquote non sono applicabili all’anno 2013” (5)(6). L’unica voce discordante era costituita dalla citata sentenza del T.A.R. Friuli venezia Giulia, la quale veniva prontamente appellata dal Ministero dell’economia e delle Finanze, che ne censurava l’erronea dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ad agire. (3) In www.giustizia-amministrativa.it, appellata dal Ministero e riformata con la sentenza del Consiglio di Stato esaminata nel presente lavoro. (4) Secondo il T.A.R., pur sussistendo un’esplicita disposizione attributiva della legittimazione ad agire in capo al Ministero avverso i provvedimenti di determinazione delle aliquote tributarie comunali, non sarebbe stata provata dall’Amministrazione l’utilità che avrebbe ottenuto in caso di annullamento delle delibere impugnate. (5) Così in Cons. St., sez. v, 17 luglio 2014, n. 3808, in www.giustizia-amministrativa.it. (6) Sentenza seguita, poi, da Cons. St., sez. v, 17 luglio 2014, n. 3817, in www.giustizia-amministrativa.it; id., 28 agosto 2014, n. 4409, ivi e id., 19 marzo 2015, n. 1495, ibidem. ConTenzIoSo nAzIonALe 2. le novità a seguito della sentenza n. 4104/2017 del Consiglio di stato. In questo quadro, la decisione del Consiglio di Stato, sez. v, 29 agosto 2017, n. 4104 innesta elementi di rilevante novità. non tanto sul versante della legittimazione ad agire del Ministero (ribadita anche in tale decisione), quanto sulla questione inerente la perentorietà e la portata applicativa del termine previsto dall’art. 1, comma 169, l. n. 296/2006. Su quest’ultimo aspetto, il Consiglio di Stato, infatti, fornisce un’interpretazione differente rispetto a quella in precedenza fornita dai Tribunali Amministrativi Regionali. I Giudici di Palazzo Spada, ritengono che la violazione del termine di cui all’art. 1, comma 169 cit. non determina di per sé ed automaticamente l’illegittimità dei provvedimenti comunali applicativi delle aliquote tributarie (7), ma, di converso, incide solo sul regime di efficacia temporale. In sostanza, il termine suddetto sarebbe sì perentorio, ma la sua violazione, in ogni caso, non produrrebbe l’illegittimità integrale dei provvedimenti, ma soltanto l’impossibilità di una loro applicazione retroattiva (dall’1 gennaio dell’anno di riferimento), dovendosi considerare applicabili, invece, a decorrere dalla data di approvazione. Si legge, in particolare, nella sentenza in commento: “ciò implica che nel caso di specie l’approvazione delle deliberazioni approvate oltre il termine del 30 settembre 2015 non determina in radice la loro illegittimità, ma ne preclude l’applicazione (che sarebbe stata consentita, invece, dall’approvazione tempestiva) a partire dall’1 gennaio 2015. ed è solo in questi termini (nella misura in cui è diretto a contestare l’efficacia intertemporale delle deliberazioni comunali) che l’appello del ministero merita accoglimento”. È evidente che la rilettura compiuta in tale decisione dal Consiglio di Stato dell’art. 1, comma 169, cit. ne muta in maniera radicale la portata applicativa, con rilevanti conseguenze sul piano pratico. Difatti, la specificazione inerente l’efficacia temporale produce, innanzitutto, una diversa applicazione delle aliquote rispetto a quanto previsto dalle numerose sentenze dei TT.AA.RR., che avevano concluso - come detto - per l’illegittimità tout court dei provvedimenti impugnati con conseguente disapplicazione delle aliquote anche nel periodo successivo alla loro approvazione. A ben vedere, la portata applicativa del termine perentorio per l’approvazione delle aliquote così come indicato dal Consiglio di Stato non sembra trovare un riscontro puntuale da quanto emerge prima facie dalla disposizione regolatrice della materia. L’efficacia temporale, come delineata dai Giudici di Palazzo Spada, non si evince da nessuna delle disposizioni che - oltre al citato art. 1, comma 169, (7) Con la conseguente applicazione delle tariffe e delle aliquote adottate per l’anno precedente. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 l. n. 296/2006 -disciplinano l’approvazione e l’applicazione dei tributi comunali (8). Invero, l’interpretazione rinvenibile dalle numerose precedenti decisioni dei Tribunali Amministrativi Regionali appare sicuramente più coerente con la lettera della disposizione testè richiamata. L’ultima alinea di tale disposizione, infatti, nel disciplinare le conseguenze per gli enti che non rispettano il termine in essa indicato, prevede che “in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno”. Il dato letterale sembra far emergere, senza necessità di ulteriori interpretazioni, che, in caso di mancata approvazione entro tale termine, debbano applicarsi le tariffe inerenti l’esercizio finanziario precedente, senza alcuna specificazione in merito all’efficacia retroattiva o meno dei provvedimenti rispetto alla data di approvazione. non resta, a questo punto, da attendere se l’indirizzo inaugurato con la sentenza n. 4104/2017 del Consiglio di Stato si consoliderà o meno, auspicandosi che il precedente resti isolato. Consiglio di Stato, Sezione Quinta, sentenza 29 agosto 2017 n. 4104 -Pres. C. Saltelli, est. R. Giovagnoli - Min. economia e Finanze (avv. gen. Stato) c. Comune di Mariano del Friuli (avv.ti L. De Pauli e L. Mazzeo). FATTo e DIRITTo viene in decisione l’appello proposto dal Ministero dell’economia e delle Finanze diretto ad ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il T.a.r. per il Friuli venezia Giulia ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto in primo grado dallo stesso Ministero appellante per l’annullamento delle seguenti deliberazioni del Consiglio comunale di Mariano del Friuli: a) n. 16 del 16.10.2015, recante integrazione e modifica del regolamento di disciplina dell’imposta unica comunale (IUC); b) n. 18 (8) Regolano la materia, principalmente, l’art. 52, d.lgs. n. 446/1997, ai sensi del quale “le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti. i regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima dell’1 gennaio dell’anno successivo. i regolamenti sulle entrate tributarie sono comunicati, unitamente alla relativa delibera comunale o provinciale al ministero delle finanze, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi e sono resi pubblici mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale”; l’art. 54 della medesima legge, il quale dispone che “le province e i comuni approvano le tariffe e i prezzi pubblici contestualmente all’approvazione del bilancio di previsione” e, da ultimo, la l. n. 147/2013 (c.d. legge di stabilità 2014), che ha ulteriormente ribadito detto termine (anche se in riferimento alle sole tariffe TARI e TASI), stabilendo - all’art. 1, comma 683 - che “il consiglio comunale deve approvare, entro il termine fissato da norme statali per l’approvazione del bilancio di previsione, le tariffe della tari in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani … e le aliquote della tasi …”. ConTenzIoSo nAzIonALe del 16.10.2015, recante determinazione delle tariffe della tassa sui rifiuti urbani (TARI) per l’anno 2015; c) n. 19 del 16.10.2015, recante approvazione del tributo per i servizi indivisibili (TASI) per l’anno 2015. 2. Si è costituito in giudizio per resistere all’appello il Comune di Mariano del Friuli. 3. Alla pubblica udienza del 27 luglio 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione. 4. L’appello merita accoglimento in parte, nei sensi specificati in motivazione. 5. Per quanto riguarda l’ammissibilità del ricorso, la statuizione del T.a.r. risulta erronea, atteso che l’articolo 52, comma 4, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 testualmente prevede che il Ministero dell’economia e delle Finanze “può impugnare i regolamenti sulle entrate per vizi di legittimità avanti agli organi di giustizia amministrativa”. Come riconosciuto in più occasioni dalla giurisprudenza amministrativa, la disposizione in esame attribuisce al Ministero dell’economia e delle Finanze una legittimazione straordinaria a ricorrere, per l’annullamento, per motivi di legittimità, dei regolamenti e degli atti adottati dall’ente locale in materia di entrate. Tale legittimazione spetta ex lege e prescinde, oltre che dalla titolarità di una posizione giuridica differenziata in capo al Ministero, anche dall’esistenza di una lesione attuale e concreta alla prerogative del Ministero o agli specifici interessi istituzionali di cui lo stesso risulti portatore. In questo senso si è espresso questa stessa Sezione (17 luglio 2014 n. 3817) chiarendo condi- visibilmente che “l’articolo 52 del d. lgs. n. 446 del 1977 attribuisce […] al ministero del- l'economia e delle finanze una sorta di legittimazione straordinaria a ricorrere alla giustizia amministrativa, per l'annullamento dei regolamenti e degli atti in materia di tributi adottati dall'ente locale, per motivi di legittimità. tale legittimazione, conferita al ministero dalla norma citata, prescinde dall'esistenza di una lesione di una situazione giuridica tutelabile in capo allo stesso dicastero, configurandosi come una legittimazione ex lege, esclusivamente in funzione e a tutela degli interessi pubblici la cui cura è affidata al ministero dalla stessa legge (cfr. Cons. stato, sez. 3, parere del 14 luglio 1998)”. 6. Il ricorso di primo grado era ed è quindi ammissibile e va esaminato nel merito. 7. Il Ministero ha impugnato le deliberazioni comunali sopra indicate, deducendone l’illegittimità in quanto adottate in violazione del termine di cui all’articolo 1, comma 169, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007). Tale disposizione prevede che: “Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all’inizio del- l’esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1º gennaio dell’anno di riferimento. in caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno”. Il Ministero appellante evidenzia che, con riferimento all’anno 2015, il termine di deliberazione del bilancio di previsione -fissato al 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce dall’art. 151, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 200, n. 267 -per i Comuni della Regione Friuli venezia Giulia era stato differito (con decreto n. 974 del 20 luglio 2015 dell’Assessore regionale alle autonomie locali, delegato dalla Protezione civile, come previsto dall’articolo 14, comma 42, della legge regionale 30 dicembre 2014, n. 27) al 30 settembre 2015. nel caso di specie pertanto il Ministero sostiene che, essendo gli atti impugnati stati approvati in data 16 ottobre 2015, essi sarebbero illegittimi per violazione del citato termine perentorio. 8. La tesi del Ministero merita solo parziale condivisione. Ai sensi dell’art. 1, comma 169, della legge finanziaria per il 2007, invero, la violazione del RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo - n. 3/2017 termine non determina di per sé ed automaticamente l’illegittimità dei regolamenti e degli atti comunali, ma incide solo sul regine di efficacia temporale, nel senso che il rispetto del termine di approvazione di cui all’art. 1, comma 169, cit. è condizione per applicare le nuove tariffe o le nuove aliquote retroattivamente (a partire cioè dal 1° gennaio dell’esercizio di riferimento). ne consegue che le tariffe e le aliquote approvate in data successiva alla scadenza del termine non sono per ciò solo invalide. Ciò che risulta preclusa è soltanto l’applicazione (retroattiva) all’esercizio in corso (a partire dal 1° gennaio). 9. Ciò implica che nel caso di specie l’approvazione delle deliberazioni approvate oltre il termine del 30 settembre 2015 non determina in radice la loro illegittimità, ma ne preclude l’applicazione (che sarebbe stata consentita, invece, dall’approvazione tempestiva) a partire dal 1° gennaio 2015. ed è solo in questi termini (nella misura in cui è diretto a contestare l’efficacia intertemporale delle deliberazioni comunali) che l’appello del Ministero merita accoglimento. 10. La peculiarità e la parziale novità della questione giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie parzialmente il ricorso di primo grado, nei sensi specificati in motivazione. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 luglio 2017. PareriDelComitatoCoNsultivo Depositerie giudiziarie: procedure per la alienazione rottamazione dei veicoli oggetto di sequestro Parere del 06/04/2017-182745-182746-182747, al 47565/2014, avv. Mario antonio Scino 1) Quesiti applicativi della Prefettura di Napoli. 1 a) premesse. Con nota dell’8 marzo 2016 n. 37100 in riferimento la Prefettura sottopone all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli due quesiti attinenti la possibilità di procedere ad una transazione che si discosti da quella normativamente prevista dall’art. 1 comma 444 e segg. della L. 147/2013 (legge finanziaria 2014) che disciplina la procedura di alienazione straordinaria dei veicoli oggetto di sequestro. Si riferisce, nella richiesta di consultazione: che è stato dato avvio alla procedura di rottamazione mediante avviso con il quale le depositerie sono state invitate a far pervenire gli elenchi dei veicoli da inserire in detta procedura; che al termine della ricognizione il numero dei veicoli giacenti presso i depositi è risultato essere pari a circa 27.000 unità; che la procedura è stata informatizzata e che si è dato corso alle procedure di anagrafatura dei veicoli; che si è proceduto ad analitici controlli sul materiale messo a disposizione in originale dai custodi; che la Commissione, contemplata dalla normativa sopra citata, ha ritenuto si dovesse procedere, tramite gli organi accertatori, a sopralluoghi per la verifica dei mezzi con rilievi anche fotografici degli stessi; che sono emerse criticità relative alla corrispondenza dei requisiti richiesti; che per moltissimi veicoli non si è potuto far ricorso alla procedura di rottamazione di cui si discute in forza di parere reso dall’Avvocatura Generale, RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 in quanto affidati in custodia o a ditte non inserite affatto negli elenchi di cui all’art. 8 del DPR 571/1982 ovvero per periodi in cui le ditte non erano state incluse; che con un primo avviso del 7 febbraio 2015 sono stati invitati circa 6.000 proprietari a ritirare i veicoli; che si è proceduto all’accantonamento di quelli per cui era necessario esperire ulteriori elementi istruttori, di quelli risultati oggetto di sequestro penale e/o non in regola con i requisiti di legge, di quelli non più presenti presso il custode e di quelli depositati presso ditte non inserite negli elenchi di cui all’art. 8 del DPR 571/1982; che attualmente sono in corso laboriose valutazioni riguardanti la corresponsione delle spese di custodia tenuto conto delle percentuali di abbattimento stabilite dal Decreto Interdirigenziale 10 settembre 2014 (Ministero Interno - Agenzia del Demanio); che il valore da attribuire al veicolo da alienare al custode (da determinare in base alle risultanze di riviste specializzate o dal bollettino della Camera di Commercio di Milano) sarà invece determinato a ridosso della proposta che il Prefetto formulerà alle 25 sulle 43 ditte che hanno partecipato; che sono state determinate le spese di custodia per circa 1.500 veicoli sui 6.000 pubblicati; che a breve si darà corso ad una seconda pubblicazione che comprenderà altri 2.000 veicoli per la quasi totalità giacenti presso depositerie non contemplate dalla prima pubblicazione. 1 B) transazione fratelli P. È in detto quadro fattuale che si inseriscono i quesiti formulati da codesta Prefettura e relativi alla valutazione di una proposta transattiva formulata dalla F.lli P. snc., proposta transattiva che così è stata sintetizzata: -blocco della corresponsione delle indennità di custodia al 31 dicembre 2014; -riduzione del 18% della somma dell’intero importo quantificato a quella data; -il tutto subordinato alla formalizzazione dell’accordo transattivo entro il 31 maggio 2016 ed al pagamento di quanto convenuto entro il 31 ottobre 2016. Codesta Prefettura riferisce: che detta società è stata iscritta nell’elenco prefettizio dal 1 ottobre 2001 al 10 giugno 2003 (data in cui è stata sospesa dalla iscrizione); dal 14 dicembre 2007 al 13 dicembre 2008; dal 21 giugno 2010 al 20 giugno 2011; che dai complessivi 445 veicoli presso di essa giacenti la Commissione ha proceduto allo stralcio di 204 veicoli (in quanto custoditi negli intervalli di tempo in cui la società non risultava regolarmente iscritta all’albo prefettizio); che la Commissione ha proceduto a stralciarne altri 144 per varie criticità PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo rilevate quali, ad esempio, l’impossibilità di risalire al proprietario da invitare a ritirare il veicolo come previsto dall’art. 1 co. 444 della legge di stabilità 147/2013 (125 veicoli), duplicazioni di targhe e/o numeri di telaio evidenziate da verifiche incrociate con i dati forniti dal PRA ovvero perché risultati sottoposti anche (o solo) a sequestro penale e che quindi si è proceduto alla pubblicazione solo di 97 veicoli. Codesta Prefettura riferisce inoltre che “secondo le risultanze prodotte dalla proposta di transazione anticipata, di cui si fa riserva di produrre quantificazione sull’entità ricavabile da questi atti, in caso di eventuale favorevole accoglimento dell’istanza de qua, sui 995.601,74 euro complessivamente calcolati al 31 maggio 2016, grazie al blocco delle corresponsioni al 31 dicembre 2014 ed al suddetto sconto del 18% sulla sorta capitale, si applicherebbe un abbattimento pari ad 261.776,68 euro e, pertanto, la corresponsione delle indennità di custodia assommerebbe a euro 703.825,06”. La Prefettura di Napoli precisa altresì “che la proposta di transazione in argomento riguarda solo i veicoli ammessi alla procedura di rottamazione straordinaria. Per lo smaltimento dei restanti veicoli, l’avvocatura Generale dello Stato, nel parere sopra citato (cioè quello del 14 maggio 2013) ha indicato lo strumento transattivo qualora si possano ipotizzare situazioni di ingiustificato arricchimento da parte della Pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2041 del c.c., al fine di non alimentare il contenzioso. in alternativa agli accordi transattivi da promuovere ed al fine, comunque, di smaltire le giacenze presso i custodi, essendo per la quasi totalità dei veicoli giacenti ormai decorsi i termini perentori per l’emanazione dell’atto ablativo, si ritiene di dover ricorrere allo strumento ordinario previsto dalla normativa con l’adozione di decreti di dissequestro che andrebbero notificati ai destinatari intimando loro il ritiro del veicolo, per procedere poi, in caso di inottemperanza, a far attivare l’agenzia del demanio per l’applicazione della procedura di cui al dPr 189/2001”. La circostanza che la proposta transattiva della F.lli P. snc. sia non più valutabile nei termini prospettati, avendo la Prefettura di Napoli nelle more informato l’Avvocatura distrettuale della sussistenza di ingenti crediti per l’irrogazione di sanzioni penali inerenti la rottamazione straordinaria del 2000, non sembra togliere concreto e attuale interesse alla consultazione richiesta che, oltre ad essere stata formulata dall’Amministrazione anche con riferimento ad altre proposte transattive di identico contenuto avanzate da altre de- positerie (cfr. cs 4554-16; cs 4523-16) è afferente comunque alla prospettata questione di massima. tanto premesso in fatto la Prefettura di Napoli, considerato che la proposta di cui si discute si discosta, sia pure parzialmente, dalla normativa che disciplina l’alienazione straordinaria, sottopone alla all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli i quesiti che possono così esplicitarsi: RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 1) se detta proposta transattiva possa essere presa in favorevole considerazione e se, in tal caso, la ricognizione e l’esame dei veicoli debbano essere effettuate comunque con le modalità previste per la procedura di rottamazione al fine di verificare oltre l’effettiva presenza degli stessi all’interno della de- positeria anche lo stato di conservazione rispetto alla consistenza iniziale descritta nell’atto di affidamento; 2) se sia opportuno formulare una controproposta che contempli l’abbattimento delle spese del 40% (percentuale massima stabilita dalla norma); l’accertamento della sola presenza dei veicoli prescindendosi dalle laboriose attività di valutazione dello stato di conservazione per ogni singolo veicolo, finalizzato alla scelta se procedere alla alienazione ovvero alla rottamazione (considerato che è esigua la percentuale di mezzi immatricolati per la prima volta da oltre sette anni alla data del 1 gennaio 2014 e che le generali non buone condizioni in cui versano la quasi totalità dei veicoli induce ad optare per la demolizione anche per quelli immatricolati entro i 7 anni dalla data del 1 gennaio 2014). Sulla base degli elementi in fatto forniti dall’Amministrazione e sulla base del parere reso dalla Scrivente G.u. il 14 maggio 2015 in ordine agli aspetti applicativi della procedura straordinaria di alienazione dei veicoli di cui all’art 1, c. 444-450, Legge 147/2013, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli con parere del 4 aprile 2016 n. 44995 -44996 ha ritenuto che l’ipotesi di un accordo transattivo con la società F.lli P. snc c.d. tombale (che riguardi la totalità dei veicoli giacenti presso detta depositeria e che quindi trovi solo occasione nella procedura in itinere il cui schema legale tipico non è idoneo a risolvere la peculiarità della fattispecie) possa essere positivamente valutato, ma alle seguenti condizioni: 1) la transazione dovrà riguardare tutti i veicoli giacenti presso la depositeria a seguito dell'applicazione di misure di sequestro adottate da soli organi appartenenti ad amministrazioni dello Stato comunque custoditi da oltre due anni, anche se non confiscati, ovvero di quelli non alienati per mancanza di acquirenti con esclusione di quelli oggetto di sequestro penale ovvero di sequestro operato da organi non statali; 2) l’accordo dovrà prevedere la alienazione dei veicoli al custode ed il corrispettivo dovrà essere determinato secondo i criteri fissati dall’art. 4 del decreto sopra richiamato, ragione per la quale non si potrà prescindere dalla effettuazione degli accertamenti ivi previsti. 3) l’accordo, per i veicoli alienati e destinati alla rottamazione, dovrà prevedere l’obbligo per il custode di procedere alla rottamazione e radiazione dai registri dei veicoli che entro un termine essenziale con previsione di congrua penale nell’ipotesi di ritardo nell’adempimento ovvero di inadempimento; 4) le indennità di custodia per tutti i veicoli destinati alla rottamazione ovvero per quelli per i quali l’importo dovuto per le spese di custodia e per gli oneri di rottamazione sia superiore al valore degli stessi dovrà essere de PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo terminata operando la decurtazione del 50% rispetto a quella astrattamente dovuta, da calcolare sino al 31 dicembre 2014; per quei veicoli il cui valore è superiore all’importo dovuto per le spese di custodia e per gli oneri di rottamazione la differenza dovrà essere detratta dall’importo complessivo della indennità di custodia dovuta per la totalità dei veicoli; 5) l’accordo dovrà prevedere l’espressa rinuncia da parte della società a qualsiasi pretesa e azione giudiziale o stragiudiziale passata o presente nei confronti del Ministero dell’interno e/o della Prefettura - U.t.G. in relazione alla custodia dei veicoli; 6) l’accordo dovrà contenere le previsioni di legge in ordine alla approvazione ed efficacia dello stesso e le spese dovranno essere a carico della parte privata. Prima di formulare detta ipotesi transattiva codesta Prefettura dovrà: a) procedere alla ricognizione fisica dei veicoli e alla loro valutazione ai fini della alienazione; b) il servizio contabilità e gestione finanziaria di codesta amministrazione dovrà verificare che i veicoli oggetto dell’accordo non siano ricompresi tra quelli per i quali siano già state corrisposte le spese di custodia ovvero siano già stato oggetto dei provvedimenti definitivi di cui all’art. 38 comma 2 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269 per come convertito o di altri accordi (si pensi, a titolo esemplificativo, alla c.d. rottamazione straordinaria anno 2000); c) per i veicoli che non sono stati oggetto di pubblicazione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1 commi 444 e 445 della legge di stabilità 2014 si dovrà procedere alla adozione del dissequestro da notificare ai proprietari per il ritiro degli stessi con avviso che in caso di inottemperanza essi saranno alienati al custode” (così parere del 4 aprile 2016 citato). l’avvocatura distrettuale precisava tuttavia che l’attività istruttoria “dovrà essere compiuta da codesta Prefettura che potrà chiaramente utilizzare le risultanze delle istruttorie già espletate dalla commissione costituita secondo le previsioni e per le finalità della normativa speciale esaminata” (così citato parere del 4 aprile 2016). Si condividono le conclusioni cui perviene l'Avvocatura distrettuale di Napoli anche in considerazione della natura della confisca di tali beni che confluiscono nelle depositerie, secondo le considerazioni che seguono. 1 c) rottamazione ciclomotori. Con riferimento poi alla possibilità di avvalersi della procedura analogica di cui all’art. 150 c.p.c., per la formazione degli elenchi dei veicoli di rottamazione, con riguardo ai ciclomotori, si condivide la soluzione proposta dalla Prefettura di Napoli con nota del 9 maggio 2016 n. 80403. Invero con l’ulteriore quesito del 9 maggio 2016 n. 80403 la Prefettura di Napoli, nel prendere atto delle indicazioni fornite da codesta Avvocatura con la nota n. 44995 del 4 aprile 2016, in particolare al punto 6 lett. C di pag. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 10 in ordine ai veicoli non oggetto di pubblicazione, nel rappresentare le gravi criticità operative riscontrate nella individuazione del proprietario dei ciclomotori muniti di contrassegno identificativo a cinque cifre, privi di formale intestazione in quanto beni mobili non registrati, ha chiesto se sia possibile fare ricorso alla notifica del provvedimento di dissequestro attraverso la formazione di un elenco da pubblicare sul sito della Prefettura in analogia a quanto previsto dall’art. 150 c.p.c. ovvero alla notifica ad altri soggetti diversi dall’intestatario del contrassegno di identificazione, non conoscibile, come il conducente/trasgressore indicato nel verbale di sequestro, in analogia a quanto previsto dall’art. 196 c.d.s. Sul punto la Prefettura ha rilevato condivisibilmente che, per quanto concerne i ciclomotori, il codice della strada individua “il responsabile della circolazione” e non il proprietario, laddove, “al terzo comma dell’art. 97 riferisce che nell’Archivio Nazionale dei veicoli di cui agli artt. 225 e 226 ciascun ciclomotore è individuato da una scheda elettronica contenente il numero di targa, il nominativo del suo titolare..”. La risposta al quesito ulteriore della Prefettura di Napoli è dunque positiva. 2) Quesito Prefettura di viterbo. Con nota del 25 ottobre 2016 la Prefettura di viterbo poneva l’ulteriore quesito: “se sia legittimo o meno corrispondere somme ai cessionari del ramo di azienda aventi causa da depositeria in stato di liquidazione laddove il cessionario non sia inserito nell’elenco delle depositerie”. tale quesito faceva seguito ad un interpello tra Prefettura di viterbo e Ministero dell’Interno che a sua volta suggeriva alla Prefettura di consultare l’Avvocatura Generale presso cui pendeva già analoga questione. In merito al quesito rivolto dalla Prefettura di viterbo riguardante la cessione del ramo d’azienda da parte di titolari di una società avente per oggetto soccorso stradale, deposito giudiziario per conto terzi e officina meccanica è opportuno precisare quanto segue. Nel caso di specie a una cessione di ramo di azienda si è innestato un rapporto di comodato tra il cessionario acquirente del ramo di azienda (mai incluso in elenchi di depositerie) e un terzo (già inserito nell’elenco di depositerie) e che nelle more dalla Prefettura medesima conseguiva altresì l’autorizzazione della cedente a svolgere il medesimo servizio, senza tuttavia mai assumere alcun onere di custodia in ordine ai veicoli presenti nel terreno o capannone. In disparte la configurazione giuridica della cessione del ramo di azienda sotto il profilo successorio delle situazioni soggettive in capo al cedente, deve rilevarsi che si innesta in tale ipotesi anche una vicenda di cessione del credito. L’art. 1260 c.c. dispone: "il creditore può trasferire a titolo oneroso o PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione". Il negozio in questione è un negozio bilaterale che si perfeziona con il consenso del cedente e del cessionario, rimanendo il debitore estraneo al rapporto. La notifica è diretta a portare a conoscenza del debitore il soggetto nei confronti del quale deve adempiere in seguito alla cessione del credito ed inoltre rende opponibile al debitore la cessione del credito. L' art. 1264 c.c. dispone che "la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata o quando gli è stata notificata". La disciplina della cessione dei crediti vantati nei confronti della PA ha natura speciale rispetto alla disciplina codicistica della cessione dei crediti di cui agli articoli 1260 e seguenti del Codice Civile. La prima importante differenza che caratterizza la cessione di crediti verso la pubblica amministrazione rispetto ai crediti verso privati è rappresentata dalla necessaria preventiva adesione da parte dell'amministrazione. Perché quindi la cessione sia opponibile, è necessario che l'ente pubblico esprima il proprio consenso. L' art. 9 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. e dispone che sul prezzo dei contratti in corso non potrà convenirsi cessione, se non vi aderisca l'amministrazione interessata. La necessità dell'amministrazione interessata sussiste solo sino a quando il contratto è "in corso" e cessa quando questo presupposto viene meno in conseguenza dell'esaurirsi del rapporto contrattuale. Nel caso quindi in cui il contratto abbia esaurito i suoi effetti perché la prestazione sia stata correttamente ed integralmente eseguita, non è più invocabile la disciplina speciale dell'art. 70 R.D. n. 2440/1923. tale posizione viene adottata e sostenuta in giudizio in tutti i casi di cessione di ramo di azienda ed è conforme alla giurisprudenza univoca sull’applicazione delle suddette norme. Pertanto non appare sostenibile ulteriormente la tesi negativa prospettata dal Ministero a codesta Prefettura di viterbo, secondo cui potrebbe opporsi al cessionario del ramo di azienda la mancanza dei requisiti previsti dal DPR 189/2001 citato sopra, in realtà verificandosi una cessione del credito opponibile all’Amministrazione tutte le volte che il contratto abbia esaurito i suoi effetti. La tesi prospettata dal Ministero non trova accoglimento sia nei giudizi di merito pendenti nei vari tribunali a livello nazionale che secondo l’indirizzo consolidato della Cassazione. ovviamente il caso concreto, cosi come prospettato dalla Prefettura di viterbo potrebbe suggerire anziché la liquidazione al comodatario di tutte le RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 somme relative ai veicoli rottamati spettanti al cessionario comodante secondo le ordinarie tariffe un indennizzo in base ai canoni della cessione del credito come sopra esposti, l’indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c. purché non sia a carico del cessionario comodante o del comodatario l’abbandono dei veicoli che non giustificherebbero nemmeno il ricorso all’indennizzo previsto dall’art. 2041 c.c. 3) Quesito della Prefettura di Napoli avente carattere di massima. L’ulteriore quesito posto dalla Prefettura di Napoli con la nota dell’8 marzo 2016 all’Avvocatura distrettuale di Napoli assume invece carattere generale: “se, per lo smaltimento dei veicoli affidati alle ditte nei periodi in cui non risultano iscritte negli elenchi prefettizi, considerato che l’inserimento di dette ditte in alcuni periodi ridurrebbe il limite di rischio paventato dall’avvocatura Generale, si possa fare ricorso alla procedura straordinaria di cui all’art. 1 commi 444 e segg. della legge di stabilità finanziaria ovvero se si possa procedere ad un accordo che preveda l’abbattimento del 50% delle indennità di custodia”. 3 a) Normativa. occorre al riguardo rammentare che, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R., 29 luglio 1982, n. 571, è affidata ai Prefetti ed ai Comandanti di porto capi di circondario la ricognizione finalizzata ad individuare gli esercizi da adibire a depositerie giudiziarie ed all’inserimento dei medesimi in un apposito elenco. La Prefettura ha quindi il compito di acquisire, esaminare e valutare le richieste di inserimento nell’elenco in argomento, avvalendosi della documentazione e dei pareri forniti da altre amministrazioni (Comune, Provincia, ASL, Demanio ecc). Analogamente, la Prefettura ha il compito di riesaminare la posizione dei singoli custodi ed eventualmente -a seguito di comunicazioni da parte dei suddetti enti o delle Forze dell’ordine - effettuare la revoca o la sospensione dall’elenco in argomento ove emergano situazioni non conformi al dettato normativo in materia e quindi evidenzino il venir meno del possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi. occorre ora avere riguardo alla disciplina prevista per la alienazione straordinaria la cui finalità è la riduzione degli oneri a carico dello stato di previsione del Ministero dell'Interno. La Legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità per l’anno 2014) aveva infatti previsto la conclusione del procedimento entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto da emanarsi di concerto con l’Agenzia del Demanio (pubblicato in G.u. il 10 settembre 2014). A norma dell’art. 1 comma 444 “il Prefetto dispone la ricognizione dei veicoli giacenti presso le depositerie autorizzate ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della repubblica 29 luglio 1982, n. 571, e successive modificazioni, a seguito dell'applicazione di misure di sequestro e delle sanzioni accessorie previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, comunque PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo custoditi da oltre due anni, anche se non confiscati, ovvero di quelli non alienati per mancanza di acquirenti. dei veicoli giacenti, individuati secondo il tipo, il modello ed il numero di targa o telaio, indipendentemente dalla documentazione dello stato di conservazione, viene formato elenco provinciale, pubblicato sul sito istituzionale della Prefettura -Ufficio territoriale del Governo competente per territorio, in cui, per ciascun veicolo, sono riportati altresì i dati identificativi del proprietario risultanti al pubblico registro automobilistico”. Comma 445: “nei sessanta giorni dalla pubblicazione dell'elenco di cui al comma 444, il proprietario o uno degli altri soggetti indicati nell'articolo 196 del citato decreto legislativo n. 285 del 1992 può assumere la custodia del veicolo, provvedendo contestualmente alla liquidazione delle somme dovute alla depositeria, con conseguente estinzione del debito maturato nei confronti dello Stato allo stesso titolo. di tale facoltà è data comunicazione con la pubblicazione dell'elenco, con l'avviso che, in caso di mancata assunzione della custodia, si procederà all'alienazione del veicolo alla depositeria, anche ai soli fini della rottamazione, ai sensi delle disposizioni dei commi da 446 a 449”. Comma 446: “decorso inutilmente il termine di cui al comma 445, la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo notifica al soggetto titolare del deposito l'atto recante la determinazione all'alienazione, anche relativamente ad elenchi di veicoli, ed il corrispettivo cumulativo. l'alienazione si perfeziona, anche con effetto transattivo ai sensi degli articoli 1965 e seguenti del codice civile, con il consenso del titolare del deposito, comunicato alla Prefettura -Ufficio territoriale del Governo, entro e non oltre i quindici giorni successivi alla notifica. l'alienazione è comunicata dalla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo al pubblico registro automobilistico competente per l'aggiornamento delle iscrizioni, senza oneri”. Comma 447: “con decreto dirigenziale del Ministero dell'interno, di concerto con l'agenzia del demanio, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità dell'alienazione e delle attività ad essa funzionali e connesse. il corrispettivo dell'alienazione è determinato dalle amministrazioni procedenti in modo cumulativo per il totale dei veicoli che ne sono oggetto, tenuto conto del tipo e delle condizioni dei veicoli, dell'ammontare delle somme dovute al soggetto titolare del deposito in relazione alle spese di custodia, nonché degli eventuali oneri di rottamazione che possono gravare sul medesimo soggetto”. Con decreto del Capo del dipartimento per gli affari interni e territoriali di concerto con il Direttore dell'Agenzia del Demanio, avente ad oggetto la disciplina il procedimento di alienazione, anche ai soli fini della rottamazione, dei veicoli individuati all'art. 1, comma 446, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 si è inoltre previsto: all’art. 2 la istituzione della Commissione per l'espletamento delle attività connesse a detto procedimento; RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 all’art. 3 le modalità di alienazione e i criteri di valutazione. Nello specifico, per quel che qui interessa, si è previsto: a) che sulla base degli atti in possesso degli uffici competenti e di quelli eventualmente richiesti alle depositerie, ivi compresa la copia dei verbali redatti dall’organo accertatore, ove disponibili, la commissione procede alla verifica dei dati forniti dai titolari delle depositerie, individuando i veicoli che soddisfano le condizioni richieste dall’art. 1, comma 444, della legge 27 dicembre 2013, n. 147; b) che le depositerie e gli organi accertatori provvedono a fornire alla commissione adeguata documentazione fotografica e copia dei verbali, ove disponibili; c) che la Prefettura - u.t.G, di propria iniziativa o su segnalazione del- l’Agenzia del demanio, ha facoltà di richiedere agli organi di polizia, ivi comprese le polizie locali, sopralluoghi o altre forme di controllo nonché di trasmettere, in esito agli stessi, la scheda descrittiva allegata sub 1, debitamente compilata; d) che i veicoli immatricolati per la prima volta da oltre sette anni, o privi di documento di circolazione, alla data dell’1 gennaio 2014, e non dichiarati di interesse storico e collezionistico, sono alienati ai soli fini della rottamazione; e) che il prezzo di acquisto dei veicoli da rottamare è stabilito in base alla quotazione di rottame dei ferri vecchi leggeri elaborata dalla camera di commercio territorialmente competente ovvero, in assenza, dalla camera 5 di commercio di Milano, le cui quotazioni vanno ridotte del 40% in caso di veicoli da bonificare; f) che per la valutazione dei veicoli si tiene conto delle categorie e del peso indicati nella tabella allegata sub 2 al presente decreto; che la valutazione dei veicoli che non si trovano nelle condizioni di cui al comma 6 è determinata, tenuto conto del tipo e delle condizioni dei veicoli, sulla base della quotazione riportata da almeno una rivista specializzata e qualificata nel settore, ridotta del 30%, salvo che gli stessi non siano da rottamare in quanto lo stato di conservazione risulti irrimediabilmente compromesso ai fini della circolazione, come nel caso di veicoli bruciati, gravemente incidentati ovvero privi di parti rilevanti; g) che detta valutazione viene effettuata dalla commissione indicata all’art. 2, previa acquisizione della relativa documentazione fotografica e della copia dei verbali, ove disponibili, trasmessi direttamente dai custodi o dagli organi di polizia, eventualmente corredata dalle schede descrittive dello stato di conservazione; all’art. 4 la determinazione del corrispettivo dell'alienazione. In particolare, sempre per quel che qui interessa, si prevede che il corrispettivo dell'alienazione è determinato dalla commissione in modo cumulativo per il totale dei veicoli custoditi presso ogni depositeria, tenuto conto: PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo a) della valutazione dei veicoli, effettuata secondo i criteri di cui all'art. 3; b) dell'importo dovuto al depositario per le spese di custodia, ridotto in misura pari al 20% per ogni anno successivo a quello di affidamento qualora risulti, dai controlli effettuati, che il veicolo non sia stato custodito in modo conforme alle previsioni poste a base del deposito; c) dell'importo dovuto al depositario per le spese di custodia, ridotto in misura pari al 40% per ogni anno successivo a quello di affidamento qualora risulti, dai controlli effettuati, che il veicolo sia privo di parti rilevanti; d) nonché degli eventuali oneri di rottamazione gravanti sul medesimo depositario. All’art. 5 del citato decreto si è previsto: a) che il prefetto adotta la proposta di alienazione, che è notificata al depositario; b) che la alienazione si perfeziona con l’accettazione del titolare del deposito -corredata dall’espressa rinuncia da parte del medesimo a qualsiasi pretesa e azione giudiziale o stragiudiziale passata o presente nei confronti del Ministero dell’interno e/o della Prefettura -u.t.G., dell’Agenzia del demanio o dell’ente Locale interessato, anche in relazione all’effetto transattivo dell’atto ai sensi degli articoli 1965 e 7 seguenti del codice civile -comunicata alla Prefettura -u.t.G. entro i quindici giorni successivi alla notifica della proposta; c) che nel caso in cui il titolare non abbia prestato consenso all’acquisto sulla base del corrispettivo stabilito dall’Amministrazione, si procederà al- l’alienazione dei veicoli secondo le procedure previste dal decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 189 e le spese di custodia fino alla conclusione della procedura di alienazione saranno corrisposte direttamente dall’Amministrazione dello Stato. 3 B) inquadramento dell'istituto della confisca. Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 10532/2013, hanno ritenuto di aderire alla tesi della natura originaria dell’acquisto per confisca, anche sulla scorta dell’espressa disposizione contenuta nel codice antimafia (d.lgs. 159/2011 e s.m.i.) nonché delle disposizioni di cui alla legge di stabilità 2013. All’obiezione per cui tale disciplina avrebbe natura speciale e limitata alla confisca disposta per reati di criminalità organizzata o a quella c.d. di prevenzione, va opposto che la ricostruzione della disciplina della confisca non possa che essere unitaria, nel senso che indipendentemente dalla sua funzione (misura di prevenzione, misura di sicurezza, pena accessoria, sanzione amministrativa accessoria) e dai reati alla cui prevenzione o repressione è finalizzata essa non può che costituire un istituto strutturalmente unitario e che pertanto le conclusioni cui è pervenuta la richiamata giurisprudenza, sulla scorta di precise disposizioni legislative, debbano considerarsi valide per ogni sorta di confisca prevista dall’ordinamento. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 Recentemente con sentenza n. 12362/2016 è nuovamente intervenuta la Suprema Corte che ha precisato: “a partire da sez. i, n. 26523 del 20 maggio 2014, rv 259331” seguita da altre pronunce (tra cui Cass., sez. I pen., n. 21 del 19 settembre 2014) “si è ritenuto che la normativa prevista per i sequestri e le confische di prevenzione dal titolo 4 del d.lgs n. 159 del 2011 (cosiddetto “codice antimafia”) in tema di tutela dei terzi e di rapporti con le procedure concorsuali, si applica anche ai sequestri e alle confische penali ex d.l. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, che siano state disposte a far data dall’entrata in vigore della l. n. 228 del 2012, art. 1, comma 190”. Inoltre “l’operare del soggetto terzo, lì dove venga in rilievo la condizione di buona fede e di estraneità ai propositi delittuosi o all’agire contra legem del soggetto titolare del patrimonio (poi assoggettato a confisca), non presenta, per logica comune prima che giuridica, caratteri differenziali tali da giustificare in un caso (confisca penale) la perdita irreversibile del diritto e nell’altro (confisca di prevenzione) la facoltà di recupero almeno di una quota dell’originario diritto di credito” (Cass.pen., sez. I, sent. 23 marzo 2016 n. 12362). Pertanto appare evidente la posizione della Cassazione che ha riconosciuto la sostanziale unicità dell’istituto della confisca e dei suoi effetti nei confronti dei creditori. tale posizione è stata assunta stabilendo la diretta applicabilità delle previsioni contenute negli artt. 52 e seguenti D.Lgs 159/2011 (c.d. codice antimafia), oltre che alle confische disposte quali misure di prevenzione ai sensi del codice medesimo, anche alle confische disposte ai sensi dell’art. 12 sexies L.n. 356/1992 e a quelle disposte in sede penale in relazione ai reati contemplati dall’art. 51 c. 3 bis c.p.p. Allo stesso tempo è stata riconosciuta la possibilità di estensione analogica del medesimo regime alle altre “ipotesi di confisca penale regolamentate da autonoma previsione di legge ed emesse in procedimenti diversi da quelli tesi all’accertamento dei reati indicati nell’articolo 51, comma 3 bis”. Pertanto nessun diritto dei terzi può essere vantato nei confronti dei veicoli oggetto delle depositerie e conseguentemente l'accordo così concluso dalle Prefetture con le depositerie per l’indennizzo di posizioni debitorie non inquadrabili negli istituti generali previsti dalla legge di stabilità del 2014 è opponibile ai terzi, con le cautele anche circa il rispetto delle procedure di pubblicità notizia suggerite dall'Avvocatura distrettuale di Napoli. 3 C) Sul terzo dei quesiti formulati dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, si ribadisce, riguardo al prospettato terzo quesito generale suindicato quanto già ritenuto con il parere n. 229226 del 14 maggio 2015. Con il detto parere la Scrivente ha invero premesso che: 1) nelle more dello svolgimento delle gare per l'individuazione dei custodi- acquirenti, codesto Ministero dovrà procedere (come suggerito dall'avvocatura distrettuale di napoli), negli ambiti provinciali ancora scoperti anche non necessariamente limitrofi e nell'ipotesi in cui sia già stato indivi PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo duato ed in concreto operi il c.d. custode-acquirente in ambiti provinciali limitrofi e non, all'affidamento della custodia dei veicoli sottoposti a sequestro o a fermo, in favore di tale operatore. 2) Sempre nelle more dell'attivazione del custode-acquirente, codesto Ministero dovrà fare ricorso alla disciplina di cui all'art. 1, commi 444 ss., l. 147/13 (legge di stabilità 2014), con la quale il legislatore ha sostanzialmente previsto una procedura per l'alienazione, anche ai soli fini della rottamazione, molto simile a quella contenuta nell'abrogato art. 38, comma 6, d.l. n. 269/2003, ma con le importanti differenze -in osservanza al pronunciamento della pronuncia della corte costituzionale 22 maggio 2013, n. 92 -della espressa previsione della natura negoziale (e non più forzosa) del- l'alienazione e della mancanza delle cc.dd. "tariffe in deroga". Quanto all'ambito di applicazione di tale procedura, e venendo all'esame delle problematiche sollevate dalla questione in esame, il citato comma 444 chiarisce espressamente che essa è riferita a "depositerie autorizzate ai sensi del- l'art. 8 del decreto del Presidente della repubblica 29 luglio 1982, n. 571, e successive modificazioni, a seguito dell'applicazione di misure di sequestro e delle sanzioni accessorie previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per veicoli comunque custoditi da oltre due anni, anche se non confiscati, ovvero di quelli alienati per mancanza di acquirenti" (così parere AGS 14 maggio 2015). La Scrivente Avvocatura Generale conseguentemente rassegnava le seguenti conclusioni. 1) Giova rilevare che la natura giuridica del custode di cui all'art. 8 d.P.r. 571/82 partecipa di alcuni aspetti della figura di titolare di un ufficio pubblico o quantomeno di incaricato di pubblico servizio che custodisce in luogo dell'amministrazione. 2) risulterebbe pertanto altamente rischioso e pregiudizievole per le Prefetture ricomprendere nella procedura in oggetto i veicoli giacenti in deposi- terie prive dei prescritti requisiti di legge se solo si considera il pericolo della corresponsione degli oneri custodiali a operatori nei cui confronti dovessero sussistere preclusioni, oggettive o soggettive, a ricevere corrispettivi dalla P.a., come quelle contenute nel codice antimafia. non risulta decisivo al riguardo il richiamo, sotto il profilo sistematico, al- l'eccezionalità della procedura in oggetto e alla finalità di contribuire alla riduzione degli oneri a carico dello Stato, al fine di giustificare un'estensione impropria dell'ambito di operatività della procedura anche ad operatori non autorizzati. 3) nondimeno proprio la natura quantomeno di incaricato di servizio pubblico dei soggetti che svolgono l’attività di depositeria autorizzata induce a ritenere che l'effettivo ricorso, imposto dall'anomala situazione evidenziata, a depositerie c.d. di fatto potrebbe legittimare il ricorso allo strumento transattivo, al fine di non alimentare ulteriore contenzioso, sempre che sussistano RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 i presupposti per configurare una situazione di arricchimento senza giusta causa (art. 2041 c.c.) (così parere AGS 14 maggio 2015). orbene muovendo da tale ultima considerazione, deve rilevarsi che laddove sia evidente la possibile esposizione dell’Amministrazione ad azione di danni ai sensi dell’art. 2041 c.c. dovrà essere valutata l’ipotesi di accordi transattivi, anche al di fuori della procedura di alienazione prevista dalla legge di stabilità per l’anno 2014 (art. 1, c. 444-450) nei casi in cui cioè non è possibile porre in essere gli adempimenti ivi previsti. tale possibilità è delimitata ai casi limitati che non consentono l’utilizzo della procedura disciplinata dell’art. 1, c. 444 e 450, L. 147/2013 citata e i casi prospettati dalla Prefettura di Napoli, cioè di ditte in precedenza ricomprese negli elenchi ufficiali prefettizi e successivamente non inseriti, consente di ritenere che tali casi siano, sussistendo i requisiti dell’art. 2041 c.c., idonei a derogare le procedure della legge di stabilità per evitare l’esposizione dell’Amministrazione a maggiori danni erariali. Al riguardo si osserva quanto segue. Nel corso degli anni diverse depositerie sono state escluse dall’elenco prefettizio. tale fenomeno è riconducibile soprattutto al mancato adeguamento delle medesime alle normative, esposte sub par. 2 del presente parere, nel tempo entrate in vigore. I depositi giudiziari devono essere dotati di idonei presidi di soccorso, soprattutto per la prevenzione degli incendi, visto che i proprietari dei mezzi sequestrati potrebbero rivalersi sull’Amministrazione in caso di danni subiti dagli stessi mezzi nel periodo in cui essi sono sottoposti a sequestro (soprattutto nel caso in cui il sequestro dovesse a posteriori essere ritenuto illegittimo dall’autorità giudiziaria o dal Prefetto). Parimenti debbono sussistere idonee misure atte a prevenire furti e/o danneggiamenti in quanto anche in tale caso la P.A. potrebbe essere chiamata a rispondere di tali accadimenti, in solido con il custode e per culpa in vigilando. L’inclusione di un’area nell’elenco prefettizio avviene a domanda di parte, previo l’accertamento del possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dagli artt. 8 ss. DPR. n. 571/1982. In mancanza di questi ultimi nessuna area può essere definita deposito giudiziario. Il custode è infatti destinatario di precisi obblighi. Il mancato adeguamento delle strutture alla normativa in vigore (nazionale, regionale e del- l’unione europea) e la conseguente perdita dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività in argomento, comportano l’esclusione dell’area dall’elenco prefettizio e determinano in capo al custode l'immediato obbligo di: -inoltrare alla Prefettura istanza di trasferimento, in altra propria area autorizzata o presso un altro custode iscritto in elenco, di tutti i veicoli giacenti nell’area dell’ex depositeria non più a norma; PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo -acquisire l’autorizzazione della Prefettura, previo accertamento dell’idoneità dell’area proposta; -dare tempestivo avviso di tale trasferimento agli organi di polizia che a suo tempo avevano provveduto ai relativi provvedimenti di sequestro/fermo dei veicoli interessati; -comunicare alla Prefettura la fine di dette procedure di trasferimento, allorché lo stesso sia stato ultimato. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 3615/2011 ha sostenuto che: “il deposito di veicoli sottoposti a sequestro effettuato in aree prive di autorizzazione realizza una illegittima gestione del servizio pubblico a fronte della quale alcuna illogicità o travisamento è ravvisabile nell’operato dell’amministrazione che, in conseguenza di ciò, proceda alla cancellazione del gestore dall’elenco dei soggetti abilitati all’affidamento e custodia di veicoli sottoposti a sequestro amministrativo”. Il gestore di depositeria che rilevi la giacenza prolungata ed ingiustificata di veicoli presso la propria depositeria deve attivarsi per rendere possibile la rimozione e, nel caso, la demolizione di quelli non sottoposti alla sanzione accessoria amministrativa di sequestro, fermo o rimozione. Il gestore è infatti il semplice detentore del veicolo e pertanto non può recarsi direttamente al PRA per procedere alla radiazione per demolizione di un veicolo affidato dal proprietario o comunque rientrante nelle categorie non riconducibili all’attività della Prefettura. Deve invece attivare la procedura prevista dall’art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, comunicando al Comune in cui è sito il deposito che presso la sua area sono depositati veicoli abbandonati fuori uso, e che quindi si rende necessario procedere alla radiazione per demolizione degli stessi tramite attestazione da parte della Forza di Polizia. In questa ipotesi, vale a dire quando i veicoli non sono oggetto di sequestro o confisca, la Prefettura non può mai essere coinvolta in quanto trattasi di veicoli ove i rapporti si devono limitare tra proprietario e detentore. I veicoli rottamabili sono quelli giacenti in depositeria: -da almeno due anni alla data di entrata in vigore della norma (quindi dal 1 ottobre 2001 al 31 dicembre 2011, atteso che fino al 30 settembre 2001 ha operato la rottamazione 2004, c.d. “art. 38”); - esclusivamente a seguito di violazione del C.d.S; -sottoposti alle sanzioni accessorie del sequestro amministrativo, del fermo amministrativo e della rimozione forzata dalla sede stradale; - non dichiarati di interesse storico o collezionistico. Le tariffe applicabili sono quelle in vigore; sono altresì previsti abbattimenti dal 20% al 40% in relazione allo stato di conservazione del veicolo ed all’eventuale mancanza di parti rilevanti. La proposta di alienazione viene effettuata dal Prefetto al gestore, il quale RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 deve espressamente accettare o rifiutare la stessa. In quest’ultimo caso, la demolizione dei veicoli ed il pagamento dei relativi oneri di custodia saranno effettuati seguendo la procedura disposta dal DPR n. 189/01 per i veicoli abbandonati. La Prefettura, inoltre, non affida veicoli ma inserisce il deposito in elenco -a richiesta di parte -soltanto se sussistono determinati requisiti, formulati nell’interesse del cittadino affinché sia garantita la corretta conservazione dei propri beni dopo l’affidamento in custodia giudiziaria. La procedura semplificata per la vendita o distruzione dei veicoli dissequestrati, fermati o rimossi a seguito dell’applicazione di sanzioni previste dal C.d.S., che non siano stati ritirati dai proprietari, è disciplinata dal DPR n. 189/01, che all'art. 1, comma 2, ha esteso il suo campo di applicazione all'alienazione dei veicoli, anche registrati, ritenuti abbandonati per mancato ritiro del proprietario nel termine di tre mesi dalla notifica, da parte dell'organo di polizia, dell'obbligo di ritiro. Rientrano quindi nella disciplina di alienazione del DPR n. 189/01 tutti i veicoli, anche registrati, sottoposti alle sanzioni accessorie del Codice della strada quali il sequestro amministrativo (art. 213 CDS) il fermo amministrativo (art. 214 CDS), la rimozione o il blocco (artt. 215 e 159 CDS), non ritirati dal proprietario nel termine di tre mesi dalla notificazione dell'obbligo di ritiro o dalla data di scadenza del fermo amministrativo a tempo determinato. Decorso inutilmente il predetto termine, informati della giacenza dai gestori dei depositi, gli organi di polizia stradale sono tenuti a trasmettere all'ufficio del Ministero dell'economia e delle Finanze, competente per territorio, copia del verbale di accertamento della violazione, di applicazione della sanzione amministrativa accessoria e del provvedimento di dissequestro, nonché la prova della notifica agli interessati dell'obbligo di ritiro dei beni. Al riguardo il Ministero dell’Interno ha diramato a suo tempo la circolare n. 300/A/34040/101/20/21/4 del 12 luglio 2001 fornendo i relativi indirizzi operativi. Nel dettaglio ha stabilito che: a) l’organo di polizia che ha applicato la sanzione accessoria del fermo amministrativo o della rimozione, notifica al proprietario l’intimazione a ritirare il veicolo; analogamente procede quando è applicata la sanzione accessoria del sequestro, al momento del dissequestro; b) trascorsi tre mesi dalla notifica dell’intimazione dell’obbligo del ritiro, l’organo di polizia trasmette alla competente filiale dell’Agenzia del Demanio la seguente documentazione: - scheda informativa delle caratteristiche e dello stato del veicolo; -copia del verbale di contestazione della violazione che ha determinato l’applicazione della sanzione accessoria, con la prova dell’avvenuta notificazione; -copia dell’ordinanza di dissequestro (se del caso) con la prova dell’avvenuta notificazione; PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo - copia del verbale di affidamento in custodia del veicolo; -copia dell’intimazione a ritirare il veicolo, con la prova dell’avvenuta notificazione; - documenti di circolazione del veicolo; c) le spese di custodia del veicolo sono poste a carico del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e sono anticipate dall’Amministrazione dalla quale dipende l’organo accertatore fino al momento dell’avvio della procedura di alienazione, dopodiché graveranno sull’Amministrazione Finanziaria. La legge n. 147 del 23 dicembre 2013 (c.d. Legge di stabilità per l'anno 2014), articolo 1, commi 444/450, ha disposto, come detto sub paragrafo 2 del presente parere, una rottamazione straordinaria dei veicoli giacenti presso le depositerie giudiziarie, autorizzate ai sensi dell’art. 8 del DPR n. 571/82. La norma è finalizzata a: -arginare il crescente aggravio delle relative spese di custodia a carico dell’erario; -scongiurare rischi di inquinamento ambientale, in ragione della prolungata permanenza di tali veicoli - o di quello che ne resta - in aree scoperte; -affrontare il fenomeno dei veicoli “bloccati” nei depositi in conseguenza della mancata notifica del provvedimento di confisca al proprietario (per irreperibilità, intestazione a prestanome o per altre cause). Grave ulteriore criticità cui la norma fa riferimento è rappresentata dalla parziale applicazione (da parte dei gestori) del DPR n. 189/01 con conseguente aggravio degli oneri finanziari a carico dell’erario. Nel corso del 2014, la Prefettura di Roma per esempio ha avviato la procedura in argomento ed ha effettuato la prevista pubblicazione sul proprio sito degli elenchi dei veicoli giacenti. tale pubblicazione ha assolto la funzione di notifica mediante avviso pubblico al proprietario ed ai soggetti indicati nell’art. 196 del CdS, che, entro i successivi 60 giorni alla pubblicazione, hanno avuto la facoltà di assumere la custodia del veicolo, previo pagamento delle spesa di custodia maturate. In caso contrario, decorso il citato termine, si procede all’alienazione del veicolo al custode, anche ai soli fini della rottamazione. Il contenzioso pendente a livello nazionale con molte depositerie anche di fatto, nelle more dell’espletamento delle gare per l’attuazione del cd. cessionario- acquirente e, laddove non ci siano i tempi tecnici per porre in essere la rottamazione straordinaria prevista dalla normativa suindicata, è necessario il ricorso a procedure negoziali ai sensi dell’art. 2041 c.c. nei limiti in cui occorre evitare un danno maggiore per l’amministrazione, purché la de- positeria non abbia con il suo comportamento inerte posto in essere un illecito, non potendosi in tal caso configurare in favore del depositario la natura di incaricato di pubblico servizio, che pertanto non sarebbe indennizzabile nemmeno con l’art. 2041 c.c. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 Le indicazioni operative dell’Avvocatura Distrettuale di Napoli con il parere del 4 aprile 2016 riguardo alle transazioni pendenti, potranno essere utilizzate per concludere accordi simili, motivando adeguatamente alle necessità di derogare alle procedure previste dalla Legge di stabilità per il 2014 per le ragioni già evidenziate con il citato parere AGS del 14 maggio 2015 n. 229226, che si conferma per il resto integralmente. Sulla questione di massima è stato sentito il Comitato Consultivo, che si è espresso in conformità nelle riunioni del 14 dicembre 2016 e 30 marzo 2017. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo sull’utilizzo della negoziazione assistita nel contenzioso sulle depositerie giudiziarie Parere del 16/05/2017-250915, al 46073/2016, avv. Mario antonio Scino Quesito. La Prefettura -u.t.G. di Napoli richiedeva all'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli un parere circa l'opportunità di definire i contenziosi concernenti le c.d. depositerie mediante il ricorso alla procedura di negoziazione assistita. Ad avviso dell’Avvocatura distrettuale di Napoli il caso sottopostole al vaglio non rientrerebbe tra le ipotesi di negoziazione obbligatoria ma comunque ciò non precluderebbe la possibilità di ricorrere all'istituto della negoziazione assistita recentemente introdotta dal legislatore. Sostiene l’Avvocatura distrettuale che a tale soluzione non sarebbe di ostacolo il parere del Comitato consultivo reso il 1 ottobre 2012 (seduta dell’8 giugno 2012 cs 10575 avv. FICo), secondo cui l’onere di anticipazione a carico dell’Amministrazione, cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro ex art. 11 del D.P.R. 571/82, “si riferisce unicamente alle ipotesi in cui la custodia è stata curata dalla stessa amministrazione ai sensi del primo e secondo comma dell’art. 7, e non alle ipotesi in cui la custodia sia affidata ai soggetti abilitati iscritti nell’elenco prefettizio di cui all’art. 8 del citato D.P.R”. Invero la Cassazione laddove ha precisato che la custodia presso soggetti pubblici o privati individuati dai Prefetti (ipotesi quest’ultima che ricorre quando il pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro ritenga non possibile o non conveniente la custodia presso l’ufficio di appartenenza), è irrilevante ai fini dell’individuazione del soggetto tenuto all’anticipazione che è il soggetto depositante, cioè l’Amministrazione, induce a ritenere possibile un di- versamento del Comitato Consultivo. La questione sottoposta al vaglio della Scrivente Avvocatura Generale riguarda invero l'interpretazione circa gli articoli 7, 8, 11, 12 del D.P.R. 571/82 ovvero sia se il corrispettivo dovuto per l'attività di custodia svolta da terzi privati sui veicoli oggetto di sequestro amministrativo debba essere anticipato dall'Amministrazione con possibilità di successivo recupero nei riguardi dei titolari dei veicoli e/o trasgressori, ovvero sia esclusivamente a carico di questi ultimi senza alcun obbligo di anticipazione a carico della P.A. e conseguentemente la risposta positiva a tale opzione ermeneutica condiziona la soluzione del quesito proposto circa la possibilità di ricorrere alla procedura di negoziazione assistita. considerazioni. 1. la normativa. La normativa riguardante la fattispecie oggetto del presente quesito è contenuta negli articoli 7, 8, 11, 12 del D.P.R. 571/82. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 Secondo quanto disposto dall'art. 7 "le cose sequestrate sono custodite nell'ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro, a cura del capo dello stesso, ovvero del diverso ufficio competente secondo le direttive impartite dalle singole amministrazioni. [...] Qualora le cose sequestrate per la loro natura o per i motivi di opportunità non possano essere custodite presso gli uffici di cui al primo comma, il capo degli stessi ovvero il dipendente preposto al servizio può disporre che la loro custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un custode [...]". L'articolo successivo dispone che "limitatamente ai casi di sequestro di veicoli a motore e di natanti, il pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro, se riconosce che non è possibile o non conviene custodire il veicolo a motore o il natante presso uno degli uffici di cui al primo comma dell'articolo precedente, può disporre che la custodia avvenga presso soggetti pubblici o privati individuati dai prefetti". L'art. 11 dispone che "le spese di custodia delle cose sequestrate sono anticipate dall'amministrazione cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro" e tali somme devono essere rimborsate dal trasgressore. Infine l'art. 12 dispone che "il custode, nominato ai sensi del terzo comma dell'art. 7 ovvero del primo comma dell'art. 8, ha diritto al rimborso di tutte le spese sostenute per assicurare la conservazione delle cose sequestrate". L'art. 11 del D.P.R. 571/1982 è stato di recente al centro di diverse pronunce della Corte di Cassazione. La disciplina normativa è chiara nello stabilire che le spese di custodia dei veicoli sequestrati sono anticipate dall’amministrazione a cui appartiene l’ufficiale che accerta l’infrazione e dispone il sequestro e sono rimborsate dal proprietario o comunque dall’autore dell’infrazione. 2. Giurisprudenza. Sul punto sì è espressa anche di recente anche la Corte di Cassazione. Più in particolare, nella sentenza n. 9394/2015 la Cassazione, con ragionamento pienamente condivisibile all’esito di un’ampia ricostruzione del quadro normativo, ha chiarito: «l’analisi delle disposizioni dianzi riprodotte (cfr., supra, al n. 2.4.) e, in particolare, dell’ora citato art. 11 rende evidente che il “debitore” delle spese di custodia della cosa sequestrata (nella specie, dei veicoli sequestrati) è l’autore dell’illecito amministrativo (nella specie, della violazione al codice della strada), o dell’eventuale obbligato in solido, o del soggetto in favore del quale viene disposta la restituzione della cosa sottoposta a sequestro (secondo comma; cfr. anche l’art. 12, commi 6 e 7)». da ciò consegue secondo la cassazione che il termine “anticipazione” di dette spese prefigura un rapporto di natura civilistica - sia pure conseguente alla commissione di un illecito amministrativo - tra la pubblica amministrazione che ha anticipato le spese medesime, titolare del diritto al rimborso (recupero), e il soggetto debitore, obbligato al rimborso. al riguardo, è appena il caso di PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo precisare che le amministrazioni obbligate all’anticipazione di dette spese sono tutte quelle menzionate dal d.P.r. n. 571 del 1982, art. 1 e in particolare, per quanto riguarda le violazioni alle norme sulla circolazione stradale, quelle di cui al d.lgs. n. 285 del 1992, art. 12, commi 1, 2 e 3. infatti, la ratio dell’obbligo di anticipazione a carico “dall’amministrazione cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro” sta nei concorrenti principi di imputazione dell’attività degli agenti dell’amministrazione nell’esercizio delle loro pubbliche finzioni all’amministrazione di appartenenza, nonché di responsabilità diretta, lato sensu, di quest’ultima per tale attività che, se comportante spese, obbliga l’amministrazione che la svolge ad anticiparle, salvo eventuale recupero». e ancora prosegue nella citata sentenza la Cassazione: «il d.P.r. n. 571 del 1982, art. 11, detta la disciplina generale del su individuato (cfr., supra, lett. a) rapporto tra l’amministrazione che ha anticipato le spese di custodia delle cose sottoposte a sequestro amministrativo, non rileva se conseguenti a custodia presso un proprio ufficio, presso un ufficio di altra amministrazione, o presso altri soggetti pubblici o privati -ed il debitore, secondo il seguente schema: anticipazione da parte dell’amministrazione cui spetta (comma 1), rimborso a quest’ultima da parte dell’autore della violazione amministrativa, dell’obbligato in solido o del diverso soggetto a favore del quale è disposta la restituzione delle cose sequestrate (secondo comma,), previa liquidazione delle spese medesime da parte del prefetto (comma 3)». Il successivo art. 22, invece - contrariamente a quanto opina il Comune ricorrente -, detta la disciplina generale del diverso e distinto rapporto, del pari di natura civilistica, che si stabilisce tra l’amministrazione cui è riferibile il sequestro ed il custode della cosa sequestrata». Nello stesso senso si è espressa anche la successiva sentenza n. 13136/2015 della Corte di Cassazione, relativa tra l’altro proprio ad un ricorso proposto da Roma Capitale, la quale ha ulteriormente specificato: «la distinzione tra la custodia dei beni presso gli Uffici dell’amministrazione alla quale appartiene l’agente o il funzionario che ha proceduto al sequestro (d.P.r. n. 571 del 1982, art. 7, comma 1) e la custodia presso soggetti pubblici o privati individuati dai Prefetti, che ricorre quando il pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro ritenga non possibile o non conveniente la custodia presso i’Ufficio (d.P.r. n. 572 del 1982, art. 8, comma 1) è funzionale a consentire una custodia al di fuori dell’ufficio di appartenenza del pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro ed attiene alle modalità della custodia (così come la previsione del successivo art. 8 comma 1, specifica per i veicoli a motori) ma non può incidere sull’individuazione del soggetto tenuto all’anticipazione che è anche il soggetto “depositante”; né può rilevare la competenza “liquidatoria della spesa” riservata alla Prefettura, posto che tale attività può essere successiva all’anticipazione». RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 e ancora: «neppure può assumere rilievo il disposto dell’art. 213, comma 2 ter che non abroga il d.P.r. n. 571 del 1982, art. 11, comma 3, disciplina il riparto di competenza in ordine alla liquidazione tra Prefettura e agenzia del demanio in relazione alla data di definitività del provvedimento di confisca e si limita ad individuare il soggetto competente rispetto all’attività di mera liquidazione, senza incidere sull’individuazione del soggetto tenuto all’anticipazione nei confronti del custode ai sensi del d.P.r. n. 571 del 1982, art. 11». trattasi peraltro di orientamento della Corte di Cassazione, che si era espressa in questo senso anche in pronunce più risalenti (Cass. 15602 del 2007 e Cass. S.u. 564 del 2009). Con l'ordinanza n. 6067/2015 la Cassazione, riprendendo quanto disposto dall'art. 11 ("le spese di custodia delle cose sequestrate sono anticipate dal- l'amministrazione cui appartiene il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro") ha affermato che "la distinzione tra la custodia dei beni presso gli Uffici dell'amministrazione alla quale appartiene l'agente o il funzionario che ha proceduto al sequestro (d.P.r. n. 571 del 1982, art. 7, comma 1) e la custodia presso soggetti pubblici o privati individuati dai Prefetti, che ricorre quando il pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro ritenga non possibile o non conveniente la custodia presso l'Ufficio (d.P.r. n. 571 del 1982, art. 8, comma 1) è funzionale a consentire una custodia al di fuori dell'ufficio di appartenenza del pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro attiene alle modalità della custodia (così come la previsione del successivo art. 8, comma 1, specifica per il veicoli a motore) ma non può incidere sull'individuazione del soggetto tenuto all'anticipazione che è anche il soggetto "depositante"; né può rilevare la competenza "liquidatoria della spesa" riservata alla Prefettura, posto che tale attività può essere successiva all'anticipazione". Sempre in tale ordinanza la Suprema Corte ha evidenziato come in merito all'applicabilità dell'art. 11 non vengono in rilievo gli artt. 7 e 8 "posto che disciplinano la mera modalità di custodia e, quanto ai veicoli, contemplano solamente l'aggiuntiva possibilità, per il pubblico ufficiale che ha eseguito il sequestro, di disporre la custodia presso soggetti individuati dai Prefetti per il caso in cui non sia possibile o conveniente custodire il veicolo presso gli uffici" (Cass. ord. n. 6067/2015). Infine con ordinanza n. 11951/2015 la Corte di Cassazione, riprendendo le già citate pronunce, ha sostenuto che l'obbligo di pagamento nei confronti del custode grava, ai sensi del D.P.R. n. 571/1982, art. 11, comma 1, esclusivamente sull'amministrazione di appartenenza del pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro amministrativo (Cass., ord. n. 11951/2015). conclusioni. Preso atto della netta presa di posizione da parte della Suprema Corte di Cassazione in merito all'interpretazione degli articoli 7, 8, 11 e 12 relativamente all'anticipazione delle spese di custodia dei veicoli sequestrati, pur ri PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo tenendosi in linea di principio che tali somme siano nella disponibilità del- l’Amministrazione e che quindi, in astratto, tali controversie siano definibili con lo strumento della negoziazione assistita, deve tuttavia ritenersi non opportuno ricorrere a tali procedure, in quanto espone direttamente l’amministrazione statale ad un titolo immediatamente esecutivo in favore del soggetto privato (rectius le depositerie) a fronte di un’attività economicamente onerosa e rispetto alla quale la Scrivente Avvocatura non potrebbe far fronte in via ordinaria rispetto all’entità del contenzioso in essere a livello nazionale. Si ritiene più utile ricorrere ad una vera e propria transazione, come peraltro risulta dallo schema inviato con la richiesta di parere, con rinuncia espressa di ogni azione e degli atti giudiziali da parte del privato. L’Avvocatura distrettuale dovrà rendere il prescritto parere in linea legale sull’atto posto in essere. tale soluzione consente peraltro di deflazionare il contenzioso in essere anche in relazione al nuovo orientamento della Cassazione, non sussistendo spazio per riproporre la questione sostanziale suindicata in sede di legittimità. Sussistono pertanto i motivi per la revisione del parere del Comitato Consultivo suindicato nei termini sopra prospettati. Sulla questione di massima è stato sentito il Comitato consultivo che si è espresso in conformità nelle riunioni del 30 marzo e 9 maggio 2017. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 modalità procedurali per l’operazione di fusione di società concessionarie autostradali Parere del 06/04/2017-184015, al 9067/2017, avv. Paola PalMieri Con nota del 1 marzo 2017 n. 3496 codesto Ministero, premesso che le società concessionarie autostradali in oggetto hanno presentato domanda di autorizzazione all’operazione di fusione, ha chiesto il parere di questo G.u. In particolare, si chiede alla Scrivente di fornire indicazioni circa le modalità con cui deve essere concluso il procedimento di autorizzazione ovvero: a) se debba essere predisposto e sottoscritto un apposito atto aggiuntivo alle concessioni vigenti assumendo che la relativa funzione competa alla Direzione Generale vigilanza Concessioni autostradali; b) in caso di risposta positiva al primo quesito, se tale atto aggiuntivo debba essere sottoscritto da entrambe le società concessionarie interessate a ciascuna delle operazioni o soltanto da quelle risultanti dall’operazione di fusione e se tale atto debba essere approvato con Decreto interministeriale MIt / MeF come avviene per gli aggiornamenti /revisioni ai Piani economico -finanziari; c) in caso di risposta negativa al quesito sub a) quale funzione ministeriale debba autorizzare l’operazione. Codesta Amministrazione premette che: i) la competente Direzione Generale ha concluso positivamente l’istruttoria ritenendo sussistenti i presupposti per autorizzare entrambe le operazioni di integrazione societaria; ii) le operazioni realizzano una fusione per incorporazione in modo che, all’esito delle relative operazioni, resterebbe ferma la permanenza di due distinti rapporti concessori in capo a ciascuno dei soggetti risultanti all’esito delle fusioni; iii) ai sensi dell’art. 2504 bis, comma 2, c.c., la fusione -subordinatamente al rilascio delle autorizzazioni ministeriali -produrrà effetti civilistici dalla data di efficacia, corrispondente alla data dell’ultima delle iscrizioni dell’atto di fusione prescritte dall’art. 2504 c.c., ovvero dalla diversa data indicata nel- l’atto di fusione. A partire dalla data di efficacia, l’incorporante subentrerà in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla incorporanda; iv) le operazioni, ai fini contabili e fiscali, saranno imputate a bilancio dell’incorporante a far tempo dal 1 gennaio dell’anno in cui la fusione produrrà i propri effetti civilistici ai sensi dell’art. 2504 bis, secondo comma. *** Analoga operazione è stata assentita dall’ANAS in epoca previgente al passaggio delle relative competenze in capo al Ministero per le infrastrutture. In quel caso, gli atti conclusivi dei procedimenti consistiti in appositi atti aggiuntivi alle convenzioni di concessione interessate dalle operazioni, “sono PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo stati assunti dall’anaS Spa ed inviati al Ministero per le determinazioni di competenza”. tali determinazioni, configurate come condizioni di efficacia degli atti aggiuntivi sottoscritti, sono state adottate con atto del Capo Dipartimento, stante l’assetto organizzativo all’epoca vigente. Di qui l’esigenza di chiarire con quale veste assumere gli atti necessari al perfezionamento dell’operazione, alla luce del nuovo quadro normativo. *** tenuto conto della descrizione delle operazioni di fusione contenuta nella nota che si riscontra, si deve dare per scontato che le descritte vicende societarie non comportino variazioni oggettive dei rapporti concessori preesistenti, e che le stesse diano luogo a modifiche rilevanti solo sotto il profilo soggettivo. Ferma restando la discrezionalità di codesto Ministero nella valutazione degli interessi pubblici da garantire nell’ambito del procedimento ed in ordine alla sussistenza dei presupposti necessari al rilascio delle richieste autorizzazioni, questo G.u. rappresenta quanto segue in ordine ai quesiti sopra compendiati, strettamente inerenti il profilo delle modalità procedurali. 1. Si premette che la direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, intitolata “criteri di autorizzazione alle modificazioni del concessionario autostradale derivanti da concentrazione comunitaria”, regola l’esercizio del potere nazionale di autorizzazione in coerenza con il procedimento comunitario di competenza della Commissione ue ai sensi del regolamento Ce 139/2004. essa afferma il potere del concedente di autostrada di autorizzare i cambiamenti soggettivi del concessionario e descrive, con riferimento alle concentrazioni di rilevanza comunitaria, gli interessi pubblici che saranno tenuti in considerazione nel rilascio dell'autorizzazione nazionale prevista, in caso di mutamenti riguardanti il concessionario di autostrade. Il procedimento di autorizzazione del mutamento soggettivo del concessionario autostradale da parte del concedente, come chiarito dalla direttiva, non ha finalità di verifica della concentrazione in funzione di legislazione antitrust, ma ha lo scopo di assicurare che gli eventi che riguardano il concessionario in nessun caso comportino il pregiudizio dell'interesse pubblico alla gestione dell'autostrada in piena sicurezza per gli utenti e con l'effettuazione dei necessari investimenti di mantenimento e sviluppo della rete autostradale in relazione al mutamento delle esigenze del traffico”. In caso di mutamento soggettivo riguardante il concessionario, pertanto, si legge ancora nella direttiva in atti, la procedura di autorizzazione riguarderà in particolare: “i) l'impegno del soggetto subentrante a rispettare tutti gli obblighi assunti dal concessionario uscente, ivi inclusi gli investimenti, previsti dai piani finanziari già approvati, ma rimasti inadempiuti; ii) la verifica di affidabilità, di capacità e di adeguatezza tecnico-organizzativa, finanziaria e patrimoniale del concessionario, anche dopo l'operazione, non inferiore a quella del precedente concessionario. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 in ogni caso, il rilascio dell'autorizzazione medesima non sarà condizionato da richieste che aggravino la posizione del soggetto subentrante rispetto a quanto discende dal rispetto degli obblighi della concessione, nei quali il subentrante succede. allo stesso modo, il nuovo concessionario non avrà una posizione migliore di quella del suo dante causa”. Il decreto ministeriale 29 febbraio 2008 descrive gli adempimenti conseguenti alla direttiva ministeriale. Con tale atto sono approvate le informazioni e le certificazioni relative a stati fatti e qualità necessari per valutare le domande di autorizzazione e viene precisato, altresì, che l’istruttoria è finalizzata ad accertare il mantenimento in capo al subentrante del complesso dei vincoli preesistenti. Il termine per il compimento dell’istruttoria è fissato in 90 giorni, salvi i casi di sospensione del termine, e la procedura “si conclude con l’emanazione di un provvedimento da parte del concedente di autorizzazione o di diniego dell’operazione”. 2. Anteriormente alla attribuzione ex lege a codesto Ministero delle funzioni di concedente nel rapporto di concessione, l’istruttoria prodromica alla stipula dell’atto aggiuntivo che prendeva atto della modifica soggettiva del concessionario, era svolta da ANAS, cui competeva la predetta qualifica. tutte le funzioni attinenti alla gestione, alla vigilanza ed al controllo sui concessionari autostradali, a far data dal 1 ottobre 2012 (per effetto dell’art. 11 del D.L. 29 dicembre 2016 n. 216 e dell’art. 36 del D.L. 6 luglio 2011, n. 98), sono state attribuite al Ministero per le infrastrutture che, attualmente, le svolge attraverso codesta Direzione Generale. Nello specifico, oltre alla vigilanza e controllo sui concessionari e sulla relativa gestione, rientra tra i compiti attribuiti a codesta D.G. la predisposizione degli atti aggiuntivi alle vigenti convenzioni, come espressamente previsto dall’art. 5, comma 8, lett. b) del Regolamento di organizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (DPCM 11 febbraio 2014, n. 72). Pertanto, tenuto conto di quanto sopra evidenziato, la Scrivente ritiene che il procedimento di autorizzazione non possa che concludersi con un decreto della Direzione che ha curato l’istruttoria procedimentale, che accerti in senso positivo o negativo i presupposti dell’autorizzazione alla modifica soggettiva, valutando la completezza della documentazione richiesta e, soprattutto, i profili di interesse indicati dalla direttiva in materia. Si riferisce in atti che, nella prassi precedente, la procedura era chiusa con la trasmissione dello schema di atto aggiuntivo, da parte di ANAS, all’epoca concedente, al Ministero, il quale dava il proprio assenso mediante determinazione del Capo Dipartimento (v. a titolo di esempio, nota 15 dicembre 2003 prot. n. 410, da ultimo trasmessa per le vie brevi). Si rileva, tuttavia, che, altro è il provvedimento formale che chiude il procedimento di autorizzazione, altro è l’eventuale schema di atto aggiuntivo che attiene al rapporto concessorio ed alla relativa disciplina convenzionale. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Se l’atto del capo Dipartimento costituiva determinazione adottata nel- l’esercizio del potere di vigilanza spettante su ANAS, oggi il provvedimento finale costituisce espressione del potere di autorizzazione alla modifica soggettiva proprio del concedente e, pertanto, appare necessario ai sensi dell’art. 2 della L. 241 (nonché della direttiva sopra richiamata: punto 4. il procedimento e termini di completamento), e richiede una espressa motivazione circa la sussistenza o meno dei relativi presupposti alla luce della istruttoria svolta. tale atto dovrebbe consistere in un decreto direttoriale piuttosto che di un decreto del capo Dipartimento, tenuto anche conto che l’attuale Regolamento di organizzazione sopra richiamato sembra affidare al Capo Dipartimento funzioni di coordinamento, direzione e controllo e, non già, di tipo gestionale. Si rimette, peraltro, a codesto Ministero ogni utile valutazione sul punto, in direzione di un’eventuale controfirma da parte del Capo Dipartimento. 3. Se il provvedimento di autorizzazione così adottato conclude il procedimento di autorizzazione e consente la modifica soggettiva al rapporto con- cessorio, a parere della Scrivente si rende opportuna, in ogni caso, anche la predisposizione di un atto aggiuntivo alla Convenzione unitaria già in essere. Ciò, non solo in modo rispondente alla prassi finora invalsa ma, soprattutto, tenuto conto che, in virtù della modifica soggettiva, il rapporto concessorio è destinato ad intercorrere tra diversi soggetti o tra soggetti in parte modificati nella loro composizione soggettiva. Ferma restando la possibilità di trasformazioni societarie da parte del concessionario, come anche affermato dal parere del Consiglio di Stato del 18 giugno 2003 in atti, l’incorporazione di un soggetto, già concessionario di una autostrada in un altro soggetto (che già ne deteneva in tutto o in parte il pacchetto azionario), comporta l’esigenza che gli obblighi facenti capo alla società incorporata sulla base della convenzione originaria, siano pienamente assunti - con ogni garanzia di assolvimento - da parte dell’incorporante. Al di là dell’atto di assenso all’operazione occorre, pertanto, che le dichiarazioni e gli impegni assunti in sede istruttoria dal subentrante -e riassunti nei prospetti allegati alla domanda di autorizzazione -siano trasfusi nella convenzione e ne diventino parte integrante, in modo che tutti i diritti e gli obblighi di cui alla Convenzione unica a suo tempo stipulata dalla incorporata (AtS o CISA), all’esito delle operazioni facciano capo, da un lato, a codesto Ministero in qualità di concedente, e dall’altro, all’incorporante (Autostrada dei Fiori Spa o SALt spa). È pur vero che, come si dirà anche oltre, in base al nuovo art. 2505-bis cod. civ., la fusione tra società determina una sorta di “prosecuzione" della società che risulta dalla fusione ovvero della società incorporante in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione (Corte Cass. Sez. II 21 febbraio 2017, n. 4416 che, a sua volta, richiama Cass. Sez. u., ordinanza n. 2637 del 8 febbraio 2006; Cass. civ. III, 7 febbraio 2017, n. 3116). RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 tuttavia, a parere di questo G.u. occorre pur sempre un atto aggiuntivo che, sia pure a fini ricognitivi, prenda atto della situazione sopravvenuta allineando la Convenzione al nuovo assetto societario del concessionario in modo che, la modifica soggettiva non comporti una diminuzione delle garanzie di tutela dell’interesse pubblico raccomandate dalla direttiva in materia e, comunque, valutate all’interno del procedimento autorizzatorio. 4. La risposta positiva al primo quesito onera la Scrivente di precisare se, come richiesto da codesto Ministero, tale atto aggiuntivo debba essere sottoscritto da tutti i soggetti interessati dalla operazione di fusione ovvero dai soli soggetti risultati dall’incorporazione. Dall’esame della documentazione da ultimo trasmessa per le vie brevi (prospetti presentati dalla società a corredo della domanda di autorizzazione), osserva la Scrivente che le operazioni in esame prevedono: a) la fusione di AtS (Autostrada Savona torino) in Autostrada dei Fiori (ADF) che già deteneva l’intero capitale sociale della prima con effetti, alla data della iscrizione (subordinata alla previa autorizzazione del Ministero) ai sensi dell’art. 2505 c.c., “incorporazione di società interamente possedute”). All’esito dell’operazione dunque Autostrada dei Fiori risulterà titolare sia della concessione per la costruzione e l’esercizio dell’autostrada A10 Savona ventimiglia -Confine francese, sia della concessioni per la costruzione e la gestione della autostrada A6 torino Savona. Dall’esame delle schede in allegato che descrivono il progetto di fusione, risulta, inoltre, che con il subentro di Autostrada dei Fiori nella concessione di AtF (che, comunque, rimane distinta), la incorporante rimarrà l’unico soggetto titolare dei diritti e degli obblighi di cui alla Convenzione unica vigente tra ANAS (ora MIt - DGvA) e AtS; Autostrada dei Fiori, inoltre, si impegna ad adempiere per tutta la durata della convenzione, agli obblighi previsti nella convenzione unica di AtS nei confronti del concedente e quindi anche agli impegni pregressi di convenzione. b) Analoga operazione è descritta per CISA -SALt, in cui l’incorporante è SALt con la differenza che, in tal caso, viene in essere una fusione per incorporazione di società posseduta al 90 % dall’incorporante, con conseguente applicazione dell’art. 2505 bis c.c. “incorporazione di società possedute al novanta per cento” (che comporta alcune differenze in ordine all’iter di fusione). Come nella prima operazione, SALt, in qualità di incorporante, all’esito dell’operazione, è destinata a rimanere l’unico soggetto titolare dei diritti e degli obblighi di cui alla Convenzione unica. tenuto conto che, sulla base degli atti esaminati, tutti i diritti e gli obblighi fanno ormai capo al subentrante, dovrebbe discendere, a rigore, che è richiesta solo la firma di quest’ultimo, tanto più se la società subentrata cessa di esistere quale soggetto autonomo successivamente all’incorporazione. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Al fine di rispondere al quesito, peraltro, si ritiene opportuno chiarire gli effetti delle previste operazioni di fusione alla luce delle disposizioni del codice civile, come riformate dalla nuova disciplina societaria introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. In particolare, la consolidata giurisprudenza sul punto (ex multis Cass. civ. III, 7 febbraio 2017, n. 3116), ha chiarito che ai sensi dell’art. 2504 bis c.c., “effetti della fusione”, la fusione per incorporazione non determina alcun fenomeno di tipo successorio tra soggetti giuridici distinti, tale per cui uno dei soggetti si estingue ed in sostituzione di esso viene ad esistenza un soggetto nuovo, ma - ferma la identità dell'originario soggetto societario -si determina una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico (analogamente a quanto si verifica nel caso di trasformazione del tipo societario), con conseguente "prosecuzione" della società che risulta dalla fusione ovvero della società incorporante in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. (Nel medesimo senso: Corte Cass. Sez. II 21 febbraio 2017, n. 4416, ove si esclude che la fusione per incorporazione determini l'interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 c.p.c.). Alla luce di quanto sopra, oltre che della considerazione che, al momento, la fusione non sembra ancora avvenuta, essendo previsto un termine di efficacia collegato al previo assenso all’operazione, si ritiene opportuno, se non altro a fini cautelativi, che lo schema di atto aggiuntivo sia sottoscritto sia dalle incorporanti che dalle incorporate. Ciò, quanto meno nel caso in cui, le società incorporate, al momento della firma dell’atto aggiuntivo, siano ancora formalmente in essere. 5. Quanto all’ulteriore quesito relativo alla veste giuridica da dare all’approvazione della Convenzione si rileva che, ai sensi dell’art. 43 del D.L. n. 2012 del 2011 intitolato “alleggerimento e semplificazione delle procedure, riduzione dei costi e altre misure”, mentre gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni autostradali vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legge in argomento, laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica, sono sottoposti alla complessa procedura ivi prevista (che contempla un parere del CIPe, sentito il NARS, con successiva approvazione con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze), ai sensi del comma seguente il medesimo articolo prevede che: “Gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni autostradali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto che non comportano le variazioni o le modificazioni di cui al comma 1 sono approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dal- l'avvenuta trasmissione dell'atto convenzionale ad opera dell'amministrazione concedente”. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 La stessa previsione concerne le concessioni i cui atti aggiuntivi siano già stati sottoposti al parere del CIPe (art. 43, terzo comma). tale previsione generale, a parere della Scrivente, non consente di distinguere tra variazioni di carattere oggettivo o meramente soggettivo come nel caso in esame e, pertanto impone -fermo restando che la predisposizione dello schema di atto aggiuntivo costituisce onere di codesta Direzione Generale ai sensi del Regolamento di organizzazione sopra richiamato - che detto atto sia approvato con decreto interministeriale, secondo le vigenti previsioni normative. *** Coinvolgendo questioni di massima, il presente parere è stato sottoposto all’esame del Comitato consultivo, ai sensi dell’art. 26 della legge 3 aprile 1979, n. 103, che si è espresso in conformità nella seduta del 30 marzo 2017. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo la revoca del finanziamento ad imprese beneficiarie di agevolazioni ex l. n. 46/1982: sul calcolo degli interessi di mora sugli importi da restituire Parere del 12/07/2017-350165, al 6791/2017, avv. GiacoMo aiello Con la nota che si riscontra è stato richiesto il parere della Scrivente in merito alla corretta metodologia di calcolo degli interessi di mora da applicare agli importi che le imprese beneficiarie di agevolazioni concesse ex L. n. 46/1982, sono tenute a restituire, allorché venga disposta la revoca del finanziamento. È stato poi richiesto se sia conforme alla normativa di riferimento l’applicazione di un tasso di interessi moratori pari al 10%, in luogo di quello pari al 25%, indicato nei decreti di concessione provvisoria del contributo di cui alla l. 46/1982 emessi prima dell’entrata in vigore della c.d. legge antiusura (Legge n. 108/1996). In merito al primo quesito, codesta Amministrazione rappresenta di aver calcolato gli interessi sulle rate non restituite, applicandoli a ciascuna intera rata scaduta, comprensiva sia di capitale, che di interessi. tale modalità di determinazione risulta tuttavia contestata da parte di alcune imprese destinatarie dell’ordine di restituzione, sul presupposto che, in forza del divieto di capitalizzazione degli interessi di cui all’art. 1283 c.c., il calcolo degli interessi sulla singola rata non restituita dovrebbe essere eseguito sulla sola quota di capitale e non anche su quella costituita dagli interessi. Al fine di rispondere al suddetto quesito, appare innanzitutto opportuno delineare il quadro normativo di riferimento. In primo luogo, si rileva che, ai sensi dell’art. 9, comma 4, del decreto legislativo n. 123/1998, “nei casi di restituzione dell'intervento in conseguenza della revoca di cui al comma 3 (beni acquistati con l'intervento alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all'intervento), o comunque disposta per azioni o fatti addebitati all'impresa beneficiaria, e della revoca di cui al comma 1 (assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili), disposta anche in misura parziale purché proporzionale all'inadempimento riscontrato, l'impresa stessa versa il relativo importo maggiorato di un interesse pari al tasso ufficiale di sconto vigente alla data dell'ordinativo di pagamento, ovvero alla data di concessione del credito di imposta, maggiorato di cinque punti percentuali. in tutti gli altri casi la maggiorazione da applicare è determinata in misura pari al tasso ufficiale di sconto”. tale previsione normativa appare legittima, ove si consideri che la società beneficiaria di fondi pubblici si sottrae, con dolo o colpa grave, ai vincoli pre RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 visti dalla normativa di settore e agli obblighi contrattualmente assunti (In tal senso Corte Conti reg., (Abruzzo), sez. giurisd., 16 dicembre 2015, n. 122). In merito alla questione concernente la corretta metodologia di calcolo degli interessi, da applicarsi nella determinazione delle somme dovute dalle imprese destinatarie di un provvedimento di revoca di agevolazioni, concesse ex D.lgs. 123/1998, si evidenzia che, ai sensi dell'art. 1283 c.c. “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per l’effetto di una convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”. Le finalità di tale norma sono state identificate, da un lato, nell’esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurari, e, dall'altro, di rendere il debitore consapevole dei maggiori costi che comporta il protrarsi dell'inadempimento e di calcolare, al momento di sottoscrivere l'apposita convenzione, l'esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l’apposita convenzione sia successiva alla scadenza degli interessi, il legislatore mira altresì ad evitare che l’accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per potere accedere al credito. Secondo l’interpretazione resa dal Giudice di legittimità, tale norma ha carattere imperativo, quindi non derogabile dai privati, e natura eccezionale, quindi non applicabile oltre i casi e le condizioni da essa previsti (Cfr. in tal senso Cass civ., Sez. I, 16 marzo 1999 n. 2374). È stato inoltre osservato che sono idonei a derogare alla regola generale solo gli usi normativi, in tal senso dovendosi intendere la dizione “in mancanza di usi contrari”. Al riguardo, si evidenzia che, con la citata sentenza 16 marzo 1999 n. 2374, la Suprema Corte, modificando l’orientamento tradizionale, ha affermato che la prassi contrattuale di adeguamento alle "norme bancarie uniformi dell'aBi" non dà luogo ad un “uso normativo” derogatorio del precetto dell'art. 1283 c.c. In particolare, si è osservato che gli "usi contrari", ai quali il legislatore fa riferimento “sono gli usi normativi, di cui agli artt. 1, 4 e 8 disp. prel. al c.c. che, secondo la consolidata nozione, consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, e cioè conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento (opinio juris ac necessitatis)”. Sulla base di quanto esposto, si è ritenuto che le norme bancarie uniformi predisposte dall’associazione di categoria (A.B.I.) non avessero natura normativa, ma solo pattizia, trattandosi di proposte di condizioni generali di contratto indirizzate dall'associazione alle banche associate. Conseguentemente, è stata dichiarata nulla la clausola che prevedeva la PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, sia per i contratti anteriori, che per quelli successivi all'entrata in vigore dell'art. 4 della legge 154/92, atteso che la stessa si basava su un mero uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria, in violazione dell'art. 1283 c.c. Successivamente, per effetto delle modifiche apportate dall'art. 25 del D. Lgs. n. 4 agosto 1999 n. 342, all'art. 120 del t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, si è ammessa la validità delle clausole che prevedono la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, rimettendo al CICR l'adozione del provvedimento di regolamentazione delle modalità e dei criteri dell'anatocismo. La delibera del CICR del 9 febbraio 2000 ha stabilito quindi le condizioni per la validità dell'anatocismo nei contratti bancari, distinguendo tra il contratto di conto corrente (art. 2) ed i contratti di finanziamento con piano di rimborso rateale. occorre peraltro evidenziare che, con sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, del D. Lgs. n. 342/1999, il quale aveva ammesso la validità ed efficacia delle clausole sull’anatocismo contenute nei contratti stipulati anteriormente alla delibera, fino alla data di entrata in vigore della delibera Cicr e, successivamente, il loro adeguamento secondo le modalità ed i tempi previsti dalla stessa delibera pena la loro inefficacia nel solo interesse del cliente. Conseguentemente, anche per il periodo anteriore al 1 luglio 2000, devono ritenersi nulle sia le clausole contrattuali non adeguate ai criteri della delibera Cicr entro il 30 giugno 2000, sia le clausole sull’anatocismo, ai sensi dell’art. 1283 c.c. In proposito, la Suprema Corte ha rilevato che “va escluso che detto requisito soggettivo (opinio iuris) sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione medio tempore di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata” (Cass., Sez. un. 4 novembre 2004, n. 21095; Cass. 1 febbraio 2002 n. 1281; Cass., 22 marzo 2011, n. 6518). Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, in ipotesi di nullità delle clausole che prevedono l'anatocismo, si sarebbe potuto procedere alla capitalizzazione degli interessi su base annua, posto che l’art. 1284 c.c. indica nell’anno il termine di scadenza ex lege dell’obbligazione di interessi. Sul punto, la Suprema Corte ha tuttavia chiarito che va esclusa qualsiasi RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 capitalizzazione (Cfr. Cass., 6 maggio 2015 n. 9127; Cass., 14 marzo 2013 n. 6550; Cass., sez. unite 2 dicembre 2010 n. 24418). Dunque, fino al 1 luglio 2000 l'anatocismo è vietato e gli interessi (legali o convenzionali) maturati nel corso del rapporto non possono essere capitalizzati, neppure annualmente. Per il periodo successivo al 1 luglio 2000, l'anatocismo è consentito solo se la banca ha proceduto entro il 30 giugno 2000 all'adeguamento delle clausole contrattuali sull'anatocismo secondo le previsioni della delibera Cicr (le nuove clausole devono prevedere analoga periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori; indicare specificamente la periodicità di capitalizzazione degli interessi ed il tasso di interesse applicato; indicare specificamente, in caso di capitalizzazione infrannuale, il valore del tasso rapportato su base annua tenendo conto degli effetti della capitalizzazione) e nei modi indicati (le nuove condizioni contrattuali devono essere approvate per iscritto se comportano un peggioramento di quelle precedentemente applicate, ovvero devono essere adeguate mediante pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e comunicate per iscritto alla clientela alla prima occasione utile o comunque entro il 31 dicembre 2000 se non comportano un peggioramento di quelle precedentemente applicate). (Cfr. tribunale Salerno, sez. I, 5 ottobre 2016, n. 4432; tribunale Pesaro, 3 maggio 2016, n. 314; tribunale Bari, 22 ottobre 2015, n. 4530; tribunale Milano, sez. vI, 6 febbraio 2013 n. 1754, Cassazione civile, sez. I, 1 agosto 2013 n. 18438). occorre infine evidenziare che, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 629, della legge 27 dicembre 2013, n.147, l’art. 120 del tuB dispone che: “il cicr stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. Il nuovo secondo comma dell’art. 120 tuB, come modificato dall’art. 1, comma 629, l. n. 147/2013, vieta quindi in toto l’anatocismo bancario, cosicché nessuna specificazione tecnica di carattere secondario (ad opera del C.I.C.R.) ne può limitare la portata o disciplinare diversamente la decorrenza del divieto. Diversamente opinando, si ammetterebbe che una norma primaria può in tutto o in parte o anche solo temporaneamente essere derogata da una norma secondaria ad essa subordinata. Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, si ritiene che gli interessi di mora dovuti dall’impresa destinataria di un provvedimento di revoca del contributo ex D.lgs. n. 123/1998 debbano essere calcolati unicamente sulla sorte capitale e non anche su quella costituita dagli interessi. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Con il secondo quesito, codesto ufficio richiede se sia conforme alla normativa di riferimento l’applicazione di un tasso di interessi moratori pari al 10%, nelle ipotesi di revoca di contributi concessi ex L. n. 46/1982, in luogo di quello pari al 25%, indicato nei decreti di concessione provvisoria del contributo emessi prima dell’entrata in vigore della c.d. legge antiusura (Legge n. 108/1996). In particolare, codesto ufficio evidenzia che i finanziamenti concessi ex L. 46/1982 potrebbero essere ricondotti alla categoria “altri finanziamenti alle famiglie ed alle imprese” per i quali il Decreto MeF 24 marzo 2016, n. 30094, indica quale tasso medio il 10,30% e quale tasso soglia il 16,78%. In tale contesto, occorre osservare che alcune imprese destinatarie del provvedimento di revoca, invocando la nullità della clausola sugli interessi moratori contenuta nel decreto di concessione del finanziamento ex art. 1815 II comma, c.c., hanno affermato che non sarebbe dovuto alcun interesse di mora. Si deve tuttavia distinguere l’ipotesi in cui gli interessi vengano pattuiti nella vigenza della l. n. 108/1996 ad un tasso che ecceda il tasso soglia dal- l’ipotesi, che ricorre nel caso di specie, in cui gli interessi, pattuiti in un momento anteriore al 1996, siano divenuti successivamente usurari per effetto dell’entrata in vigore della normativa in materia di usura. Gli effetti non possono essere i medesimi. Non si dubita della correttezza dell’applicazione dell’art. 1815, secondo comma, c.c. allorquando gli interessi superino il tasso soglia già al momento genetico del rapporto. In tal caso, la clausola pattuita è nulla e ne consegue la non doverosità degli interessi. Nella diversa ipotesi della c.d. usura sopravvenuta, invece, la Suprema Corte di Cassazione ha opportunamente suggerito una soluzione diversa, volta a contemperare le esigenze di tutela espresse dalla legge n. 108/96 e la libertà negoziale delle parti. “i criteri fissati dalla legge n. 108 del 1996, per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non si applicano alle pattuizioni di questi ultimi anteriori all'entrata in vigore di quella legge, siano esse contenute in mutui a tasso fisso o variabile, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001), che non reca una tale distinzione” Cassazione civile, sez. I, 19 gennaio 2016, n. 801. La disposizione richiamata dalla sentenza che precede, recante una norma di interpretazione autentica, testualmente prevede che “Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 del codice penale e dell'art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 Sul punto, sempre la Corte di Cassazione, ha ribadito che “l'art. 1 d.l. 29 dicembre 2000 n. 394, convertito, con modificazioni, nella l. 28 febbraio 2001 n. 24, di interpretazione autentica della l. 7 marzo 1996 n. 108, [stabilisce che] la natura usuraria dei tassi di interesse va determinata in riferimento al momento della convenzione e non a quello della dazione, non trova applicazione ai rapporti già esauriti prima della successiva entrata in vigore della suddetta legge n. 108 del 1996” (Cassazione civile, sez. II, 13 maggio 2010, n. 11632). Con una recente statuizione, da ultimo, la Corte di legittimità ha chiarito che “la norma che prevede la nullità dei patti contrattuali che fissano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura (introdotta con l'art. 4 della l. n. 108 del 1996) non è retroattiva, sicché non influisce sulla validità delle clausole dei contratti conclusi prima della sua entrata in vigore” (Cassazione civile, sez. III, 5 maggio 2016, n. 8945). tutto ciò premesso, occorre pertanto correttamente individuare gli effetti giuridici prodotti dall’entrata in vigore della legge n. 108/1996 sulle clausole relative ad interessi, la cui natura usuraria sia sopravvenuta. La Corte di legittimità, pur escludendo l’applicabilità dell’art. 1815 comma 2 c.c. alle ipotesi di cui si tratta, non ammette comunque la sopravvivenza delle clausole originariamente pattuite. La soluzione cui è pervenuta la Suprema Corte, e che si ritiene debba essere applicata anche al caso di specie, è tuttavia quella di applicare, in ipotesi quali quelle di cui si tratta, il combinato disposto degli articoli 1339 e 1419 del codice civile. Il Giudice di Legittimità ha da ultimo precisato che “le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell'usura (introdotte, rispettivamente, con la l. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 4, poi trasfuso nel d.lgs. 1 settembre 1983, n. 385, art. 117, e con la l. 7 marzo 1996, n. 108, art. 4), pur non essendo retroattive, in relazione ai contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, comportano la inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi" (Cassazione civile, sez. I, 17 agosto 2016, n. 17150), ha poi richiamato una precedente sentenza della medesima Corte, ove era stato chiarito che “relativamente ad un rapporto contrattuale di durata, l'intervento nel corso di essa, di una nuova disposizione di legge diretta a porre, rispetto al possibile contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l'autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l'ultrattività della previgente disciplina normativa non contenente la norma imperativa nuova, comporta che la contrarietà a quest'ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, in quanto, ai sensi dell'art. 1339 c.c., il PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all'entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all'efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l'avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto" (Cassazione Civile, Sez. 3, Sentenza n. 1689 del 2006). Dalla nullità della clausola relativa agli interessi la cui usurarietà sia sopravvenuta e dalla conseguente sostituzione della medesima clausola ai sensi dell’art. 1339 c.c., non consegue la non applicabilità di alcun interesse, ma diversamente, e più correttamente, l’applicabilità degli interessi al tasso soglia come determinato ai sensi dell’art. 2 della l. n. 108/96. Così ha infatti statuito la Suprema Corte, rilevando che “trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in vigore della l. n. 108/1996, va richiamato l'art. 1 di detta legge che ha previsto la fissazione di tassi soglia e affermato che, ove vengano superate le misure consentite, gli interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati vanno considerati usurari e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, comma 2, e 1339, circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia” (Cassazione civile, sez. I, 11 gennaio 2013, n. 603). Ai fini dell’individuazione del tasso soglia applicabile nel caso di specie, occorre avere riguardo al Decreto Direttoriale del 27 marzo 2017, il cui intervallo temporale di applicazione è fissato dal 1° aprile al 30 giugno 2017. Nella tabella riportata in tale decreto, il tasso medio su base annua per i finanziamenti alle famiglie ed alle imprese è fissato nella misura del 10, 27%, sicché è questo il tasso che, come conseguenza della nullità della clausola originariamente pattuita, dovrà essere applicato nel caso di specie. Sul presente parere è stato sentito il Comitato consultivo che, nella seduta del 7 luglio 2017, si è espresso in conformità. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 il regime di incompatibilità dei professori a tempo pieno e a tempo definito Parere del 19/09/2017-439838, al 26055/2015, avv. Federico BaSilica Con riferimento alla richiesta di parere in oggetto e alle questioni in ordine al regime di incompatibilità dei professori universitari, si concorda con le conclusioni cui è pervenuta codesta Avvocatura distrettuale che sembrano confermate dalla giurisprudenza citata. 1) Le questioni poste dall’università, con nota del 13 aprile 2017 prot. n. 9989, riguardano il regime delle incompatibilità applicabile ai professori universitari e fanno specifico riferimento alle seguenti fattispecie concrete: a) professore universitario a tempo pieno che ricopre la carica di commissario prima e amministratore unico successivamente di un ente pubblico regionale; b) professore universitario a tempo definito che ricopre la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una S.p.a. a controllo pubblico; c) professori universitari a tempo pieno che ricoprono la carica di consiglieri di amministrazione di un istituto bancario. Dalle notizie apprese dall’Avvocatura distrettuale per le vie brevi risulta che i primi due casi sono oggetto di controversie incardinate innanzi al tar Sardegna, che si è già deciso il primo di essi con sentenza n. 367/2017. tanto premesso, considerata l’esigenza rappresentata dall’università di conoscere un avviso di carattere generale, si ritiene opportuno richiamare di seguito il quadro normativo nel quale le questioni sottoposte si inseriscono. 2) Prima dell’emanazione del D.P.R. n. 382 del 1980, la materia era regolata dall’art. 60 del D.P.R. n. 3/1957, per il quale: “l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente”. Il divieto in questione è stato confermato dall’art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che ne fa una forma di “incompatibilità”, stabilendo al primo comma che: “resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ...”. In tal modo, l’art. 53, richiamando gli artt. 60 e ss. del d.P.R. n. 3/1957, individua attività il cui svolgimento è assolutamente incompatibile con la funzione di professore universitario sia a tempo pieno che a tempo definito. tra queste attività rientrano l’assunzione di cariche in società nonché l’esercizio di attività industriali, commerciali, professionali e artigianali. 3) Questa disciplina deve essere coordinata con quella speciale contenuta PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo nel d.P.R. n. 382 del 1980. Per quanto interessa i casi di specie di cui al punto 1 lettere a) e b) viene in rilievo l’art. 13, comma 1, punto 10), del citato d.P.R. ove è disposto che: “il professore ordinario è collocato d’ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell’ufficio nei seguenti casi: . . . 10) nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro”. La vigenza di tale norma dell’art. 13 è stata confermata dalla legge n. 240 del 2010, che all’art. 6 testualmente dichiara che: “resta fermo quanto disposto dagli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della repubblica 11 luglio 1980, n. 382...”. La rilevanza di tali norme nei casi di specie è stata ribadita, con ampie argomentazioni, dal tar Sardegna con la recente sentenza 10 maggio 2017, n. 367 nel caso P. c/univ. Sassari (il primo tra i tre casi indicati), che si conforma alla giurisprudenza citata dall’Avvocatura distrettuale la cui ultima decisione è stata resa dal tar Puglia - Bari, sent. 6 dicembre 2016, n. 1477 che ritiene applicabile la disposizione sia ai professori a tempo pieno che a quelli a tempo definito. In forza di tale disposizione sembra, pertanto, stabilito che nei casi contemplati dalla norma l’università è “vincolata” a disporre il collocamento in aspettativa, mentre negli altri casi e cioè quando si tratti di società diverse da quelle indicate nel citato art. 13 è escluso che i professori ordinari, a tempo pieno o a tempo definito, possano ricoprire tali cariche. Invero, la norma ricollega il collocamento obbligatorio in aspettativa al solo fatto della nomina nella carica, restando per il resto irrilevante qualunque modalità di concreto esercizio dei poteri decisionali e delle funzioni sostanziali correlate alla carica medesima. Deve infatti escludersi che l’attività di Presidente di una società possa essere ricondotta all’attività professionale ovvero all’attività di consulenza continuativa esterna (Cons. Stato, sez. vI, n. 6511/2008). tali conclusioni sono state confermate in uno dei casi concreti sopra citati (primo ricorso P.) con la sentenza del t.A.R. Sardegna, n. 737/2015 in cui si afferma: “l’incompatibilità, nel caso di specie, non derivava da una valutazione discrezionale del rettore, ma conseguiva all’applicazione “vincolata” di una specifica norma, l’art. 13 punto n. 10 del dPr 382/1980”; ed ancora. “ed il legislatore, verificatisi questi presupposti, ha stabilito che “il professore ordinario <è collocato d'ufficio> in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio”; senza possibilità di esercizio di alcun ambito di discrezionalità da parte del rettore; la norma impone, dunque, la presa d’atto della incompatibilità ed il collocamento in aspettativa del richiedente, tenuto conto della “tipologia” della nomina intervenuta; in questi casi (elenco previsto direttamente e tassativamente dal legislatore), la regola è, quindi, quella RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 del collocamento obbligatorio in aspettativa per i professori che assumono cariche pubbliche di vertice di enti pubblici, a causa dell’impossibilità, dettata dalla norma, del contemporaneo svolgimento delle due attività; il rettore non poteva quindi che dare attuazione al dettato normativo”. Per completezza si ricorda che il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 3568/2015 (ct. 26055/2015 - Avv. BASILICA), ha rigettato l’istanza di sospensione cautelare di tale sentenza, escludendo la sussistenza del fumus boni iuris. Pertanto, alla luce di tali premesse sembra possibile fornire una prima risposta in ordine alle prime due fattispecie concrete: a) professore universitario a tempo pieno che ricopre la carica di commissario prima e amministratore unico successivamente di un ente regionale; b) professore universitario a tempo definito che ricopre la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una S.p.a. a controllo pubblico. In tali casi, sembra possibile concludere che è conforme a legge il collocamento in aspettativa d’ufficio dei professori interessati. 4) Resta infine da esaminare la terza ipotesi presa in esame al punto 1), lett. c), ossia dei professori universitari a tempo pieno che ricoprono la carica di consiglieri di amministrazione di un istituto bancario (casi R. e M.). Al riguardo si è al di fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 13 (che come si visto contempla l’aspettativa solo per le società pubbliche) mentre rilevano gli art. 11 e 6 della legge n. 240 del 2010 come modificata con il d.l. n. 5/2012, conv. in legge n. 35/2012. L’art. 6, rubricato “Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo”, ai commi da 9, 10 e 12 dispone: “9. la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l'esercizio del commercio e dell'industria (…). 10. i professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. i professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l'università di appartenenza, a condizione comunque che l'attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall'università di appartenenza. 12. i professori e i ricercatori a tempo definito possono svolgere attività libero-professionali e di lavoro autonomo anche continuative, purché non determinino situazioni di conflitto di interesse rispetto all'ateneo di appartenenza. la condizione di professore a tempo definito è incompatibile con l'esercizio di cariche accademiche. Gli statuti di ateneo disciplinano il regime della predetta PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo incompatibilità. Possono altresì svolgere attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri, previa autorizzazione del rettore che valuta la compatibilità con l'adempimento degli obblighi istituzionali”. Da tali norme si evince un divieto -di carattere generale, per il quale salvo alcune deroghe, che non ricorrono nel caso di specie - per il professore universitario a tempo pieno di svolgere con abitualità, sistematicità, stabilità e continuità, qualsiasi altra attività lavorativa, quale ne sia il contenuto e quali siano le concrete modalità di esplicazione, oppure di effettuare consulenze esterne, ossia attività implicanti valutazioni e consigli in favore di soggetti estranei alla struttura universitaria. Quanto poi ai professori a tempo definito il comma 12 prevede che possano […] svolgere attività libero-professionali e di lavoro autonomo anche continuative, purché non determinino situazioni di conflitto di interesse rispetto all'ateneo di appartenenza. Rimane però ferma anche per questi ultimi l’incompatibilità di cui al comma 9. Deve, pertanto, escludersi anche in questo caso che possa essere legittimamente svolta l’attività di amministratore di una società non essendo la stessa riconducibile all’attività professionale o all’attività di consulenza continuativa esterna (Cons. Stato, sez. vI, n. 6511/2008) e potendo, semmai la stessa essere ascritta al comunque non consentito esercizio del commercio e dell’industria in considerazione della natura dell’attività svolta dalla società (tAR Puglia, sez. I, n. 76/2012). 5) Coinvolgendo questioni di massima e considerata la rilevanza delle questioni esaminate, il presente parere, che viene trasmesso anche al Miur per opportuna conoscenza, è stato sottoposto all’esame del Comitato consultivo, ai sensi dell’art. 26 della legge n. 103/1979, che si è espresso in conformità nella seduta del giorno 11 settembre 2017. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese ex lege 662/96: quesiti in ordine alla escussione della controgaranzia concessa dal Fondo Parere del 19/09/2017-441733, al 22245/2017, avv. Fernando MUSio Con la nota in riscontro codesta Amministrazione ha formulato tre distinti quesiti in ordine alla escussione della controgaranzia concessa dal Fondo ad un Confidi accreditato, per garanzie da questo emesse in favore di istituti finanziatori di interventi delle MPI. La complessa fattispecie sottoposta al vaglio della Scrivente prende spunto dalla proposta che i Liquidatori di uno dei Confidi, e cioè “e. s.c.a r.l.”, hanno formulato agli istituti finanziatori -ed alla quale dovrebbe prestare adesione codesta Amministrazione - di poter curare, in forza di mandato, l’escussione per loro conto della controgaranzia concessa dal Fondo sulle garanzie emesse da e., con il pagamento dell’importo controgarantito direttamente in favore delle banche finanziatrici. Riguardo a detta fattispecie si chiede innanzitutto un parere in ordine alla legittimità dell’escussione diretta del Fondo da parte del soggetto finanziatore nella ipotesi -ricorrente nella specie -in cui non risulti l’insolvenza del garante di I livello (e.) Nello specifico si chiede un chiarimento sui presupposti dell’escussione diretta della controgaranzia da parte dei “soggetti finanziatori” ed in particolare se sia a tal fine sufficiente il mero decorso del termine assegnato al garante di primo livello nella intimazione di pagamento o sia invece necessaria l’incapienza patrimoniale riscontrata in sede di esecuzione o, infine, se debba ricorrere lo stato di insolvenza del garante, acclarato giudizialmente con l’ammissione ad una procedura concorsuale. È opportuno, prima di affrontare le varie questioni prospettate con la nota in riscontro, ricordare che il quadro normativo di riferimento è delineato dalla disposizione contenuta nell’art. 2 comma 100, lett. a) della L. 662/96, la quale prevede il finanziamento del Fondo da parte del CIPe; dalle norme regolamentari contenute nel D.M. 248/1999 che, oltre a dettare i criteri e le condizioni per la prestazione delle garanzie, disciplina anche la gestione del Fondo; e, infine, dalle norme contenute nelle “Disposizioni operative”, che disciplinano nel dettaglio le condizioni per la concessione e per l’escussione delle garanzie, nei vari livelli, e -per quanto qui interessa -i rapporti tra soggetti finanziatori, Confidi o altri fondi di garanzia e Fondo. Partendo da queste ultime (Parte III, par. H 3.1) e rispondendo al quesito in argomento, rileva la Scrivente che, due sono le condizioni che devono concorrere affinché la controgaranzia “a prima richiesta” possa essere escussa direttamente dai soggetti finanziatori: PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo a) -“l’inadempimento dei soggetti beneficiari finali”; b) -“… il mancato pagamento in garanzia da parte e di confidi e degli alti fondi di garanzia”. I dubbi di codesta Amm.ne si incentrano su questa seconda condizione ed in particolare sul momento in cui si debba intendere realizzato il “mancato pagamento” da parte del garante di I livello. Per rispondere al quesito, all’analisi delle disposizioni di settore è opportuno premettere alcune considerazioni sulla natura giuridica della controgaranzia prestata dal Fondo, non ritenendosi pienamente condivisibili quelle svolte al riguardo da codesta Amm.ne nella nota in riscontro. ed invero l’azione “diretta” riconosciuta - sia pure alle citate condizioni -ai soggetti finanziatori dalla richiamata disciplina, allontanano la fattispecie dalla figura della “fideiussione alla fideiussione”, per accostarla allo schema tipico della “fideiussione del fideiussore” di cui all’art. 1948 c.c. del quale, comunque, non mutua tutte le condizioni cui è subordinata l’azione diretta del creditore principale. Quest’ultima disposizione, infatti, non prevede un generico inadempimento da parte del debitore principale e dei suoi fideiussori, ma richiede che questi ultimi siano risultati “insolventi”; per cui il creditore “deve dimostrare non tanto di aver rivolto ai predetti una richiesta di pagamento rimasta senza effetto, quanto piuttosto dimostrare che gli stessi, sebbene escussi, non erano stati in grado di soddisfare l’esposizione debitoria” (App. Roma sez. II, 19 gennaio 2006). Proprio partendo da tale disposizione e con un percorso ermeneutico sistematico con la disciplina di settore si può dare risposta al quesito qui esaminato. Di diverso tenore sono, infatti, le norme contenute nelle citate disposizioni operative la cui interpretazione letterale e sistematica porta ad escludere, secondo la Scrivente, che la condizione del “mancato pagamento” debba necessariamente ritenersi realizzata con l’incapienza patrimoniale rinveniente dalla infruttuosa escussione del garante di I° livello e, tanto meno, con l’insolvenza di questi accertata giudizialmente. Cionondimeno è indiscutibile che il mancato pagamento da parte del garante di I° livello costituisce condizione imprescindibile per la escussione diretta della controgaranzia da parte dei soggetti finanziatori. Non è, però, altrettanto chiaro il tenore delle citate disposizioni operative in ordine al momento in cui debba ritenersi realizzato il “mancato pagamento” da parte del garante di I° livello, per cui sono più che fondati i dubbi al riguardo sollevati da codesta Amministrazione. Invero, secondo le disposizioni in parola, il “mancato pagamento in garanzia da parte e di confidi e degli alti fondi di garanzia” (Parte III -Par. H.3.1 lett. C) non è di per sé sufficiente per avviare tale forma di escussione, occorrendo inoltre il “previo avvio delle procedure di recupero” da parte del RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 soggetto finanziatore, sia nei confronti del beneficiario finale - in caso di inadempimento di questi (Parte III - Par. u.3.2), sia - necessariamente - nei confronti del garante di I livello (Parte III - Par. H.3.1 lett. c). vi è anzi da precisare che la procedura in parola rappresenta condizione di procedibilità dell’escussione diretta del Fondo da parte del “soggetto finanziatore” (Parte III - Par. H.5.2). Il momento dell’avvio delle procedure di recupero viene individuato sempre dalle Disposizioni operative - nella “data di invio di una intimazione di pagamento”, intimazione che potrebbe consistere, tra l’altro, “nell’invio di una diffida di pagamento”. Al di là del dato letterale, secondo cui la condizione potrebbe ritenersi realizzata con il mero “invio” della diffida, ritiene la Scrivente che, in considerazione del carattere necessariamente ricettizio dell’atto in parola, questo debba quantomeno giungere “all’indirizzo del destinatario”, ai sensi dell’art. 1335 c.c. Non sembra invece necessario a tal fine che sia decorso il termine assegnato nella diffida, in quanto questa deve necessariamente seguire alla scadenza del termine assegnato nella richiesta di pagamento che il soggetto finanziatore deve aver già inoltrato al garante di primo livello. Infatti, secondo le disposizioni operative (Parte III - Par. H.5.1), “1. nel caso della controgaranzia a prima richiesta, qualora il soggetto richiedente non abbia adempiuto, entro 120 giorni dalla data della richiesta da parte del soggetto finanziatore al pagamento della somma dovuta, il soggetto finanziatore, previo avvio delle procedure di recupero del credito nei confronti del medesimo soggetto richiedente, può richiedere direttamente l’attivazione del Fondo. 2. la richiesta di attivazione diretta…è improcedibile se il soggetto finanziatore non ha avviato le procedure di recupero del credito nei confronti del soggetto richiedente” . Da tale contesto normativo, rispondendo al primo quesito, la Scrivente ritiene di poter concludere che: a) il “mancato pagamento” da parte del garante di primo livello costituisce condizione essenziale della escussione della controgaranzia da parte dei soggetti finanziatori; b) detta condizione deve ritenersi realizzata con l’inutile decorso del termine di 120 giorni dalla richiesta di pagamento effettuata dal soggetto finanziatore e con “l’avvio delle procedure di recupero”, nel senso innanzi chiarito alla scadenza di detto termine. tale conclusione, naturalmente, fa salvi tutti gli accertamenti e gli adempimenti ulteriori -eventualmente in uso -che il Fondo ritenga necessari e/o opportuni prima di procedere al pagamento. ed è sicuramente necessario l’accertamento rigoroso della ricorrenza di PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo tutti i presupposti richiesti dalle disposizioni prima citate per l’escussione diretta della controgaranzia da parte dei soggetti finanziatori, atteso che tale forma di escussione -alla luce del citato contesto normativo -deve ritenersi eccezionale, trattandosi di “garanzia prestata dal Fondo a favore di confidi e degli altri fondi di garanzia” (art. 1, co. 1 lett. e D.M. 248/1999 cit.) e quindi di un rapporto al quale il soggetto finanziatore è -in linea di principio-estraneo. Nel delineato contesto normativo, la soluzione proposta dai Liquidatori appare alla Scrivente giuridicamente congrua con riguardo agli effetti che si intendono realizzare poiché, agendo e. in rappresentanza delle banche, il pagamento dell’importo controgarantito da parte del Fondo avverrebbe direttamente in favore di queste ultime. Quanto ai dubbi sollevati dalla Scrivente in ordine ad un possibile conflitto di interessi che la soluzione prospettata dai liquidatori avrebbe potuto determinare con il conferimento ad e. da parte delle banche di un mandato alla gestione ed alla riscossione delle controgaranzie dal Fondo, codesta Amministrazione ha chiarito, per le vie brevi, che sarebbero in ogni caso le banche a porre in essere tutta l’attività necessaria per determinare l’inadempimento di e., fino - probabilmente - alla fase di attivazione del Fondo. Ciò non è, però, sufficiente, ad avviso di questa Avvocatura, ad eliminare i dubbi già rappresentati al riguardo e rinvenienti non tanto dalla posizione di parte in sé che e. ha nel rapporto, sia con gli istituti finanziatori sia con il Fondo, essendo - al tempo stesso - debitore dei primi e creditore del secondo, quanto dal fatto che dovrebbe quantomeno concorrere a “certificare” il proprio inadempimento che, come detto, rappresenta condizione essenziale per la escussione diretta della controgaranzia da parte degli istituti finanziatori. tale situazione esprime, evidentemente, un conflitto di interessi che, per quanto possa ritenersi potenziale, porta a considerare e. come il soggetto meno idoneo al quale conferire mandato, per escutere la controgaranzia nell’interesse delle banche. Concludendo sul punto, si ritiene pertanto che, ferma la rilevata congruità della proposta dei Liquidatori, il mandato non possa essere conferito ad e. **** Questa soluzione non fa venir meno l’interesse all’esame del secondo quesito, con il quale si chiede se il Fondo che abbia eseguito il pagamento diretto in favore della banche, possa essere esposto ad azione revocatoria o ricevere comunque pregiudizio nella eventualità - non certo remota - che, dopo la erogazione dell’importo controgarantito, la società e. venga sottoposta a procedura concorsuale. Al riguardo è sufficiente osservare che l’azione revocatoria e tutti gli altri rimedi previsti dalla legge fallimentare per garantire il concorso dei creditori, hanno come presupposto il compimento da parte del fallito di atti di disposizione patrimoniale che compromettano la par condicio creditorum. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 orbene, la escussione diretta della controgaranzia da parte dei soggetti finanziatori assume come presupposto la opposta situazione che da parte dei Confidi non vi sia stata alcuna disposizione patrimoniale, essendo appunto subordinata al “mancato pagamento in garanzia” da parte degli stessi. (Disp. op. Parte III, par. H 3.1 - lett.c). Dal tenore di quest’ultima disposizione si evince, inoltre, che il pagamento da parte del Fondo di quanto dovuto in controgaranzia, seguendo al- l’azione diretta dei soggetti finanziatori, non tocca in alcun modo il patrimonio del garante di primo livello che, anche per tale ragione, non può subire alcuna contrazione pregiudizievole per gli altri creditori. Si può, quindi, fondatamente escludere che la eventuale dichiarazione di insolvenza di e. e l’apertura di una procedura concorsuale in suo danno possa in alcun modo incidere sugli effetti dei pagamenti eseguiti in controgaranzia, ponendosi la prospettata soluzione del mandato come semplice modalità per disciplinare la riscossione dei crediti che - ricorrendone le condizioni- le banche vantino direttamente nei confronti del Fondo. **** Più articolato è il terzo ed ultimo quesito, con il quale, sulla base del medesimo presupposto prima esaminato dell’avvenuto pagamento da parte del Fondo direttamente in favore delle banche - si domanda alla Scrivente: a) se sia legittimo che e. -benchè non accertato giudizialmente il suo stato di insolvenza - possa transattivamente attribuire le residue disponibilità agli istituti finanziatori, a saldo della quota di perdita rimasta a suo carico; b) se sia legittimo che, a seguito di detti accordi transattivi, l’onere a carico di e. resti circoscritto alla quota di sua pertinenza, mentre sul Fondo debba gravare l’intera quota di perdita a proprio carico; c) se sia possibile, in alternativa, una soluzione transattiva che si risolva in vantaggio anche del Fondo. La questione posta con quest’ultimo quesito trae spunto dalla soluzione prospettata dai Liquidatori in ordine alla destinazione delle risorse finanziarie che potrebbero residuare nel patrimonio di e., dopo la definizione delle posizioni relative alle garanzie “deteriorate” e dopo il pagamento alle banche del- l’importo controgarantito dal Fondo. La Scrivente, però, non ravvisa le ragioni dei dubbi sollevati da codesta Amministrazione sulla legittimità di tale soluzione, poiché non risulta che il Fondo possa vantare alcuna pretesa sulle predette risorse finanziarie. ed invero, sol che si realizzi il presupposto dell’inadempimento del beneficiario finale, il Fondo, comunque, è tenuto al pagamento dell’importo con- trogarantito, o al confidi che abbia già pagato o -ricorrendo le condizioni sopra specificate -direttamente ai soggetti finanziatori (Disp.op., Parte III -H3 comma 1), i quali però, restano creditori del confidi della quota a carico di quest’ultimo, non coperta da controgaranzia. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo ebbene, rispetto a tale quota ed alle risorse finanziare che dovessero residuare al confidi dopo il saldo dell’istituto finanziatore, il Fondo non può vantare alcuna pretesa, e men che meno un diritto di “rivalsa”, che non è previsto né dal Regolamento (D.M. 248/1999 cit.) né dalle Disposizioni operative, fermo restando il diritto di regresso nei confronti del beneficiario finale. In ogni caso la Scrivente esclude in radice l’opportunità della partecipazione del Fondo a qualsivoglia intesa transattiva che abbia ad oggetto le residue risorse finanziarie di e. e non tanto perché nella ipotesi - come detto, non remota - di declaratoria dello stato di insolvenza di quest’ultimo, tutte le disposizioni patrimoniali sarebbero agevolmente dichiarate inefficaci nei confronti del fallimento, ma per la preminente ragione che un accordo transattivo avente ad oggetto risorse finanziarie di e., in evidente stato di estrema difficoltà economica - se non di insolvenza - potrebbe ritenersi sintomatico di accordo in frode agli altri creditori, del quale il Fondo si renderebbe partecipe, addirittura beneficiando di somme non dovute. Per tali ragioni si esprime parere contrario ad ogni ipotesi transattiva che abbia ad oggetto le residue disponibilità finanziarie di e. Si resta a disposizione per ogni eventuale chiarimento. Sul presente parere si è espresso il Comitato Consultivo. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 Crediti erariali e riscossione coattiva in caso di somme percepite e non dovute da dipendenti p.a. a titolo di retribuzione Parere del 27/09/2017-456702, al 35753/2015, avv. GaBriella d’avanzo Con la nota a riscontro, codesta Amministrazione - premesso di trovarsi spesso a dovere recuperare a vario titolo, soprattutto in esecuzione di sentenze che riformano gradi precedenti, emolumenti erogati ai propri dipendenti e non dovuti - chiede se sia possibile attivare la procedura di iscrizione a ruolo, di cui all’art. 17 del citato D.L.vo n. 46 del 1999 per il recupero dei predetti crediti, “trattandosi … di emolumenti a carattere retributivo”. viene chiarito che il quesito concerne i casi in cui il dipendente sia cessato dal servizio (ad esempio per pensionamento o dimissioni) “a debito non saldato”, giacchè, nell’ipotesi in cui il rapporto di servizio sia ancora in corso, il recupero avviene ordinariamente in un’unica soluzione, con versamento del debito accertato su apposito capitolo di entrata del bilancio, o mediante trattenute mensili commisurate a 1/5 dello stipendio. Preliminarmente è da rilevare che anche nei confronti del dipendente non più in servizio è possibile recuperare quanto da questi dovuto mediante trattenuta mensile commisurata ad 1/5 della pensione, ai sensi dell’art. 2, comma 1, n. 2 del DPR n. 180 del 1950, come più volte interpretato dall’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia (cfr. Corte Cost. n. 506/2002). Per quanto riguarda il quesito all’esame, la risposta è affermativa. 1 -occorre muovere dalla pacifica premessa che per introdurre validamente la procedura per la riscossione mediante ruolo, è necessario che codesta Amministrazione - nel caso in cui la sentenza favorevole sia di mero accertamento e non rechi, cioè, l’espressa condanna dei dipendenti, soccombenti in giudizio, alla restituzione degli importi ricevuti -acquisisca il titolo esecutivo, facendo ricorso all’ordinaria procedura per decreto ingiuntivo di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c., oppure avvalendosi dello speciale procedimento disciplinato dal R.D. n. 639 del 14 aprile 1910 “approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato”. Detto procedimento, infatti, secondo il consolidato insegnamento della Corte Suprema di Cassazione, “è utilizzabile, da parte della P.a., non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della medesima P.a., con il solo limite che il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare sia certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua sussistenza, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rispetto ai quali l’amministrazione dispone di un mero potere di accertamento, restando affidata PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo al giudice del merito la valutazione, in concreto, dell’esistenza dei suindicati presupposti (v. cass. SS.UU. n. 11992/2009)” (così, Cass. Sez. I, n. 7076/2016; id. n. 16855/2004). Nella fattispecie all’esame, ricorrono le condizioni che legittimano il ricorso al procedimento di cui all’art. 2 del R.D. n. 639 del 1910, “trattandosi della restituzione di quelle medesime somme corrisposte in base ad un titolo successivamente caducato, sicchè il potere esercitato dall’amministrazione, ai fini della formazione del titolo esecutivo [sarà] di mero accertamento, senza alcuna valutazione discrezionale” (Cass. n. 7076/2016 cit.). In relazione a quanto precede, pertanto, andrà notificata all’interessato, ai sensi del medesimo art. 2, R.D. n. 639/1910, motivata ingiunzione di pagamento, contenente l’avvertenza che, decorso infruttuosamente il termine legale di trenta giorni, si procederà ad iscrivere a ruolo il credito per la riscossione tramite equitalia (dal 1° luglio 2017, Agenzia delle entrate - Riscossione, ex art. 1, comma 3 D.L. n. 193/2016, conv. in legge n. 225/2016) ai sensi degli artt. 17 e 21 del D.Lgs. n. 46/1999 (per le modalità operative si può consultare nel sito www.gruppoequitalia.it la sezione "enti creditori"). Nel caso in cui l’intimato proponga opposizione all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 3 del citato R.D. n. 639/1910, l’Amministrazione opposta potrà sempre chiedere, in via riconvenzionale, l’accertamento del proprio credito, ottenendo, così, in caso di sentenza favorevole, il titolo esecutivo da far valere in sede esecutiva, anche esattoriale. 2 -Con riferimento alle perplessità prospettate da codesta Amministrazione sull’applicabilità dell’art. 17 del D.L.vo n. 46 del 1999 ai crediti in questione, “trattandosi di recuperi di emolumenti a carattere retributivo”, si osserva che, a mente dell’art. 21 del medesimo D.L.vo n. 46 del 1999, recante i “presupposti dell’iscrizione a ruolo”, anche le “entrate previste dall’art. 17 aventi causa in rapporti di diritto privato sono iscritte a ruolo quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva”. tuttavia, qualche dubbio interpretativo potrebbe, in effetti, sorgere nel caso in cui si intendesse non ricompresa, nella nozione di “entrate dello Stato”, la tipologia dei crediti derivanti dalla restituzione di somme versate dall’Amministrazione in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali poi riformati. Come si è detto, il D.L.vo n. 46 del 1999 dispone espressamente che i crediti erariali per i quali è prevista l’applicazione del regime di riscossione coattiva mediante ruolo sono costituiti dalle “entrate dello Stato …e … degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici”, e che le entrate dello Stato ricomprendono anche le entrate non tributarie (art. 17), siano esse di diritto pubblico o (salvo quanto stabilito all’art. 24 per le entrate degli enti previdenziali) di diritto privato (art. 21); in questo caso, però, la loro iscrizione a ruolo presuppone che sussista un titolo avente efficacia esecutiva (art. 21). RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 L’ampio e generico riferimento normativo al termine “entrate” è perfettamente sovrapponibile, per l’ampiezza e genericità di indicazione, alla nozione “entrate patrimoniali” dello Stato e degli enti pubblici contenuta nell’art. 1 del R.D. n. 639 del 1910, che riguarda non solo le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche quelle di diritto privato, ivi comprese le ipotesi in cui l’ingiunzione è azionata per un credito della P.A., riconducibile all’ambito dei rapporti obbligatori di diritto privato, e si tratti, appunto, di recuperare somme indebitamente versate (in termini, come si è detto, oltre a Cass. n. 7076/2016 cit., cfr. sent. n. 11992/2009; n. 16855/2004 cit.). Peraltro, in un caso in cui si controverteva della riscossione mediante ruolo dei crediti degli enti previdenziali, le Sezioni unite dalla Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 5680/2011, hanno affermato che l’interpretazione letterale dell’art. 17 del D.L.vo n. 46 del 1999 “e, in particolare, l’uso del termine «entrate», inducono ad escludere che la norma, nel prevedere la riscossione coattiva mediante ruolo, si riferisca a tutti i crediti vantati per qualsiasi titolo dai soggetti pubblici dalla stessa indicati e, in particolare, dagli enti previdenziali”. Sembra, tuttavia, alla Scrivente che il ragionamento che ha condotto la Corte ad interpretare restrittivamente l’ampio e generico riferimento del termine “entrate” di cui al comma 1 dell’art. 17 D.L.vo n. 46 del 1999, non incida su quanto sin qui rilevato. Innanzitutto, l’ipotesi sottoposta all’esame delle Sezioni unite riguardava un rapporto previdenziale obbligatorio, in cui si contestava il diritto dell’INPS di procedere, a mezzo della riscossione esattoriale, alla ripetizione dei ratei di pensione di anzianità indebitamente riscossi da un dipendente pubblico. La peculiarità della fattispecie concreta e gli specifici profili in ordine alla contestata vigenza delle norme, in ipotesi incidenti sulla “gamma di strumenti processuali di cui l’ente previdenziale può servirsi a tutela di propri diritti di credito” (così la citata sentenza n. 5680/2011) portano ad escludere che le conclusioni della Corte di Cassazione possano essere utilmente richiamate anche ai fini della soluzione del quesito all’esame. In quell’occasione, inoltre, il caso deciso esulava dall’applicazione del- l’art. 21 D.L.vo n. 46 del 1999, riguardante “le entrate aventi causa in rapporti di diritto privato”, disposizione che, giustamente, non è stata esaminata dalle Sezioni unite e che, invece, qui rileva per la sua innegabile complementarietà rispetto alla fattispecie normativa disciplinata all’art. 17. Peraltro, ulteriore criterio ermeneutico che convince della circostanza che l’espressione “entrate dello Stato” sia stata utilizzata dal legislatore in senso ampio, comprensivo, quindi, anche dei crediti connessi alla ripetizione delle somme erogate in esecuzione di un titolo giudiziario poi riformato, si rinviene nel fatto che l’art. 24 del D.L.vo n. 46 del 1999, pur testualmente intitolato “iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali”, viene invece richiamato, all’art. 21, come disciplinante le “entrate degli enti previdenziali”. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Si può, quindi, conclusivamente ritenere che: 1 - la procedura di riscossione a mezzo di iscrizione a ruolo, da parte dei destinatari dell’art. 17 D.L.vo n. 46 del 1999, interessi tutte le entrate dello Stato, anche quelle aventi causa, a mente dell’art. 21 del medesimo Decreto delegato, in rapporti di diritto privato; 2 - in tal caso, l’iscrizione a ruolo deve essere necessariamente preceduta dalla formazione di un valido titolo esecutivo, da acquisirsi all’esito del procedimento previsto dall’art. 2 del R.D. n. 639/1910 (notificazione di una motivata ingiunzione contenente l’avvertenza che, decorso il termine di trenta giorni senza ricevere il pagamento, ed in mancanza di eventuale opposizione dell’intimato, si procederà alla iscrizione a ruolo del credito per la riscossione tramite il citato Agente della Riscossione), ai sensi degli artt. 17 e 21 del D.Lgs. n. 46/1999. Il suesposto parere è stato sottoposto all’esame del Comitato Consultivo che, nella seduta in data 11 settembre 2017, si è espresso in conformità. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 stazioni appaltanti e centrali di committenza, compensi ai funzionari in qualità di componenti delle commissioni giudicatrici alla luce del D.lgs 50/2016 Parere del 17/10/2017-491742, al 15147/2017, avv. Marco StiGliano MeSSUti 1. Con nota del 14 marzo 2017 n. 7643, il Provveditorato Interregionale oo.PP. per la Campania, Molise, Puglia e Basilicata ha chiesto parere all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli in riferimento allo schema di convenzione per concessione di committenza predisposto in occasione dell’entrata in vigore del D.lgs. 50/2016. In particolare, l'Amministrazione ha sottoposto i seguenti quesiti: a) se i funzionari del Provveditorato -Centrale di committenza -nominati dalla stessa amministrazione componenti e personale di segreteria della commissione giudicatrice di cui all’art. 77, D.lgs. 50/2016 abbiano diritto ad un compenso; quale sia il possibile criterio di quantificazione, da eventualmente distinguersi in una fase transitoria ed una definitiva, all’esito dell’emanazione del decreto ministeriale di cui all’art. 77 comma 10, del medesimo D.lgs. 50/2016; b) se la disciplina dell’art. 113, comma 5, del D.lgs. 50/2016 comprenda anche detti compensi; c) se la stessa disciplina sia immediatamente applicabile. *** 2. Con la nota emarginata codesta Avvocatura, nell'esprimere il proprio orientamento, ravvisata sull'argomento una questione di massima, ha sottoposto la richiesta di parere all'attenzione dello scrivente. 