ANNO LXVII - N. 3 LUGLIO - SETTEMBRE 2015 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIFICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi - Giuseppe Guarino - Natalino Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Giacomo Arena e Maurizio Borgo. COMITATO DI REDAZIONE: Lorenzo D’Ascia - Gianni De Bellis - Sergio Fiorentino - Paolo Gentili - Maria Vittoria Lumetti - Francesco Meloncelli - Marina Russo - Massimo Santoro - Carlo Sica - Stefano Varone. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi - Stefano Maria Cerillo - Luigi Gabriele Correnti - Giuseppe Di Gesu - Pierfrancesco La Spina - Marco Meloni - Maria Assunta Mercati - Alfonso Mezzotero - Riccardo Montagnoli - Domenico Mutino - Nicola Parri - Adele Quattrone - Pietro Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE FASCICOLO: Massimo Bachetti, Guglielmo Bernabei, Emanuela Brugiotti, Francesco Maria Ciaralli, Carla Colelli, Lucrezia D’Avenia, Paolo Del Vecchio, Wally Ferrante, Maria Letizia Guida, Marco La Greca, Ilia Massarelli, Massimo Massella Ducci Teri, Vincenzo Rago, David Romei, Massimo Salvatorelli, Francesco Scardino, Fabrizio Urbani Neri. E-mail: giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it - tel. 066829313 maurizio.borgo@avvocaturastato.it - tel. 066829562 ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA - Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 INDICE - SOMMARIO TEMI ISTITUZIONALI Potere di autentica dei difensori e modalità di esercizio, Circolare AGS 30 ottobre 2015 prot. 484713 n. 46 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Massimo Salvatorelli, Il visto di regolarità della Regia Avvocatura dello Stato: vigenza del D.M. 2984/1940 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un romanzo politico (L. Sterne). Scambio di mail sulla “sedia” nel processo amministrativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Emanuela Brugiotti, Maternità surrogata: il rifiuto di registrazione dell’atto di nascita nella giurisprudenza della Corte Edu e alcune conseguenze applicative nell’ordinamento italiano (e non solo) (C. europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, sent. 27 gennaio 2015. ric. 25358/12, Paradiso e Campanelli c. Italia). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stefano Varone, L a partecipazione degli enti pubblici alle gare di appalto e la tutela della concorrenza (C. giustizia Ue, Sez. Quinta, sent. 18 dicembre 2014, causa C-568/13) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.- I giudizi in corso alla Corte di giustizia Ue Fabrizio Urbani Neri, Agricoltura e pesca - Normativa veterinaria, Causa C-301/14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carla Colelli, Libertà di stabilimento. Libera prestazione dei servizi. Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-387/14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabrizio Urbani Neri, Ravvicinimento delle legislazioni. Tutela dei consumatori, Causa C-611/14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carla Colelli, Libertà di stabilimento. Libera prestazione dei servizi. Ravvicinamento delle legislazioni, Causa C-27/15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marina Russo, Ravvicinamento delle legislazioni. Agricoltura e Pesca. Alcol, Causa C-75/15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Francesco Scardino, Il contratto preliminare di preliminare tra causa in concreto e accordi giuridici preparatori (Cass. civ., Sez. Un., sent. 6 marzo 2015 n. 4628). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally Ferrante, L’accesso abusivo ai sistemi informatici e il giudice naturale (Cass. Pen., Sez. Un., sent. 24 aprile 2015 n. 17325) . . . . . . . . . . Marina Russo, “Limiti esterni” della giurisdizione del Consiglio di Stato e esercizio della discrezionalità del Consiglio Superiore della Magistratura (Cass. civ., Sez. Un., sent. 5 ottobre 2015 n. 19787) . . . . . . . . . . . . Lucrezia D’Avenia, Il diritto al risarcimento/indennizzo per i medici iscritti ad un corso di specializzazione prima del 1 gennaio 1983. Il dipag. 1 ›› 22 ›› 26 ›› 31 ›› 101 ›› 121 ›› 129 ›› 138 ›› 147 ›› 159 ›› 163 ›› 170 ›› 188 scutibile orientamento della Cassazione lavoro (Cass. civ., Sez. Lav., sent. 22 maggio 2015 n. 10612) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . David Romei, La Cassazione scioglie i dubbi sull’ambito temporale di efficacia della declaratoria di incandidabilità degli amministratori degli Enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose (Cass. civ., Sez. I, sent. 22 settembre 2015 n. 18696) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco Maria Ciaralli, Autorità amministrative indipendenti e principio di legalità nella prospettiva nazionale ed europea (Cons. St., Sez. VI, sent. 1 ottobre 2014 n. 4874) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Ilia Massarelli, Sull’erogazione del contributo economico per le vittime dell’estorsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vincenzo Rago, Procedura sulla scelta degli enti incaricati della valutazione scientifica dei dossier di prodotti fitosanitari . . . . . . . . . . . . . . . . . Massimo Bachetti, Agenzie ippiche: “minimi garantiti” e “quote di prelievo” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maria Letizia Guida, L’istituto del silenzio-assenso sui pareri dell’Avvocatura dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ Paolo Del Vecchio, Intervento al Convegno “Lotta alla mafia e alla corruzione negli appalti pubblici. Il ruolo del giudice amministrativo” , Napoli, 5 giugno 2015. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marco La Greca, Il Processo Amministrativo Telematico e le notifiche a mezzo pec . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Guglielmo Bernabei, La formula “Legge - provvedimento” e i suoi significati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 205 ›› 220 ›› 230 ›› 261 ›› 267 ›› 274 ›› 282 ›› 283 ›› 291 ›› 299 TEMI ISTITUZIONALI Avvocatura Generale dello Stato CIRCOLARE N. 46/2015 Oggetto: Potere di autentica dei difensori e modalità di esercizio. Con l’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2015, n. 83, come modificato dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 132, sono state significativamente ampliati i casi in cui ai difensori è attribuito il potere di autentica, e, in una certa misura, sono state anche dettate disposizioni volte a regolare le modalità di esercizio di tale potere. Le norme attributive del potere di autentica sono diverse e, per quanto specificatamente interessa i difensori, sono contenute: 1) nell’art. 3 bis, comma 2, della legge n. 53/1994, con riferimento alla “materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, qualora si debba notificare copia informatica di originale cartaceo; 2) nell’art. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/1994, sempre con riferimento alla “materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, qualora, non essendo possibile il deposito telematico, si proceda al deposito di copia cartacea dell’originale informatico notificato via pec; 3) nell’art. 16 bis, comma 9 bis, del DL 179/2012, con riferimento ai soli procedimenti civili, per la produzione di duplicati o l’estrazione di estratti o copie informatiche o cartacee di documenti presenti nei fascicoli informatici, o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche, dei procedimenti civili indicati nello stesso art. 16 bis; 4) nell’art. 16 decies del DL 179/2012, inserito dall’art. 19, comma 1, lett. b), D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 183, con riferimento ai soli procedimenti civili, per le copie informatiche dei provvedimenti del giudice e degli atti di parte, nell’ambito delle attività di deposito negli stessi procedimenti civili; 5) nell’art. 16 bis, comma 2, ultima parte, del DL 179/2012, come modificato dall’art. 18, comma 4, del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, con riferimento ai soli procedimenti esecutivi, per le copie informatiche di provvedimenti del giudice, atti di parte e documenti cartacei, nell’ambito dell’attività di deposito negli stessi procedimenti esecutivi. Norma regolatrice delle modalità di esercizio del potere di autentica. L’art. 16 undecies dello stesso D.L. 179/2012 (anche’esso introdotto dal D.L. n. 83/2015 e modificato dalla legge di conversione) poi, regola direttamente le modalità con cui si esercita 2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 il potere di autentica variamente attribuito dalle disposizioni dianzi citate, con riferimento alla copia cartacea (comma 1) e, con riferimento alla copia informatica, limitatamente al caso in cui l’attestazione di conformità sia apposta sullo stesso documento autenticato (comma 2); nel caso in cui, peraltro, l’attestazione di conformità sia apposta su un documento informatico separato, lo stesso art. 16 undecies, comma 3, rinvia alle “modalità stabilite nelle specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia”, specifiche che, al momento, nulla dettano al riguardo (1). Istruzioni operative per l’esercizio del potere di autentica. Nel mutato, articolato e frammentario quadro normativo di riferimento, la combinazione delle norme attributive del potere di autentica e di quelle, anche di natura regolamentare, relative al suo esercizio, producono risultati diversi in funzione della giurisdizione di riferimento, della natura dell’attività e del tipo di atto. Per maggiore praticità di consultazione si rinvia quindi all’allegato documento nel quale sono per l’appunto illustrate le “istruzioni operative per l’esercizio del potere di autentica”. Istruzioni operative per le notifiche a mezzo posta elettronica certificata. I ricordati, recenti interventi normativi determinano delle novità anche rispetto agli atti che è possibile notificare per via telematica (possibilità ora estesa anche alle copie ed ai duplicati informatici). in relazione ai quali sono state aggiornate le relative istruzioni ed i corrispondenti modelli. Per maggiore praticità di consultazione si rinvia quindi all’allegato documento nel quale sono per l’appunto illustrate le “istruzioni operative per l’esercizio del potere di autentica” ed inseriti gli aggiornati modelli di relazione di notifica (istruzioni aggiornate e modelli sono comunque pubblicati sulla intranet, nella sezione “notifiche pec”). Utilizzo delle notifiche a mezzo posta elettronica certificata. Con specifico riferimento, infine, alle notifiche telematiche, può sciogliersi la riserva originariamente formulata con la circolare n. 3/2014 circa l’ammissibilità e l’affidabilità del mezzo, quanto meno nel processo civile, ove le notificazioni a mezzo pec sono divenute di uso comune. Pure nel processo amministrativo, peraltro, si segnala che il Consiglio di Stato, con le sentenze n. 2682 del 28 maggio 2015 e n. 4270 del 14 settembre 2015, andando in senso contrario all’orientamento espresso da diversi Tribunali amministrativi regionali, ha affermato l’ammissibilità delle notifiche a mezzo pec nel processo amministrativo. Per quanto precede, tenuto conto del notevole risparmio di spesa che si realizza con le notifiche telematiche rispetto alle ordinarie notifiche postali, le SS.LL. avranno cura, sin d’ora, di farne un uso sempre più diffuso nel processo civile, e, non appena si sarà consolidato il quadro giurisprudenziale, anche nel processo amministrativo. (1) Deve pure osservarsi che talune delle norme dianzi citate (quelle contenute nella legge n. 53/94) si applicano anche al processo amministrativo, rispetto al quale il rinvio alle specifiche tecniche previste per il processo civile telematico appare incongruo, posto che il processo amministrativo telematico avrà una sua autonoma disciplina regolamentare, di imminente adozione, in base a quanto previsto dall’art. 13 disp. att. del cpa. Deve poi rammentarsi la recente emanazione, con DPCM 13 novembre 2014, (pubblicato in G.U. 12 gennaio 2015, n. 8, ed entrato quindi in vigore, ai sensi dell’art. 17 dello stesso DPCM, il 12 febbraio 2015), delle regole tecniche previste dall’art. 71 del CAD, ossia il D. LGS. n. 82/2005 (come richiamato dall’art. 23 bis dello stesso Decreto legislativo), la cui mancanza era stata segnalata, nella circolare n. 58/2014, in base alla normativa allora vigente, come ostativa alla produzione di duplicati informatici o alla estrazione di copie informatiche di documenti informatici. TEMI ISTITUZIONALI 3 Indice degli allegati: 1) istruzioni operative sull’esercizio del potere di autentica; 2) istruzioni operative per le notifiche a mezzo posta elettronica certificata, con i relativi modelli allegati; 3) grafico riassuntivo delle modalità di esercizio del potere di autentica nei depositi e nelle notifiche. L’AVVOCATO GENERALE Massimo Massella Ducci Teri ISTRUZIONI OPERATIVE SULL’ESERCIZIO DEL POTERE DI AUTENTICA DEI DIFENSORI, IN BASE ALL’ATTIVITÀ, ALLA TIPOLOGIA DI ATTO DA AUTENTICARE ED ALL’AMBITO APPLICATIVO DELLA NORMA ATTRIBUTIVA DEL POTERE DI AUTENTICA. 1) Copia cartacea di originale informatico (1) (art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005). 1.1 Per la norma attributiva del potere di autentica si distingue: 1.1.1. art. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/94, con ambito applicativo riferito, in base all’art. 1 della stessa legge n. 53/94, agli “atti civili, amministrativi e stragiudiziali”, qualora, dopo avere eseguito una notifica via pec, non essendo possibile il deposito telematico, si proceda al deposito di copia cartacea dell’originale informatico notificato via pec. 1.1.2. art. 16 bis, comma 9 bis, dl 179/2012, con ambito applicativo riferito ai procedimenti civili di cui allo stesso articolo, in caso di deposito (o, in ipotesi, anche per usi stragiudiziali) degli “atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice, nonché dei provvedimenti di quest’ultimo” (con esclusione degli “atti processuali che contengano provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all’ordine del giudice”), a condizione che le copie analogiche siano tratte in modalità telematica dal fascicolo informatico o dalle comunicazioni telematiche. 1.2 Norma regolatrice della modalità di esercizio del potere: lo stesso art. 16 bis, comma 9 bis, DL 179/2012, in base al quale la dichiarazione di conformità, sottoscritta con firma autografa, è apposta in calce o a margine della copia o su un foglio separato ad essa materialmente congiunto (con l’apposizione anche dei relativi timbri di congiunzione). Un modello di attestazione è presente sulla intranet, nella sezione “lavorare meglio”, cliccando su “attestazione di conformità ad atti informatici” (2). 2) Copia informatica, anche per immagine, di originale cartaceo (art. 22 del D. Lgs. n. 82/2005) (3). (1) Manca nel D. Lgs. n. 82/2005 una definizione di copia analogica di documento informatico. Esso, comunque, altro non è che la riproduzione cartacea, ottenuta con la stampa (o, in ipotesi astratta, con la trascrizione) del documento informatico. (2) Si richiama anche quanto già esposto nella circolare n. 58/2014. (3) In base all’art. 1, comma, 1, lettera I bis, del D. lgs. n. 82/2005, si definisce “copia informatica di documento analogico” il “documento informatico avente contenuto identico a quello del documento analogico da cui è tratto”; in base alla successiva lettera I ter, si definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” il “documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto”. 4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 2.1 Per la norma attributiva del potere di autentica si distingue: 2.1.1. in caso di notifica telematica: art. 3 bis, comma 2, della legge n. 53/94, con ambito applicativo riferito, in base all’art. 1 della stessa legge n. 53/94, agli “atti civili, amministrativi e stragiudiziali”; 2.1.2 in caso di deposito telematico, si hanno due disposizioni: 2.1.2.1 art. 16 decies del D.L. 179/2012, con ambito applicativo riferito a tutti i giudizi civili (4), in base all’art. 20 bis dello stesso dl 179/2012, ai giudizi contabili, per le copie informatiche di atti di parte e provvedimenti del giudice (5) originariamente formati “su supporto analogico” (cioè a dire su carta) e detenuti “in originale o in copia conforme”; 2.1.2.2 art. 16 bis, comma 2, del D.L. 179/2012 con ambito applicativo riferito alle copie informatiche di atti di parte, provvedimenti del giudice e documenti necessari ai fini della instaurazione dei procedimenti esecutivi (6). 2.2. La norma regolatrice della modalità di esercizio del potere, in entrambi i casi (dunque sia per le notifiche che per i depositi e, rispetto a questi ultimi, per entrambe le disposizioni sopra citate) è l’art. 16 undecies, comma 2 e comma 3, del D.L. 179/2012, in base alla quale si può procedere in due modi: 2.2.1 si può inserire la dichiarazione di conformità sovrascrivendo la stessa copia informatica, sottoscrivendo poi la copia medesima con firma digitale (art. 16 undecies, comma 2). Allo scopo, è stato realizzato un software, presente su NNSI, nell’ambito dell’area “Altre funzioni”, “attestazioni di conformità”, che consente, cliccando su “sovrascrivi il file”, di inserire la dichiarazione all’interno del file pdf, scegliendo la dichiarazione da apporre tra quelle precompilate (comunque modificabili), diversificate in base al documento cartaceo di origine (se, rispettivamente, originale o copia autentica rilasciata dalla cancelleria, da cui consegue la diversa dicitura all’interno della relazione stessa) ed all’attività da svolgere (se deposito o notifica, da cui pure consegue una diversa dicitura nell’attestazione) così denominate: “PDF tratto da originale cartaceo (per il deposito)”, “PDF tratto da copia cartacea autenticata (per il deposito)”, “PDF tratto da originale cartaceo (per la notifica)”, “PDF tratto da copia cartacea autenticata (per la notifica)”. Due modelli di relazione di notifica, con, all’interno, il riferimento alla dichiarazione di conformità sovrascritta sulla copia notificata, diversificati in base al documento cartaceo di origine (se, rispettivamente, originale o copia autentica rilasciata dalla cancelleria, da cui consegue la diversa dicitura all’interno della relazione stessa) sono stati inseriti sulla intranet, nella sezione “lavorare meglio”, “notifiche pec”, “2. Relazioni pec di copia informatica”, i modelli “2.1 Relazione pec di copia informatica - autentica so- (4) In base all’articolo 43 del D.L. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, come modificato dall’art. 20 bis del D.L. n. 83/2015, inserito dalla legge di conversione n. 132/2015, anche i neo introdotti articoli 16 decies e 16 undecies, oltre ai già previsti articoli 16, 16 ter e 16 quater, si applicano, “in quanto compatibili”, ai giudizi contabili. (5) Sebbene la mancanza di una espressa delimitazione alla giurisdizione civile potrebbe consentire di sostenere l’applicabilità della disposizione anche al di là di essa, la sua collocazione, oltre al fatto che è stata dettata una specifica disposizione (l’art. 20 bis del D.L. 179/2012) per l’estensione alla giurisdizione contabile, fa propendere per una più prudente applicazione nell’ambito dei soli procedimenti civili. (6) Il riferimento, contenuto nell’ultimo periodo del comma, alla possibilità di attestare la conformità “anche fuori dei casi previsti dal comma 9 bis e dell’art. 16 decies” del dl 179/2012, deve essere inteso nel senso di includere, ove necessario ai fini della insaturazione dei procedimenti esecutivi, non solo gli atti di parte ed i provvedimenti del giudice, ma anche i documenti (ad esempio una cambiale). TEMI ISTITUZIONALI 5 vrascritta - di originale cartaceo AGS ADS” e “2.2 Relazione pec di copia informatica - autentica sovrascritta - di copia autentica cartacea AGS ADS”. 2.2.2. si può inserire la dichiarazione su un documento separato (in caso di notifica la stessa relazione di notifica), ma, in questo caso, “l’individuazione della copia cui si riferisce ha luogo esclusivamente secondo le modalità stabilite nelle specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia” (art. 16 undecies, comma 3, del D.l. 179/2012). Poiché le specifiche tecniche attualmente vigenti nulla stabiliscono al riguardo, non può, allo stato, sino alla emanazione delle attese, nuove disposizioni regolamentari, procedersi con tale modalità di attestazione di conformità. 3) Copia informatica di documento informatico (7) (art. 23 bis, comma 2, del D. Lgs. n. 82/2005). 3.1 Norma attributiva del potere di autentica: art. 16 bis, comma 9 bis, DL 179/2012, con ambito applicativo riferito ai procedimenti civili di cui allo stesso articolo, a condizione che la copia o l’estratto siano tratti in modalità telematica dal fascicolo informatico (con esclusione degli “atti processuali che contengano provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all’ordine del giudice”). 3.2 Norma regolatrice della modalità di esercizio del potere: 16 undecies, comma 2 e comma 3, del D.L. 179/2012, in base al quale, come nell’ipotesi descritta al punto 2), si può procedere in due modi: 3.2.1 si può inserire la dichiarazione di conformità sulla stessa copia informatica, sottoscrivendo poi la copia stessa con firma digitale (art. 16 undecies, comma 2). Allo scopo, si potrà utilizzare lo stesso software illustrato al punto 2.2.1, presente su NNSI, nell’ambito dell’area “Altre funzioni”, “attestazioni di conformità”, che consente, cliccando su “sovrascrivi il file”, di inserire la dichiarazione all’interno del file pdf, scegliendo la dichiarazione da apporre tra quelle precompilate (comunque modificabili). Un modello di relazione di notifica, con, all’interno, il riferimento alla dichiarazione di conformità sovrascritta sulla copia notificata, è stato inserito sulla intranet, nella sezione “lavorare meglio”, “notifiche pec”, “2. Relazioni pec di copie informatiche”, denominata “2.3 Relazione pec di copia informatica - autentica sovrascritta - di originale informatico AGS ADS”. 3.2.2 Si può inserire la dichiarazione su un documento separato (in caso di notifica la stessa relazione di notifica), ma, in questo caso, “l’individuazione della copia cui si riferisce ha luogo esclusivamente secondo le modalità stabilite nelle specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia” (art. 16 undecies, comma 3, del D.L. 179/2012). Poiché le specifiche tecniche attualmente vigenti nulla stabiliscono al riguardo, non può, allo stato, come per il caso descritto al punto 2.2.2, e sino alla emanazione delle attese, nuove specifiche tecniche, procedersi con tale modalità di attestazione di conformità. 4) Duplicato informatico di documento informatico (8) (art. 23 bis, comma 1, del D. Lgs. n. 82/2005). (7) In base all’art. 1, comma, 1, lettera I quater, del D. Lgs. N. 82/2005, per “copia informatica di documento informatico” si intende “il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari”. 6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 4.1 Norma attributiva del potere di autentica e, al tempo stesso, regolatrice della modalità di esercizio del relativo potere: art. 16 bis, comma 9 bis, dl 179/2012, con ambito applicativo riferito ai procedimenti civili di cui allo stesso articolo, a condizione che il duplicato sia tratto in modalità telematica dal fascicolo informatico mediante “processi o strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione, o su un sistema diverso, contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine” (9). 4.2 Al riguardo occorre evidenziare che il sistema informatico della giustizia civile, di ogni provvedimento, atto o documento rende disponibile, con il sistema di consultazione dei fascicoli informatici (10), sia il duplicato che la copia informatica. Del primo rende altresì disponibile “l’impronta”, necessaria per verificare che effettivamente il documento scaricato non sia stato alterato “nella sequenza di bit” e possa dunque essere effettivamente considerato un duplicato. Ove, dunque, si decida di scaricare il duplicato, dovrà effettuarsi questa verifica informatica tra il documento scaricato e quello reso disponibile. Allo scopo, si potrà utilizzare lo stesso software illustrato in precedenza, presente su NNSI, nell’ambito della funzione nell’ambito dell’area “Altre funzioni”, “attestazioni di conformità”, che consente, cliccando su “estrai e verifica impronta”, di estrarre l’impronta (il cosiddetto “hash”) dal documento scaricato e quindi verificare che corrisponda all’impronta dichiarata dal sistema della giustizia civile. Effettuata questa verifica con esito positivo, il documento potrà essere utilizzato come duplicato senza necessità di ulteriori attestazioni o sottoscrizioni. In caso di notifica o di deposito, peraltro, l’atto notificato o depositato dovrà essere indicato, rispettivamente, nella relazione di notifica o nell’indice, come “duplicato”, appunto, “del documento informatico reso disponibile dal sistema informatico della giustizia civile, da quest’ultimo tratto con modalità telematiche ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del D.L. 17972012 e dell’art. 5 del dpcm 13 novembre 2014”. Un modello di relazione di notifica, con, all’interno, il riferimento al duplicato informatico, è stato inserito sulla intranet, nella sezione “lavorare meglio”, “notifiche pec”, “2. Relazioni pec di copie informatiche”, denominata “2.4 Relazione pec di duplicato informatico”. ISTRUZIONI OPERATIVE PER LE NOTIFICHE A MEZZO POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA. 1. FASE DI NOTIFICA (preparazione dell’atto e della relazione di notifica; sottoscrizione con firma digitale ed invio/protocollazione). 1.1 Occorre preliminarmente ricordare che, in base all’art. 16 septies del D.L. n. 179/2012 (1), l’art. 147 c.p.c. “si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche” (8) In base all’art. 1, comma, 1, lettera I quinquies, del D. Lgs. n. 82/2005, per “duplicato informatico” si intende “il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”. (9) A livello regolamentare la fattispecie è disciplinata dall’art. 5 del DPCM 13 novembre 2014, secondo cui, con formulazione identica a quella già contenuta nella legge ordinaria, il duplicato deve essere prodotto mediante “processi o strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione, o su un sistema diverso, contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine”. (10) Il c.d. sistema “polisweb”, per l’Avvocatura dello Stato accessibile dal sito www.accessogiustizia.it TEMI ISTITUZIONALI 7 e “quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”. 1.2 È inoltre consigliabile, come attività propedeutica a quella di notifica, effettuare la ricerca dell’indirizzo pec del destinatario (ai fini del successivo inserimento nella relazione di notifica), indirizzo che, in base alla normativa vigente, deve risultare da un pubblico elenco (2); la verifica potrà essere effettuata: (1) Articolo inserito dall'art. 45-bis, comma 2, lett. b), D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114. (2) Ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, la notifica a mezzo pec si esegue “all’indirizzo risultante da pubblico elenco” ed “utilizzando un indirizzo… del notificante risultante da pubblici elenchi”, tali dovendosi intendere, “a decorrere dal 15 dicembre 2013”, quelli indicati dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012 (inserito dall’art. 1, comma 19, n. 2, della legge n. 228/2013). In base al testo attualmente vigente dell’art. 16 ter del D.L. 179/2012 sono dunque elenchi pubblici, ai fini delle comunicazioni e notificazione via pec: 1) per i cittadini, “l’anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR”, previsto dall’art. 3 bis (“domicilio digitale del cittadino”) del D.Lgs. 82/2005 (articolo inserito dall’art. 4 del D.L. 179/2012) e non ancora istituito; 2) per le imprese ed i professionisti, l’istituito “indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero dello sviluppo economico”, il cosiddetto In-Pec, previsto dall’art. 6 bis del D. Lgs. 82/2005 (anch’esso introdotto dal D.L 179/2012, art. 5, comma 3); 3) per le imprese costituite in forma societaria, il registro delle imprese di cui all’art. 16, comma 6, del D.L. 185/2008, convertito dalla legge n. 2/2009; 4) per le pubbliche amministrazioni, il registro della pa tenuto dal Ministero della giustizia, previsto dall’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012 (da non confondersi con l’Indice delle Pa di cui all’art. 57 bis del D.lgs. n. 82/2005, previsto dall’art .16, comma 8, del D.L. n. 185/2008, convertito dalla legge n. 2/2009; nel testo dell’articolo 16 ter del DL 179/2012 risultante a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 90/2014, il riferimento all’articolo 16 del D.L. n. 185/2008 è ora circoscritto al solo comma 6, dal che si desume l’esclusione del citato indice delle pa, previsto dal comma 8, dal novero degli elenchi pubblici ai fini delle comunicazioni e notificazioni via pec); 5) il Reginde, previsto dall’art. 7 del D.M. 44/2011, regolamento recante le regole tecniche per il processo civile e penale telematico. L’avvocatura dello Stato è presente sia sul Reginde (il registro che dovrebbe venire propriamente in rilievo rispetto all’Avvocatura dello Stato quale difensore) che sul registro delle Pa (che dovrebbe per contro rilevare qualora l’Avvocatura stessa sia parte nel giudizio), per le varie sedi, con il medesimo indirizzo; di ciò è stata data evidenza sia sulla intranet, sia, a beneficio dei cittadini e delle controparti, sul sito internet nella sezione “pec”. Da alcuni - si osserva per completezza, tenuto conto di possibili contestazioni in relazioni a notifiche già eseguite - si è anche sostenuto che, in realtà, sino al 15 dicembre 2013 non sarebbe stato possibile eseguire notifiche a mezzo pec, stante la indisponibilità di un pubblico registro valido ai fini della notifiche stesse. È, peraltro, anche sostenibile (appare anzi preferibile) la tesi secondo cui, posta le necessità di utilizzare solo indirizzi risultanti da pubblici elenchi - necessità che, peraltro, era contenuta, sia pure con riferimento solo all’indirizzo pec del destinatario, anche nel testo introdotto dall’articolo 25, comma 3, della legge n. 183/2011, che aveva aggiunto all’art. 3 della legge n. 53/1994 il comma 3 bis, ai sensi del quale si poteva effettuare la notifica “a mezzo della posta elettronica certificata solo se l'indirizzo del destinatario” risultava, per l’appunto, “da pubblici elenchi” - a decorrere dal 15 dicembre 2013 vi è solo una limitazione su quali siano gli elenchi cui potere fare riferimento per le notifiche in esame, con la conseguenza che gli indirizzi risultanti da taluni elenchi, in precedenza validi (quali, in via esemplificativa, l’indice delle PA previsto dall’art. 47 del D. Lgs. 82/2005, o gli elenchi pubblicati e resi disponibili on line dai consigli dell’ordine), siccome tratti da elenchi non menzionati dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012, ora non lo sarebbero più. Deve poi evidenziarsi che secondo la giurisprudenza di diversi tribunali amministrativi regionali le no- 8 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 1.2.1 per gli avvocati, i professionisti in genere e le imprese, sul registro Inipec, disponibile in libera consultazione all’indirizzo https://www.inipec.gov.it/cerca-pec; 1.2.2 per gli avvocati e gli atri “soggetti abilitati esterni” previsti dal processo civile telematico, sul Reginde, disponibile previa autenticazione con smart card sul punto di accesso, all’indirizzo www.accessogiustizia.it, nella sezione “ricerca reginde”; 1.2.3 per le pubbliche amministrazioni, nel registro delle PA, disponibile previa autenticazione con smart card sul portale dei sevizi telematici, all’indirizzo http://pst.giustizia.it/PST/, nella sezione “servizi”, “registro ppaa”; in caso di difformità tra l’indirizzo indicato dal destinatario nell’atto difensivo (della fase cui si riferisce la notifica) e quello risultante dal pubblico elenco, appare prudenziale procedere ad una doppia notifica, secondo le modalità oggetto delle presenti istruzioni, avendo cura di preparare una relazione di notifica per ogni indirizzo destinatario; 1.3 l’incaricato dell’affare dovrà redigere l’atto e la relazione di notifica; è bene rammentare che la relazione di notifica, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 3 bis, comma 5, della legge n. 53/1994, e a differenza di quanto avviene con le notifiche cartacee, dovrà essere un documento separato dall’atto (nella intranet, sezione “lavorare meglio”, “notifiche pec”, sono disponibili dei modelli di riferimento); 1.4. l’atto da notificare potrà essere: 1.4.1 un originale elettronico (ad esempio l’atto defensionale redatto in word); in questo caso, l’atto stesso dovrà essere convertito in formato pdf, come trasformazione direttamente dal word, eseguendo le seguenti operazioni: - dal menu “stampa” che si trova su word, scorrere nella parte in cui normalmente viene scelta la stampante da utilizzare, cliccare su “pdf creator” e poi sul pulsante “salva” (3); 1.4.2 una copia informatica (di originale cartaceo – come per esempio la scansione dell’atto defensionale stampato e firmato nelle forme tradizionali - o informatico – come per esempio la sentenza resa disponibile in formato elettronico tramite i servizi telematici del Ministero della giustizia) o un duplicato informatico (come per esempio la sentenza scaricata direttamente come duplicato, appunto, tramite i servizi telematici del Ministero della giustizia); l’autenticazione della copia informatica e la verifica dell’impronta del duplicato dovranno essere effettuate secondo quanto previsto nelle istruzioni operative specificatamente riferite alla autenticazione tifiche telematiche non sarebbero ammissibili nel processo amministrativo, stante la mancata adozione delle regole tecniche previste dall’art. 13 dips. att. del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, e nella ritenuta non applicabilità di quelle dettate dal D.M. n. 44/2011. Vi è, peraltro, pure un consistente orientamento giurisprudenziale che ritiene le notifiche a mezzo pec ammissibili, pure in mancanza delle specifiche regole tecniche previste per il processo amministrativo telematico, tenuto conto della completezza della disciplina desumibile dalla legge n. 53/94 e dal D. lgs. n. 82/2005. Già con la precedente versione delle istruzioni operative era stato del resto osservato, da un lato, che le adottande regole tecniche dovranno propriamente disciplinare gli scambi telematici con gli uffici giudiziari, e, dall’altro, lo specifico rinvio che l’art. 39, comma 2, del Cpa opera, proprio in materia di notifiche, alla disciplina delle notifiche civili, in relazione al quale il blocco costituito dalla legge n. 53/94 e dal D.M. n. 44/2011 potrebbe rappresentare una delle “leggi speciali in materia civile” cui rinvia il menzionato art. 39 del Cpa ai fini delle notifiche nel processo amministrativo. Da ultimo, poi, si segnalano le sentenze nn. 2682/2015 e 4270/2015, con cui il Consiglio di Stato ha, per l’appunto, ritenuto ammissibile lo strumento delle notifiche a mezzo pec nel processo amministrativo, proprio in ragione della ritenuta completezza della disciplina generale. (3) Deve ritenersi escluso il formato word, ai sensi dell’art. 18, comma 1, del D.M. 44/2011, che richiede l’utilizzo di formati “privi di elementi attivi”. TEMI ISTITUZIONALI 9 degli atti; a seconda della modalità prescelta, nella relazione di notifica dovrà essere inserito solo il riferimento all’essere il documento una copia autenticata o un duplicato informatico, secondo i diversi modelli resi disponibili nella intranet, sezione “lavorare meglio”, “notifiche pec”; 1.4.3 l’atto e la relazione di notifica dovranno essere sottoscritti dall’incaricato con firma digitale (tranne, per l’atto, nel caso in cui esso sia un duplicato informatico od una copia informatica autenticata su documento separato) (4)(5), utilizzando la carta dei servizi, la c.d. “smart card”, già da tempo in uso (6) (per il caso di atto sottoscritto sia dal Procuratore che dell’Avvocato dello Stato potrà procedersi sia alla sottoscrizione da parte di entrambi sia, per semplicità, alla sottoscrizione con firma digitale solo da parte del secondo). Si precisa che esistono due standard di firma: il “cades-bes” ed il “pades-bes”; per attivare l’una o l’altra è sufficiente cliccare con il tasto destro del mouse sull’icona del file da firmare e, nella tendina che si apre, optare per “firma con file protector”, per la prima, e “firma pdf con file protector”, per la seconda. Diversamente, nel caso in cui, operando con il tasto destro del mouse, non appaiano le due opzioni di firma, potrà cliccarsi sull’icona dell’applicazione denominata “file protector” (che, se correttamente installata, si trova sul desktop) ed ivi selezionare la modalità di firma. A seguito della firma cades, il file acquista, nel nome, l’estensione “.p7m”. A seguito della firma pades, il file acquista, nel nome, la dicitura “firmato” e gli estremi del firmatario sono sovrascritti sul documento. Nel processo civile sono ammessi entrambi gli standard di firma (art. 12, comma 2, delle specifiche tecniche adottate ai sensi dell’art. 34 del D.M. del Ministero della giustizia n. 44/2011). Nel processo amministrativo non sono ancora state emanate le regole tecniche ma, secondo le versioni in bozza che sono circolate, dovrebbe essere previsto il solo standard di firma pades. 1.5 La notifica potrà, a questo punto, essere eseguita dalla postazione di ciascun avvocato o collaboratore professionale, utilizzando la funzione di invio messaggi messa a punto e disponibile sul punto di accesso, all’indirizzo www.accessogiustizia.it, nella sezione “messaggistica”, eseguendo le seguenti operazioni (7): 1.5.1 aprire un nuovo messaggio; 1.5.2 allegare l’atto e la relazione di notifica sottoscritti con firma digitale (8) (l’atto, come già accennato in precedenza, non va firmato nel caso in cui sia un duplicato informatico o in cui sia una copia informatica con attestazione inserita nella relazione; andrà invece firmato nel caso in cui (4) In queste ipotesi l’atto non dovrà essere firmato in quanto: rispetto al duplicato, se ne altererebbe l’impronta informatica, sicché esso non sarebbe più un duplicato; rispetto alla copia informatica, in quanto l’attestazione di conformità è inserita nella relazione di notifica ed è questo documento ad essere sottoscritto; per le concrete modalità, peraltro, con cui apporre l’attestazione di conformità su documento separato, allo stato non possibile, si attendono le specifiche tecniche che dovranno essere adottate ai sensi dell’art. 16 undecies del D.L. 179/2012. (5) Le istruzioni per l’apposizione della firma digitale ad un documento informatico sono pubblicate sulla intranet, seguendo il percorso “Bacheca” – “Informatica” – “Manuali di utilizzo” – “Istruzioni per la firma digitale di un documento”. (6) Per chi ancora non l’avesse ritirata o per il caso di smarrimento della smart card già ritirata, ci si potrà rivolgere all’Ufficio Ced (06/6829550). (7) L’art. 16 quater del D.L. 179/2012, come integrato dall’art. 1, comma 19, della L. 228/2012, ha eliminato, per le notifiche via pec, l’obbligo di annotazione sul registro cronologico, tuttora previsto per le notifiche a mezzo del servizio postale. (8) Come forma di cortesia verso la controparte potrà, altresì, allegarsi l’atto e la relazione di notifica anche nella versione non firmata. 10 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 sia una copia informatica con attestazione di conformità sovrascritta sul file dal notificante (9)); 1.5.3 cautelativamente, ed anche come forma di cortesia verso la controparte, ripetere nel corpo del messaggio (come previsto dalla previgente formulazione del citato art. 18 del D.M. 44/2011), il testo della relazione di notifica, con l’indicazione del nominativo dello stesso notificante; 1.5.4. compilare un idoneo oggetto del messaggio (si consiglia un sintetico rifermento alla tipologia di atto che si va a notificare ed al nome della parte) con l’obbligatorio inserimento, ai sensi dell’art. 3 bis, comma 4, della legge n. 53/1994, della dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” (10); 1.5.5 verificare che il messaggio sia impostato per la ricevuta “completa” e, nel caso sia presente l’indicazione per una diversa ricevuta (“sintetica” o “breve”), optare, utilizzando l’apposita tendina, per quella corretta; 1.5.6 compilare il campo relativo al “destinatario” inserendo il suo indirizzo di pec, che dovrà essere quello ricavato da un pubblico elenco con le modalità già indicate al punto 1.1 (11); 1.5.7 onde consentire la protocollazione in uscita dell’atto, al fine di generare le successive scadenze su NNSI, presso la sede di Roma dovrà essere inserito, per ciascun messaggio, anche l’indirizzo notificapec@avvocaturastato.it (ovvero, se lo si ritiene preferibile, inoltrare allo stesso indirizzo il messaggio già spedito); nelle sedi distrettuali si potrà procedere allo stesso modo, previa attivazione, da richiedersi all’ufficio Ced, di analogo indirizzo e-mail, ovvero secondo moduli organizzativi che potranno essere definiti presso ciascuna sede. 1.5.8 inviare il messaggio. 