3. Codesta Avvocatura, con parere del 24 febbraio 2014 n. 20731 nella vigenza del D.lgs 163/2006, aveva ravvisato la ricorrenza di una concessione di committenza nel caso di procedure di gara espletate dal medesimo Provveditorato per conto di altri enti ed Amministrazioni, in forza di appositi atti convenzionali, stipulati ai sensi dell’art. 33, del D.lgs. 163/2006, in virtù della quale era stato conferito al Provveditorato stesso il compito di provvedere all’espletamento delle funzioni ed attività, anche pubbliche, di stazione appaltante, in sostituzione dell’Amministrazione concedente. In tale ipotesi, proseguiva codesta Avvocatura, i dipendenti del Provveditorato nominati componenti della commissione giudicatrice andavano qualificati come soggetti terzi rispetto al committente sostanziale, ossia la stazione appaltante, e pertanto avevano diritto al compenso per l'attività espletata ai sensi del DM 31 ottobre 2007, n. 14154. 4. A seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 50/2016 il Provveditorato alle oo.pp. rilevava di aver aggiornato lo schema di convenzione quadro per l’affidamento delle funzioni di Centrale di Committenza e delle attività di PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Committenza ausiliarie, ai sensi e per gli effetti degli artt. 37, 38 e 39 del medesimo D.lgs. 50/2016. Nello schema di convenzione adottato, si prevede che i funzionari del medesimo Provveditorato-Centrale di Committenza, nominati componenti delle commissioni giudicatrici, siano legittimati al riconoscimento del compenso. 5. Per quanto riguarda la quantificazione di detto compenso, nello schema di convenzione vengono definite due diverse scansioni temporali; la prima, antecedente all’emanazione del DM di cui all’art. 77, comma 10 del D.lgs. n. 50/2016, deve sottostare al massimale previsto nell’art. 1 co. 4 (e allegato A) del D.M. n. 14154 del 31 ottobre 2007, considerato strumento regolamentare di riferimento fino all’emanazione del nuovo Decreto. Nella seconda scansione temporale, successiva all’emanazione di suddetto decreto, i compensi spettanti al Provveditorato per le attività di centrale di committenza sono determinati applicando, per quanto riguarda la Commissione di gara, quelli determinati dal decreto medesimo, da considerare spettanti anche ai funzionari del Provveditorato qualora investiti delle funzioni di Presidente/ Componenti/Segreteria, mentre per quanto riguarda il personale della Centrale di Committenza, è previsto il riconoscimento di un importo quantificato nella misura percentuale dello 0,5% dell’importo a base di affidamento corrispondente, ai sensi dell’art. 113, comma 5, del D.lgs. 50/2016, ad una misura pari ad ¼ dell’incentivo previsto dal medesimo art. 113 comma 2. Sullo schema di convezione veniva richiesto un nuovo parere all'Avvocatura di Napoli. 6. Quest'ultima rileva che l’art. 77 co. 10, sancendo il principio secondo il quale ai dipendenti pubblici non spetti alcun compenso di commissario, se appartenenti alla stazione appaltante, "non prevede esplicitamente riferimenti all’ipotesi in cui la stazione appaltante, cui appartenga il dipendente, espleti la procedura di gara per proprio conto o per conto di altra amministrazione pubblica". Fatta questa premessa, codesta Avvocatura ritiene che, nonostante la centrale di committenza e la stazione appaltante siano disciplinate dal D.lgs. 50/2016 come figure distinte (art. 3), tale differenziazione nomenclativa non sia dirimente. In particolare, viene formulato il seguente sillogismo: la definizione di stazione appaltante del nuovo codice è pur sempre quella di amministrazione aggiudicatrice; la definizione di centrale di committenza è identificata parimenti come un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore le quali assolvono una specifiche funzione, ossia forniscono attività di centralizzazione delle committenze e, se del caso, attività di committenza ausiliarie. Si sostiene quindi che la nozione di stazione appaltante espressa dall’art. 77 co. 10, sia possibilmente ispirata alla ratio di onnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente che svolga l’attività assegnata all’ente da RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 tore di lavoro; comprensiva, in altri termini, non solo dell’amministrazione aggiudicatrice nel cui interesse finale sia svolta la procedura di gara, ma anche dell’amministrazione aggiudicatrice-centrale di committenza, che abbia assunto l’incarico di concretamente effettuarla, ravvisandosi anche nel caso della centrale di committenza il rapporto diretto fra l’autorità che provvede alla nomina e il dipendente che ne beneficia. Si conclude dunque nel senso che alcun compenso per componente ed ausiliario di commissione giudicatrice possa essere riconosciuto, in virtù dell’art. 77 co. 10, al pubblico dipendente appartenente alla stazione appaltante ed attributario dei compiti suddetti, sia con riferimento all’amministrazione pubblica che abbia adottato la determina di contrarre, sia con riferimento all’amministrazione pubblica che debba procedere all’aggiudicazione, quale centrale di committenza. Codesto ufficio, giunge a tale conclusione ricorrendo anche ad un iter logico-giuridico alternativo, ossia prescindendo dall’applicazione nel caso di specie dell’art. 77 co. 10; in particolare, si afferma che, per quel che concerne le nomine in commissioni concorsuali, la partecipazione alle commissioni giudicatrici per i componenti interni rientri nell'ordinario contenuto del rapporto di impiego con l'Amministrazione che ha indetto il concorso, il quale ben può comprendere anche prestazioni lavorative occasionali (che, proprio per tale loro specifica natura, non sono previste dalla contrattazione collettiva di settore -tar veneto n. 700/2007). Codesta Avvocatura, afferma, per contro, che in caso si reputi ammissibile il diritto al compenso in capo ai funzionari del Provveditorato, dovrà riconoscersi l’assimilazione dell’incarico del dipendente della centrale di committenza al "c.d. incarico esterno" e pertanto si dovrà tener conto dei principi desumibili dalla disciplina generale degli incarichi esterni ai pubblici dipendenti, come interpretato dalla giurisprudenza consolidata (non remunerazione diretta dei dirigenti; completa estraneità dell’incarico ai doveri del dipendente; incarico motivato previo interpello, da svolgersi fuori dell’orario di lavoro). *** 7. Nelle more dell'evasione del parere, codesto ufficio, con nota del 28 settembre 2017 n. 131232, inoltrava per i seguiti di competenza, l'ulteriore missiva del Provveditorato campano, datata 21 settembre 2017 n. 26161, di chiarimenti ed integrazione documentale. Quest'ultimo chiariva che nell'ambito delle attività di centrale di committenza esso svolge anche funzioni di Stazione unica Appaltante (SuA) ai sensi della legge 13 agosto 2010, n. 136 e successivo Dpcm 30 giugno 2011 e che il disciplinare di regolamentazione degli aspetti economici, predisposto in ossequio alla citata normativa, prevede la corresponsione degli emolumenti per il personale chiamato a far parte delle commissioni di gara. Da ultimo l'ufficio provveditorale chiarisce che "gli incarichi di componente/ presidente/ufficio di segreteria di commissioni di gara svolte da diri PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo genti/funzionari dell'amministrazione nell'espletamento delle funzioni di centrale di committenza sono classificati come "incarichi aggiuntivi" ai sensi della circolare Mit n. 20929 dell'8 maggio 2017", che viene anche allegata. Al riguardo la circolare chiarisce che gli incarichi retribuiti extra trattamento stipendiale, vanno distinti in: "incarichi aggiuntivi" ed "incarichi esterni". Per quanto di interesse, gli incarichi aggiuntivi (punto 2.1 della circolare), "si intendono gli incarichi affidati direttamente da questa amministrazione o gli incarichi affidati da soggetti terzi (amministrazioni pubbliche o soggetti privati), sulla base di convenzioni, accordi, intese, scambi epistolari, previa designazione di questa amministrazione. Gli incarichi aggiuntivi sono connessi con le funzioni istituzionali del Ministero e con il rapporto di lavoro dell'interessato alle dipendenze dell'amministrazione. in particolare, rivestono senz'altro natura istituzionale tutte le attività rientranti nei compiti attribuiti, dalla normativa vigente, al Mit e relativamente ai quali l'individuazione del personale incaricato avvenga in relazione alle mansioni e funzioni svolte presso l'amministrazione. con riferimento alle fattispecie di cui al presente paragrafo, il dipendente opera per conto del Ministero ed il tempo dedicato all'attività va considerato servizio a tutti gli effetti". La circolare al punto 3.1, regola anche il limite economico che ciascun dipendente non può superare in ogni anno solare. *** 8. Questo Generale ufficio, pur dando atto che la questione presenta margini di opinabilità e, considerato, che l'avviso espresso dall'Avvocatura di Napoli con nota del 10 aprile 2017, è intervenuto in data anteriore alla pubblicazione della Circolare ministeriale 8 maggio 2017, osserva quanto segue. La stazione appaltante, (lettera o) dell'art. 3) così come delineate dal nuovo codice degli appalti, può essere fatte coincidere in parte con il genus includente le amministrazioni aggiudicatrici; la centrale di committenza, al contrario, è identificata come un’amministrazione aggiudicatrice che svolge attività di centralizzazione delle committenze, attività che viene definita dal legislatore alla lett. i ) del medesimo comma 1 dell’art. 3 del D.lgs. 50/2016. La stazione appaltante, ai sensi della legge italiana e nello specifico nel codice dei contratti pubblici, indica una pubblica amministrazione aggiudica- trice o altro soggetto di diritto, che affida appalti pubblici di lavori, forniture o servizi oppure concessioni di lavori pubblici o di servizi. La centrale di committenza, ai sensi del codice dei contratti pubblici è una stazione appaltante che gestisce gare d'appalto per conto di più pubbliche amministrazioni italiane. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 Che la "stazione appaltante" e la "centrale di committenza" siano due figure ontologicamente distinte trova conferma in vari passaggi del codice dei contratti ed in particolare all'art. 37 che ne delinea in misura pregnante i rapporti tra i due soggetti. Fatta questa necessaria premessa deve osservarsi che non convince il sillogismo in virtù del quale si sostiene che alcun compenso per componente ed ausiliario di commissione giudicatrice possa essere riconosciuto ai funzionari del Provveditorato-Centrale di Committenza. Il legislatore all’art. 77 comma 10 ha precisato che ai dipendenti pubblici non spetta alcun compenso per l'attività di commissario di commissione ag- giudicatrice “se appartenenti alla stazione appaltante”. Questo inciso, in forza di un'interpretazione letterale e teleologica porta a concludere che se l'attività di partecipazione ad una commissione aggiudicatrice viene svolta dal dipendente in favore di un soggetto diverso dalla "stazione appaltante" il divieto non dovrebbe operare. Quest'ultimo soggetto in base alle diverse definizioni fornite dagli artt. 3 e 37 del codice, ha una precisa identità del tutto dissimile da quella della centrale di committenza. Ne consegue, argomentando a contrario che, nel caso di procedure di gara espletate dal medesimo Provveditorato per conto di altri enti ed Amministrazioni, in forza di appositi atti convenzionali, stipulati ai sensi e per gli effetti degli artt. 37, 38 e 39 del D.lgs. 50/2016, debba riconoscersi sussistente il diritto al compenso in capo ai funzionari delle commissioni giudicatrici, poiché i compiti assolti dagli stessi nell’espletamento delle attività di Centrale di Committenza non rientrano nei fini istituzionali del Provveditorato (Cfr. Corte dei Conti sezione controllo Campania 11 dicembre 2014 n. 247). 9. Nel solco di questo percorso argomentativo, per quanto attiene la natura, gli incarichi di componente/presidente/ufficio di segreteria delle commissioni di gara appaiono riconducibili, in forza della citata circolare, agli "incarichi aggiuntivi" (punto 2.1), con conseguente applicazione della relativa disciplina. *** 10. Per quanto concerne i quesiti relativi alla disciplina dell’art. 113 co. 5, del D.lgs. 50/2016 ossia se tale disposizione normativa comprenda anche i compensi spettanti ai membri della commissione giudicatrice e se sia di immediata applicazione, si osserva quanto segue. 10.1 Quanto all'immediata applicabilità del comma 5, dell'art. 113 si condivide l'avviso espresso dall'Avvocatura di Napoli, nel senso della piena efficacia della disposizione, in quanto il regolamento di cui al comma 3, investe la distribuzione del fondo tra i funzionari e non la sua costituzione. 10.2 Quanto invece al quesito se la disciplina dell’art. 113 co. 5 del D.lgs. 50/2016 comprenda anche i compensi spettanti ai membri della commissione giudicatrice si osserva quanto segue. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Il comma 2 del medesimo art. 113 del D.lgs. 50/2016 elenca le attività per le quali è previsto un incentivo, ed esse consistono in quelle di: "programmazione della spesa per investimenti, per la verifica preventiva dei progetti di predisposizione e di controllo delle procedure di bando e di esecuzione dei contratti pubblici, di responsabile unico del procedimento, di direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di collaudatore statico ove necessario per consentire l'esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti". Nelle attività elencate non è contemplata quella relativa ai compensi per la commissione giudicatrice. ora, inferire da questa lacuna che la possibilità ivi contemplata di richiesta di rimborso dei costi della centrale di committenza non possa riguardare tale ultima attività, parrebbe presentare non poche criticità; difatti si ammetterebbe che ai dipendenti pubblici della Centrale di Committenza/ Provveditorato, incaricati della predisposizione del bando o anche di curare attività di mera collaborazione, spetti un compenso, mentre ai membri della commissione di gara, ai quali sono delegati i compiti maggiormente complessi e del tutto conseguenti alle procedure di gara medesime, non spetti alcun compenso. Il tutto non dimenticando che come detto in precedenza i compensi per l'attività prestata in seno alla commisisone giudicatrice sono previsti dall'art. 77, comma 10. *** 11. In conclusione, ed in attesa dell’adozione del decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle Finanze ex art. 77 co. 10, la Scrivente ritiene di poter rispondere ai quesiti formulati nei seguenti termini: 1) I funzionari ed i dirigenti del Provveditorato-Centrale di committenza, nominati dalla stessa Amministrazione componenti e personale di segreteria delle commissioni giudicatrici di cui all’art. 77, D.lgs. 50/2016 svolgono un incarico da qualificarsi "aggiuntivo" ai sensi del punto 2.1 della Circolare MIt, 8 maggio 2017 ed hanno diritto ad un compenso così come previsto al punto 3 della medesima circolare. Per i dirigenti opera il regime di onnicomprensività di cui all'art. 24, comma 3, del D.lgs 165/2001, come precisato anche al punto 2.1.3 della circolare ministeriale. Nel quadro economico dell'intervento andranno indicate, tra le somme a disposizione, le spese di cui all'art. 113, comma 5, del Dlgs 50/2016. 2) Per quanto concerne la quantificazione del compenso spettante al personale del Provveditorato per le attività di Centrale di Committenza, occorre distinguere. a) Fase transitoria: Nelle more dell'adozione del Decreto di cui all'art. 77 comma 10, si potrà RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 ricorrere all'applicazione analogica della disposizione di cui al DM Infrastrutture del 31 ottobre 2007 n. 14154 per quanto concerne i compensi spettanti ai componenti delle commissioni giudicatrici (funzionari o dirigenti del Provve- ditorato/Centrale di Committenza); L’erogazione di detto compenso dovrà essere subordinata all’espressa riserva del diritto alla restituzione o al contrario ad un conguaglio nel caso in cui, rispettivamente, il compenso risultante dall’emanando decreto risulti essere inferiore oppure superiore al compenso risultante dall'emando DM. ovviamente andranno rispettati i "tetti" previsti al punto 3.1 della Circolare ministeriale. b) Fase a regime. Successivamente all'emanazione del DM di cui all'art. 77, comma 10, D.lgs 50/2016 appliccare i compensi da esso stabiliti. 3) Per quanto concerne il personale della centrale di committenza, per funzioni diverse da quelle della sola commissione giudicatrice, va riconosciuto un compenso ex art. 113, comma 5, d.lgs 50/2016. Da ultimo, valuterà codesto Ministero se in sede di adozione del DM previsto dall'art. 77, comma 10, D.lgs 50/2016 si renderanno necessari ulteriori chiarimenti. Attesa la natura di massima il presente parere, viene altresì inoltrato al Gabinetto del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ed al Direzione generale del personale del Ministero. Sul presente parere, è stato sentito il Comitato Consultivo di quest'Avvocatura, che nella seduta del 2 ottobre 2017 si è espresso in conformità. PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Fondazione a carattere pubblico, requisiti necessari, disciplina applicabile ai rapporti di lavoro Parere reSo in via ordinaria del 04/08/2017-388188, al 19028/2017, avv. diana ranUcci A) Con la nota in epigrafe, codesto ufficio chiede alla Scrivente di esprimere il proprio parere in relazione: a) a quale sia la natura giuridica della Fondazione Segretariato Permanente IAI, in particolare dal punto di vista dei rapporti di lavoro; b) alla possibilità che la Fondazione Segretariato Permanente IAI stipuli contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e alle conseguenze derivanti dal venir meno del soggetto finanziatore pubblico; c) alla eventuale sussistenza di profili di responsabilità dei Soci, del Consiglio di Amministrazione e dei suoi componenti, laddove rapporti di lavoro a tempo indeterminato dovessero essere instaurati e, successivamente, interrotti per cessazione dei finanziamenti assicurati dal Governo Italiano. B) Si ritiene utile un riassunto della vicenda: 1) con la firma della “Dichiarazione di Ancona” -sulla cooperazione regionale quale strumento di promozione della stabilità economica e politica e del processo di integrazione europea -da parte dei Ministri degli Affari esteri di 6 Paesi rivieraschi (Albania, Bosnia-erzegovina, Croazia, Grecia, Italia e Slovenia) il 19/20 maggio 2000 è nata l’Iniziativa Adriatico Ionica (di seguito IAI); 2) nel 2002 all’originaria composizione dell’IAI si è aggiunta l’unione di Serbia-Montenegro. Nel 2006, in seguito alla scissione della succitata unione, sia la Serbia che il Montenegro hanno mantenuto la membership nel- l’IAI. Pertanto, attualmente quest’ultima è costituita da 8 Stati: Albania, Bosnia- erzegovina, Croazia, Grecia, Italia, Slovenia, Serbia e Montenegro; 3) dal giugno 2008, su decisione dei Governi degli Stati Membri dell’IAI, è stato costituito il Segretariato dell’IAI, che opera nella città di Ancona con il sostegno della Regione Marche, del Comune di Ancona, dell’università Politecnica delle Marche, della Camera di Commercio di Ancona, del MAeCI e, dal 14 dicembre 2010, anche attraverso la “Fondazione Segretariato Permanente dell’Iniziativa Adriatico Ionica (IAI)”, che è dunque soggetto distinto tanto dall’IAI che dal Segretariato IAI; 4) la Fondazione Segretariato dell’IAI è un organismo senza fine di lucro inizialmente qualificato come oNLuS, (cfr. atto costitutivo, del 14 dicembre 2010, della Fondazione di partecipazione “segretariato permanente dell’iniziativa adriatico ionica-onlus”). A seguito di rilievo sollevato dall’Agenzia delle entrate, che confermava che, nel caso di specie, la Fondazione non avrebbe potuto ottenere l’iscrizione all’Anagrafe delle oNLuS essendo i soci fondatori tutti enti pubblici o parificati (cfr. modifica dell’atto costitutivo del 11 gennaio 2011), si è proceduto RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 alla modifica della denominazione dell’ente eliminando dalla sua denominazione il termine “ oNLuS” e mantenendo quello di Fondazione, al fine di sottolinearne la diversità dall’esistente e perdurante “segretariato permanente dell’iniziativa adriatico-ionica, IAI”. La Fondazione in discorso ha patrimonio a partecipazione pubblica, e svolge la propria attività per mezzo di un contributo finanziario italiano basato sui c.d. “Decreti Missioni Internazionali”. In base a tale strumento normativo il MAeCI risulta il principale contribuente al bilancio della Fondazione, mentre la Regione Marche partecipa principalmente tramite la messa a disposizione della sede; 5) il MAeCI è quindi socio di maggioranza nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione; 6) risulta che, per la realizzazione dei propri fini, la Fondazione ha avviato dei rapporti temporanei di lavoro con alcuni dipendenti, i quali sono impiegati tramite contratti di collaborazione a progetto. C) tanto premesso, ed esaminati i documenti relativi alla Fondazione, la Scrivente esprime le seguenti considerazioni in relazione ai punti individuati supra a. a) natura giuridica della Fondazione Segretariato dell’iai. L’art. 19 dello Statuto della Fondazione Segretariato dell’IAI - rubricato “clausola di rinvio” -sancisce che “per quanto non previsto dal presente Statuto si applicano le disposizioni del codice civile e le norme di legge vigenti in materia”. Il richiamo espresso alle norme del codice civile potrebbe far ritenere che la Fondazione sia in tutto e per tutto un soggetto a carattere privatistico. tale conclusione tuttavia non tiene conto del fatto che, nell’attuale panorama giuridico, si rinvengono numerose Fondazioni che, sebbene costituite ai sensi delle norme contenute nel codice civile, prevedono come fondatori dei “soggetti pubblici”, elemento questo in grado di mutarne la natura giuridica. In dettaglio, sia la dottrina che la giurisprudenza sono concordi nel qualificare “Fondazione Pubblica” quella che risulti assimilabile al paradigma giuridico dell’organismo di diritto pubblico (cfr. Cons. Stato Sez. v, Sent. n. 7393 del 12 ottobre 2010, Cass. civ. Sez. unite, Sent. n. 8225 del 7 aprile 2010, Corte dei Conti Lazio, Sez. contr., Delib., n. 151 del 24 luglio 2013). La definizione di organismo di diritto pubblico è contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 -Codice dei contratti pubblici -secondo cui: “ai fini del presente codice si intende: […] d) «organismi di diritto pubblico», qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato iv: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”. Non è dubbio che la nozione di organismo di diritto pubblico abbia matrice comunitaria (direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce), per cui il citato art. 3, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016 deve essere interpretato alla luce della giurisprudenza comunitaria in materia. Ciò premesso, si rileva che la norma predetta enuclea tre condizioni cumulative affinché un soggetto possa essere qualificato come organismo di diritto pubblico. A parere della Scrivente, tutti i presupposti richiamati sussistono con riguardo alla Fondazione Segretariato dell’IAI. Si rileva infatti che tutte le formalità occorrenti per il riconoscimento della personalità giuridica, ai sensi del D.P.R. 10 febbraio 2000 n. 361, sono state nella specie espletate: ed infatti è decisivo al riguardo evidenziare che la Fondazione Segretariato IAI, come tutte le Fondazioni, ha acquistato la personalità giuridica con atto pubblico, ex art. 14 c.c., mediante il riconoscimento determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso la competente Prefettura, secondo il procedimento previsto dall’art. 1, DPR n. 361/2000, e che l’atto costitutivo della Fondazione (repertorio n. 314693/55535 del 14 dicembre 2010) è stato registrato in data 10 gennaio 2011 al n. 85 - Serie 1t. In merito al requisito della c.d. influenza pubblica dominante, l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016 individua tre fattori alternativi così sintetizzabili: 1) finanziamento pubblico maggioritario; 2) controllo pubblico sulla gestione; 3) attribuzione alla mano pubblica della nomina di più della metà dei componenti gli organi d’amministrazione, di direzione o di vigilanza. Come esposto supra B, punto 4, del presente parere, l’attività della Fondazione IAI è finanziata esclusivamente, o comunque prevalentemente, dal MAeCI tramite il ricorso allo strumento dei c.d. “Decreti Missioni Internazionali”, per cui, a parere della Scrivente, è indubitabile la sussistenza del fattore del “finanziamento pubblico maggioritario”, il quale risulta condizione sufficiente per ritenere assolto il requisito in esame. Né in senso contrario potrebbe deporre l’art. 5 dello Statuto, che individua le fonti di alimentazione del patrimonio della Fondazione senza limitarle a fondi e/o risorse di esclusiva provenienza pubblicistica (“il patrimonio della Fondazione è composto: […] da contributi attribuiti al patrimonio da parte dell’Unione europea, dello Stato, di enti territoriali o di altri enti Pubblici e da privati, sia a livello nazionale che straniero”). È sufficiente infatti analizzare il bilancio consuntivo della Fondazione per evincere che nell’anno 2016 l’unico contributo monetario elargito è quello RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 del MAeCI, per la somma di 299.996 euro. Dal medesimo bilancio si deduce inoltre che la Regione Marche, la CCIAA e l’università Politecnica delle Marche contribuiscono all’attività della Fondazione tramite prestazioni non pecuniarie quali, a titolo esemplificativo, concessioni di immobili e attività tecnico-scientifiche. Sul punto devesi tuttavia rilevare che anche tali forme di finanziamento, pur non essendo di natura pecuniaria, sono tuttavia suscettibili di valutazione economica, così è tale ad esempio la concessione da parte della Regione Marche dell’immobile sede della Fondazione. Ne discende che il patrimonio della Fondazione è in definitiva alimentato da soggetti aventi tutti natura di ente pubblico. Infine, l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016 prevede il requisito teleologico. Sul punto, la Corte di Giustizia dell’ue ritiene sussistente tale requisito quando l’organismo operi in vista di un interesse generale avente carattere non industriale o commerciale: “il legislatore ha operato una distinzione tra bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, da un lato, e bisogni di interesse generale aventi carattere industriale o commerciale dal- l’altro; che la nozione di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale non esclude bisogni che siano o possano essere parimenti soddisfatti da imprese private; che la circostanza che esista una concorrenza non è sufficiente ad escludere la possibilità che un ente finanziato o controllato dallo Stato, da enti territoriali o da altri organismi di diritto pubblico si lasci guidare da considerazioni non economiche; che tuttavia l’esistenza della concorrenza non è del tutto irrilevante ai fini della soluzione della questione se un bisogno di interesse generale rivesta carattere non industriale o commerciale; che l’esistenza di una concorrenza articolata, in particolare la circostanza che l’organismo interessato agisca in situazione di concorrenza sul mercato, può costituire un indizio a sostegno del fatto che non si tratti di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale; che questi ultimi bisogni sono, di regola, soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato; che in linea generale, presentano tale carattere quei bisogni al cui soddisfacimento per motivi connessi all’interesse generale lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere un’influenza determinante; che lo status di organismo di diritto pubblico non dipende dalla importanza relativa, nell’ambito dell’attività dell’ente medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; che l’esistenza o la mancanza di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale deve essere valutata oggettivamente, restando al riguardo irrilevante la forma giuridica delle disposizioni per mezzo delle quali tali bisogni sono espressi” (cfr. Sentenza 10 novembre 1998, causa C-360/96, Gemeente arnhem e Gemeente rheden contro BFi Holding Bv e Cass. civ. Sez. unite, Sent. n. 8225 del 7 aprile 2010). PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo Stante quanto riportato, la Scrivente - analizzata la documentazione relativa alla Fondazione IAI - ritiene che: -dal contenuto dello Statuto non sembra che la Fondazione svolga un’attività di natura concorrenziale improntata al rendimento, all’efficacia e alla redditività. Invero, la Fondazione esplica la propria attività al fine di agevolare la cooperazione regionale quale strumento di promozione della stabilità economica e politica e del processo di integrazione europea e, -in accordo con l’art. 2 dello Statuto, “la Fondazione favorisce le attività promosse dall’iniziativa adriatico ionica fornendo il supporto organizzativo e operativo al Segretariato iai. nell’assicurare tale supporto al Segretariato, la Fondazione, su indicazione degli organi istituzionali dell’iai, potrà operare nel favorire progetti di interesse degli Stati partecipanti iai in relazione anche alle politiche dell’Unione europea. Per il conseguimento degli obiettivi suindicati la Fondazione può concorrere a bandi dell’Unione europea. Particolare interesse si presterà a progetti riguardanti attività delle medie piccole imprese, trasporti, cooperazione marittima, turismo, cultura, cooperazione interuniversitaria, ambiente e protezione civile contro gli incendi, nonché a progetti in altre aree che gli Stati Partecipanti volessero sviluppare”. -nella Fondazione in argomento il MAeCI è finanziatore primario e socio di maggioranza all’interno del Consiglio di Amministrazione; -dall’analisi del Bilancio consuntivo 2016 emerge che “la Fondazione oltre a non svolgere attività lucrativa non esercita alcuna attività di natura economica, e pertanto non è soggetta a tassazione ireS”; -la Fondazione non svolge, né può svolgere attività commerciale/industriale, non avendo, anche per statuto (Art. 1), alcun fine di lucro né può distribuire utili. In questo senso è anche espressamente l’Accordo di collaborazione del 19 aprile 2011, ove si legge che “la Fondazione è ente non commerciale”; -nel medesimo Accordo è previsto che la Fondazione ha tra i suoi scopi “il supporto organizzativo ed operativo del Segretariato Permanente iai”; -l’art. 1 del medesimo Accordo dispone che la Fondazione - unitamente a SvIM -fornisca “assistenza tecnica alla regione Marche nella realizzazione delle attività che consentano il riconoscimento della Strategia della macro regione adriatica”. tali elementi evidenziano da un lato la assenza di aspetti commerciali nella Fondazione in esame e, dall’altro, una spiccata presenza di elementi di natura pubblica, sia in ragione degli scopi perseguiti, di natura essenzialmente pubblica, sia per la natura, a totale costituzione pubblica, del patrimonio della Fondazione. Sotto tali profili, sembra potersi concludere che la Fondazione IAI - persona giuridica di diritto privato - sia qualificabile anche come “organismo di diritto pubblico”, quale categoria giuridica maggiormente adatta ad eviden RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 ziare l’indole pubblicistica della Fondazione, il cui scopo principale è quello di rafforzare la cooperazione tra i Paesi partecipanti all’Iniziativa Adriatico Ionica fornendo il supporto organizzativo e operativo al Segretariato Permanente dell’IAI. Come si evince dall’atto costitutivo della Fondazione (pag. 5), l’Istituto è infatti un ente non lucrativo che persegue uno scopo generale di utilità sociale vincolando il patrimonio al perseguimento di detto scopo e articolando la propria organizzazione in modo tale da garantire la partecipazione efficace degli aderenti. La Fondazione IAI mira quindi al soddisfacimento di esigenze di interesse generale, le quali non hanno carattere industriale o commerciale. Come chiarito dalla Corte dei Conti Lazio (Sez. contr., Delib., n. 151 del 24 luglio 2013): “[…] il ricorrere di determinati elementi […] rende, di fatto, la persona giuridica privata un semplice modulo organizzativo dell’ente pubblico socio, al pari di altre formule organizzative aventi parimenti natura pubblicistica (aziende speciali e istituzioni). in altri termini l’utilizzo dello schema giuridico “fondazione” da parte dell’ente pubblico rende la persona giuridica privata un’entità strumentale dell’ente stesso, ovvero una modalità di gestione dell’interesse generale perseguito. ciò implica l’applicazione a quest’ultima dei vincoli pubblicistici […]”. Inoltre, continua la Corte dei Conti: “il generale principio di razionalità e coerenza dell’ordinamento giuridico, che l’interprete della legge è chiamato a ricercare, impone la diretta applicazione della normativa vincolistica del settore pubblico a tutti gli organismi partecipati dagli enti locali e trova fondamento e giustificazione nel principio costituzionale della parità di trattamento (articolo 3 cost.) per situazioni sostanzialmente uguali, in virtù dello scopo perseguito e delle risorse utilizzate per lo svolgimento delle attività, a prescindere dalla forma giuridica rivestita dall’organismo gestore”. Di conseguenza, nel caso di specie risulta presente anche il requisito teleologico. In conclusione, tenuto conto della compresenza di tutti e tre i requisiti richiamati dal d.lgs. n. 50/2016, la Scrivente ritiene che la Fondazione Segretariato dell’IAI debba altresì essere qualificata come organismo di diritto pubblico, nel senso specificato dalla Corte dei Conti. tale conclusione è avvalorata anche dall’orientamento espresso dal Consiglio di Stato (CdS, sez. v, sentenza n. 7393 del 12 ottobre 2010), secondo cui: “l’attribuzione della natura pubblicistica ad una persona giuridica di diritto privato necessita della presenza di alcuni elementi, quali la costituzione da parte di un ente pubblico (Stato, regione, ente locale), il perseguimento di un fine pubblico da parte dell’ente di diritto privato, la presenza maggioritaria di fonti pubbliche di finanziamento, l’esistenza di controlli da parte di soggetti pubblici, l’ingerenza pubblica nella gestione dell’ente”. Il che è esattamente quanto, a parere della Scrivente, si rileva nella specie, PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo ove gli elementi summenzionati sono presenti nella Fondazione IAI, la quale deve essere pertanto considerata -richiamando le parole utilizzate dalla Corte dei Conti nella delibera n. 151/2013 -un mero modulo organizzativo della P.a., finalizzato al conseguimento dell’interesse generale degli enti pubblici fondatori. A conferma di quanto sopra rilevato è anche l’art. 7 dello Statuto: “la Fondazione ha l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse. È vietata la distribuzione, anche in modo indiretto, di utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita della Fondazione a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge”. Infine, si osserva che la Fondazione non può essere classificata come organismo di diritto internazionale in quanto “per organizzazione internazionale si intendono tecnicamente le associazioni di Stati create con un trattato internazionale (c.d. trattato istitutivo) a fini di cooperazione, regolate dal diritto internazionale e funzionanti mediante organi propri” (FoCAReLLI, diritto internazionale i -il Sistema degli Stati e i valori comuni dell’umanità, CeDAM, 2012, p. 61). La creazione mediante un trattato internazionale esclude in automatico dalla nozione di organizzazione internazionale la Fondazione IAI, la quale è stata istituita tramite un atto costitutivo di diritto privato ex art. 14 c.c. Chiarita la natura giuridica della Fondazione in esame è possibile fornire soluzione ai quesiti proposti da codesto MAeCI. ebbene, la natura di organismo di diritto pubblico attribuibile alla Fondazione IAI ne comporta l’assoggettamento alle norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, contenute nel d.lgs. n. 165/2001, e, in particolare, alle disposizioni che disciplinano le modalità di reclutamento del personale e le tipologie contrattuali relative. Dall’esame della nota in epigrafe, si evince che la Fondazione IAI ha peraltro già avviato rapporti temporanei di lavoro con alcuni dipendenti ricorrendo a contratti di collaborazione a progetto. In merito, si sottolinea che dal 25 giugno 2015, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, art. 52, non è più possibile stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto. Di conseguenza, solamente i contratti di tal tipo stipulati dalla Fondazione in data antecedente al 25 giugno 2015 continueranno ad essere soggetti alla disciplina previgente contenuta negli artt. 61 ss. del d.lgs. n. 276/2003 e negli artt. 2222 ss. c.c. Per il resto, la Fondazione IAI dovrà seguire le procedure pubbliche di selezione per le assunzioni - sia a tempo determinato che indeterminato - contenute nel d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165; in particolare troveranno applicazione le norme previste agli artt. 35 ss. del d.lgs. n. 165/2001 in materia di reclutamento e quelle di cui agli artt. 51 ss. del medesimo decreto in tema di rapporto di lavoro. RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 In sintesi, ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro: a) tramite procedure selettive; b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento; oppure c) è possibile avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico alla stregua dell’art. 35, comma 3 bis, d.lgs. n. 165/2001. L’applicazione delle norme sul lavoro alle dipendenze delle pubbliche Amministrazioni anche agli organismi di diritto pubblico è confermata dal Consiglio di Stato (sez. v, sent. 30 novembre 2012, n. 6103), che ha affermato che: “[..] è infatti il giudice amministrativo, quale “giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica” (sentenza corte cost. n. 191/2006, punto 4.3 della parte in diritto) quello istituzionalmente preposto al contenzioso sulle “procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” ai sensi del ridetto art. 63, comma 4, testo unico del pubblico impiego, laddove per queste ultime non devono intendersi solo quelle in senso formale ai sensi del parimenti menzionato art. 1, comma 2, del medesimo testo unico, ma appunto, in conformità al criterio teleologico […], tutti i soggetti ad esse equiparabili, in primis gli organismi di diritto pubblico”. Infine, dai documenti trasmessi da codesto MAeCI, si evince che la Fondazione IAI - in passato - aveva già indetto una selezione pubblica, per titoli, soggetta alle norme della L. 241/90 (art. 10, Responsabile del procedimento), finalizzata al conferimento di un incarico di consulenza tecnica per il progetto denominato “Supporto al percorso di integrazione dello spazio euro adriatico -Fase 2, la MacroreGione adriatico ionica”, il cui avviso di selezione risale al 19 aprile 2011. In esito a tale selezione, è stato poi sottoscritto un contratto di consulenza biennale, in data 9 maggio 2011, rinnovabile per un biennio. b) Possibilità per la Fondazione Segretariato Permanente iai di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. conseguenze derivanti dal venir meno del soggetto finanziario pubblico. In primo luogo, nonostante la natura anche pubblicistica della Fondazione, non si rinviene nell’ordinamento giuridico italiano alcun divieto alla stipulazione da parte di essa di contratti di lavoro subordinato sia a tempo indeterminato che determinato, ex art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. Infine codesto MAeCI chiede di conoscere il parere della Scrivente in ordine alle conseguenze verificabili nell’ipotesi in cui la Fondazione stipuli contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e, successivamente al- l’assunzione, venga meno -per qualunque legittimo impedimento -il sostegno finanziario pubblico, il quale rappresenta la principale fonte di sostentamento per l’Istituto. tale ipotesi è disciplinata dall’art. 18 dello Statuto, che, in tale evenienza, dispone lo “scioglimento” della Fondazione: “la Fondazione è costituita senza PAReRI CoMItAto CoNSuLtIvo limitazione di durata. Se lo scopo della Fondazione divenga impossibile, o se il patrimonio divenga insufficiente, ed in generale quando ricorrano le cause di estinzione previste dall’art. 27 c.c. o quelle di scioglimento previste dall’art. 28 primo comma c.c. la Fondazione si estingue anche ai sensi dell’art. 28, secondo comma c.c. nel caso si addivenisse per qualsiasi motivo alla liquidazione della Fondazione, il consiglio di amministrazione, previa approvazione della competente autorità tutoria, nominerà tre liquidatori che potranno essere scelti fra i membri del consiglio di amministrazione stesso. in caso di estinzione, da qualsiasi causa determinata, tutti i beni della Fondazione, salvo quelli che possano rientrare nella disponibilità del Socio che li ha conferiti, saranno devoluti a fini di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 31 del cod. civ.”. In ragione dello scioglimento della Fondazione, tutti i contratti di lavoro stipulati potranno essere risolti ricorrendo all’istituto del licenziamento “per giustificato motivo oggettivo”. tale forma di licenziamento non pare esclusa nonostante si verta in rapporti di pubblico impiego cd. privatizzato. Difatti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 si applicano ai rapporti di pubblico impiego “le disposizioni del capo i, titolo ii, del libro v del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo”. Inoltre, come evidenziato dalla dottrina, l’istituto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è contemplato anche nell’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, il quale sancisce che “le pubbliche amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall’articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono tenute ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone immediata comunicazione al dipartimento della funzione pubblica”, nonché nell’art. 72, comma 11 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, da tale norma richiamato. In aggiunta, l’operatività, anche nel settore pubblico, della tipologia di licenziamento in esame è confermata dall’art. 55 quater, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, il quale -in materia di licenziamento disciplinare -sancisce che “ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo […]”. Per completezza, si rammenta infine che l’art. 3 della legge n. 604 del 15 luglio 1966 -rubricata “norme sui licenziamenti individuali” -dispone che “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro RASSeGNA AvvoCAtuRA DeLLo StAto - N. 3/2017 ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”, ragioni tra le quali rientra anche quella connessa alla cessazione dell’attività. c) Profili di responsabilità dei Soci, del consiglio di amministrazione e dei suoi componenti, laddove rapporti di lavoro a tempo indeterminato dovessero venir meno per cessazione dei finanziamenti assicurati dal Governo italiano. A parere della Scrivente, non sembra ravvisabile alcun profilo di responsabilità in capo ai Soci, al CdA e ai suoi componenti allorché rapporti di lavoro a tempo indeterminato dovessero essere interrotti a causa dello scioglimento conseguente alla cessazione del finanziamento MAeCI, giacché in tal caso troverebbe applicazione - come illustrato supra B, lett. b) - l’art. 18 dello Statuto della Fondazione IAI. LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ Responsabilità degli enti e degli esercenti le professioni per l’erogazione delle prestazioni sanitarie alla luce della legge 8 marzo 2017 n. 24 (c.d. “Legge Gelli”) Michele Gerardo* Sommario: 1. ragioni alla base della adozione della legge 8 marzo 2017 n. 24, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” -2. responsabilità professionale e direzione strategica aziendale - 3. ambito oggettivo (prestazioni sanitarie) e soggettivo (esercenti le professioni sanitarie) coinvolti nella nuova legge - 4. Stato dell’arte sulla responsabilità collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie alla data di entrata in vigore della legge 8 marzo 2017 n. 24 - 5. Nuova disciplina sulla responsabilità collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie di cui alla legge 8 marzo 2017 n. 24. il regime della responsabilità - 6. Nuova disciplina sulla responsabilità collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie di cui alla legge 8 marzo 2017 n. 24. (segue) il regime della assicurazione della responsabilità civile - 7. Conclusioni. 1. ragioni alla base della adozione della legge 8 marzo 2017 n. 24, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”. Negli ultimi anni si è registrato un considerevole incremento del contenzioso in ambito sanitario. Ciò ha comportato un crescente ricorso alla c.d. medicina difensiva, ovvero alla prescrizione, da parte dei medici, di molteplici prestazioni diagnostiche e terapeutiche, spesso non necessarie per non dire potenzialmente pericolose per la salute. Si assiste addirittura al rifiuto, sempre (*) Avvocato dello Stato. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 da parte dei medici, ad effettuare interventi sanitari, ritenuti ad alto rischio, con conseguente venire meno di quel rapporto di fiducia che deve intercorrere tra il medico e il proprio paziente. Quanto descritto ha determinato, prima di tutto, conseguenze negative per la salute dei cittadini ma anche un aumento della spesa sanitaria; le risorse, più che mai preziose in tempi di congiuntura economica negativa (quale quella attuale), vengono, peraltro, male impiegate, per non dire sprecate, in quanto, anziché essere finalizzate a prestazioni sanitarie di cui i cittadini hanno effettivamente bisogno, e quindi diritto, vengono, invece, utilizzate per prevenire ipotesi di responsabilità, sia essa penale che civile, in capo ai medici, e più in generale ai professionisti sanitari. A ciò aggiungasi che la comprensibile preoccupazione di essere chiamati a rispondere giudizialmente del proprio operato, anche nelle ipotesi in cui il professionista sanitario abbia svolto la propria prestazione nello scrupoloso rispetto delle buone pratiche cliniche, ha determinato, in questi anni, una vera e propria fuga dalle specializzazioni maggiormente esposte al c.d. rischio giudiziale. Nei prossimi anni vi sarà carenza di ginecologi, per fare solo un esempio di una delle specializzazioni mediche tra le più coinvolte in vicende giudiziarie. Da ultimo, bisogna ricordare che molti professionisti sanitari, proprio a causa del proliferare del contenzioso, non riescono, materialmente, ad ottenere un’adeguata copertura assicurativa, a causa dei costi eccessivamente elevati delle polizze assicurative. I descritti fattori hanno determinato l’adozione di iniziative dirette a depotenziare gli aspetti più critici, in termini di responsabilità, in capo agli esercenti delle professioni sanitarie. Iniziative -tra l’altro -sfociate nella adozione della legge n. 24 del 2017. 2. responsabilità professionale e direzione strategica aziendale. Le tematiche afferenti la responsabilità professionale - variamente incisa con la legge n. 24 del 2017 - interessano trasversalmente vari aspetti significativi del governo clinico e dell’organizzazione: obblighi di trasparenza e comunicazione, prevenzione e gestione del rischio clinico, appropriatezza delle cure, rapporto con l’utenza, reputazione della struttura, serenità dei professionisti, rapporto tra struttura e professionisti, gestione del contenzioso, scelta tra assicurazione e la autoritenzione del rischio, impatto dei risarcimenti sul bilancio aziendale e, dunque, sul Fondo del SSN. In dettaglio si evidenziano, tra l’altro, i seguenti aspetti. - obblighi di trasparenza e comunicazione. La legge “Gelli” pone a carico della struttura una serie di disposizioni LeGISLAzIoNe eD AttuALItà concernenti la trasparenza dei dati, alcune a tutela del singolo paziente (articolo 4), quale il termine entro il quale ottenere la documentazione sanitaria, che costringerà le direzioni sanitarie a vigilare sulla tempestiva chiusura delle cartelle cliniche e sulla completezza della loro documentazione. Molto va fatto su questo versante da parte delle direzioni sanitarie, in termini di formazione specifica ai medici, soprattutto in quelle realtà nelle quali non esiste la cartella clinica informatizzata, strumento di rilievo nella gestione del rischio clinico. Si richiamano altresì le disposizioni dell’articolo 13 della legge n. 24/2017, circa l’obbligo di comunicazione - a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche o private, e delle imprese assicuratrici entro il termine di dieci giorni dalla ricezione dell’atto introduttivo del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato - all’esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità. Stesso termine vale per comunicare l’avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prenderne parte. -organizzazione di uno strutturato sistema di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio clinico. Gli enti pubblici e privati dovranno attivarsi affinché la gestione del rischio clinico non sia un puro adempimento formale, ma, viceversa, si tramuti in cultura aziendale, atta a scardinare meccanismi di mancato apprendimento dall’errore, endemici in molte realtà sanitarie. in primis, sarà necessario costituire un’unità dedicata a supporto della gestione del rischio, che verifichi la strutturazione di percorsi clinici, provveda al coinvolgimento dei clinici e degli operatori sanitari, nelle cui mani è la vera gestione del rischio, nonché a favorire le buone pratiche sanitarie, compresa la corretta e tempestiva compilazione delle cartelle cliniche, la formazione del personale, la comunicazione degli operatori sanitari con il paziente e con i parenti, la informatizzazione dei percorsi per un migliore monitoraggio dei percorsi e dei rischi, a partire dalla cartella clinica informatizzata. -assistenza tecnica agli uffici legali della struttura sanitaria nel caso di contenzioso. La gestione del rischio costituisce un aspetto essenziale dell’attività dei Comitati valutazione sinistri (CvS), organismi di natura collegiale e multidisciplinare, di carattere consultivo, che esprimono pareri, generalmente non vincolanti, sulle richieste risarcitorie formulate nei confronti dell’ente. Il CvS, di prassi, svolge le seguenti attività: a) valuta i sinistri allo scopo di individuarne il nesso causale con le condotte che li hanno prodotti; b) individua una strategia condivisa di gestione del sinistro; c) nel caso di assicurazione del rischio da parte dell’ente, valuta l’impatto economico dei rischi; d) valuta le tipologie e l’entità degli eventuali danni arrecati a terzi con il coinvolgimento delle varie professionalità aziendali necessarie per una analisi dei rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 sinistri, anche in una ottica preventiva finalizzata a scongiurare che si ripetano; e) formula la propria proposta motivata di definizione del sinistro sottoponendola alla direzione generale; f) contribuisce a individuare le aree di criticità che, dal punto di vista organizzativo e tecnico-professionale, sono suscettibili di dar vita a contenzioso e suggerisce le opportune azioni correttive. -assistenza tecnica nelle attività di stipulazione di coperture assicurative o di gestione di coperture auto-assicurative. La legge 24/2017 si è ispirata al modello dell’altro grande rischio sociale assicurato: la responsabilità civile auto (r.c.a.): assicurazione obbligatoria per tutti, indistintamente, sia per le strutture sanitarie, che per i medici (art. 10); azione diretta del paziente danneggiato verso la compagnia assicuratrice del sanitario e dell’ente (art. 12); fondo di garanzia Consap per danni eccedenti i massimali assicurati, oppure coperti da compagnie insolventi (art. 14). La differenza principale, non trascurabile, con il sistema della r.c.a. è che la copertura assicurativa degli incidenti sanitari non ha un mercato adeguato dell’offerta, in quanto è disertata dalle compagnie assicurative (sia nazionali, che straniere). Ciò rende difficoltoso per questo ramo assicurativo assorbire la domanda di copertura. Con l’effetto che parte del rischio sanitario oggi non è coperto da assicurazione, oppure i contratti assicurativi prevedono franchigie elevate. Infatti, la legge sulla responsabilità professionale, a fronte dell’obbligo delle strutture di assicurarsi, non prevede l’obbligo di contrarre a carico delle compagnie assicuratrici e, anzi, assimila alla copertura assicurativa “altre analoghe misure”, che altro non sono se non l’autoritenzione del rischio (1). 3. ambito oggettivo (prestazioni sanitarie) e soggettivo (esercenti le professioni sanitarie) coinvolti nella nuova legge. La legge, nella sostanza, disciplina dati aspetti della responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie collegati all’erogazione delle prestazioni sanitarie. È opportuno delineare il perimetro oggettivo e soggettivo. Prestazioni sanitarie sono qualsivoglia attività riconducibile a: a) assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro. tale ma- croarea interessa la prevenzione nei suoi molteplici aspetti, intesa come insieme delle misure adatte ad impedire l’insorgenza di stato morboso; b) assistenza distrettuale. tale macroarea interessa tutte le prestazioni che vengono erogate sul territorio al fine di garantire l’assistenza primaria, il coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le strutture operative a gestione diretta e l’erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale; (1) Sugli aspetti ora descritti si richiama, anche per una esposizione più diffusa: AA.vv., Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, Quotidiano Sanità edizioni, 2017, pp. 239 e ss. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà c) assistenza ospedaliera. tale macroarea interessa l’attività di pronto soccorso ed i trattamenti erogati nel corso del ricovero ospedaliero in regime ordinario, inclusi i ricoveri di riabilitazione e di lungodegenza post-acuzie, il ricovero diurno (day hospital) e i trattamenti ospedalieri a domicilio (2). Professioni sanitarie sono quelle che lo Stato italiano riconosce e che, in forza di un titolo abilitante, svolgono attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Alcune professioni sanitarie sono costituite in ordini e Collegi, con sede in ciascuna delle province del territorio nazionale. Professioni sanitarie sono: farmacista, medico chirurgo, odontoiatra, veterinario, psicologo. vi sono anche professioni sanitarie infermieristiche e ostetrici, nonché infermiere pediatrico; a queste si aggiungono le professioni sanitarie riabilitative, nonché professioni tecnico-sanitarie (di area tecnico-diagnostica e tecnico-assistenziale). Sicché, per esercenti le professioni sanitarie si intendono quei professionisti che, in virtù di un rapporto diretto con il paziente, svolgono prestazioni sanitarie. 4. Stato dell’arte sulla responsabilità collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie alla data di entrata in vigore della legge 8 marzo 2017 n. 24. L’erogazione delle prestazioni sanitarie ad opera di strutture sanitarie, pubbliche o private, trova fonte in un negozio giuridico intercorrente tra l’ente ed il paziente. Si parla in giurisprudenza del c.d. contratto atipico di spedalità e/o contratto di assistenza sanitaria che si perfeziona “per facta concludentia” con l’accettazione del paziente presso il nosocomio e ha un oggetto molto ampio, non limitato all’erogazione delle cure sanitarie, ma esteso anche “ad obblighi di protezione e accessori” (3). Corollario di ciò è che alle eventuali anomalie in sede di esecuzione si applica la disciplina sulla responsabilità contrattuale. ossia (richiamando gli (2) Su tali aspetti: r. BALDuzzI, G. CArPANI, manuale di diritto sanitario, Il Mulino, 2013, pp. 341-362. (3) Cass. S.u. 11 gennaio 2008, n. 577, la quale precisa che “Questa Corte ha costantemente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. n. 1698 del 2006; Cass. n. 9085 del 2006; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; Cass. 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316)”; precisa altresì “Così ricondotta la responsabilità della struttura ad un autonomo contratto (di spedalità), la sua responsabilità per inadempimento si muove sulle linee tracciate dall'art. 1218 c.c., e, per quanto concerne le obbligazioni mediche che essa svolge per il tramite dei medici propri ausiliari, l'individuazione del fondamento di responsabilità dell'ente nell'inadempimento di obblighi propri della struttura consente quindi di abbandonare il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d'opera professionale e di fondare semmai la responsabilità dell'ente per fatto del dipendente sulla base dell'art. 1228 c.c.”. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 aspetti più significativi): prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.; presunzione di inadempimento e di colpa ex art. 1218 c.c. Per i principi generali, venendo in rilievo la tutela di un interesse essenziale della persona, vi è - in favore del paziente danneggiato - il concorso del- l’azione aquiliana ex art. 2043 c.c. vi è concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale quando in relazione al medesimo fatto -coesistono le fattispecie dell’inadempimento e dell’illecito civile. una condotta di inadempimento contrattuale può dar luogo ad una responsabilità extracontrattuale quando consista in un fatto che pregiudichi contemporaneamente diritti derivanti dal contratto e diritti che, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto contrattuale, trovino il loro fondamento nel principio del neminem laedere (4). Ciò accade nel caso di lesione di diritti assoluti e primari erga omnes, quali il diritto alla vita, alla integrità ed incolumità personale, alla proprietà, all’onore. Il medesimo fatto lede al contempo sia diritti che hanno fonte in un preesistente vinculum iuris, sia diritti indipendenti da esso; vi sono cioè due distinti diritti in capo allo stesso soggetto. Il paziente danneggiato, oltrecché nei confronti della struttura sanitaria (a titolo contrattuale e extracontrattuale), ha azione altresì nei confronti del- l’equipe medica esecutrice della prestazione sanitaria dannosa. Il concorso di azioni è operativo anche in relazione alla tutela risarcitoria nei confronti del- l’equipe medica; difatti accanto alla (sicura) azione aquiliana per l’inosservanza del principio del naeminem laedere, il quadro giurisprudenziale si è assestato nel senso che il rapporto tra medico e paziente nella struttura sanitaria determina un “contatto sociale” idoneo a determinare l’applicazione degli effetti della responsabilità contrattuale, ancorché difetti una specifica fonte contrattuale (rapporti contrattuali di fatto) (5). La responsabilità da contatto sociale è un’ipotesi di responsabilità da inadempimento dell’obbligazione che nasce dal “contatto sociale” tra due soggetti che non hanno posto in essere alcuna relazione contrattuale (6). va tenuto presente che nel giudizio - instaurato dal danneggiato - avente ad oggetto l’azione risarcitoria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria nell’ambito di strutture private, “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave” (art. 2236 c.c.). Si ritiene in giurisprudenza che l’art. 2236 c.c. quantunque collocato (4) Sul concorso dei due tipi di responsabilità, ex plurimis: C.M. BIANCA, Diritto Civile, vol. v, II ed., Giuffrè, 2012, p. 563. (5) Cass. SS.uu., n. 577/2008, cit., per la quale “anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale (Cass. 22 dicembre 1999, n. 589; Cass. 29 settembre 2004, n. 19564; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488; Cass. n. 9085 del 2006)”. (6) C.M. BIANCA, istituzioni di diritto privato, Giuffré editore, 2016, p. 550. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà nell’ambito della regolamentazione del contratto d’opera professionale, è applicabile, oltre che nel campo contrattuale anche in quello extracontrattuale, in quanto prevede un limite di responsabilità per la prestazione delle attività professionali in genere, sia che essa si svolga nell’ambito di un contratto, sia che venga riguardata al di fuori di un rapporto contrattuale vero e proprio e perciò anche come possibile fonte di responsabilità extracontrattuale (7). La differenza tra i concetti di dolo colpa grave è nota: il dolo implica intenzionalità dannosa e consapevolezza, mentre la colpa grave esclude la volontarietà, ma non si esaurisce solo -come la colpa c.d. lieve -nella negligenza, imprudenza o imperizia, dovendo le stesse esser elevate, macroscopiche. Si deve trattare, insomma, di violazioni grossolane del dovere di diligenza, di prudenza e perizia (non intelligere quod omnes intelligunt) . La giurisprudenza ha negli anni elaborato una serie di parametri valutativi della condotta tenuta dalla persona fisica esercente la professione sanitaria, al fine di distinguere la colpa lieve dalla colpa grave, e così sintetizzabili: a) la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi; b) la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’agente; c) la motivazione della condotta; d) la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa (8). Nello specifico perimetro dell’art. 2236 c.c., la prevalente - condivisibile -interpretazione dottrinale è nel senso che il professionista risponde solo per dolo o colpa grave quando l’esecuzione della prestazione richiede una perizia superiore a quella ordinaria della categoria; in tal caso la colpa grave consiste nella disapplicazione del minimo di nozioni e tecniche che il professionista generico deve possedere in relazione a prestazioni specializzate; il professionista generico è però tenuto ad accertare la speciale difficoltà della prestazione e far presente al cliente la necessità di richiedere l’opera di uno specialista (9). Il professionista risponde, invece, secondo le regole comuni (colpa lieve), se doveva risolvere problemi tecnici ordinari e non particolarmente difficili (10). (7) Su tale quadro giurisprudenziale: F. GArrI, G. GArrI, La responsabilità civile della pubblica amministrazione, utet, 2007, p. 646. (8) In tali termini Cass. pen. Sez. Iv, 27 maggio 2015, n. 22405. (9) Sul punto C.M. BIANCA, Diritto Civile, vol. v, cit., pp. 34-35, il quale evidenzia che la giurisprudenza reputa sussistere problemi tecnici di speciale difficoltà nei casi che trascendono la preparazione media o non ancora sufficientemente studiati dalla scienza medica, nei casi clinici nuovi non ancora dibattuti con riferimento ai metodi terapeutici da seguire. (10) Così: F. MeSSINeo, manuale di diritto civile e commerciale, vol. III, vIII edizione, Giuffrè editore, 1954, p. 241. riassuntivamente, anche F. GAzzoNI, manuale di diritto privato, XvI edizione, eSI editore, 2013, p. 1175 per il quale nell’art. 2236 c.c. vi è solo “una precisazione e non già una limitazione di responsabilità, perché la colpa grave rapportata alla speciale difficoltà del caso finisce per atteggiarsi come una colpa lieve, purché non vi sia stata negligenza o imprudenza e non già mera imperizia, che è comunque esclusa, in campo medico, in presenza di malattie non ancora sufficientemente studiate o oggetto di dibattiti scientifici con sperimentazione di sistemi diagnostici e terapeutici diversi e contrastanti […] Pertanto per gli interventi di routine vale anche la colpa lieve”. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Invece nel giudizio -instaurato dal danneggiato -avente ad oggetto l’azione risarcitoria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria nell’ambito di strutture pubbliche è sempre richiesta la colpa grave (art. 23 D.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3). La colpa grave consiste nella violazione della diligenza minima (mentre integra la colpa lieve la violazione della ordinaria diligenza) (11). In ossequio al principio di cui all’art. 1294 c.c. -ed altresì all’art. 28 della Costituzione ove venga in rilievo una struttura sanitaria pubblica -vi è responsabilità solidale passiva della struttura sanitaria e dei componenti della equipe medica per il risarcimento del danno al paziente. Per il meccanismo delle obbligazioni solidali ex artt. 1292 e 2055, comma 1, c.c. il condebitore è tenuto verso il creditore ad adempiere per intero (e non in modo parziario) la prestazione; l’adempimento libera poi, verso il creditore, tutti i restanti condebitori. Il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può, ex art. 1299 c.c., ripetere dai condebitori la parte di ciascuno di essi; parti che, nelle obbligazioni contrattuali, si presumono uguali, se non risulta diversamente (art. 1298 c.c.), mentre nelle obbligazioni extracontrattuali il regresso è possibile nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dal- l’entità delle conseguenze che ne sono derivate (art. 2055, comma 2, c.c.). Nel caso di ristoro del pregiudizio al paziente danneggiato da parte della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata, quest’ultima - in applicazione delle regole sulla solidarietà - potrà agire in rivalsa nei confronti del- l’equipe medica esecutrice della prestazione sanitaria dannosa. ove il danneggiato abbia conseguito il ristoro del danno dalla struttura pubblica si configura una fattispecie di danno erariale, comportante la responsabilità amministrativa dell’equipe medica oggetto di giudizio dinanzi alla Corte dei Conti con la sua peculiare disciplina, tra cui la responsabilità dei dipendenti solo a titolo di dolo o colpa grave (art. 1, comma 1, Legge 14 gennaio 1994, n. 20). 5. Nuova disciplina sulla responsabilità collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie di cui alla legge 8 marzo 2017 n. 24. il regime della responsabilità. -L’art. 7 riguarda la disciplina della responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria e dell'esercente la professione sanitaria. Il I e II comma dell'art. 7 regolamentano la responsabilità della struttura sanitaria e dispongono testualmente: “1. La struttura sanitaria o sociosanita- (11) C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. v, cit., p. 582. La diligenza consiste nell’impiego normalmente adeguato di energie e dei mezzi utili al soddisfacimento dell’interesse del creditore (C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. v, cit., p. 8). LeGISLAzIoNe eD AttuALItà ria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina”. I precetti sono riepilogativi dello stato dell'arte in materia descritto sopra nel paragrafo quattro. viene testualmente disciplinata la responsabilità contrattuale. tuttavia, per la regola generale del naeminem laedere contenuta nell’art. 2043 c.c., nella fattispecie della responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria, accanto alla responsabilità contrattuale regolata nel primo comma, sussiste anche quella aquiliana. Per escludere quest’ultima sarebbe stata necessaria una espressa disposizione eccettuativa, circostanza che non ricorre nel caso di specie. Il comma 2 dell’art. 7 stabilisce che la struttura risponde contrattualmente verso il paziente anche quando si tratti di prestazioni svolte “in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale nonché attraverso la telemedicina”. All’evidenza -nel caso dell’intramoenia -l’ente è obbligato al risarcimento del danno perché trae un utile economico dalla attività libero professionale (essendo i relativi proventi ripartiti, sia pure in percentuali variabili, tra il sanitario e l’azienda di appartenenza). L’art. 7 comma 2 nello stabilire che “la disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte […] in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale” comporta che la struttura è obbligata al risarcimento del danno anche quando l’evento lesivo sia dipeso dalla condotta di un sanitario convenzionato (quale il medico di famiglia). Il III comma dell'art. 7 regolamenta la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria e dispone: “3. L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge”. tale precetto è innovativo rispetto allo stato dell'arte in materia alla data di entrata in vigore della legge. Difatti viene meno, in questa evenienza, la teorica del “contatto sociale” e sussiste, in linea di principio, solo la responsabilità aquiliana. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Il precetto de quo è espressione della volontà di indirizzare - attraverso il regime di maggior favore dell’art. 1218 c.c. - le pretese del danneggiato verso la struttura sanitaria, che è meglio in grado di scongiurare, attraverso una efficiente organizzazione, gli eventi avversi. Nella determinazione del danno risarcibile si tiene conto della entità della inosservanza delle leges artis in materia. -L’art. 5, citato nel iii comma dell’art. 7, riguarda le buone pratiche clinico- assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida. L’articolo citato prescrive che gli esercenti le professioni sanitarie, nel- l'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative di medicina generale si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida, pubblicate, elaborate ed aggiornate nei modi ivi previsti. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali. Le linee guida costituiscono raccomandazioni (direttive scientifiche) finalizzate al miglioramento del livello di cura di classi di pazienti attraverso la revisione sistematica delle migliori evidenze scientifiche disponibili e vengono considerate come un modello preferenziale di assistenza. Le linee guida dovrebbero essere quindi la fonte principale ispiratrice dell'azione dell'esercente la professione sanitaria in quanto basate sulla migliore letteratura disponibile in un determinato momento storico basata su quella che oggi viene definita l'evidenza scientifica. Le linee guida sono raccomandazioni da cui è possibile discostarsi se non siano adeguate alla specificità del caso concreto, con valutazione operata sulla base di evidenze scientifiche; è possibile ed è doveroso non attenersi alle linee guida cliniche se non portano benefici -o se addirittura portano danni -per quanto concerne la salute del paziente (12). L’espressione “buone pratiche clinico-assistenziali” comprende sia le prassi professionali orientate alla tutela della salute, basate su prove di evidenza scientifica, sia i documenti, purché coerenti con evidenze scientifiche ed elaborati con metodologia dichiarata e ricostruibile, comunque denominati, e quindi non solo quelli che recano la dicitura “buone pratiche” (13). -L’art. 6, pure citato nel iii comma dell’art. 7, riguarda la responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria. recita tale norma: “1. Dopo l'articolo 590-quinquies del codice penale è inserito il seguente: (12) In tal senso: AA.vv., Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, cit., pp. 71-72. (13) Sul punto: AA.vv., Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria, cit., p. 73. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà «art. 590-sexies (responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario). - Se i fatti di cui agli articoli 589 [omicidio colposo] e 590 [Lesioni personali colpose] sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto […]”. Nella fattispecie criminosa di cui all’art. 590-sexies c.p. la condotta del- l'esercente la professione sanitaria professionista deve essere caratterizzata da colpa. L’art. 43 c.p. così descrive le caratteristiche del delitto colposo: “il delitto: […] è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. In ipotesi di negligenza o di imprudenza o di imperizia, si parla di colpa generica; in caso di inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, la colpa è specifica. Il secondo comma dell’art. 590-sexies c.p. esclude la punibilità ove i fatti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose siano commessi nell'esercizio della professione sanitaria rispettosa delle “raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”. In tale situazione la disposizione testualmente connota gli eventi (omicidio colposo o di lesioni personali colpose) come conseguenza di una causa di imperizia. va rilevato, tuttavia, che l’enunciato dell’art. 590-sexies c.p. secondo cui “l'evento si sia verificato a causa di imperizia” è improprio. Nella situazione data l’enunciato deve intendersi come: “l’evento si sia verificato in un caso che richiedeva l’osservanza di regole di perizia [rectius: delle appropriate regole tecniche]”. Ciò per le seguenti ragioni. Con definizione tralaticia l’imperizia è intesa quale “inosservanza delle appropriate regole tecniche” (14), ossia delle cd. leges artis. All’evidenza le linee guida o, in subordine, le buone pratiche clinico-assistenziali costituiscono regola tecnica, la cui osservanza determina perizia e la cui inosservanza comporta imperizia. L’osservanza delle dette regole non può mai comportare colpa, atteso che le stesse esauriscono l’ambito della perizia/imperizia. (14) C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. v, cit., p .8. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Il dato testuale - “l'evento si sia verificato a causa di imperizia” - come detto, è improprio. Si ipotizza una causa di imperizia, nonostante l’osservanza delle regole tecniche: ipotesi che è illogica. Il legislatore ha normato la fattispecie in modo ellittico, sintetico ed è incorso in un evidente infortunio. In conclusione l’esercente la professione sanitaria risponde per negligenza, per imprudenza, per inosservanza delle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge (ovvero, in mancanza di queste, delle buone pratiche clinico-assistenziali) - in un caso in cui le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto -ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. A ben vedere l’art. 590-sexies c.p. contiene disposizioni coerenti con i principi della colpevolezza penale, con la peculiarità di riempire di contenuti specifici -le “raccomandazioni previste dalle linee guida” -la regola cautelare per il giudizio sulla colpa dell’agente basato sulla imperizia. La conformità della condotta dell’esercente la professione sanitaria alle linee guida o, in subordine, alle buone pratiche clinico-assistenziali - le quali hanno assunto il rango di fonti di regole cautelari codificate - esclude la responsabilità tanto penale (art. 589-sexies c.p.), quanto civile (art. 2043 c.c.); in ambedue i casi non si può muovere un rimprovero di colpevolezza al- l’agente. La responsabilità civile, peraltro, può essere esclusa, altresì nella situazione descritta nell’art. 2236 c.c. e -per gli operatori nelle strutture pubbliche - nell’art. 23 D.