2. FASE SUCCESSIVA ALLA NOTIFICA 2.1 DEPOSITO TELEMATICO (sempre possibile nei procedimenti civili avanti al Tribunale ed alla Corte d’appello; per la Corte di cassazione ed il Giudice di pace solo se autorizzato da specifico decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’art. 16 bis, comma 6, del DL 179/2012; per il giudice amministrativo dal 1^ gennaio 2016, con l’entrata in vigore del processo amministrativo telematico) (12). (9) Sulle specifiche modalità con cui procedere alla dichiarazione di conformità della copia informatica o alla produzione di un duplicato informatico, si rinvia, come già in precedenza, alle istruzioni operative sulla autenticazione degli atti. (10) Pena la nullità della notifica stessa, in base al combinato disposto dello stesso art. 3 bis, comma 4, e dell’art. 11 della legge n. 53/94. (11) Per le ragioni già indicate nella nota precedente, l’indirizzo del destinatario dovrà essere ricavato o, comunque, verificato sul registro denominato “Reginde”, consultabile tramite lo stesso punto di accesso (sempre all’indirizzo www.accessogiustizia.it), nella sezione “ricerca reginde” o dal registro Inipec, disponibile in libera consultazione all’indirizzo https://www.inipec.gov.it/; è stato, poi, già precisato nel testo, al punto 1.1., che in caso di difformità tra l’indirizzo indicato dal destinatario nell’atto difensivo della fase cui si riferisce la notifica e quello risultante dal pubblico elenco, appare prudenziale procedere ad una doppia notifica, avendo cura di preparare una relazione di notifica per ogni indirizzo destinatario e procedendo ad un distinto invio ripetendo le varie operazioni sin qui illustrate). (12) Ai sensi dell’art. l6 bis, comma 1 bis, del D.L. 179/2012 (comma introdotto dall’art. 19, comma 1, lett. A), n. 1, del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge L. 6 agosto 2015, n. 132), nei procedimenti civili avanti al Tribunale ed alla Corte d’appello è sempre possibile il deposito telematico anche degli atti non soggetti a deposito telematico obbligatorio (sono obbligatoriamente telematici, si rammenta, i depositi effettuati dalla parti già costituite). È stato così superato, almeno per il Tribunale e la Corte d’appello, il precedente sistema cosiddetto “a macchia di leopardo”, per il quale il deposito telematico, se non obbligatorio, era consentito laddove autorizzato ai sensi dell’art. 34 del D.M. TEMI ISTITUZIONALI 11 2.1.1. Sulla casella di pec assestata sul punto di accesso e utilizzata per la notifica perverranno la ricevuta di accettazione e quella di avvenuta consegna del messaggio che andranno salvati sul proprio pc (utilizzando la funzione “scarica originale”) (13) (14). 2.1.2 A questo punto potrà procedersi al deposito telematico, accedendo, sullo stesso punto di accesso, alla funzione “redattore atti” e, inseriti i dati richiesti dal programma, allegare, qualificandolo come “atto”, l’originale informatico dell’atto notificato, sottoscritto con firma digitale, e, come documenti, gli originali delle due ricevute di accettazione e di consegna in precedenza scaricate e salvate sul proprio pc. Per l’ipotesi in cui l’atto notificato fosse una copia per immagine di originale cartaceo (ad esempio la scansione di una sentenza cartacea rilasciata in copia autentica), dovrà invece depositarsi come atto una memoria di deposito redatta in word e trasformata in pdf nativo digitale con le modalità già indicate al 1.2.1, e come “documenti” l’atto notificato e le due ricevute (15). 2.1.3 Al momento dell’inoltro della “busta telematica”, apporre la firma digitale sugli atti e sui documenti per i quali il programma propone la firma stessa. 2.2 DEPOSITO CARTACEO (ricevute di accettazione e di consegna, estrazione di copia cartacea dei documenti informatici, loro autenticazione); POSSIBILE CON PIENEZZA DI POTERI DI AUTENTICA SOLO AVANTI AL GA E, PER QUANTO RIGUARDA IL GO, AVANTI ALLA CORTE DI CASSAZIONE ED AL GIUDICE DI PACE (16). n. 44/2011 (circostanza da verificare sede per sede collegandosi al sito https://pst.giustizia.it/ ed andando nella funzione “2. uffici giudiziari”). Per la Corte di cassazione ed il Giudice di pace, per contro, il deposito telematico è tuttora possibile solo se autorizzato da specifico decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’art. 16 bis, comma 6, del DL 179/2012. Per il deposito telematico avanti al giudice amministrativo, che sarà possibile dal 1^ gennaio 2016, con l’entrata in vigore del processo amministrativo telematico, si attendono le regole tecniche di cui all’art. 13 disp. att. del cpa. (13) In base all’art. 3 bis, comma 3, della legge n. 53/1994, “la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall’art. 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68”. (14) In genere le ricevute di accettazione e di consegna arrivano, con un intervallo di pochi secondi, entro pochi minuti dall’invio; a volte può essere necessario un tempo notevolmente superiore, difficilmente stimabile; sulla base di un dato di esperienza, tuttavia, può affermarsi che trascorsa un’ora, senza che sia arrivata la ricevuta di consegna, la notificazione verosimilmente non è andata a buon fine, il che accade, in genere, per un errore di digitazione dell’indirizzo pec del destinatario; si consiglia dunque, sino a che non siano pervenute entrambe le ricevute, di non considerare eseguita le notifiche e, trascorso il lasso di tempo suindicato, pure in mancanza di un eventuale messaggio di errore, di cautelativamente procedere ad un nuovo invio, avendo cura di controllare l’indirizzo inserito in precedenza. (15) La fattispecie del deposito telematico di quanto notificato via pec è regolata dall’art. 19 bis delle specifiche tecniche del 16 aprile 2014, in base al quale (comma 4) “La trasmissione in via telematica all'ufficio giudiziario delle ricevute previste dall'articolo 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53, nonché della copia dell'atto notificato ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della medesima legge, è effettuata inserendo l'atto notificato all'interno della busta telematica di cui all'art. 14 e, come allegati, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna relativa ad ogni destinatario della notificazione; i dati identificativi relativi alle ricevute sono inseriti nel file DatiAtto.xml di cui all'articolo 12, comma 1, lettera e”. Dalla indicazione delle modalità con cui si depositano l’atto notificato e le due ricevute si desume, indirettamente, che essi sono gli elementi dei quali è richiesto il deposito. (16) È invece dubbia la titolarità del potere di autentica, con riferimento alla copia cartacea di quanto notificato via pec, avanti al Tribunale ed alla Corte d’appello. Il deposito cartaceo di quanto 12 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 2.2.1 Sulla casella di pec assestata sul punto di accesso e utilizzata per la notifica perverranno la ricevuta di accettazione e quella di avvenuta consegna del messaggio (17): 2.2.2. a cura dello stesso incaricato o del suo collaboratore professionale, ai fini del successivo deposito, dovranno essere tratte copie cartacee dell’atto notificato, della relazione di notifica, del messaggio spedito e delle due citate ricevute (di accettazione e di avvenuta consegna - art. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/1994); 2.2.3 su ciascuna delle copie cartacee indicate al punto precedente, l’avvocato incaricato dovrà poi apporre, “in base al combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005”, distinte dichiarazioni o, per maggiore speditezza, un’unica, cumulativa attestazione di conformità, secondo i modelli allegati alle presenti istruzioni e resi disponibili in formato elettronico sulla intranet - all.ti da 3 a 12); l’attestazione potrà anche essere redatta su foglio separato ma, in tal caso, secondo quanto previsto dall’art. 16 undecies (18), comma 1, del D.L. 179/2012, il foglio contenente l’attestazione dovrà essere congiunto materialmente (con l’apposizione anche dei relativi timbri di congiunzione) al documento od ai documenti autenticati, le cui pagine dovranno poi essere tra loro congiunte materialmente con le medesime modalità; 2.2.4. potrà, a questo punto, procedersi al deposito cartaceo nei modi consueti. notificato via pec, infatti, con il relativo potere di autentica delle copie cartacee necessarie per il deposito stesso, è previsto, in base all’art. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/1994, e con le modalità ivi indicate (cui si attengono le presenti istruzioni operative), “qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche”. Secondo una interpretazione letterale - alla quale, prudenzialmente, occorrerà attenersi - nel momento in cui è possibile, anche in via facoltativa, il deposito telematico (e dunque, in virtù di quanto ricordato nella nota 10, avanti al Tribunale ed alla Corte d’appello), verrebbe meno l’applicabilità della disposizione in esame. Una interpretazione tesa a ricostruire la volontà del legislatore potrebbe, peraltro, giungere a conclusioni diverse. Occorre al riguardo considerare che la disposizione in esame venne introdotta per ovviare alle disfunzioni derivanti dall’articolo 25 della legge n. 183/2011, che aveva consentito (art. 1 della legge n.53/1994) e, in certi casi, reso addirittura obbligatoria la notifica a mezzo pec (per la notifica del controricorso per cassazione nell’ipotesi, regolata dall’art. 366, secondo comma, cpc, in cui il ricorrente non aveva eletto domicilio a Roma ma aveva indicato la pec), sebbene il deposito telematico degli atti introduttivi non fosse possibile. Nel consentire il deposito cartaceo di quanto notificato via pec “qualora non” fosse stato possibile “procedere al deposito con modalità telematiche”, non si intendeva, verosimilmente, negare la possibilità del deposito cartaceo una volta ammesso, in via meramente facoltativa, quello telematico. Nel momento in cui, dunque, con una disposizione successiva (l’art. 20, comma 1, del D.L. n. 83/2015, che ha introdotto il comma 1 bis dell’art. 16 bis, del DL 179/2012), è stata prevista la possibilità di scegliere, come è nell’attualità per i giudizi avanti al Tribunale ed alla Corte d’appello, tra il deposito cartaceo ed il deposito telematico, potrebbe sostenersi la tesi secondo cui tale facoltatività si riverbera anche sulla precedente disposizione, mantenendo dunque la possibilità di scegliere in ogni caso la via del deposito cartaceo o del deposito telematico, indipendentemente dalla modalità prescelta (a mezzo posta o a mezzo pec) per la notifica. (17) In base all’art. 3 bis, comma 3, della legge n. 53/1994, “la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall’art. 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68”. (18) Per una più estesa trattazione sulle modalità con cui apporre l’attestazione di conformità, si rinvia a quanto esposto nelle specifiche istruzioni operative. TEMI ISTITUZIONALI 13 Indice dei modelli allegati: 1. Relazione pec di originale informatico AGS ADS. 2. Relazioni pec di copie informatiche: 2.1 Relazione pec di copia informatica - autentica sovrascritta - di originale cartaceo AGS ADS; 2.2 Relazione pec di copia informatica - autentica sovrascritta - di copia autentica cartacea AGS ADS; 2.3 Relazione pec di copia informatica - autentica sovrascritta - di originale informatico AGS ADS; 2.4 Relazione pec di duplicato informatico AGS ADS. 3. Modello autentica atto notificato via pec originale informatico. 4. Modello autentica atto notificato via pec come copia informatica. 5. Modello autentica atto notificato via pec come duplicato informatico. 6. Modello autentica relazione di notifica via pec. 7. Modello autentica messaggio di notifica via pec. 8. Modello autentica ricevuta di accettazione di notifica via pec. 9. Modello autentica ricevuta di consegna (completa) di notifica via pec. 10. Modello autentica unica con atto notificato via pec originale informatico. 11. Modello autentica unica con atto notificato via pec come copia informatica. 12. Modello autentica unica con atto notificato via pec come duplicato informatico. 1) RELAZIONE PEC DI ORIGINALE INFORMATICO RELAZIONE DI NOTIFICA A MEZZO POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA EX ART. 3 BIS DELLA LEGGE 21 GENNAIO 1994, N. 53, ED ART. 55 LEGGE 18 GIUGNO 2009, N. 69 l’Avvocatura………………. dello Stato (C.F. …..), con sede in …., via ……, ai sensi dell’art. 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, e dell’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nell’interesse di …. (C.F. ……), in persona di …., rappresentata e difesa ex lege, ha notificato l’allegato (indicare la tipologia di atto) all’Avv. …… , cui viene spedito, quale difensore domiciliatario di …….…., il ... (indicare la data di spedizione), come allegato al messaggio di posta elettronica certificata, l’originale informatico dell’atto stesso, sottoscritto con firma digitale, dall’indirizzo (indicare l’indirizzo dell’Avvocatura mittente), presente sia nell’elenco pubblico previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”), sia in quello, riservato alle Amministrazioni Pubbliche, di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012, all’indirizzo di posta elettronica certificata (indicare indirizzo), indicato nell’atto di parte ……………. e comunque tratto, ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dal citato elenco pubblico previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”) OPPURE , ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dall’elenco pubblico (indice nazionale degli indirizzi pec delle imprese e dei professionisti, il cosiddetto “INI-PEC”) citato dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012 (convertito dalla legge n. 228/2012) e previsto dall’art. 6 bis del D.Lgs. n. 82/2005. …… Avvocato/Procuratore dello Stato 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 2) RELAZIONI PEC DI COPIE INFORMATICHE 2.1 RELAZIONE PEC DI COPIA INFORMATICA - AUTENTICA SOVRASCRITTA - DI ORIGINALE CARTACEO AGS ADS RELAZIONE DI NOTIFICA A MEZZO POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA EX ART. 3 BIS DELLA LEGGE 21 GENNAIO 1994, N. 53, ED ART. 55 LEGGE 18 GIUGNO 2009, N. 69 l’Avvocatura………………. dello Stato (C.F. …..), con sede in …., via ……, ai sensi dell’art. 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, e dell’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nell’interesse di …. (C.F. ……), in persona di …., rappresentata e difesa ex lege, ha notificato l’allegato (indicare la tipologia di atto) come documento informatico - autenticato ai sensi degli artt. 3 bis, comma 2, della L. n. 53/1994, e 16 undecies del DL n. 179/2012, con l’inserimento della dichiarazione di conformità, all’originale cartaceo da cui è tratto, sulla stessa copia informatica, sottoscritta con firma digitale, all’Avv. …… , cui viene spedito, quale difensore domiciliatario di …….…., il ... (indicare la data di spedizione), come allegato al messaggio di posta elettronica certificata, dall’indirizzo (indicare l’indirizzo dell’Avvocatura mittente), presente sia nell’elenco pubblico previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”), sia in quello, riservato alle Amministrazioni Pubbliche, di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012, all’indirizzo di posta elettronica certificata (indicare indirizzo) indicato nell’atto di parte …………… e comunque tratto, ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dal citato elenco pubblico previsto dall’art. 7 del citato D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”) OPPURE , ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dall’elenco pubblico (indice nazionale degli indirizzi pec delle imprese e dei professionisti, il cosiddetto “INI-PEC”) citato dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012 (convertito dalla legge n. 228/2012) e previsto dall’art. 6 bis del D.Lgs. n. 82/2005. …… Avvocato/Procuratore dello Stato 2.2 RELAZIONE PEC DI COPIA INFORMATICA - AUTENTICA SOVRASCRITTA - DI COPIA AUTENTICA CARTACEA AGS ADS RELAZIONE DI NOTIFICA A MEZZO POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA EX ART. 3 BIS DELLA LEGGE 21 GENNAIO 1994, N. 53, ED ART. 55 LEGGE 18 GIUGNO 2009, N. 69 l’Avvocatura………………. dello Stato (C.F. …..), con sede in …., via ……, ai sensi dell’art. 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, e dell’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nell’interesse di …. (C.F. ……), in persona di …., rappresentata e difesa ex lege, ha notificato l’allegato (indicare la tipologia di atto) come documento informatico autenticato ai sensi degli artt. 3 bis, comma 2, della L. n. 53/1994, e 16 undecies del DL n. 179/2012, con l’inserimento della dichiarazione di conformità, alla copia autenticata rilasciata in formato cartaceo dalla cancelleria, sulla stessa copia informatica, all’Avv. …… , cui viene spedito, quale difensore domiciliatario di …….…., il ... (indicare la data di spedizione), come allegato al messaggio di posta elettronica certificata, dall’indirizzo (indicare l’indirizzo dell’Avvocatura mittente), presente sia nell’elenco pubblico previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”), TEMI ISTITUZIONALI 15 sia in quello, riservato alle Amministrazioni Pubbliche, di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012, all’indirizzo di posta elettronica certificata (indicare indirizzo) indicato nell’atto di parte ……………. e comunque tratto, ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dal citato elenco pubblico previsto dall’art. 7 del citato D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”) OPPURE , ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dall’elenco pubblico (indice nazionale degli indirizzi pec delle imprese e dei professionisti, il cosiddetto “INI-PEC”) citato dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012 (convertito dalla legge n. 228/2012) e previsto dall’art. 6 bis del D.Lgs. n. 82/2005. …… Avvocato/Procuratore dello Stato 2.3 RELAZIONE PEC DI COPIA INFORMATICA - AUTENTICA SOVRASCRITTA - DI ORIGINALE INFORMATICO AGS ADS RELAZIONE DI NOTIFICA A MEZZO POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA EX ART. 3 BIS DELLA LEGGE 21 GENNAIO 1994, N. 53, ED ART. 55 LEGGE 19 GIUGNO 2009, N. 69 l’Avvocatura………………. dello Stato (C.F. …..), con sede in …., via ……, ai sensi dell’art. 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, e dell’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nell’interesse di …. (C.F. ……), in persona di …., rappresentata e difesa ex lege, ha notificato l’allegata copia informatica di (indicare la tipologia di atto) - autenticato ai sensi degli artt. 16 bis, commi 2 e 9 bis, 16 decies e 16 undecies del DL n. 179/2912, con l’inserimento della dichiarazione di conformità sulla copia stessa, sottoscritta con firma digitale, all’Avv. …… , cui viene spedito, quale difensore domiciliatario di …….…., il ... (indicare la data di spedizione), come allegato al messaggio di posta elettronica certificata, dall’indirizzo (indicare l’indirizzo dell’Avvocatura mittente), presente sia nell’elenco pubblico previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”), sia in quello, riservato alle Amministrazioni Pubbliche, di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012, all’indirizzo di posta elettronica certificata (indicare indirizzo) indicato nell’atto di parte ……………. e comunque tratto, ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dal citato elenco pubblico previsto dall’art. 7 del citato D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”) OPPURE , ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dall’elenco pubblico (indice nazionale degli indirizzi pec delle imprese e dei professionisti, il cosiddetto “INI-PEC”) citato dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012 (convertito dalla legge n. 228/2012) e previsto dall’art. 6 bis del D.Lgs. n. 82/2005. …… Avvocato/Procuratore dello Stato 2.4 RELAZIONE PEC DI DUPLICATO INFORMATICO AGS ADS RELAZIONE DI NOTIFICA A MEZZO POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA EX ART. 3 BIS DELLA LEGGE 21 GENNAIO 1994, N. 53, ED ART. 55 LEGGE 18 GIUGNO 2009, N. 69 l’Avvocatura………………. dello Stato (C.F. …..), con sede in …., via ……, ai sensi dell’art. 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, e dell’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nel- 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 l’interesse di …. (C.F. ……), in persona di …., rappresentata e difesa ex lege, ha notificato l’allegato (indicare la tipologia di atto) - come duplicato del documento informatico reso disponibile dal sistema informatico della giustizia civile, da quest’ultimo tratto con modalità telematiche, ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del DL 18 ottobre 2012, n. 179, e dell’art. 5 del DPCM 13 novembre 2014 - all’Avv. …… , cui viene spedito, quale difensore domiciliatario di …….…., il ... (indicare la data di spedizione), come allegato al messaggio di posta elettronica certificata, dall’indirizzo (indicare l’indirizzo dell’Avvocatura mittente), presente sia nell’elenco pubblico previsto dall’art. 7 del D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”), sia in quello, riservato alle Amministrazioni Pubbliche, di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012, all’indirizzo di posta elettronica certificata (indicare indirizzo) indicato nell’atto di parte … …………. e comunque tratto, ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dal citato elenco pubblico previsto dall’art. 7 del citato D.M. n. 44/2011 (c.d. “Reginde”) OPPURE , ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, della legge n. 53/1994, dall’elenco pubblico (indice nazionale degli indirizzi pec delle imprese e dei professionisti, il cosiddetto “INI-PEC”) citato dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012 (convertito dalla legge n. 228/2012) e previsto dall’art. 6 bis del D.Lgs. n. 82/2005. …… Avvocato/Procuratore dello Stato 3) AUTENTICA ATTO NOTIFICATO VIA PEC COME ORIGINALE INFORMATICO Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato …….. dichiara che la presente copia - che consta di ….. facciata/e - è conforme all’originale informatico del documento, sottoscritto con firma digitale dal medesimo Avvocato/Procuratore dello Stato, notificato come allegato a messaggio di posta elettronica certificata ed inviato all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario il …... Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 4) AUTENTICA ATTO NOTIFICATO VIA PEC COME COPIA INFORMATICA Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, nonché dell’art. 18 del D.m. n. 44/2011, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato …….. dichiara che la presente copia - che consta di ….. facciata/e - è conforme alla copia informatica autenticata, notificata come allegato a messaggio di posta elettronica certificata ed inviato all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario il …... Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato TEMI ISTITUZIONALI 17 5) AUTENTICA ATTO NOTIFICATO VIA PEC COME DUPLICATO INFORMATICO Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, nonché dell’art. 18 del D.m. n. 44/2011, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato …….. dichiara che la presente copia - che consta di ….. facciata/e - è conforme al duplicato informatico notificato come allegato a messaggio di posta elettronica certificata ed inviato all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario il …... Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 6) AUTENTICA MESSAGGIO DI NOTIFICA VIA PEC Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato dichiara che la presente copia - che consta di … facciata/e - è conforme all’originale informatico del messaggio notificato il ………. , dall’indirizzo di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura Generale/distrettuale dello Stato all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario. Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 7) AUTENTICA RELATA VIA PEC Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato……………. dichiara che la presente copia - che consta di … facciata/e - è conforme all’originale informatico della relazione di notifica sottoscritta con firma digitale dal medesimo Avvocato/Procuratore dello Stato ed inviata, come allegato a messaggio di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura…… dello Stato, all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario il ……. Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 8) AUTENTICA RICEVUTA DI ACCETTAZIONE DI NOTIFICA VIA PEC Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato ……… dichiara che la presente copia - che consta di …. facciata/e - è conforme all’originale informatico della ricevuta di accettazione generata il ….. dal gestore della posta elettronica certificata della mittente Av- 18 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 vocatura generale/distrettuale dello Stato e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultima. Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 9) AUTENTICA RICEVUTA DI CONSEGNA (COMPLETA) DI NOTIFICA VIA PEC Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato dichiara che la presente copia - che consta di ….. facciata/e - è conforme all’originale informatico della ricevuta di consegna completa (anche del messaggio originario), generata il …….. dal gestore della posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultima. Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 10. MODELLO DI ATTESTAZIONE CUMULATIVA DI NOTIFICA PEC (CON ATTO E RELATA ORIGINALI INFORMATICI) Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato …….. dichiara che le retroestese copie: a) del messaggio di posta elettronica certificata; b) del (indicare la tipologia dell’atto, ad esempio “controricorso”, “ricorso”, oppure “atto di citazione”); c) della relazione di notifica; d) della ricevuta di accettazione generata dal gestore di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato; e) della ricevuta di consegna generata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario; per complessive…. (indicare il numero) facciate, sono rispettivamente conformi: 1) al messaggio di posta elettronica spedito il …… dalla mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario; 2) all’originale informatico dell’atto, sottoscritto con firma digitale dall’Avvocato/Procuratore dello Stato……….. e notificato come allegato al messaggio di posta elettronica certificata indicato al punto 1); 3) all’originale informatico della relazione di notifica, sottoscritta con firma digitale dall’Avvocato/ Procuratore dello Stato……….. e notificata come allegato al messaggio di posta elettronica certificata indicato al punto 1); 4) all’originale informatico della ricevuta di accettazione del messaggio di cui al punto 1), TEMI ISTITUZIONALI 19 generata il ……. dal gestore della posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/ distrettuale dello Stato e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultima; 5) all’originale informatico della ricevuta di consegna completa del messaggio di cui al punto 1), generata il ……. dal gestore della posta elettronica certificata del destinatario e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato. Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 11. MODELLO DI ATTESTAZIONE CUMULATIVA DI NOTIFICA PEC (ATTO NOTIFICATO COME COPIA INFORMATICA) Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato …….. dichiara che le retroestese copie: a) del messaggio di posta elettronica certificata; b) del (indicare la tipologia dell’atto, ad esempio “controricorso”, “ricorso”, oppure “atto di citazione”); c) della relazione di notifica; d) della ricevuta di accettazione generata dal gestore di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura; e) della ricevuta di consegna generata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario; per complessive…. (indicare il numero) facciate, sono rispettivamente conformi: 1) al messaggio di posta elettronica spedito il …… dalla mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario; 2) alla copia informatica autenticata dell’atto notificato come allegato al messaggio di posta elettronica certificata indicato al punto 1); 3) all’originale informatico della relazione di notifica, sottoscritta con firma digitale dall’Avvocato/ Procuratore dello Stato……….. e notificata come allegato al messaggio di posta elettronica certificata indicato al punto 1); 4) all’originale informatico della ricevuta di accettazione del messaggio di cui al punto 1), generata il ……. dal gestore della posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/ distrettuale e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultima; 5) all’originale informatico della ricevuta di consegna completa del messaggio di cui al punto 1), generata il ……. dal gestore della posta elettronica certificata del destinatario e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato. Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 20 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 12. MODELLO DI ATTESTAZIONE CUMULATIVA DI NOTIFICA PEC (ATTO NOTIFICATO COME DUPLICATO INFORMATICO) Attestazione di conformità Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e dell’art. 23 del D. Lgs. n. 82/2005, il sottoscritto Avvocato/Procuratore dello Stato … ... dichiara che le retroestese copie: a) del messaggio di posta elettronica certificata; b) del (indicare la tipologia dell’atto, ad esempio “controricorso”, “ricorso”, oppure “atto di citazione”); c) della relazione di notifica; d) della ricevuta di accettazione generata dal gestore di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura; e) della ricevuta di consegna generata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario; per complessive …. (indicare il numero) facciate, sono rispettivamente conformi: 1) al messaggio di posta elettronica spedito il … ... dalla mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario; 2) al duplicato informatico dell’atto notificato come allegato al messaggio di posta elettronica certificata indicato al punto 1); 3) all’originale informatico della relazione di notifica, sottoscritta con firma digitale dall’Avvocato/ Procuratore dello Stato … ... e notificata come allegato al messaggio di posta elettronica certificata indicato al punto 1); 4) all’originale informatico della ricevuta di accettazione del messaggio di cui al punto 1), generata il ……. dal gestore della posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/ distrettuale e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultima; 5) all’originale informatico della ricevuta di consegna completa del messaggio di cui al punto 1), generata il … ... dal gestore della posta elettronica certificata del destinatario e pervenuta all’indirizzo di posta elettronica certificata della mittente Avvocatura generale/distrettuale dello Stato. Luogo e data ……………….. Avvocato/Procuratore dello Stato 21 COPIA CARTACEA (“analogica”) di originale informatico Art. 16 decies D.L. 179/12 Art. 16 bis co. 2 D.L. 179/12 Art. 16 undecies co. 2 e 3 D.L. 179/12 SE UTILIZZO Art. 3 bis co. 2 L. 53/94 Art. 16 undecies co. 2 e 3 D.L. 179/12 DUPLICATO INFORMATICO COPIA INFORMATICA (scansione) tratta da un originale cartaceo (“analogico”) COPIA INFORMATICA tratta da un originale informatico Per il deposito (telematico) Per la notifica (a mezzo PEC) Appongo dichiarazione di conformità sottoscritta a mano Verifico l’impronta e la dichiaro nella relata o nel deposito Art. 23 bis - CAD Art. 16 bis co. 9 bis D.L. 179/12 DPCM 13/11/2014 Art. 23 - CAD Art. 16 bis co. 9 bis D.L. 179/12 o Sovrascrivo l’attestazione sul PDF e nella relata menziono il documento come copia autentica Attesto la conformità nella relata come da specifiche tecniche non ancora emanate Sovrascrivo l’attestazione sul PDF Attesto la conformità su documento separato come da specifiche tecniche non ancora emanate FIRMO DIGITALMENTE IL DOCUMENTO FIRMO DIGITALMENTE IL DOCUMENTO Art. 23 bis - CAD Art. 16 bis co. 9 bis D.L. 179/12 Art. 16 undecies co. 2 e 3 D.L. 179/12 1 2 1 2 22 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Il visto di regolarità della Regia Avvocatura dello Stato: vigenza del D.M. 2984/1940 PARERE 09/09/2015-396900, AL 24762/15, AVV. MASSIMO SALVATORELLI «Si fa seguito alla nota 18 giugno 2015 prot. n. 288310 con la quale, nel rendere una prima consultazione interlocutoria, si faceva riserva di sottoporre al Comitato Consultivo - organo deputato, ai sensi dell’art. 26 della L. n. 103/1979, alla trattazione delle questioni di massima nonché all’esame di profili suscettibili di portare alla diffusione di direttive “di carattere generale per il coordinamento nella trattazione degli affari contenziosi e consultivi” - talune questioni di portata generale. Sul punto, esaminata la documentazione qui trasmessa e alla luce di una approfondita istruttoria e attenta disamina del complesso normativo, si osserva quanto segue. 1. L’Agenzia del Demanio - nel corso di un procedimento volto all’acquisto di immobili da destinare a sede di uffici e alloggi per la Polizia di frontiera - ha richiesto un parere relativo alla persistente vigenza del D.M. n. 2984/1940 (recante Istruzioni sui servizi ed acquisto di beni per conto dello Stato da parte del Provveditorato Generale dello Stato), e, in particolare, dell’art. 829, il quale, con riferimento alla compravendita di immobili, prescrive che “redatto lo schema di contratto e fattolo munire del visto di regolarità della Regia Avvocatura dello Stato e della firma per accettazione del venditore, l’Intendenza di Finanza lo trasmette con i relativi documenti al Provveditorato Generale dello Stato”. Connesso alla norma in esame, per quanto qui interessa, è il successivo art. 833, a mente del quale, “approvato che sia il contratto di acquisto e compiute tutte le formalità di registrazione, trascrizione (o intavolazione) e la voltura catastale il Provveditorato Generale dello Stato, accertata che sia la libera e legittima proprietà dell’immobile fino al giorno della trascrizione del contratto stesso, e previo nulla osta dell’Avvocatura dello Stato, provvede all’emissione del mandato di pagamento del prezzo a favore del venditore”. La richiesta del parere (che si afferma destinato ad avere “significative ricadute sulla legittimità dell’azione Amministrativa [dell’]Agenzia, in quanto suscettibile di inficiare la regolarità degli atti dalla stessa stipulati in nome e per conto dello Stato”), è resa necessaria, ad avviso dell’Agenzia, dalla circostanza che l’Avvocatura Distrettuale di Genova, a suo tempo investita della richiesta del suddetto “visto di regolarità”, ha affermato doversi ritenere tacitamente abrogata la disposizione di cui al richiamato art. 829; e ciò - si espone da parte dell’Agenzia - in contrasto con la prassi seguita sia da altre Avvocature Distrettuali sia dall’Amministrazione statale, che mai avrebbero ipotizzato la sopravvenuta inapplicabilità della disposizione. 23 Il parere riveste, inoltre, carattere di particolare urgenza, considerato che la Corte dei Conti avrebbe rappresentato che il procedimento dinanzi alla stessa pendente dovrebbe concludersi entro i trenta giorni previsti dall’art. 27 della L. n. 340/2000 (in realtà, tale termine sembra riguardare la sospensione del termine per l’apposizione del visto di competenza in presenza di istruttoria). 2. La disposizione in esame, come visto, è contenuta in un D.M. intitolato: Istruzioni sui servizi ed acquisto di beni per conto dello Stato da parte del Provveditorato Generale dello Stato. Esso - emanato in una situazione costituzionale e istituzionale ben diversa da quella attuale - trae il proprio fondamento dal R.D. 18 gennaio 1923, n. 94 (avente forza di legge) istitutivo del Provveditorato Generale dello Stato, e dal successivo regolamento per la esecuzione (previsto dall’art. 8 del R.D. cit.), approvato da ultimo con R.D. 20 giugno 1929, n. 1058. Quest’ultimo, all’art. 62, prevedeva che “a completamento delle norme contenute nel presente regolamento, il Provveditore Generale compilerà le istruzioni sui servizi del Provveditorato, specificando le funzioni e le attribuzioni singole dei propri uffici, Dette istruzioni saranno approvate con Decreto del Ministero delle Finanze”. Il Decreto Ministeriale n. 2984/1940 è appunto il testo con il quale dette Istruzioni sono impartite. Tali Istruzioni non hanno dunque rango di disposizione normativa primaria, ed è lecito altresì dubitare della loro forza regolamentare, stante anche la mancata pubblicazione, all’epoca, sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia. Come insegna la dottrina dell’epoca, deve piuttosto ritenersi che gli atti amministrativi denominati Istruzioni avessero natura di circolare e di atto meramente interno all’Amministrazione; di tal che potrebbe addirittura dubitarsi - considerato anche la loro natura di norme di completamento, relative ai servizi del Provveditorato con particolare riferimento a profili spiccatamente organizzativi - che esse potessero di per sé prevedere la pronunzia di pareri obbligatori e vincolanti da parte dell’Avvocatura dello Stato. Esse, dunque, secondo tale lettura suggerita anche dalla gerarchia delle fonti, avrebbero potuto avere al massimo natura vincolante per gli organi dell’Amministrazione destinataria dell’atto organizzativo (raccomandando ad essi di richiedere i pareri ivi indicati), senza tuttavia incidere sulla validità sotto il profilo strettamente civilistico di contratti eventualmente stipulati in assenza dei pareri stessi. 3. Come noto, l’esercizio dell’attività consultiva dell’Avvocatura è infatti in via generale previsto dall’art. 13 del T.U. n. 1611/1933, secondo il quale l’Avvocatura “provvede… alle consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni” (già vigente all’epoca della diffusione interna delle Istruzioni in esame). Altre specifiche disposizioni contemplano la pronuncia di pareri da parte dell’Avvocatura dello Stato: talora obbligatori, talvolta anche vincolanti, in 24 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 particolari materie (rimborso spese legali ai dipendenti; inesigibilità di crediti, transazioni, ecc.): peraltro, a quanto consta, tali disposizioni sono contenute abitualmente in norme aventi rango di fonte primaria. 4. Con il sopravvenire dell’ordinamento repubblicano si assiste via via ad una sostanziale trasformazione del previgente sistema amministrativo, sì da consentire di dubitare - a prescindere dalla esistenza o meno di norme espressamente dotate di forza abrogatrice - della compatibilità dell’art. 829 cit. con i nuovi procedimenti di acquisizione di immobili da parte dello Stato. Per vero, a fronte degli argomenti suggeriti dall’Agenzia del Demanio in ordine alla persistente vigenza delle disposizioni de quibus, va rilevato che l’attività procedimentale è oggi ispirata a principi di celerità e di contenimento della spesa pubblica (ad es., con la legge cd. Bassanini è stato abolito proprio in materia di acquisti di immobili il parere del Consiglio di Stato precedentemente previsto). Inoltre i pareri dell’Avvocatura andavano inseriti all’epoca nell’ambito di un procedimento esclusivamente “interno” all’Amministrazione statale, ed erano espressamente resi ad articolazioni oggi soppresse (l’Intendenza di Finanza; il Provveditorato Generale dello Stato, soppresso nel 2001 a cui è subentrato in via principale il MEF, che gestisce le precedenti attribuzioni con convenzioni: in particolare con CONSIP, soggetto di diritto privato). Ancora, l’Agenzia del Demanio, pur gestendo il patrimonio immobiliare e provvedendo all’acquisizione dello stesso, è soggetto distinto dallo Stato (con il quale potrebbe addirittura trovarsi in conflitto di interessi), e i suoi rapporti con l’Avvocatura sono espressamente regolati da un Protocollo d’intesa stipulato inter partes. Esso regola espressamente l’attività consultiva - se ne veda la Parte I. - anche in maniera parzialmente difforme rispetto alla normativa di carattere generale relativa ai rapporti con lo Stato (v., ad es., quanto previsto sulla possibilità di non rendere il parere ove una particolare urgenza e la ristrettezza dei termini non lo consentano), omettendosi in ogni caso qualsiasi menzione ai pareri di cui agli artt. 829 e 833 sopra riportati. 5. Se dunque considerazioni sistematiche, nonché relative alla gerarchia delle fonti, consentivano già di dubitare della persistente vigenza delle norme in esame (non a caso non pubblicata sulle principali banche dati), tale abrogazione sembra in ogni caso da affermarsi con maggior convinzione alla luce del sopravvenuto D.M. 20 giugno 1987 adottato dal Ministro del Tesoro e recante Nuove istruzioni generali sui servizi del Provveditorato Generale dello Stato. L’esame di tale strumento normativo (anch’esso di difficilissima reperibilità, non essendo pubblicato in alcuna delle più diffuse e autorevoli banche dati giuridiche) - a prescindere dal definitivo argomento di natura testuale su cui infra - conforta altresì nel percorso argomentativo qui tracciato fin dalla sua premessa, ove, dopo aver testualmente richiamato il D.M. 24 agosto 1940, 25 n. 2948, si richiamano, a sostegno della indifferibilità di una revisione delle Istruzioni, “le modifiche che si sono determinate, dal 1940, nello svolgimento delle competenze istituzionali del Provveditorato generale in conseguenza di provvedimenti normativi, di nuove esigenze procedurali, del soddisfacimento di più articolate esigenze di funzionamento degli Uffici statali”. Nel prosieguo si afferma poi esplicitamente che le nuove Istruzioni (salvo che per alcune parti specifiche, rimaste in vigore, che qui non interessano), “sostituiscono ad ogni effetto quelle vigenti”, con un evidente contenuto abrogativo. La lettura del testo - assai più snello di quello previgente, e non contenente espresse indicazioni relative all’acquisizione di immobili - conferma che i pareri dell’Avvocatura dello Stato non sono più contemplati; ciò emerge, in particolare, dall’art. 28, che considera la richiesta di pareri, espressamente menzionando quello del Consiglio di Stato, ed esclude espressamente che tutti i pareri abbiano natura vincolante; e dagli artt. 31, 35 e 36 (Stipulazione dei contratti, Approvazione del contratto, Riscontro), che prevedono procedimenti ai quali l’Avvocatura resta estranea. Sembra pertanto si possa ormai escludere la attuale vigenza delle disposizioni di cui agli artt. 829 e 833 del D.M. n. 2984/1940. 6. Tutto quanto precede, naturalmente non esclude che l’Agenzia, come tutte le altre Amministrazioni patrocinate, possa (continuare a) richiedere all’Avvocatura dello Stato che sia reso un parere (facoltativo e non vincolante) nell’ambito delle competenze generalmente contemplate dall’art. 13 del T. U. n. 1611/33 e previste anche dal più volte richiamato Protocollo, relativamente tanto alla bozza di contratto quanto alla piena disponibilità del bene di cui si tratta. In realtà, nella prassi, consimili pareri risultano ancora sporadicamente richiesti, pur se non con la frequenza del passato (anche qui a conferma della generalmente ritenuta abrogazione delle disposizioni in discorso). Allo stato, tuttavia, deve concludersi nel senso che il “visto di regolarità” e il parere relativo alla libera e legittima proprietà degli immobili oggetto di compravendita già di competenza dell’Avvocatura, non siano più obbligatori quanto alla richiesta da parte dell’Amministrazione, né - ove richiesti - vincolanti per la stessa quanto al loro contenuto. Si rimane a disposizione per qualsiasi necessario chiarimento o integrazione. Sul parere che precede, considerati i profili di massima trattati, è stato sentito il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato, il quale, nella seduta dell’8 settembre 2015, si è espresso in conformità ». 26 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Un romanzo politico (L. Sterne) Scambio di mail sulla “sedia” nel processo amministrativo All’inizio della professione, il mio maestro, Massimo Severo Giannini, mi spiegò, con il piglio ironico che spesso lo caratterizzava, come fino a quando i Tribunali Amministrativi Regionali, da poco istituiti, non fossero stati in grado di offrire ai cittadini una tutela a pieno regime, la giustizia amministrativa sarebbe stata comunque caratterizzata dalla persistenza di un “giudice domestico”. Ed effettivamente ha ragione Maurizio Greco quando richiama la norma del regolamento dei giudizi davanti al Consiglio di Stato, che consentiva all’Amministrazione resistente di stare in giudizio direttamente o farsi assistere indifferentemente dall’avvocato dello Stato o da un referendario dello stesso Consiglio di Stato. Qui la sedia separata, accanto al collegio giudicante diveniva “pertinente”. Molte cose sono cambiate da quegli anni ed il giudizio amministrativo italiano, tra mille difficoltà, si è sempre più trasformato da un giudizio di mero annullamento a parti definite (il ricorrente e l’amministrazione ) in un giudizio tra parti uguali, sempre più simile al giudizio civile: tutela sempre più estesa dei diritti attraverso la giurisdizione “esclusiva”; parità tra le parti sempre più con i poteri dell’attore e del convenuto del processo civile. Se così stanno le cose la pretesa del nuovo Presidente di sezione del TAR Toscana di abolire lo scranno erariale sembra avere un solido fondamento nella storia. In questo nuovo contesto tuttavia - pari per pari, avvocato per avvocato - vien voglia di “scambiare la sedia” con la possibilità anche nel giudizio amministrativo di ricorrere in via ordinaria in cassazione, dal momento che il giudice amministrativo è diventato - e forse giustamente - sempre più simile al giudice ordinario. Avvocato dello Stato “senza sedia” quindi, ma con fondamentale “diritto in più” per l’Amministrazione che deve difendere… G.F. 27 Da: Gianni Cortigiani [mailto:gianni.cortigiani@avvocaturastato.it] Inviato: ven 13/11/2015 11.59 A: Avvocati_tutti Oggetto: Sta nascendo qui a Firenze una questioncella (ma di non poca importanza di principio per l'Istituto, specie in questi momenti) sull'utilizzo del banchetto riservato alla Avvocatura in cornu epistolae al Tar. Una nuova Presidente di Sezione, proveniente da Lecce, lo contesta in nome della necessità di superare obsolete tradizioni e di un preteso egualitarismo. Prima di dare il via alla battaglia chiedo a tutti 1) Come vi comportate nei vari Tar e al Cons. Stato? Utilizzate il banchetto riservato? 2) La collocazione del banchetto riservato ha un fondamento normativo (immagino risalente nel tempo) o è soltanto una prassi? Io più volte ho detto che è la conseguenza del "diritto di sedia" (c'era anche il diritto di cappello) dell'Avvocato Regio di Toscana, ma è chiaro che con un fondamento normativo mi sentirei più forte. Gianni Cortigiani Da: Giordano Diego Inviato: ven 13/11/2015 12.20 A: Cortigiani Gianni; Avvocati_tutti Oggetto: R: Si dice che nel giudizio amministrativo l'Avvocato dello Stato svolga un ruolo analogo a quello del Pubblico Ministero. E questo spiega il banchetto riservato (che a Roma, almeno per quanto è a mia conoscenza, nessuno contesta). Giordano Diego Da: Melandri Vittorio [mailto:vittorio.melandri@avvocaturastato.it] Inviato: venerdì 13 novembre 2015 12:37 A: 'Gianni Cortigiani'; 'Avvocati_tutti' Oggetto: R: In effetti, ho trovato solo il Motuproprio del Granduca Leopoldo I di Lorena del 27.5.1777, che al paragrafo 6) prevedeva, a proposito dell’avvocato regio, che “Ogni qualvolta deva comparire davanti ai Giudici o Tribunali, dovrà godere della distinzione del posto e della sedia sopra ogni altro difensore o interessato in causa”, ma pur trattandosi di una fonte normativa preunitaria, non è del tutto escluso che possa considerarsi tuttora valida, in quanto mai abrogata da disposizioni successive, mentre la legislazione unitaria successiva ha inteso far proprio il modello dell’avvocatura erariale toscana. E d’altra parte, la circostanza che il banco dell’Avvocatura erariale sia presente in tutti i Tribunali amministrativi ed al Consiglio di Stato non può essere un caso. Ma forse c’è qualche altra disposizione successiva che non conosco. Vittorio Melandri 28 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Da: Gianni Cortigiani [mailto:gianni.cortigiani@avvocaturastato.it] Inviato: venerdì 13 novembre 2015 12:51 A: 'Avvocati_tutti' Oggetto: I: Inoltro a tutti, con mozione di plauso, l’esito della ricerca di Vittorio Melandri: certo che se ci fosse qualcosa di più recente…. Gianni Cortigiani Da: Melandri Vittorio [mailto:vittorio.melandri@avvocaturastato.it] Inviato: ven 13/11/2015 13.27 A: Cortigiani Gianni; Avvocati_tutti Oggetto: R: Ma in effetti, c’è: la sentenza della Corte costituzionale n. 1/1978, secondo cui “La difesa dello Stato comporta una visione dei problemi più ampia e diversa da quella che ordinariamente è richiesta per la difesa di una parte privata, se non altro per l’indubbia appartenenza allo Stato di fini generali di giustizia”, fini generali che sono menzionati anche nel Motuproprio granducale del 1777 (citato in Mantellini, “lo Stato e il Codice Civile”). Vittorio Melandri Da: Paolo Gentili Data: 13/11/2015 13:30 (GMT+01:00) A: 'Gianni Cortigiani' , 'Avvocati_tutti' Oggetto: R: La ricerca della fonte è suggestiva, per non dire irresistibile per chi abbia curiosità storiche. Ma il problema che la signora pone (oltre che suo personale, ma su questo non possiamo far nulla) è, involontariamente, di principio. Mi sembra che non comprenda che la simbologia del processo (non a caso designato anche come "rito") esprime il ruolo assegnato ai soggetti che lo celebrano. L'avvocato dello stato siede in posizione intermedia tra i patroni di parte e i giudici non perché sovraordinato ai primi ma, al contrario, perché esprime nel processo l'istanza della legalità obiettiva che dovrebbe essere consustanziale alla parte che rappresenta. Non deve far prevalere a tutti i costi l'interesse dello Stato, ma farsi voce del principio di legalità di cui l'azione amministrativa, anche nel singolo provvedimento impugnato, dovrebbe sempre essere manifestazione. Non si confonde con le altre difese di parte non perché sia "più" di loro ma, al contrario, perché è "meno" difesa di parte di quanto quelle non siano. Il privilegium fisci non c'entra niente. Anzi, la regola o tradizione di cui parliamo discende proprio dal fatto che l'introduzione a fine settecento dei primi sistemi di giustizia amministrativa portò lo stato a doversi difendere in giudizio; ma, appunto, come stato, cioè come legalità che, per dover essere dialetticamente rappresentata, non 29 cessa di essere tale, e anzi diviene davvero tale solo nella sua concretizzazione dialettica (l'affermazione del principio di legalità e l'introduzione della giustizia amministrativa sono condizione reciproca). Per noi sono ovvietà. Sarà possibile renderle percepibili all'interessata? Paolo Gentili Da: giuseppe dellaira [mailto:giuseppe.dellaira@avvocaturastato.it] Inviato: venerdì 13 novembre 2015 14:13 A: 'Buscemi Anna'; 'Paolo Gentili'; 'Gianni Cortigiani'; 'Avvocati_tutti' Oggetto: R: Priorità: Alta Per quanto mi consti, a Palermo taluno ha sollevato la questione, e di fatto, motivando con esigenze di spazio per il Collegio, tendenzialmente ci si siede insieme agli altri Avvocati. Al Consiglio di Giustizia ciascuno opta per l’una o l’altra collocazione, anche se nessuno ha mai negato posizioni differenziate nel banco “rialzato”, che esiste e permane accanto a quello del Collegio. Al di là di problemi di ordine organizzativo (qui si va in udienza in due o tre, trasportando anche voluminosi fascicoli “interni” e nell’interesse dell’intero l’Ufficio) credo che l’affermazione relativa alla posizione di parità, evidentemente espressiva di problemi psicologici “di non sudditanza” anche gravi, sia appunto priva di senso, perché è pacifico che l’onere anche fisico che sosteniamo è ben diverso da quello di un avvocato titolare di uno o due ricorsi da discutere! Si tratta solo di quel buon senso, oggi così negletto!! Giuseppe Dell’Aira Da: Vittorio Cesaroni [mailto:vittorio.cesaroni@avvocaturastato.it] Inviato: ven 13/11/2015 14.18 A: Avvocati_tutti Oggetto: Avvocati di Stato e scranno G.A. In linea con quanto saggiamente osservato da Gentili e da Dell’Aira, mi permetto di aggiungere la mia esperienza personale. A Roma, per quanto mi consta, non è mai stato posto un problema simile dai giudici. Ma talvolta (e già vent’anni fa…) da qualche avvocato in vena di gratuite provocazioni. Io personalmente ho sempre fatto presente che non lo consideravo un privilegio personale per noi avvocati di Stato e che, in quanto “avvocato”, non avrei avuto alcuna difficoltà a discutere accanto al libero foro; aggiungendo subito che lo “scranno” era da ritenersi solo un segno di rispetto per lo Stato e per l’Interesse Pubblico, per cui come “cittadini” ne dovremmo essere consapevoli ed orgogliosi. È amara constatazione quotidiana che sempre più nel nostro Paese l’ “Interesse Pubblico” è concetto di difficile comprensione, che o lascia indifferenti o è percepito come pericoloso. 30 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Recentemente Giovanni Virga chiosava su LexItalia: “In questo quadro generale è quasi scomparso del tutto quello che dovrebbe essere l’assoluto protagonista della scena politica nazionale e della buona amministrazione: l’interesse pubblico “primario”, per il quale il Prof. M.S. Giannini si era tanto speso. Di esso si legge ormai nei sempre più numerosi e sbiaditi manuali di diritto pubblico, senza che nessuno si interroghi seriamente se, oltre a costituire una categoria astratta, quasi Kantiana, esso viva ancora in mezzo a noi”. Non facciamone un difesa di “casta”. È solo una questione di giusto rispetto e di buonsenso per chi li vuole cogliere. Vittorio Cesaroni Da: Maurizio Greco [mailto:maurizio.greco@avvocaturastato.it] Inviato: ven 13/11/2015 16.16 A: Capaldo Lorenzo; Ferrante Wally; Dell'Aira Giuseppe Massimo; Buscemi Anna; Gentili Paolo; Cortigiani Gianni; Avvocati_tutti Oggetto: R: diritto di sedia Personalmente non mi sono mai posto alcun problema anche perché preferisco rimanere in piedi e non sedermi e spesso anzi quasi sempre rimango a metà tra il banco avvocati e quello a noi riservato vicino al collegio. Mi è però capitato il contrario di quanto alcuni di voi rappresentano poiché specialmente al CdS sono stato invitato più volte a prendere posto nel banchetto a noi riservato. Forse ho sempre incontrato Presidenti che ricordando il dettato dell’art. 41 R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 e con il retaggio che l’amm.ne potesse essere rappresentata anche da un referendario del Cds stesso (che quindi doveva trovare posto vicino al collegio) volevano che il rappresentante dell’amm.ne trovasse sempre la stessa collocazione. Maurizio Greco CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Maternità surrogata: il rifiuto di registrazione dell’atto di nascita nella giurisprudenza della Corte Edu e alcune conseguenze applicative nell’ordinamento italiano (e non solo) NOTA A CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO, SEZ. II, SENTENZA 27 GENNAIO 2015, RICORSO N. 25358/12, PARADISO E CAMPANELLI C. ITALIA Emanuela Brugiotti* SOMMARIO: 1. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia: i fatti ed i principi di diritto enunciati - 2. I precedenti della Corte sul rifiuto di registrazione dell’atto di nascita a seguito di procedure di maternità surrogata: due sentenze “gemelle” e la loro portata applicativa - 3. Effetti negli ordinamenti interni: due casi italiani - 4. Brevi considerazioni conclusive. 1. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia: i fatti ed i principi di diritto enunciati. Il caso relativo alla sentenza della Corte di Strasburgo del 27 gennaio 2015 (1) trae origine da un ricorso contro l’Italia presentato, ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, da due coniugi cittadini italiani. I ricorrenti dopo aver invano tentato di utilizzare la fecondazione in vitro, hanno scelto di siglare un accordo di maternità surrogata gestazionale (2) per (*) Avvocato e Dottore di ricerca in Giustizia costituzionale e tutela dei diritti fondamentali (Università di Pisa), già praticante presso l’Avvocatura Generale dello Stato. (1) In http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-150770#{%22itemid%22: [%22001-150770%22]}. (2) Si tratta di un accordo in forza del quale: “una donna, per soddisfare esigenze di maternità e di paternità altrui, dietro corrispettivo, o a titolo gratuito, contrattualmente noleggia, con il richiesto consenso del marito, se sposata, il proprio utero ad una coppia di coniugi impossibilitata ad avere figli per sterilità della partner, impegnandosi a farsi fecondare artificialmente con il seme del marito di 32 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 poter diventare genitori. A tal fine hanno stipulato in Russia un contratto con la società Rosjurconsulting, conformemente alla normativa russa. Dopo la nascita il 27 febbraio 2011 del bambino, i coniugi sono stati registrati come genitori senza alcuna indicazione che il bambino era nato a seguito di un accordo di maternità surrogata. Nell'aprile 2011 il Consolato italiano a Mosca ha consegnato i documenti ai coniugi permettendo, quindi, al bambino di partire per Italia. Qui però non hanno ottenuto la registrazione dell’atto di nascita dal Comune di residenza, in quanto il Consolato italiano a Mosca aveva informato il Tribunale per i minorenni competente, il Ministero degli Affari Esteri e il Comune che il documento attestante la nascita del bambino conteneva informazioni false. Il 5 maggio 2011 la coppia è stata così accusata di “false dichiarazioni nello stato civile”. Con decisione del 3 aprile 2013, il rifiuto di registrare il certificato di nascita russo è stato confermato in appello in considerazione del fatto che la registrazione, per la legge italiana, sarebbe contraria all'ordine pubblico, poiché il certificato conteneva dati non rispondenti al vero, non essendovi nessuna relazione biologica tra il bambino e i ricorrenti. Questa decisione, così come quella riguardante l’apertura della proceduta di adozione del bambino, è stata impugnata davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo in quanto lesiva dei diritti alla vita familiare e alla vita privata, tutelati dell’art. 8 della Convenzione edu, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu. In merito all’eccezione riguardante il rifiuto della registrazione dell’atto di nascita, la Corte ha osservato che la Convenzione non deve essere interprequest’ultima, a condurre a termine la gravidanza, nel rispetto di determinate norme di comportamento, ed a consegnare alla predetta coppia di coniugi committente il figlio così concepito, rinunciando ad ogni diritto su di esso”, A.B. FARAONI, La maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Giuffré, Milano, 2002, p. 21. Così delineato il quadro complessivo della pratica in oggetto, emerge quanto siano particolari i rapporti tra le parti, che vengono istituiti dall’accordo: la donna della coppia committente, la quale è madre sociale, ma non anche biologica, del minore; l’uomo della coppia committente, il quale è padre sociale e (generalmente) anche biologico del minore; la donna esterna alla coppia committente, la quale non è madre sociale, ma biologica, del minore e il minore stesso sulla cui posizione soggettiva tale accordo incide e il cui superiore interesse deve essere pertanto tutelato. Come si vede, l’utilizzo delle tecniche volte alla cura delle patologie riproduttive, può, come nel caso della maternità surrogata, portare ad una scissione tra dimensione biologica della vita umana e sua regolazione sociale per il tramite del diritto, mettendo in discussione aspetti che storicamente sono stati sempre considerati uniti. Questo non ha mancato di generare numerose questioni, sopratutto bioetiche, collegate al delicato settore della vita umana che viene coinvolta con la bioteconologia applicata alla generazione, cfr. C. FLAMIGNI, Il libro della procreazione. La maternità come scelta: fisiologia, contraccezione, fecondazione assistita, Mondatori, Milano, 2005, p. 20: “Era inevitabile che questo rapido accumulo di conoscenze trascinasse con sé problemi diversi, apparentemente non correlati tra loro: problemi deontologici, etici, religiosi, economici”. Ancora si veda C. PICIOCCHI, Biodiritto, un ponte tra etica, scienza e legge, in www.personaedanno.it. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 33 tata isolatamente, ma nel contesto dei principi di diritto internazionale generale. In particolare, la Corte ha richiamato l'articolo 31 § 3 c) 1969 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, secondo il quale, come noto, l'interpretazione di un Trattato deve essere fatta tenendo conto di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti con le parti, in particolare quelle relative alla protezione internazionale dei diritti umani. Quindi, sebbene il diritto di ottenere la trascrizione di un certificato di nascita all'estero non sia - in quanto tale - tra i diritti garantiti dalla Convenzione, la Corte ha ritenuto di esaminare la domanda dal punto di vista della Convenzione, nel quadro degli altri trattati internazionali pertinenti (3). La Corte ha ritenuto opportuno poi vagliare questa parte del ricorso solo rispetto all’articolo 8 della Convenzione, il quale richiede che il processo decisionale che porta a misure di interferenza nella vita privata e familiare si svolga equamente e rispetti gli interessi tutelati da tale disposizione. In particolare, la Corte Edu ha confermato come la mancata trascrizione del certificato di nascita possa rientrare nell’ambito dell’art. 8 Cedu, in quanto misura capace di incidere in modo molto rilevante sulla vita privata dei ricorrenti. Tuttavia, dopo aver ribadito che ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione è possibile proporre ricorso davanti alla stessa solo dopo l'esaurimento dei rimedi interni nazionali, ha rilevato che in ordine al suddetto motivo i ricorrenti non hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro la decisione di Corte d'Appello di Campobasso del 3 aprile 2013. Ne consegue che, su questo punto, secondo la Corte di Strasburgo i ricorrenti non hanno rispettato l’obbligo del previo esaurimento dei rimedi interni. Pertanto, la denuncia del rifiuto da parte delle autorità italiane di trascrivere il certificato di nascita del bambino nei registri dello stato civile è stata respinta, in conformità dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. La Corte ha ritenuto, invece, fondata la censura relativa all’illegittimità della sottrazione del minore alla coppia e all’affidamento alla tutela di terzi, rilevando la sussistenza di un legame familiare de facto da tutelare tra la coppia e il bambino. Infatti, non vi è alcun motivo, da un lato, per ritenere che l’assenza di un legame genetico possa influire negativamente sull’esistenza del legame familiare e, dall’altro, per impedire di considerare l’accertamento di tali legami come rilevante sotto il profilo del diritto del singolo a sviluppare legami con i propri simili (4). (3)“En vertu de l’article 33 § 3 c) de la Convention de Vienne de 1969 sur le droit des traités, l’interprétation d’un traité doit se faire en tenant compte de toute règle pertinente de droit international applicable dans les relations avec les parties, en particulier de celles relatives à la protection internationale des droits de l’homme (voir, entre autres, Nada c. Suisse [GC], no10593/08, §§ 168-169, CEDH 2012). Ainsi, même si le droit d’obtenir la transcription d’un certificat de naissance étranger ne figure pas en tant que tel parmi les droits garantis par la Convention, la Cour va examiner la requête sous l’angle de la Convention dans le contexte des autres traités internationaux pertinents”. 34 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Il concetto di ordine pubblico secondo i giudici di Strasburgo trova un limite nella prevalenza dell’interesse superiore del minore, indipendentemente dalla sussistenza di una relazione genitoriale, genetica o di altro genere. La Corte ha ripercorso ed analizzato tutti i passaggi che hanno condotto all’allontanamento del minore dai coniugi ricorrenti. Questi ultimi erano apparsi agli occhi del Tribunale per i Minorenni come “cattivi genitori” per aver posto in essere diversi reati. Innanzitutto, hanno tentato di eludere la normativa italiana in materia di fecondazione assistita recandosi all’estero per una procedura vietata in Italia; si noti che gli stessi giudici di Strasburgo hanno ricordato che tale normativa è stata poi considerata costituzionalmente illegittima proprio nella parte in cui impedisce la fecondazione assistita eterologa. In secondo luogo, i ricorrenti hanno dichiarato il falso, affermando che il bambino era loro figlio; nessun riguardo è stato invece dato al fatto che tale era stato dichiarato dalle autorità russe e che il ricorrente era oltretutto convinto di essere il padre biologico. Tra l’altro, la Corte Edu ha osservato che i giudici hanno fatto simili affermazioni senza neppure attendere gli esiti del procedimento penale a carico dei ricorrenti. Infine, gli stessi hanno tentato di frodare le norme in materia di adozione e, anche in questo caso, nessun rilievo è stato dato dal giudice interno al fatto che i coniugi erano stati a suo tempo dichiarati idonei all’adozione, secondo la legge italiana. In generale, quindi, la Corte Edu ha osservato che secondo i giudici italiani, per i ricorrenti il bambino è stato soltanto un mezzo per soddisfare le loro aspettative “narcisistiche”. Nessuna considerazione è stata data, invece, al fatto che per anni la signora aveva provato la fecondazione in vitro in Italia e atteso inutilmente l’arrivo di un bambino da adottare. Secondo la Corte le autorità giudiziarie italiane nel complesso sembrano affermare che chi pratica all’estero la fecondazione eterologa o la maternità surrogata è per ciò stesso inadatto ad essere un buon genitore, fino ad essere considerato talmente pericoloso che i minori devono essere immediatamente allontanati e destinati ad una casa famiglia. I giudici di Strasburgo non hanno condiviso queste argomentazioni e dopo aver richiamato i principi già espressi in materia di interpretazione dell’art. 8 Cedu, in materia di margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri e di tutela dell’interesse del minore, hanno ritenuto che la decisione delle autorità italiane si sia fondata sul criticabile motivo che lasciare il bambino con i ricorrenti ne avrebbe reso più difficile l’allontanamento in seguito e che essi non erano adatti ad essere genitori per aver fatto scelte non consentite dal diritto italiano, senza tuttavia che fosse svolta alcuna valutazione da parte di esperti sulle loro capacità e sulle relazioni stabilite con il minore. (4) La Corte sottolinea come nel concetto di vita privata debba intendersi ricompreso quello di identità personale, ovvero di diritto del singolo a definire se stesso attraverso le relazioni con la società (par. 70), concetto questo già fatto proprio in precedenti pronunce, la Corte ricorda a questo proposito il caso Mikulic c. Croazia del 2002. Sull’argomento si veda fra gli altri A. VIVIANI, L’identità personale nel sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2013. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 35 Secondo la Corte, quindi, attraverso tale condotta lo Stato italiano ha violato l’art. 8 della Convenzione nei confronti dei ricorrenti. Nel complesso, si deve osservare che si tratta di una decisione articolata la quale, sebbene non affronti nel merito tutte le questioni sollevate, mostra chiaramente ancora una volta la capacità della Corte Europea dei diritti dell’uomo di non lasciarsi “intimorire” (5) dall’analisi di questioni molto sensibili nell’attuale dibattito interno ed internazionale, relative in questo caso alle “nuove” forme di genitorialità ed al diritto a queste legato di divenire genitori. In particolare, la Corte ha posto l’accento su come la vicenda sia stata condotta dai giudici italiani in modo da penalizzare nella sostanza il bambino per essere stato concepito in provetta e tramite madre surrogata. L’utilizzo di questa tecnica da parte dei ricorrenti e l’assenza di legami genetici con gli stessi, infatti, finiscono per incidere negativamente sulle possibilità del bambino di crescere con loro, ponendolo in una posizione di svantaggio rispetto agli altri bambini sulla cui identità non esistano dubbi. Sotto questo aspetto anche in relazione al divieto di trascrizione dell’atto di nascita si deve osservare, infine, che sebbene la Corte non sia potuta scendere nel merito della doglianza sollevata dai ricorrenti, le argomentazioni di diritto utilizzate nella sentenza non sembrano discostarsi invero da quelle adottate in precedenti decisioni, che invece hanno affrontato tale questione. Ci si riferisce alle sentenze Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia, sulle quali è necessario soffermarsi di seguito. 2. I precedenti della Corte sul rifiuto di registrazione dell’atto di nascita a seguito di procedure di maternità surrogata: due sentenze “gemelle” e la loro portata applicativa. I due casi (6) sopra richiamati hanno riguardato il rifiuto di concedere il riconoscimento legale in Francia di una filiazione legalmente riconosciuta negli Stati Uniti a dei minori nati a seguito del trattamento di maternità surrogata. La Corte di Strasburgo ha osservato che le autorità francesi, pur essendo consapevoli del fatto che i bambini erano stati riconosciuti negli Stati Uniti come i figli delle coppie, avevano tuttavia loro negato il riconoscimento secondo il diritto francese. Secondo la Corte Edu, tale diniego ha minato l'identità dei bambini nella società francese. (5) Così A. VIVIANI, Il caso Paradiso e Campanelli ovvero la Corte europea contro i “pregiudizi” dei giudici nazionali, su http://www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=1294. (6) Sentenza, Sezione Quinta, 26 giugno 2014, ricorso numero 65941/11 e Sentenza, Sezione Quinta, 26 giugno 2014, ricorso numero 65192/11, consultabili rispettivamente in http://hudoc.echr.coe.int/sites/engpress/pages/search.aspx?i=00348046175854908#{%22itemid%22: [%22003-4804617-5854908%22]} e in http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001145180*# {%22itemid%22:[%22001-145180*%22]}. 36 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Inoltre, la Corte ha rilevato che così facendo i giudici nazionali hanno completamente precluso l'instaurazione di un rapporto giuridico tra figli nati a seguito di un trattamento di maternità surrogata all'estero e il loro padre biologico. Ciò ha determinato che si oltrepassasse l'ampio margine di apprezzamento lasciato agli Stati, in relazione alle decisioni in materia di maternità surrogata. Si tratta di sentenze di grande importanza anche perché è la prima volta che la Corte di Strasburgo riconosce ai figli il diritto a vedersi riconosciuto lo status di figlio legittimo, nel caso in cui la filiazione discenda da un rapporto di parentela sorto per effetto della c.d. maternità surrogata. Appare evidente, quindi, la rilevanza dei principi di diritto affermati in grado di superare i confini dei casi concreti decisi, con possibili ripercussioni operative tutt’altro che indifferenti anche nell’ambito degli altri ordinamenti degli Stati membri. In Italia, due esempi delle conseguenze applicative delle suddette sentenze possono essere individuati, per quanto riguarda il nostro ordinamento, nella sentenza del Tribunale di Varese, GUP, dell’8 ottobre 2014 (est. Stefano Sala) e nel decreto della Corte d’Appello di Torino, sezione famiglia, del 29 ottobre 2014. Entrambi i provvedimenti rappresentano estrinsecazioni del fenomeno più generale ricondotto sotto la denominazione “dialogo fra le Corti”. Tuttavia, prima di soffermarsi su questi ultimi provvedimenti, è necessario approfondire quanto stabilito dalla Corte Edu nelle suddette sentenze. Nel primo caso, i ricorrenti sono marito e moglie, cittadini francesi, e due gemelle nate nel 2000 negli USA, cittadine americane. I ricorrenti nel secondo caso sono due coniugi, cittadini francesi, e la bambina, cittadina americana nata negli USA nel 2001. Ai ricorrenti è stato negato di ottenere il riconoscimento ai sensi del diritto francese del rapporto di filiazione riconosciuto invece negli Stati Uniti; le autorità francesi hanno sostenuto che gli accordi di maternità surrogata stipulati dai coniugi sono illegittimi. Le autorità francesi, infatti, sospettando che i casi in questione nascondessero accordi di maternità surrogata, si sono rifiutate di inserire i certificati nel registro francese delle nascite, matrimoni e decessi. Nello specifico, in un caso, i certificati di nascita sono stati comunque inseriti nel registro su indicazione del pubblico ministero, che in seguito ha avviato un procedimento penale contro la coppia, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento. Nel secondo caso, la coppia non ha impugnato il diniego di registrazione alla nascita, ma ha cercato di ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione sulla base del c.d. "possesso di stato". La coppia ha ottenuto un "acte de notoriété", un documento rilasciato da un giudice attestante lo status di filiazione, ossia attestante l'esistenza di una relazione di fatto genitore-figlio, ma il pubblico ministero ha rifiutato di autorizzare l’iscrizione nel registro. La coppia ha impugnato la decisione davanti al Tribunale. Le istanze dei ricorrenti sono state respinte in ultima istanza dalla Cour de cassation il 6 aprile 2011, in base all’assunto che la registrazione di tali CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 37 rapporti di filiazione darebbe esecuzione ad un contratto di maternità surrogata che è nullo per l’ordinamento francese, in quanto contrario a motivi di ordine pubblico. Secondo i giudici nazionali, inoltre, non vi è stata alcuna violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto l’annullamento non ha privato i bambini del diritto alla relazione con la madre ed il padre, riconosciuta dalle leggi della California e del Minnesota, né ha impedito loro di vivere in Francia con i rispettivi genitori. Pertanto, il 6 ottobre 2011 le coppie sono ricorse alla Corte di Strasburgo anche a nome delle minori, invocando la violazione dell'articolo 8 della Convenzione Edu. In particolare, le coppie ricorrenti si sono lamentate del fatto che, a scapito degli interessi dei bambini, gli stessi non avevano avuto la possibilità di ottenere il riconoscimento in Francia del rapporto di filiazione che invece era stato legalmente riconosciuto all'estero. Nel primo caso, i ricorrenti hanno eccepito anche la violazione dell'articolo 14 Cedu in combinato disposto con l'articolo 8 Cedu, sostenendo che la loro impossibilità di ottenere il riconoscimento aveva posto i bambini in una situazione giuridica discriminatoria rispetto ad altri bambini, quando si trattava di esercitare il loro diritto al rispetto della vita familiare. La Corte ha osservato in primo luogo che l'art. 8 della Convenzione è applicabile ai casi in oggetto sia nel suo aspetto di tutela della "vita familiare" sia nell’aspetto di tutela della "vita privata". Per quanto riguarda la prima coppia non c'è dubbio, secondo i Giudici, che questi hanno accudito le gemelle come loro genitori sin dalla loro nascita e che tutti e quattro vivono insieme secondo modalità indistinguibili della "vita di famiglia", nel senso comune del termine. In secondo luogo, hanno rilevato che il diritto all'identità è una parte integrale del concetto di vita privata e che sussiste un nesso diretto tra la vita privata dei bambini nati dopo il trattamento di maternità surrogata e il riconoscimento legale del loro rapporto di filiazione. In seguito la Corte Edu ha ritenuto che l'ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e familiare, risultante dal rifiuto delle autorità francesi di riconoscere il diritto del rapporto genitore-bambino, è stata adottata "in conformità con la legge", ai sensi dell'articolo 8 Cedu, in quanto ha perseguito due scopi legittimi elencati dal suddetto articolo, ossia la "tutela della salute" e la "tutela dei diritti e delle libertà altrui". La Corte ha osservato che il rifiuto delle autorità francesi di riconoscere il rapporto giuridico tra i bambini nati a seguito del trattamento di maternità surrogata all'estero e le coppie che si erano sottoposte al trattamento è motivato dal fine di scoraggiare i cittadini francesi dal ricorrere, al di fuori del territorio francese, ad una tecnica di riproduzione che è proibita in quel paese, con l'obiettivo di proteggere i bambini e la madre surrogata. La Corte ha poi esaminato se l'ingerenza fosse "necessaria in una società democratica". 38 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 I giudici di Strasburgo hanno ribadito che deve essere lasciato agli Stati un ampio margine di apprezzamento nel prendere decisioni relative alla maternità surrogata, in considerazione delle difficili questioni etiche che la stessa implica, tenuto conto anche della mancanza di una legislazione omogenea in Europa. Tuttavia, tale margine di discrezionalità è ristretto quando si tratta di un rapporto di parentela che coinvolge un aspetto fondamentale dell’identità degli individui. La Corte ha verificato se nel caso di specie fosse stato mantenuto un giusto equilibrio tra gli interessi dello Stato e quelli degli individui direttamente interessati, con particolare riferimento al principio fondamentale secondo cui ogni volta che sono coinvolti minori i loro interessi devono prevalere. Per quanto riguarda la vita familiare dei minori ricorrenti, nel primo caso la Corte ha osservato che la stessa è stata inevitabilmente influenzata dal mancato riconoscimento ai sensi del diritto francese della relazione genitori-figli. Tuttavia, ha considerato che i ricorrenti non hanno sostenuto nel ricorso che gli ostacoli che avevano dovuto affrontare erano stati insormontabili, né hanno dimostrato che in Francia fosse stato loro impedito il godimento del loro diritto al rispetto della vita familiare. Ha rilevato, infatti, che dopo la nascita dei figli tutti e quattro hanno avuto la possibilità di stabilirsi in Francia, dove vivono insieme in circostanze che, nel complesso, sono equiparabili a quelle di altre famiglie e che non vi è alcuna ragione per ritenere che gli stessi siano esposti al rischio di essere separati da parte delle autorità, a causa della loro situazione giuridica (come invece accaduto nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia su richiamato). Inoltre, i giudici francesi hanno esaminato i loro casi, prima di concludere che le difficoltà pratiche incontrate dai ricorrenti non hanno superato i limiti imposti dal rispetto della vita familiare. Di conseguenza, secondo la Corte Edu è stato garantito un giusto equilibrio tra gli interessi dei ricorrenti e quelli dello Stato, in relazione al rispetto della vita familiare. Tuttavia, in merito al diritto dei minori al rispetto della loro vita privata, la Corte ha messo in evidenza che questi si trovano in uno stato di incertezza giuridica tale da minarne l'identità all'interno della società francese, essendo i figli costretti a fornire una duplice rappresentazione di sé, valida in un caso solo socialmente e nell'altro solo legalmente. È importante sottolineare che in entrambe le decisioni della Corte Edu viene anteposta ad ogni valutazione circa l'eventuale liceità del ricorso a metodi alternativi di procreazione praticati all'estero da cittadini di Paesi, che non consentono di avvalersi di simili tecniche, la necessità di salvaguardare il primario interesse del minore a definire la propria identità come essere umano, compreso il proprio status di figlio o di figlia di una coppia di genitori. Espressione questa del più ampio principio di rispetto per la vita privata imposto dalla Convenzione. I giudici di Strasburgo hanno osservato, infatti, che i bambini generati ricorrendo a surrogazione di maternità sono soggetti ad uno stato di assoluta incertezza giuridica non riconoscendo l'ordinamento CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 39 legale di appartenenza (in quel caso l’ordinamento francese) la loro identità all'interno della società, privandoli ingiustificatamente della figura genitoriale di riferimento. La Corte ha posto in evidenza, quindi, che gli effetti di tale mancato riconoscimento non vengono ad essere circoscritti nella sfera giuridica dei genitori, ma si riverberano inevitabilmente sugli stessi figli che vedono minacciati i rapporti di parentela e gli aspetti fondamentali della propria identità. È sufficiente riscontrare, infatti, che a fronte di una simile determinazione dell'autorità pubblica i minori sono privati di ogni diritto alla successione legittima, di un necessario legame riconosciuto legalmente in caso di separazione, divorzio, morte di uno dei genitori, dell'apparato di tutele e garanzie normativamente disciplinate in materia di responsabilità genitoriale che assicura protezione ai figli, determinando una grave lesione alla vita privata dei minori, a cui l'ordinamento non pone complessivamente adeguato rimedio. Nell’impostazione della Corte, questa analisi ha assunto una dimensione particolare quando, come nel caso di specie, uno dei genitori è anche il padre biologico del minore. Data l’importanza della parentela biologica, come componente dell'identità di ciascun individuo, non poteva certo ritenersi che fosse nel migliore interesse del bambino essere privato di un legame giuridico di tal natura. Pertanto, impedendo il riconoscimento e l'instaurazione di rapporti giuridici dei bambini con il loro padre biologico, lo Stato francese ha oltrepassato il margine di apprezzamento consentito. La Corte ha dunque dichiarato che il diritto dei minori al rispetto della loro vita privata è stato violato, in contrasto con l'articolo 8 Cedu, mentre non ha ritenuto necessario esaminare il reclamo dei ricorrenti ai sensi dell'articolo 14 Cedu. La Corte ha adottato la stessa decisione anche nel secondo caso, ritenendo che non vi fosse stata alcuna violazione dell'articolo 8 Cedu, per quanto riguarda il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare, constatandone invece la violazione in relazione al diritto della minore al rispetto della sua vita privata. Alla luce delle menzionate pronunce, dunque, risulterebbe precluso allo Stato membro attribuire ai nati a seguito del ricorso a tecniche di maternità surrogata con fecondazione eterologa (donazione di gameti) uno status giuridico imperfetto lesivo del loro preminente interesse, tanto più in presenza di un genitore biologico appartenente alla coppia (così si esprimono le suddette pronunce denominate “gemelle”). Come in precedenza sottolineato, il principio di diritto elaborato in materia di maternità surrogata dalla Corte di Strasburgo possiede una ben più ampia portata applicativa rispetto a casi decisi. In particolare, la Corte ha affermato che in capo agli Stati membri sussiste un obbligo generale volto a garantire la definizione di un statuto legale stabile per la prole generata in tali forme, cui non può 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 essere attribuito uno statuto giuridico del tutto incoerente con il dato sociale altrimenti tollerato (a fronte del mancato riconoscimento, infatti, lo Stato non ha previsto l’allontanamento del minore dal nucleo familiare di appartenenza - come invece avvenuto nel caso italiano - così esponendolo ad una divaricazione identitaria del tutto inconciliabile con la tutela della dignità umana). Nell’attesa che la Corte si pronunci nel merito della questione anche in un caso che coinvolge lo Stato italiano, è possibile già individuare delle conseguenze applicative derivate dalle citate sentenze gemelle. Arriviamo così alle sentenze del Tribunale di Varese e della Corte d’Appello di Torino, su menzionate. 3. Effetti negli ordinamenti interni: due casi italiani (7). Nel nostro ordinamento, come noto, chi ricorre alla pratica della maternità surrogata e non rappresenta alle autorità italiane la propria effettiva condizione, ottenendo un'iscrizione anagrafica del tutto difforme dal vero integra una condotta sanzionata dall’art. 495 codice penale. Nell’ipotesi, com’è invero nella maggior parte dei casi, in cui il procedimento avvenga all’estero, il falso non si consuma nel momento di formazione dell'atto di nascita (accadimento che segue le norme dello Stato in cui il minore è nato), ma in un momento successivo prodromico all'assegnazione dello status di genitore in conformità all'ordinamento italiano, procedimento amministrativo nel cui svolgimento si inserisce la condotta dei genitori che occultano il ricorso alla maternità surrogata, cercando di far apparire la madre o il padre (o entrambi i genitori come nel caso italiano) quale genitore biologico del minore. Dopo aver ricondotto la fattispecie oggetto di giudizio all’ipotesi di reato su menzionata, il Tribunale di Varese ha analizzato il caso alla luce dei principi di diritto espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle summenzionate sentenze gemelle (8). A fronte della rilevanza dei principi ivi espressi, il Tribunale ha constatato il mancato intervento del nostro Legislatore sul punto, lasciando sostanzialmente la questione “alle corti di giustizia e alla buona volontà dei singoli”. Ne consegue, pertanto, secondo il giudice, “che ad oggi il soggetto che ricorre a metodi di fecondazione diversi da quelli consentiti e disciplinati dalla (7) La sentenza del Tribunale di Varese, GUP, dell’ 8 ottobre 2014, est. Stefano Sala ed il decreto della Corte d’Appello di Torino, sezione famiglia, del 29 ottobre 2014, consultabili rispettivamente in http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1418428487Trib._Varese_8_ottobre_2014.pdf e in http://www.altalex.com/index.php?idnot=69971. (8) “Così verificata la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi di carattere oggettivo e soggettivo necessari a configurare una compiuta ipotesi delittuosa effettivamente perseguibile in Italia, occorre, tuttavia, prendere atto che nel frattempo sono intervenute alcune pronunce della Corte europea dei diritti umani che hanno sostanzialmente inciso sulle modalità di attribuzione dello status di genitore alterando il paradigma normativo finora conosciuto”, Tribunale di Varese, 8 ottobre 2014, cit. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 41 legge nazionale non può vedersi disconoscere sic et simpliciter il proprio rapporto genitoriale, perché ciò costituirebbe una lesione intollerabile all'identità del figlio, ma al contempo non può formalmente dichiarare le circostanze in cui è nato il discendente, perché non è stata introdotta alcuna legislazione in ambito interno destinata a disciplinare simili attestazioni (quanto meno con riferimento alla linea biologica parentale) né tanto meno è stata approntata una regolamentazione utile a definire le modalità di conservazione dei dati concernenti i profili biologi degli ascendenti naturali, così di fatto privando i nati con simili metodi procreativi di ogni possibilità di reperire - seppur a determinate condizioni - informazioni essenziali circa la propria provenienza e origine”, diritto quest’ultimo largamente riconosciuto dal diritto internazionale e dalla giurisprudenza della Corte Edu. Inoltre, l’ordinamento italiano non consente neppure ai genitori che hanno fatto ricorso a queste pratiche di comunicare formalmente tale circostanza alle autorità e di chiedere contestualmente la trascrizione dell’atto di nascita formato in Paese straniero, unicamente per le parti invece conformi alle disposizioni nazionali. Alla luce di tali considerazioni, il Giudice di merito ha rilevato che ogni dichiarazione rilasciata dal genitore al pubblico ufficiale e relativa al metodo procreativo prescelto “è divenuta assolutamente inidonea a vulnerare l'interesse legalmente tutelato posto a presidio della veridicità dell'attestazione, in quanto l’atto di nascita oggetto di trascrizione non dispone più di alcuna capacità certificativa o probatoria rafforzata a definizione del legame biologico esistente nel rapporto di parentela dichiarato (in favore di tale disgregazione ha, d’altronde, anche operato la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 162/2014, seppure nel più modesto ambito della fecondazione eterologa, legittimando l’attribuzione di paternità e maternità a dispetto del processo di generazione naturale)” (9). Secondo il Tribunale da ciò consegue il venire meno sostanziale dell'antigiuridicità del fatto, che da falso punibile diventa falso innocuo, con tutte le conseguenze che si traggono in dispositivo in punto di assoluzione degli imputati. Infatti, se anche i soggetti avessero ammesso il ricorso a tecniche riproduttive consentite solo all’estero, simili informazioni non avrebbero potuto in alcun modo mutare l’iter decisionale dell’ufficiale di stato civile, poiché nel (9) Prosegue il Tribunale di Varese “…Diversamente opinando, la coppia sarebbe comunque esposta ad un dilemma inestricabile con inevitabili risvolti di carattere penale: rinunciare semplicemente alla trascrizione dell’atto di nascita contravvenendo al connesso obbligo giuridico incombente su ogni cittadino italiano (fatto di per sé integrante illecito penale) ovvero avanzare una siffatta richiesta apponendovi dei caveat cui l’ordinamento non riconosce alcuna valenza giuridica (l’atto di nascita non è scindibile in singole componenti), così esponendosi a dichiarare il falso”, Tribunale di Varese, 8 ottobre 2014, cit. 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 nostro ordinamento non è disciplinata l’acquisizione formale dei dati menzionati neppure ai fini della trascrizione dell’atto con riferimento alla sola linea paterna o materna (avente un legame biologico con il bambino). Infine, il Tribunale ha osservato che tale interpretazione, fornita in virtù della rilevanza riconosciuta nell’ordinamento interno alle sentenze della Corte Edu, non si pone in contrasto con quanto espresso dalla Corte costituzionale in relazione ai vincoli derivanti dalla Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti umani. In particolare, il Giudice fa riferimento a quelle sentenze secondo le quali “nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve, pertanto, procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. Beninteso, l’apprezzamento della giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente va operato in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza, secondo un criterio già adottato dal giudice comune e dalla Corte europea (Corte cost. 311/2009; si vedano anche: Corte cost. 348-349/2007; Corte cost. 117/2009; Cass. 20 maggio 2009, n. 10415; Corte EDU, 31 marzo 2009, Simaldone c. Italia, ric. n. 22644/03)” (10). Alla luce delle suddette argomentazioni, il Tribunale di Varese ha ritenuto che l’ordinamento interno non sia radicalmente incompatibile con il principio della tutela dell'identità personale del minore che è stato delineato quale parametro vincolante di derivazione convenzionale. Questo anche perché la conclusione cui è pervenuta sul punto la Corte di Strasburgo non implica alcuna legittimazione indiretta di metodi di concepimento diversi da quelli consentiti dall’ordinamento interno, ma soltanto la necessità di pervenire ad un equo bilanciamento di interessi contrapposti, al fine di preservare da intollerabili aggressioni quello preminente rappresentato dall’identità e dalla vita privata del minore. Il giudice, ricordando che “spetta pur sempre alla Corte Costituzionale verificare se la norma derivante dall'ordinamento CEDU si ponga in conflitto con altre norme conferenti della nostra Costituzione”, ritiene “evidente che la tutela dell'identità del minore non si pone in aperto contrasto con alcuna (10) “Solo quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, il giudice comune, il quale non può procedere all’applicazione della norma della CEDU (allo stato, a differenza di quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella interna contrastante, tanto meno fare applicazione di una norma interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, deve sollevare la questione di costituzionalità (anche sentenza n. 239 del 2009), con riferimento al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost., ovvero anche dell’art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (Corte cost. 311/2009)”, Tribunale di Varese, 8 ottobre 2014, cit. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 43 norma di legge né di rango superiore, tale da necessitare un rinvio alla Corte Costituzionale in applicazione del parametro dell'art. 117, primo comma, Cost. e, di converso, tale principio si inserisce in un evidente vuoto normativo, non avendo inteso il legislatore interno fornire un preciso criterio normativo volto a consentire l'emersione di vicende come quelle in esame al fine di trattenere traccia dei dati biologici relativi agli ascendenti naturali della prole stabilendo una volta per tutte la certa identificazione del processo di filiazione”. Il GUP quindi ha escluso la punibilità per il falso contestato, ritenendo la condotta tenuta nella fattispecie concreta non antigiuridica. In particolare, come su indicato, il giudice ha ricondotto la stessa alla nozione di “falso innocuo” (11), nota da tempo alla giurisprudenza di legittimità, sulla base della circostanza che se anche i coniugi avessero comunicato al Consolato italiano il ricorso a tecniche riproduttive consentite solamente all’estero, questo non avrebbe potuto in alcun modo, per le ragioni anzidette, influenzare la successiva decisione dell’Ufficiale di Stato civile circa l’attribuzione dello status di genitore agli imputati (12). In merito all’argomento della presente nota, la sentenza si colloca all’interno di un dibattito sorto nel panorama giurisprudenziale italiano (13), nell’ambito del quale, sulla stessa linea del Tribunale di Varese, si è espressa recentemente la Corte d’Appello di Torino, sezione famiglia, con il decreto del 29 ottobre 2014 (14). (11) È innocuo il falso che risulta essere inoffensivo, stante la inidoneità concreta di aggressione agli interessi potenzialmente minacciati, si veda fra tante cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza 21 aprile 2010, n. 35076, I., in Ced Cass., 2010. (12) “Facendo applicazione di un criterio ermeneutico di maggiore favore per il reo coerente con i principi che governano il diritto penale, deve pervenirsi alla logica conclusione che l'attestazione relativa al metodo di concepimento dei figli pronunciata dagli imputati abbia smarrito, in tale mutato contesto, ogni attitudine lesiva del bene giuridico tutelato dalla norma criminale, rivelandosi sostanzialmente neutra e superflua, a fronte del nuovo assetto ermeneutico intervenuto, non sindacabile da questo giudice, e della sostanziale inerzia del legislatore interno che non ha inteso introdurre una normativa volta a regolare la materia in conseguenza delle innovazioni intervenute”, Tribunale di Varese, 8 ottobre 2014, cit. (13) Fra le sentenze che sono giunte a soluzioni difformi si veda, ad esempio, Trib. Milano, sent. 8 aprile 2014, G.U.P. Mastrangelo, consultabile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/10295.pdf; Tribunale Brescia, Sezione II penale, 26 novembre 2013, Pres. ed Est. Di Martino, consultabile su http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1394865082TRIBUNALE_BRESCIA_FECONDAZIONE.docpdf; mentre per il non doversi procedere dal reato di alterazione di stato, ma solo perché il reato si ritiene commesso all’estero si veda Tribunale di Milano del 15 ottobre 2013, consultabile su http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1392834706TRIBUNALE_MILANO_FECONDAZIONE.pdf; sempre il Tribunale di Milano si è recentemente espresso con sentenza della V sez. penale, 24 marzo 2015, assolvendo dal reato di alterazione di stato una coppia in relazione alla trascrizione dell'atto di nascita dei loro figli gemelli nati con fecondazione assistita di tipo eterologo con maternità surrogata in Ucraina. Secondo i giudici milanesi «la tutela del diritto allo status e all'identità personale del figlio può comportare il riconoscimento di rapporti diversi da quelli genetici». (14) Si segnala che in relazione al provvedimento in oggetto è stato presentato ricorso in Cassazione da parte dell’Avvocatura dello Stato. 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Anche in questo caso la vicenda nasce dal rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile di registrare l’atto di nascita di un bambino nato all’estero (Barcellona), attraverso il ricorso da parte di una coppia omosessuale alla maternità surrogata, in quanto contrario all’ordine pubblico italiano. La Corte d’Appello ha osservato innanzitutto che le norme di diritto privato internazionale manifestano un favor per il rapporto di filiazione sulla base del criterio di cittadinanza. In questo caso il minore è nato in Spagna (Barcellona) e secondo il diritto spagnolo la signora A è madre legittima quanto la signora B. Alla luce di questo nel certificato di nascita, Certification Literal, risulta che il bambino è nato da due donne (“madre A” e “madre B”) a seguito del ricorso alla fecondazione medicalmente assistita eterologa (con l’impianto di gameti da una donna all’altra). Col riconoscimento della maternità, secondo il diritto spagnolo, in capo alla sig.ra A cittadina italiana, il minore ha acquisto la cittadinanza italiana “ius sanguinis” e sussiste, quindi, secondo la Corte “la legittimazione alla trascrizione dell’atto di nascita del minore rappresentato dalla sig.ra ..” in quanto esercente la responsabilità genitoriale sul minore (15). A questo punto, secondo i giudici occorre valutare se questo integri violazione dell’ordine pubblico, cioè “se l’atto di nascita del minore …, nato da inseminazione eterologa, figlio, secondo la legge spagnola sia della madre che lo ha partorito che della partner di sesso femminile coniugata con la prima, non sia contrario all’ordine pubblico e ancora, se l’omosessualità dei genitori sia di ostacolo alla formazione di una “famiglia“ secondo la legge italiana”. Per affrontare la questione, il giudice si è mosso dalle medesime premesse del Tribunale di Varese, vale a dire che la Corte Costituzionale attribuisce ai giudici nazionali il dovere di “leggere” la norma nazionale muovendo verso un’interpretazione che sia conforme alle disposizioni della CEDU così come interpretate dalla Corte di Strasburgo (16). Alla luce di questo, la Corte d’Appello ha ritenuto che il concetto di or- (15) Ne consegue che la richiesta di trascrizione formulata dalla sig.ra .., in qualità di esercente la potestà sul minore .., integra gli estremi di cui all’art. 17 DRP 396\2000. La citata disposizione prevede: “l’autorità diplomatica o consolare trasmette, ai fini della trascrizione e dei provvedimenti relativi al cittadino italiano formati all’estero, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui l’interessato ha o dichiara che intende stabilire la propria residenza,…ovvero se egli è nato e residente all’estero, a quello del Comune di nascita o di residenza della madre o del padre di lui, ovvero dell’avo materno paterno..”, Corte d’Appello di Torino, sezione famiglia, cit. (16) “Come evidenziato dalla Suprema Corte (Cass. sez. III, 19405\2013; Cass. 26.4.2013 n. 10070 che richiama Cass. 6.12.2002 n 17349 e Cass. 23.2.2006 n 4040) il concetto di ordine pubblico ai fini internazional-privatistici si identifica con quello indicato con l’espressione “ordine pubblico internazionale” da intendersi come complesso di principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico e fondati su esigenze di garanzia comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, sulla base di valori sia interni che esterni all’ordinamento purché accettati come patrimonio condiviso in una determinata comunità giuridica sovranazionale”, Corte d’Appello di Torino, cit. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 45 dine pubblico debba essere declinato con riferimento all’interesse del minore. “Ai fini del riconoscimento o meno dei provvedimenti giurisdizionali stranieri, deve aversi prioritario riguardo all’interesse superiore del minore (art. 3 L. 27.5.1991 n 176 di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, di New York 20.11.1989) ribadito in ambito comunitario con particolare riferimento al riconoscimento delle sentenze straniere in materia di rapporti tra genitori e figli, dall’art. 23 del Reg. CE n. 2201\2003 il quale stabilisce espressamente che la valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico debba essere effettuata tenendo conto dell’interesse superiore del figlio” (17). Al riguardo, i giudici di Torino hanno richiamato i principi enunciati nelle summenzionate sentenze gemelle dalla Corte Edu, secondo la quale “La mancata trascrizione dell’atto di nascita, limita e comprime il diritto all’identità personale del minore … e il suo status nello Stato Italiano; sul territorio italiano il minore non avrebbe alcuna relazione parentale né con la signora .. nè con i parenti della stessa” (18). Facendo applicazione di tali principi la Corte d’Appello ha osservato che: “Compito del Giudice (…) è quello di rendere effettivi con la giurisdizione i diritti previsti dalla legge; non può affermarsi, nel caso de quo, che costituisca il miglior interesse del minore privarlo di un legame attraverso il quale si esprime il diritto al proprio status di figlio”. Alla luce di questo, i giudici hanno accolto il reclamo proposto dalla coppia ed ordinato all’Ufficiale di stato civile di registrare l’atto di nascita (19). 4. Brevi osservazioni conclusive. Il quadro complessivo trattato in questa nota merita in conclusione di essere segnalato anche in riferimento alla questione di carattere più generale re- (17) Sostiene la Corte d’Appello che: “Nel caso in questione non si tratta di introdurre ex novo una situazione giuridica inesistente ma di garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni, nell’esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due donne che la legge riconosce entrambe come madri. Assume rilievo determinante la circostanza che la famiglia esista non tanto sul piano dei partners ma con riferimento alla posizione, allo status e alla tutela del figlio. Nel valutare il best interest per il minore non devono essere legati fra loro, il piano del legame fra i genitori e quello fra genitore- figli: l’interesse del minore pone, in primis, un vincolo al disconoscimento di un rapporto di fatto, nella specie validamente costituito fra la co-madre e un figlio”, Corte d’Appello di Torino, cit. (18) Corte d’Appello di Torino, cit. (19) Una lettura diametralmente opposta dell’ordine pubblico è data, invece, dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 24001 del 2014 (http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/ documents/24001_11_14.pdf) secondo la quale la legge - in questo caso ucraina - è ritenuta contraria all’ordine pubblico internazionale in nome del principio di struttura di diritto italiano che “madre è colei che partorisce’’. Per un commento critico sul punto si rimanda a R. DE FELICE, Maternità surrogata e ordine pubblico internazionale: Germania e Italia a confronto, Persona e danno a cura di PAOLO CENDON, consultabile su www.personaedanno.it. In particolare, secondo l’autore è “incommentabile che la Corte preferisca che il nostro complicato sistema giuridico prevalga nella astrattezza di una proibizione alla concreta tutela del minore, punendo il minore per l’offesa ai buoni costumi (un reato/peccato) dei genitori nella fase anteriore e separata della tecnica riproduttiva”. 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 lativa alla cd. tutela multilivello dei diritti (20) ed, in particolare, alla declinazione che si viene sempre più frequentemente a palesare all’interno del nostro ordinamento, tramite il cd. “controllo diffuso di convenzionalità”. Senza addentrarsi in questa sede in una tematica complessa e articolata, che richiederebbe senza dubbio un adeguato approfondimento, si può però osservare che all’interno di un processo l’individuazione del modo in cui operano le garanzie disciplinate dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretate dalla giurisprudenza dei Giudici di Strasburgo (21), sembra essere riservata al giudice comune e solo in un momento successivo ed eventuale, nel caso di insanabile contrasto tra norma interna e norma convenzionale, alla Corte costituzionale. Anche nei casi, come questi qui affrontati, in cui il giudice è chiamato ad operare un difficile bilanciamento di interessi (22), in un quadro normativo in (20) Sul tema, si veda fra gli altri E. MALFATTI, I «livelli» di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea, Giappichelli, 2013, p. 325; R. COSIO, R. FOGLIA (a cura di), Il diritto europeo nel dialogo delle corti, Milano, Giuffrè, 2013; A. CARDONE, La tutela multilivello dei Diritti fondamentali, Giuffrè, 2012; A. RUGGERI, “Dialogo’tra le Corti e tecniche decisorie, a tutela dei diritti fondamentali” Relazione al III Workshop di Diritto europeo ed internazionale, organizzato da Area Europa, Genova 15-16 novembre 2013, http://www.diritticomparati.it/2013/11/dialogo-tra-le-corti-e-tecniche-decisorie-a-tutela-dei-diritti-fondamentali.html; G. BRONZINI, La giurisprudenza multilivello dopo Lisbona: alcuni casi difficili, in Europeanrights, 29/2011 2011, 121; G. RAIMONDI, La tutela multilivello dei diritti umani: il ruolo delle corti dopo Lisbona: il giudice nazionale e l’interpretazione conforme. Il ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Atti dell’incontro di studi in Roma organizzato dal Consiglio superiore della magistratura, 1° febbraio 2010; E. CECCHERINI, L’integrazione fra ordinamenti e il ruolo del giudice, in Dir. pubbl. comp. ed eur., II/2013, 467 ss.; E. LAMARQUE, Las relaciones entre los órdenes nacional, supranacional e internacional en la tutela de los derechos, relazione alle VI Giornate italo-spagnolo-brasiliane su La protección de los derechos en un ordenamiento plural, Barcellona 17-18 ottobre 2013, in paper, § 3; G. NICASTRO, Il ruolo della Corte edu nella costruzione di un sistema di protezione dei diritti fondamentali, Incontro di studio sulle Fonti normative e giurisprudenziali del diritto dell’Unione europea, riservato ai magistrati nominati con D.M. 8/8/2010, Roma 19-21 settembre 2011, 15-16; A. RANDAZZO, Alla ricerca della tutela più intensa dei diritti fondamentali, attraverso il “dialogo” tra le Corti, in Atti relativi al Convegno del Gruppo di Pisa su Corte costituzionale e sistema istituzionale, Pisa 4 e 5 giugno 2010. (21) La Corte Edu ha ripetutamente affermato (a partire da Irlanda c. Regno Unito, ric. n. 5310/71, sentenza del 18 gennaio 1978) che l’interpretazione fatta propria dalla Corte nelle singole controversie serve non solo a decidere i casi specifici sottoposti al suo giudizio ma anche a chiarire e sviluppare le disposizioni convenzionali, le sentenze della Corte «fanno corpo» con le disposizioni della Cedu. In diverse occasioni, la Corte di Strasburgo nella propria giurisprudenza ha censurato l’operato di giudici dello Stato convenuto i quali non avevano tenuto conto di quanto da essa già deciso in fattispecie analoghe (tra le prime pronunce in tal senso, Vermeire c. Belgio, ric. n. 12849/87, sentenza del 29 novembre 1991; Modinos c. Cipro, ric. n. 15070/89, sentenza del 22 aprile 1993). (22) Situazioni in cui il diritto politico che si trova spesso alle corde rispetto ad un diritto giurisprudenziale in grado di recepire con maggiore rapidità i mutamenti storico-sociali legati al progresso tecnologico cfr. M. CAVINO C. TRIPODINA a cura di, La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: "casi difficili" alla prova, in Università del Piemonte orientale Amedeo Avogadro, Memorie della Facoltà di Giurisprudenza, serie II, volume n. 36, 2012, Giuffrè; G. SCACCIA, Valori e diritto giurisprudenziale, Relazione al convegno Valori e Costituzione: a cinquant’anni dall’incontro di Ebrach, Roma, Luiss-Guido Carli, Facoltà di Giurisprudenza 26 ottobre 2009, su http://archivio.rivistaaic.it/dottrina/teoria_generale/Scaccia01.pdf. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 47 cui concetti come quello ordine pubblico si prestano a soluzioni relative, questo non sembra in grado di arrestare il controllo di convenzionalità a livello (diffuso) giudiziario, quando la Corte di Strasburgo abbia indicato le ragioni di contrasto attraverso sentenze c.d. pilota o anche solo attraverso decisioni dotate di valenza generale, affrontando situazioni correlate a disarmonie fra i parametri convenzionali e la legislazione interna (23). D’altronde l’obbligo del giudice comune di “verificare anzitutto” (24) la praticabilità di un'interpretazione della legge in senso conforme alla Cedu, è stato predicato a più riprese dalla stessa Corte costituzionale fin dalle sentenze gemelle del 2007, riservando invece a se stessa il cd. sindacato di costituzionalità. Quindi, si potrebbe osservare che in un certo senso si comincia (ma invero non da ora) a raccogliere quello che si è seminato (25). (23) Questo, però, tenendo presente che la giurisprudenza sulla Convenzione è produzione casistica, legata quindi al caso concreto di volta in volta deciso. Si pone quindi il problema dell’adattamento del principio convenzionale affermato dalla Corte Edu; il giudice nazionale è tenuto cioè a ricavare da un caso concreto un principio di diritto quanto più generale possibile, da applicare poi ad un altro caso concreto, quello al suo esame. Un altro problema poi è legato all’eterogeneità della giurisprudenza dei giudici di Strasburgo, sul punto cfr. E. LAMARQUE, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corr. Giur., 2010, 7, 958; ROBERTO ROMBOLI, Lo strumento della restituzione degli atti e l’ordinanza 150/2012: il mutamento di giurisprudenza della Corte Edu come ius superveniens e la sua incidenza per la riproposizione delle questioni di costituzionalità sul divieto di inseminazione eterologa, in Studi in onore di Giuseppe De Vergottini e in Consulta Online, 26 febbraio 2013; E. MALFATTI, Un nuovo (incerto?) passo nel cammino “convenzionale” della Corte, 2012, in www.forumcostituzionale; P. GAET“Controllo di convenzionalità” e poteri del giudice nazionale: i difficili approcci dell’ermeneutica giudiziale, relazione incontro di studio su l’interpretazione giudiziale fra certezza del diritto ed effettività delle tutele, organizzato dal CSM, in occasione del ventennale della morte del giudice Rosario Livatino, Agrigento 17-18 settembre 2010, paper; A. RUGGERI, L’interpretazione conforme e la ricerca del “sistema dei sistemi” come problema, Associazione italiana dei costituzionalisti, n. 2 /2014 e in 'Itinerari' di una ricerca sul sistema delle fonti: XVIII, Giappichelli, 2014, VIII, pag. 107 e ss. (24) Corte costituzionale, sentenza n. 113/2011, consultabile su http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=113. (25) A ribadire che quanto qui analizzato riguardo l’ordinamento italiano si presenta mutatis mutandis in altri ordinamenti si segnala la recente sentenza del 14 dicembre 2014 della Corte Suprema federale tedesca (Bundesgerichtshof), sulla quale R. DE FELICE, Maternità surrogata e ordine pubblico internazionale, cit. Il caso deciso riguarda una coppia omosessuale, unita da un vincolo di Lebenspartnerschaft (che in base al diritto tedesco non consente loro l’adozione), che si reca in California, dove stipula un ivi valido contratto di maternità surrogata, realizzato grazie alla donazione dell’ovocita (vietata in Germania) da donna rimasta anonima e al seme di uno dei partner. A gestazione iniziata avviene il riconoscimento della paternità e viene adita la competente Corte californiana, che dispone anche in base alle dichiarazioni rese al giudice dalla madre surrogata che il bambino sia figlio dei due genitori committenti. L’atto di nascita non viene però riconosciuto dal competente Ufficio di Stato Civile e dal giudice adito in I e II grado avverso detto diniego. La Corte Suprema Federale ribalta la decisione e decide nel merito. La Corte tedesca, dopo aver ricordato che le ragioni a base del divieto di maternità surrogata in Germania si fondano sul timore della lesione della dignità umana delle donne interessate, oltre che dai rischi per il bambino, peraltro già connesso alla madre gestante da un legame del tutto particolare, psicologico e corporale, osserva però che una volta che il bambino è nato, si deve considerare il medesimo come titolare di diritti fondamentali, tra cui quello all’identità che include il rispetto dello Stato civile riconosciutogli in modo legittimo. A tal fine i giudici richiamano le citate sentenze gemelle della Corte 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Tuttavia, in questa sede non può non farsi cenno alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 (26), in cui la Corte ha puntualizzato con particolare forza il “predominio assiologico” della Costituzione sulla Cedu. Da questo punto di vista i giudici costituzionali hanno rinsaldato quanto dagli stessi già affermato in termini di rapporto con la CEDU nelle sentenze 347 e 348 del 2007, nelle quali appunto la Convenzione viene inquadrata come norma interposta e quindi di rango sub costituzionale. Anche se è poi la stessa Corte costituzionale a dire che non è in discussione che competa ai Giudici dare alle disposizioni interne “un significato quanto più aderente ad essa (ndr Convezione EDU secondo l’interpretazione fattane dalla Corte di Strasburgo) (sentenza n. 239 del 2009), a condizione che non si riveli del tutto eccentrico rispetto alla lettera della legge (sentenze n. 1 del 2013 e n. 219 del 2008)”, ed a ritenere che situazioni di contrasto fra le due fonti in merito di tutela dei diritti fondamentali siano ipotesi estreme (27). In queste ipotesi il giudice dovrà sollevare questione di costituzionalità in riferimento alla legge di adattamento, perché è attraverso questa che la norma potenzialmente incostituzionale è entrata nel nostro ordinamento giuridico. Un altro passaggio della sentenza che deve essere segnalato nell’ambito di queste brevi note è quello in cui la Corte affronta la questione dell’efficacia da dare alle singole sentenze della Corte di Strasburgo, partendo dal rilievo, già peraltro evidenziato in questa sede, del non sempre agevole compito del giudice di ricavare il principio di diritto enunciato della Corte Edu dal singolo caso da questa deciso, essendo la sua una giurisprudenza casistica. Secondo la Corte costituzionale nella sentenza citata “I canoni dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata debbono infatti trovare applicazione anche nei confronti delle sentenze della Corte EDU, quando di esse, anche per le ragioni che si diranno, non si è in grado di cogliere con immediatezza l’effettivo principio di diritto che il giudice di Strasburgo ha inteso affermare per risolvere il caso concreto (sentenza n. 236 del 2011)”, pertanto secondo Edu per affermare che la necessità di rispettare l’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del minore e quella di rispettare l’art. 8 Cedu (come specificato dalle due citate decisioni), con riferimento allo status di genitore acquisito all’estero dal Lebenspartner del partner biologico, diviene prevalente se quel bambino nasce dal progetto di vita dei due partner, è geneticamente connesso a uno di essi e non alla madre surrogata, e soprattutto se questa lo abbia consegnato e non se ne occupi. Altro intervento da segnalare è quello della Corte di cassazione francese, che con la sentenza n. 219/2015 (3 luglio 2015) ha stabilito che i bambini nati da maternità surrogata all’estero hanno il diritto alla trascrizione del certificato di nascita formatosi conformemente alle previsioni di legge dello Stato di nascita, su https://www.courdecassation.fr/jurisprudence_2/assemblee_pleniere_ 22/619_3_32230.html. (26) http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=49. (27) “Il più delle volte, l’auspicabile convergenza degli operatori giuridici e delle Corti costituzionali e internazionali verso approcci condivisi, quanto alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, offrirà una soluzione del caso concreto capace di conciliare i principi desumibili da entrambe queste fonti. Ma, nelle ipotesi estreme in cui tale via appaia sbarrata, è fuor di dubbio che il giudice debba obbedienza anzitutto alla Carta repubblicana”. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 49 la Corte “a fronte di una pluralità di significati potenzialmente compatibili con il significante, l’interprete è tenuto a collocare la singola pronuncia nel flusso continuo della giurisprudenza europea, per ricavarne un senso che possa conciliarsi con quest’ultima, e che, comunque, non sia di pregiudizio per la Costituzione”. In sostanza, quindi i giudici interni dovrebbero dare alle sentenze della Cedu un’interpretazione prima convenzionalmente poi costituzionalmente conforme (28). Che sia però compito della Corte costituzionale modulare gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo (29) non è però un dato cosi pacifico, così come non lo è la CEDU, in quanto fonte subcostituzionale, “si presti e debba sempre prestarsi, in ambito interno, ad interpretazione costituzionalmente conforme” (30), essendo la Corte di Strasburgo non solo l’unica competente a fornire definizione delle norme CEDU, che “vivono” nell'interpretazione esclusiva datane dalla Corte di Strasburgo - come riconosciuto peraltro dagli stessi giudici costituzionali - ma anche forse l’unica in grado di indicare una scala di efficacia alle proprie pronunce (31). Peraltro non è la prima volta anche sotto questo punto di vista che la Corte costituzionale, sebbene più velatamente, si esprime in tal senso. Nella sentenza n. 303 del 2011 (32), richiamata nella sentenza n. 49 del 2015, si legge, infatti “se questa Corte non può prescindere dall’interpretazione della Corte di Strasburgo di una disposizione della CEDU, essa può, nondimeno, interpretarla a sua volta”, sia pure “beninteso nel rispetto sostanziale della giurisprudenza europea formatasi al riguardo”, ma “con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi” (33). (28) La stessa distinzione netta fra le due interpretazioni fatta dalla Corte è opinabile. (29) “La Corte sembra tracciare un ideale manuale di istruzioni per l’uso della giurisprudenza Cedu, ormai articolato in parecchi capitoli”, D. TEGA, La sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 sulla confisca: il predominio assiologico della Costituzione sulla Cedu, in www.forumcostituzionale.it. (30) A. RUGGERI, Fissati nuovi paletti dalla Consulta a riguardo del rilievo della CEDU in ambito interno. A prima lettura di Corte cost. n. 49 del 2015, in www.penalecontemporaneo.it. (31) “Vincolante per la Corte è ritenuto ogni suo precedente, se pertinente al caso da decidere”, V. ZAGREBELSKY, Corte cost. n. 49 del 2015, giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, art. 117 Cost., obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione, in AIC, Osservatorio costituzionale, maggio 2015, www.osservatorioaic.it/download/.../zagrebelsky-22015-.pdf., secondo l’autore “Non è dunque utile tentare di codificare gli indici secondo i quali pesare la forza dei precedenti o la loro debolezza, ai fini della definizione del contenuto dell’obbligo assunto dallo Stato con la ratifica della Convenzione e ai fini dell’art.117 Cost. Utile ed anzi indispensabile è valutare la pertinenza del precedente rispetto al caso da decidere”. (32) http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=303. (33) Passaggio già anticipato nella sentenza n. 236 del 2011, http://www.cortecostituzionale.it/ actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=236. Per una commento della sentenza n. 303/2011, si rinvia a A. BONOMI, Brevi note sul rapporto fra l’obbligo di conformarsi alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e l’art. 101, c. 2 Cost. (... prendendo spunto da un certo mutamento di orientamento che sembra manifestarsi nella sentenza n. 303 del 2011 Corte cost.), consultabile su http://www.giurcost.org/studi/Bonomi.pdf. Sulla sentenza n. 49 del 2015 e in particolare sull’accoglimento positivo del cd. diritto vivente europeo, si veda anche M. BIGNAMI, Le gemelle crescono in salute: la confisca urbanistica tra Costituzione, CEDU e diritto vivente, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 30 marzo 2015. 50 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Pur condividendo l’opportunità di ammonire i giudici comuni ad evitare letture superficiali della giurisprudenza europea, il ragionamento della Corte sembra muoversi lungo la linea di affermazioni di principio, di sistema che desta qualche preoccupazione se inquadrato come impostazione metodologica finalizzata quasi “a porre argini solidi all’avanzata della normativa (e, a conti fatti, della giurisprudenza) convenzionale in ambito interno” (34), dando così l’impressione, come è stato evidenziato, che la Corte fatichi in realtà “ad ammettere che, in una circostanza data ed in relazione a certi interessi in gioco, ab extra possa venire una tutela ancora più avanzata di quella che può aversi in ambito interno, specie dietro indicazione data dalla stessa Corte” (35). Senza soffermarsi ulteriormente in questa sede sull’argomento, si concludono queste brevi osservazioni auspicando un ritorno della Corte Costituzionale sui binari di un virtuoso dialogo fra le Corti, di un confronto costruttivo, in vista della promozione dell’uniformità di tutela dei diritti fondamentali e della garanzia del loro livello minimo comune, obiettivi a cui certo non possono giovare posizioni di “nazionalismo costituzionale esasperato” (36). European Court of human rights, Second Section, judgment 27 january 2015, application no. 25358/12 - President Isil Karakas, Judges Guido Raimondi, András Sajó, Nebojša Vucinic, Helen Keller, Egidijus Kuris, Robert Spano - Case of Paradiso and Campanelli v. Italy (*). PROCEDURE 1. The case originated in an application (no. 25358/12) against the Italian Republic lodged with the Court under Article 34 of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms (“the Convention”) by two Italian nationals, Ms Donatina Paradiso and Mr Giovanni Campanelli (“the applicants”), on 27 April 2012. The applicants also lodged an application on behalf of the child who, according to the birth certificate issued by the Russian authorities on 1 March 2011, was their son, born on 27 February 2011, and was named Teodoro Campanelli. 2. The applicants were represented by Mr K. Svitnev, a lawyer practicing in Moscow and employed by the company Rosjurconsulting. The Italian Government (“the Government”) were represented by their Agent, Ms E. Spatafora. 3. The applicants alleged, in particular, that the refusal to enter the particulars of the child’s birth certificate in the Italian register of births, marriages and deaths, and the underage child’s removal, were incompatible with Article 8 of the Convention. 4. On 9 May 2012 the application was communicated to the Government. The respon- (34) A. RUGGERI cit. (35) A. RUGGERI cit. (36) A. RUGGERI, cit., si vedano anche le considerazioni sulla necessità di operare in “un sistema collettivo europeo di tutela dei diritti umani” di V. ZAGREBELSKY, cit. (*) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-150770#{%22display%22:[%220%22],%22 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 51 dent Government and the applicants each filed written observations. On 20 February 2014 an additional question was submitted to the parties on whether there existed an effective remedy to challenge the Campobasso Court of Appeal’s decision of 13 April 2013 confirming the refusal to transcribe the birth certificate, and to challenge the Campobasso Youth Court’s decision of 5 June 2013 finding that the applicants no longer had standing to take part in the proceedings. The Government were invited to submit the relevant case-law concerning the effectiveness of any alleged remedies. THE FACTS I. THE CIRCUMSTANCES OF THE CASE 5. The applicants were born in 1967 and 1955 respectively and live in Colletorto. 6. The applicants are a married couple. In the application form, they indicated that, after unsuccessful attempts at in vitro fertilisation, they decided to resort to gestational surrogacy in order to become parents. To that end, they contacted a Moscow-based clinic which specialised in assisted reproduction technology. They entered into a gestational surrogacy agreement with the company Rosjurconsulting. After a successful in vitro fertilisation on 19 May 2010, two embryos “belonging to them” were implanted in the womb of a surrogate mother on 19 June 2010. There was no genetic link between this woman and the embryos. 7. The baby was born on 27 February 2011. The surrogate mother gave her written consent to the child being registered as the applicants’ son. Her written declaration, dated the same day, and read aloud at the hospital in the presence of her doctor, the head doctor and the head of the (hospital) department, is worded as follows (English translation of the original Russian version): “I, the undersigned... gave birth to a boy in the ... maternity hospital in Moscow. The child’s parents are an Italian married couple, Giovanni Campanelli, born on ... and Donatina Paradiso, born on..., who expressed in writing their wish to have their embryos implanted in my womb. On the basis of the foregoing and in accordance with section 16(5) of the Federal Law on Civil Status and Article 51 (4) of the Family Code, I hereby give my consent for the above couple’s entry in the birth record and the birth certificate as parents of the child to whom I gave birth...” This statement, in the Italian translation appended to the original, reads as follows (in English): “I, the undersigned... gave birth to a boy in the ... maternity hospital in Moscow. The child’s genetic parents are an Italian married couple, Giovanni Campanelli, born on ... and Donatina Paradiso, born on..., who expressed in writing their wish to have their embryos implanted in my womb. On the basis of the foregoing and in accordance with section 16(5) of the Federal Law on Civil Status and Article 51 (4) of the Family Code, I hereby give my consent for the above couple’s entry in the birth record and the