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3. Il Iv comma dell'art. 7, sui criteri di quantificazione del danno risarcibile (15) è strumentale al fine di rendere omogenea la materia, a fronte delle varietà delle soluzioni giurisprudenziali sul punto. - L’art. 8 disciplina il tentativo obbligatorio di conciliazione. Si è prevista, in alternativa al procedimento di mediazione ex art. 5, comma 1 bis, D.Lvo. 4 marzo 2010 n. 28, la presentazione del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. (C.t.u.) ai fini della composizione della lite quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria dinanzi al giudice civile. Il ricorso ex art. 696-bis c.p.c. integra una azione - da proporre davanti al giudice e diretta ad acquisire una consulenza tecnica preventiva -che conduce (15) Il comma dispone “4. il danno conseguente all'attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 [Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità] e 139 [Danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità] del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo”. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà alla nomina di un consulente tecnico affinché determini se esiste o meno responsabilità, se esistono danni in connessione a tale responsabilità e quale sia la loro eventuale quantificazione. Con la particolarità che il consulente deve, prima di depositare la sua relazione, tentare la conciliazione tra le parti. Il procedimento di mediazione, invece, è una procedura stragiudiziale molto rapida (che deve concludersi entro 3 mesi dall’avvio della stessa) il cui scopo è quello di consentire alle parti di risolvere una controversia attraverso l’opera di un mediatore (ossia una figura professionale qualificata e imparziale) che, una volta verificata la disponibilità dei soggetti coinvolti nel procedimento ad una conciliazione, formula loro una proposta per il componimento della lite. All’evidenza il ricorso ex art. 696-bis c.p.c. è uno strumento più funzionale - rispetto alla mediazione - al fine della definizione stragiudiziale della vicenda. - L’art. 9 regola l’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa. L'articolo mira a limitare la responsabilità “interna” dell'esercente la professione sanitaria, con varie disposizioni di favore. La norma si occupa dell’azione di regresso verso l’esercente la professione sanitaria in caso di ristoro - erogato dalla struttura sanitaria -ottenuto dal danneggiato. L’azione può essere esercitata tanto nei confronti di dipendenti di strutture sanitarie o sociosanitarie private quanto, ovviamente, nei confronti di dipendenti di strutture pubbliche. La differenza principale riguarda il soggetto cui è demandata l’azione: in ambito privato è la stessa struttura sanitaria o sociosanitaria a poter agire, mentre in ambito pubblico l’azione spetta al pubblico ministero presso la Corte dei Conti. viene previsto altresì il diritto di surrogazione dell’impresa assicuratrice. I commi I, II, III, Iv e vI (16) disciplinano l'azione di rivalsa nei confronti (16) I quali così dispongono: “1. L'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave. 2. Se l'esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l'azione di rivalsa nei suoi confronti può essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale ed è esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dall'avvenuto pagamento. 3. La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria o sociosanitaria o contro l'impresa di assicurazione non fa stato nel giudizio di rivalsa se l'esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio. 4. in nessun caso la transazione è opponibile all'esercente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa. […] 6. in caso di accoglimento della domanda proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria privata o nei confronti dell'impresa di assicurazione titolare di polizza con la medesima struttura, la misura della rivalsa e quella della surrogazione richiesta dall'impresa di assicurazione, ai sensi dell'articolo 1916, primo comma, del codice civile, per singolo evento, in caso di colpa grave, non possono superare una somma pari al valore maggiore del reddito professionale, ivi compresa la retribuzione lorda, conseguito nell'anno di inizio della condotta causa dell'evento o nel- l'anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo. il limite alla misura della ri rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 dell'esercente la professione sanitaria all'esito del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria nei confronti di struttura sanitaria o sociosanitaria privata. L'aspetto più rilevante è che l'azione può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave, equiparandosi la disciplina del privato al pubblico. viene altresì previsto un massimale all'azione di rivalsa e di surrogazione ove sia coinvolta una struttura sanitaria privata o impresa di assicurazione titolare di polizza con la medesima struttura. Il comma v (17) regola l'azione di responsabilità amministrativa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria all'esito dell'accoglimento della domanda nei casi di responsabilità ex art. 7 L. n. 24/2017 nei confronti di struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o dell'esercente la professione sanitaria. vengono, nella sostanza, precisate le condizioni per l'esercizio del potere riduttivo, disponendosi “ai fini della quantificazione del danno […] si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato”. La citata disposizione - che tiene ferme le previsioni di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 della L. 14 gennaio 1994, n. 20 (18) e quelle di cui al secondo comma dell’articolo 52 del r.D. 12 luglio 1934 n. 1214 (19) - non ha un reale contenuto innovativo, atteso che specifica valsa, di cui al periodo precedente, non si applica nei confronti degli esercenti la professione sanitaria di cui all'articolo 10, comma 2”. (17) Secondo cui “5. in caso di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, ai sensi dei commi 1 e 2 del- l'articolo 7, o dell'esercente la professione sanitaria, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 7, l'azione di responsabilità amministrativa, per dolo o colpa grave, nei confronti dell'esercente la professione sanitaria è esercitata dal pubblico ministero presso la Corte dei conti. ai fini della quantificazione del danno, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 1-bis, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e dall'articolo 52, secondo comma, del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l'esercente la professione sanitaria ha operato. L'importo della condanna per la responsabilità amministrativa e della surrogazione di cui all'articolo 1916, primo comma, del codice civile, per singolo evento, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell'anno di inizio della condotta causa dell'evento o nell'anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo. Per i tre anni successivi al passaggio in giudicato della decisione di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato, l'esercente la professione sanitaria, nell'ambito delle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche, non può essere preposto ad incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti e il giudicato costituisce oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi per incarichi superiori”. (18) “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”. (19) “La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà ed adatta alla particolare realtà ospedaliera quegli elementi di criticità oggettiva di profilo organizzativo che sono normalmente tenuti in considerazione in sede di esercizio del “potere riduttivo” della entità della condanna, previsto dal citato comma 2 dell’articolo 52 del r.D. n. 1214/1934. Il “potere riduttivo” è di esclusiva prerogativa del giudice contabile, in considerazione delle speciali caratteristiche di tale giurisdizione non sovrapponibili a quelle della giurisdizione ordinaria. Nella disciplina relativa all’azione e al giudizio di rivalsa davanti al giudice ordinario non è prevista tale facoltà. viene previsto inoltre un massimale al quantum recuperabile in sede di azione di responsabilità amministrativa e di surrogazione ex art. 1916 cc. nel caso di responsabilità per colpa. All’azione di responsabilità amministrativa nei confronti dei dipendenti di strutture pubbliche non si applicano anche i commi da 1 a 4 del- l’articolo in esame. Ciò è desumibile dalla interpretazione letterale dell’intero articolo, dalla quale si evince che il legislatore riferisce il termine “azione di rivalsa” al regresso per fatti di responsabilità in strutture private ed il termine “azione di responsabilità” al regresso per fatti di responsabiità in strutture pubbliche. I precetti del comma vII (20) si applicano tanto all’azione di rivalsa che a quella di responsabilità amministrativa. 6. Nuova disciplina sulla responsabilità collegata all’erogazione delle prestazioni sanitarie di cui alla legge 8 marzo 2017 n. 24. (segue) il regime della assicurazione della responsabilità civile. - L’art. 10 prevede l’obbligo di assicurazione. viene introdotta una nuova fattispecie di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile. L’articolo recita: “1. Le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d'opera, ai sensi dell'articolo 27, comma 1-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 [21], anche per danni cagionati dal personale a qualunque (20) “7. Nel giudizio di rivalsa e in quello di responsabilità amministrativa il giudice può desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria o dell’impresa di assicurazione se l’esercente la professione sanitaria ne è stato parte”. (21) “a ciascuna azienda del Servizio sanitario nazionale (SSN), a ciascuna struttura o ente privato operante in regime autonomo o accreditato con il SSN e a ciascuna struttura o ente che, a qualunque titolo, renda prestazioni sanitarie a favore di terzi è fatto obbligo di dotarsi di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi (rCT) e per la responsabilità civile verso prestatori d'opera (rCo), a tutela dei pazienti e del personale. […]”. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 titolo operante presso le strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche e private, compresi coloro che svolgono attività di formazione, aggiornamento nonché di sperimentazione e di ricerca clinica. La disposizione del primo periodo si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina. Le strutture di cui al primo periodo stipulano, altresì, polizze assicurative o adottano altre analoghe misure per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie anche ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 7, fermo restando quanto previsto dall'articolo 9. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano in relazione agli esercenti la professione sanitaria di cui al comma 2. 2. Per l'esercente la professione sanitaria che svolga la propria attività al di fuori di una delle strutture di cui al comma 1 del presente articolo o che presti la sua opera all'interno della stessa in regime libero-professionale ovvero che si avvalga della stessa nell'adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente ai sensi dell'articolo 7, comma 3, resta fermo l'obbligo di cui all'articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 [22], all'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della repubblica 7 agosto 2012, n. 137 [23], e all'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 [24]. 3. al fine di garantire efficacia alle azioni di cui all'articolo 9 e all'articolo 12, comma 3, ciascun esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private provvede alla stipula, con oneri a proprio carico, di un'adeguata polizza di assicurazione per colpa grave. 4. Le strutture di cui al comma 1 rendono nota, mediante pubblicazione nel proprio sito internet, la denominazione dell'impresa che presta la copertura assicurativa della responsabilità civile verso i terzi e verso i prestatori d'opera di cui al comma 1, indicando per esteso i contratti, le clausole assi( 22) “Con decreto del Presidente della repubblica […], gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi: […] a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. […]”. (23) “1. il professionista è tenuto a stipulare, […], idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale, comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso. […]”. (24) La disposizione modalizza alcuni aspetti relativi all’accesso alla copertura assicurativa degli esercenti le professioni sanitarie. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà curative ovvero le altre analoghe misure che determinano la copertura assicurativa. […]. 6. Con decreto del ministro dello sviluppo economico, […] sono determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo l'individuazione di classi di rischio a cui far corrispondere massimali differenziati. il medesimo decreto stabilisce i requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio, richiamate dal comma 1; disciplina altresì le regole per il trasferimento del rischio nel caso di subentro contrattuale di un'impresa di assicurazione nonché la previsione nel bilancio delle strutture di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati. a tali fondi si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67. [...]”. Le “misure analoghe” all’assicurazione, o auto-ritenzione -da attivarsi ad opera delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private - consistono nella c.d. auto-assicurazione, ossia la ritenzione del rischio degli incidenti sanitari nella struttura. L’articolo 10 (comma 1) la prevede e (comma 6) ne delinea i principi regolatori, disponendo, in aggiunta al fondo rischi, un fondo apposito di messa a riserva con imputazione contabile per annualità di competenza dei risarcimenti relativi “ai sinistri denunziati”. Si assoggettano tali accantonamenti alla disciplina dell’impignorabilità degli importi, prevista per gli stipendi dei dipendenti, secondo l’art. 1 del decreto legge n. 9 del 18 gennaio 1993, convertito nella legge n. 67 del 18 marzo 1993. tali misure analoghe vanno attivate ove non si trovi una compagnia assicurativa disposta a coprire il rischio, oppure ove siano convenienti al confronto con i costi dell’assicurazione. Nelle posizioni individuali dei sanitari non è prevista l’auto-ritenzione. - L’art. 11 prevede l’estensione della garanzia assicurativa. viene prevista (25) una puntuale operatività temporale della garanzia assicurativa. (25) “1. La garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. in caso di cessazione definitiva del- l'attività professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura. L'ultrattività è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta”. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 -L’art. 12 introduce l’azione diretta del soggetto danneggiato nei confronti della assicurazione. La norma dispone “1. Fatte salve le disposizioni dell'articolo 8, il soggetto danneggiato ha diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione, nei confronti del- l'impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa alle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private di cui al comma 1 dell'articolo 10 e all'esercente la professione sanitaria di cui al comma 2 del medesimo articolo 10. 2. Non sono opponibili al danneggiato, per l'intero massimale di polizza, eccezioni derivanti dal contratto diverse da quelle stabilite dal decreto di cui all'articolo 10, comma 6, che definisce i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie di cui all'articolo 10, comma 2. 3. L'impresa di assicurazione ha diritto di rivalsa verso l'assicurato nel rispetto dei requisiti minimi, non derogabili contrattualmente, stabiliti dal decreto di cui all'articolo 10, comma 6. 4. Nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata a norma del comma 1 è litisconsorte necessario la struttura medesima; nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione dell'esercente la professione sanitaria a norma del comma 1 è litisconsorte necessario l'esercente la professione sanitaria. L'impresa di assicurazione, l'esercente la professione sanitaria e il danneggiato hanno diritto di accesso alla documentazione della struttura relativa ai fatti dedotti in ogni fase della trattazione del sinistro. 5. L'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione è soggetta al termine di prescrizione pari a quello dell'azione verso la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata o l'esercente la professione sanitaria. […]”. Il modello è quello della r.c.a. L’azione diretta è subordinata al previo tentativo obbligatorio di conciliazione o di mediazione di cui all’art. 8 della legge. viene previsto il litisconsorzio necessario con il soggetto assicurato. Assicuratore ed assicurato rispondono in solido ex art. 1294 c.c. -L’art. 13 prevede l’obbligo di comunicazione all'esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità. Questo il testo della norma: “1. Le strutture sanitarie e sociosanitarie di cui all'articolo 7, comma 1, e le imprese di assicurazione che prestano la copertura assicurativa nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 10, commi 1 e 2, comunicano all'esercente la professione sanitaria l'instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato, entro dieci giorni dalla ricezione della notifica dell'atto introduttivo, mediante posta elettronica LeGISLAzIoNe eD AttuALItà certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento contenente copia dell'atto introduttivo del giudizio. Le strutture sanitarie e sociosanitarie e le imprese di assicurazione entro dieci giorni comunicano all'esercente la professione sanitaria, mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte. L'omissione, la tardività o l'incompletezza delle comunicazioni di cui al presente comma preclude l'ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui all'articolo 9”. -L’art. 14 disciplina il fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria. Si prevede che “1. È istituito, nello stato di previsione del ministero della salute, il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria. il Fondo di garanzia è alimentato dal versamento di un contributo annuale dovuto dalle imprese autorizzate all'esercizio delle assicurazioni per la responsabilità civile per i danni causati da responsabilità sanitaria. […]. 2. Con regolamento adottato con decreto del ministro della salute […] sono definiti: a) la misura del contributo dovuto dalle imprese autorizzate all'esercizio delle assicurazioni per la responsabilità civile per i danni causati da responsabilità sanitaria; b) le modalità di versamento del contributo di cui alla lettera a); c) i princìpi cui dovrà uniformarsi la convenzione tra il ministero della salute e la CoNSaP Spa; d) le modalità di intervento, il funzionamento e il regresso del Fondo di garanzia nei confronti del responsabile del sinistro. 3. il Fondo di garanzia di cui al comma 1 concorre al risarcimento del danno nei limiti delle effettive disponibilità finanziarie. […]. 7. il Fondo di garanzia di cui al comma 1 risarcisce i danni cagionati da responsabilità sanitaria nei seguenti casi: a) qualora il danno sia di importo eccedente rispetto ai massimali previsti dai contratti di assicurazione stipulati dalla struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata ovvero dall'esercente la professione sanitaria ai sensi del decreto di cui all'articolo 10, comma 6; b) qualora la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata ovvero l'esercente la professione sanitaria risultino assicurati presso un'impresa che al momento del sinistro si trovi in stato di insolvenza o di liquidazione coatta amministrativa o vi venga posta successivamente; c) qualora la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata ovvero l'esercente la professione sanitaria siano sprovvisti di copertura assicurativa per recesso unilaterale dell'impresa assicuratrice ovvero per la rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 sopravvenuta inesistenza o cancellazione dall'albo dell'impresa assicuratrice stessa. […]. Sulla falsariga della disciplina in tema di r.c.a. - al fine di garantire comunque un ristoro al danneggiato - viene previsto un fondo che interviene in casi tipici di carenza di copertura assicurativa. -L’art. 15 prevede la nomina dei consulenti tecnici d'ufficio e dei periti nei giudizi di responsabilità sanitaria. La norma dispone: “1. Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici d'ufficio da nominare nel- l'ambito del procedimento di cui all'articolo 8, comma 1, siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi. 2. Negli albi dei consulenti di cui all'articolo 13 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, e dei periti di cui all'articolo 67 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, devono essere indicate e documentate le specializzazioni degli iscritti esperti in medicina. […]. 3. Gli albi dei consulenti di cui all'articolo 13 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, e gli albi dei periti di cui all'articolo 67 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, devono essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico-legale, un'idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento […]”. Si prevede che le consulenze tecniche nei giudizi civili e penali siano affidate non solo al medico legale, ma anche ad uno specialista nella disciplina oggetto di contenzioso. Ciò affinché le valutazioni tecniche su cui si baserà il giudizio siano compiute da esperti della materia. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà 7. Conclusioni. A uno sguardo complessivo, la legge “Gelli” attenua la responsabilità del- l’esercente le professioni sanitarie rispetto alla situazione preesistente alla sua entrata in vigore. Ciò grazie a disposizioni su punti significativi. All’uopo si richiama: -l’alleggerimento della responsabilità (l’esercente risponde solo a titolo di responsabilità extracontrattuale); -l’esonero dalla responsabilità civile e penale nei casi che richiedono l’osservanza di regole di perizia e siano osservate le regole tecniche; -la limitazione della rivalsa, anche per gli esercenti le professioni sanitarie in strutture private, ai soli casi di dolo e colpa grave; -il massimale della azione di rivalsa e dell’azione di responsabilità amministrativa. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Le Independent Agencies in Europa Giuliano Gambardella* Negli ultimi anni, nella temperie della crisi economica e finanziaria che ha imperversato in europa, le Autorità amministrative indipendenti sono state oggetto di numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali e di interventi da parte del legislatore, non soltanto con riferimento alla loro natura giuridica, ma anche alla loro esistenza ed utilità nel sistema e tuttora vi sono questioni aperte ed irrisolte. Il presente lavoro, da considerare in progress, parte dall’analisi della nozione delle Autorità amministrative indipendenti europee, di quelle italiane, e prosegue con la disamina della loro evoluzione storica, della loro struttura e delle loro funzioni, fino ai nostri giorni, con particolare attenzione alle attuali problematiche. Sommario: 1. Le origini delle independent agencies in Europa. La situazione attuale, fino all’entrata in vigore della legge n. 124 del 7 agosto 2015 -2. Questioni attuali -3. il problema della copertura costituzionale delle autorità amministrative indipendenti in italia -4. imparzialità e neutralità. Le funzioni delle “autorità indipendenti” amministrative, giurisdizionali, di regolazione: il rischio di una commistione tra funzioni di regolazione e funzioni di vigilanza - 5. Le autorità amministrative indipendenti: il procedimento e le garanzie del contraddittorio - 6. La tutela giurisdizionale contro gli atti delle independent agencies. il riparto di giurisdizione - 7. Le agenzie nell’Unione Europea. introduzione e fondamento giuridico -8. Evoluzione delle agenzie indipendenti in Europa -9. Classificazione delle agencies: il punto di vista della Commissione europea - 10. (segue) Classificazione delle agencies - 11. i limiti legali delle independent agencies - 12. i limiti politici delle independent agencies 13. il controllo legale e le responsabilità delle independent agencies - 13.a) Profili storici sull’ammissibilità del legal control. analisi dell’art. 263 del Trattato sul funzionamento del- l’Unione Europea -14. il controllo politico e responsabilità delle independent agencies 14. a) incarichi, Criteri e relazioni delle agenzie - 14.b) Composizione delle agenzie - 14.c) il programma di lavoro delle agenzie -14.d) Trasparenza delle decisioni -14.e) Collegamenti con altre agenzie - 15. Controllo finanziario e responsabilità - 16. il regime attuale delle in- dependent agencies -17. Le autorità amministrative indipendenti durante la crisi economica: questioni aperte - 18. Conclusioni. 1. Le origini delle independent agencies in Europa. La situazione attuale, fino all’entrata in vigore della legge n. 124 del 7 agosto 2015. La nascita delle Autorità indipendenti nel continente europeo risale agli inizi degli anni settanta del XX secolo ed è strettamente correlata con la nascita delle Autorità indipendenti americane. Dopo il modello tracciato da Montesquieu sulla separazione dei poteri (1789), un grosso impulso all’istituzione delle independent agencies è stato (*) Avvocato del libero Foro. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà dato dalle riforme cavouriane della seconda metà dell’ottocento (a partire dalla legge 23 marzo 1853 n. 1483). tali riforme avevano ad oggetto quello di portare a compimento la conformazione dello Stato Sabaudo al modello montesquieano. L’oggetto fondamentale della riforma era il potere esecutivo, ovvero la Pubblica Amministrazione; l’obiettivo di Cavour era una ristrutturazione delle strutture amministrative che le rendesse coerenti al modello. A tal fine, egli concentrò tutte le competenze amministrative nei Ministeri e abolì “le Aziende” che fino ad allora svolgevano la gestione economica dei servizi amministrativi. Il risultato fu una struttura piramidale che al suo vertice vide il Ministro legittimato dalla fiducia delle Camere e quindi degli elettori in quanto membro del Governo. Soltanto il Ministro poteva emanare gli atti, in quanto su di lui soltanto incombeva la responsabilità politica. Se la funzione esecutiva veniva svolta in virtù di una investitura democratica, attraverso la mediazione del Parlamento, allora tutta la struttura amministrativa doveva fare capo a organi responsabili davanti alle Camere e al corpo elettorale. Corollario del principio della separazione dei poteri con il correlato meccanismo della fiducia parlamentare, era dunque la struttura piramidale della pubblica amministrazione, che doveva essere per così dire, “riassunta” tutta nella persona del Ministro responsabile. In un modello così congegnato, non v’era posto per entità amministrative al di fuori della struttura ministeriale. Successivamente, i presupposti di questo ordinamento (un suffragio censitario assai ridotto e un’Amministrazione semplice e numericamente limitata) tuttavia, venivano a mancare con la fine dello Stato liberale. Già con la sinistra al potere, ma soprattutto a partire dal 1912 con il suffragio universale, lo Stato si trasformò e assunse caratteri più popolari; ne conseguì l’assunzione di compiti e di attività in numero sempre crescente (fini secondari o di progresso). Aumentarono quindi i servizi pubblici e l’intervento dello Stato nell’economia. ricaduta di questo processo sulla struttura amministrativa fu la nascita di enti pubblici diversi dallo Stato ma dotati di autonoma personalità giuridica (parastato), oltre ad aziende autonome e di imprese di diritto privato a partecipazione statale. Durante il periodo fascista, la tendenza alla proliferazione degli enti pubblici raggiunse il livello più alto parallelamente all’intervento pubblico nella vita sociale, in omaggio ad una ideologia che nella sua connotazione sociale realizzava una netta soluzione di continuità rispetto al liberismo caratterizzante il periodo storico antecedente al ventennio. Negli anni successivi, si verificò, parallelamente, anche un nuovo fenomeno (la nascita delle Autorità amministrative indipendenti) sotto la spinta di istanze riformatrici della vita politica. Cominciando dalla Francia, va evidenziato che la nascita delle autorités rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 indépendantes è dovuta essenzialmente alla “protezione dei diritti e degli interessi degli individui” e di gruppi, in terreni nei quali quei diritti ed interessi sono intensamente minacciati dalla presenza di poteri forti (1). tra le più importanti Autorità indipendenti della Francia vanno ricordate: il mediateur (1973), un ombudsman chiamato a controllare gli abusi burocratici; la Commission des operations de bourse (1978), per la vigilanza sui mercati mobiliari a protezione degli investitori; la Commission d’accés aux documents administratifs (1978) per l’effettività del diritto di accesso ai documenti amministrativi; il Conseil superieur de l’audiovisuel (1989) per la garanzia degli utenti dei mezzi di comunicazione di massa. L’indipendenza delle Autorità è garantita dalle procedure di nomina degli organi di vertice, che, il più delle volte, prevedono l’intervento parlamentare, oppure la designazione da parte delle alte Corti o di organismi professionali. Non sono previste forme di subordinazione gerarchica o di sottoposizione a direttive amministrative; inoltre, le regole sulla incompatibilità degli organi di vertice delle Autorità indipendenti mirano ad evitare conflitti di interesse con le imprese controllate. Circa i poteri delle Autorità indipendenti, merita precisare che i più importanti sono quelli di proposta, di raccomandazione, di persuasione, che sono affiancati da provvedimenti espressione di potestà decisionali aventi principalmente natura amministrativa, ma talvolta, così come è successo negli Stati uniti, anche regolamentare e paragiurisdizionale. In Gran Bretagna, le Autorità indipendenti hanno seguito essenzialmente la stessa linea d’onda del modello Americano. Le più importanti Autorità indipendenti della Gran Bretagna sono: la mo- nopolies and mergers Commission, con funzioni di antitrust (1965), la Commission for racial Equality (1976), la Health and Safety Commission (1974), la independent Broadcasting authority entrata in vigore con un act del 1981. Diversamente dall’esperienza francese, il sistema britannico aveva ereditato già Autorità semi-indipendenti, dotate di poteri giudiziali e ricondotte alla categoria degli administrative Tribunals. In Spagna, in Italia ed in Germania invece il modello americano delle in- dependent agencies è stato recepito in un periodo successivo a quello sopra riportato e con un’estensione minore. Nel corso di questo paragrafo verranno esaminate rilevanti differenze che intercorrono tra le Autorità europee e quelle americane. La prima riguarda la regolazione dei soggetti da parte dell’Autorità, la seconda differenza la difformità dei modelli organizzativi delle Autorità, la terza riguarda i poteri conferiti dalla legge alle independent agencies. In riferimento alla prima, va da subito precisato che, mentre negli Stati (1) GeNtot M.J., Les autorités administratives indépendantes, Paris, 1991. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà uniti nella maggior parte dei casi, sono imprese private ad essere sottoposte a regolazione, in europa le Autorità indipendenti sono chiamate a regolare anche una buona porzione del settore pubblico, sia imprenditoriale che burocratico. La seconda differenza consiste nel fatto che mentre le independent agencies sono strutture diffuse nel sistema amministrativo statunitense, in europa, le Autorità indipendenti costituiscono ancora una eccezione, se si considera la parte continentale rispetto ad un sistema ministeriale ancora molto rigido. A questa regola fa eccezione la Gran Bretagna, dove la risalente ricchezza morfologica dell’organizzazione amministrativa conferisce al modello delle Autorità indipendenti una dignità pari a quella dei ministeri, la cui struttura flessibile consente rapporti agevoli con le Autorità e permette un’indipendenza di fatto anche ad Agenzie costituite sostanzialmente all’interno del ministero, come nel caso di quelle preposte alla regolazione di servizi pubblici, nei settori delle telecomunicazioni, del gas, dell’acqua, dell’elettricità (2). La terza differenza allude ai poteri conferiti dalla legge alle independent agencies, che, negli Stati uniti sono nella maggior parte dei casi più ampi e penetranti rispetto a quelli europei. Anche in europa vi sono Autorità con poteri decisori, almeno formalmente, ma comunque questi risultano meno estesi rispetto a quelli americani. L’ultima differenza tra il sistema europeo e quello americano riguarda la commistione dei poteri, molto più evidente nel sistema statunitense. Dopo una fase di incertezza, in Italia, le Autorità Indipendenti hanno avuto molta fortuna, tuttavia, l’ampia fortuna dell’immagine non ha sempre coinciso con l’istituzione di autentiche Autorità indipendenti e questo nome è stato utilizzato in riferimento ad entità di eterogenea indole giuridica. Sono molteplici i motivi che hanno portato all’introduzione delle Autorità indipendenti nel nostro sistema amministrativo; tra i più importanti si citano l’integrazione economica, il forte sviluppo dei mercati, la scomparsa di posizioni monopoliste, il crescente raffronto competitivo, l’impatto delle attività economiche sugli interessi pubblici. voci autorevoli (3) hanno osservato come uno dei settori più interessati è stato quello dei servizi pubblici. La recessione dal modello di gestione diretta (2) M. D’ALBertI, autorità indipendenti in Enc. Dir. 1995, p. 4. (3) G.P. CIrILLo, appunti per una ricerca sulla natura giuridica delle autorità amministrative indipendenti, in Cons. St., 2002, II, 71 ss.; F. CArINGeLLA, Le autorità indipendenti tra neutralità e para- giurisdizionalità, in Cons. Stato, 2000, 3, 541 ss. Sui processi di privatizzazione in Italia e sulle difficoltà incontrate si vedano, tra gli altri A. DI MAIo (a cura di), Le politiche di privatizzazione in italia, Bologna, 1989; P. SChLeSINGer, La legge sulla privatizzazione degli enti pubblici economici in rivista della società, 1992, p. 126 ss.; r. PerNA, Le privatizzazioni tra Governo e Parlamento in Quaderni costituzionali, 1994, n. 2, 321 ss.; M. CLArICh, Privatizzazioni in Digesto delle discipline pubblicistiche, XI, torino, 1996, p. 568 ss.; F.A. roverSI MoNACo, Gli interventi pubblici in campo economico in L. MAzzAroLLI, G. PerICu, A. roMANo, F.G. SCoCA, Diritto amministrativo, Bologna 1998; S. CASSeSe, Stato e mercato dopo Privatizzazioni e Deregulation in riv. Trimestrale di diritto pubblico, 1991, n. 2, p. 384. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 dei servizi pubblici locali da parte dello stato, l’abbandono dell’intervento pubblico diretto nell’economia. tali episodi hanno comportato un mutamento del ruolo svolto dallo Stato con conseguente trasformazione da Stato-interventista a Stato-regolatore. Altra parte della dottrina (4) ha messo in luce come un’altra ragione a sostegno dell’introduzione delle Autorità indipendenti nell’ordinamento giuridico italiano è stata la sfiducia nei confronti del sistema amministrativo; quest’ultimo non contiene quelle competenze tecniche delle Autorità indipendenti. Il fenomeno delle Autorità indipendenti si è verificato anche sotto la spinta di istanze riformatrici della vita politica, la quale, a causa di un’influenza pervasiva dei partiti, ha subito un progressivo deterioramento ed un’occupazione della struttura amministrativa da parte degli stessi. Peraltro, è stato osservato da un’autorevole dottrina (5) come le Autorità indipendenti tutelino la protezione di interessi costituzionalmente rilevanti, che potrebbero essere pregiudicati o compromessi dalla presenza di gruppi politici ed economici e che trovano invece, il momento di equilibrio e composizione nella posizione di terzietà, neutralità-indifferenza, alta professionalità e tecnicità degli organi chiamati a regolarli. un altro problema di non scarsa importanza concerne la distinzione tra le Autorità indipendenti “veraci”, perché queste ultime tutelano interessi costituzionalmente rilevanti e settori particolarmente sensibili, da quelle che non li tutelano e che risentono ancora di un’eccessiva dipendenza nei confronti dei Ministeri. un autorevole dottrina (6) ha ritenuto meritevoli di rientrare nelle Autorità Indipendenti “veraci”, la Consob, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e il Garante per la radiodiffusione, un numero ancora molto circoscritto che lascia il tempo che trova. recentemente, il legislatore, con la legge n. 124 del 7 agosto 2015 (riforma Madia della P.A.) ha dato il via libera alla soppressione delle Autorità indipendenti se le loro funzioni si sovrappongono a quelle degli uffici ministeriali. Ad avviso di chi scrive, il legislatore ha fatto un grosso passo in avanti, portando a compimento una manovra (quella della soppressione di alcune authorities) oramai necessaria. Le Autorità indipendenti costituiscono un notevole costo per lo Stato Ita- (4) A. PreDIerI, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze 1997; L. ArCI- DIACoNo, Governo, autorità indipendenti e pubblica amministrazione in Le autorità indipendenti,a cura di S. SABrIoLA, Milano, 1999. (5) C. FrANChINI, Le autorità indipendenti come figure organizzative nuove, in AA.vv., i garanti delle regole, a cura di S. CASSeSe e C. FrANChINI, Bologna 1996, p. 69 ss. (6) M. D’ALBertI, cit. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà liano che non riesce ancora a superare la crisi economica, e le loro funzioni possono essere svolte con la massima discrezionalità, efficacia ed efficienza anche dagli uffici ministeriali. Sulle authorities è arrivato anche il livellamento degli stipendi dei dipendenti per avvicinare i trattamenti a quelli delle altre amministrazioni pubbliche con l'introduzione di “criteri omogenei” per il finanziamento delle stesse Autorità garanti. L’art. 8 n. 6 della lettera c) della legge n. 124 del 7 agosto 2015 (riorganizzazione dell’Amministrazione dello Stato) ha stabilito, con riferimento alle authorities “la razionalizzazione con eventuale soppressione degli uffici ministeriali le cui funzioni si sovrappongono a quelle proprie delle Autorità indipendenti e viceversa; individuazione di criteri omogenei per la determinazione del trattamento economico dei componenti e del personale delle autorità indipendenti, in modo da evitare maggiori oneri per la finanza pubblica, salvaguardandone la relativa professionalità; individuazione di criteri omogenei di finanziamento delle medesime autorità, tali da evitare maggiori oneri per la finanza pubblica, mediante la partecipazione, ove non attualmente prevista, delle imprese operanti nei settori e servizi di riferimento, o comunque regolate o vigilate”. 2. Questioni attuali. Prima dell’inizio degli anni novanta del secolo scorso, nel nostro ordinamento giuridico, sono state istituite diverse Autorità amministrative indipendenti. vanno ricordate innanzitutto la Commissione Nazionale per la società e la borsa (CoNSoB) istituita con legge n. 216 del 7 giugno 1974, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private istituita con legge 12 agosto 1982 n. 576, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato istituita con legge n. 287 del 10 ottobre 1990, la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali istituita dall'art. 12 della L. 12 giugno 1990, n. 146, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione istituita con d.lgs. n. 124 del 21 aprile 1993, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture istituita l’11 febbraio 1994, l'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico (AeeGSI), istituita con legge 4 novembre 1995 n. 48, l’Autorità garante per la protezione dei dati personali, con legge del 31 dicembre del 1996, l’Autorità garante per le comunicazioni con legge 249 del 31 luglio 1997, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche - Civit con l’art. 13 del d.lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza istituita con legge del 31 luglio del 2011, l’Autorità di regolazione dei trasporti con legge del 6 dicembre del 2011, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, istituita con legge del 31 agosto del 2013, che ha preso le funzioni della rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 suindicata Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Non vanno sottovalutate alcune recenti misure organizzative che sono state poste in essere dal nostro Parlamento, consistenti nell’incorporazione di alcune Autorità indipendenti, che, però, non si sono rivelate utili e che hanno prodotto costi notevoli. un primo intervento si è avuto con il d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011 che ha stabilito la riduzione dei componenti di tutte le Autorità amministrative indipendenti, ad eccezione della Banca d’Italia e dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Se si sommano tutti i collegi interessati dalla disposizione, il numero dei componenti delle autorità viene ridotto quasi del 50%. uno “strano” passo indietro ad opera del legislatore, ma ai soli fini di accorpamento, è avvenuto con l’art. 13 del d.l. del 6 luglio 2012 n. 95, che ha soppresso l'ISvAP (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo) e la contestuale costituzione dell’IvASS (precedentemente denominato IvArP, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni e sul risparmio previdenziale). Il nuovo Istituto ha la finalità di assicurare la piena integrazione dell’attività di vigilanza nel settore assicurativo, anche attraverso un più stretto collegamento con la vigilanza bancaria. un altro provvedimento che ad avviso dello scrivente è risultato inutile perché vi è stato solo un cambiamento puramente formale (nomenclatura dell’Autorità), è stato la sostituzione della Civit (Commissione per la valutazione, trasparenza e integrità delle Amministrazioni pubbliche) con l’Autorità Nazionale anticorruzione istituita. Con tale provvedimento è stata data attuazione alle Convenzioni internazionali in materia di lotta alla corruzione, ed è stata individuata l’Autorità nazionale competente a coordinare l’attività di contrasto della corruzione nella pubblica amministrazione, modificando la distribuzione delle competenze in materia con la sostituzione della Civit nel ruolo di Autorità nazionale anticorruzione e del Dipartimento della funzione pubblica che lo ricopriva secondo la normativa previgente. una delle problematiche affrontate dal nostro legislatore è stata quella del finanziamento delle Autorità amministrative indipendenti. un dato registrato negli ultimi anni ha costituito una progressiva e sensibile riduzione del contributo a carico dello Stato, salvo rare eccezioni. Con la legge 191 del 23 dicembre 2009 (finanziaria 2010) gli stanziamenti autorizzati a favore delle autorità indipendenti hanno subito flessioni oscillanti tra il 20% e il 65% per i successivi tre anni. Più nel dettaglio è stato previsto una sorta di «prestito» a carico di alcune Autorità in favore di altre; nello specifico, l'articolo 2, comma 241, della legge LeGISLAzIoNe eD AttuALItà 191 del 23 dicembre 2009 ha stabilito che, nei successivi tre anni, l'Autorità garante per le comunicazioni, l'Autorità garante per l'energia elettrica ed il gas, l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private di interesse collettivo e l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici dovranno trasferire all'Autorità per la concorrenza ed il mercato, al Garante per la protezione dei dati personali e alla Commissione di vigilanza sull'attuazione della legge n. 146 del 12 giugno 1990 una data quota delle proprie entrate. Sono state inoltre stabilite misure reintegrative in favore delle autorità contribuenti, nei limiti del contributo versato, a partire dal decimo anno successivo all’erogazione del contributo, a carico delle autorità indipedenti per- cepienti che a tale data presentino una avanzo di amministrazione. La ratio di queste disposizioni è quella di creare una perequazione tra le Autorità che per finanziarsi possono attingere al mercato di riferimento e quelle autorità che non possono fare altrettanto avendo competenze trasversali. Il comma 523 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ha stabilito che tali disposizioni si applicano anche per gli anni 2013, 2014 e 2015. In tempi recenti, le Autorità indipendenti sono state ritoccate anche dalla spending review. Diverse disposizioni previste dal d.l. n. 95 del 6 luglio 2012 in materia di contenimento dei costi per le pubbliche amministrazioni sono state estese anche alle Autorità indipendenti. C’è un divieto imposto alle pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e consulenza a soggetti in quiescenza già appartenenti ai ruoli, che abbiano svolto nell'ultimo anno di servizio funzioni e attività corrispondenti (art. 5, co. 9 del d.l. n. 95 del 6 luglio 2012). Circa i profili giurisdizionali, il codice del processo amministrativo, adottato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, ha introdotto alcune modifiche, che vanno nella direzione sia di ampliare l'ambito del sindacato giurisdizionale esclusivo da parte del giudice amministrativo sulle Autorità, sia di prevedere un nuovo caso di giurisdizione con cognizione estesa al merito. Con riferimento al primo aspetto, sono state devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti adottati da tutte le autorità, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati. Le novità più importanti sono state essenzialmente l’unificazione della fonte normativa e l'estensione in modo generalizzato della cognizione del giudice amministrativo sulle controversie relative ai provvedimenti sanzionatori emessi dalle autorità, che nel previgente regime normativo seguiva un regime parzialmente differenziato; sono rimaste attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario, invece, le controversie aventi ad oggetto l'uso dei dati personali e, quindi, tutti gli atti del Garante in materia di protezione dei dati personali, nonché le controversie aventi ad oggetto le deliberazioni della Commissione rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali in materia di sanzioni. Inoltre è confermata la previsione della devoluzione, in primo grado, alla competenza funzionale del t.A.r, Lazio, sede di roma, delle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di tutte le autorità, con l'unica eccezione di quelle relative ai poteri dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, che sono state trasferite alla competenza funzionale del t.A.r. Lombardia. Per quanto concerne il secondo aspetto, si prevede che nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie, comprese quelle applicate dalle autorità amministrative indipendenti, la giurisdizione del giudice amministrativo è estesa al merito. Per completezza espositiva, è opportuno fare riferimento che, anche il d.l. n. 90 del 24 giugno 2014, ha riguardato le Autorità amministrative indipendenti. L'art. 19 del d.l. n. 90 del 24 giugno 2014 prevede la soppressione del- l'Autorità per la vigilanza sui Contratti Pubblici, istituita nel 2006 con il varo del precedente Codice degli Appalti (d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006), le sue funzioni sono state trasferite all'Autorità Nazionale Anticorruzione, istituita nel 2009. L'Autorità Nazionale Anticorruzione potrà ricevere notizie e segnalazioni di illeciti e, salvo che il fatto costituisca reato, applicare sanzioni amministrative (di importo variabile tra i 1.000 ed i 10.000 euro) nel caso in cui le stazioni appaltanti pubbliche omettano di adottare adeguati piani per la prevenzione della corruzione. Inoltre, ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 24 giugno 2014, in caso di indagini per reati particolarmente gravi (corruzione, concussione) o in caso di situazioni comunque anomale e tali da configurare condotte illecite da parte dell'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico, il presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione avrà doveri e poteri nei confronti del prefetto competente per il territorio. Più nel particolare, l'Autorità Nazionale Anticorruzione potrà proporre, quindi ordinare il rinnovo degli organi sociali dell'appaltatore e, nel caso in cui questa non si adegui nei tempi stabiliti, di procedere alla gestione straordinaria e temporanea della stessa, oppure procedere direttamente alla gestione straordinaria e temporanea dell'impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale (7). L’altra norma del d.l. n. 90 del 24 giugno 2014, concernente le Autorità indipendenti, è l’articolo 22 “razionalizzazione delle autorità indipendenti”. Suddetta norma prevede che i componenti delle principali Autorità indipendenti (Autorità garante della concorrenza e del mercato, CoNSoB, Autorità (7) autorità indipendenti. aVCP e aNaC: le novità del d.l. 90/2014. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà di regolazione dei trasporti, Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Garante per la protezione dei dati personali, ANAC, Commissione di vigilanza sui fondi pensione e Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali) non possano essere nominati, alla cessazione dell’incarico, componenti di un’altra autorità, per un periodo di due anni dalla cessazione dell’incarico ricoperto e a pena di decadenza. Per i componenti degli organi di vertice e per i dirigenti a tempo indeterminato della CoNSoB si prevede il divieto, per un periodo di quattro anni successivi alla cessazione dell’incarico, di concludere contratti di collaborazione, consulenza o impiego con soggetti pubblici o privati operanti nel medesimo settore, a pena di nullità. tale ultimo divieto, già esistente per i componenti dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico e per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, è esteso ai loro dirigenti a tempo indeterminato. ovviamente, neanche questa norma tocca gli interessi economici dei propri componenti, imponendo soltanto divieti di carattere amministrativo. Soltanto il comma 5 dell’art. 22 della legge 24 giugno 2014 n. 90 costituisce un provvedimento espressione di razionalizzazione che si pone in linea di continuità con quanto già previsto e disciplinato dalla legge n. 95 del 6 luglio 2012 la “spending review”. Ai sensi del suindicato comma infatti “dal 1 luglio 2014 le Autorità indipendenti di cui al comma 1 dovranno provvedere a ridurre il trattamento economico accessorio dei propri dipendenti, inclusi i dirigenti, in misura non inferiore al 20%. Dal 1 ottobre 2014 gli organismi dovranno inoltre ridurre in misura non inferiore al 50% di quella sostenuta nel 2013 la spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e quella per gli organi collegiali non previsti dalla legge, con rinegoziazione dei contratti in corso. Al fine di raggiungere risparmi complessivi, pari ad almeno il 10% della spesa complessiva sostenuta dagli organismi nell’anno 2013, si prevede che le autorità gestiscano i propri servizi strumentali in modo unitario mediante la stipulazione di convenzioni o la costituzione di uffici comuni ad almeno due organismi. A tal fine è previsto che entro il 31 dicembre 2014 le Autorità provvedano ad accorpare almeno tre dei seguenti servizi: affari generali, servizi finanziari e contabili, acquisti e appalti, amministrazione del personale, gestione del patrimonio, servizi tecnici e logistici, sistemi informativi ed informatici”. Il comma successivo (art. 22 comma 6 della legge n. 90 del 24 giugno 2014) poi deve essere letto in combinato disposto con il comma 1 ed è comunque espressione di razionalizzazione dei costi e coerente con la spending review. L’articolo stabilisce che “A decorrere dal 1° ottobre 2014, gli organismi di cui al comma 1 riducono in misura non inferiore al cinquanta per cento, ri rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 spetto a quella complessivamente sostenuta nel 2013, la spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e quella per gli organi collegiali non previsti dalla legge. Gli incarichi e i contratti in corso sono rinegoziati entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto al fine di assicurare il rispetto dei limiti di cui al periodo precedente”. Sono stati estesi alle Autorità indipendenti gli obblighi e le facoltà previsti a carico delle pubbliche amministrazioni in materia di approvvigionamenti. I commi da 13 a 16 del d.l. n. 90 del 24 giugno 2014 hanno reintrodotto la precedente disciplina aumentando e vanificato i tentativi di riduzione dei membri della Consob introdotte con il decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011. Sono state ripristinate le norme del decreto legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, che prevedevano maggioranze rafforzate per l’adozione di regolamenti o delibere in materia organizzativa della CoNSoB (Commissione Nazionale per la Società e la Borsa); tali norme si applicano dalla data di nomina dell’ultimo dei cinque componenti della CoNSoB. Le motivazioni riguardano il ruolo di vigilanza della Commissione Nazionale per la Società e la Borsa sul mercato dei capitali, mercato il cui sviluppo risulta essenziale per la crescita e il rafforzamento del sistema imprenditoriale del nostro Paese, si ritiene che una composizione allargata della Commissione rafforzi, con l’apporto al vertice di un maggior numero di competenze e di una maggiore collegialità, l’azione di vigilanza sull’efficienza e sulla trasparenza dei mercati finanziari. A tale riguardo, si evidenzia che da un esame della legislazione comparata, risulta che tutte le corrispondenti Autorità dei principali mercati finanziari hanno al proprio vertice organi composti da più di tre membri. La riduzione del numero dei componenti della Commissione Nazionale della Società e Borsa, prevista dal citato decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011 insieme alla riduzione del numero dei componenti di altre autorità, era finalizzata alla riduzione delle spese di funzionamento di alcune Autorità amministrative indipendenti. La presente modifica, non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, tenuto conto del sistema di finanziamento della Commissione Nazionale per la società e la Borsa a carico del mercato, previsto dall’articolo 40 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e della circostanza che attualmente la predetta autorità, dopo l’ulteriore riduzione dei trasferimenti dal bilancio dello Stato prevista dall’articolo 8, comma 3, del decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012, si finanzia esclusivamente con i contributi dei soggetti vigilati. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà 3. il problema della copertura costituzionale delle autorità amministrative indipendenti in italia. un problema molto tormentato e tuttora rimasto irrisolto delle Autorità amministrative indipendenti italiane è quello della loro copertura costituzionale. Nella nostra carta costituzionale infatti manca un principio che disciplina in maniera organica le Autorità amministrative indipendenti e il problema de quo continua ancora a suscitare notevoli dubbi, sia in dottrina che in giurisprudenza. tali dubbi concernono la compatibilità delle Autorità amministrative indipendenti con il principio di separazione dei poteri ereditato da Montesquieu e precisamente con il potere legislativo (la creazione di norme), con il potere esecutivo (l’esecuzione di norme) e con il potere giurisdizionale (la vigilanza sulla corretta applicazione delle norme). Per Montesquieu, onde evitare un’eccesiva concentrazione di potere nelle mani dei medesimi individui o gruppi sociali, era necessario che le funzioni fondamentali dello Stato facessero capo a ordini distinti e separati, espressione di categorie politiche diverse. Nell’ordinamento italiano, l’unico riferimento costituzionale è contenuto nell’art. 95 co. 2 Cost. il quale disciplina la responsabilità politica dei Ministri per l’attività dei propri ministeri e del Presidente del Consiglio dei Ministri per la politica generale del Governo. Sia consentito a tale riguardo un breve richiamo al regime delle responsabilità delle Autorità amministrative indipendenti del sistema britannico di common law, dove ancora esiste una responsabilità per il loro operato (8). In Gran Bretagna, infatti, vige il principio secondo cui le Public authorities sono soggette alla liability per gli illeciti commessi dai loro funzionari nell’esercizio delle loro funzioni. esistono varie tipologie di responsabilità, previste e disciplinate dagli “acts”; tra le più importanti si ricorda la “responsabilità per violazione dei diritti umani” introdotta con l’Human rights act del 1998, e la responsabilità contrattuale “liability in contract”. Gli stessi acts disciplinano anche i rimedi di cui le Public authorities possono usufruire per sanare gli illeciti commessi dai loro funzionari (si risponde principalmente per colpa e per violazione dei doveri d’ufficio). Sulla dibattuta tematica del fondamento costituzionale delle Autorità indipendenti, autorevole dottrina (9) ritiene che l’Amministrazione è tenuta al (8) D. FouLkeS, administrative law, “Liability of the Public authorities”, London: Butterworths ed. 1995, p. 635 ss. (9) G. MorBIDeLLI, Sul regime amministrativo delle autorità indipendenti in Scritti di diritto pubblico dell’economia, torino, 2001, p. 165 ss., il quale ritiene utilizzabile nel caso di specie una nozione “residuale” di amministrazione, che include ogni organo o attività che non sia chiaramente riconducibile a una funzione costituzionalmente tipizzata. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 perseguimento degli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo politico ed è sempre soggetta al controllo di tali organi. Le Autorità indipendenti si collocano invece al di fuori del circuito della rappresentanza politico-parlamentare, determinando una rottura della tradizionale organizzazione ministeriale e una deroga al principio della responsabilità politica del governo per l’operato dell’Amministrazione. I poteri normativi esercitati dalle Autorità amministrative indipendenti cozzano anche contro il principio di legalità sostanziale (10). C’è chi ha attentamente osservato (11) che, l’analisi dei poteri normativi delle Autorità indipendenti dimostra, tra l’altro, che anche Autorità formalmente titolari di sole competenze provvedimentali (come l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato) hanno di fatto esercitato poteri sostanzialmente normativi e che, in alcuni casi, alle Autorità sono stati attribuiti margini di discrezionalità così ampi da configurare vere e proprie deleghe in bianco. tuttavia, rimane l’impossibilità per il legislatore di poter sanare la violazione del principio di legalità e della riserva di legge che discende dall’esercizio dei poteri conferiti alle Autorità Amministrative indipendenti. A tale proposito, sia in dottrina che in giurisprudenza, sono state proposte soluzioni dovute all’inserimento di tali figure nell’assetto costituzionale ma nessuna di queste è risultata condivisibile. Secondo un orientamento abbastanza risalente (12), le Autorità amministrative indipendenti potrebbero trovare fondamento nell’art. 5 Cost. che valorizza il principio del decentramento funzionale ma anche nel principio di separazione tra politica e amministrazione, desumibile dagli articoli 97 e 98 Cost. D’altro canto, però, il nuovo art. 118 Cost. ha sviluppato il principio autonomistico, individuando i diversi livelli territoriali cui spetta l’esercizio delle funzioni amministrative, senza però fare menzione delle Autorità indipendenti. La Costituzione disciplina la pubblica amministrazione nel titolo v della Parte II, dedicata al Governo, dove gli articoli 92 e 95 Cost. esprimono la scelta per un modello di stampo ministeriale. La valorizzazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.) e di quello secondo cui l’attività amministrativa è al servizio della Nazione (art. 98 Cost.) hanno, com’è noto, consentito di elaborare un nuovo modello di amministrazione, basato sulla distinzione tra le funzioni di indirizzo (riservate agli organi di governo) e quelle di gestione (riservate al (10) L. CArLASSAre, regolamento (dir. cost.), in Enc. dir., vol. XXXIX, Milano 1988, p. 614 ss. (11) P. CArettI, introduzione, in P. CArettI (a cura di), osservatorio sulle fonti 2003-2004. i poteri normativi delle autorità indipendenti, torino, 2005, XIv ss. (12) M. NIGro, La pubblica amministrazione tra Costituzione formale e Costituzione materiale, in riv. trim. dir. proc. civ. 1985, p. 163 ss. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà l’apparato amministrativo); ma, l’imparzialità amministrativa non può giungere fino al punto di legittimare la totale indipendenza dal Governo e in ogni caso le Autorità indipendenti esercitano anche una molteplicità di funzioni e di poteri, tra cui poteri sostanzialmente normativi che non possono quindi essere ricondotti negli schemi tipici dell’attività amministrativa. Secondo un orientamento più recente, invece (13), il fondamento costituzionale delle Autorità amministrative indipendenti sarebbe da ricercare nella particolare natura dei diritti costituzionali che rilevano in determinati settori; si pensi ad esempio ai settori della tutela del risparmio, della privacy, della concorrenza e del pluralismo informativo i quali richiedono una particolare attività di garanzia che non può essere svolta secondo i canoni tradizionali dell’azione amministrativa. Anche questa tesi però è stata contestata da chi ha sostenuto (14) che, di fronte ai diritti fondamentali, è stato sottolineato che non può esistere un potere discrezionale della pubblica amministrazione “perché nell’esercizio del potere discrezionale residua un quid, il c.d. merito amministrativo insindacabile da parte del titolare del diritto fondamentale e che perciò inciderebbe, in maniera arbitraria, e perciò dispotica, su di un diritto fondamentale”. Saremmo dunque in presenza di una legittimazione sganciata dal collegamento con il principio di maggioranza e ancorata invece su una esigenza di garanzia dei valori costituzionali. Le Autorità indipendenti si dovrebbero quindi limitare ad un’attività di “aggiudicazione”, compiendo al più valutazioni tecniche, ma senza esercitare poteri di natura discrezionale. A fronte di una “neutralità tecnica”, che esclude l’esercizio di discrezionalità amministrativa, non potrebbe operare il principio della responsabilità politica del Governo di cui all’art. 95 co. 2 Cost. In tale prospettiva, si è ritenuto opportuno distinguere le Autorità di garanzia, che si limiterebbero ad una mera applicazione della legge, dalle altre Autorità. (13) G. AMAto, autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia in rivista trimestrale di diritto pubblico), 1997, p. 645 ss. (14) F. MeruSI, Giustizia amministrativa e autorità indipendenti, in annuario 2002. Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2003, 176-177. Secondo l’autore la legittimazione delle autorità indipendenti si basa sul fatto che esse sono chiamate a disciplinare l’esercizio di diritti fondamentali previsti dalla Costituzione: il diritto di libertà personale per l’Autorità garante della privacy e la libertà di iniziativa privata (o sue varianti connesse all’esercizio di attività economiche) per le altre. La libertà di iniziativa economica privata, osserva l’A., è ormai riconosciuta a pieno titolo come diritto costituzionale in seguito all’abrogazione del terzo comma dell’art. 41 Cost., operata dal diritto comunitario (in questa prospettiva cfr. anche F. MeruSI, id. Eguaglianza e legalità nelle autorità amministrative indipendenti in Scritti in onore di Elio Casetta, Napoli, 2001, p. 465 ss.), dove si osserva che è il principio costituzionale della concorrenza, di cui il diritto comunitario ha consentito la piena operatività in Italia, a richiedere autorità indipendenti che assicurino la “parità delle armi” tra le imprese. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 tipico esempio di Autorità di garanzia è il garante per la concorrenza e il mercato che, si è detto, “decide sillogisticamente di casi concreti applicando la legge” ed è di fatto sottratto a poteri di indirizzo da parte del Governo: di qui la natura “paragiurisdizionale” della sua attività. Ma anche questi argomenti non sembrano convincenti. L’orientamento secondo cui “in presenza di un diritto fondamentale non c’è un potere discrezionale della pubblica amministrazione” (15) non può essere generalizzato, anche perché, la stessa Costituzione, agli articoli 14 e 17, consente l’adozione di provvedimenti discrezionali che possono incidere sul- l’esercizio di libertà fondamentali; del resto molti valori costituzionali sono affidati alla cura di amministrazioni tradizionali e anzi, come è stato evidenziato, appare difficile ipotizzare interventi di pubblici poteri che non siano collegati direttamente o indirettamente alla tutela di beni costituzionalmente rilevanti (16). Anche l’orientamento secondo cui la mancanza di discrezionalità amministrativa giustifica la sottrazione alla responsabilità ministeriale è stata d’altro canto criticato, non solo per la difficoltà di distinguere nettamente tra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica, ma anche perché, in concreto, le stesse attività vincolate o le attività di accertamento tecnico sono suscettibili di determinare la responsabilità del Governo (17). Neppure la tesi dell’apertura al contraddittorio ed alla partecipazione non sembra prerogativa esclusiva delle amministrazioni indipendenti; infatti, a partire dalla legge sul procedimento amministrativo si è verificato un generale passaggio dal modello dell’amministrazione autoritaria e unilaterale verso quello di un’amministrazione paritaria e partecipata; conseguentemente le regole procedimentali cui si attengono le Autorità indipendenti non sembrano sostanzialmente differenziarsi da quelle seguite da altri organi inseriti nella tradizionale struttura amministrativa (18). Anche la Corte Costituzionale, nonostante un’assenza di una disciplina che regolamenti i poteri normativi delle Autorità amministrative ha mostrato segnali di resistenza (19). (15) F. MeruSI, Giustizia amministrativa e autorità indipendenti, in annuario 2002 (Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo), p. 175. (16) M. MANettI, autorità indipendenti (dir. cost.), edizioni La terza, Bari, 2007. (17) G. MorBIDeLLI, Sul regime amministrativo delle autorità indipendenti in Scritti di diritto pubblico dell’economia, edizioni Giappichelli, torino, 2001. (18) G. MorBIDeLLI, op. cit., p. 222 ss., il quale critica la diversa impostazione secondo cui i procedimenti “contenziosi” sarebbero ispirati alla logica dell’indipendenza, mentre le procedure partecipative previste dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990, esprimerebbero invece una scelta di parzialità, cfr. A. PAJNo, L’esercizio di attività in forme contenziose (il Mulino). i garanti delle regole, a cura di S. CASSeSe e C. FrANChINI, 1996. (19) Corte Costituzionale, sentenza n. 162 del 2012 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 44 della legge n. 69 del 2009, recante delega al governo per il riassetto LeGISLAzIoNe eD AttuALItà È necessario però precisare che con il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dalla Camera dei Deputati il 12 aprile 2016 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016 non c’è stato alcun riferimento in Costituzione alle Autorità indipendenti. Sarebbe necessario introdurre una disposizione costituzionale per le procedure di nomina con la fissazione di un quorum particolarmente elevato per l’elezione e l’individuazione dell’organo a cui affidare l’elezione, ma anche le garanzie procedimentali, che costituiscono presupposti per l’agire indipendente delle autorità. va altresì ribadito però che riportare in modo espresso in Costituzione la legittimazione delle autorità significherebbe riconoscere le stesse quali organi di rilievo costituzionale, con un loro specifico statuto, responsabilità, campo di azione e tipologia di strumenti, normativi e non, di intervento. Così meglio consentendo alla Corte Costituzionale di delineare la cornice costituzionale, in cui il legislatore dovrebbe muoversi nel realizzare in modo conforme la disciplina delle autorità. La riforma del bicameralismo perfetto, poneva anche il tema, per una ipotetica norma costituzionale dell’individuazione di quale sede parlamentare individuare per l’assegnazione dell’elezione dei componenti delle autorità. del processo davanti ai giudici amministrativi, in quanto tale delega sarebbe generica e indeterminata e non soddisferebbe pertanto i criteri stabiliti dall'art. 76 Cost. Difatti la delega contenuta nella norma censurata ne definisce, conformemente a quanto previsto dall'articolo 76 della Costituzione, l'oggetto, indica un tempo limitato e certo per l'esercizio della stessa e determina i principi e i criteri direttivi, con indicazioni di contenuto idonee a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato, che, in ogni caso, è sempre garantita quando l'elaborazione di testi legislativi complessi viene affidata al Governo nella forma della delega legislativa; sicché, complessivamente intesa, dunque, la delega, volta al riordino e alla razionalizzazione del processo amministrativo e ai necessari aggiustamenti del riparto di giurisdizione tra giudici ordinari e giudici amministrativi, risulta idonea a circoscrivere i pur necessari margini di discrezionalità del legislatore delegato. Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione dell'art. 76 Cost., gli articoli 133, comma 1, lettera l), 135, comma 1, lettera c), e 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del tAr Lazio - sede di roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CoNSoB). Infatti, in base alla delega conferitagli, il legislatore delegato, nel momento in cui interveniva in modo innovativo sul riparto di giurisdizione tra giudici ordinari e giudici amministrativi, doveva tenere conto della «giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori» nell'assicurare la concentrazione delle tutele, secondo quanto prescritto dalla legge di delega; invece, attribuendo le controversie relative alle sanzioni inflitte dalla CoNSoB, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (con la competenza funzionale del tAr Lazio - sede di roma, e con cognizione estesa al merito), il legislatore delegato non ha tenuto conto della giurisprudenza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, formatasi specificamente sul punto. È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76 Cost. e dunque per eccesso di delega, l’intero articolo 4, comma 1, numero 19), dell'Allegato numero 4, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, nella parte in cui abroga le disposizioni del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, che attribuiscono alla Corte d'appello la competenza funzionale in materia di sanzioni inflitte dalla CoNSoB, con la conseguenza che queste ultime disposizioni, illegittimamente abrogate, tornano ad avere applicazione. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Si tratta comunque di una scelta che non costituiva un fattore irrilevante o una variabile indipendente; al contrario, dipendeva da quale bicameralismo perfetto scegliere per l’Italia delle riforme (20), di mera rappresentanza territoriale o anche “di garanzia”. Il legislatore ha abbandonato anche l’idea di poter assegnare tale nuova funzione al Parlamento in seduta comune, coinvolgendo anche la seconda Camera, seppure eletta indirettamente e slegata da rapporto fiduciario dal governo, laddove questa riesca comunque a conservare per le modalità di elezione o per “qualità” delle competenze attribuite, una posizione forte di garanzia nella dinamica della forma di governo come in definitiva avveniva per il Senato immaginato nella riforma fallita dalla XIII legislatura. Non si è neppure pensato ad un’alternativa di individuare un possibile organo di governo collegiale interno alle Camere, una Commissione parlamentare in formazione semmai integrata e modalità di elezione, in grado di garantire adeguata rappresentanza e tutela delle minoranze. Si sarebbe potuto pensare ad una norma costituzionale che le Camere avrebbero potuto istituire con legge approvata, approvata a maggioranza dei componenti delle autorità indipendenti, stabilendo organizzazione, funzioni, competenze e numero di commissari non oltre i cinque. In tal caso i componenti delle autorità potevano essere eletti dalle Camere almeno nelle prime votazioni, a maggioranza dei tre quinti, o in alternativa, come detto, da una Commissione parlamentare, e restare in carica per sette anni non rinnovabili. Non è semplice individuare un sistema diverso di selezione dei componenti delle autorità dall’affidamento dell’elezione dei componenti delle Camere. Secondo una parte della dottrina bisogna assicurare, quale questione davvero cruciale, al contempo competenza, professionalità, collegamento con l’organo politico rappresentativo, e quindi indiretta legittimazione politica, ma anche un necessario pluralismo di idee e sensibilità all’interno della composizione delle Autorità (21). Soltanto in questo modo, ad avviso dello scrivente, si potrà porre un limite all’intervento della politica, al fine di “assicurare garanzie a interessi collettivi e diffusi, a libertà e diritti costituzionalmente protetti, che siano minacciati dagli abusi dei poteri forti, pubblici o privati, ed assicurare che le autorità svolgano le loro plurali, delicate funzioni “in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione” (22). (20) Come si interroga A. MAStroMArINo, modificare, superare, abolire. Quale bicameralismo per l’italia delle riforme su Costituzionalismo.it -1/2014. (21) A. PAtroNI GrIFFI, rassegna di diritto pubblico europea, autorità indipendenti e tutela giurisdizionale nella crisi dello Stato, Anno XIv, numero 1-2 , Gennaio-Dicembre 2015, p. 33. (22) Art. 10 legge n. 287/1990 relativa all’AGCM. Secondo formulazioni, diversamente modulate, ma ricorrente nelle leggi di disciplina delle autorità. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà Secondo la più autorevole dottrina “o l’indipendenza si traduce in una mera formula ricognitiva dei principi di autonomia, imparzialità, distinzione tra politica ed amministrazione, quali principi che valgono per le stesse pubbliche amministrazioni tradizionali, e quindi le autorità indipendenti, nonostante le loro “straordinarie”, plurali competenze sono apparati amministrativi di “nuova generazione” ma che poi pericolosamente non si andrebbero a distinguere nella sostanza dagli altri, oppure l’indipendenza acquista un significato ulteriore rispetto ai noti principi riferiti alle pubbliche amministrazioni, che si pone a fondamento di funzioni che altrimenti non potrebbero essere scisse dall’espressione dei circuiti politico amministrativi, peraltro di mutevoli maggioranze contingenti. In questa seconda, necessaria direzione, l’indipendenza deve accompagnarsi ai ricordati corollari e deve trovare un fondamento, implicito o, meglio, esplicito in Costituzione tale da consentire di superare la frammentarietà e la confusione dell’attuale disciplina delle autorità e tale da rendere sanzionabile ogni soluzione legislativa che metta, in concreto, in pericolo la proclamata indipendenza” (23). Chi scrive ritiene che inserire le Autorità indipendenti nel circuito delle garanzie, senza un adeguato “statuto” di indipendenza, senza una norma costituzionale di riconoscimento che assicuri una tutela piena e capace di imporsi al legislatore, rischia di risultare espressione più di una vana speranza, con tutti i rischi e pericoli connessi. Alla luce delle considerazioni bisognerebbe quindi fare ricorso al diritto comunitario, alle sue regole ed ai suoi principi generali, al fine di garantire non soltanto la copertura costituzionale delle Autorità amministrative indipendenti, con particolare riferimento alla compatibilità dei suoi poteri con la Costituzione, ma anche per un pieno riconoscimento legislativo dei loro poteri a livello comunitario, introducendo una specifica disciplina nel t.F.u.e. (trattato sul Funzionamento dell’unione europea); corollario di tale affermazione è ovviamente quello di evitare la violazione del principio di legalità e della riserva di legge. 4. imparzialità e neutralità. Le funzioni delle “autorità indipendenti” amministrative, giurisdizionali, di regolazione: il rischio di una commistione tra funzione di regolazione e funzione di vigilanza. Imparzialità e neutralità sono due caratteristiche fondamentali e tra loro inscindibili delle Autorità amministrative indipendenti, ma che presentano delle differenze che bisogna chiarire. L’imparzialità esprime l’esigenza che l’Amministrazione, agendo per il perseguimento dell’interesse primario che costituisce il dato teleologico di (23) M. D’ALBertI, Le autorità indipendenti: quali garanzie? in Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, a cura di L. LANFrANChI, roma, 1997, p. 167 ss. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 fondo, si comporti nei confronti dei destinatari dell’agere amministrativo senza discriminazioni arbitrarie. Il canone costituzionale di lealtà ed equità comportamentale impone, cioè, che l’operatore pubblico, a patto di non scantonare dalla stella polare dell’ottimale perseguimento dell’interesse pubblico, si comporti equamente nell’apprezzamento degli altri interessi, pubblici e privati, in gioco, evitando sacrifici non imposti dall’interesse pubblico primario medesimo. L’imparzialità non significa, perciò, disinteresse e indifferenza, bensì equità di condotta, sulla premessa del carattere interessato dell’azione amministrativa, volta alla cura degli interessi pubblici concreti. Per definizione, la neutralità è l’indifferenza dell’Amministrazione indipendente rispetto ai protagonisti degli interessi confliggenti da comporre, il suo essere terza e, quindi, giusdicente nell’agone in cui si scontrano i protagonisti del “giuoco” da regolare. Di qui la veste di arbitro o, in certi settori di magistrato economico, non condizionato politicamente da un vincolo di preferenza nella regolazione degli interessi tutti sullo stesso piano, ivi compresi quelli pubblici, rispetto all’esigenza cogente del rispetto della legge. va altresì precisato che l’imparzialità è un principio generale a cui è soggetta tutta l’attività amministrativa, secondo quanto previsto e disciplinato dall’art. 97 Cost. Si tratta di un principio comune, che deve essere osservato dalla pubblica amministrazione; inoltre tale principio non giustifica di per sé la creazione delle Autorità amministrative indipendenti. Ciò che giustifica la loro creazione è piuttosto l’elevato grado di tecnicismo e l’attribuzione di funzioni neutrali, di regolazione dei vari interessi in gioco, pubblici o privati senza subire alcun condizionamento politico, senza la prevalenza della comparazione dell’interesse pubblico nella famosa comparazione degli interessi proprio della discrezionalità amministrativa. L’indipendenza di cui devono godere le Autorità è ben diversa dall’autonomia che l’ordinamento riconosce a molteplici soggetti pubblici. Il principio di autonomia assume rilievo in relazione ai soggetti in rapporto tra loro, anche di subordinazione, mentre l’indipendenza presuppone l’assenza di un tale rapporto e l’attribuzione di funzioni da svolgere senza condizionamenti. tuttavia l’autonomia organizzativa, contabile e finanziaria di cui godono le Autorità amministrative indipendenti è soltanto uno strumento per garantire l’indipendenza rispetto agli altri poteri. L’indipendenza è garantita anche e soprattutto dai criteri di nomina dei componenti delle autorità e dall’assenza della possibilità che le funzioni neutrali siano assoggettate ai poteri di indirizzo e ad ingerenze di natura politica. L’opinione prevalente (24) ha osservato come la caratteristica dell’indi LeGISLAzIoNe eD AttuALItà pendenza si sia rafforzata nel corso del tempo soprattutto grazie all’intervento del diritto comunitario. Più nel dettaglio, l’indipendenza delle Autorità è stata rafforzata soprattutto grazie all’emanazione di direttive e regolamenti. Le Autorità amministrative indipendenti sono titolari di importanti funzioni quali quelle autoritative classiche, giurisdizionali, di regolazione, tutorie e paragiurisdizionali e funzioni giusdicenti. La titolarità di tali funzioni non è legislativamente predeterminata, dovendo le funzioni essere riservate al Parlamento ed al Governo e ciò costituisce il dato caratteristico delle funzioni di regulation. All’interno di tali funzioni, bisogna distinguere tra regolamenti espressione dell’autonomia organizzativa e l’ambito di autonomia normativa che opera nelle materie riservate alla competenza tecnica delle Autorità regolatrici. I problemi più difficili da risolvere riguardano le funzioni di regulation, perché bisogna valutare se il sistema delle fonti possa tollerare o meno l’adozione di atti normativi da parte di soggetti che non sono muniti di legittimazione democratica come affrontato nel precedente paragrafo. Le Autorità amministrative indipendenti svolgono anche funzioni amministrative e contenziose limitate ad un’attività di moral suasion nei confronti del potere pubblico o dei privati. Si tratta precisamente di relazioni periodiche che le Autorità indipendenti inviano al Parlamento di segnalazione di problemi da risolvere in via normativa e nell’espressione di pareri. Si pensi ad esempio l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, da poco soppressa con legge n. 90 del 24 giugno 2014 e successivamente accorpata all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che era titolare di importanti poteri di segnalazione al Governo ed al Parlamento e precisamente di fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di applicazione distorta della normativa sui lavori pubblici; doveva altresì formulare al Ministro dei lavori pubblici proposte per la revisione del regolamento, predisporre ed inviare al Governo ed al Parlamento una relazione annuale nella quale si evidenziavano disfun- (24) “L’indipendenza delle autorità è stata rafforzata soprattutto grazie a una serie di direttive e regolamenti europei (per esempio, in materia di energia elettrica e gas o, nel 2010, di istituzione di nuove agenzie europee in materia finanziaria) che hanno precisato sempre più che il concetto di indipendenza delle autorità di regolazione europee e nazionali deve essere attuato sia nei confronti dei governi nazionali, sia nei confronti delle imprese, contro il rischio della cosiddetta “cattura” del regolatore da parte dei soggetti regolati. Si pensi in particolare al regolamento (ue) 24 novembre 2010 n. 1093 che ha istituito l’Autorità bancaria europea il quale in una pluralità di disposizioni garantisce l’indipendenza degli organi del nuovo apparato e cioè il Consiglio delle autorità di vigilanza, il Consiglio di amministrazione, il Presidente i quali non possono chiedere né ricevere istruzioni da parte di istituzioni dell’unione o di Governi degli stati membri o da altri soggetti pubblici o privati (artt. 42, 46 e 49)”, in M. CLArICh in indipendenza ed autonomia delle autorità amministrative indipendenti, Convegno Consiglio di Stato del 28 febbraio 2013. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 zioni riscontrate nel settore degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici per come previsto e disciplinato dall’art. 4 della legge n. 109 dell’11 febbraio 1994. Alle funzioni amministrative tipiche delle Autorità indipendenti si aggiungono le funzioni immediatamente incidenti su terzi; si tratta dei poteri sanzionatori o inibitori. tali funzioni, che nell’ordinamento anglosassone prendono il nome di adjudication hanno una particolare caratteristica, che è quella di essere svolta sulla base della discrezionalità tecnica. un’altra caratteristica di non poco momento è che le Autorità indipendenti hanno il compito di contestualizzare le norme da applicare, che spesso fanno riferimento ai “concetti giuridici indeterminati”. un esempio è, in materia antitrust, l’irrogazione delle sanzioni previste per le condotte illecite, preceduta dalla definizione di concetti quali il mercato rilevante, l’abuso di posizione dominante e le intese restrittive della concorrenza. La funzione contenziosa, invece, è la funzione correlata a situazioni giuridiche di tipo bilaterale orizzontale intercorrenti tra soggetti privati, rispetto ai quali il ruolo delle Autorità è quello di arbitro posto in una situazione neutrale ed equidistante. un esempio si riscontra nelle controversie in tema di interconnessione e di accesso alle infrastrutture di telecomunicazione attribuite alla competenza dell’Autorità Garante nelle Comunicazioni in relazione alle quali l’Autorità è tenuta ad attivarsi su richiesta dalle parti, ma può intervenire anche d’ufficio (art. 1 lett. a) n. 9 della legge n. 249 1997) (25). Circa le funzioni giurisdizionali, chi scrive ritiene che si tratti di una questione “astratta”, dato che il legislatore finora non ha mai attribuito competenze formalmente giurisdizionali alle autorità, anzi ha rimarcato come la decisione non intacca il diritto alla tutela giurisdizionale. Sono due gli articoli costituzionali che alludono alle funzioni giurisdizionali. Il primo è l’art. 102 co. 2 Cost. ai sensi del quale “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”. Dalla lettura della norma, emerge il divieto assoluto posto dalla Costituzione, di estendere funzioni giurisdizionali ad Autorità diverse da quelle definite come giurisdizionali. ulteriore specificazione di quanto appena detto è l’art. 113 co. 2 Cost. che non esclude, né limita la tutela giurisdizionale contro gli atti della p.a. I provvedimenti delle Autorità garanti non hanno valore di sentenza, anzi (25) r. ChIePPA, r. GIovAGNoLI, manuale di diritto amministrativo, II edizione, 2012, p. 296. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà sono impugnabili innanzi al t.A.r. sia in sede di giurisdizione generale di legittimità, sia in sede esclusiva. Fanno eccezione i provvedimenti dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, impugnabili davanti al giudice ordinario secondo quanto previsto e disciplinato dall’art. 29 della legge n. 675 del 31 dicembre 1996. un richiamo va fatto alle funzioni giusdicenti, di garanzia dell’applicazione della legge nel settore di riferimento, a tal fine dettando le regole (in applicazione della norma primaria) del decidere. Le Autorità indipendenti non sono, cioè, chiamate alla cura, con scelte amministrativamente discrezionali, di interessi pubblici di loro pertinenza, ma dirimono in via preventiva, potenziali conflitti di interessi collettivi e sanzionatori, idonei a ricondurre l’attività dei singoli e dei gruppi nei binari della correttezza e della legalità. Sono quindi riconducibili al paradigma delle funzioni giusdicenti i poteri normativi (onde le Autorità siano investite di un potere di adottare regolamenti con valenza esterna in attuazione del dettato legislativo primario), regolatori (concretatesi nell’adozione di prescrizioni che disciplinano il settore prive di spessore regolamentare) di controllo e monitoraggio, di accertamento, di risoluzione dei conflitti giurisdizionali. 5. Le autorità amministrative indipendenti: il procedimento e le garanzie del contraddittorio. Alle Autorità amministrative indipendenti si applica la legge sul procedimento amministrativo ed in materia di accesso, prevista dalla n. 241 del 7 agosto 1990 successivamente modificata dalla legge n. 124 del 7 agosto 2015, stante la loro natura giuridica “amministrativa”, dove sono presenti garanzie minime e generali, mentre le disposizioni specifiche sono dettate per i procedimenti che si svolgono innanzi alle singole Autorità. Anche i regolamenti sui procedimenti amministrativi delle singole Autorità prevedono una modalità di contraddittorio non ammessa per i procedimenti amministrativi tradizionali. un esempio è l’audizione orale delle parti coinvolte nel procedimento o la richiesta di soggetti interessati di formulare osservazioni sugli schemi di atti normativi generali (26). (26) Per esempio l’articolo 2 comma 24 lett. a) della legge 14 novembre 1995, n. 481 sulle autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità prevede che i regolamenti da esse emanati devono definire procedure “idonee a garantire agli interessati la piena conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio, in forma scritta ed orale e la verbalizzazione”. Anche l’art. 10 comma 5 della legge n. 287/1990 in materia di antitrust contiene una disposizione analoga. Il regolamento sulle procedure istruttorie dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas approvato con d.p.r. 9 maggio 2001 n. 244, nel riprendere le disposizioni legislative sopra citate, chiarisce per esempio che “per tutto quanto non specificamente disciplinato dal presente regolamento, si applicano le disposizioni della legge n. 241 del 1990” (art. 2 rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Anche di recente, la giurisprudenza del Consiglio di Stato (27) ha riaffermato garanzie procedimentali nei procedimenti davanti alle Autorità indipendenti e, in particolare, in quelli di regolazione. La garanzia della partecipazione e del contraddittorio in questi peculiari procedimenti è indispensabile filtro di legittimazione volto a colmare il deficit democratico che caratterizza le autorità indipendenti. Il Consiglio di Stato, tuttavia, non si limita a ribadire tale principio, ma ne garantisce la piena effettività, sancendo contemporaneamente anche l’obbligo di motivazione dei regolamenti delle Autorità, nonostante la clausola generale di esclusione prevista all’art. 13 della l. n. 241 del 7 agosto 1990. Anche la dottrina più autorevole ha riconosciuto la peculiarità e l’importanza del principio del contraddittorio davanti le Autorità indipendenti, dove, mancando la comparazione degli interessi, il procedimento davanti alle Autorità ha la funzione di determinare il ristabilimento o la fissazione di una regola procedurale che è quella della “parità delle armi” in contraddittorio (28). Le ragioni che hanno portato alla garanzia del contraddittorio sono diverse e meritano un approfondimento. La prima è la natura giurisdizionale delle Autorità indipendenti, la seconda è la crisi della legge. Quanto al primo percorso argomentativo, la più autorevole dottrina (29) ha osservato che la neutralità ovvero la natura paragiurisdizionale di talune funzioni assolve al compito più limitato di giustificare, per un verso l’indipendenza, delle Autorità dal potere di indirizzo politico-amministrativo, per comma 1) e prefigura l’apertura di procedimenti relativi ad atti normativi e agli atti generali della partecipazione dei privati (art. 2 comma 2); inoltre pone una disciplina esaustiva delle audizioni istruttorie e dell’audizione finale aperta a tutti i partecipanti al procedimento (art. 10), in M. CLArICh, autorità indipendenti: Bilancio e prospettive di un modello, ed. Il Mulino, Bologna 2005, p. 149. (27) Consiglio di Stato, Sez. vI, 2 marzo 2010, n. 1215, Giurisprudenza conforme: Cons. Stato, sez. vI, 18 ottobre 2002, 5105; Cons. Stato, sez. v, 18 novembre 2004, 7553; Cons. Stato, sez. vI, 27 dicembre 2006, 7972; Cons. Stato, sez. vI, 11 aprile 2006, 2007. (28) Si è anche affermato, sempre con riferimento alle autorità indipendenti, che “in una società multipolare, oltretutto segnata dalla messa in discussione dei tradizionali canali della rappresentanza, è indispensabile la valorizzazione delle istanze partecipative”, cfr. L. BeNveNutI, interpretazione e dogmatica nel diritto amministrativo, Milano, 2002, p. 178, nel contesto di una ricostruzione problematica del ruolo delle funzioni, in particolare dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nei quali neutralità e discrezionalità tendono in realtà tra loro a compenetrarsi. In talune ipotesi infatti il lavoro istruttorio svolto dall’autorità finisce per esaurire nel rispetto della dialettica processuale lo spazio che potrebbe risultare riservato alla scelta di natura politica; altre volte la politica finisce per far capolino dallo sfondo delle risultanze istruttorie; ed allora il sistema pare voler assentarsi dimostrando la perfetta compatibilità della presenza di valutazioni discrezionali con una tipologia procedimentale e decisionale di natura paragiurisdizionale (pp. 168-169). Queste osservazioni, che muovono da un’indagine dogmatica sulle analogie e differenze tra discrezionalità e interpretazione, rappresentano un caveat che rende meno netta la distinzione dei due percorsi argomentativi indicati e sviluppati di seguito nel testo. F. Me- ruSI, Democrazia e autorità indipendenti, cit., pp. 28 e 83. (29) M. CLArICh, autorità indipendenti e prospettive di un modello, ed. Il Mulino, Bologna 2005, p. 153. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà altro verso la previsione di garanzie del contraddittorio rinforzate, sulla falsariga di quelle generalmente previste nei procedimenti propriamente giurisdizionali; tuttavia, merita precisare che le Autorità, nell’applicare la legge devono adottare un criterio parallelo a quello giurisdizionale, improntato al principio del contraddittorio. La seconda motivazione che considera imprescindibili “le garanzie del contraddittorio rafforzate” riguarda la crisi della legge, che si manifesta in modo particolare per le Autorità indipendenti che sono state istituite per regolare fenomeni e settori soggetti ad un’evoluzione tecnologica e di mercato rapidissima, tale da rendere difficile se non impossibile al legislatore il compito di porre una disciplina completa, immune dal rischio di obsolescenza. La crisi della legge si ripercuote sul valore della legalità sostanziale applicato ai poteri esercitati dalle Autorità indipendenti, caduta che deve essere compensata, almeno in parte con un rafforzamento della legalità processuale e quindi con garanzie del contraddittorio (30). Sul principio del contraddittorio vi sono due importanti profili da evidenziare: il primo riguarda la dimensione verticale, il secondo riguarda la dimensione orizzontale; ma ve ne sono anche altri, quali la funzione di garanzia del diritto di difesa, di partecipazione in funzione collaborativa di rappresentanza degli interessi. Nella dimensione orizzontale le parti sono in una situazione di parità mentre in quello verticale è il giudice che deve farsi carico di garantire il diritto di difesa rispetto ai poteri unilaterali da esso esercitati. Il contraddittorio può assumere diverse funzioni quali di garanzia del diritto di difesa, di partecipazione collaborativa e di rappresentanza degli interessi, aspetti già molto chiari, sia per la dottrina che per la giurisprudenza (31). Sarebbe comunque opportuno un intervento definitivo ed esaustivo da parte del nostro legislatore per sperimentare modelli procedurali più garantisti che potrebbero via via essere estesi, con gli adattamenti necessari, anche alle amministrazioni più tradizionali. (30) M. CLArICh, op. cit., p. 155. (31) Sugli orientamenti giurisprudenziali riferiti alla legge 7 agosto 1990, cfr. F. FIGorILLI, il contraddittorio nel procedimento amministrativo, Napoli, 1996, pp. 234 ss.; S. CoGNettI, “Quantità” e “qualità” della partecipazione - tutela procedimentale e legittimazione processuale, Milano 2000, p. 122 ss., anche per le possibili implicazioni sul valore viziante o meno dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento. In dottrina va ricordato il saggio lungimirante di F. BeNveNutI, Contraddittorio in Enc. Dir., Milano 1961, ad vocem, secondo il quale “il contraddittorio costituisce un principio giuridico generale di carattere costituzionale che si manifesta ogni qual volta la funzione svolta sia retta dalla ragione di imparzialità”, cfr. CrISAFuLLI, Principio di legalità e giusto procedimento in Giur. Cost. 1962, p. 130 ss. Privilegia invece la ricostruzione degli istituti di partecipazione alla funzione collaborativa “allo scopo di colmare il gap e l’asimmetria informativa che caratterizzano il processo decisionale e di formazione del convincimento del decisore collettivo pubblico” ponendo in secondo piano la partecipazione in forma di contraddittorio, r. FerrArA, introduzione al diritto amministrativo, Bari, 2002, p. 131 ss. (per la citazione testuale p. 144) in M. CLArICh, op. cit., pp. 159-160. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 A tale riguardo, si richiama un disegno di legge governativo del 2003, mai formalizzato che proponeva l’estensione dell’applicazione del capo III della legge n. 241 del 7 agosto 1990, in materia di partecipazione ai regolamenti ed agli altri atti amministrativi generali e prevedeva anche il contraddittorio orale sotto forma di audizione, ma che purtroppo non ha avuto seguito lasciando alla giurisprudenza del t.A.r. e del Consiglio di Stato gli orientamenti più importanti. 6. La tutela giurisdizionale contro gli atti delle independent agencies. il riparto di giurisdizione. La tutela giurisdizionale avverso gli atti delle Autorità amministrative indipendenti è stata ed è tuttora una tematica molto dibattuta nel nostro ordinamento, a causa della difficile collocazione delle Autorità indipendenti nel nostro sistema, ma anche perché esse sono dotate di un elevato grado di tecnicità che non consentirebbe ai giudici, almeno teoricamente, di sindacare sui loro atti. Non si tratta di un problema che riguarda soltanto il nostro ordinamento ma si estende anche in europa e negli Stati uniti. In europa si ricorda il noto caso Upjohn del 1999 (32), con cui la Corte di Giustizia dell’unione europea è tornata ad occuparsi del sindacato del giudice sugli atti delle Autorità indipendenti. In quell’occasione la Corte di giustizia dell’unione europea sosteneva che, per quanto attiene alle decisioni di revoca delle autorizzazioni all’immissione in commercio di sostanze medicinali, adottate dalle Autorità nazionali competenti in esito a valutazioni complesse rientranti nella sfera medico-farmacologica, l’effettività della tutela giurisdizionale potesse essere salvaguardata anche da un procedimento di controllo delle decisioni nazionali di revoca delle autorizzazioni che non consentisse ai giudici nazionali competenti di sostituire la loro valutazione degli elementi di fatto, in particolare dei mezzi di prova scientifica cui è basata la decisione di revoca, a quella delle Autorità nazionali competenti in materia di revoca dell’autorizzazione. La Corte di giustizia dell’unione europea, con questa storica pronuncia, ha ribadito ai sensi dell’art. 230 ex trattato Ce, che un’Autorità comunitaria, allorché è chiamata nell’esercizio delle sue attribuzioni a compiere valutazioni complesse, dispone per tale motivo di un potere discrezionale il cui esercizio (32) Corte Giustizia Ce, 21 gennaio 1999 (in causa C-120/97) Upjohn Ltd c. Licensing authority; sentenza pronunciata su un rinvio pregiudiziale promosso dalla Court of Appeal della high Court di Inghilterra e Galles con cui è stato ritenuto compatibile con il diritto comunitario un rimedio giurisdizionale interno (inglese), che non consente al giudice di sostituire la propria valutazione degli elementi di fatto a quella delle autorità nazionali competenti in materia di revoca delle autorizzazioni all’immissione al commercio di sostanze medicinali, v. D. De PretIS, Scienza, discrezionalità della pubblica amministrazione in G. CoMANDé -G. PoNzAreLLI (a cura di), Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato, torino 2004, p. 415. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà è assoggettato ad un controllo giurisdizionale limitato e ciò preclude al giudice comunitario l’accesso alla valutazione degli elementi di fatto posti in essere dall’Autorità. In queste circostanze il sindacato del giudice comunitario è limitato al- l’esame dell’esattezza sostanziale dei fatti e delle qualificazioni giuridiche che questa Autorità ne ha desunto, ed in particolare se l’operato di quest’ultima non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere o se tale autorità non abbia manifestamente passato i limiti del proprio potere discrezionale (33). un altro caso storico è avvenuto negli Stati uniti d’America, con la Sentenza Chevron del 1984, dove la Suprema Corte ha richiamato i giudici ad una maggiore deferenza nei confronti delle agencies, affermando che i giudici possono disattendere l’interpretazione che un’Agenzia abbia dato ad una legge cui ha il compito di curare l’applicazione, solo quando questa interpretazione sia contraria alla volontà chiara ed espressa del legislatore oppure irragionevole. un altro nodo da sciogliere, in assenza di un disegno unitario che disciplini le Autorità indipendenti, è il riparto di giurisdizione. Per avere le idee più chiare, bisogna fare un raffronto tra il periodo antecedente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e quello successivo. In particolare, prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104) per i provvedimenti emessi dalle Autorità amministrative indipendenti vi era una preferenza del legislatore in favore della giurisdizione del giudice amministrativo. Ciononostante, sebbene il riparto di giurisdizione veniva disciplinato caso per caso da singole norme di settore, in alcuni casi ricadeva nell’ambito di applicazione delle disposizioni più generali. Successivamente, dopo l’emanazione del d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010, si è proceduto alla catalogazione delle fattispecie di giurisdizione esclusiva. Il codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010) ha incluso le diverse ipotesi di giurisdizione esclusiva sugli atti delle Autorità indipendenti in un’unica disposizione che è l’art. 133, comma 1, lettera l), del d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, con valenza meramente ricognitiva delle numerose leggi intervenute nei decenni che l’hanno prevista caso per caso e richiama le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori con l’esclusione di quelli inerenti ai rapporti di lavoro privatizzati adottati dalla Banca d’Italia, dalla Commissione nazionale per la società e la borsa, (33) Corte Giustizia Ce, 13 luglio 1966 (in cause riunite 56/64 e 58/64) Consten e Grundig c. Commissione in racc., 1966; id. 22 gennaio 1976 (in causa 55/75) Balkan-import Export in racc., 1976, punto 8; id. 14 luglio 1983 (in causa 9/82) ohrgoard e Delvaux c. Commissione in racc., 1983, 2379 punto 14; id., 15 giugno 1993 (in causa C- 225/91), matra c. Commissione in racc. 1993, I , 3203 punti 24 e 25 e id., 5 maggio 1998 (in causa C-157/96) National Farmer’s Union in racc., 1998 I, 2211, punto 39. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas e dalle altre Autorità istituite ai sensi della legge 14 dicembre del 1995 n. 481, dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubblica amministrazione da poco accorpata all’Autorità Nazionale Anticorruzione, dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, comprese quelle relative ai ricorsi avverso i decreti ministeriali che applicano le sanzioni ai sensi dell’art. 326 del d.lgs. n. 209 del 7 settembre 2005. Sono due le novità previste dall’art. 133 c.p.a. che è opportuno richiamare. La prima è l’espressa esclusione delle controversie inerenti i rapporti di lavoro privatizzati; la seconda è l’illegittimità costituzionale della attribuzione al G.A. delle sanzioni Consob ad opera della Corte Costituzionale (34). Con il secondo correttivo al codice del processo amministrativo, approvato con il d.lgs. n. 160 del 14 settembre 2012, l’art. 133 del d.lgs. del 2 luglio 2010 n. 104 è stato conformato alla sentenza della Corte Costituzionale, con la soppressione del riferimento alle sanzioni irrogate dalla Consob mentre il Governo ha ritenuto non rientrare nell’ambito della delega la reintroduzione della giurisdizione ordinaria per l’impugnazione delle sanzioni della Banca d’Italia, pur condividendo una osservazione in tal senso formulata dalle Commissioni parlamentari. Anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 94 del 15 aprile 2014, è nuovamente intervenuta sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo nelle controversie aventi ad oggetto sanzioni amministrative irrogate da Autorità indipendenti, nello specifico dalla Banca d’Italia e dichiarando l’illegittimità costituzionale per eccesso di delega (art. 76 Cost.) degli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del c.p.a. (d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010) e dell’art. 4, comma 1, numeri 17) e 19), dell’Allegato 4 del medesimo codice, nella parte in cui hanno trasferito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, le controversie relative a provvedimenti sanzionatori di natura pecuniaria adottati dalla Banca d’Italia. Come già affermato in relazione alla giurisdizione sulle sanzioni applicate dalla Consob (sentenza n. 162 del 2012), l’illegittimità deriva da un mancato rispetto dei criteri stabiliti nella legge di delega, che imponeva l'adeguamento, in materia di riparto di giurisdizione, alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori (art. 44 della legge n. 69 del 2009). (34) M. CLArICh e A. PISANeSChI, Le sanzioni amministrative della Consob nel “balletto” delle giurisdizioni, nota a Corte costituzionale 27 giugno 2012. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà In particolare, il giudice delle leggi evidenzia che il legislatore delegato si è discostato dal consolidato orientamento delle sezioni uniti civili della Corte di cassazione (ordinanze n. 9600 e n. 9602 del 2006), che aveva stabilito che rientravano nella giurisdizione del giudice ordinario (Corte d'appello) le controversie relative alle sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle norme in tema di intermediazione finanziaria, adottate dalla Banca d’Italia e dalla Consob, richiamando il carattere vincolato e non discrezionale del- l’attività sanzionatoria. Peraltro, l'esigenza di modificare sul punto il Codice del processo amministrativo era stata già segnalata dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati nel parere al Governo, reso il 12 settembre 2012, sullo schema di decreto correttivo del Codice. In tale parere, infatti, era presente una condizione nella quale, in considerazione della sentenza n. 162 del 2012 della Corte costituzionale, si chiedeva che l’art. 133, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 104 del 2010 fosse riformulato in modo da escludere dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «i provvedimenti sanzionatori adottati dalla Banca d'Italia e dalla Commissione nazionale per le società e la borsa ai sensi del- l'articolo 145 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e dell’articolo 195 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58». tuttavia, il Governo non ha accolto le indicazioni contenute nel parere parlamentare. 7. Le agencies nell’Unione Europea. introduzione e fondamento giuridico. In europa, la nascita delle independent agencies risale approssimativamente all’ultimo decennio del secolo scorso, quindi vent’anni dopo da quella del nostro Stato membro. Sono diverse le motivazioni che hanno portato alla creazione delle independent agencies. una di queste è senz’altro dovuta alla crisi della politica. era impossibile illo tempore per l’esecutivo esercitare, tramite il potere legislativo (35) un pieno controllo di tutti i settori; emergeva sempre di più l’insufficienza delle competenze tecniche che facevano capo al potere legislativo. Per questi motivi, si arrivò alla ragionevole conseguenza di delegare i poteri sanzionatori, referenziali, di regolazione del mercato, amministrativi a specifici organi del governo. La soluzione migliore era non soltanto quella di occuparsi del controllo di determinate materie, ma piuttosto di istituire Agenzie fuori dalle ordinarie strutture dipartimentali, e questo per una serie di ragioni che la dottrina più autorevole non ha mancato di osservare (36). (35) P. CrAIG, EU administrative law, second edition, 2012, p. 140. (36) D. hAGue, W. MACkeNzIe e A. BArker (eds), Public Policy and Private interests; The institution of Compromise (Macmillan, 1975) 362; report on Non-Departmental Public Bodies, Cmnd 7797 rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 La prima è la possibilità per gli esperti che non fanno parte delle strutture governative e parlamentari, di trovare più spazio all’interno di queste Agenzie e di operare sfruttando al massimo le loro competenze tecniche. Secondo alcuni (37), procedendo ad una separazione tra le decisioni delle independent agencies e quelle poste in essere da organi politici, si acquisirebbe sicuramente più credibilità ed anche più sicurezza in termini tecnici. Ad esempio, alcune materie quali il finanziamento per le arti, dovrebbero essere discusse e studiate fuori dalle strutture dipartimentali per evitare indebite ingerenze e pregiudizi politici. Altre autorevoli voci (38) hanno ricondotto l’istituzione delle independent agencies all’incoraggiamento dell’integrazione amministrativa. Altri studiosi ancora (39) hanno ritenuto opportuno l’istituzione di unità di più piccole dimensioni, sempre con staff dotato di elevate competenze tecniche ma non paragonabili alle Commissioni, e non con sede a Bruxelles. un’altra scuola di pensiero ha contestato la creazione delle independent agencies, ritenendole come una reazione a forti pressioni che si erano create all’interno della stessa Commissione. Purtroppo l’istituzione dei Comitati non portò ai risultati previsti in termini di efficienza, di efficacia e di tutela del mercato e così l’idea di Dehousse (40) di istituire in via permanente le independent agencies fu condivisa dalla politica e dalla maggior parte della dottrina. La più autorevole dottrina (41) ha ricondotto l’aumento delle independent agencies all’interno di una più generale struttura concernente la natura del- l’unione europea. Majone inoltre ha contestato che i legislatori dei singoli Stati membri che (1980) [10]-[16]; r. BALDWIN and C. MC CruDDeN, regulation and Public law (Weidenfeld & Nicolson, 1987) ch1; M. thAtCher and A. StoNe SWeet, Theory and Practice of Delegation to Non -majoritarian institutions (2002) 25 West european Politics1; J. zILLer, organizing the Central administration: Policy and instruments (Law Department, euI, 2006); t. ChrISteNSeN and P. LAeGreID (eds), autonomy and regulation, Coping with agencies in the modern State (edward elgar, 2006); M. GroeNLeer, The autonomy of European Union agencies: a Comparative study of institutional Development (eburon 2009); M. ShAPIro, “independent agencies”, in P. CrAIG and G. De BurCA, The evolution of EU law (oxford university Press, 2nd edn, 2011) ch. 5. (37) G. MAJoNe, Temporal Consistency and Policy Credibility: why Democracies Need-Nonmajoritarian institutions, Working Paper rSC No 96/57 (Florence euI); F. GILArDI, “Policy Credibility and Delegation to independent regulatory agencies”: a Comparative Empirical analysis (2002) 9 JePP 873. (38) A. kreher, agencies in the European Community - a step towards administrative towards administrative integration in Europe, in Journal of European Public Policy, 1997, 4, 2, 225-245, 1997. (39) M. ShAPIro, The Problems of independent agencies in the United States and the European Union (1997). JePP 276. (40) r. DehouSSe, regulation by Networks in the European Community: The role of European agencies (1997) 4 JePP 246. (41) G. MAJoNe, independent agencies and the delegation problem. Theoretical and Normative Dimension, first edition, 1997, pag. 139 e ss. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà hanno istituito il trattato di roma, non hanno preso in considerazione l’opzione di separare i settori governativi in favore di una politica dove il Consiglio, l’Assemblea e la Commissione rappresentano rispettivamente gli interessi degli Stati. A maggior ragione, troveranno fondamento le teorie del Majone della delegazione dei poteri come strumento necessario per riequilibrare il sistema. 8. Evoluzione delle independent agencies in Europa. Secondo la maggior parte degli studiosi del diritto amministrativo europeo, la nascita delle independent agencies risale agli inizi degli anni ’90, ma non è così. In realtà, l’istituzione delle prime agencies risale alla metà degli anni settanta del secolo scorso (42). Si prende come punto di riferimento proprio il nostro ordinamento, dove l’istituzione della Consob risale agli inizi degli anni settanta (essa è stata istituita, come sopra detto con legge n. 216 del 7 giugno 1974). Le prime due Agenzie ad essere istituite in europa sono state la CeDeFoP (Centro europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale) istituita con regolamento (Ce) n. 337/75 del Consiglio, del 10 febbraio 1975; l’altra è euroFouND (Fondazione europea per il Miglioramento delle Condizioni di vita e di Lavoro) istituita lo stesso anno. La prima, con sede in Grecia, opera in stretta collaborazione con la Commissione europea, con i rappresentanti dei datori di lavoro e dei sindacati, dei ricercatori e dei professionisti nel campo dell’istruzione e della formazione professionale e con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione europea. La seconda, con sede in Irlanda, trasmette conoscenze nel campo delle politiche sociali e di lavoro. Gli anni novanta rappresentano il secondo periodo “quello più importante” in cui sono state create moltissime agencies. tra le tante agencies istituite nel corso degli ultimi trent’anni è opportuno menzionare: l’Agenzia europea dell’ambiente (43) e la Fondazione europea per la formazione (44), con sede a torino ed operante sin dal 1994; l’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, agenzia dell’unione europea che si trova a Lisbona, fondata nel 1993 (45); l’Agenzia europea dei (42) D. keLeMAN, “The Politics of “Eurocratics” Structure and New European agencies” (2002) 25 West european Politics 93. (43) Council regulation (eeC) 1210/90 of May 1990 on establishment of the european environment Agency and the european environment Information and observation Network [1990] oJ L120/1; regulation (eC) 401/2009 of the european Parliament and of the Council of 23 April 2009 on the european environment Agency and the european environment Information and observation Network (Codified version) [2009] oJ L126. (44) Council regulation (eeC) 1360/90 of 7 May 1990 establishing a european training Foundation [1990] oJ L131/1. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 medicinali, fondata nel 1995, con lo scopo di valutare e monitorare i medicinali (46); l’ufficio per l’armonizzazione del mercato interno, istituito nel 1995, con lo scopo di gestire i marchi ed il design industriale (47); l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, istituita nel 1994 con sede in Spagna (48); l’ufficio comunitario delle varietà vegetali (49); il centro di traduzione degli organismi dell’unione europea (50); l’osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (51) ed infine l'Agenzia europea per la ricostruzione, responsabile dell'attuazione, in base ad una decisione della Commissione, del- l'assistenza comunitaria a favore della repubblica del Montenegro, della repubblica di Serbia e dell'ex repubblica iugoslava di Macedonia (52). Il numero delle Agenzie europee continuò ad aumentare anche nella prima decade del nuovo secolo. Si citano come esempio l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, Agenzia della unione europea che fornisce consulenza scientifica indipendente e comunica sui rischi esistenti ed emergenti associati alla catena alimentare (53); l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Agenzia dell'unione europea incaricata di ridurre il rischio di incidenti marittimi, di inquinamento marino da navi e la perdita di vite umane in mare, contribuendo a far rispettare la normativa pertinente dell'ue); entrambe hanno sede a Lisbona (54) e l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Agenzia della unione europea con compiti di regolamentazione ed esecutivi in materia di civile sicurezza aerea) (55). (45) Council regulation (eeC) 302/93 of 8 February 1993 on the establishment of a european Center for Drugs and Drugs Addiction [1993] oJ L36/1. (46) Council regulation (eeC) 2309/93 of 22 July 1993 laying down Community procedures for the authorization and supervision of medicinal products for human and veterinary use and establishing a european Agency for the evaluation of medicinal Products [1993] oJ L214/1. (47) Council regulation(eC) 40/94 of 20 December 1993 on the Community trademark [1994] oJ L11/1; Council regulation (eC) 207/2009 of 26 February 2009 on the Community trade mark (codified version) [2009] oJ L78/1. (48) Council regulation (eC) 2062/94 of 27 July 1994 establishing a european Agency for Safety and health at Work [1994] oJ L 216/1. (49) Council regulation (eC) 2100/94 oF 27 July 1994 on Community Plant variety rights [1994] oJ L227/1. (50) Council regulation (eC) 2965 /94 of 28 November setting up a translation Centre for bodies of the european union [1994] oJ L 227/1. (51) Council regulation (eC) 1035 /97 of 2 June 1997 establishing a european Monitoring Centre on racism and Xenofobia. (52) Council regulation (eC) 2454/1999 of 15 November 1999 setting of a european Agency for reconstruction [1999]. (53) regulation (eC) 178/2002 of the european Parliament and of the Council of 28 January la- ying down the general principles ad requirements of food law, establishing the european Food Safety Authority and laying down procedures in matters of food safety [2002] oJ L31/1. (54) regulation (eC) 1406/2002 of the european Parliament and of the Council of 27 June 2002 establishing a european Maritime Safety Agency [2002] oJ L208/1. (55) regulation (eC) No 216/2008 of the european Parliament and of the Council of 20 February 2008 on common rules in the field of civil aviation and establishing a european Aviation Safety Agency [2008] oJ L79/1 is now the governing regulation. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà Nel 2004 è stata istituita l'Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell'informazione con sede in Svezia (56) e, con regolamento (Ce) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 (Gu L 349 del 25 novembre 2004), l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne, con il compito di promuovere, coordinare e sviluppare la gestione delle frontiere europee, in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell'ue di applicare il concetto di gestione integrata delle frontiere (57) e l’Agenzia ferroviaria europea, l' Agenzia della unione europea che definisce i requisiti obbligatori per le ferrovie europee e i produttori sotto forma di specifiche tecniche di interoperabilità, che si applicano al sistema ferroviario trans-europeo (58). Dal 2005 in poi, in europa sono state istituite ulteriori Agenzie. Si pensi all’Agenzia europea per il controllo sulla pesca, organismo del- l'unione europea per organizzare il coordinamento operativo di controllo della pesca e delle attività di ispezione da parte degli Stati membri e assistere i medesimi affinché cooperino per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca dell'ue per assicurare l'applicazione effettiva e uniforme (59); a quest’ultima è seguita, nel 2006, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, un'Agenzia dell'unione europea che gestisce gli aspetti tecnici, scientifici e amministrativi dell'attuazione del regolamento dell'unione europea per la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (60); nel 2007 è stata fondata la Agenzia dell’unione europea per i diritti fondamentali (61) e nel 2009 l'Agenzia europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia (ACer), un'Agenzia dell'unione europea con sede in Slovenia (62). Ad avviso dello scrivente, un passo molto importante che è stato fatto dall’unione europea in tempi abbastanza recenti, è stato l’istituzione delle Agenzie europee per rafforzare la sorveglianza europea sul sistema finanziario. Chi scrive, ritiene altresì, che anche i singoli Stati membri avrebbero do (56) regulation (eC) 851/2004 of the european Parliament and of the Council of 21 April 2004 establishing the european Centre for Disease Prevention and Control [2004] oJ L142/1. (57) Council regulation (eC) No 2007/2004 of 26 october 2004 establishing a european Agency for the Management of operational Cooperation at the external Borders of the Members States of the european union [2004] oJ L349/1. (58) regulation (eC) 881/2004 of the european Parliament and of the Council of 29 April 2004 establishing a european railway Safety Agency [2004] oJ L164/1. (59) Council regulation (eC) 768/2005 of 26 April 2005 establishing a Common Fisherries Con- trol Agency [2005] oJ L128/1. (60) regulation (eC) No 1907 /2006 of the european Parliament and of the Council of 18 De- cember 2006 concerning the registration, evaluation, Authorization and restriction of Chemicals (reACh), eStABLIShING a european Chemicals Agency [2006] oJ L396/1. (61) Council regulation (eC) No 168/2007 of 15 February 2007 establishing a european union Agency for Fundamental rights [2007] oJ L53/1. (62) regulation (eC) No 713/2009 of the european Parliament and of the Council of 13 July 2009 establishing an Agency for the Cooperation of energy regulators [2009]. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 vuto aderire a questa iniziativa europea, ma, tuttora la situazione è rimasta immutata. A tale proposito si ricorda l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, organismo dell'unione europea che, dal 1 gennaio 2011, ha il compito di sorvegliare il mercato finanziario europeo; ad essa partecipano tutte le Autorità di vigilanza bancaria dell'unione europea. tale Autorità europea sostituisce il Committee of European Securities re- gulators (CeSr) e ha sede a Parigi (63). L'Autorità Bancaria europea (ABe) è un'Autorità indipendente del- l'unione europea che opera per assicurare un livello di regolamentazione e di vigilanza prudenziale efficace e uniforme nel settore bancario europeo. Gli obiettivi generali di tale Autorità sono quelli di assicurare la stabilità finanziaria nell'ue e garantire l'integrità, l'efficienza e il regolare funzionamento del settore bancario (64). Dal 1 gennaio 2011, è stata istituita anche l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali. Si tratta di un organismo dell'unione europea che, dal 1 gennaio 2011, ha il compito di sorvegliare il mercato assicurativo europeo. Ad essa partecipano tutte le Autorità di vigilanza assicurativa dell'unione europea. La suindicata Autorità sostituisce il Committee of European insurance and occupational Pensions Supervisors (CeIoPS) con sede a Francoforte (65), ed infine il Comitato europeo per il rischio sistemico, un’altra agenzia del- l’unione europea, sempre con sede a Francoforte, responsabile per la vigilanza macro-prudenziale del sistema finanziario dell’unione (66). 9. Classificazione delle agencies: il punto di vista della Commissione europea. era necessario fare una distinzione all’interno della categoria delle agencies e, a questo difficile compito ha provveduto la Commissione europea. Anche in tempi antecedenti alla classificazione delle agencies, la più autorevole dottrina (67) aveva ritenuto necessaria una classificazione delle agen- (63) regulation (eu) No 1095/2010 of the european Parliament and of the Council of 24 No- vember 2010 establishing a european Supervisory Authority (european Securities and Market Authority) [2010] oJ L331/84 http: // ec.europa.eu/economy_finance/other/index enhtm; P. ShAMMo The European Securities and markets authority: Lifting the Veil on the allocation of Powers ( 2011) 48 CMLrev 1879. (64) regulation (eu) No 1093/2010 of the european Parliament and of the Council of 2 November 2010 establishing a european Supervisory Authority (european Insurance and occupational Pensions Authority) [2010] oJ L331/12. (65) regulation (eu) No 1094/2010 of the european Parliament and of the Council of 24 No- vember 2010 establishing a european Supervisory Authority (european Insurance and occupational Pensions Authority) [2010] oJ 331/48. (66) regulation (eu) No 1092/2010 of the european Parliament and of the Council of 24 No- vember 2010 on european union macro - prudential oversight of the financial system and establishing a european Systemic risk Board [2010] oj L331. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà cies e, dalla suddetta classificazione sono emersi elementi soddisfacenti e non soddisfacenti. Più nel dettaglio, si hanno elementi soddisfacenti quando la Commissione europea distingue all’interno della categoria generale delle independent agencies e precisamente tra le Executive agencies e le regulatory agencies. Si tratta di organismi che, all’interno dell’unione europea, hanno una particolare posizione; essi altro non sono se non independent agencies che sono state istituite dalla Commissione europea e sono responsabili per la gestione di diversi programmi. Non hanno durata permanente bensì temporanea, non sono indipendenti e sono soggette al controllo della Commissione europea. La classificazione della Commissione europea diventa non soddisfacente quando si prescinde come sopra riportato, dalla distinzione tra regulatory ed Executive agencies e si prende in considerazione soltanto la regulatory agency. Quest’ultima categoria di agency è titolare di un’importante funzione esecutiva posta in essere tramite l’emanazione di atti che aiutano a regolare meglio determinati settori. Le regulatory agencies si differenziano al loro interno per la diversità di funzioni svolte. L’Agenzia europea per i medicinali è un esempio di regulatory agency che può agire come “trustee”, sebbene ad essa manchi l’autorità di adottare decisioni con indipendenza, perché essa è incorporata in una organizzazione istituzionale che impegna tutti i soggetti che devono prendere decisioni alla sottoposizione di determinati criteri. Si tratta comunque di un’Agenzia in grado di fornire assistenza tecnica e scientifica che consente alla Commissione di prendere le decisioni opportune (68). Lo stesso dicasi per l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che svolge funzioni analoghe all’Agenzia europea dei medicinali, la cui funzione è limitata a consigliare la Commissione in materia di sicurezza degli alimenti senza poteri decisionali. Infine, Agenzie europee come la ohIM (office of Harmonization in the internal market, ma dal 23 marzo 2016 rinominata European Union intellectual Property office) (69) la CPvo (Community Plant Variety office) (70) e la (67) P. CrAIG, op. cit., p. 248. (68) The agency Phenomenon in the European Union “Emergence, institutionalization and everyday decision - making”, 2012, di M. BuSuIoC, M. GroeNLeer, J. troNDAL, p. 113. (69) ohIM è l'ufficio dell'unione europea per la proprietà intellettuale incaricato di gestire i marchi dell'unione europea e i disegni e modelli comunitari registrati, fornendo protezione dei diritti di proprietà intellettuale in tutta l'unione europea in https://euipo.europa.eu/ohimportal/it/ (70) Il Community Plant variety office (CPvo) è l'Agenzia europea responsabile della protezione dei ritrovati vegetali nell'ue. Il CPvo è un organo decentrato autofinanziato dell'ue, con sede a Angers, in Francia in http://www.cpvo.europa.eu/main/en/home. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 eASA (European aviation Safety agency) (71) sono titolari di poteri decisionali più forti rispetto a quelli delle Agenzie sopra menzionate ed in grado di influenzare il mercato. 10. (segue) Classificazione delle agencies. In europa, negli ultimi tempi, è sempre più frequente l’emersione di altre agencies; le più importanti sono “Decision making agencies, le Quasi-regulatory agencies e le information and Coordination agencies”. rientrano nella categoria delle Decision making agencies l’ohIM (office of Harmonization in the internal market), CPvo (Community Plant Variety office), eSMA (European Securities and markets authority) (74) e l’eIoPA (European insurance and occupational Pensions authority) (75). Sono Agenzie che hanno il potere di emanare decisioni. (71) L’Agenzia europea per la sicurezza aerea (eASA) è un’agenzia dell’unione europea a cui sono stati attribuiti dei compiti specifici di carattere normativo ed esecutivo nel campo della sicurezza aerea. L’Agenzia è un protagonista chiave della strategia dell’unione europea di costituire e mantenere un livello elevato ed uniforme di sicurezza dell’aviazione civile in europa. La missione dell’Agenzia è duplice. essa fornisce innanzitutto un servizio di consulenza tecnica alla Commissione europea, assistendola nella stesura dei regolamenti per la sicurezza aerea in vari settori e fornendo informazioni di carattere tecnico per la conclusione dei relativi accordi internazionali. Inoltre, all’Agenzia è stata conferita l’autorità di eseguire certi compiti di carattere esecutivo relativi alla sicurezza aerea, come la certificazione dei prodotti aeronautici e delle organizzazioni coinvolte nella loro progettazione, produzione e manutenzione. Queste attività di certificazione contribuiscono ad assicurare il rispetto dell’aeronavigabilità e degli standard di protezione ambientale. L’Agenzia europea per la sicurezza aerea certifica anche prodotti dell’aviazione civile, comprese l’aviazione generale e commerciale. È importante rilevare che la sicurezza aerea (prevenzione di azioni illegali contro l’aviazione civile quali, ad esempio, i dirottamenti) non rientra nel suo ambito di responsabilità, ma rientra nell’ambito del diritto comunitario applicato dagli Stati membri. L’Agenzia europea per la sicurezza aerea è stata istituita dal regolamento del Consiglio (Ce) n. 1592/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2002 (Gu L 240 del 7 settembre 2002), secondo il quale, a più lungo termine, le competenze dell’Agenzia sarebbero state progressivamente allargate ad altri settori della sicurezza dell’aviazione civile, con particolare riguardo alle operazioni di volo ed alla certificazione degli equipaggi. una prima estensione delle competenze dell’Agenzia in materia di operazioni di volo, di certificazione del personale di bordo e di autorizzazione degli operatori di paesi terzi è stata disposta con il regolamento (Ce) n. 216/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che tra l’altro ha abrogato il già citato regolamento (Ce) n. 1592/2002 in http://europa.eu/about-eu/agencies/regulatory_agencies_bodies/policy_agencies/ easa/index_it.htm (74) eSMA è un'Autorità indipendente europea che è stata istituita il 1° gennaio 2011. Lavora a stretto contatto con le autorità nazionali competenti, che sono membri del Sistema europeo di vigilanza finanziaria e le altre autorità di vigilanza europee in http://europa.eu/about-eu/agencies/regulatory_agencies_bodies/policy_agencies/esma/index_it.htm. (75) eIoPA, sigla di european insurance and occupational pensions authority, una delle tre autorità responsabili del coordinamento della vigilanza dei mercati finanziari a livello europeo, create nel 2011 con la riforma seguita alla crisi finanziaria iniziata nel 2007. L’eIoPA ha la responsabilità dei sistemi assicurativi pensionistici nazionali e degli strumenti e mercati finanziari, mentre le altre due autorità, eBA (Autorità bancaria europea) ed eSMA, con le quali costituisce il sistema europeo di regolazione finanziaria (v. eSFS), hanno responsabilità distinte: la prima sul settore bancario e la seconda sui mercati mobiliari e sui titoli in essi trattati. L’eIoPA, dotata di personalità giuridica, ha sede a Francoforte. ha sostituito il LeGISLAzIoNe eD AttuALItà La motivazione che ha indotto l’unione europea ad attribuire determinati poteri decisori a queste agencies consiste essenzialmente nel bilanciamento degli interessi pubblici, tra loro confliggenti, oltre alle valutazioni economiche per ogni singolo caso. tirando le somme quindi, l’unica differenza che viene in essere tra le De- cision-making agencies e le regulatory agencies riguarda i poteri decisori in capo alle prime, che si sostituiscono a quelli della Commissione europea. L’altra categoria sopra riportata è quella delle Quasi-regulatory agencies. Si tratta principalmente di Agenzie con poteri di raccomandazione nei confronti della Commissione europea cui spetta la decisione finale. Merita precisare che la Commissione europea può discostarsi dai poteri di raccomandazione delle agencies soltanto in casi limitati, date le loro competenze tecniche. tale affermazione sembrerebbe portare all’equiparazione tra le due categorie di agencies sopra descritte ma, in realtà esse si distinguono soprattutto per la vincolatività e l’insostituibilità delle loro decisioni. È un esempio di Quasi-regulatory agency, l’Agenzia europea per la Sicurezza Aerea, costituita nel 2002 sulla base del regolamento (Ce) 1592/2002 superato successivamente dal regolamento Ce n. 216/2008, che ha poteri nel- l’individuazione dei non idonei al volo e della certificazione ambientale. Anche l’Agenzia europea per i medicinali, istituita con regolamento n. 726/2004 connuova sede ad Amsterdam, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare fondata nel 2002 con sede a Parma e l’Agenzia europea per la sicurezza marittima istituita con regolamento (Ce) n. 1406/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2002, sono esempi di Quasi-regulatory-agency. La commistione di poteri tra la Commissione europea e le Quasi-regulatory agencies trova un riconoscimento nell’art. 290 tFue, ai sensi del quale, “un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo”. L’ultima categoria di agencies, sprovviste di poteri decisori, è quella dell’information/Coordination agencies. tali agencies svolgono una funzione quasi analoga a quella della precedente categoria, con la differenza che queste ultime hanno poteri di informazione nei confronti della Commissione europea, cui spetta il potere finale di decidere. Le information/Coordination agencies sono state istituite dal trattato di Lisbona e fanno parte del primo pilastro. Quelle facenti parte del secondo e CeIoPS (Committee of european insurance and occupational Pensions supervisors), creato nel 2001 con il fine di adeguare la vigilanza finanziaria europea alla nuova realtà determinatasi con la nascita dell’euro in http://www.treccani.it/enciclopedia/eiopa_(Lessico_del_XXI_Secolo). rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 del terzo pilastro ed istituite dal Consiglio europeo sono Eurojust ed Europol ed hanno sempre poteri di informazione nei confronti della Commissione. Eurojust è un’Agenzia dell’unione europea istituita con decisione del Consiglio del 2002 allo scopo di promuovere il coordinamento di indagini e procedimenti giudiziari fra gli Stati membri dell’unione europea nella loro azione contro le forme gravi di criminalità organizzata e transfrontaliera. Europol è un’Agenzia dell’unione europea che promuove la cooperazione tra le forze di polizia nella prevenzione e lotta al terrorismo, al traffico illecito di stupefacenti e ad altre forme di criminalità organizzata concernenti almeno due Stati membri. Prevista dal trattato di Maastricht del 1992, è operativa, con sede all’Aia, dal 1998, a seguito dell’entrata in vigore della Convenzione istitutiva di Bruxelles del 1995. un esempio di information/Coordination agencies è l’Agenzia europea dell’Ambiente, la cui funzione è quella di assicurare che il pubblico sia correttamente informato sulle condizioni ambientali (76). tuttavia, vi sono altre importanti agencies di informazioni quali l’Agenzia per la sicurezza e la salute sul lavoro, istituita nel 1994 con sede in Spagna e precisamente a Bilbao, la cui funzione consiste essenzialmente nell’identificazione e successiva informazione concernenti “rischi” e pratiche che possono andare a buon fine nel settore della salute e della sicurezza (77). un ultimo riferimento va fatto all’Agenzia europea per la sicurezza marittima, di più recente istituzione, che si occupa della riduzione del rischio di incidenti marittimi, dell'inquinamento marittimo causato dalle navi e della perdita di vite umane in mare aiutando a far rispettare le pertinenti leggi della Comunità europea tramite poteri appunto di informazione. L’opinione di chi scrive si rifà alla tesi di chi ha autorevolmente proceduto alla distinzione tra la natura giuridica ed i poteri delle independent agencies. essa è un’operazione necessaria che porta vantaggi non soltanto classificatori e gerarchici, ma soprattutto ad una migliore comprensione della ripartizione dei compiti da svolgere nei confronti della Commissione e quindi per un miglior raggiungimento degli obiettivi prefissi dall’unione europea nei settori di loro competenza. 11. i limiti legali delle independent agencies. Il principale vincolo legale per le European agencies è stato evidenziato dalla dottrina Meroni. Secondo tale orientamento, il vincolo legale costituisce un limite generale (76) reg. 401/2009 (n. 27) Arts. 1-2. (77) reg. 2062/94 (n. 32) Arts 2, 3 (1) (a)-(d) as amended by Council regulation (eC) 1112/2005 of 24 June 2005 amending regulation 2062/94 establishing a european Agency for safety and health at work [2005] oJ L184/5. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà anche per lo sviluppo dell’attività amministrativa in capo a soggetti diversi dalle istituzioni europee e dagli Stati membri. tale dottrina mette in luce e fa propri quell’insieme di principi già individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e consolidati nella costituzione materiale dell’unione europea, che fondano il bilanciamento di poteri all’interno dell’unione. Secondo Meroni, non è possibile delegare poteri regolatori a soggetti diversi dalle istituzioni dell’unione europea per non alterare il sistema delle responsabilità disegnato dai trattati. In caso contrario, ci sarebbe violazione del principio di cui all’art. 5 tue, principio generale che disciplina la divisione dei poteri nell’ordinamento dell’unione europea (78). Alle agencies possono essere delegati soltanto poteri meramente esecutivi e il loro utilizzo deve integralmente sottostare alla supervisione dell’istituzione delegante. La dottrina Meroni della non-delegazione di poteri regolatori è stata sviluppata in due storiche decisioni della Corte di giustizia dell’unione europea: il caso meroni e il caso romano (79). Nel caso di specie, meroni aveva impugnato il provvedimento di delega di poteri da parte dell’Alta Autorità a due agenzie di diritto privato del Belgio per la gestione finanziaria del rottame. La Corte di Giustizia dell’unione europea ritenne la delega “illegittima”, nella misura in cui implicava un passaggio di responsabilità dall’Alta Autorità alle agenzie in questione non previsto dall’art. 8 del trattato CeCA (Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio). Ammettere la legittimità della delega avrebbe significato una violazione delle regole previste dal trattato per lo svolgimento di tali attività. Nel caso meroni, la Corte di giustizia dell’unione europea ha fissato i principi e le condizioni necessarie che rendono la delega di compiti compatibile con l’ordinamento europeo (80). In primo luogo, deve trattarsi di una delega esplicita e compatibile con il (78) J.P. JACQue, “The principle of institutional balance”, (2004) 41 Common market Law review 383, 383-384. (79) Case 9/56 and Case 10/56, Meroni & Co., Industrie Metallurgiche s.p.a. v high Authority [1957-1958] eCr 133; 98/80, Giuseppe romano v Institute national d’assurance maladie-invalidité [1981] eCr 1259, para 20. Sul punto si vedano D. GerArDIN, The development of European regulatory agencies: what the EU should learn from the american experience, (2004) 11 Columbia Journal of European Law 1, 10; S. GrILLer and A. orAtor, Everything under control? (80) Sul punto si veda t. trIDIMAS, Community agencies, Competition Law, and ECSB initiatives on Securities Clearing and Settlement, in P. Eeckhout and T. Tridimas (eds.), 28 Yearbook of european Law 2009 (oxford university Press, 2010), 216, at 241-243; t. trIDIMAS, Financial Supervision and agency Power: reflection on ESma, in N. Nic Shuibhne and L.W. Gormley (eds.), From Single market to Economic Union: Essays in memory of John a. Usher (oxford university Press, 2012), 55, at 60-62. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 principio di attribuzione delle competenze e l’Autorità delegante non può delegare più poteri di quanti ne detenga (81); pertanto l’esercizio dei poteri da parte del delegato deve svolgersi secondo le stesse condizioni procedurali a cui sarebbe stata sottoposta l’Autorità delegante. Infine, il nodo più difficile da sciogliere era la delega di poteri che non doveva comportare lo spostamento di poteri discrezionali dal delegante al delegato, a meno che ciò non fosse previsto nel trattato. Nel caso romano, a questi principi generali in materia di delegazione di poteri, la Corte di giustizia dell’unione europea ha aggiunto un ulteriore vincolo all’attività amministrativa, ovvero l’impossibilità per le Agenzie di adottare atti generali a carattere vincolante. Il caso aveva ad oggetto sempre il conferimento di poteri regolatori da parte del Consiglio ad una commissione amministrativa sulla sicurezza sociale dei lavoratori migranti stabilita secondo il diritto comunitario. In via pregiudiziale, la Corte di Giustizia dell’unione europea ha ritenuto illegittima tale delega in quanto una commissione amministrativa chiamata ad attuare il diritto comunitario non poteva imporre metodi, interpretazioni e obblighi alle amministrazioni nazionali (nel caso di specie, un’istituzione assicurativa belga), ma poteva soltanto svolgere attività di supporto attraverso atti non vincolanti. Se ne è ricavato che ai sensi dell’art. 155 del trattato Cee (ora emendato dagli articoli 290 e 291 del tFue) e in conformità ai principi di impugnazione degli atti stabiliti agli articoli 173 (ora art. 263 tFue) e 177 (ora art. 267 tFue) del medesimo trattato, le Agenzie europee potessero soltanto esercitare poteri di raccomandazione (82). La più autorevole dottrina ha messo in luce come la dottrina meroni è stata indirettamente rinforzata dall’art. 290 tFue che disciplina gli atti delegati (83). È stato stabilito che la delega dei poteri alla Commissione deve essere legale e la Commissione non può esercitare scelte discrezionali nella forma degli atti delegati. La stessa censura si applica a fortiori alle Agenzie quando esercitano i loro poteri (84). 12. i limiti politici delle independent agencies. Per Meroni le independent agencies conoscono anche limiti di natura politica. In europa, è rimasta inalterata l’intenzione di confermare i limiti delle (81) In questo senso si vedano anche i casi C-154-155/04, Alliance for Natural health [2005] eCr I-6541, para. 90; C-301/02 P. tralli v eCB [2005] eCr I-4071, paras. 42-52; t-311/06, FMC Che- mical SPrL v european Food Safety Agency (eFSA) [2008] eCr p. II-88, para. 66. (82) 98/80, G. roMANo v. institute nationale d’assurance maladie-invalidité, para. 20. (83) P. CrAIG, op. cit., p. 154. (84) P. CrAIG, op. cit., p. 155. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà deleghe alle agencies, già stabiliti dalle due storiche sentenze della Corte di Giustizia dell’unione europea nei casi meroni e romano. In precedenza, voci autorevolissime (85) avevano ribadito come in Commissione europea vi era l’intenzione di superare i principi stabiliti dalla dottrina Meroni ed istituire le regulatory agencies. un passo indietro rispetto ai sostenitori della tesi oppositrice della dottrina Meroni è stato posto in essere da una comunicazione della Commissione del 2002, che ha confermato il limite sulla delegazione dei poteri discrezionali delle agencies e che preclude l’istituzione delle regulatory agencies. una conferma è avvenuta dopo appena tre anni nel 2005 sempre ad opera della Commissione (86). La partecipazione delle Agenzie dovrebbe quindi essere organizzata in equilibrio con l’unità e l’integrità delle funzioni esecutive e con conseguente responsabilità sulla Commissione. 13. il controllo legale e le responsabilità delle independent agencies. In riferimento alle responsabilità delle independent agencies, vale la pena sottolineare similitudini e differenze che scaturiscono dalle loro decisioni. esistono due tipi di responsabilità, quella contrattuale e quella extra contrattuale. Ai sensi dell’art. 340 tFue (ex art. 288 tCe), la responsabilità contrattuale dell’unione è regolata dalla legge applicabile al contratto in causa. Il ricorso per responsabilità contrattuale, cioè per il fatto di contratti conclusi tra la Comunità e un terzo, è sottoposto a disposizioni specifiche e, la Corte di giustizia dell’unione europea interviene unicamente se lo prevede una clausola specifica del contratto. Le condizioni e le modalità del ricorso per responsabilità derivano dal diritto applicabile. tale diritto è definito dal contratto e si tratta in linea di massima di un diritto nazionale. La Corte di giustizia dell’unione europea può rappresentare la giurisdizione competente per decidere a condizione che una clausola contrattuale, la clausola compromissoria, lo enunci esplicitamente. Con riferimento alla responsabilità extracontrattuale invece, l’unione europea deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni. In deroga al secondo comma dell’art. 340 tFue, la Banca centrale europea deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni al diritto degli Stati (85) G. MAJoNe, Delegation of regulatory Powers in a mixed Polity (2002) 8 eLJ 319. (86) Draft Interinstitutional Agreement on the operating Framework for the european regulatory Agencies, CoM (2005) 59 final, art. 5 (1). rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 membri, i danni cagionati da essa stessa o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni. La responsabilità personale degli agenti nei confronti dell’unione è regolata dallo Statuto che prevede il relativo regime di applicabilità. Quanto sopra detto si applica anche alle independent agencies, essendo le stesse organismi facenti parte dell’unione europea. Le differenze sulla regolamentazione delle agencies sono molto più marcate in relazione al controllo legale (il cd. legal review). Non esiste una previsione comune concernente la responsabilità extra contrattuale. Alcune regole come quelle che si occupano di agencies quali la ohIM (office for Harmonization in the internal market) e la eASA (European aviation Safety agency) contengono previsioni esplicite sul controllo legale con un sistema di appello interno al Board of appeal cui fa seguito il giudizio della Corte di giustizia dell’unione europea (87). La dottrina più autorevole (88) ha messo in luce come altre normative quali quelle applicabili all’euMC (European monitoring Center of racism and xenofobia) non contengono esplicite previsioni sull’appello interno delle agencies, ma stabiliscono che la Corte di giustizia ha giurisdizione per le azioni contro le istituzioni centrali per come previsto e disciplinato dall’art. 263 tFue (89). una regolamentazione a parte è prevista per il centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie, un’altra Agenzia europea che analizza e interpreta i dati provenienti dai paesi dell'ue su 52 malattie trasmissibili utilizzando il sistema europeo di sorveglianza (teSSY); essa aiuta altresì i governi dell'ue a prepararsi alle epidemie, organizza la conferenza scientifica europea sull'epidemiologia applicata delle malattie infettive (eSCAIDe), che si svolge ogni anno per tre giorni e le cui decisioni sono passibili di ricorso direttamente alle varie Corti europee per chiedere l’annullamento delle decisioni prese dalla Commissione. In altri casi ancora, non è proprio previsto un controllo legale, come per esempio avviene nell’eMeA (European medicines agency), dove, la regolamentazione non contiene proprio menzione sul controllo legale delle agencies, sebbene ciò sarebbe giustificabile perché è alla Commissione europea che spetta la decisione finale. vi è infine un altro filone di agencies che non considera neppure esistente un controllo legale sugli atti posti in essere dai loro funzionari; è il caso della eMSA (European marittime Safety agency), eNISA (European Union agency (87) reg. 40/94 (n. 31) Arts 61, 63; reg. 216/2008 (n. 39) Arts 40-51. (88) P. CrAIG, op. cit., p. 157. (89) reg. 1035/97 (n. 35) Art. 15 (3). LeGISLAzIoNe eD AttuALItà for Network and information Security), erA (European railway agency) e del CFCA (European fishereries control agency). Si può concludere affermando che diverse sono le previsioni circa il regime di responsabilità delle independent agencies; molto frequenti sono i casi di responsabilità contrattuale, meno frequenti quelli di responsabilità extracontrattuale e infrequenti quelli concernenti il giudizio di revisione. 13. a) Profili storici sull’ammissibilità del legal control. analisi dell’art. 263 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. un argomento a parte che deve essere affrontato concerne la possibilità di ricorrere alla Corte di Giustizia avverso gli atti posti in essere dalle agencies. A tale riguardo, sono due gli articoli da confrontare; il primo è l’art. 230 del trattato di Lisbona ed il secondo il nuovo articolo 263 tFue (trattato sul funzionamento dell’unione europea). L’art. 230 del trattato di Lisbona non conteneva alcuna previsione delle agencies o di altri organismi aventi personalità giuridica di diritto pubblico tra la lista di quelli soggetti al controllo di revisione per gli atti posti in essere. Il CFI (Court of Justice of the European Communities and Court of First istance) ha tentato di colmare questo vuoto motivando che l’agencies erano soggette (90) al judicial review, facendo affidamento sui principi del “Les Verts”. Secondo questo principio, la Comunità europea è basata su regole legali ben precise e di conseguenza il giudizio di revisione dovrebbe essere consentito contro tutti gli atti posti in essere dalle agencies aventi valore legale. A chiarire definitivamente la problematica della revisione degli atti posti in essere dalle agencies e dagli altri organismi dell’unione europea è stato l’art. 263 del tFue. Stabilisce il primo comma di tale articolo che “la Corte di giustizia dell’Unione europea esercita un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”. La Corte di Giustizia dell’unione europea esercita, inoltre, un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. In definitiva, l’art. 263 comma 2 tFue, anche se contiene il limite previsto dallo stesso quinto comma ai sensi del quale “gli atti che istituiscono gli organi e organismi dell’Unione possono prevedere condizioni e modalità specifiche relative ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro atti di detti organi o organismi destinati a produrre effetti giuridici nei loro con (90) Case 294/83 Parti ecologiste, Les verts v Parliament [1986] eCr 1339, [23]. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 fronti” riconosce alla Corte di Giustizia dell’unione europea piena tutela nei confronti degli atti e dei comportamenti di istituzioni, organi e organismi dell’ue. Si ricordano, a questo proposito, il rinvio pregiudiziale di validità (art. 267 tFue) (91) l’eccezione di illegittimità (art. 277 tFue) (per i quali valgono gli stessi vizi di legittimità enumerati all’articolo in esame), il ricorso per responsabilità extracontrattuale dell’ue (art. 268 tFue), il ricorso in materia di funzione pubblica dell’unione europea (art. 270 tFue) e, con riguardo all’illegittima omissione di istituzioni, organi o organismi, il ricorso per carenza (art. 265 tFue). A differenza dei ricorsi sopra richiamati, il ricorso di annullamento di cui all’art. 263 tFue, trova applicazione a seconda della materia disciplinata dal- l’atto impugnato. L’obiettivo del Judicial review è limitato soltanto alle decisioni finali degli organismi dell’unione europea quindi, a ragion di logica, sono escluse dall’applicazione dell’art. 263 tFue, tutte quelle agencies che sono titolari di poteri di raccomandazioni, come la eMA (European medicine agency) o quelle titolari di poteri informativi come nel caso di Eurojust ed Europool. La Corte di Giustizia dell’unione europea effettuerà comunque un controllo implicito ed indiretto anche sugli atti di queste agencies che hanno contribuito alla formazione della decisione finale della Commissione. 14. il controllo politico e responsabilità delle independent agencies. un altro aspetto di non poco momento da chiarire è quello afferente al controllo politico e le responsabilità delle agencies. Contraddittoria è innanzitutto la caratteristica dell’indipendenza delle in- dependent agencies, che dovrebbe isolarle dalle maglie della politica. A questa contraddizione se ne aggiunge un’altra di natura terminologica; un’agencies non può essere allo stesso tempo indipendente e controllata. Come è stato già evidenziato nei paragrafi precedenti, il numero delle in- dependent agencies è aumentato notevolmente tanto che le stesse sono diven- (91) P. CrAIG. Il rinvio pregiudiziale ha rappresentato nel corso del processo di integrazione europea uno dei più validi strumenti di cooperazione tra giudici nazionali e giudici comunitari. Questo istituto prevede la richiesta, da parte di un giudice nazionale (richiesta discrezionale per i giudici nazionali di non ultima istanza, mentre obbligatoria per i giudici nazionali di ultima istanza) di supporto della Corte di giustizia per la soluzione di una controversia che coinvolge una norma dell’ue, realizzando in questo modo uno dei principi cardine dell’ordinamento dell’unione europea, che è quello della leale collaborazione di cui all’art. 4 par. 3 tue. In particolare, la competenza pregiudiziale si esplica senza una correlazione diretta con un’attività contenziosa, dal momento che in essa la Corte non dirime una controversia, pur conservando la sua natura giurisprudenziale, dato che non si traduce in una mera esplicazione di un’attività consultiva. La previsione della competenza di cui sopra ebbe, all’origine, come finalità quella di assicurare l’uniformità dell’interpretazione del diritto comunitario e di “rafforzare la capacità di questo corpus normativo comune di “resistere” alle particolarità dei sistemi nazionali”, op. cit. p. 159. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà tate quasi incontrollabili; per questo motivo è stato necessario predisporre appositi strumenti di controllo per evitare atti arbitrari da parte loro. In realtà, non c’è conflitto tra i termini “Control and accountability” come invece è stato pensato (92), trattandosi di una contraddizione apparente. In merito al concetto di accountability si sono formate due scuole di pensiero. La prima, distingue all’interno dell’accountability, tra una nozione ampia ed una nozione ristretta e considera l’accountability una categoria di cui fanno parte argomenti quali la trasparenza, la responsabilità ed il controllo (93). Nonostante tali premesse sul regime dei controlli e sulle responsabilità, Boven ha optato per un uso discreto dell’accountability (94). In questa circostanza l’accountability opera ex post, distinta dal controllo che opererà ex ante. Altri studiosi del diritto europeo hanno ulteriormente circoscritto i limiti della valutazione dell’accountability delle independent agencies (95). 14. a) incarichi, Criteri e relazioni delle agenzie. Gli incarichi, i criteri e le relazioni delle Agenzie sono aspetti molto importanti e comuni a tutte le Agenzie dell’unione europea, sia per quelle titolari di poteri decisionali, sia per quelle che hanno poteri discrezionali di emanare regole e porre in essere decisioni individuali e per le Quasi regulatory agencies e le information/coordination agencies, oltre ad essere connessi ai loro stessi obiettivi. Gli incarichi comprendono anche i pareri dati dalle Agenzie alla Commissione sulle iniziative legislative e quindi i criteri che dovrebbero informare la Commissione sulle decisioni più importanti. A legiferare sui criteri, sugli incarichi e sui poteri di regolazione delle agencies è la stessa Commissione, essendoci tra la stessa e le agencies una stretta connessione istituzionale. L’Agenzia contribuirà a questo processo con le sue decisioni tecniche. A tale riguardo si richiama l’Agenzia europea per la sicurezza aerea, che ha esteso la sua regolamentazione introducendo elementi di dettaglio. La specificazione degli incarichi e criteri ai fini del raggiungimento degli obiettivi ha un impatto ex ante sul grado di controllo esercitato dalla legislatura sulle scelte delle agenzie. L’obbligo di procurare informazioni prevede comunque l’accountability ex post facto. Lo schema generale è per una regolamentazione che prevede informazioni annuali al (92) GerArDIN, op. cit., 231. (93) Case C-39/03 P Commission v Artegodan Gmbh [2003] eCr I-7885. (94) M. BoveNS, Pt hArt, and t. SChILLeNABS, Does Public accountability work? an assessment Tool (2008) 86 Pub Admin 225; M. BuSuIoC, accountability, Control and independence: the case of European agencies (2009) 15 eLJ 599; M. BoveNS, Two Concept of accountability: accountability as a Virtue and as a mechanism (2010) 33 West european Politics 946. (95) D. CurtIN, Holding (Quasi-) autonomous EU administrative actors to Public account (2009) 13 eLJ 523; D. CurtIN, Delegation to EU Non majoritarian agencies and Emerging Practices of Public accountability; in D. GerADIN, r. MuNoz and N. PetIt (eds), regulation through agencies in the EU. a New Paradigm of European Governance (edward elgar, 2005) 88-119. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Parlamento, al Consiglio ed alla Commissione e in alcune circostanze agli Stati Membri, (si tratta del c.d. potere referenziale). 14. b) Composizione dell’agenzia. La composizione dell’Agenzia rappresenta un controllo di natura politica, importante in tutti i sistemi in cui la Commissione europea esercita sull’Agenzia dei poteri, tramite la nomina dei Presidenti, dei direttori esecutivi. Sul corpo dirigente ad esempio ricadono diverse responsabilità quali la nomina del direttore dell’Agenzia, l’adozione di un programma annuale dell’Agenzia così come proposto dal direttore. La composizione delle Agenzie, inoltre, definisce le strategie che potrebbero portare l’Agenzia ad avere successo nell’esercizio delle sue funzioni; riferisce ai competenti organi la sua relazione annuale sul suo operato e le regole finanziarie. L’Agenzia si riunisce almeno due volte all’anno e assume le decisioni più importanti con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti e l’obiettivo principale è il perseguimento della parità nelle decisioni delle Agenzie. La composizione mista delle European agencies avrebbe dovuto garantire il controllo degli interessi di ciascuno Stato Membro, ma così purtroppo non è stato, perché la Commissione europea, già per le Agenzie istituite agli inizi degli anni novanta, ha manifestato insoddisfazione per i risultati perseguiti nell’unità e nell’integrità delle funzioni esecutive a livello europeo. La composizione delle agencies è stata contestata, in favore delle agencies di più piccole dimensioni, sulle quali la Commissione europea avrebbe avuto un numero maggiore di rappresentanti. È stato richiesto un aumento dei membri delle agencies fino ad un numero di quindici, dove ci sarebbero dovuti essere sei rappresentanti dalla Commissione più tre rappresentanti senza diritto di voto (96). tuttavia, anche variando il numero dei componenti delle agencies, la Commissione europea non ha riscosso successo, rimanendo in vigore lo schema generale per le Agenzie create dalla Comunicazione della Commissione del 2002, con una composizione composta da un rappresentante per ogni Stato Membro, da uno a quattro per la Commissione e qualche esperto in materia normalmente sprovvisto del diritto di voto (97). È importante sottolineare che la Commissione europea ha finora esercitato e, alla luce delle normativa comunitaria vigente, continua ad esercitare sulle agencies, anche su quelle titolari di poteri decisionali alternativi a quelli della Commissione, un controllo di natura politica derivante dalle nomine di vertice di direttori esecutivi, Presidenti che vengono scelti tra una lista di candidati aventi gli appositi requisiti; si tratta di una competizione simile ad una bando di concorso che deve essere pubblicata sull’official Journal e su altri siti. (96) operating Framework (n. 8); Draft Interistitutional Agreement (n. 104) Art. 11(2). (97) reg. 1406/2002 eMSA (n. 28) Art. 11; reg. 216/2008 eASA (n. 39) Art. 34; reg. 460/2004 eNISA (n. 40) Art. 6; reg. 851/2004 eCDC (n. 41) Art. 14 (1); reg. 1093/2010 eBA (n. 50) Art. 45 (2); reg. 1095/2010 eSMA; reg. 1095/2010 eSMA (n. 49) Art. 45 (2). LeGISLAzIoNe eD AttuALItà 14. c) il programma di lavoro delle agenzie. un altro fattore che esercita un’influenza politica sulle agencies, è il programma di lavoro. Per fare chiarezza sul punto, si richiama l’esempio dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima, istituita con regolamento (Ce) n. 1406/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2002, che è stata notevolmente influenzata dalla Commissione europea; si tratta di un procedura che prevede una serie di atti tra loro collegati. Nella prima fase l’administrative board adotta il programma di lavoro predisposto dal- l’Agenzia per l’anno successivo e lo inoltra agli Stati Membri, al Parlamento europeo, al Consiglio ed alla Commissione europea. Finita questa fase, la Commissione europea ha un termine di quindici giorni per esprimere un parere e, se questo è negativo l’administrative board deve riesaminare il programma e adottarlo possibilmente con gli emendamenti proposti entro due mesi. Inoltre, per l’approvazione della seconda lettura, è richiesta la maggioranza dei due terzi, inclusi i rappresentanti della Commissione, o l’unanimità dei rappresentanti degli Stati Membri dell’administrative board (99). La stessa procedura si applica anche ad altre agencies, quali ad esempio l’Agenzia ferroviaria europea (erA) e per l’Agenzia europea di controllo della pesca (eFCA). un procedimento analogo a quello appena descritto viene applicato per l’Agenzia europea per i medicinali dove è previsto che il direttore dell’Agenzia predispone il programma di lavoro per l’anno successivo che deve essere adottato dall’administrative board e poi inoltrato agli Stati Membri, alla Commissione, al Consiglio ed al Parlamento europeo. In tale procedura però, si riduce il potere di intervento della Commissione europea sul programma di lavoro dell’Agenzia. vi sono ancora altre procedure di controllo come quella prevista per l’Agenzia europea per i medicinali (eMA), la quale prevede che il programma di lavoro dell’Agenzia debba essere adottato dal Board of Supervisor, il quale viene trasmesso per informazione alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo (100). residua ancora una regolamentazione che è stata definita intermedia e riguarda l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare (eFSA) dove spetta al management Board adottate il programma annuale di lavoro e dove non vi è menzione alcuna del coinvolgimento della Commissione sebbene esiste un’ordinanza che prevede che il programma dovrebbe rispecchiare quanto previsto dalla legislatura europea e dagli ultimi interventi politici nell’area nel settore del cibo (101). 14. d) Trasparenza delle decisioni. Limite di natura politica a carico delle Agenzie è anche la trasparenza delle loro decisioni. essa è correttamente inquadrata come un importante attributo del “public decision ma- king”. C’è differenza sulla regolamentazione della definizione di trasparenza delle agencies e sul concetto di agencies. (99) reg. 1406/2002 (n. 38) Art. 10 (2) (d). (100) reg. 1093/2010 (n. 50) Art.43 (6). (101) reg. 178/2002 (n. 37) Arts 25 (8), 26 (2) (b). rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Ciò può essere spiegato in parte dal fatto che le Agencies si occupano di regolamentare diversi settori, in parte perché l’importanza della trasparenza può variare a seconda della materia trattata; questa fu considerata un’argomentazione poco convincente dato che le regole di base della trasparenza delle decisioni debbono applicarsi a tutte le agencies, indipendente dalla materia trattata. L’opinione dello scrivente condivide la tesi che le regole di base della trasparenza debbano trovare applicazione per tutte le agencies senza alcuna discriminazione, anche perché discriminare la decisione finale di un’agency in favore di un’altra per il semplice fatto che una decide su un settore particolarmente sensibile rispetto all’altra, costituirebbe una palese violazione del principio di uguaglianza e di organizzazione dei pubblici uffici, principi stabiliti anche nell’ordinamento a livello costituzionale dagli artt. 3 e 97 Cost. un esempio di trasparenza ad alto livello lo si riscontra nell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (eFSA); infatti, codesta Agenzia è stata istituita per portare a termine le sue funzioni con procedure trasparenti, attesa la sua rilevante attività di interesse pubblico (102). Nella trasparenza vi è uniformità soltanto per quanto concerne l’accesso ai documenti amministrativi, materia prevista e disciplinata nel trattato all’art. 15 comma 1 e 3. Stabilisce il primo comma dell’art. 15 che: “al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi del- l'Unione operano nel modo più trasparente possibile”; a questo comma segue il comma 3 ai sensi del quale: “Qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione, a prescindere dal loro supporto, secondo i principi e alle condizioni da definire a norma del presente paragrafo”. 14. e) Collegamenti con altre agenzie. I collegamenti tra le Agenzie europee con quelle nazionali e quelle internazionali sono di particolare importanza ed attualità nel diritto comunitario e rappresentano un controllo di natura politica. In particolare, il collegamento con le altre Agenzie è proficuo perché le Agenzie in cooperazione svolgono funzioni analoghe e ciò evita maggiori sforzi per entrambe, semplificando il carico di lavoro, oltre a facilitare gli scambi di informazioni, di competenze tecniche e via discorrendo. Sulla tematica de qua si sono formate due scuole di pensiero. Alcuni autori (103) hanno evidenziato i benefici derivanti da tale collegamento tra Agenzie; altri invece sono stati più cauti sul concetto di utilità del collegamento per esplicare le funzioni di Agenzie amministrative (104); in particolare essi si sono basati essenzialmente sul tipo di collegamento che opera all’interno di ciascuna Agenzia. (102) reg. 178/2002 (n. 37) Art. 22 (7). (103) DehouSSe (n. 14) k-h-LADeur, The European Environment agency and Prospects for a European Network of Environment administration, EUi Working Paper rSC, No 96/50, Florence, european university Institute, 1996; t. BorzeL, Policy Networks - a New Paradigm for European Governance? EUi, Working Paper rSC 97/19, Florence, european university Institute, 1997; t. BorzeL rediscovering Policy Networks as a Forum of modern Governance (1998) 5 JePP 354. (104) e. ChItI “Emergence” (n. 68) 329-331; e. ChItI “Decentralization” (n. 68) 425-428. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà C’è chi ha sottolineato (105) che il collegamento tra le Agenzie rende difficile la verifica da parte dei competenti organi europei della responsabilità delle stesse. Per lo scrivente, le Agenzie che operano in regime di collegamento possono trarre dei vantaggi consistenti, che si basano essenzialmente nella riduzione del loro carico di lavoro, derivante dall’inserimento di più operatori nel sistema e ciò porta ad una maggiore garanzia della loro competenza e della capacità di reciproca informazione e quindi ad un miglioramento del sistema in generale, che porterà effetti soddisfacenti ed immediati nei rispettivi Stati membri. Il concetto di collegamento è ben spiegato e formalizzato in molti schemi delle agencies come per esempio accade nell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare. L’originaria regolamentazione ad esempio prevedeva che codesta Agenzia doveva promuovere un collegamento di organizzazioni operanti nello stesso campo in modo tale da facilitare la cooperazione scientifica attraverso la coordinazione di attività, scambio di informazioni e competenze ai fini del perseguimento del pubblico interesse. La regolamentazione specifica gli incarichi che possono essere affidati alle organizzazioni sulle liste includendo la diffusione delle pratiche più importanti, la raccolta e l’analisi specifica di dati per ridurre il rischio di valutazione errato da parte dell’Agenzia; lo stesso avviene con la produzione di dati scientifici e con le opinioni tecnico-scientifiche. vi sono altresì altri collegamenti accordati per altri tipi di agencies che si citano a titolo meramente informativo: è il caso dell’Agenzia sulla sicurezza e sulla salute del lavoro in cooperazione con gli Stati membri e coordina una rete di organizzazioni prendendo in considerazione le Agenzie nazionali, quelle europee e quelle internazionali per garantire la massima sicurezza sull’informazione nei settori di loro esclusiva competenza. 15. Controllo finanziario e responsabilità. ll controllo finanziario è un particolare tipo di controllo, avente natura politica, imprescindibile e allo stesso tempo necessario per ogni Agenzia operante all’interno dell’unione europea. tale controllo prende spunto dalla “financial regulation” del 2002 (106), che ha introdotto a livello europeo importantissimi principi. Si tratta in particolare dei principi di unità, di annualità, di equilibrio, di universalità, di trasparenza finanziaria ed ora applicabili anche alle European agencies. La suddetta riforma del 2002 ha affrontato anche la distinzione, all’interno delle agencies e degli altri corpi amministrativi dotati di particolari competenze tecniche, tra ufficiali addetti alla contabilità ed ufficiali addetti alla funzione autorizzativa. Il direttore è il soggetto che autorizza l’Agenzia anche se può delegare i suoi poteri a membri interni. (105) M. ShAPIro, independent agencies US and US 20 (Jean Monnet Chair Papers No 34, the robert Schuman Center, univ. Inst. 1996) (n. 12) 286, 287. (106) I principi rilevanti sono stati fissati nel Financial regulation 2002, title Iv, implementation of the Budget, il quale era interessato ai metodi di Implementation, CouNCIL reGuLAtIoN (eC, euratom) No 1605/2002 of 25 June 2002 on the Financial regulation applicable to the general budget of the european Communities (oJ L 248, 16.9.2002, p. 1). rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 L’ufficiale responsabile delle autorizzazioni è il responsabile dell’attuazione delle entrate e delle spese secondo quanto previsto dai principi sopra menzionati. C’è chi ha giustamente notato come in capo all’ufficiale delle autorizzazioni incombe non soltanto una responsabilità di natura finanziaria per i motivi appena menzionati, ma anche una responsabilità per le decisioni finali poste in essere dall’Agenzia che comportano variazioni agli standard legalmente previsti per le spese e per le entrate finanziarie delle European agencies (che sconfinerebbero nei reati di corruzione, illegalità e frode) (107). La sua quindi è una doppia responsabilità, legale e finanziaria, strettamente connesse. 16. il regime attuale delle independent agencies. Nel corso del tempo, le agencies hanno contribuito grazie anche alle competenze tecniche dei loro funzionari, a supportare la Commissione europea nel controllo dei principali settori economici, tuttavia le stesse non sono scevre da controlli e da responsabilità anche di natura finanziaria. voci autorevolissime (108) hanno messo in luce come prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona entrato in vigore verso la fine del 2009, c’è stato un serrato dibattito tra il Consiglio ed il Parlamento europeo circa l’alternativa alle agencies. Successivamente, la Commissione europea ha confermato il trattato di Lisbona, ribadendo nelle sue comunicazioni che le independent agencies rimarranno parte del panorama istituzionale europeo. Il primo provvedimento di conferma della Commissione europea è avvenuto nel 2005 (109), il secondo nel 2008 (110). In entrambi i documenti, la Commissione europea ha ribadito i limiti cui sono sottoposte le agencies ed in particolare “limiti rigidi all’autonomo potere delle regulatory agencies nell’attuale regime legale, oltre al fatto che non è concesso alle agencies il potere di adottare generali misure di regolazione”. Il regime delle independent agencies in europa ha subito alcuni cambiamenti di fondamentale importanza. Il primo cambiamento riguarda l’intensità dei poteri di rulemaking spettanti alle independent agencies. ebbene, i suindicati provvedimenti di conferma sui poteri finanziari delle Autorità, hanno rinforzato i poteri decisionali di alcune agencies, con estensione del potere discrezionale che può essere esercitato attraverso decisioni individuali vincolanti oltre al rulemaking; ciò avviene nell’Agenzia europea per la sicurezza aerea. (107) P. CrAIG, op. cit., p. 168 e ss. (108) r. DehouSSe: Towards a regulation of Transnational Governance? Citizen’s rights and the reform of Comitology Procedure’s in Joerges and Vos (n. 2) 114. (109) Draft International Agreement on the operating framework for the european regulatory agencies, CoM (2005), Art. 5. (110) european Agencies -the Way Forward, CoM (2008). LeGISLAzIoNe eD AttuALItà Anche altre importanti agencies, quali l’Autorità bancaria europea, l’eSMA (European Security and markets authority) e l’eIoPA (European insu- rance and occupational Pensions authority) hanno poteri decisionali che si sostituiscono a quelli della Commissione. Questa riforma ha inciso anche sul contenuto dell’art. 290 tFue ai sensi del quale “un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo”. A sua volta la Commissione europea delega le agencies fermo restando che essa può discostarsi da questi atti soltanto in casi limitati e circostanze straordinarie. Nella nuova regolamentazione la Commissione europea ha insistito affinché a dare piena attuazione all’art. 290 del tFue siano direttamente le agencies per avere un’autonomia esecutiva sugli atti delegati soggetti appunto ad un controllo ex ante ed ex post secondo lo schema di questo articolo. 17. Le autorità amministrative indipendenti durante la crisi economica: questioni aperte. In tempi recenti, anche le Autorità amministrative indipendenti, al pari degli organi politici, sono state al centro di una lunga riflessione; tale fenomeno è dovuto soprattutto alla crisi economica che ha imperversato in Italia ed in europa, dal 2007 fino ai nostri giorni. Le cause del fallimento delle Autorità amministrative indipendenti sono da attribuire esclusivamente all’europa e precisamente alla sue scelte sbagliate. tanto per cominciare l’europa ha il demerito di non aver mai istituito un’Autorità unica a livello comunitario, o almeno negli Stati membri dell’area euro, come invece è avvenuto nel continente australiano con l’istituzione del general auditor (111), che è un’Autorità in grado di stabilire quali agencies sono utili ed efficienti per il sistema e quali invece costituiscono un costo inutile. C’è chi ha già autorevolmente osservato (112) che per troppo tempo, si è pensato che la cooperazione intergovernativa potesse sopperire alla mancanza di volontà politica; infatti la frammentazione delle Autorità di vigilanza a livello nazionale ha privato l’europa di un soggetto che appare oggi invece essenziale. Le colpe di quei paesi che, nel 2007, ma anche negli anni precedenti hanno frenato e boicottato i progetti di istituzione di forme unitarie di vigilanza e sorveglianza sui mercati finanziari, emergono oggi in tutta la loro gravità. (111) BoB SeNDt & ASSoCIAteS, report of the independent Performance audit of the operations of the act auditor - General and audit office, pag. 54 ss., 3 May 2010. (112) e. LettA , Le autorità indipendenti al tempo della crisi. Per una riforma della regolazione e della vigilanza sui mercati di G. NAPoLItANo ed A. zoPPINI, ed. Il Mulino, Bologna 2009, pag. 8. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 tuttora, nonostante la crisi economica in corso, è per causa di questi stessi paesi, del loro ostruzionismo che non si riescono a perseguire gli obiettivi prefissi. Anche secondo quanto prevedeva il rapporto de Larosiére, la creazione di un’Autorità europea preposta alla valutazione dei rischi di sistema era indispensabile, ma, rebus sic stantibus, essa non avrà alcun potere di intervento diretto nel mercato e potrà soltanto indirizzare delle raccomandazioni non vincolanti alle Autorità nazionali. In definitiva, preme ricordare le varie motivazioni per le quali la tematica della crisi economica si intreccia con quella delle Autorità indipendenti. Approfondendo la tematica de qua, se la risposta alla crisi deve essere trovata in nuove regole di funzionamento dei mercati e se è il decisore politico legittimato a scegliere tali regole in virtù della rappresentanza di coloro su cui grava il rischio economico delle scelte collettive, è ragionevole interrogarsi se residui o meno uno spazio ad autorità indipendenti tecniche e/o se ciò ne restringa in maniera decisiva lo spazio d’azione. La finalità delle Autorità indipendenti è quella di regolazione del mercato, di risolvere i suoi fallimenti riducendo il campo dell’azione politica, in quanto essa è ineluttabilmente soggetta alle incertezze proprie dei cicli elettorali e ai condizionamenti legati alla raccolta del consenso, rimettendo i processi di determinazione delle regole a burocrazie pubbliche caratterizzate da competenza tecnica, capaci altresì d’assicurare una funzione para-giurisdizionale nell’applicazione delle regole medesime. La crisi economica degli ultimi anni ha messo in discussione la dimensione domestica e nazionale dell’Autorità di regolazione, a fronte del carattere inevitabilmente sovranazionale dei fenomeni economici regolati, oltre alla globalizzazione degli scambi economici (113). tuttavia, sulla crisi economica e sul ruolo delle Autorità indipendenti vi sono stati altri interrogativi che la dottrina più accreditata aveva avuto modo di evidenziare (114). A titolo informativo si citano i più importanti. In primo luogo, è necessario interrogarsi su quale sia il rapporto di regolazione del mercato, attribuzione specifica delle Autorità amministrative indipendenti e potere politico. Il problema rileva in un duplice senso: a) quale ambito minimo indispensabile ad assicurare una effettiva regolazione indipendente del mercato; b) quale spazio necessariamente riconosciuto in via esclusiva al decisore pub (113) G. NAPoLItANo, A. zoPPINI, Le autorità indipendenti al tempo della crisi. Per una riforma della regolazione e della vigilanza sui mercati di G. NAPoLItANo e A. zoPPINI, ed. Il Mulino, Bologna 2009, pag. 20. (114) M. D’ALBerto, A. PAJINo (a cura di), Gli arbitri dei mercati. Le autorità indipendenti e l’economia, ed. Il Mulino, Bologna 2009. LeGISLAzIoNe eD AttuALItà blico, prima, e per così dire a monte della regolazione tecnica di rideterminare le regole della politica industriale. In secondo luogo, è necessario interrogarsi sul modo nel quale l’evoluzione dei mercati pone il problema della conseguente necessità di aggiornare il sistema della regolazione. Se, infatti, ogni forma di regolazione costituisce la risposta ad un fallimento del mercato ovvero il rimedio a comportamenti patologici degli operatori, è evidente che le specifiche competenze, nonché la medesima esistenza delle autorità che tale funzione presidiano si legittima, così in termini teorici ma pure politicamente, in modo strumentale rispetto a uno specifico modello di regolazione. In sostanza, è l’evoluzione del mercato l’analisi delle sue caratteristiche strutturali e dei relativi fallimenti che determinano l’assetto del contenuto regolativo e questo impone la verifica del modello di regolazione in concreto più idoneo (115). In terzo luogo, ci si interroga sul rapporto tra le Autorità di regolazione di settore nella dimensione nazionale e in quella internazionale, europea in particolare, e poi quale rapporto debba aversi con l’autorità posta a presidio della concorrenza (116). (115) Sia consentito un esempio per illustrare che è la regolazione che segue il mercato. Sino a molti anni fa era relativamente agevole distinguere un conto corrente di deposito, un titolo finanziario, un contratto assicurativo. A loro volta, la banca, la borsa e le assicurazioni svolgevano ruoli socio-economicamente identificati e riconoscibilmente diversi e per tali istituzioni finanziarie il sistema della vigilanza era ordinato per attività: la Banca d’Italia, la Consob, L’Isvap. La ragione per la quale oggi questo modello di vigilanza sugli intermediari finanziari va comunque ripensato è collegato al fatto che oggi la distinzione tra un conto corrente e un prodotto finanziario, tra un contratto assicurativo e uno strumento di investimento è meno agevole; i contratti assicurativi e i depositi bancari presentano componenti finanziarie di investimento che evidentemente giustificano una diversa considerazione nella prospettiva della regolazione. In fondo anche i lemmi che, ormai inconsapevolmente usiamo testimoniano questa modificazione sostanziale: parliamo comunemente, ma così fanno anche il codice civile e pure i testi unici destinati a regolare la banca e la finanza, di “prodotti” e di “strumenti” per indicare i beni di secondo grado che sono negoziati, a prescindere dal contratto che genera il rischio. e, tuttavia, è proprio la vicenda dei mutui subprime e dei derivati la prova più evidente dei rischi sottesi alla mercificazione del rischio finanziario, quando ciò si accompagni a una regolazione statica, incapace di cogliere gli effetti aggregati delle operazioni realizzate, G. NAPoLItANo, A. zoPPINI, op. cit., pag. 21. (116) Intorno a questi temi è evidentemente più di un problema teorico. Ad esempio è noto che vi sia una tendenza a contrapporre in maniera recisa la regolazione e la concorrenza, ma questa contrapposizione non necessariamente esclude che la stessa Autorità Antitrust svolga un’attività regolatoria. Accanto ai problemi teorici non vanno poi trascurate alcune rilevanti questioni pratiche: basti pensare ai rischi di overegulation, la dove si determinino sovrapposizioni di competenze, di recente emerse anche sul versante della tutela del consumatore, a seguito degli interventi dell’AGCM volti a reprimere comportamenti commerciali scorretti; alle esigenze di coordinamento quando le valutazioni dell’una autorità debbano coordinarsi con quelle di altre, emblematico da questo punto di vista è la vicenda del trasferimento delle competenze in materia di concorrenza dalla Banca d’Italia alla AGCM per effetto della legge n. 262 del 2005 sulla tutela del risparmio che originariamente prevedeva un atto unico e poi la diversa impostazione assunta dal decreto correttivo n. 303 del 2006 che ha previsto due atti autonomi in G. NAPoLItANo, A. zoPPINI, op. cit. pag. 22. rASSeGNA AvvoCAturA DeLLo StAto - N. 3/2017 Infine, ci si chiede quale debba essere il rapporto tra regolazione e libertà di iniziativa dei privati e poi quale il coordinamento complessivo dei rimedi che l’ordinamento dispone: quelli di governance, il public enforcement, ed i rimedi offerti dal diritto privato. 18. Conclusioni. In questo periodo di crisi economica e finanziaria che sta imperversando in europa è difficile dare una conclusione che possa essere decisiva e soddisfacente. vorrei fare, a tale riguardo, soltanto un breve richiamo alla teoria poli- tico-economica delle istituzioni che da tempo evidenzia come gli organi elettivi possono avere interesse a liberarsi dei compiti maggiormente esposti ad insuccessi e contestazioni e facendo ricorso alle Autorità indipendenti. Se i mercati funzionano regolarmente, difficilmente di tale dinamica verrà dato merito ai vigilanti; se invece scoppiano scandali o crisi economiche come negli ultimi dieci anni, agli organi elettivi conviene addossare la colpa alle autorità di vigilanza ed assumere iniziative straordinarie a tutela del risparmiatore, incassando il relativo dividendo politico (117). Questo è quanto è accaduto negli uSA nel 2008. Inoltre, l’esplosione della crisi finanziaria ed economica determina ovunque un ritorno alle forme tradizionali di intervento pubblico nell’economia, dalla partecipazione diretta al capitale delle imprese all’erogazione di contributi e aiuti a singoli operatori o ad interi settori economici. In queste situazioni, sono sempre le istituzioni politiche ad adottare misure di salvataggio, sia singolari (ora nei confronti di operatori determinati), sia generali (a tutela della stabilità del sistema bancario e finanziario). e sono naturalmente gli organi rappresentativi ad essere chiamati ad adottare politiche fiscali, economiche e sociali necessarie al rilancio dell’economia reale e alla creazione di reti di protezione a favore di soggetti più deboli. Detto ciò, il ruolo delle Autorità sembra ridursi e dall’altro assume particolare rilievo la posizione della politica che appare l’unica in grado di salvare il sistema economico e finanziario, iniettando liquidità e, intervenendo nel capitale delle banche, garantendo la solvibilità delle obbligazioni assunte nel mercato finanziario. In conclusione, una soluzione a tali lacune sarebbe un intervento decisivo e diretto da parte del Governo che dovrebbe informare il Parlamento e gli altri organi di controllo sull’amministrazione di ogni sua iniziativa per poi sottoporsi al loro monitoraggio. (117) D. MASCIANDAro, Lezioni americane per la regolamentazione finanziaria: più mercato, meno politica in www.nelmerito.com, 8 agosto 2008. CONTRIBUTIDIDOTTRINA Giudicato amministrativo e sopravvenienze Gabriele Pepe* Il giudicato amministrativo, per natura strutturalmente incompleto, rintraccia le proprie componenti sia nella sentenza del giudice sia nella susseguente attività amministrativa volta alla sua esecuzione. Tale attività risente, spesso, dell’influenza esercitata da eventi sopravvenuti, di fatto e di diritto, i quali, incidendo sulla riedizione del potere, possono limitare o precludere gli effetti futuri della sentenza. In tal modo l’efficacia del giudicato si rivela rebus sic stantibus, condizionata, cioè, al permanere invariato delle circostanze presenti al momento della emanazione della sentenza. La giurisprudenza ha, tuttavia, individuato un temperamento alla operatività delle sopravvenienze, fissando nella data di notificazione della sentenza divenuta irrevocabile il termine ultimo per la loro rilevanza. Tale soluzione, perfettamente applicabile alle sopravvenienze di diritto, non è, viceversa, in grado di arginare l’azione delle sopravvenienze di fatto, le quali possono limitare o precludere la rinnovazione del potere amministrativo, anche dopo la notificazione della sentenza definitiva. Ad ogni modo, la negativa incidenza delle sopravvenienze sulla esecuzione del decisum giudiziale è, oggi, mitigata dalla possibilità per il ricorrente vittorioso di ottenere, in luogo della tutela in forma specifica, una tutela risarcitoria per equivalente ai sensi dell’art. 112, co. III, C.p.a. Sommario: 1. introduzione -2. La clausola rebus sic stantibus nei Trattati internazionali -3. Le sentenze con clausola rebus sic stantibus nell’ordinamento italiano - 4. Natura, caratteri ed effetti del giudicato amministrativo - 5. L’esecuzione del giudicato da parte della amministrazione -6. Le sopravvenienze -6.1. Le sopravvenienze di fatto -6.2. Le sopravvenienze di diritto - 6.2.1. Urbanistica e ius superveniens - 6.2.2. Giudicato amministrativo e ius su- perveniens europeo - 8. riflessioni conclusive. 1. introduzione. L’incidenza delle sopravvenienze sulla attività di esecuzione della sen- (*) Avvocato, ricercatore di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 tenza costituisce un problema di viva e palpitante attualità la cui soluzione, in mancanza di una qualsiasi disciplina di diritto positivo (1), è rimessa alle decisioni elaborate, caso per caso, dalla giurisprudenza amministrativa. Il problema in esame risulta particolarmente complesso, in primo luogo, per la difficoltà di conciliare la mutevole sopravvenienza di fatti e norme con la stabilità dell’accertamento giudiziale e dei suoi effetti; in secondo luogo, per la eterogenea casistica applicativa che sovente necessita di risposte giudiziarie differenziate; da ultimo, per la assenza di studi monografici ricostruttivi del fenomeno investigato. Il presente contributo, focalizzandosi sull’analisi delle sopravvenienze in senso proprio (2), intende sviluppare la tesi della natura e della efficacia rebus sic stantibus del giudicato amministrativo (3), quale giudicato naturalmente esposto, sia pure entro ragionevoli limiti, alle sopravvenienze di fatto e di diritto, successive alla emanazione della sentenza. Del resto, l’attività di esecuzione del decisum giudiziale da parte dell’Amministrazione può essere influenzata da eventi sopravvenuti che abbiano l’attitudine ad incidere in concreto sulla produzione degli effetti della sentenza riconducibili, in particolare, alla riedizione del potere. Il discorso riguarda la tematica dell’efficacia del giudicato amministrativo e dei suoi limiti cronologici (4), specie in relazione alle situazioni e ai rapporti di durata. In tale prospettiva, il fenomeno delle sopravvenienze sottende il permanente conflitto tra l’esigenza di considerare fatti e norme nuovi al momento della riedizione del potere e l’esigenza di prestare attuazione alla sentenza sulla base della originaria situazione, di fatto e di diritto, in essa cristallizzata. La ricaduta delle sopravvenienze sulla attività di esecuzione del decisum giudiziale è, inoltre, accentuata dai caratteri di relatività ed incompletezza del giudicato amministrativo, che si apprezzano in relazione ai tratti discrezionali dell’azione amministrativa susseguenti alla emanazione della sen- (1) A. QUArAnTA, V. LopILATo (a cura di), il processo amministrativo, Milano, 2011, p. 902: “Deve rilevarsi come il legislatore opportunamente non abbia dettato, in ragione della intrinseca variabilità dei casi concreti, una disciplina relativa alla rilevanza che possono avere nel processo le sopravvenienze, di fatto e di diritto, al giudicato”. (2) Con tale espressione si è soliti indicare i mutamenti delle circostanze, di fatto e di diritto, successivi alla emanazione della sentenza, ancorché non passata in giudicato, idonei ad incidere sulla esecuzione del decisum giudiziale e dei suoi effetti. (3) La nozione di giudicato amministrativo viene utilizzata nel presente contributo per indicare talora la sentenza divenuta irrevocabile talaltra la sentenza non definitiva, in ragione della attitudine di entrambe ad essere portate ad esecuzione da parte della Amministrazione; ed è, in particolare, sulla attività di riedizione del potere che possono incidere le sopravvenienze di fatto e di diritto, limitando o precludendo l’efficacia del giudicato nel tempo. (4) per una disamina dei limiti cronologici del giudicato in generale vedasi F. CArneLUTTI, Sistema di diritto processuale civile. Vol. i. Funzione e composizione del processo, padova, 1936, pp. 292 ss. S. MenChInI, il giudicato civile, II ed., Torino, 2002, pp. 233 ss. DoTTrInA 233 tenza. Del resto, le sopravvenienze sono idonee a riverberarsi sulla efficacia della sentenza, limitandone o precludendone gli effetti, specie futuri, come peraltro ribadito dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 9 giugno 2016, n. 11 (5). In tale contesto, allora, pare coerente asserire come l’efficacia nel tempo del giudicato amministrativo sia subordinata ad una implicita clausola (risolutiva) rebus sic stantibus, in virtù della quale l’estrinsecazione degli effetti della sentenza dipende dal permanere invariato delle circostanze, di fatto e di diritto, presenti al momento della sua emanazione. L’influenza delle sopravvenienze sulla attività di riedizione del potere è, tuttavia, mitigata dalla giurisprudenza attraverso l’individuazione di un limite temporale alla loro opponibilità, che viene fissato nella data di notificazione della sentenza divenuta irrevocabile. Questa soluzione, pur appagante per le sopravvenienze di diritto, non convince del tutto nelle ipotesi in cui l’evento sopravvenuto determini un mutamento delle circostanze di fatto tale da precludere la rinnovazione del potere amministrativo, ora per allora. nell’analisi delle tematiche sopra descritte si muoverà dall’esame dei caratteri, teorico-applicativi, della clausola generale rebus sic stantibus prima nei Trattati internazionali, poi, nelle sentenze del giudice civile e, da ultimo, nelle sentenze del giudice amministrativo. Successivamente verranno approfonditi i peculiari tratti del giudicato amministrativo, con particolare attenzione al ruolo limitativo e preclusivo esercitato dalle sopravvenienze sulla attività di rieffusione del potere. Infine, si dedicherà un breve focus ai rapporti tra giudicato nazionale e ius superveniens europeo rappresentato da una sentenza interpretativa pregiudiziale della Corte di giustizia. 2. La clausola rebus sic stantibus nei Trattati internazionali. L’origine della clausola rebus sic stantibus et in eodem statu manentibus (per brevità rebus sic stantibus) risale ai postglossatori del XIV secolo (6) e alle applicazioni che ne sono seguite nel diritto civile fino ai giorni nostri (7). Ciononostante è nei rapporti internazionali pattizi che la clausola rebus sic stantibus ha ricevuto massima consacrazione (8), sviluppando un proprio autonomo statuto rispetto alle elaborazioni della tradizione civilistica (9). (5) Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui “il giudicato non può incidere sui tratti liberi dell’azione amministrativa lasciati impregiudicati e, in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi”. (6) Sulle origini della clausola rebus sic stantibus C. LIpArTITI, La clausola “rebus sic stantibus” nel diritto internazionale, Milano, 1939, pp. 1 ss. (7) G. oSTI, La cosiddetta clausola “rebus sic stantibus” nel suo sviluppo storico, in riv. dir. civ., 1912, pp. 1 ss. (8) Tra i tanti, V. BonUCCI, La clausola rebus sic stantibus nel diritto internazionale, perugia, 1909, passim. C. LIpArTITI, La clausola “rebus sic stantibus” nel diritto internazionale, op. cit., pp. 1 rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 nel diritto internazionale l’operatività della clausola rebus sic stantibus si ricollega ad una variazione nel tempo delle circostanze originarie del Trattato, tale da alterare significativamente la misura dei diritti e degli obblighi assunti dagli Stati. Tale variazione determina, così, un corrispondente mutamento degli impegni che i contraenti hanno originariamente assunto sotto condizione della permanenza delle circostanze su cui si è manifestato il consenso. Diversamente, una loro significativa variazione legittima ciascun contraente a recedere dall’Accordo oppure a rinegoziarlo (10). naturalmente, non ogni mutamento è idoneo a compromettere la vincolatività del Trattato, ma solo quelli che afferiscano ad elementi considerati essenziali dalle parti al tempo della stipulazione (11). La clausola rebus sic stantibus sarebbe, così, tacitamente inserita in ogni Trattato internazionale (12). Si osserva, in tal senso, come il principio pacta sunt servanda, tradizionalmente considerato il caposaldo delle relazioni pattizie tra gli Stati, riceva applicazione esclusivamente nella misura e nei limiti in cui permangano le originarie circostanze presenti al momento della formazione dell’Accordo. I patti, quindi, vanno rispettati… rebus sic stantibus, in assenza, cioè, di variazioni significative di fatto e/o di diritto. Conseguentemente, può affermarsi come la clausola rebus sic stantibus rappresenti un temperamento al principio pacta sunt servanda, in quanto consente agli Stati di recedere dal vincolo obbligatorio discendente dal Trattato in caso, appunto, di mutamento significativo delle circostanze. La clausola rebus sic stantibus fissa, pertanto, un limite alla efficacia degli impegni pattiziamente assunti, subordinandola alla permanenza delle essenziali circostanze su cui si è manifestata la volontà delle parti, per non incorrere in un irragionevole vincolo giuridico e nell’azione formalistica in un summum ius summa iniuria. ss. L. SICo, Gli effetti del mutamento delle circostanze sui trattati internazionali, padova, 1983, pp. 11 ss. F. DUrAnTe, voce Trattato (Dir. vig.), in Enc. dir., vol. XLIV, Milano, 1992, pp. 1368 ss. (9) In base alla clausola rebus sic stantibus nei contratti aventi tratto successivo o dependentiam de futuro l’efficacia del vincolo obbligatorio è subordinata alla continuazione dello stato di fatto posto a base della stipulazione. In tema di sopravvenienze contrattuali si segnalano i contributi di A. GIoVene, L’impossibilità della prestazione e la “sopravvenienza”. La dottrina della clausola “rebus sic stantibus”, padova, 1941, spec. pp. 97 ss. M. BeSSone, adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, passim. r. KoBLer, Die clausula rebus sic stantibus als algemeiner rechtsgrundsatz, Tübingen, 1991, pp. 1 ss. M. AMBro- SoLI, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, pp. 1 ss. (10) La clausola rebus sic stantibus è intesa, quindi, quale clausola di risoluzione o di rivedibilità di un Trattato internazionale. (11) In tal senso, l’art. 62 n. 1 lett. b della Convenzione di Vienna del 1969 ricollega al mutamento delle circostanze un effetto estintivo nel caso in cui tale cambiamento sia in grado di trasformare radicalmente la portata degli obblighi che devono essere adempiuti dalle parti contraenti. A riguardo, e. BACK IMpALLoMenI, il principio rebus sic stantibus nella Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, Milano, 1974, passim. (12) L. SICo, voce rebus sic stantibus (Clausola), in Enc. dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, pp. 13 ss. DoTTrInA 235 3. Le sentenze con clausola rebus sic stantibus nell’ordinamento italiano. Con l’espressione sentenze con clausola rebus sic stantibus si è soliti far riferimento “a tutte quelle pronunce che contengono un accertamento condizionato al permanere invariato anche in futuro dello stato di fatto presente al tempo del processo che ha formato la base per la pronuncia” (13). Tali sentenze hanno l’attitudine ad accentuare i caratteri di relatività e mutevolezza propri del giudicato (14), in quanto un significativo mutamento delle circostanze di fatto abilita le parti a rimettere in discussione, sia pure entro ragionevoli limiti, l’accertamento giudiziale ed i suoi effetti. nell’ordinamento italiano la clausola rebus sic stantibus trova applicazione nelle sentenze del giudice civile, e segnatamente, nelle sentenze c.d. determinative (15). La categoria delle sentenze determinative (Festsetzende) ha origine in Germania (16), venendo successivamente recepita dalla dottrina processual- civilistica italiana a partire dalla prima metà del XX secolo (17). nel corso del tempo, la giurisprudenza ha riconosciuto uno spazio applicativo alla clausola rebus sic stantibus, ad esempio, nelle sentenze relative alla determinazione dell’assegno alimentare o divorzile (18) o alla decadenza dalla potestà genitoriale (19). (13) r. CAponI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, p. 105: “Si tratta dunque dei casi in cui il nostro ordinamento riferisce l’efficacia della dichiarazione giudiziale anche al futuro: le condanne in futuro concernenti situazioni durevoli collegate da un nesso permanente di condizionalità alla propria fattispecie costitutiva, a sua volta durevole”. (14) Con particolare riferimento al giudicato civile, e. ALLorIo, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, spec. pp. 36 ss. e. heInITz, i limiti oggettivi della cosa giudicata, padova, 1937, pp. 229 ss. e. FAzzALArI, voce Processo civile (Dir. vig.), in Enc. dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, pp. 194-195. (15) In relazione alle sentenze con clausola rebus sic stantibus, si vedano i contributi di S. CoSTA, Le sentenze civili con la “clausola rebus sic stantibus”, in Studi senesi, fasc. 2-3, 1930, pp. 167-202. M. VeLLAnI, appunti sulla natura della cosa giudicata, Milano, 1958, p. 72. e. FAzzALArI, Cosa giudicata, in riv. trim. dir. proc. civ., 1956, p. 1307, spec. nota 11. S. MenChInI, il giudicato civile, op. cit., pp. 21 ss. e.T. LIeBMAn, Efficacia ed autorità della sentenza, Milano, 1935, p. 18. A. SeGnI, Della tutela giurisdizionale dei diritti (art. 2900-2969), in Commentario del Codice civile, libro VI, a cura di V. SCIALojA, G. BrAnCA, roma, 1953, pp. 282 ss., spec. pp. 334 ss. (16) W. KISCh, Beitra¨ge zur Urteilslehre, Leipzig, 1903, pp. 110 ss. o. MAyer, Zur Lehre von der materiellen rechtskraft, Leipzig, 1906, passim. (17) e. BeTTI, Efficacia delle sentenze determinative in tema di legati di alimenti, Camerino, 1921, pp. 1 ss., spec. pp. 184 ss. S. CoSTA, Le sentenze civili con la “clausola rebus sic stantibus”, in Studi senesi, op. cit., pp. 167 ss. A. rASeLLI, Le sentenze determinative e la classificazione generale delle sentenze, in Scritti giuridici in onore di F. Carnelutti, vol. II, padova, 1950, pp. 567 ss. e.T. LIeBMAn, voce Giudicato civile, in Enc. giur. Treccani, vol. XV, roma, 1989, pp. 5 ss. L. MonTeSAno, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 2003, p. 132, spec. nota 25. (18) recentemente, Cass. civ., sez. I, 1 luglio 2015, n. 13514; Cass. civ., sez. VI, 12 gennaio 2017, n. 683, in www.iusexplorer.it. (19) Da ultimo, Cass. civ., sez. I, 21 novembre 2016, n. 23633, in www.iusexplorer.it. Secondo la Suprema Corte una volta che il Tribunale abbia dichiarato i genitori decaduti dalla potestà genitoriale il provvedimento ha forza di giudicato rebus sic stantibus, in quanto non è revocabile o modificabile se non sopraggiungono fatti nuovi. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 nelle sentenze determinative, cui inerisce la clausola rebus sic stantibus, quale implicita clausola risolutiva (20), i caratteri di relatività e mutevolezza del giudicato sono valorizzati dalla naturale esposizione della sentenza al mutamento delle circostanze di fatto direttamente incidenti sulla fattispecie regolata (21). poiché l’efficacia di tali rapporti risente dei mutamenti delle circostanze, le parti sono legittimate a domandare una revisione della decisione giudiziaria in precedenza assunta. A ben osservare, poi, tali sentenze non affievoliscono la forza del giudicato in quanto il rapporto giuridico, da esse disciplinato, continua a vivere nel tempo con un contenuto od una misura determinati da elementi variabili; ne consegue che eventi fattuali sopravvenuti “possono influire su di esso non solo nel senso di estinguerlo, facendo quindi venir meno il valore della sentenza, ma anche nel senso di esigere un mutamento nella determinazione fattane preventivamente” (22). È evidente, in questi casi, come tali sentenze risultino, più delle altre, subordinate nella loro efficacia ad una implicita clausola rebus sic stantibus. Tale principio risulta applicabile, in via generale, ai “rapporti di durata per i quali è pacifico che la cosa giudicata debba operare rebus et iuribus sic stantibus: la modificazione della situazione di fatto presupposta dal rapporto accertato oppure l’emanazione di nuove norme di diritto permettono la formazione di un accertamento e di un nuovo regolamento giudiziale, modificativo della precedente regiudicata, con effetti successivi alla loro sopravvenienza” (23). occorre, poi, domandarsi se la clausola rebus sic stantibus trovi applicazione anche alle sentenze del giudice amministrativo verificandone, in caso di risposta affermativa, il funzionamento, specie alla luce dei peculiari tratti del giudicato amministrativo. Come autorevolmente affermato da Savigny, con la ben nota lucidità che lo contraddistingue, ogni sentenza contiene implicitamente in sé una clausola rebus sic stantibus che subordina l’efficacia nel tempo del decisum giudiziale al permanere invariato delle originarie circostanze poste a suo fondamento (24). Secondo l’Autore il giudice pronunzia soltanto in relazione al momento presente: “egli lascia necessariamente impregiudicate tutte le modificazioni future (20) Contra F. VASSALLI, La sentenza condizionale, roma, 1918, passim. (21) Di rilievo, a riguardo, Cass. civ. sez. I, 22 maggio 2009, n. 11913, in www.iusexplorer.it. (22) e.T. LIeBMAn, Efficacia ed autorità della sentenza, op. cit., pp. 18-19. (23) C. rUperTo, La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina. Libro Vi. Della tutela dei diritti (artt. 2907-2969), a cura di F. roSeLLI, Milano, 2011, p. 180. (24) F.C. SAVIGny, Sistema del diritto romano attuale, vol. VI, trad. it. V. Scialoja, Torino, 1896, p. 405: “in ogni sentenza deve tacitamente sottintendersi una certa determinazione di tempo. il riconoscimento o la negazione di un diritto nella persona dell’attore deve valere come verità, e passa in giudicato, soltanto pel momento in cui viene pronunziata la sentenza”. DoTTrInA 237 e la forza legale della sentenza rimane senza influenza su ogni controversia, che sia fondata sull’affermazione di fatti, che siano avvenuti solo dopo” (25). In tal senso, ogni sentenza risulta condizionata alla permanenza delle essenziali circostanze presenti al momento della sua adozione, sicché gli effetti che ne scaturiscono sono destinati a venir meno o a mutare in ragione delle vicende estintive o modificative della situazione materiale o della disciplina della fattispecie; la sentenza vale, quindi, rebus sic stantibus, producendo effetti se e fino a quando non vi siano sopravvenienze rilevanti. La clausola rebus sic stantibus, per la sua portata generale, è applicabile sicuramente ad ogni sentenza che abbia ad oggetto situazioni e rapporti di durata. pertanto, la si ritrova implicitamente apposta sia alle sentenze del giudice civile sia alle sentenze del giudice amministrativo. Infatti, secondo la giurisprudenza tedesca (26) gli effetti del giudicato amministrativo risultano condizionati al permanere delle circostanze cristallizzate nel decisum, sicché a fronte di loro significative variazioni verrebbe meno l’irretrattabilità del giudicato e dei suoi effetti. ne discende, così, come ogni decisione del giudice amministrativo che dichiari l’illegittimità o la legittimità di un provvedimento con riferimento ad un determinato quadro normativo (ma anche fattuale) sia vincolante rebus sic stantibus. Diversamente, al sopraggiungere di particolari eventi, al ricorrente sarà consentito impugnare nuovamente il medesimo atto, mentre l’Amministrazione potrà adottare legittimamente un provvedimento identico a quello caducato, nonostante la formazione del giudicato (27). Le considerazioni svolte dalla giurisprudenza tedesca trovano puntuale applicazione anche nell’ordinamento italiano. A ben osservare, infatti, le sentenze del giudice amministrativo stabiliscono regole elastiche ed incomplete nonché condizionate al permanere invariato delle circostanze tanto di fatto quanto di diritto. Ciò in conformità alla natura ed ai caratteri del giudizio amministrativo, quale giudizio sull’esercizio della potestà pubblica, la cui decisione “non opera rispetto ad un assetto di interessi statico, ma rispetto ad interessi in movimento, sia in relazione al mutare possibile delle condizioni di fatto che delle situazioni di diritto” (28). D’altronde, il giudicato amministrativo, tendenzialmente incompleto e bisognoso di specificazioni successive, è rispetto al giudicato civile maggiormente esposto alle sopravvenienze, le (25) F.C. SAVIGny, Sistema del diritto romano attuale, vol. VI, trad. it. V. Scialoja, op. cit., p. 405. (26) per giurisprudenza costante da Bundesverwaltungsgericht, 13 dicembre 1956, in Neue Juristische Wochenschrift, 1957, p. 475. La sentenza affronta l’ipotesi di mutamento della situazione giuridica intervenuto in favore del privato a seguito di una sentenza di rigetto. Il privato, soccombente nel primo processo, è legittimato a riproporre la domanda giudiziale nonostante la formazione di un precedente giudicato. (27) K. reDeKer, h.j. oerTzen, Verwaltungsgerichtsordnung, Berlin, 1985, p. 644. (28) A. AnDreAnI, annullamento giurisdizionale e ius superveniens: brevi considerazioni sugli effetti delle sentenze del giudice amministrativo, in Foro amm., 1972, III, p. 928. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 quali incidono direttamente sulla attività di rinnovazione del potere (29). Inoltre, il sistema di giustizia amministrativa è costruito intorno alla tutela di un interesse durevole ed immanente, quale l’interesse pubblico e di un interesse a carattere diacronico quale l’interesse legittimo, ambedue suscettibili di influenza da parte di eventi sopravvenuti. Dunque, la sentenza del giudice amministrativo rinviene al proprio interno una implicita clausola rebus sic stantibus, insistendo su rapporti permanentemente esposti al mutamento delle circostanze, in generale, e ai mutevoli apprezzamenti del pubblico interesse in particolare. Inoltre, l’operatività della clausola si inserisce perfettamente nel peculiare rapporto di durata tra la potestà pubblica e l’interesse legittimo che è sotteso al giudicato; tale rapporto ha, infatti, una proiezione futura che va oltre la sentenza, estrinsecando in modo diacronico la propria efficacia. pertanto, come affermato in giurisprudenza, il vincolo del giudicato amministrativo “non copre gli effetti giuridici successivi al tempo del processo, né i fatti futuri che tornano ad essere disciplinati dalle fonti normative astratte” (30). evidente è il riferimento ai tratti discrezionali dell’azione amministrativa, riempiti in sede di rinnovazione del potere con attività finalizzate alla esecuzione alla sentenza (31); attività che nel loro esplicarsi risultano naturalmente esposte alle sopravvenienze. Il giudicato di annullamento sugli interessi legittimi, mentre per la parte demolitoria e per la parte qualificatoria assume caratteri di tendenziale immutabilità, per la parte ordinatoria risente della presenza di sopravvenienze, ponendosi in uno stato di perenne tensione tra l’effettività della tutela delle situazioni giuridiche soggettive e la primazia dell'interesse pubblico legalmente accertato (32). Ad essere relativamente immutabile semmai è l’accertamento (processuale) della sentenza non già il rapporto (sostanziale) da esso regolato, sicché l’efficacia del giudicato, intimamente collegata al concreto svolgersi del rapporto, dipende dal permanere invariato delle circostanze, di fatto e di diritto, rilevanti per il decisum. (29) Con riferimento alla incidenza delle sopravvenienze sulla esecuzione della sentenza amministrativa M. nIGro, il giudicato amministrativo ed il processo di ottemperanza, in il giudizio di ottemperanza, atti del XXVii Convegno di studi scienza dell’amministrazione, Varenna, 1981, Milano, 1983, pp. 71 ss. M. CLArICh, Giudicato e potere amministrativo, padova, 1989, p. 257. p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, Milano, 1990, pp. 366 ss. B. MArCheTTI, L’esecuzione della sentenza amministrativa prima del giudicato, padova, 2000, pp. 121 ss. C. CACCIAVILLAnI, Giudizio amministrativo e giudicato, padova, 2005, pp. 298 ss. (30) Adun. plen. Cons. Stato, 10 dicembre 1998, n. 9, in www.giustizia-amministrativa.it. (31) M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., Bologna, 1983, pp. 392-393, secondo cui il giudicato amministrativo non pone una “regola sufficiente e conchiusa della successiva azione amministrativa”, salvo nei casi di effetto vincolante pieno, poiché “residuano al giudicato ed eccedono il giudicato degli spazi di azione amministrativa” definibili come “spazi liberi”. Ciò in quanto il giudicato amministrativo “opera su di una realtà in movimento, che è appunto l’azione amministrativa”. (32) Adun. plen. Cons. Stato, 8 gennaio 1986, n. 1, in Foro it., 1986, p. 97. DoTTrInA 239 Il giudicato amministrativo sottende, allora, una implicita clausola rebus sic stantibus che ne subordina l’efficacia al mantenimento invariato delle circostanze considerate dalla pronuncia giudiziaria (33). D’altronde, “una componente per certi versi insopprimibile della cosa giudicata amministrativa è costituita dalle sopravvenienze, o meglio dall’attività che l’amministrazione, adducendo l’influsso più o meno diretto di queste, ritiene di compiere a correttivo del disposto della pronuncia del giudice” (34). 4. Natura, caratteri ed effetti del giudicato amministrativo. Secondo una nota definizione di teoria generale, il giudicato rappresenta un “fatto giuridico capace di trasformare la lex generalis che regola un possibile in lex specialis che regola un esistente” (35). Il giudicato consisterebbe, in altri termini, nella trasformazione del comando astratto contenuto in una norma nel comando concreto stabilito dalla sentenza, la quale conferisce certezza e stabilità nel rapporto tra le parti al mutamento della realtà giuridica. nonostante la tendenziale irretrattabilità del decisum, il giudicato si caratterizza, da un lato, per la non assoluta immutabilità dell’accertamento e, dall’altro, per la relatività dei suoi effetti, specie futuri, che ne rivelano, appunto, la natura rebus sic stantibus (36). Con particolare riferimento al giudicato amministrativo, occorre precisare come tale polisemica espressione identifichi per alcuni la decisione contenuta in una sentenza definitiva (37), per altri un assetto di interessi definito da una sentenza irrevocabile (38); per altri ancora un sinonimo della sentenza di primo grado esecutiva (39). (33) In dottrina, C. CACCIAVILLAnI, Giudizio amministrativo e giudicato, op. cit., p. 305. In precedenza, p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., passim. M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit., pp. 394-395. In giurisprudenza, Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 1992, n. 269, in Cons. Stato, 1992, p. 588. Cons. Giust. Amm., 2 luglio 1992, n. 194, in Cons. Stato, 1992, p. 492. Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 1998, n. 39; Adun. plen. Cons. Stato, 11 maggio 1998, n. 2; Corte Conti, sez. III, 15 giugno 1998, n. 169, in www.iusexplorer.it. (34) p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., p. 368. (35) F. CArneLUTTI, Diritto e processo, napoli, 1958, p. 268. (36) A riguardo, M. VeLLAnI, appunti sulla natura della cosa giudicata, op. cit., p. 72: “in determinati casi, dalla portata limitata, il rapporto sostanziale accertato nella sentenza può venir modificato giudizialmente anche dopo il passaggio in giudicato di quest’ultima. Si pensi alle decisioni che hanno per oggetto rapporti sottoposti alla clausola rebus sic stantibus”. (37) Tra i tanti, V. CAIAnIeLLo, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, p. 757. F. pA- TronI GrIFFI, voce Giudicato amministrativo, in Diz. dir. pubbl., vol. III, diretto da S. CASSeSe, Milano, 2006, pp. 2674 ss. (38) C. CALABrò, voce Giudicato (Dir. proc. amm.), in Enc. giur. Treccani, agg., roma, 2002, p. 9. (39) per tutti, A.M. SAnDULLI, L’effettività delle decisioni giurisdizionali amministrative, in atti del Convegno del 150° anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Torino, 1981, Milano, 1983, p. 320. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 Il Codice del processo amministrativo (per brevità C.p.a.) non fornisce una definizione di giudicato, limitandosi attraverso l’art. 39 ad un rinvio esterno ad altre disposizioni di legge e, segnatamente, agli artt. 324 c.p.c. (40) e 2909 c.c., in quanto espressione di principi generali. nel diritto amministrativo la res iudicata formale e la res iudicata sostanziale presentano connotati peculiari, formandosi in momenti cronologicamente differenti e con l’apporto di contributi tra loro eterogenei. In particolare, la res iudicata sostanziale si forma successivamente alla res iudicata formale grazie al duplice apporto della sentenza, prima, e dell’attività amministrativa poi. La struttura e gli effetti del giudicato amministrativo risentono inevitabilmente della natura dinamica della fattispecie del potere con cui si confrontano (41). ne discende, allora, come l’immutabilità del giudicato presenti carattere relativo, in ragione della sua incompletezza strutturale che necessita, spesso, di una successiva attività amministrativa di esecuzione; tale attività può essere influenzata da eventi sopravvenuti, cosicché il giudicato viene, necessariamente, ad acquisire un’efficacia rebus sic stantibus, condizionata, cioè, al permanere invariato della situazione, di fatto e di diritto, cristallizzata in sentenza. Il giudicato amministrativo si distingue dal giudicato civile quanto all’oggetto, agli effetti e all’obbligo conformativo, presentando un autonomo statuto giuridico (42). Tali differenze, poi, si riverberano sulla incidenza delle sopravvenienze nella esecuzione della sentenza amministrativa, di cui evidenziano i caratteri di relatività e mutevolezza. In special modo, la sentenza del giudice amministrativo non definisce completamente la controversia con l’indicazione esaustiva della disciplina del rapporto, ma si limita a stabilire una regola che l’Amministrazione è chiamata ad attuare nel perimetro fissato dal dictum giudiziale; una regola, come detto, elastica, incompleta e condizionata. In tal senso il giudicato funge da presupposto per la futura azione amministrativa che, specie nel giudicato caducatorio, va a colmare la lacuna creata dall’annullamento del provvedimento. Si noti, in particolare, come l’attività di riedizione del potere, lungi dall’essere meramente esecutiva, operi in senso integrativo e alle volte correttivo del precetto giurisdizionale, arricchendo il contenuto e gli effetti della sentenza (43), sia pure senza contraddirli. (40) In particolare, l’art. 324 c.p.c. allude al carattere di irretrattabilità della sentenza espresso, altresì, dal noto brocardo res iudicata pro veritate habetur. (41) e. pICozzA, il processo amministrativo, II ed., Milano, 2009, p. 612. (42) per una analisi delle caratteristiche del giudicato amministrativo si rinvia, senza pretese di completezza, ai contributi di A. ALBInI, L’autorità del giudicato amministrativo nella teoria generale dell’autorità degli atti giuridici, Milano, 1968, pp. 221 ss. F. BenVenUTI, voce Giudicato (Dir. amm.), in Enc. dir., vol. XVIII, Milano, 1969, pp. 893-912. C. CALABrò, voce Giudicato (Dir. proc. amm.), in Enc. giur. Treccani, agg., op. cit., pp. 1 ss. S. VALAGUzzA, il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016, pp. 1 ss. DoTTrInA 241 Ciò si giustifica proprio in virtù della struttura elastica del giudicato amministrativo, che rinviene le proprie componenti tanto nella sentenza, quanto nella susseguente attività finalizzata alla sua ottemperanza (44). In tal senso, si deve distinguere l’accertamento dichiarativo della sentenza, indirizzato al passato, dall’accertamento precettivo orientato al futuro. Il primo definisce la fattispecie con effetti tendenzialmente irretrattabili mentre il secondo pone un vincolo di conformazione alla ulteriore attività amministrativa per la produzione di effetti solo tratteggiati in sentenza. L’attività di riedizione del potere, ora per allora, ed il relativo effetto ripristinatorio rinvengono, tuttavia, un limite nelle trasformazioni irreversibili della realtà materiale prodottesi fino alla emanazione della sentenza. Ad esse vanno, poi, ad aggiungersi le sopravvenienze cronologicamente susseguenti il decisum giudiziale che incidono anch’esse sul concreto dispiegarsi degli effetti della sentenza. Ciò detto, l’evoluzione del giudizio amministrativo dall’atto impugnato al rapporto intersoggettivo controverso (45), unitamente alla proliferazione delle azioni esperibili, segna un ampliamento dei contenuti del giudicato amministrativo in ragione della estensione del novero delle domande proponibili; ne discende, come corollario, un sindacato giurisdizionale, di volta in volta eterogeneo, per struttura ed intensità; coerentemente anche il vincolo conformativo della sentenza assume un’ampiezza modulabile con significative ricadute sulla attività amministrativa di riedizione del potere e sulla operatività delle sopravvenienze. Il presente contributo intende focalizzarsi, prevalentemente, sul giudicato di annullamento, specie di diniego di provvedimento favorevole, e sulla correlata attività di riesercizio del potere. Come è noto, gli effetti del giudicato di annullamento si identificano nell’effetto demolitorio, nell’effetto ripristinatorio e nell’effetto conformativo (o ordinatorio) (46). Con l’effetto demolitorio, che discende direttamente dalla sentenza, ven- (43) p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., pp. 318-319: “Le attività di interpretazione, completamento (…) del dictum giudiziale possono ritenersi sì successive cronologicamente alla pronuncia del giudice, ma non estranee al contenuto del giudicato; quest’ultimo si ridurrebbe non di rado alla mera enunciazione di principii astratti ove si trascurassero gli apporti dell’autorità amministrativa”. (44) D’altronde, nel giudizio amministrativo, quale giudizio di annullamento, ampia è la discrezionalità esercitata della autorità amministrativa nella attività rinnovatoria, poiché la sentenza è tendenzialmente un atto aperto ed incompleto. (45) Il primo Autore a preconizzare la transizione del giudizio amministrativo dall’atto al rapporto è stato A. pIrAS, interesse legittimo e giudizio amministrativo, vol.i I e II, Milano, 1962, spec. vol. II, pp. 140 ss. (46) In giurisprudenza, paradigmatica, Adun. plen. Cons. Stato, 22 dicembre 1982, n. 19, in Cons. Stato, 1982, I, p. 1507. In dottrina, per tutti, M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit., pp. 388 ss. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 gono rimossi retroattivamente il provvedimento invalido e, ove possibile, tutti gli effetti medio tempore scaturiti. Con l’effetto ripristinatorio (47), poi, si ricostruisce la situazione antecedente l’atto annullato, come se il provvedimento lesivo non fosse mai stato emesso. In altri termini, si provvede, nei limiti del possibile, alla rimozione delle modificazioni medio tempore intervenute sulla base dell’atto caducato. L’effetto ripristinatorio, che è conseguenza tipica dell’annullamento giurisdizionale, può essere di due tipi: a) automatico (o reale) qualora si produca senza il concorso di una successiva attività amministrativa; b) non automatico (o obbligatorio) ove necessiti di una rieffusione del potere da parte della Amministrazione. Va ricordato come la piena esplicazione dell’effetto ripristinatorio incontri un limite nel principio del fatto compiuto (quod factum est infectum fieri nequit (48)), ossia nella trasformazione irreversibile della realtà materiale intervenuta tra l’adozione del provvedimento illegittimo (poi annullato) e l’attività di esecuzione del giudicato. Da ultimo, con l’effetto conformativo (o ordinatorio) si è soliti indicare il vincolo posto dalla sentenza all’azione futura della Amministrazione attraverso l’individuazione di regole, più o meno elastiche, alla riedizione del potere. oltre a tale componente propulsiva, il vincolo conformativo ha una componente preclusiva che consiste nel divieto per l’Amministrazione di ria- dottare un provvedimento con i medesimi vizi censurati dalla sentenza (principio del ne bis in idem). L’intensità e l’ampiezza del vincolo conformativo dipendono, da un lato, dalla natura, vincolata o discrezionale, del potere e, dall’altro, dalla tipologia dei vizi in rilievo. In particolare, il vincolo discendente dalla sentenza di annullamento può essere pieno, semi pieno, o secondario; tale distinzione si riflette, inevitabilmente, sulla estensione del potere rinnovatorio, operando il giudicato da presupposto del successivo intervento amministrativo. Del resto, in presenza di un'attività amministrativa vincolata, il giudicato produce un effetto conformativo sostanzialmente pieno sull'attività di riedizione del potere, definendo puntualmente lo svolgimento della futura azione amministrativa; viceversa, a fronte di un'attività di tipo discrezionale, l'effetto conformativo è solo parziale (49) (laddove è, invece, totale in caso di violazione di diritti soggettivi). L’effetto conformativo della sentenza si pone quale tecnica di amplia (47) e. pICozzA, il processo amministrativo, op. cit., p. 608. (48) per giurisprudenza costante a partire da Cons. Stato, sez. IV, 8 novembre 1944, n. 11, in Foro amm., 1944-46, I, p. 63. Cons. Stato, sez. II, 27 gennaio 1965, n. 84, in Cons. Stato, 1965, I, p. 1615. Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 1966, n. 956, in Cons. Stato, 1966, I, p. 1261. Tar Toscana, 18 giugno 1988, n. 954, in Trib. amm. reg., 1988, I, p. 2733. (49) Da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 31 ottobre 2016, n. 4567, in www.giustizia-amministrativa.it. DoTTrInA 243 mento del decisum giudiziale, che viene arricchito nel contenuto e negli effetti dalla attività finalizzata alla sua ottemperanza. Alla stregua di ogni rapporto giuridico, anche il rapporto amministrativo, come definito ope iudicis, continua a vivere nella realtà giuridica, risentendo di eventuali mutamenti, di fatto e di diritto, susseguenti alla adozione della sentenza. Tali mutamenti, che assumono il nome di sopravvenienze, incidono negativamente sul concreto dispiegarsi degli effetti del decisum giudiziale, confermando ancora una volta la relatività del giudicato amministrativo (50) e la sua strutturale incompletezza. L’influenza delle sopravvenienze si esercita, in particolare, sui tratti dell’azione amministrativa, non coperti dal giudicato e sugli effetti futuri demandati alla riedizione del potere. Ad assumere rilievo -si badi - sono le sole sopravvenienze idonee a determinare un assetto di interessi inconciliabile, in tutto o in parte, con il regolamento di interessi definito dalla sentenza. 5. L’esecuzione del giudicato da parte della amministrazione. I peculiari tratti distintivi della sentenza amministrativa, ancorché non definitiva (51), si evidenziano chiaramente nel complesso di attività finalizzate alla sua esecuzione (52). Tali attività mirano alla riedizione del potere, ora per allora, sulla base delle direttive e dei vincoli stabiliti in sentenza. Il giudizio amministrativo, infatti, pone “la regola del comportamento dell’amministrazione, che è, insieme, canone di valutazione del comportamento passato e precetto per l’azione futura” (53). La riedizione del potere è, frequentemente, connotata da discrezionalità più o meno ampia, la quale contribuisce a definire contenuto ed effetti del giudicato. Il carattere retroattivo dell’esecuzione ammette deroghe (54), dovendosi misurare con le circostanze del caso concreto e con la tipologia di interessi in (50) In proposito, p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., p. 8: “La certezza e l’immutabilità non costituiscono affatto, ad un’analisi realistica, attributi predicabili del giudicato amministrativo”. (51) Ai sensi dell’art. 33, II co., C.p.a., la sentenza di primo grado, quale atto imperativo, è già immediatamente esecutiva, contenendo l’ordine alla Amministrazione di eseguire quanto disposto dal giudice, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato. (52) In dottrina, tra i tanti, r. VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, spec. pp. 118 ss. A.M. SAnDULLI, il problema dell’esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo, in Dir. e soc., 1982, pp. 22 ss. B. SASSAnI, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto. ottemperanza amministrativa e tutela civile esecutiva, Milano, 1997, pp. 1 ss. C. CALABrò, voce Giudizio amministrativo per l’ottemperanza ai giudicati, in Enc. giur. Treccani, agg., roma, 2003, pp. 1 ss. r. UrSI, L’esecuzione immediata della sentenza amministrativa, Torino, 2003, pp. 1 ss. M. SAnIno, il giudizio di ottemperanza, Milano, 2014, passim. (53) M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit., pp. 384-385. (54) particolarmente significativa, in giurisprudenza, Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 1984 n. 344, in Cons. Stato, 1984, p. 982, secondo cui le sopravvenienze sono in grado di impedire la puntuale retroattività degli effetti della pronuncia giurisdizionale. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 rilievo. In particolare, il ripristino dello status quo ante rinviene un limite, in primo luogo, negli irreversibili mutamenti della realtà materiale intervenuti tra l’adozione del provvedimento (poi caducato) e la emanazione della sentenza; in secondo luogo, negli eventi sopravvenuti alla pronuncia che tendono a riverberarsi sugli effetti futuri del decisum giudiziale. È convincimento diffuso che la sentenza rappresenti una parentesi tra due momenti dell’azione amministrativa, l’uno antecedente il giudizio e l’altro successivo volto all’ottemperanza del decisum giudiziale. ogni sentenza del giudice amministrativo necessita, peraltro, di esecuzione, a meno che non sia auto-applicativa. Alla stregua di un Giano bifronte, il giudicato amministrativo è, per un lato, rivolto al passato e, per l’altro, proiettato al futuro alla ricerca di un suo completamento attuativo nella rinnovazione del potere. Infatti, il giudicato “come incide nel procedimento da cui era scaturito l’atto impugnato, eliminandolo, così funge da presupposto per un nuovo procedimento, che l’amministrazione è costretta ad iniziare o riprendere, in conseguenza dell’annullamento” (55); in altre parole ha una dimensione diacronica. Ciò in ragione del fatto che la sentenza non contiene la regolamentazione esaustiva del rapporto tra le parti e, di conseguenza, all’Amministrazione è affidato il compito di eseguire il giudicato attraverso attività discrezionali che ne ampliano il contenuto e gli effetti. Tuttavia, come acutamente osservato, “tra la pronuncia del giudice e l’ulteriore attività della p.a. può frapporsi un nuovo elemento costituito dalla modificazione dei presupposti di fatto e di diritto dell’esecuzione del potere” (56). Specialmente nel giudicato di annullamento, l’effetto conformativo deve essere valutato dall’Amministrazione unitamente al mutamento della situazione di fatto e di diritto. In altri termini la riedizione del potere non può non considerare eventi sopravvenuti che intervengano tra l’adozione della sentenza di primo grado e la notificazione della sentenza irrevocabile (57). Qualora, invece, l’Amministrazione rimanga inerte oppure ponga in essere atti violativi od elusivi del giudicato, il ricorrente vittorioso potrà rivolgersi al giudice amministrativo per l’ottemperanza della sentenza. Il giudizio di ottemperanza ha, secondo la più diffusa dottrina, natura giuridica mista, di esecuzione e di cognizione. Ciò significa che all’attuazione del decisum il giudice provvede talora attraverso una mera attività materiale o giuridica di esecuzione, talaltra mediante l’individuazione, al termine di (55) F. SATTA, Giustizia amministrativa, padova, 1986, p. 412. (56) A. AnDreAnI, Dispositivo e contenuto decisorio della sentenza amministrativa (una premessa per lo studio del giudizio di ottemperanza), in riv. dir. proc., 1983, p. 479. (57) Contra C.e. GALLo, Giudicato amministrativo e successione della legge nel tempo, in Foro it., 1980, III, p. 99. per l’Autore se l’annullamento è retroattivo e l’Amministrazione deve provvedere ora per allora la retrodatazione dell’attività rinnovatoria impone che sia applicata la disciplina vigente al momento della presentazione del ricorso. DoTTrInA 245 un'autonoma fase di cognizione, di un rinnovato assetto di interessi, con una sentenza dal contenuto caducatorio o condannatorio. In questa seconda ipotesi, il giudizio di ottemperanza disvela e affina progressivamente i contenuti del giudicato, in virtù di una statuizione analoga a quella di un nuovo giudizio di cognizione (58). La tesi del giudicato a formazione progressiva, sia pur autorevolmente sostenuta da una parte della dottrina (59) e della giurisprudenza (60), presta il fianco a critiche sia per l’assenza di un puntuale fondamento normativo sia per il carattere eventuale del giudizio di ottemperanza, venendo esso in rilievo nelle sole ipotesi di mancata o inesatta esecuzione del giudicato da parte della Amministrazione (61). Il vantaggio, tuttavia, di un giudicato a formazione progressiva si rinverrebbe ora nella possibilità di un completamento della sentenza attraverso statuizioni integrative, ora nella possibilità di una ridefinizione della sua efficacia, utile ad esempio per scongiurare il consolidamento di effetti contrari al diritto europeo. Il giudicato amministrativo può incidere su una pluralità di fattispecie classificabili in due grandi tipologie: a) le fattispecie complete, ormai esauritesi, che nel provvedimento impugnato hanno la propria definizione; b) le fattispecie incomplete che dal provvedimento traggono origine ma sono orientate al futuro, postulando un’ulteriore attività amministrativa di completamento. Tale summa divisio in parte intercetta la distinzione tra situazioni giuridiche istantanee e situazioni giuridiche durevoli. Gli eventi sopravvenuti incidono sulle fattispecie incomplete e sulle situazioni soggettive durevoli, specialmente nel periodo cronologicamente successivo alla emanazione della sentenza. In generale, il fenomeno delle sopravvenienze impone un bilanciamento fra il principio di naturale dinamicità dell’azione amministrativa ed il principio di effettività della tutela delle situazioni giuridiche soggettive (62). Immanente, del resto, è il pericolo che la durata del processo possa arrecare nocumento al (58) In proposito, Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2008, n. 796; Cons. Stato, sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4131; Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2013, n. 2680; Cons. Stato, 26 giugno 2013, n. 3517, in www.giustizia-amministrativa.it. (59) per tutti, M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit. C. CALABrò, voce Giudicato (Dir. proc. amm.), in Enc. giur. Treccani, agg., op. cit., passim. (60) Ex plurimis, Cons. Giust. Amm., 29 ottobre 1994, n. 406, in mass. Cons. Stato, p. 479. Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2008, n. 796, cit. Da ultimo, Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, cit., secondo cui la dinamicità e la flessibilità del giudicato amministrativo nel dialogo con il successivo esercizio del potere consentirebbero al giudice dell’ottemperanza non solo di completare la sentenza con nuove statuizioni integrative, ma altresì di specificarne portata ed effetti. (61) A ben vedere, il giudizio volto ad ottenere chiarimenti sulle modalità dell’ottemperanza non sembra ampliare i contenuti del giudicato amministrativo. (62) e. CApACCIoLI, Per l’effettività della giustizia amministrativa (saggio sul giudicato amministrativo), in impr. amb. e p.a., 1977, p. 3. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 ricorrente vittorioso. Infatti, come affermato in dottrina, “la domanda giudiziale deve ricevere soddisfazione come se non vi fosse distacco temporale fra domanda, pronuncia giudiziale e attuazione di questa” (63). In tal senso, il tempo necessario per l’esecuzione della sentenza non deve arrecare pregiudizio alla parte, a causa di eventi esterni, sopravvenuti, capaci di limitare o precludere l’efficacia del giudicato. L’influenza concretamente esercitata dalle sopravvenienze dipende da vari fattori tra cui la tipologia di giudicato in rilievo, l’intensità del sindacato giurisdizionale e l’accoglimento o il rigetto della domanda. In particolare, se trattasi di sindacato pieno, le sopravvenienze non hanno, normalmente, incidenza sul rapporto oggetto di giudizio, rimanendo interamente assorbite dall’accertamento giudiziale (64). Diversamente, qualora il giudice non eserciti un sindacato pieno sul rapporto, l’Amministrazione dovrà valutare l’incidenza delle sopravvenienze in quanto nel conformarsi alla pronuncia, sarà tenuta a considerare il mutato quadro fattuale e giuridico di riferimento anche a seguito della formazione del giudicato. In altri termini, se la sentenza attribuisce in via diretta al ricorrente il bene della vita, ogni sopravvenienza ad essa successiva non ne influenzerà l’efficacia (65); ciò poiché in tale fattispecie l’Amministrazione è chiamata ad una attività di mera esecuzione, alla stregua di quanto accade per la sentenza civile. Viceversa, qualora il bene della vita sia conferibile esclusivamente all’esito di una attività di tipo discrezionale, l’Amministrazione è obbligata a considerare i mutamenti di fatto e di diritto, susseguenti alla sentenza e rilevanti al momento del provvedere. In special modo, le sopravvenienze di fatto rappresentano una categoria fortemente eterogenea, costituita da una pluralità di fattispecie tra loro differenti. L’impedimento materiale può essere, per esempio, dovuto ad una significativa rivalutazione dell’interesse pubblico concreto, alla perdita della disponibilità giuridica del bene oppure alla creazione o al consolidamento di situazioni in favore di terzi in buona fede (66). Tali eventi possono rendere, in tutto o in parte, ineseguibile il giudicato (67), frustrando così la legittima aspet- (63) M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit., p. 394. Trattasi di un principio generale che, seppur elaborato nel processo civile, trova applicazione anche nel giudizio amministrativo. (64) Il giudicato è per lo più intangibile alle sopravvenienze normative ove la sentenza si pronunci in modo pieno sul rapporto, sì da rendere vincolata la successiva attività amministrativa; l’incidenza delle sopravvenienze sarà, per esempio, marginale in caso di accoglimento di una domanda di adempimento ai sensi dell’art. 34, co. I, lett. c, C.p.a. (65) In proposito, Cons. Stato, 19 giugno 2012, n. 3569, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui le sopravvenienze incidono sulla sentenza divenuta irrevocabile con riferimento ai tratti del- l’attività amministrativa che non risultino interamente predeterminati dal decisum giudiziale. In dottrina, A. TrAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, XII ed., Torino, 2016, p. 380: “Le sentenze che determinino obblighi puntuali a carico dell’amministrazione, come quelle che abbiano accolto un’azione di adempimento, sarebbero tendenzialmente insensibili alle sopravvenienze”. DoTTrInA 247 tativa del ricorrente al ripristino retroattivo della situazione controversa o più in generale al conseguimento del bene della vita. Le sopravvenienze di diritto, a loro volta, si identificano nei mutamenti della normativa, susseguenti alla sentenza, che introducono una disciplina differente rispetto a quella applicata nel decisum giudiziale. Le sopravvenienze di diritto sono etichettate con la formula ius superveniens che si distingue in retroattivo e non retroattivo. Un orientamento giurisprudenziale, ormai superato, considera applicabile alle sopravvenienze di diritto la normativa vigente al momento della adozione del provvedimento illegittimo, secondo una rigida applicazione del principio tempus regit actum (68). Secondo altro orientamento, occorre invece riferirsi esclusivamente alle norme vigenti al momento della riedizione del potere in nome e a tutela dell’interesse pubblico (69). Un terzo orientamento, oggi maggioritario, afferma che le sopravvenienze normative hanno rilievo fino alla data di notificazione della sentenza divenuta irrevocabile (70); se ne rinvia l’analisi al prosieguo della trattazione. per porre un argine ai pericoli sopra descritti la giurisprudenza amministrativa ha progressivamente individuato correttivi e temperamenti alla operatività delle sopravvenienze (71) per assicurare stabilità al contenuto precettivo del giudicato nonché effettiva soddisfazione alla pretesa del ricorrente vittorioso. Ciononostante, l’impatto di molte sopravvenienze, specie di fatto, è tale da influenzare grandemente l’esecuzione del giudicato amministrativo e la produzione dei relativi effetti, confermandone ancora una volta la natura rebus sic stantibus. (66) Ex multis, Cons. Stato, sez. V, 13 agosto 1996, n. 923, in Cons. Stato, 1996, I, p. 1177. Cons. Stato, sez. VI, 27 novembre 1996, n. 1651, in Cons. Stato, 1996, I, p. 1813. Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2004, n. 3711, in Foro amm. Cons. Stato, 2004, p. 1655. (67) M. SAnIno, il giudizio di ottemperanza, op. cit., p. 58. (68) Cons. Stato, sez. I, 9 dicembre 1959, n. 2008, in Cons. Stato, 1960, I, p. 2202. Tar Abruzzo, 27 aprile 1976, n. 115, in Trib. amm. reg., 1976, I, p. 2501. Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 1982, n. 909, in Cons. Stato, 1982, I, p. 1564. (69) Adun. plen. Cons. Stato, 30 giugno 1958, n. 7, in Cons. Stato, 1958, I, p. 541. Tar Lombardia, 24 novembre 1976, n. 613, in Trib. amm. reg., 1977, I, p. 111. Tar Lombardia, 3 dicembre 1984, n. 380, in Trib. amm. reg., 1985, p. 541. (70) Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 1983, n. 845, in Cons. Stato, 1983. Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 1983, n. 40, in Cons. Stato, 1983, I, p. 30. Adun. plen. Cons. Stato, 8 gennaio 1986, n. 1, in Foro it., cit., p. 97. Tar Toscana, 29 settembre 1987, n. 717, in Trib. amm. reg., 1987, I, p. 3802. Tar Lazio, sez. III, 15 luglio 1989, n. 1306, in Trib. amm. reg., 1989, I, p. 2821. Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 1998, n. 39, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 10 gennaio 2000, n. 125, in Cons. Stato, 2000, I, p. 39. Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, cit. (71) È evidente come non tutte le sopravvenienze operino allo stesso modo sulla esecuzione del giudicato e anche da una rassegna della casistica giurisprudenziale emerge un quadro variegato e composito con soluzioni spesso calibrate sulle peculiarità del caso concreto. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 6. Le sopravvenienze. Il fenomeno della incidenza delle sopravvenienze sulla esecuzione della sentenza amministrativa è affrontato solo incidentalmente dalla dottrina negli studi sul giudicato e sull’ottemperanza mentre riceve maggiori attenzioni da parte della giurisprudenza in una ampia casistica applicativa. nel sistema della giustizia amministrativa per sopravvenienza deve intendersi l’evento, fattuale o giuridico, successivo alla emanazione sentenza, ancorché non passata in giudicato, che incide, in senso modificativo o preclusivo, sulla efficacia della statuizione giudiziaria (72). In particolare, l’evento sopravveniente può essere costituito tanto da una situazione di fatto quanto dall’entrata in vigore di una legge o dall’acquisto dell’efficacia da parte di un regolamento o di un atto amministrativo generale. Diversamente, esulano dalla categoria delle sopravvenienze in senso proprio, le sopravvenienze anteriori alla emanazione della sentenza di primo grado. Si pensi ai mutamenti, di fatto o di diritto, emersi in corso di causa e che hanno costituito oggetto, potenziale od effettivo, del giudizio di cognizione. Come insegna la giurisprudenza amministrativa, tali sopravvenienze, c.d. atecniche o improprie, devono essere considerate (ed applicate) dal giudice direttamente in sede processuale e, ove ciò non accada, la parte che vi abbia interesse potrà impugnare la sentenza per errore di diritto (73). Il problema delle sopravvenienze (in senso rigoroso e proprio) si inserisce nella più ampia tematica della esecuzione della sentenza amministrativa, ancorché non definitiva. Infatti, le sopravvenienze, di fatto e di diritto, hanno l’attitudine a colpire, in senso limitativo o preclusivo, la riedizione del potere amministrativo, incidendo, così, sulla efficacia diacronica della sentenza, specie in relazione agli interessi legittimi pretensivi, come noto suscettibili di soddisfazione solo a seguito di un nuovo intervento dell’Amministrazione (74). (72) In tema, M. nIGro, il giudicato amministrativo ed il processo di ottemperanza, in il giudizio di ottemperanza, atti del XXVii Convegno di studi scienza dell’amministrazione, Varenna, 1981, op. cit., pp. 71 ss. M. CLArICh, Giudicato e potere amministrativo, op. cit., p. 257. p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., pp. 366 ss. S. peronGInI, La formula “ora per allora” nel diritto pubblico. Vol. ii. il provvedimento amministrativo “ora per allora”, napoli, 1999, pp. 391 ss. B. MArCheTTI, L’esecuzione della sentenza amministrativa prima del giudicato, op. cit., pp. 121 ss. C. CACCIAVILLAnI, Giudizio amministrativo e giudicato, op. cit., p. 298. V. LopILATo, il giudicato, in il nuovo diritto processuale amministrativo, a cura di G.p. CIrILLo, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. SAnTAnIeLLo, padova, 2014, pp. 1101 ss. (73) Ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 5 luglio 2011, n. 4037, in Foro amm. Cons. Stato, 2011, p. 2494. (74) Si consideri un giudicato di annullamento di un diniego di concessione domandata da un privato. Il soddisfacimento in concreto dell’interesse legittimo pretensivo del ricorrente passa necessariamente per la riedizione del potere amministrativo volta al rilascio della concessione richiesta. Su tale attività rinnovatoria, finalizzata alla attuazione del decisum giudiziale, possono incidere eventi sopravvenuti idonei a paralizzare, in tutto o in parte, l’efficacia della sentenza. per esempio, ove muti la disci DoTTrInA 249 In tal senso, è necessario verificare se gli effetti giuridici sopravvenuti si inseriscano in un rapporto di compatibilità con gli effetti giuridici accertati in giudizio o, viceversa, risultino con essi in conflitto; in quest’ultima ipotesi si avrà una rimodulazione degli effetti nel tempo del decisum giudiziale. nel panorama così delineato l’efficacia rebus sic stantibus del giudicato discende inevitabilmente dalla sua struttura. Come ritenuto dalla giurisprudenza, il giudicato riguarda una situazione di fatto ed una norma del passato sicché il suo vincolo non coprirebbe gli effetti giuridici successivi al tempo del processo né i fatti futuri (75). L’efficacia della sentenza amministrativa è, per sua natura, modulata da eventi sopravvenuti, di cui l’Amministrazione deve tener conto nella attività di rinnovazione del potere che, come noto, si svolge nell’alveo tracciato dal vincolo conformativo (76). In tale quadro le sopravvenienze possono incidere sulla realizzabilità in concreto del giudicato, limitandone o precludendone l’efficacia nel tempo. In particolare, l’attività rinnovatoria della Amministrazione varia per ampiezza discrezionale in ragione della latitudine e dell’intensità dell’accertamento contenuto in sentenza. più è esteso l’ambito di accertamento coperto dal giudicato, come, ad esempio, nelle sentenze di accoglimento, più risulta circoscritto lo spazio di discrezionalità attribuito alla Amministrazione. L’attività di esecuzione della sentenza acquisisce centrale rilievo ai fini della concreta esplicazione degli effetti solo tratteggiati nel decisum giudiziale; ed è proprio su tali effetti che le sopravvenienze, di fatto e di diritto, intervengono in senso limitativo od ostativo. Ciò si spiega considerando la relatività e l’incompletezza del giudicato amministrativo, per sua natura esposto alla incidenza di eventi sopravvenuti (77). L’operatività delle sopravvenienze se, da un lato, assicura un costante adeguamento dell’azione amministrativa alla situazione presente al momento del provvedere, dall’altro, rischia di pregiudicare la legittima aspettativa del ricorrente vittorioso alla puntuale esecuzione della sentenza (78). A riguardo frequenti risultano le ipotesi di c.d. inottemperanza consentita in cui l’Amministrazione non esegue, in tutto o in parte, il giudicato per il sopraggiungere di eventi, fattuali o normativi, tali da limitarne o precluderne l’efficacia. In plina di riferimento sì da trasformare l’originario diniego invalido in atto perfettamente legittimo, emergerà un ostacolo alla esecuzione (nonché alla efficacia) di un giudicato fondato su una differente normativa non più in vigore. (75) Adun. plen. Cons. Stato, 10 dicembre 1998, n. 9, cit. (76) Adun. plen. Cons. Stato, 29 aprile 2005, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2007, n. 4991, in www.giustizia-amministrativa.it. (77) In proposito, F. SATTA, Brevi note sul giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., 2007, p. 302: “Gli effetti del giudicato non sono dunque certi. Elementi sopravvenuti possono rovesciarne in concreto gli effetti astratti”. (78) esemplare, a riguardo, Adun. plen. Cons. Stato, 21 febbraio 1994, n. 4, in Cons. Stato, 1994, I, p. 120. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 questi casi il giudicato viene disatteso, senza essere violato. Va precisato, tuttavia, come tali eventi sopravvenuti non debbano risultare imputabili alla Amministrazione su cui grava, conseguentemente, il divieto di creare ad arte sopravvenienze fittizie con la finalità di non ottemperare alla sentenza. Il deprecabile fenomeno delle sopravvenienze fittizie si rintraccia, alle volte, in materia urbanistica ove la stessa Amministrazione che ha emesso l’atto annullato adotti capziosamente un nuovo strumento urbanistico in conflitto con l’assetto definito dal precedente giudicato (79). Si ha in tal caso una sopravvenienza di diritto imputabile alla medesima Amministrazione agente. L’Amministrazione non può, comunque, sottrarsi all’obbligo di conformarsi al giudicato “allegando motivi di ordine pubblico, di opportunità, oppure difficoltà pratiche o tecniche, ovvero ragioni di interesse pubblico, o ancora, l’esaurimento di fondi di bilancio o le difficoltà di cassa dell’ente” (80). In ogni caso al ricorrente vittorioso, penalizzato dalle sopravvenienze, è attualmente accordata una tutela risarcitoria per equivalente (81), ai sensi del- l’art. 112, co. III, C.p.a., per mancata esecuzione, totale o parziale, del giudicato (82). Come analizzato, le sopravvenienze determinano per l’Amministrazione l’impossibilità (sopravvenuta) di eseguire la sentenza, la quale conseguentemente è amputata nella sua efficacia ossia nella capacità di incidere in modo innovativo sulla realtà amministrativa. È evidente, poi, come ai fini della misurazione dell’impatto delle sopravvenienze sulla esecuzione della sentenza rilevi grandemente la natura, istantanea o durevole, delle situazioni soggettive in rilievo, insieme alla completezza o meno della fattispecie giudicata. Inoltre, le sopravvenienze in senso proprio, più che incidere sull’accertamento giudiziale nella parte orientata al passato, tendono ad influenzare gli effetti futuri, astrattamente tratteggiati in sentenza, la cui produzione è in concreto affidata alla Amministrazione con la rinnovazione del potere. Come acutamente osservato, “ciò che deve cedere ai nuovi fatti ed alle nuove (79) riferimenti alla categoria delle sopravvenienze disponibili da parte della Amministrazione si rinvengono in F. MerUSI, G. SAnVITI, L’ingiustizia amministrativa in italia: per la riforma del processo amministrativo, Bologna, 1986, pp. 12 ss. (80) p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., pp. 363-364. In tema già M.S. GIAnnInI, Contenuto e limiti del giudizio di ottemperanza, in atti del Convegno sull’adempimento del giudicato amministrativo, na- poli, 1960, Milano, 1962, pp. 142 ss. (81) Sulla complementarietà tra ripristinazione e risarcimento, in dottrina, A. TrAVI, L’esecuzione della sentenza, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. CASSeSe, vol. V, Milano, 2003, p. 4624. In giurisprudenza, a titolo esemplificativo, Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2003, n. 1077, in www.giustizia-amministrativa.it. (82) Adun. plen. Cons. Stato, 15 gennaio 2013, n. 2; Adun. plen. Cons. Stato, 13 aprile 2015, n. 4; Adun. plen. Cons. Stato, 9 febbraio 2016, n. 2; Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1551, in www.giustizia-amministrativa.it. Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, cit. DoTTrInA 251 norme sono gli effetti che il vincitore vorrebbe trarre dal giudicato, ma che non ne derivano ex lege: ex lege dal giudicato deriva soltanto (non quali fossero ma) quali erano i fatti in base ai quali il provvedimento era stato adottato e se alla data della sua emanazione tale provvedimento (non fosse, ma) era legittimo o illegittimo” (83). Dunque, nella proiezione futura il vincitore aspira a trarre oggi effetti dal giudicato come se nulla fosse medio tempore accaduto. Tuttavia, gli effetti cui aspira non discendono direttamente dal giudicato ma sono, in realtà quelli che avrebbe dovuto produrre il provvedimento. Tali effetti possono in concreto prodursi, però, solo a seguito della attività di rinnovazione del potere la quale, pur operando ora per allora, non può non tener conto dei mutamenti di fatto e di diritto nel frattempo realizzatisi. Di conseguenza sono proprio gli effetti non prodottisi, o non irreversibilmente prodottisi del provvedimento impugnato ad essere influenzati dalle sopravvenienze (84). È di tutta evidenza, allora, come le sopravvenienze in senso proprio presentino l’attitudine a riscrivere gli effetti futuri del giudicato ossia gli effetti che si esplicano in un orizzonte temporale susseguente alla adozione della sentenza (anche di primo grado) attraverso la riedizione del potere. Tutto ciò conferma la natura rebus sic stantibus del giudicato amministrativo (85), la cui efficacia dipende dal permanere invariato della situazione di fatto e di diritto considerata dal decisum giudiziale. In altri termini, la sentenza amministrativa, in una prospettiva non formalistica, pone una regola condizionata alla inesistenza di fatti e norme sopravvenuti. La giurisprudenza ha, tuttavia, stabilito alcune limitazioni alla operatività delle sopravvenienze, affermando la loro irrilevanza (con relativa inopponibilità al ricorrente vittorioso) se intervenute dopo la notificazione della sentenza irrevocabile. (In realtà alcune particolari sopravvenienze rileverebbero (83) F. SATTA, Brevi note sul giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm., op. cit., p. 312. (84) Come detto, le sopravvenienze possono intervenire tra l’adozione del provvedimento poi ca- ducato e l’emanazione della sentenza (sopravvenienze atecniche) oppure successivamente ad essa (sopravvenienze in senso proprio). (85) Brevi cenni alla efficacia rebus sic stantibus del giudicato amministrativo si rinvengono nei contributi di F. CAMMeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa. Vol. i. ricorsi amministrativi. Giurisdizione ordinaria, Milano, 1910, pp. 302 ss. r.S. TrenTIn, La cosa giudicata nelle decisioni delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, pisa, 1910, p. 242. L. BeneDICenTI, Contributo allo studio dell’autorità della cosa giudicata nelle giurisdizioni amministrative, Genova, 1930, p. 110 spec. nota 1. o. rAneLLeTTI, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, Milano, 1934, p. 503, nota 1. M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit., p. 306. A. AnDreAnI, Dispositivo e contenuto decisorio della sentenza amministrativa (una premessa per lo studio del giudizio di ottemperanza), in riv. dir. proc., op. cit., pp. 479 ss. e. FerrArI, La decisione giurisdizionale amministrativa: sentenza di accertamento o sentenza costitutiva?, in Dir. proc. amm., 1988, p. 595. M. CLArICh, Giudicato e potere amministrativo, op. cit., pp. 257-258. p.M. VIpIAnA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., p. 366. C. CACCIAVILLAnI, Giudizio amministrativo e giudicato, op. cit., p. 305. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 sul giudicato anche dopo tale momento temporale con esclusivo riferimento, però, ai rapporti di durata). In proposito, per l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 9 giugno 2016, n. 11 “l’esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e di diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile”. Il Supremo Consesso ha, inoltre, aggiunto che con particolare riguardo alle situazioni e ai rapporti di durata le sopravvenienze incidono “nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima” (86). Si afferma, così, il principio in base al quale la regola generale della retroattività del- l’esecuzione del giudicato rinviene un ostacolo naturale nei mutamenti sopravvenuti della realtà, tali da precludere un integrale effetto ripristinatorio. Il momento della notificazione della sentenza, divenuta irrevocabile, si configura quale barriera temporale che, tuttavia, non è in grado, di arginare l’operatività di quelle sopravvenienze di fatto che, trasformando irreversibilmente la realtà materiale, determinino l’ineseguibilità e quindi l’inefficacia, totale o parziale, del giudicato. 6.1. Le sopravvenienze di fatto. La vexata quaestio della incidenza delle sopravvenienze di fatto sulla esecuzione della sentenza presenta caratteri generali. ogni sentenza, del resto, ha come referente temporale un determinato momento storico cui parametrare la produzione dei propri effetti. Tuttavia, l’accertamento giudiziale, pur volgendosi al passato, proietta inevitabilmente la propria efficacia anche al futuro. In tal senso, infatti, “il rapporto, dopo la sua determinazione ad opera del giudice, continua a vivere nella realtà giuridica e risente dei mutamenti che si possono verificare successivamente all’accertamento” (87), specie ove sopraggiungano fatti nuovi. La necessità di individuare limiti cronologici alla efficacia del giudicato (88) rappresenta un problema di teoria generale, comune, dunque, al processo civile ed al processo amministrativo. A fronte di sopravvenienze di fatto, direttamente incidenti sulla efficacia della sentenza, la Corte di Cassazione ha in più occasioni affermato la natura (e l’efficacia) rebus sic stantibus del giudicato civile. In tale prospettiva, “la sentenza conserva la forza del giudicato solo fin quando resta inalterata la (86) Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, cit., che a sua volta richiama Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 2013, n. 898, in www.iusexplorer.it. (87) S. MenChInI, il giudicato civile, op. cit., p. 233. (88) G. CrISToFoLInI, Effetti della sentenza nel tempo, in riv. dir. proc. civ., 1935, I, pp. 295 ss. S. MenChInI, il giudicato civile, II ed., op. cit., pp. 233 ss. DoTTrInA 253 situazione di fatto sulla quale essa è imperniata e quindi perde efficacia in relazione al sopravvenire di una diversa situazione” (89). La tesi de qua trova estensiva applicazione anche al giudicato amministrativo che, per sua natura, vive continuamente esposto alle sopravvenienze (90). In particolare, le sopravvenienze di fatto rappresentano eventi susseguenti alla emanazione della sentenza che incidono direttamente sulla sua esecuzione e, in particolare, sulla produzione degli effetti futuri del dictum giudiziale (91). Attraverso una prassi sfavorevole al ricorrente vittorioso, la giurisprudenza spesso equipara al fatto sopravvenuto il fatto a conoscenza sopravvenuta, intendendo per quest’ultimo il fatto che, pur preesistendo alla pronuncia del giudice (e al provvedimento amministrativo oggetto di cognizione) sia stato conosciuto dalla Amministrazione solo in sede di riedizione del potere. In via generale, l’Amministrazione in sede di ottemperanza è tenuta, sia pure entro ragionevoli limiti, a prendere in considerazione le sopravvenienze di fatto, stante la loro attitudine ad influenzare, in senso limitativo o preclusivo, l’efficacia del giudicato (92). Sussiste, del resto, un nesso di condizionalità permanente tra il dispiegarsi degli effetti futuri della sentenza ed i fatti costitutivi oggetto dell’accertamento giudiziale. Le sopravvenienze di fatto godono, quindi, della capacità di influenzare l’esecuzione in forma specifica della sentenza. Alla stregua di quelle di diritto, esse postulano l’annoso problema di conciliare il principio di effettività della tutela giurisdizionale, corollario di una puntuale esecuzione del giudicato, con il principio di preminenza dell’interesse pubblico espresso dal- l’adeguamento della azione amministrativa ai mutamenti fattuali medio tempore intervenuti. per quanto concerne la loro incidenza sul giudicato, le sopravvenienze di fatto limitano e financo precludono l’effetto ripristinatorio (93). L’evento fattuale sopravvenuto va, del resto, ad influenzare l’efficacia del giudicato im- (89) Cass. civ., 24 agosto 1998, n. 8358, in rass. loc., 1999, p. 288. In senso conforme, Cass. civ. Sez. Un., 2 ottobre 2012, n. 16728., in www.iusexplorer.it. (90) M.S. GIAnnInI (a cura di), La giustizia amministrativa, roma, 1972, p. 171: “Non è (…) che la sopravvenienza di interessi pubblici faccia venir meno l’effetto di cosa giudicata, bensì, più semplicemente che tale effetto nasce definito e delimitato dalla situazione di fatto che è alla base della decisione giurisdizionale”. (91) A riguardo, o. rAneLLeTTI, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, op. cit., p. 503, nota 1: “Non è che la decisione perde la sua efficacia di cosa giudicata, perché mutano le circostanze di fatto, in base alle quali fu pronunciata; ma è vero, invece, che essa non si estende, nella sua efficacia di giudicato, a provvedimenti fondati su mutate circostanze di fatto”. (92) In giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 1996, n. 874 in Dir. proc. amm., 1997, p. 566. Cons. Stato, sez. V, 13 agosto 1996, n. 923, in Cons. Stato, 1996, p. 1177. Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7778, in Cons. Stato, 2003, p. 2607. Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2004, n. 3711, in Foro amm. Cons. Stato, 2004, p. 1655. (93) per orientamento consolidato da Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 1977, n. 537, in Cons. Stato, 1977, I, p. 778. Tar Toscana, 12 novembre 1988, n. 1763, in Trib. amm. reg., 1988, I, p. 229. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 pedendo, in tutto o in parte, la riedizione del potere, ora per allora. In particolare, centrale rilievo rivestono gli eventi sopravvenuti in grado di modificare irreversibilmente la realtà materiale, ostacolando l’attività rinnovatoria della Amministrazione (94). In tale ipotesi, del resto, l’effetto ripristinatorio del giudicato rinviene un limite insuperabile nel principio del fatto compiuto, espresso dal brocardo "quod factum est infectum fieri nequit". Si assiste, così, ad una deroga all’obbligo della Amministrazione di assicurare puntuale ed effettiva esecuzione al giudicato (95), riconducibile alla presenza di un evento esterno che osta alla produzione degli effetti tipici della sentenza. L’Amministrazione è, comunque, obbligata a motivare puntualmente le ragioni effettivamente impeditive alla esecuzione del decisum giudiziale. Diversamente dalle sopravvenienze di diritto, le sopravvenienze di fatto, ove irreversibili ed incompatibili con l’accertamento giudiziale, provocano necessariamente la totale inesecuzione della sentenza. L’impatto di tali eventi sopravvenuti è oggi mitigato dalla possibilità per il ricorrente vittorioso di ricevere una tutela risarcitoria per equivalente ai sensi dell’art. 112, co. III, C.p.a. La variegata casistica applicativa ricomprende tra le sopravvenienze fattuali i mutamenti della realtà legati al decorso del tempo e dipendenti dalle vicende della fattispecie nonché i mutamenti dalla medesima indipendenti e prodotti da fatti riconducibili a terzi (96). In definitiva, le sopravvenienze fattuali in senso proprio sono quelle sopravvenienze che appaiono successivamente alla adozione della sentenza e non sono, in linea di massima, imputabili alla Amministrazione; sono pertanto escluse dalla categoria, le sopravvenienze intervenute nel corso del processo, in quanto oggetto, potenziale od effettivo, della cognizione del giudice (97). 6.2. Le sopravvenienze di diritto. Con l’espressione sopravvenienze di diritto (o ius superveniens) (98) si è soliti far riferimento alla normativa che, intervenuta successivamente alla emanazione della sentenza, disciplini in modo eterogeneo la fattispecie ed i suoi (94) Tar Molise, 29 agosto 2007, n. 653; Tar Veneto, sez. II, 2 luglio 2007, n. 2127, in www.giustizia-amministrativa.it. (95) Così, per esempio, le difficoltà finanziarie devono superarsi ponendo in essere tutte le iniziative necessarie per un tempestivo adempimento. A riguardo, Tar Salerno, sez. I, 7 marzo 2007, n. 213; Tar Basilicata, 22 febbraio 2007, n. 77, www.giustizia-amministrativa.it. (96) Cons. Stato, sez. V, 13 agosto 1996, n. 923, cit., p. 1177. Cons. Stato, sez. VI, 27 novembre 1996, n. 1651, cit., p. 1813. Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2004, n. 3711, cit., p. 1655. (97) Cons. Stato, sez. VI, 30 luglio 2003, n. 4404, in Cons. Stato, 2003, p. 1658. Cons Stato, sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7778, cit. (98) p.M. VIpIAnA Contributo allo studio del giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, op. cit., pp. 370 ss. L. FerrArA, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, Milano, 2003, p. 229 ss. C. CACCIAVILLAnI, Giudizio amministrativo e giudicato, op. cit., pp. 296 ss. DoTTrInA 255 effetti. In tal senso, le sopravvenienze di diritto sono idonee ad incidere sul contenuto e sugli effetti della sentenza. Il problematico rapporto tra giudicato amministrativo e ius superveniens afferisce alle questioni, tra loro connesse, della struttura del giudicato, della natura delle situazioni soggettive in rilievo e della tipologia delle norme sopravvenute. Quanto alla struttura, il giudicato amministrativo è caratterizzato da un duplice contenuto, dichiarativo e precettivo. Il contenuto dichiarativo, guardando al passato, incide sulle situazioni soggettive già instauratesi che rientrano nell’accertamento giudiziale. Il contenuto precettivo, invece, orientandosi al futuro, tratteggia la regula iuris cui l’Amministrazione deve prestare osservanza in sede di riesercizio del potere (99). per quanto attiene alla natura delle situazioni soggettive occorre distinguere le situazioni istantanee dalle situazioni durevoli (100). Le situazioni istantanee, oggetto di accertamento giudiziale, risultano insensibili allo ius superveniens, avendo già dispiegato interamente la propria efficacia; diversamente le situazioni durevoli rimangono esposte, sia pure entro ragionevoli limiti, alla normativa sopravvenuta in relazione agli effetti non ancora prodotti (101). In particolare le situazioni durevoli, che sviluppano i propri effetti in un orizzonte temporale prolungato, risultano esposte allo ius superveniens, specie non retroattivo, limitatamente al periodo successivo al giudicato. Si ha in tal caso, in ordine alla medesima situazione soggettiva, una successione cronologica tra la regola indicata in sentenza e la regola introdotta dalla norma successiva. Lo ius superveniens è, dunque, legittimato ad occupare gli spazi liberi lasciati dal giudicato soprattutto se il giudicato non accerti pienamente il rapporto controverso. Il giudicato contiene, sovente, una regola incompleta, a fronte della quale residuano ampi margini di discrezionalità per l’Amministrazione in sede di ottemperanza. Con riferimento, poi, alla tipologia delle norme sopravvenute, la dottrina è solita distinguere tra ius superveniens retroattivo (102) e ius superveniens (99) In proposito, M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit., p. 385, secondo cui “tutta la problematica del giudicato amministrativo ruota così intorno al contenuto, al valore, alla completezza e sufficienza di questa regola”. (100) Sul piano della teoria generale, si considerano istantanee le situazioni che proteggono l’interesse del titolare al conseguimento di un bene e si estinguono allorché il bene è conseguito; sono durevoli, viceversa, le situazioni che tutelano l’interesse del soggetto al conseguimento ed alla conservazione nel tempo del bene della vita. A riguardo, r. CAponI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, op. cit., p. 17: “La caratteristica delle situazioni durevoli di cui si discute è dunque di essere determinate, in ordine alla loro esistenza e modo di essere, da un nesso permanente con almeno uno dei loro fatti costitutivi che, lungi dall’essere esaurito, ha una distinta proiezione temporale parallela a quella della situazione che ne scaturisce. il modo di essere di queste situazioni non è determinato quindi una volta per tutte, ma dipende continuamente dalle vicende del loro fatto costitutivo”. (101) In proposito, Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2012, n. 2547, in Foro it., 2012, III, p. 612. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 non retroattivo; il primo incide, in senso modificativo o preclusivo, sull’accertamento della situazione soggettiva cristallizzata in sentenza con una azione retrospettiva; il secondo, diversamente, insiste sulla efficacia futura del decisum giudiziale, soprattutto con riferimento alle situazioni soggettive durevoli. Lo ius superveniens retroattivo è rappresentato da norme, prevalentemente interpretative, che hanno ad oggetto una precedente norma regolatrice della situazione coperta dal giudicato (103). In caso di conflitto tale ius su- perveniens è inopponibile al ricorrente o alla Amministrazione vittoriosi ove si caratterizzi, in relazione allo specifico profilo di vicenda amministrativa vincolato dalla sentenza, per la sovrapposizione della regola normativa alla regola giudiziale, al fine esclusivo di correggere l’esercizio delle funzioni del giudice (104). Si noti, infatti, come l'intangibilità del giudicato amministrativo non possa cedere di fronte a norme sopravvenute aventi efficacia retroattiva, poiché, in caso contrario, “sarebbe consentito al legislatore vanificare in ogni momento la funzione propria della magistratura”, rendendo conseguentemente aleatoria quella “tutela giurisdizionale che costituisce un fondamentale diritto assicurato al singolo dalla Costituzione” (105). Ciononostante, la Corte costituzionale ha, in alcune occasioni, mitigato l’assolutezza del principio del- l'intangibilità del giudicato, postulando come correttivo la necessità di un bilanciamento, caso per caso, tra le opposte esigenze in rilievo. La Corte considera illegittimi i soli interventi del legislatore che, in sede di interpretazione autentica, abbiano inciso in maniera diretta e immediata sul giudicato, impedendone l'esecuzione. Diversamente, tutte le altre disposizioni normative che si limitino ad innovare retroattivamente l'ordinamento risultano pienamente legittime, anche se incidenti sugli effetti di un precedente giudicato (106). In questo modo, si afferma una tendenziale cedevolezza del giudicato dinanzi allo ius superveniens retroattivo. (102) A riguardo, in dottrina, r. CAponI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, op. cit., p. 2. Secondo l’Autore “si può verificare un rapporto di conflitto tra l’effetto giuridico accertato e quello sopravvenuto quando quest’ultimo è integrato dall’intervento di uno ius superveniens retroattivo. il conflitto si verifica quando lo ius superveniens retroattivo ricollega un nuovo effetto giuridico nel presente ad una situazione di fatto in maniera tale che risulta mutato il trattamento giuridico dell’interesse protetto dalla situazione sostanziale dedotta in giudizio”. (103) Il principale problema sollevato dalle leggi retroattive si ricollega alla loro efficacia ex tunc ossia alla attitudine ad incidere su fattispecie passate, ormai concluse. In giurisprudenza, a riguardo, Adun. plen. Cons. Stato, 21 febbraio 1994, n. 4, cit., che definisce il rapporto tra giudicato e ius super- veniens retroattivo rappresentato, nel caso di specie, da una legge di interpretazione autentica. (104) Significativa, al riguardo, Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2012, n. 3569, cit., con nota di A. ToMASSeTTI, Delineati i binari sui quali la Pa deve operare davanti a un giudicato e allo jus superveniens, in Guida al dir., 7 luglio 2012, n. 28, pp. 94-96. (105) Adun. plen. Cons. Stato, 21 febbraio 1994, n. 4, cit., con nota di r. CoLonnA, Giudicato e ius superveniens retroattivo: un’armonizzazione difficile, in Dir. proc. amm., 1995, p. 257 e F. FrAnCArIo, osservazioni in tema di giudicato amministrativo e legge interpretativa, in Dir. proc. amm., 1995, p. 277 ss. DoTTrInA 257 Venendo, ora, alla più ampia trattazione della incidenza dello ius super- veniens non retroattivo sulla esecuzione della sentenza amministrativa, va detto come tale ius superveniens colpisca situazioni soggettive durevoli nell’arco temporale non coperto dal giudicato, incidendo su prestazioni future (107) oppure su effetti non ancora prodottisi. In tal modo la normativa sopravvenuta modifica ex nunc l’assetto di interessi fissato in sentenza, realizzando non già un conflitto ma una successione cronologica di differenti regole, giudiziale e normativa, sulla disciplina del potere pubblico e sul rapporto tra le parti. La relazione tra giudicato amministrativo e ius superveniens non retroattivo ha ad oggetto il concreto dispiegarsi dell’efficacia nel tempo delle situazioni soggettive durevoli; la normativa sopravvenuta, del resto, condiziona gli effetti futuri della sentenza, ad essa successivi, che vengono poi concretizzati e sviluppati in sede di riedizione del potere. Ciò in ragione della struttura del giudicato amministrativo che copre norme e fatti del passato, mentre gli effetti susseguenti alla sentenza vengono ad essere disciplinati direttamente da fonti normative astratte, anche sopravvenute. Come detto, lo ius superveniens non retroattivo si ripercuote prevalentemente sulla riedizione del potere e sulle situazioni soggettive durevoli, quali gli interessi legittimi pretensivi, nel periodo successivo all’adozione della sentenza. Il rapporto tra giudicato amministrativo e ius superveniens sottende un conflitto tra due opposti principi: da un lato, il principio tempus regit actum che impone una retrodatazione dell’attività amministrativa al quadro normativo in vigore all’epoca, per alcuni, della adozione del provvedimento, per altri, della emanazione della sentenza; dall’altro, il principio di preminenza dell’interesse pubblico che postula l’applicazione della normativa vigente al momento della rinnovazione del potere. La giurisprudenza ha, in proposito, individuato una soluzione di bilanciamento, considerando dirimente ai fini della applicazione della normativa sopravvenuta il momento della notificazione della sentenza, divenuta irrevocabile (108). In tal senso, rilevano sulla esecuzione del giudicato le sopravvenienze di diritto, anteriori alla notificazione della sentenza definitiva, “laddove le stesse comportino un diverso assetto dei pubblici interessi che sia inconci- (106) Corte cost., 7 aprile 1988, n. 413, in Giur. cost., 1988, I, p. 1874. Corte cost., 12 luglio 2000, n. 374, in www.cortecostituzionale.it. (107) Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 1998, n. 39, cit., secondo cui il riconoscimento giudiziale di un diritto a prestazioni periodiche avviene necessariamente rebus sic stantibus a condizione, cioè, che non muti la situazione di fatto e di diritto su cui la sentenza rinviene il proprio fondamento. (108) In giurisprudenza, ex multis, Adun. plen. Cons. Stato, 8 gennaio 1986, n. 1, cit., p. 97. Adun. plen. Cons. Stato, 21 febbraio 1994, n. 4., cit. Cons. Stato, 15 febbraio 2002, n. 942; Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2007, n. 641; Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 2008, n. 3615; Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 2008, n. 3615, in www.iusexplorer.it. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2012, n. 2547, cit. Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2012, n. 3569, cit. Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, cit. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 liabile con l’interesse privato salvaguardato dal giudicato” (109) . Le sopravvenienze intervenute successivamente alla notificazione della sentenza definitiva sono, viceversa, inopponibili al ricorrente vittorioso. recentemente, la giurisprudenza si è nuovamente pronunciata sui rapporti tra giudicato amministrativo e ius superveniens, muovendo dalla tipologia e dalla intensità del sindacato giurisdizionale. In particolare, ha affermato che “il giudicato è senz’altro suscettibile di restare impermeabile alle sopravvenienze normative solo quando la sentenza abbia effetto vincolante pieno”, statuendo integralmente sulla fondatezza della pretesa azionata (110). Da quanto descritto emerge come lo ius superveniens non retroattivo sia idoneo a definire e circoscrivere l’efficacia della sentenza nel tratto cronologico ad essa successivo; ciò a conferma della natura rebus sic stantibus del giudicato amministrativo. Del resto, “le regole ricavabili dalla sentenza di annullamento, comunque indirette, incomplete ed elastiche, sono altresì regole condizionate, perché la sentenza potrebbe rimanere inapplicabile per il fenomeno della rilevanza delle sopravvenienze” (111). In definitiva, lo ius superveniens è in grado di riscrivere l’efficacia del giudicato amministrativo in modo differente a seconda che operi retroattivamente o non retroattivamente e che incida su situazioni soggettive istantanee o durevoli. 6.2.1. Urbanistica e ius superveniens. La tematica delle sopravvenienze di diritto interessa in particolare la materia urbanistica (112). per quanto concerne il profilo della riedizione del po (109) Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2010, n. 7761, in Foro amm. Cons. Stato, 2010, p. 2433. (110) Tar Lombardia, Milano, sez. II, 16 aprile 2015, n. 943, in www.giustizia-amministrativa.it: “al contrario, se l’accertamento contenuto nella sentenza non ha effetto vincolante pieno, ma riguarda solo alcuni tratti del potere amministrativo, la normativa sopravvenuta, che non incida sugli aspetti affrontati dalla sentenza è, comunque, applicabile. Tuttavia, è comunque inapplicabile la normativa sopravvenuta che, contrariamente a quanto accertato nella sentenza, neghi il bene della vita”. (111) C. CACCIAVILLAnI, Giudizio amministrativo e giudicato, op. cit., p. 298, che richiama, a riguardo, il pensiero di M. nIGro, Giustizia amministrativa, III ed., op. cit., p. 393. (112) per una ricostruzione del dibattito si vedano i contributi di G. VIGnoCChI, intorno ad alcuni problemi e a particolari situazioni ricollegate al giudicato amministrativo, in riv. trim. dir. pubbl., 1953, p. 759. e. GUICCIArDI, Effetti della sopravvenienza di regole edilizie comunali sulla licenza di costruzione, in riv. giur. edil., 1966, II, p. 93. A.M. SAnDULLI, autorizzazione a costruire e “jus superveniens”, in Studi Torrente, 1968, p. 1019. G. pALeoLoGo, Tempo logico dei provvedimenti successivi alle sentenze del giudice amministrativo favorevoli al ricorrente, in impr., amb. e p.a., 1976, p. 326. A. rALLo, Profili costituzionali e nuove prospettive in tema di esecuzione del giudicato a seguito dell’annullamento del diniego di concessione edilizia, in riv. giur. edil., 1984, I, p. 721. G. FALCon, obbligo di esecuzione e potere urbanistico comunale dopo la sentenza di annullamento del diniego di concessione edilizia, in Dir. proc. amm., 1986, p. 431. F. BArToLoMeI, Giudizio di ottemperanza e giudicato amministrativo, Milano, 1987, pp. 380 ss. S. peronGInI, La formula “ora per allora” nel diritto pubblico. Vol. i. Le diverse tipologie di provvedimenti “ora per allora”, napoli, 1995, pp. 89 ss. e pp. 126 ss. M. SAnIno, il giudizio di ottemperanza, op. cit., pp. 56 ss., spec. p. 60. DoTTrInA 259 tere, assumono peculiare rilievo gli atti normativi o di programmazione sopravvenuti che sono in grado di interferire con l’esecuzione della sentenza (ancorché non definitiva). Il problema da risolvere è se l’attività di riedizione del potere, in ottemperanza al decisum giudiziale, debba uniformarsi agli strumenti urbanistici sopravvenuti o, viceversa, prestare osservanza al quadro, normativo ed amministrativo, vigente al momento della emanazione della sentenza. La giurisprudenza ha più volte affrontato il problema dettando soluzioni, variabili e diversificate, in ragione delle peculiarità dei casi trattati (113). Il dibattito in subiecta materia contrappone il principio di effettività della tutela (e del giudicato) del ricorrente vittorioso con il principio di aderenza dell’attività amministrativa all’interesse pubblico consacrato nello ius super- veniens. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla ipotesi di impugnazione di un diniego illegittimo di permesso di costruire ove, a seguito della sentenza, intervenga un nuovo piano urbanistico che precluda, ora per allora, il rilascio del permesso. Il conflitto tra i suddetti principi ha, nel corso del tempo, determinato la formazione di due opposti orientamenti. Il primo orientamento, richiamando i principi di effettività della tutela giurisdizionale e di esecuzione del giudicato, sostiene che le sopravvenienze non siano mai opponibili al ricorrente vittorioso in quanto l’Amministrazione è tenuta a riesaminare la domanda del cittadino applicando la disciplina in vigore all’epoca della domanda stessa in base al principio tempus regit actum (114). Il secondo orientamento, viceversa, riconoscendo in capo alla Amministrazione l’obbligo di considerare esclusivamente la normativa sopravvenuta, in vigore al momento del provvedere, considera il giudicato cedevole alle sopravvenienze (115), privilegiando, così, le ragioni dell’interesse pubblico. Una terza soluzione, di compromesso tra i due orientamenti, è consacrata dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 8 gennaio 1986, n. 1, secondo cui le disposizioni sopravvenute “non possono essere ignorate né eluse nel momento in cui l’autorità si accinge a provvedere in concreto”, con il solo temperamento che restano inopponibili all’interessato le variazioni dello stru- (113) Si segnalano, tra le più significative pronunce dell’ultimo quindicennio, Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5816, in Foro amm. Cons. Stato, 2002, p. 2572. Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2010, n. 7761; Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4175, in www.giustizia-amministrativa.it. (114) Cons. Stato, sez. I, 9 dicembre 1959, n. 2008, cit., p. 2202. Tar Abruzzo, 27 aprile 1976, n. 115, in Trib. amm. reg., 1976, I, p. 2501. Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 1982, n. 909, in Cons. Stato, 1982, I, p. 1564. (115) Di particolare rilievo, Adun. plen. Cons. Stato, 30 giugno 1958, n. 7, in Cons. Stato, 1958, I, p. 541. Tar Lombardia, 24 novembre 1976, n. 613, in Trib. amm. reg., 1977, I, p. 111. Cons. Stato, sez. V, 10 dicembre 1980, n. 980, in Cons. Stato, 1980, I, p. 1691. Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 1981, n. 685, in Cons. Stato, 1981, I, p. 1440. Tar Lombardia, 3 dicembre 1984, n. 380, in Trib. amm. reg., 1985, p. 541. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 mento urbanistico successive alla notificazione della sentenza definitiva (116). Dunque, l’Adunanza plenaria, in ordine alla attività di rinnovazione dei provvedimenti annullati, afferma la rilevanza delle sopravvenienze, sia pur con un temperamento rinvenibile nella inopponibilità dei mutamenti susseguenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile. Tale momento, pertanto, cristallizza la situazione di fatto e di diritto, rappresentando il discri- men per la rilevanza delle sopravvenienze. Infatti, l’obbligo gravante sulla Amministrazione di eseguire la sentenza determina la sospensione del potere di provvedere alla modificazione dello strumento urbanistico. Come correttamente segnalato in dottrina (117), non tutte le sopravvenienze intervenute anteriormente alla notificazione della sentenza rappresentano un ostacolo alla efficacia del giudicato, ma solo quelle che comportino un diverso assetto dei pubblici interessi incompatibile con l’interesse privato tutelato. Sempre con riferimento allo ius superveniens in ambito urbanistico si è successivamente pronunciata l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 10 dicembre 1998, n. 9, introducendo un ulteriore temperamento, a fronte delle peculiarità del caso di specie. Secondo il Supremo Consesso al ricorrente, leso da una regolamentazione urbanistica sopravvenuta in conflitto con un giudicato favorevole, è riconosciuto un interesse legittimo pretensivo, da azionare con apposita istanza, a che l’Amministrazione riveda il piano vigente per valutare se ad esso possa essere apportata una variante in deroga così da recuperare, compatibilmente con l’interesse pubblico, la previsione del piano abrogato (118). A partire dal 2012 la giurisprudenza amministrativa è giunta ad ulteriori considerazioni affermando come il rapporto tra giudicato e ius superveniens sia inquadrabile in uno schema non già unico e predeterminato, bensì a geometria variabile. In taluni casi, ad esempio, la concreta incidenza delle sopravvenienze sulla esecuzione della sentenza deve necessariamente passare attraverso un giudizio di compatibilità procedimentale e processuale, tenuto conto, altresì, della intensità del sindacato giurisdizionale (119). Tale orientamento ritiene, quindi, che l’estensione dell’accertamento contenuto nel decisum giudiziale delimiti l’ambito di applicazione della normativa sopravvenuta, indipendentemente dal momento della notificazione della sentenza irrevocabile. (116) Adun. plen. Cons. Stato, 8 gennaio 1986, n. 1, cit., p. 97. Successivamente, in tema, Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 2008, n. 3615; Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2012, n. 36, in www.giustizia-amministrativa.it. (117) Così M. SAnIno, il giudizio di ottemperanza, op. cit., p. 60. (118) Adun. plen. Cons. Stato, 10 dicembre 1998, n. 9, cit. (119) Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2012, n. 3569, cit. Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2014, n. 1472, in www.giustizia-amministrativa.it. In presenza di un sindacato pieno sul rapporto dedotto in giudizio, a fronte di un potere amministrativo vincolato o a discrezionalità esaurita, il giudicato tende a prevalere, salvo eccezioni, sulla normativa sopravvenuta. DoTTrInA 261 Di particolare interesse in ambito urbanistico è, poi, la questione delle c.d. sopravvenienze fittizie. Come emerge dalla prassi, l’Amministrazione, cui è affidato il governo del territorio, è titolare sia del potere normativo sia del potere di emanare provvedimenti amministrativi in attuazione di norme (120); di conseguenza, in molti casi “la sopravvenienza è determinata dalla stessa autorità debitrice” (121), ossia dalla stessa Amministrazione per sfuggire ad una puntuale esecuzione della sentenza. Si pensi alla adozione di un nuovo strumento urbanistico in contrasto con quanto accertato in sede giurisdizionale. A ciò si aggiungano le ipotesi di sopravvenienze di fatto, la cui conoscenza tardiva è sovente addotta dalla Amministrazione per resistere alla esecuzione del giudicato e precludere l’effetto ripristinatorio. oggi, in ogni caso la negativa incidenza delle sopravvenienze sulla esecuzione del giudicato è temperata dalla possibilità per il ricorrente di ottenere una tutela risarcitoria per equivalente, ai sensi dell’art. 112 co., III, C.p.a., in luogo della esecuzione in forma specifica. Da quanto detto, emerge la difficoltà di elaborare soluzioni generalmente applicabili, attesa la poliedricità dei casi concreti e la varietà degli interessi in rilievo. Un minimo comun denominatore tra le diverse soluzioni giurisprudenziali è rintracciabile nella volontà di contemperare l’interesse alla esecuzione del giudicato con l’interesse all’osservanza dei sopravvenuti assetti urbanistici; anche se poi tale contemperamento avviene di volta in volta in modo differente. In definitiva, anche in materia urbanistica, il giudicato amministrativo vale rebus sic stantibus, in quanto la sua efficacia nel tempo può subire grandemente l’influsso di eventi sopravvenuti, di fatto e di diritto. 6.2.2. Giudicato amministrativo e ius superveniens europeo. Il tema della incidenza dello ius superveniens europeo sul giudicato amministrativo nazionale rappresenta uno dei nodi nevralgici del rapporto tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento sovranazionale. Con la locuzione ius superveniens europeo si è soliti riferirsi alle: a) norme di diritto primario; b) norme di diritto secondario; c) sentenze della Corte di Giustizia. Con particolare riferimento alle sentenze interpretative pregiudiziali va osservato come le medesime, ove incidenti sulla esecuzione di un precedente (120) M. CLArICh, Giudicato e potere amministrativo, op. cit., pp. 257-258: “Ciò consente alla pubblica amministrazione soccombente in giudizio di modificare le norme che si applicano al rapporto controverso, di modo che essa può emanare un nuovo provvedimento che è idoneo, in quanto fondato sullo jus superveniens, a superare il giudicato”. (121) L. FerrArA, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, op. cit., p. 231. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 giudicato, si inquadrino tra le sopravvenienze c.d. normative. nel definire, anche in ambito sovranazionale, il rapporto tra giudicato amministrativo e sopravvenienze è necessario domandarsi se in nome della certezza del diritto e della tutela delle situazioni soggettive il giudicato interno resista alla incidenza delle fonti europee sopravvenute oppure, viceversa, sia da queste eroso e rimodulato nella propria efficacia in virtù della primazia dell’ordinamento europeo. Va in proposito osservato come, oggi, non sia rintracciabile un principio risolutore del conflitto tra giudicato interno e ius superveniens europeo. La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia offre al problema soluzioni differenziate, in ragione delle specificità dei casi esaminati. In un tale contesto, assume peculiare rilievo l’influenza sul giudicato nazionale di una (sopravvenuta) sentenza interpretativa della Corte di Giustizia afferente la norma rilevante per il decisum del giudice interno; in particolare merita attenzione la sentenza interpretativa della Corte che determini la contrarietà al diritto europeo del giudicato nazionale e dei suoi effetti (122). Si configurerebbe, in questo caso, un’ipotesi di ius superveniens (123) dai tratti peculiari. Infatti, se, da un lato, la sentenza interpretativa pregiudiziale è assimilabile ad una legge interpretativa, per natura retroattiva, dall’altro, se ne discosta per la sua capacità di incidenza sulla efficacia, anche futura, della sentenza del giudice nazionale. nell’attuale ordinamento giuridico, plurale e multilivello, le sentenze della Corte di giustizia rappresentano, del resto, fonti primarie del diritto gerarchicamente sovraordinate alle norme interne, su cui prevalgono in virtù della primazia dell’ordinamento sovranazionale (124). Sul rapporto tra giudicato interno e ius superveniens europeo si è recentemente pronunciata l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 9 giugno 2016, n. 11, affermando che “le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, rese in sede di rinvio pregiudiziale interpretativo, hanno la medesima efficacia delle disposizioni interpretate e pertanto vincolano non solo il giudice che ha sollevato la questione ma ogni altro organo (amministrativo o giurisdizionale) chiamato ad applicare le medesime disposizioni o i medesimi principi elaborati dalla Corte di giustizia” (125). Dunque, le sentenze pregiudiziali interpretative, riscrivendo gli effetti della norma interpretata, rimodulano l’ef- (122) A titolo esemplificativo, Cgue, 10 luglio 2014, in C-213/13, in www.curia.eu. (123) per una ricognizione della casistica giurisprudenziale in ambito europeo, r. CAponI, Corti europee e giudicati nazionali, relazione al XXVii Congresso nazionale associazione italiana studiosi del processo civile, “Corti europee e giudici nazionali”, Verona, 25-26 Settembre 2009, in www.academia.edu, spec. pp. 21 ss. e pp. 40 ss. (124) Sul ruolo e gli effetti dei principi contenuti nelle sentenze della Corte di Lussemburgo si rinvia a G. pepe, Principi generali dell’ordinamento comunitario e attività amministrativa, roma, 2012, passim. DoTTrInA 263 ficacia nel tempo della sentenza del giudice interno che a quella norma deve dare applicazione (126). In particolare, la sentenza interpretativa pregiudiziale, equiparabile appunto allo ius superveniens, opera altresì in senso non retroattivo, incidendo su un procedimento riaperto dal diritto europeo, e su un tratto di interesse non coperto dal giudicato; coerentemente essa determina non già un conflitto ma una successione cronologica di due regole entrambe di natura giudiziale. Ciò rivela chiaramente l’attitudine della sentenza interpretativa della Corte di Giustizia ad influenzare, in senso limitativo o preclusivo, l’efficacia nel tempo della sentenza del giudice domestico, specie ove in contrasto con il diritto europeo. In quest’ottica rappresenta decisione abnorme, come tale ricorribile in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. per superamento del limite esterno della giurisdizione, “la sentenza del giudice amministrativo che non abbia evitato la formazione, anche progressiva, di un giudicato in contrasto con il diritto dell’Unione europea (o con altre norme di rango sovranazionale cui lo Stato è tenuto a dare applicazione), quale risulti da una successiva pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea” (127). L’Adunanza plenaria richiama, così, il principio, peraltro riconosciuto nell’ordinamento italiano, che prescrive al giudice nazionale di attivarsi per scongiurare la formazione, anche progressiva, di un giudicato in conflitto con il diritto europeo. Tale principio trova, poi, applicazione in sede di ottemperanza, ove sia l’Amministrazione sia i giudici domestici sono chiamati a prestare esecuzione alla sentenza amministrativa in senso conforme al diritto sovranazionale. In un sistema delle fonti, sempre più integrato e multilivello, le sentenze interpretative pregiudiziali della Corte di Giustizia hanno, dunque, la capacità di riscrivere l’efficacia del giudicato nazionale, rafforzandone, così, la natura rebus sic stantibus. Il giudicato amministrativo italiano si caratterizza, in tal senso, per una maggior cedevolezza allo ius superveniens europeo rispetto allo ius superveniens nazionale. (125) Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, cit., che si è pronunciata sulle questioni sollevate con ordinanza di rimessione da Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2015, n. 3587, in www.iusexplorer. it. In particolare, il giudice remittente ha posto il problema della ampiezza del giudicato nazionale e della sua forza di resistenza allo ius superveniens rappresentato da una sentenza interpretativa pregiudiziale della Corte di Giustizia che attestava la contrarietà al diritto europeo del giudicato italiano. (126) Cgue, 5 aprile 2016, in causa C-689/13, Puligienica Facility Esco Spa c. airgest Spa, in www.curia.eu. Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11021, in Foro it., 2013, I, p. 2136. (127) Adun. plen. Cons. Stato, 9 giugno 2016, n. 11, cit. Sul diniego di giustizia, in caso di mancata osservanza del diritto europeo, anche giurisprudenziale, e sulle conseguenze del sindacato ex art. 111 Cost., in giurisprudenza, già Cass. civ. Sez. Un., 6 febbraio 2015, n. 2242; Cass. civ. Sez. Un., 6 febbraio 2015, n. 2403; Cass. civ. Sez. Un., 15 marzo 2016, n. 5070, in www.iusexplorer.it. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 8. riflessioni conclusive. Il problema della incidenza delle sopravvenienze sulla esecuzione della sentenza amministrativa è stato inquadrato, a ragione, nella più ampia tematica dei limiti cronologici del giudicato. Infatti, il vincolo discendente dalla res iudicata si ricollega, necessariamente, ad un determinato momento storico, trascorso il quale è possibile che eventi sopravvenuti modifichino la fattispecie con significative ricadute sugli effetti futuri della sentenza. Come noto, la vexata quaestio del rapporto tra giudicato e sopravvenienze non riceve in giurisprudenza soluzione unitaria, sia per la intrinseca opinabilità del concetto di sopravvenienza sia per la eterogenea casistica applicativa. nonostante le difficoltà nel ricostruire sistematicamente il fenomeno investigato, si sono individuati nel corso dell’indagine alcuni principi volti a regolare l’influenza delle sopravvenienze sulla esecuzione del giudicato. Dal punto di vista strutturale, il giudicato amministrativo si presenta relativo ed incompleto e, in virtù di tali caratteri, naturalmente esposto alle sopravvenienze di fatto e di diritto. Infatti, il giudicato rintraccia le proprie componenti prima nella sentenza del giudice, poi nella attività amministrativa di esecuzione. Tali componenti si caratterizzano per una reciproca interferenza in quanto il giudicato se, da un lato, impone vincoli conformativi alla Amministrazione, dall’altro, risulta arricchito nei suoi contenuti ed effetti dalla susseguente riedizione del potere. Con il termine sopravvenienza si è indicato il mutamento delle circostanze, successivo all’emanazione della sentenza (ancorché non definitiva), idoneo ad influenzarne l’efficacia nel tempo. Tale mutamento, ove rilevante, può determinare una ridefinizione dei limiti cronologici del giudicato, incidendo in senso limitativo o preclusivo sui relativi effetti, specie futuri. Del resto, ad ogni previsione della sentenza la realtà può opporre un imprevisto, fattuale o giuridico. L’impatto delle sopravvenienze sulla esecuzione del giudicato dipende, segnatamente, dalla natura completa od incompleta della fattispecie e dalla tipologia, istantanea o durevole, delle situazioni soggettive in rilievo. Gli eventi sopravvenuti incidono, del resto, sulle fattispecie incomplete e sulle situazioni soggettive durevoli, condizionando così l’efficacia diacronica della sentenza. Il giudicato amministrativo ha, infatti, nel futuro la prospettiva di riferimento e nella relatività e mutevolezza i suoi tipici predicati strutturali. Così il decorso del tempo, unitamente al sopraggiungere di fatti e norme nuovi, è in grado di incidere sulla attività di riedizione del potere e, quindi, sulla esecuzione della sentenza, rimodulandone in senso limitativo o preclusivo uno o più effetti. In tale prospettiva, allora, il giudicato rivela nitidamente una efficacia rebus sic stantibus ossia una efficacia condizionata al permanere invariato delle circostanze su cui si fonda la sentenza (128); viceversa, un loro DoTTrInA 265 significativo mutamento può determinare la cessazione o la ridefinizione degli effetti dell’accertamento giudiziale. In definitiva, il giudicato amministrativo non può considerarsi un dato irreversibile ed immutabile della realtà giuridica, in virtù della sua naturale esposizione alla influenza di eventi sopravvenuti successivi alla emanazione della sentenza. (128) M. CLArICh, Giudicato e potere amministrativo, op. cit., p. 257 secondo cui “la stabilità del risultato conseguente alla sentenza di accoglimento risulta garantita per il ricorrente rebus sic stantibus in mancanza cioè di sopravvenienze di fatto e di diritto”. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 La successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione Calabria: una questione ancora aperta Daniele Sisca* Sommario: 1. La dibattuta questione sugli enti legittimati a succedere al cessato Ufficio Commissariale - 2. L’orientamento del Consiglio di Stato - 3. Gli orientamenti del Tribunale e della Corte d’appello di Catanzaro successivamente formatisi - 3.1. L’orientamento della sez. ii civ. del Tribunale catanzarese -3.2. L’orientamento della Corte d’appello di Catanzaro - 4. Considerazioni conclusive e possibili soluzioni. 1. La dibattuta questione sugli enti legittimati a succedere al cessato Ufficio Commissariale. La questione della successione fra enti pubblici (1) si presenta particolarmente controversa laddove i rapporti (oggetto della successione) facciano capo ad un ente commissariale nominato dal Governo in attuazione del potere sostitutivo ad esso attribuito dall’art. 120 Cost. e, nel caso che ci riguarda, dalla l. 24 febbraio 1992, n. 225 (“istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile”) (2). Gli organi commissariali nominati ex lege n. 225/1992 restano pienamente autonomi e distinti (anche, ovviamente, sul piano della legittimazione processuale) sia dagli enti territoriali competenti che dalla presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri competenti. Il Commissario delegato, pertanto, risulta essere un centro d’imputazione autonomo sia rispetto agli enti locali (i cui uffici operano a supporto organizzativo della struttura commissariale in relazione di mero avvalimento) sia rispetto alla presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri interessati, stante l’autonomia operativa, decisionale ed organizzativa della struttura commissariale, competendo alla presidenza del Consiglio il solo procedimento di nomina e la prodromica attività istruttoria relativa all’accertamento dei presupposti per disporre l’intervento sostituivo (3). (*) Dottore in Giurisprudenza, già praticante forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro. (1) per i relativi riferimenti, ci si permette di rinviare a SISCA, La successione degli Enti Pubblici: il caso controverso del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria, in rass. avv. Stato, n. 3/2016, 244 ss. (2) Si veda SISCA, op. cit., 247. (3) Cfr., T.A.r. Calabria, Catanzaro, sez. I, 27 giugno 2016, n. 1313 e n. 1314, in www.giustizia-amministrativa.it, entrambe relative al Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Calabria; Cons. St., sez. III, 10 aprile 2015, n. 1832, ivi. DoTTrInA 267 In particolare, il Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria ha definitivamente cessato tutte le proprie funzioni in data 31 dicembre 2012 (4). Subito dopo, con o.p.C.M. 14 marzo 2013, n. 57 (5), venivano stabilite le modalità di trasferimento delle relative competenze in capo agli organi ordinariamente deputati alla gestione delle operazioni di gestione dei rifiuti. Quest’ultimo provvedimento esordisce affermando che “a decorrere dal 1° gennaio 2013, la regione Calabria -assessorato alle politiche ambientali è individuata quale amministrazione competente al coordinamento delle attività necessarie al completamento degli interventi da eseguirsi nel contesto di criticità nel settore dei rifiuti solidi urbani nel territorio della medesima regione …” (6), facendo desumere, in maniera abbastanza chiara, la legittimazione della regione Calabria a succedere in tutti i rapporti facenti capo al cessato ufficio. In questo contesto un rilievo fondamentale assume il disposto di cui all’art. 1, comma 422, l. 27 dicembre 2013, n. 147 (c.d. Legge di stabilità 2014), ai sensi del quale “alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell’art. 5, commi 4-ter e 4-quater, della l. 24 febbraio 1992, n. 225 (istituzione del servizio nazionale della protezione civile), subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell’art. 110 del codice di procedura civile, nonché in tutti quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui all’art. 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, già facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell’art. 5 della citata legge n. 225 del 1992. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell’art. 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati”. La disposizione riportata contempla una fattispecie di successione universale nei rapporti con conseguente applicazione dell’art. 110 c.p.c., nei casi in cui i soggetti nominati Commissari delegati siano rappresentanti degli enti ordinariamente competenti oppure dagli stessi designati. La legittimità costituzionale della norma è stata sottoposta al vaglio della Consulta (7), la quale, rigettando le questioni sollevate, ha sostenuto che, se (4) Giusta o.p.C.M. n. 4011 del 22 marzo 2012, in Gazz. Uff. n. 79/2012. (5) In Gazz. Uff. n. 69/2013. (6) La norma continua disciplinando, in maniera dettagliata, il passaggio in capo alla regione Calabria dei rapporti facenti capo all’Ufficio Commissariale. (7) Corte Cost., 21 gennaio 2016, n. 8, in www.cortecostituzionale.it. La q.l.c. veniva sollevata dalla regione Lazio e dalla regione Campania, le quali contestavano la violazione degli artt. 3, 24, 81, 97, 101, 111, 113, 117, comma 1, 118, 119 Cost. Le suddette censure facevano perno su una premessa rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 da un lato gli atti del Commissario delegato sono pacificamente qualificabili come atti dell’Amministrazione centrale dello Stato, dall’altro la funzione statale che qui viene in rilievo ha carattere temporaneo e risulta correlata necessariamente allo stato di emergenza, rispetto alla quale la regione ordinariamente competente non è comunque estranea. La funzione statale, in quanto strettamente connessa allo stato emergenziale, cessa nel momento in cui termina l’emergenza (8). Dal che consegue, secondo la Consulta, che i rapporti giuridici residuati alla cessazione della struttura commissariale siano governati, nuovamente, in base all’ordinario sistema di competenze con il subentro dell’ente ordinariamente competente - ai sensi dell’art. 110 c.p.c. in tutte le situazioni attive e passive appartenenti, nello stato di emergenza, all’Amministrazione Statale (9). La decisione della Consulta ha rafforzato la tesi - già sostenuta in più occasioni dall’Avvocatura dello Stato - della legittimazione a succedere all’Ufficio Commissariale in capo alla regione Calabria. restava, comunque, da chiarire l’ambito applicativo della norma in esame, che, secondo la Corte Costituzionale, si riferisce esclusivamente all’ipotesi in cui i Commissari delegati siano rappresentanti dell’Amministrazione e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dalla stessa designati (come, peraltro, espressamente stabilito dall’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422, cit.) (10). pertanto, con riferimento al cessato Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria potrebbe (prima facie) non considerarsi applicabile il meccanismo successorio in universum jus delineato dalla suddetta norma, giacchè fin dal- l’anno 2004 sino alla cessazione dello stato emergenziale (31 dicembre 2012), le funzioni di Commissario delegato pro tempore per l’emergenza ambientale di fondo, ossia che i provvedimenti posti in essere dal Commissario delegato per la gestione dell’emergenza (quale longa manus del presidente del Consiglio dei Ministri) avrebbero dovuto considerarsi atti dell’amministrazione centrale dello Stato, finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali colpite dalla calamità. (8) ne consegue che “il venir meno della struttura commissariale, per il cui tramite lo stato ha in concreto esercitato la funzione emergenziale, integra il presupposto di una necessitata successione nei rapporti da questa posti in essere e che risultino ancora in atto, la cui riconduzione al fenomeno della successione universale è scelta legislativa non incongrua rispetto alle premesse che la sorreggono”: cfr., punto 8.1.2., Corte Cost., 21 gennaio 2016, n. 8, cit. (9) Il subentro dell’ente territorialmente competente nei rapporti (anche ex iudicato) e nei giudizi pendenti risalenti alla gestione commissariale non ha, infatti, carattere retroattivo, ma regola il fenomeno successorio in consonanza con i principi sostanziali e processuali di riferimento, non potendosi sostenere che il successore a titolo universale, in quanto tale (e, dunque, titolare dello stesso rapporto sostanziale oggetto di giudicato), sia vulnerato nelle sue garanzie difensive dalla norma dell’art. 110 c.p.c., la quale, in ogni caso, si appalesa pertinente a regolare il fenomeno in luogo dell’art. 111 c.p.c., che attiene alla successione a titolo particolare; cfr. MezzoTero -roMeI, il patrocinio delle Pubbliche amministrazioni. La Difesa innanzi alle Giurisdizioni ordinarie e Speciali, CSA editrice, 2016, 253. (10) Cfr. punto 8.1.4., Corte Cost., 21 gennaio 2016, n. 8, cit. DoTTrInA 269 nel territorio della regione Calabria sono state ricoperte (sempre) da rappresentanti dell’Amministrazione Statale (11). Al riguardo, la giurisprudenza, fin da subito, aveva fornito non univoche soluzioni circa l’individuazione dell’ente legittimato a succedere nei rapporti facenti capo al cessato Ufficio commissariale. La prima tesi enucleata non dava conto della speciale disposizione di cui all’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422, l. 27 dicembre 2013, n. 147, attribuendo tout court la legittimazione passiva alla regione Calabria (12). In particolare, con diverse pronunce, la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dedotta dalla regione Calabria in relazione al rapporto controverso facente capo al cessato Ufficio commissariale (erroneamente evocato in giudizio da controparte, dopo la sua cessazione), ritenendo che, per effetto della cessazione dell’Ufficio commissariale, giusta o.p.C.M. 22 marzo 2012, n. 4011 “la regione ha proseguito, in regime ordinario, le iniziative in corso finalizzate al superamento della criticità in materia ambientale al fine di attuare il definitivo trasferimento di tutti i rapporti giuridici pendenti in capo alla regione medesima, mentre alcun subentro risulta attuato in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri, che risulta, pertanto, estranea alla pretesa e dunque carente di legittimazione a contraddire” (13). Un diverso (e opposto) orientamento, di contro, prendendo in considerazione la dibattuta disposizione della Legge di Stabilità 2014, sosteneva che la stessa non può che essere interpretata come afferente alla regolamentazione della successione universale tra gli uffici regionali e i soggetti nominati ai sensi dell’art. 5, l. n. 225/1992, ma a condizione che questi ultimi siano qualificati come “rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati”. La Corte territoriale del capoluogo calabrese, nei casi esaminati, giungeva ad affermare che il Commissario che fosse indicato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri non potesse in qualsivoglia misura essere qualificato come rappresentante della regione Calabria, concludendo che “… a mente dell’art. 111 c.p.c., il processo deve proseguire tra le parti originarie e, dunque, persiste la legittimazione processuale del solo Ufficio del Commissario delegato emergenza ambientale (11) La delega di Commissario dal 2004 fino alla cessazione dello stato di emergenza risulta essere attribuita, infatti, ai prefetti. (12) Cfr. App. Catanzaro, sez. II, 15 febbraio 2016, n. 483; id., 27 gennaio 2016, n. 95; id.,3 luglio 2015, n. 928; id. 27 gennaio 2016, n. 95 (tutte inedite). (13) In terminis si v. anche Cons. St., sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2111, in www.giustizia-amministrativa.it (in riferimento all’Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Campania), la quale, nel dare atto dell’intervenuta sentenza della Corte Cost. n. 8/2016, dichiara il difetto di legittimazione passiva della presidenza del Consiglio dei Ministri. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 quale organo straordinario della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento protezione Civile” (14). Su questa base, veniva riconosciuta, quindi, la legittimazione passiva della presidenza del Consiglio dei Ministri, proprio perché -diversamente da quanto sostenuto dal primo orientamento esaminato - veniva data rilevanza all’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013, ritenuto inapplicabile nel caso di specie. 2. L’orientamento del Consiglio di Stato. Ulteriore e diverso orientamento sul tema è quello fornito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2700 del 17 giugno 2016 (15), ove sono state esaminati tutti i profili problematici venuti in rilievo nella dibattuta questione. In particolare, la citata decisione del giugno del 2016, scrutinando l’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422, della Legge di Stabilità 2014, ne fornisce una interpretazione del tutto differente rispetto a quella fatta propria dalla III sezione della Corte d’appello di Catanzaro, con specifico riguardo al termine “designati” contenuto in tale disposizione. I Giudici di palazzo di Spada hanno sostenuto che “la successione universale ex comma 422 resta esclusa solo quando la regione sia rimasta del tutto estranea alla nomina o alla designazione del Commissario delegato”. In questo senso, dunque, al termine “designati” dovrebbe darsi una interpretazione estensiva, tale da ricomprendere anche le ipotesi in cui la regione si sia limitata soltanto ad indicare il soggetto da nominare quale commissario delegato. ne consegue che - per escludere il meccanismo successorio ex art. 1, comma 422 cit. -è necessario che la regione non abbia per nulla interferito nel processo di nomina e designazione dei Commissari; di converso, una (pur se minima) ingerenza dell’ente regionale costituirebbe “designazione” del Commissario con la conseguente imputazione dei rapporti in capo alla regione o, tuttalpiù - come ipotizza il Consiglio di Stato in alternativa a tale conclusione - in maniera congiunta tra Stato e regione. Applicando questa impostazione al caso in questione, si perviene alla conclusione che tutti i Commissari (salvo ovviamente i casi in cui le funzioni di Commissario erano attribuite al presidente della Giunta regionale, come avvenuto dal 1997 sino al 2004, per cui nulla quaestio) risultano designati dall’ente regionale, il quale ha sempre indicato i nominativi dei soggetti ritenuti idonei per lo svolgimento dell’incarico (16), anche se la procedura di nomina è stata poi formalmente compiuta dall’Amministrazione Statale. (14) Cfr. App. Catanzaro, sez. III, 8 giugno 2016, n. 951; id., 19 maggio 2016, n. 801; id., 21 gennaio 2015, n. 62; id., 15 luglio 2016, n. 1250; id., 4 aprile 2016, n. 473 (tutte inedite). (15) In www.giustizia-amministrativa.it. (16) Si v. SISCA, op. cit., 244 ss. DoTTrInA 271 nessun problema si pone, invece, per le controversie sorte nel periodo in cui le funzioni di Commissario erano attribuite al presidente della Giunta regionale; in tal caso, trova pacifica applicazione l’art. 1, comma 422, cit., con la conseguente titolarità passiva del rapporto giuridico in capo all’ente regionale (17). Quindi, secondo quanto sostenuto dal Consiglio di Stato, la norma non presupporrebbe mai un’ipotesi di legittimazione passiva “esclusiva” della presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto la regione Calabria ha sempre (quanto meno) indicato i soggetti che, a suo dire, avrebbero potuto ricoprire il ruolo di Commissario delegato per il superamento dell’emergenza ambientale nel territorio regionale. 3. Gli orientamenti del Tribunale e della Corte d’appello di Catanzaro successivamente formatisi. La tesi del Consiglio di Stato è stata, tuttavia, apertamente contrastata da diverse pronunce della giurisprudenza ordinaria calabrese, formatasi successivamente al giugno del 2016 (18). Successivamente alla citata decisione del Consiglio di Stato, il Tribunale di Catanzaro ha in più occasioni affermato la legittimazione passiva della presidenza del Consiglio dei Ministri (19); di avviso contrario (come si vedrà infra) si è espressa la Corte d’appello calabrese. Il motivo principale che ha portato alle pronunce sfavorevoli per la presidenza del Consiglio dei Ministri fa perno sulla (errata) individuazione del commissario delegato da prendere in considerazione per l’individuazione dell’ente successore dell’Ufficio Commissariale. Soprattutto la sez. II civ. del Tribunale sostiene che il commissario delegato al quale fare riferimento per l’applicazione della disciplina successoria contenuta nell’art. 1, comma 422, della l. n. 147/2013 sarebbe l’ultimo dei commissari succedutisi nel tempo (nel caso di specie, il prefetto Vincenzo Maria Speranza, giusta o.p.C.M. del 23 novembre 2011, n. 3983); di (17) Cfr., punto 15.6, Cons. St., 17 giugno 2016, n. 2700, in www.giustizia-amministrativa.it, laddove afferma: “ma anche in tal caso, allora, la successione avrebbe avuto luogo in capo alla regione Calabria con gli effetti che ne seguono in ordine alla titolarità passiva dell’obbligazione indennitaria in oggetto, posto che non è contestato che i fatti di causa si siano verificati quando Commissario delegato era il Presidente regionale”. (18) A cui ha aderito, senza particolari approfondimenti, Cons. St., sez. IV, 29 novembre 2016, n. 5018, in www.giustizia-amministrativa.it., nella quale si legge: “Va anzitutto dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri per effetto della normativa sopravvenuta, di cui all’art. 1 comma 422 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 prima ricordata, giudicata legittima dalla Corte costituzionale. il processo prosegue pertanto nei confronti della sola regione Calabria, non costituita in giudizio in proprio e quale successore nei rapporti facenti capo al Commissario del governo per l’emergenza ambientale nella regione Calabria”. (19) A queste deve aggiungersi un’ulteriore sentenza emessa dal Tribunale di Lamezia Terme, in funzione di Giudice del Lavoro, 12 settembre 2017, n. 315, inedita. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 contro, la sez. I civ. del Tribunale di Catanzaro (20) e la Corte d’appello sostengono che il commissario a cui fare riferimento è quello in carica all’epoca in cui si sono verificati i fatti da cui ha avuto origine il rapporto controverso. 3.1. L’orientamento della sez. ii civ. del Tribunale catanzarese. Il primo provvedimento della sez. II civ. del Tribunale di Catanzaro distonico rispetto alla citata pronuncia del Consiglio di Stato n. 2700/2016 è un’ordinanza emessa in composizione collegiale in data 13 gennaio 2017 (21). In tale ordinanza, preliminarmente, si dà atto della complessità della vicenda e della sua mancata risoluzione (anche in considerazione del fatto che non risulta, allo stato, nessuno arresto della Suprema Corte); successivamente, si svolge una disamina delle disposizioni inerenti la successione dei rapporti facenti capo all’Ufficio commissariale ed esposti, inoltre, i due diversi orientamenti enucleati nella giurisprudenza locale (22). Il Collegio incorre in due palesi errori interpretativi nell’applicazione della normativa alla fattispecie sottoposta al suo esame. Il primo consiste, appunto, nell’aver individuato - quale Commissario di riferimento per l’applicazione dell’ultimo inciso dell’art. 1, comma 422, della citata Legge di Stabilità - l’ultimo dei Commissari succedutesi nel tempo. Si legge infatti nell’ordinanza che “(…) il Commissario delegato pro tempore, al momento della cessazione delle competenze dell’Ufficio era un Prefetto, il quale certamente non appartiene all’amministrazione regionale e la cui nomina, inoltre, non risulta essere il frutto di una designazione da parte della regione. Pertanto, la conclusione a cui si giunge è quella di escludere che la regione Calabria possa considerarsi successore dell’Ufficio Commissariale nei rapporti giuridici allo stesso facenti capo anteriormente alla sua cessazione”. Il presupposto da cui parte il Collegio è erroneo, per diversi ordini di ragioni. Innanzitutto, volendo tener fermo tale ragionamento, dovremmo considerare sostanzialmente inutile la tanto dibattuta disposizione contenuta nell’art. 1, comma 422, l. cit. (e in modo particolare il suo ultimo inciso) (23). Difatti, (20) Si v. Trib Catanzaro, sez. I lav., 1 dicembre 2016, n. 1902, inedita. (21) ordinanza emessa a definizione di un reclamo proposto da una Società avverso un’ordinanza del Giudice dell’esecuzione con la quale veniva accolta l’istanza di sospensione spiegata dalla regione Calabria, la quale si riteneva priva di legittimazione passiva nella successione dei rapporti facenti capo all’Ufficio Commissariale; l’ordinanza reclamata, infatti, escludeva il subentro della regione Calabria in detti rapporti. (22) Già dettagliatamente esposti nel paragrafo sub 1. (23) Il ragionamento seguito dal Collegio in tale ordinanza (che possa essere condiviso o meno) potrebbe essere applicato solo nei casi in cui il Commissario delegato sia (come avvenuto dal 2004 in poi) un rappresentante dell’Amministrazione statale (prefetto), ma non quando sia il presidente della DoTTrInA 273 qualora tale disposizione avesse voluto fare riferimento -ai fini dell’individuazione dell’ente in capo al quale trasferire la legittimazione -all’ultimo Commissario delegato, di certo non avrebbe previsto quale ente successore di quest’ultimo (in via principale) la regione Calabria e, in subordine (in applicazione sempre dell’ultimo inciso) la presidenza del Consiglio dei Ministri; di contro, avrebbe fatto riferimento direttamente all’ultimo commissario delegato e, di conseguenza, sancito -senza necessità di ulteriori argomentazioni -la legittimazione tout court della presidenza del Consiglio dei Ministri. Difatti, tale disposizione è stata emanata nel momento in cui le funzioni dell’Ufficio commissariale erano già cessate (si era a conoscenza, quindi, della natura dell’ultimo Commissario delegato) e, pertanto, non avrebbe avuto senso disporre tale disciplina soprattutto effettuando la distinzione tra Commissari rappresentanti -o designati -degli enti ordinariamente competenti (con applicazione della disciplina contenuta nel primo periodo del comma 422) e commissari puramente governativi (esclusi, di contro, dall’applicazione di tale disciplina). La tesi esposta, pertanto, risulta del tutto incompatibile con l’illustrata ratio della norma speciale disciplinante la successione dei rapporti. Inoltre, tale ragionamento appare privo di logicità, poiché, se è vero che del 2004 al 2013 le funzioni di Commissario delegato erano attribuite ad un prefetto, è, altresì, vero che dal 1997 al 2004 le medesime erano attribuite al presidente della Giunta regionale. Quindi, sarebbe illogico -in base al criterio adottato dal Tribunale di Catanzaro -tenere conto, ai fini della individuazione del meccanismo successorio applicabile, esclusivamente dell’ultimo periodo di commissariamento, laddove il Commissario era “rappresentante dell’amministrazione statale” e tralasciare, di contro, l’intero periodo in cui, di converso, il Commissario era “rappresentante dell’amministrazione regionale”. Infine, nell’ordinanza del 13 gennaio 2017, il Tribunale di Catanzaro disattende espressamente il ragionamento seguito dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 2700/2016, affermando che “appare in contrasto con il chiaro dettato normativo (ult. Periodo del comma 422, art. 1 cit.), finendo per sancire sempre ed in ogni caso la successione della regione Calabria. in secondo luogo appare tradire il dichiarato intendo di dare alla norma una interpretazione conforme alla lettura data ad essa dalla Corte Costituzionale, andando ben oltre il dictum della Corte stessa”. Giunta regionale. In quest’ultimo caso, infatti, in applicazione dell’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013, non può sorgere alcun dubbio circa la legittimazione passiva della regione Calabria e degli altri enti ordinariamente competenti. Difatti, pur volendo contrastare la tesi affermata dal Consiglio di Stato, non possono sorgere dubbi circa l’interpretazione della medesima disposizione in riferimento ai casi in cui le funzioni di Commissario delegato sono rivestite dal presidente della regione Calabria. In tale ordinanza non viene fatto alcun riferimento a tale distinzione finendosi per attribuire sit e simpliciter alla presidenza del Consiglio dei Ministri la legittimazione passiva in luogo dell’ente commissariale. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 Anche tale affermazione risulta poco conforme all’intento del legislatore, per come correttamente interpretato dal Consiglio di Stato, il quale aveva precisato la portata del termine “designati”. In conclusione, il Tribunale di Catanzaro, in tale ordinanza -nel censurare la sentenza del Consiglio di Stato in quanto la stessa, a suo dire, finirebbe per attribuire la legittimazione sempre in capo alla regione Calabria -fornisce una soluzione esattamente uguale e contraria e consistente nel conferimento della legittimazione passiva sempre in capo alla presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto l’ultimo Commissario delegato era un prefetto (24). Questa ordinanza è stata condivisa (riportandola conformemente nella sua parte motiva) da Trib. Catanzaro, sez. II civ., 28 febbraio 2017, n. 405 e, più di recente, da Trib. Catanzaro, sez, II civ., 10 luglio 2017, n. 1066. In quest’ultima sentenza sono riscontrabili due profili per così dire anomali, meritevoli di essere segnalati. Il primo riguarda un errore materiale, laddove il Giudice -oltre a fare riferimento all’ultimo dei commissari delegati succedutosi nel tempo -riconduce quest’ultimo alla figura del “Questore” non già del “prefetto” (“Nel caso dell’Ufficio commissariale per il definitivo superamento del contesto di criticità nel settore dei rifiuti solidi urbani nel territorio regionale calabrese, il Commissario delegato pro tempore, al momento della cessazione delle competenze dell’Ufficio, era un questore, il quale certamente non appartiene all’amministrazione regionale e la cui nomina, inoltre, non risulta essere stata il frutto di una designazione da parte della regione” ), facendo ricadere la legittimazione a succedere in capo alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Il secondo profilo anomalo si appunta sul fatto che tale sentenza si pone in netto contrasto con un’altra pronuncia emessa -qualche mese addietro dallo stesso Giudice estensore (25), il quale aveva condotto il (diverso) ragionamento che conduceva al riconoscimento della legittimazione a succedere in capo alla regione Calabria. In questa pronuncia, infatti, il riferimento ricadeva non già sull’ultimo commissario succedutosi nel tempo, ma sul commissario in carica all’epoca in cui è sorto il rapporto controverso, con conseguente riconoscimento della legittimazione a succedere in capo agli enti ordinariamente competenti (in quel caso si trattava della regione Calabria). Si legge, in proposito, nella sentenza citata che: “nel caso di specie risulta che il Commissario delegato in carica all’epoca dei fatti di causa era l’on. Giuseppe Chiaravalloti, che ricopriva nel contempo la carica istituzionale di Presidente della giunta della regione (24) Come già detto, l’ultimo Commissario delegato è stato il prefetto Vincenzo Maria Speranza, giusta o.p.C.M. 23 novembre 2011, n. 3983 cit. (25) Trib. Catanzaro, sez. II, 29 novembre 2016, n. 1696. DoTTrInA 275 Calabria. Ne discende, pertanto, che quest’ultima va considerata successore del cessato Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel rapporto giuridico, da cui è scaturito il credito fatto valere, con conseguente subentro nella medesima posizione debitoria”. Da ultimo, la sezione specializzata in materia d’impresa, rifacendosi alle pronunce della II sez. appena citate, con la sentenza 8 settembre 2017, n. 1293, ha ribadito - in maniera espressa - la volontà di non aderire all’orientamento espresso dai Giudici di palazzo Spada, affermando che: “il Tribunale di Catanzaro ha già manifestato di discostarsi da tale interpretazione (n.d.r. si riferisce all’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2700/2017) con ordinanza collegiale del 13 gennaio 2017 le cui motivazioni sono condivise da questo Collegio Specializzato”. 3.2. L’orientamento della Corte d’appello di Catanzaro. La Corte d’appello di Catanzaro si è posta sin da subito in una posizione diversa da quella fatta propria dalla seconda sezione del Tribunale. In particolare -dopo pochi giorni dall’emanazione dell’ordinanza del 13 gennaio 2017 la Corte territoriale (26) ha smentito la tesi esposta pocanzi sul riferimento all’ultimo commissario delegato succedutosi nel tempo anziché al commissario in carica all’epoca dei fatti da cui origina il rapporto controverso (questa volta la tesi veniva avanzata dalla regione Calabria in sede d’appello di una sentenza che già riconosceva la sua legittimazione passiva in quel determinato giudizio). La Corte afferma quanto segue: “Non si comprende per quale motivo il fatto che dal 2005 in poi siano stati nominati commissari delegati funzionari appartenenti alla amministrazione centrale sarebbe sufficiente ad impedire la successione della regione Calabria di cui al comma 422 primo periodo, ai sensi del secondo periodo dello stesso comma. Dal tenore di tale ultima norma, infatti, non si ricava in alcun modo un riferimento alla cadenza temporale delle nomine in favore di rappresentanti degli enti ordinariamente competenti ovvero dell’amministrazione centrale. anche volendo percorrere la strada tracciata dall’appellata, si potrebbe del pari sostenere che poiché un rappresentante ordinariamente competente (il Presidente della regione Calabria appunto) ha rivestito per circa 8 anni il ruolo di commissario delegato per l’emergenza ambientale tanto basterebbe ad affermare la piena operatività della disposizione successoria di cui al primo periodo del comma 422. anzi, proprio perché il secondo periodo non contiene alcun riferimento al momento in cui le nomine possono in astratto essere intervenute, il fatto che il rappresentante della regione abbia comunque e per un certo periodo di tempo rivestito l’incarico di commissario delegato depone per la conclusione che il disposto di cui al secondo periodo non opera”. (26) Con la sentenza App., Catanzaro, sez. lav., 9 febbraio 2017, n. 1888, inedita. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 In un’altra pronuncia (27), più di recente, la stessa Corte ha inoltre aggiunto che “sarebbe del tutto incongruo e contrastante con la ratio della legge supporre che anche una sola temporanea e contingente interruzione della nomina o della designazione dei Commissari delegati da parte della regione possa impedire il prodursi di quella successione universale che il legislatore ha previsto” e, ancora, in un’altra pronuncia, ha affermato che “nel caso oggetto del presente giudizio trova quindi applicazione il richiamato art. 1, comma 422, l. n. 147/2013, anche in considerazione del fatto che Commissario Delegato era il Presidente della Giunta regionale dott. Giuseppe Chiaraval- loti (v. ord. commissariale n. 2821 del 19 dicembre 2003)” (28). La conclusione più conforme ai canoni di logicità e ragionevolezza (oltre che al tenore letterale della norma) porta a ritenere, in definitiva, che il riferimento al Commissario delegato ai fini dell’applicazione dell’art. 1, comma 422, cit. deve essere condotto alla luce delle specifiche fattispecie di volta in volta scrutinate ovvero prendendo in considerazione il Commissario in carica nel momento in cui si è verificato il fatto da cui origina la pretesa fatta valere in giudizio. Dello stesso avviso sono altre pronunce della Corte d’appello (29), le quali -pur non riferendosi espressamente al commissario delegato da porre come riferimento per l’individuazione dell’ente successore - condividono appieno i principi affermati dal Consiglio di Stato, dichiarando l’estromissione dai giudizi della presidenza del Consiglio dei Ministri e riconosciuto, di contro, la legittimazione a succedere in capo alla regione Calabria. Tra queste, in particolare, con la sentenza (30), la Corte d’appello di Catanzaro - ripercorrendo la natura dell’ente Commissariale - ha affermato che “l’Ufficio Commissariale, giusta oPCm n. 4011/2012, ha cessato tutte le competenze nella specifica materia della gestione dei rifiuti solidi urbani, in data 31 dicembre 2012, con conseguente trasferimento automatico delle stesse alle “amministrazioni ed agli enti ordinariamente competenti” da individuarsi secondo le specifiche disposizioni contenute nel d. lgs. n. 152/2006 c.d. Codice dell’ambiente ed in primis alla regione (cfr. art. 196, comma 1, d. lgs. n. 152/2006): in altri termini a seguito della soppressione dell’Ufficio Commissariale si determina una riespansione dei poteri di gestione degli enti competenti in via ordinaria che non può che determinare, in capo all’ente cui spetta la gestione dell’“ordinario”, l’intestazione dei rapporti precedentemente sorti (cfr. Corte Cost. n. 8/2016)”. (27) App. Catanzaro, sez. lavoro, 22 giugno 2017, n. 956, inedita. (28) App. Catanzaro, sez. I, 1 dicembre 2016, n. 1139, inedita. (29) oltre alle già citate pronunce App. Catanzaro, nn. 1139/2016, 1696/2016 e 1888/2016, si vedano ancora App. Catanzaro, sez. lavoro, 4 aprile 2017, n. 799; id., sez. III civ., decreto di interruzione 3 aprile 2017, n. 1093/2017; id., 3 marzo 2017, n. 1425, decr. di interruzione 5 luglio 2017, n. 1591/2011, inedite. (30) App. Catanzaro, sez. lav., 9 febbraio 2017, n. 1888, inedita. DoTTrInA 277 La sentenza conclude, pertanto, nell’escludere la titolarità del rapporto sostanziale di cui si controverte in capo alla presidenza del Consiglio dei Ministri, con il conseguente rigetto dell’appello in quanto l’attrice non aveva citato in giudizio la regione Calabria. 4. Considerazioni conclusive e possibili soluzioni. A distanza di quasi cinque anni dall’emanazione dei provvedimenti che hanno disposto la cessazione dell’Ufficio Commissariale e il relativo trasferimento delle sue competenze in capo agli enti ordinariamente competenti, la questione inerente la successione dei rapporti, com’è facilmente intuibile dalla rassegna sopra riportata, risulta tutt’altro che pacifica. Le ragioni di tale diversità di opinioni nella giurisprudenza sono così sintetizzabili. Il motivo principale è certamente riconducibile alla portata poco chiara della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013, la quale, pur se emanata per chiarire e meglio inquadrare la fattispecie successoria inerente l’Ufficio del Commissario delegato, ha finito, in realtà, per sortire l’effetto contrario. Difatti, la norma in discorso -prima facie -sembrerebbe effettivamente limitarne l’ambito applicativo alle sole ipotesi in cui i Commissari delegati pro tempore siano anche rappresentanti degli enti ordinariamente competenti ovvero siano soggetti designati da tali enti. Così come formulata, tuttavia, la norma ha prodotto ulteriori contrasti interpretativi, essendo facilmente suscettibile di interpretazioni restrittive finalizzate ad escludere sit e simpliciter la legittimazione della regione Calabria, laddove i Commissari delegati non fossero soggetti designati o rappresentanti della regione stessa. Sarebbe stato, quindi, preferibile introdurre una norma chiara, determinata e puntuale, che avrebbe potuto contribuire a dare stabilità e certezza a rapporti già di per sé controversi. In secondo luogo, l’intervento del Consiglio di Stato non ha prodotto gli effetti sperati, pur essendo chiaramente finalizzato a ridefinire, risalendo alla volontà del legislatore, l’ambito applicativo di una disposizione piuttosto criptica, perché trattasi di una norma lunga (inserita nell’ambito di una Legge di stabilità), elaborata in pochissimo tempo e scritta in modo particolarmente tecnico (31). Deve aggiungersi, in ogni caso, che la prima pronuncia chiarificatrice del (31) non può tralasciarsi, inoltre, che la legge di stabilità rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica e, per tal ragione, la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 422, non avendo una ratio prettamente legata alla manovra di finanza pubblica, sarà sfuggita alla puntigliosa attenzione del legislatore. per dirimere tali questioni sarebbe stato preferibile una norma ad hoc (anche sotto forma di atto avente forma di legge) inerente sit e simpliciter la questione della successione dei rapporti inerenti l’Ufficio Commissariale. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 Consiglio di Stato è arrivata dopo ben tre anni dall’emanazione della norma e, inoltre, anche la sentenza della Corte Costituzionale - pur contenendo principi d’ordine generale, validi e condivisibili - non aveva fatto per nulla chiarezza sulla portata letterale dell’ultimo inciso della disposizione dibattuta. Il punto di partenza, quindi, risulta essere la sentenza n. 2700/2016 del Consiglio di Stato, il cui ragionamento è stato recepito, sia pur non uniformemente, dal Tribunale di Catanzaro e, soprattutto, dalla Corte d’appello. La soluzione auspicabile sarebbe quella di abrogare l’ultima alinea del- l’art. 1, comma 422, l. n. 147/2013, in quanto il nodo del problema sorge proprio dalla sua contorta e poco chiara portata letterale. In ogni caso, anche una pronuncia della Corte di Cassazione - allo stato non ancora intervenuta - porrà fine a qualsiasi dubbio ancora persistente, determinato da una normativa poco chiara e da una giurisprudenza confusa. L’unico giudizio giunto a definizione in sede di legittimità (32) non ha prodotto utili contributi in termini di soluzione della questione, in quanto la Suprema Corte - nel far riferimento al mancato intervento da parte della regione Calabria nel giudizio in questione - ha statuito che la causa avrebbe dovuto proseguire tra le parti originarie ovvero tra la parte privata e la presidenza del Consiglio dei Ministri, anche se, in ogni caso, nel riferirsi alla regione Calabria, la Corte di Cassazione la qualifica come successore a titolo universale nel diritto controverso: “nel caso di specie, la regione Calabria, successore a titolo universale nel diritto controverso non ha spiegato intervento nel presente giudizio, e che, pertanto, ove anche l’estinzione della persona giuridica dia luogo - come nella specie - ad un fenomeno di successione nel diritto controverso, il giudizio deve proseguire fra le parti originarie (Cass. 4 maggio 2004, n. 8416)”. pertanto, pur emergendo da tale pronuncia il riconoscimento in capo alla regione Calabria della legittimazione a succedere all’Ufficio Commissariale, non è rinvenibile alcun riferimento alla dibattuta disposizione contenuta nella Legge di Stabilità 2014, né tanto meno alle successive pronunce del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, rimanendo ancora attuale la questione della successione dei rapporti facenti capo al “cessato” ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria. (32) Cfr. Cass. Civ., sez. I civ., 13 giugno 2017, n. 14683, in Banca dati De Jure, Giuffrè, 2017. DoTTrInA 279 La partecipazione del contribuente al procedimento tributario: l’auspicabile ripensamento della dicotomia tra tributi “armonizzati” e tributi “non armonizzati” al vaglio delle Corti Nicola Usai* Sommario: 1. La differente configurazione del dialogo col cittadino nel procedimento amministrativo e nel procedimento tributario - 2. il contraddittorio tra legge, prassi amministrativa e giurisprudenza - 2.1. i ripensamenti delle Sezioni Unite - 2.2. La diffidenza delle commissioni tributarie - 3. Prospettive di superamento del non-obbligo di contraddittorio. 1. La differente configurazione del dialogo col cittadino nel procedimento amministrativo e nel procedimento tributario. La partecipazione del privato al procedimento amministrativo, delineata in termini generali dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241, rappresenta ancora oggi -quasi trent’anni dopo l’approvazione delle Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi -un elemento di novità la cui piena attuazione costituisce più un percorso da concludere che un approdo raggiunto. Appaiono emblematiche, in questo senso, le numerose novelle che hanno interessato la Legge 241, fin dal suo primo articolo (1). Se nella prima redazione, l’articolo 1, rubricato “Criteri inerenti l’attività amministrativa”, statuiva al primo comma che l’attività amministrativa fosse «retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità», nell’odierna versione, rubricata “principi generali dell’attività amministrativa”, è stabilito cha l’azione della pubblica amministrazione sia «retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza […] nonché dai principi dell’ordinamento comunitario». oltre al non trascurabile ampliamento del catalogo in relazione ai criteri di “imparzialità” e “trasparenza”, il cambiamento più rilevante è rappresentato senz’altro dal riferimento ai “principi dell’ordinamento comunitario”. non si può dubitare che, per tale via, il canone del buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione debba essere declinato (anche) nei termini (*) Già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato di Bologna, abilitato all’esercizio della professione forense, attualmente funzionario dell’Agenzia delle entrate. Il presente scritto non impegna l’Amministrazione di appartenenza dell’Autore. (1) Si tratta, solo per limitarsi all’art. 1, della Legge 11 febbraio 2005, n. 15, della Legge 18 giugno 2009, n. 69 e della Legge 6 novembre 2012, n. 90. Tra le modifiche apportate al corpus della L. 241/1990 ad opera della L. 15/2005, si devono inoltre evidenziare, per la loro incisività nella prospettiva in esame, l’introduzione dell’art. 10 bis sul c.d. preavviso di rigetto e l’estensione dell’ambito applicativo degli accordi amministrativi di cui all’art. 11. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 di un diritto ad una buona amministrazione come contemplato dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il quale comprende, tra l’altro, «il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio » (art. 41, § 2, lett. a) (2). In tale contesto, è risultata foriera di contrasti la previsione dell’articolo 13 della L. 241/1990, nella parte in cui afferma esplicitamente che le disposizioni in tema di partecipazione al procedimento contenute nel capo III della stessa legge «non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano». Il rinvio alla normativa di settore, infatti, costringe a confrontarsi con scelte legislative nient’affatto sensibili alle istanze partecipative del privato, risultando assente, nel campo del diritto tributario, una norma che generalizzi espressamente il diritto ad essere avvertiti dell’avvio del controllo della propria posizione fiscale o il dovere dell’amministrazione di instaurare il contraddittorio col contribuente prima di emanare un atto impositivo. In altre parole, se l’ordinamento amministrativo di norma prevede che l’emanazione del provvedimento (specialmente se ablativo o sanzionatorio) debba essere preceduto da una fase di confronto tra amministrazione e amministrato, l’ordinamento tributario contempla l’innesto di tale fase solo nei casi espressamente previsti (3). La richiesta di chiarimenti al contribuente va ritenuta obbligatoria, ad esempio, negli accertamenti fondati sul metodo sintetico di determinazione del reddito complessivo (cfr. art. 38, comma 7, D.p.r. 600/1973), negli accertamenti fondati sulle risultanze di indagini finanziarie (cfr. art. 32, comma 1, n. 2 D.p.r. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 2, D.p.r. 633/1972), negli accertamenti basati sugli studi di settore di cui all’art. 62 sexies del D.L. 331/1993, convertito in L. 427/1993 (cfr. art. 10, comma 3, L. 146/1998), negli accertamenti in cui si contesti l’abuso del diritto da parte del contribuente (cfr. art. 10 bis, comma 6, L. 212/2000).(*) (2) Si ricordi che, con l’approvazione del Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha assunto «lo stesso valore giuridico dei Trattati» (art. 6, § 1, del T.U.e.). (3) per una riflessione sulle funzioni - partecipativa e difensiva - dell’istituto del contraddittorio endoprocedimentale, cfr. A. perrone, Dalla Corte costituzionale una possibile soluzione alla tormentata questione del contraddittorio endoprocedimentale tributario, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 3/2017, pp. 921 e ss. Sul tema del contraddittorio nel diritto amministrativo in generale e nel diritto tributario in particolare, cfr. S. SAMMArTIno, il diritto al contraddittorio endoprocedimentale, in rassegna Tributaria, n. 4/2016, pp. 986 e ss. (*) Cfr. GIAnnA MArIA De SoCIo, Le conseguenze dell’inosservanza del contraddittorio alla luce del raffronto fra i valori costituzionali sottesi all’istituto del contraddittorio e quelli sottesi all’esercizio dell’azione impositiva, in rass. avv. Stato, 2016, Vol. 4, 219 ss. (n.d.r.). DoTTrInA 281 2. il contraddittorio tra legge, prassi amministrativa e giurisprudenza. Assume particolare rilievo un’ulteriore fattispecie, disciplinata dall’articolo 12 della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente): nei casi in cui vengano effettuati accessi e ispezioni presso i locali nella disponibilità del contribuente, il secondo comma della norma citata prescrive che questi debba essere informato dell’oggetto della verifica e delle ragioni che l’hanno giustificata. Il successivo comma 7 fissa un termine dilatorio di sessanta giorni per la comunicazione di osservazioni e richieste, decorrente dalla data del rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica, e pendente il quale l’avviso di accertamento non può essere emanato, salvo casi di particolare e motivata urgenza (4). L’ultimo comma dell’articolo 12 stabilisce, inoltre, che le osservazioni e richieste formulate debbano essere valutate dagli uffici impositori, con ciò implicando un preciso onere motivazionale in capo all’Amministrazione Finanziaria. (4) non è questa la sede per esaminare le varie questioni interpretative sorte in merito al divieto di emanare l’atto ante tempus e sulla portata dell’esimente data dalla sussistenza della «particolare e motivata urgenza». Tuttavia, per la rilevanza di tale dibattito, si devono segnalare alcune pronunce particolarmente significative. In Cass., Sez. Unite, 29 luglio 2013, n. 18184, si è affermato che «l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva; il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio». È stato inoltre puntualizzato che le specifiche ragioni di urgenza, riferite al rapporto tributario controverso, «non possono identificarsi nell’imminente spirare del termine di decadenza di cui al D.P.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, che comporterebbe anche la convalida, in via generalizzata, di tutti gli atti in scadenza, mentre, per contro, è dovere dell’amministrazione attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale» (Cass. Civ., 5 febbraio 2014, n. 2592) e che «l’amministrazione finanziaria, ove alleghi l’imminente scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento al fine di contrastare l’eccezione di nullità per inosservanza della L. 31 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, ha l’onere di specificare e dimostrare, in conformità del principio di vicinanza del fatto da provare, che ciò non sia dipeso dalla sua incuria, negligenza o inefficienza, ma da ragioni che hanno impedito il tempestivo ed ordinato svolgimento delle attività di controllo entro il sessantesimo giorno antecedente la chiusura delle operazioni, come, ad esempio, nuovi fatti emersi nel corso delle indagini fiscali o di procedimenti penali svolti nei confronti di terzi, eventi eccezionali che hanno inciso sull’assetto organizzativo o sulla regolare programmazione dell’attività degli uffici, condotte dolose o pretestuose o volutamente dilatorie del contribuente sottoposto a verifica» (Cass. Civ., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 25759). per un commento alla sentenza SS.UU. n. 18184/2013, cfr.: r. LUpI - M.r. SILVeSTrI - D. STeVAnATo, accertamento prematuro e procedimento amministrativo, in Dialoghi tributari, n. 4/2013; F. TUnDo, illegittimo l’atto impositivo emesso “ante tempus”: le Sezioni Unite chiudono davvero la questione?, in Corriere Tributario, n. 36/2013, pp. 2825 e ss. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 Sebbene innanzi alle commissioni tributarie non sia infrequente che i contribuenti prospettino un’interpretazione estensiva delle disposizioni da ultimo menzionate, come fondanti un generalizzato obbligo di contraddittorio endo- procedimentale, non si può dubitare -dato l’inequivoco tenore letterale della norma in commento -che la sfera di applicazione dell’articolo 12 non si estenda oltre le ipotesi di accesso presso i locali nella disponibilità del contribuente (5). eppure la necessità di “cambiare verso” (per utilizzare un’espressione negli ultimi anni molto in voga all’interno dell’Amministrazione Finanziaria) anche nell’ambito dei cc.dd. controlli a tavolino - ovvero quelli svolti tramite l’esame delle informazioni disponibili in Anagrafe Tributaria e della documentazione fornita a seguito di inviti e questionari - ha trovato più di un sensibile ascoltatore. In tema di accertamenti sul valore venale in comune commercio rilevanti ai fini dell’imposta di registro (e delle imposte ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni) è la stessa Circolare dell’Agenzia delle entrate - Direzione Centrale Accertamento del 28 aprile 2016, n. 16/e, ad affermare «l’inderogabile necessità di utilizzare l’istituto del contraddittorio con il contribuente prima dell’emissione dell’avviso di rettifica, quale efficace metodo per il rafforzamento della quantificazione della pretesa tributaria e la riduzione della conflittualità nel rapporto con il contribuente. il confronto preventivo, infatti, costituisce la modalità istruttoria più valida, poiché consente al contribuente di fornire chiarimenti e documentazione utili a inquadrare in modo più realistico la fattispecie oggetto di stima e, nello stesso tempo, permette all’amministrazione finanziaria di pervenire a valutazioni più trasparenti e sostenibili» (pag. 17). È interessante notare come, nel documento di prassi, il contraddittorio preventivo venga definito una «inderogabile necessità » nonostante il silenzio sul punto dell’articolo 51 del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro di cui al D.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, e quindi nonostante l’assenza di un obbligo legislativo di tal genere in capo all’ente impositore. 2.1. (continua) i ripensamenti delle Sezioni Unite. In carenza di norme tributarie che espressamente impongano l’obbligatoria attivazione del contraddittorio per tutte le tipologie di accertamento, e posto che tale risultato non può essere raggiunto forzando la lettera dell’art. 12, comma 7 della L. 212/2000, una parte della giurisprudenza ha cercato di configurare “per altre vie” un vincolo siffatto. (5) In senso contrario, si vedano: M. BeGhIn, Contraddittorio endoprocedimentale, verifiche “a tavolino” e diritto di difesa: avvertenze per l’uso (in attesa delle Sezioni Unite), in GT - rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 4/2015, pp. 297 e ss.; M.M. De VITo, Sezioni Unite sul contraddittorio endoprocedimentale, in Guida ai Controlli Fiscale, n. 4/2016, pp. 52 e ss. DoTTrInA 283 In tale prospettiva si sono poste le sentenze gemelle delle Sezioni Unite nn. 19667 e 19668 del 18 settembre 2014, affermando che un «atto destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e gli interessi del contribuente, deve essere a quest’ultimo comunicata prima di essere eseguit[o], in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa mediante l’attivazione del “contraddittorio endoprocedimentale”, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa». La Corte ha infatti concluso che, anche nel regime antecedente l’entrata in vigore dell’obbligo di notificare la “comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria” ex art. 77, comma 2 bis, del D.p.r. 602/1973, sussisteva in capo all’Amministrazione Finanziaria, a pena di nullità, l’obbligo di dare comunicazione al contribuente che si sarebbe preceduto all’iscrizione di ipoteca e di concedergli un termine per esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni (6). (6) Appare utile, visto l’articolato ragionamento della Corte, riportare per esteso i passaggi della motivazione che qui rilevano: «il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, come afferma - ricordando la propria precedente sentenza del 18 dicembre 2008, in causa C-349/07 Sopropè - la Corte di Giustizia nella sua recentissima sentenza del 3 luglio 2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Ka- mino international Logistics BV e Datema Hellmann Wortdwide Logistics BV. 15.2.1. il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento afferma la Corte di Giustizia, è attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensì anche nell’art. 41 di quest'ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. il citato art. 41, par. 2 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo. 15.2.2. Conclude la Corte che in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni. Tale obbligo, ad avviso della Corte, incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità. 16. Dal complesso delle considerazioni fin qui svolte si deve concludere che l’iscrizione ipotecaria prevista dal D.P.r. n. 602 del 1973, art. 77 in quanto atto destinato ad incidere in modo negativo sui diritti e gli interessi del contribuente, deve essere a quest’ultimo comunicata prima di essere eseguita, in ragione del dovuto rispetto del diritto di difesa mediante l’attivazione del “contraddittorio endoprocedi- mentale”, che costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento cui dare attuazione anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa. Quanto al consequenziale termine da fissare al destinatario per la presentazione di eventuali osservazioni (o, dato il caso specifico, per il pagamento del dovuto) anch’esso può trarsi, in difetto di espressa previsione scritta, dal sistema e determinarlo in trenta giorni sulla base delle prescrizioni che prevedono analogo termine con l'art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente o il D.P.r. n. 600 del 1973, art. 36-ter, comma 4. 17. Nel quadro delineato, il D.P.r. n. 602 del 1973, art. 77, comma 2 introdotto con D.L. n. 70 del 2011, rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 Senonché, la validità delle conclusioni a cui sono giunte le pronunce del settembre 2014 è stata presto messa in discussione dalla sottosezione tributaria della Sezione VI, con ordinanza di rimessione alle stesse Sezioni Unite (7). I Giudici rimettenti -ripercorsi i precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte sul tema dell’ambito di applicazione delle garanzie endoprocedimentali fissati dall’articolo 12, comma 7, della L. 212/2000 - esponevano le ragioni che facevano ritenere «necessaria una precisazione dei limiti di applicazione dell’affermazione contenuta nella sentenza n. 19667/14». L’ordinanza, da un lato, rilevava come «l’esistenza di una molteplicità di norme che prevedono il contraddittorio procedimentale in materia tributaria non pare costituire argomento sufficiente per affermare l’esistenza di tale obbligo anche in quei procedimenti in relazione ai quali manchi una norma che lo sancisca, potendo semmai, al contrario, pervenirsi alla conclusione opposta sulla scorta dell’antico canone “ubi voluit dixit”», dall’altro, riteneva «non pienamente convincente […] l’impostazione che trae immediatamente dal disposto degli artt. 24 e 97 Cost., l’obbligo dell’amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, anche in assenza di una norma di legge ordinaria, ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente». Ai dubbi espressi dalla sezione semplice, le Sezioni Unite hanno dato risposta con la sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015, segnando l’ormai consolidata (almeno in ambito pretorio) distinzione tra la disciplina applicabile all’accertamento dei tributi “armonizzati” e a quella applicabile ai tributi “non armonizzati” (in senso conforme, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. VI ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. Civ, Sez. VI, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. Civ, Sez. VI, ord. 25 agosto 2017, n. 20421; Cass. Civ, Sez. VI, ord. 23 agosto 2017, n. 20320; Cass. Civ, Sez. VI, ord. 22 agosto 2017, n. 20267; Cass. Civ, Sez. V, ordd. 11 agosto 2017, nn. 20020-20021). In estrema sintesi (8), secondo i Giudici del palazzaccio, il diritto interno, che obbliga l’agente della riscossione a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1, non “innova” (soltanto) -se non sul piano formale -la disciplina dell’iscrizione ipotecaria, ma ha (anche e prima ancora) una reale “valenza interpretativa”, in quanto esplicita in una norma positiva il precetto imposto dal rispetto del principio fondamentale immanente nell’ordinamento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa del contribuente mediante l’obbligo di attivazione da parte dell’amministrazione del “contraddittorio endoprocedimen- tale” ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo. Principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva e la cui violazione determina la nullità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario». (7) Cass. Civ., Sez. VI-5, ord. 14 gennaio 2015, n. 527. (8) per un maggiore approfondimento, si veda: G. MArzo - I. BArBIerI, La sorte degli accertamenti emessi senza preventiva audizione del contribuente, in Ventiquattrore avvocato, n. 7/2017, pp. 10 e ss.; C. LAMBerTI, Nel diritto nazionale l’accertamento non è (sempre) nullo se manca il contraddittorio, DoTTrInA 285 differentemente dal diritto dell’Unione europea, non porrebbe in capo all’Amministrazione Finanziaria in assenza di una specifica prescrizione un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a pena di invalidità dell’atto; pertanto, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale sussisterebbe esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito. Viceversa, in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale comporterebbe l’invalidità dell’atto (9), purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto (c.d. prova di resistenza). 2.2. (continua) La diffidenza delle commissioni tributarie. La pronuncia delle Sezioni Unite non ha mancato di suscitare reazioni critiche. Invero, tra i giudici di merito si registrano diverse decisioni che espressamente si discostano dai principi di diritto sanciti dalla sentenza n. 24823/2015 (10). in GT - rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 1/2016, pp. 20 e ss.; D. DeoTTo, Contraddittorio preventivo: per la Cassazione l’obbligo vale solo per i tributi armonizzati, in Norme e Tributi mese, n. 2/2016, pp. 44 e ss.; M. FInoCChIArIo, L’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale non vale per ogni provvedimento che lede i diritti del contribuente, in Guida al Diritto, n. 15/2016, pp. 38 e ss. (9) obbligo sul quale, osserva la Corte, si è formata una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sentenze 3 luglio 2014, in C-129/13 e C-130/13, ramino international Logistics; 22 ottobre 2013, in C-276/12, Jiri Sabou; 1 ottobre 2009, in C-141/08, Foshan Shunde Yongjian Housewares; 18 dicembre 2008, in C-349/07, Sopropè; 2 ottobre 2003, in C-194/99, Thyssen Stani; 12 dicembre 2002, in C-395/00, Soc. Distillerie Cipriani; 21 settembre 2000, in C-462/98, mediocurso; 8 luglio 1999, in C-51/92, Hercules Chemicals; 4 ottobre 1996, in C-32/95, Lisrestat). (10) Si vedano, tra queste: -C.T.r. Milano, 3 gennaio 2017, n. 2/27/2017: «al contrario coglie nel segno la difesa del contribuente nella misura in cui ha evidenziato la nullità dell’avviso gravato per violazione, ad opera dell’Ufficio, del principio del contradditorio endoprocedimentale che questa Commissione ritiene immanente nel- l’ordinamento giuridico a presidio di valori costituzionalmente tutelati oltre che espressione di civiltà giuridica. il principio del contraddittorio è posto a garanzia e tutela del contribuente ed è da ritenersi elemento essenziale e imprescindibile ai fini della regolarità della condotta dell’amministrazione, come sancito in numerose pronunce della Cassazione (si vedano le sentenze della Suprema Corte di Cassazione n. 26635 del 2009, n. 18906 del 2011 e n. 14026 del 2012) […]. il principio del necessario contraddittorio endoprocedimentale rileva infatti non soltanto nel caso di contestazione di fattispecie elusive a carico dei contribuenti, ma anche nel caso dei cosiddetti accertamenti a tavolino: su tale ultimo punto rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 La Commissione Tributaria regionale della Toscana, con l’ordinanza 18 gennaio 2016, n. 736/01/2016, ha poi sollevato due differenti questioni di legittimità costituzionale, entrambe riguardanti l’articolo 12 della L. 212/2000 e il suo ambito di applicazione nel “diritto vivente” (riferito espressamente alla sentenza delle Sezioni Unite). Il giudice fiorentino ha infatti ritenuto non manifestamente infondati i dubbi di incostituzionalità della norma, nella parte in cui esclude dalle garanzie ivi previste i contribuenti attinti da accertamenti cc.dd. a tavolino per tributi “non armonizzati”, sia in relazione alla violazione del diritto di difesa (artt. 24, 111 Cost. e art. 6 CeDU), sia con riferimento alla sospettata irragionevole disparità di trattamento provocata dal «fatto -in sé non pertinente -di aver subito una ispezione » (artt. 3 e 53 Cost.). I quesiti sottoposti al vaglio della Corte costituzionale dalla C.T.r. di Firenze non hanno però trovato risposta. La pronuncia dei Giudici della Consulta, ritenuta «inadeguata [la] descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, in quanto effettuata con modalità tali da non consentire a questa Corte la necessaria verifica della rilevanza della questione», si è infatti risolta in una dichiarazione di manifesta inammissibilità (ord. 13 luglio 2017, n. 187) (11). la Commissione non condivide le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24823 dei 2015 che ha limitato l’operatività del suddetto principio unicamente ai tributi armonizzati escludendone la portata con riguardo agli accertamenti a tavolino come quello che ha interessato l’odierno contribuente appellato»; -C.T.p. reggio emilia, 7 febbraio 2017, n. 55: «questo Giudice ben conosce il principio di diritto, autorevolmente, enunciato dalla Corte di Cassazione SS.UU. […]; ma ritiene di non potervi aderire; invero va detto che un’interpretazione che giunga a limitare la piena tutela del contraddittorio preventivo, in dipendenza della natura non armonizzata dei tributi pretesi, si espone a censure di incostituzionalità, irragionevolmente implicando disparità di trattamento manifestatamente contrarie al divieto della c.d. “discriminazione a rovescio”, vale a dire situazioni di disparità in danno di cittadini di uno stato membro, e delle sue imprese che si verifichino come effetto indiretto dell’applicazione del diritto Europeo (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 997/443 massima n. 23700 secondo cui “... il che equivale a dire che nel giudizio di eguaglianza affidato alla Corte costituzionale non possono essere ignorati gli effetti discriminatori che l’applicazione del diritto comunitario è suscettibile di provocare”); insomma se si vuole dare una lettura costituzionalmente orientata e corretta della normativa vigente, bisogna concludere per l’applicazione del principio della necessaria applicazione del contraddittorio endoprocedi- mentale a tutti i tributi e non solo a quelli armonizzati»; -C.T.p. Campobasso, 19 febbraio 2016, n. 116/3/2016: «Ebbene, al riguardo il Collegio deve osservare che, prima del suddetto arresto [SS.UU. 24823/2015], la stessa Corte di Cassazione, Sezioni unite, con la sentenza n. 19667/2014 ha ribadito il principio secondo cui “incombe sull’amministrazione finanziaria un generale obbligo di attivare sempre il contraddittorio” rispetto all'adozione di un provvedimento che possa incidere negativamente sui diritti e sugli interessi dei contribuenti. in caso contrario l’atto è nullo. anche accogliendo l’eccezione dell’ufficio, quindi, sussisterebbe comunque la violazione del diritto al contraddittorio, contestata dai ricorrenti, costituendo questo, secondo la pronuncia della suprema Corte, principio generale, applicabile a qualsiasi procedimento amministrativo tributario». (11) nella medesima camera di consiglio del 5 luglio 2017, con le ordinanze nn. 188 e 189, depositate il 13 luglio 2017, la Corte costituzionale ha parimenti dichiarato manifestamente inammissibili DoTTrInA 287 3. Prospettive di superamento del non-obbligo di contraddittorio. È a questo punto evidente che il dibattito, sul quale si son cercate di fornire alcune coordinate essenziali, è destinato a restare vivo e a continuare a “produrre” contenzioso. Le ragioni, come visto, sono molteplici. Intanto, lo si è accennato nelle prime righe, la pubblica amministrazione nel suo complesso non agisce più (o non dovrebbe più agire) secondo moduli procedimentali propri di una concezione del potere amministrativo, ormai superata, caratterizzata dalla presunzione di legittimità del provvedimento, dalla ritenuta autosufficienza dell’istruttoria dell’ufficio e dall’esclusiva rilevanza dell’interesse pubblico a discapito degli interessi privati (12). Tenendo a mente questo dato, non pare ipotizzabile che il procedimento tributario, pur nella consapevolezza delle sue specificità, si collochi fuori dal cambio di paradigma dei rapporti tra cittadino e amministrazione, tollerando dei “coni d’ombra” al cui interno il potere si possa esplicare in modo schiettamente autoritativo e unilaterale. V’è da aggiungere che l’assenza di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale in campo fiscale non stride solo con argomenti, per così dire, politici o metagiuridici, ma soprattutto con un dato normativo di cui la giurisprudenza tributaria è incredibilmente apparsa inconsapevole. Si tratta dell’articolo 1 della L. 241/1990, secondo il quale l’attività amministrativa è retta dai principi dell’ordinamento comunitario (13). Se, come detto nel prologo, il diritto ad una buona amministrazione di cui all’articolo 41 della Carta di nizza si articola (anche) nel «diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio», non si può negare che il contraddittorio endoprocedimentale debba entrare a pieno titolo tra i diritti del contribuente innanzi all’Amministrazione Finanziaria. A tale conclusione non osta neppure la previsione del già citato articolo le questioni di legittimità sollevate, con riferimento a simili fattispecie, dalla Commissione Tributaria provinciale di Siracusa (con ord. n. 235/05/2016) e dalla Commissione Tributaria regionale della Campania (con ord. n. 261/47/2016). (12) Sul tema, di portata vastissima, è qui sufficiente segnalare solo alcuni contributi: S. CASSeSe, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche. Saggio di diritto comparato, in rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1/2007, pp. 13 e ss.; F. MerUSI, Per il ventennale della legge sul procedimento amministrativo, in rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4/2010, pp. 939 e ss.; F. SAITTA, il procedimento amministrativo “paritario” nel pensiero di Feliciano Benvenuti, in amministrare, n. 3/2011, pp. 457 e ss. (13) In favore della soluzione che qui si prospetta, invero, si sono già espressi più autorevoli Autori; cfr.: A. renDA, il contraddittorio preventivo tra speranze (deluse), rassegnazione e prospettive, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 2/2016, pp. 719 e ss.; A. LoVISoLo, Sulla c.d. “utilità” del previo contraddittorio endoprocedimentale, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 2/2016, pp. 719 e ss.; A. CArInCI D. DeoTTo, il contraddittorio tra regola e principio: considerazioni critiche sul revirement della Suprema Corte, in il Fisco, n. 3/2016, pp. 207 e ss.; M. BrUzzone, L’art. 12, comma 7 della Legge n. 212/2000 è davvero incostituzionale?, in GT - rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 3/2016, pp. 249 e ss.; S. SAMMArTIno, op cit., in rassegna Tributaria, n. 4/2016. rASSeGnA AVVoCATUrA DeLLo STATo - n. 3/2017 13 della L. 241/1990, poiché esso esclude i procedimenti tributari dall’ambito di applicazione del capo III sulla partecipazione e tiene «ferme le particolari norme che li regolano». non preclude, invece, l’applicazione delle disposizioni del capo I della medesima legge. Vista in questa prospettiva, sbiadisce la valenza prescrittiva della distinzione tra tributi “armonizzati” e tributi “non armonizzati”. nel panorama delle facoltà partecipative, infatti, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio assumerebbe una funzione integratrice rispetto alle “particolari norme” - come i già richiamati articoli 38, comma 7, D.p.r. 600/1973; 32, comma 1, n. 2 D.p.r. 600/1973 e 51, comma 2, n. 2, D.p.r. 633/1972; 10, comma 3, L. 146/1998; 10 bis, comma 6, L. 212/2000; 77, comma 2 bis, del D.p.r. 602/1973; 12, comma 7, L. 212/2000 - che regolano specifici schemi procedurali. e ciò a prescindere dal fatto che, nella fattispecie concreta, le garanzie di matrice comunitaria dispieghino i loro effetti direttamente (nel caso dei tributi “armonizzati”) o per il tramite del richiamo ai principi dell’ordinamento comunitario operato dall’articolo 1 della L. 241/1990 (nel caso dei tributi “non armonizzati”). A questo punto, è giusto il caso di rammentare come l’effetto invalidante dell’atto per la violazione di un obbligo di contraddittorio “di tipo comunitario” risulterebbe inscindibilmente legato all’esito della c.d. prova di resistenza, in ciò differenziandosi dall’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7 della L. 212/2000 che comporta - secondo l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite n. 18184/2013 - «di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus», e quindi assicurando una finalità non meramente formalistica al momento del confronto tra amministrazione e amministrato (14). nel silenzio della legge, in tutti i casi in cui la normativa fiscale non “procedimentalizzi” appositamente la fase del contraddittorio, sarebbe quindi compito dei documenti di prassi quello di predisporre gli opportuni strumenti per consentire un’effettiva partecipazione nell’attività di controllo e accertamento tributario. In caso di mancato coinvolgimento del privato, tuttavia, si avrebbe luogo alla caducazione dell’atto impositivo solo qualora, all’esito della “prova (14) In verità, anche nell’ordinamento interno è fenomeno da tempo affermato quello della c.d. dequotazione dei vizi formali dell’atto amministrativo, che ha trovato generale consacrazione a livello legislativo nel disposto dell’art. 21 octies, comma 2, prima parte della L. 241/1990, secondo cui «Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». più in generale, si è consolidato un “principio di prevalenza della sostanza sulla forma” a norma del quale il vizio formale, per ripercuotersi sulla validità dell’atto, deve comportare un effettivo pregiudizio al diritto di difesa del cittadino: non solo deve averne impedito la partecipazione procedimentale, ma deve avere altresì causato un vizio (o comunque una difformità) dal punto di vista contenutistico. DoTTrInA 289 di resistenza”, si riveli una lesione delle facoltà partecipative (non pretestuosamente dilatorie) del contribuente. L’Amministrazione, nel declinare il principio in pratica, e quindi nel definire le concrete regole di intervento nel procedimento (rectius: nei procedimenti), potrebbe peraltro disporre di quella discrezionalità necessaria a preservare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’attività amministrativa, ovvero, in definitiva, a dare piena attuazione al canone del buon andamento e al diritto ad una buona amministrazione. RECENSIONI “Il nuovo sistema ispettivo e il contrasto al lavoro irregolare dopo il Jobs Act” Stefano Bellomo -Emilia D'Avino -Alberto De Vita -Marco Esposito Michele Faioli -Lorenzo Gaeta -Giuseppe Gentile -Adolfo Mutarelli Danilo Papa - Luigi Pelliccia - Paolo Pennesi - Stefano Visonà (a cura di) MArco ESPoSIto* (“Il nuovo diritto del lavoro” collana diretta da Luigi Fiorillo e Adalberto Perulli, G. Giappichelli Editore, 2017, pp. XIV-146) Dal 1° gennaio 2017 l’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), istituito con il d.lgs. n. 149 del 2015, è divenuto soggetto pienamente operativo nel campo della vigilanza sui luoghi di lavoro. E con quest’ultimo tassello può dirsi definitivamente assestato l’articolato quadro normativo sulla riforma dei servizi ispettivi e sulla promozione di una nuova stagione di contrasto al lavoro irregolare, nelle sue varie forme. Si tratta di un capitolo nevralgico del Jobs Act; e gli scritti raccolti in questo volume si propongono proprio di analizzare e commentare, in una prospettiva integrata e sistematica, le principali novità intervenute dal 2014 al 2017 su questi temi. Dunque, non solo un commento alla riforma del 2015 - nel tempo arricchitasi di regolamenti e prime prassi amministrative -ma più in generale una riflessione di insieme sulle prospettive dell’azione di governo rivolta alla legalità del lavoro. Vengono analizzati i vari aspetti della materia: oltre all’assetto dettagliato dell’INL, ivi comprendendo anche il nuovo sistema dei ricorsi e alcuni profili processuali, l’attenzione è poi rivolta al nuovo apparato sanzionatorio, ove si includono, tra l’altro, le innovazioni sulla depenalizzazione di gran parte delle fattispecie giuslavoristiche, nonché la c.d. “legge sul caporalato”. All’opera hanno partecipato studiosi di estrazione varia, di provata esperienza e competenza sui temi trattati; si è cercato di garantire l’illustrazione dei diversi istituti in una pro (*) Marco Esposito, è Professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Napoli “Parthenope”, dove presiede il Corso di laurea in Giurisprudenza. Esperto di lavoro sommerso, è anche componente dell’Osservatorio del Comune di Napoli “Napoli Città sicura”. rASSEGNA AVVOCAtUrA DELLO StAtO - N. 3/2017 spettiva tanto teorica quanto operativa, sì da fornire un commento utile a raffigurare, unitariamente, il fondamento generale delle disposizioni di legge nonché regolamentari e la loro concreta praticabilità. E in questa prospettiva si è scelto di chiudere il Volume con un’interessante Postfazione dello stesso Capo dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Finito di stampare nel mese di dicembre 2017 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma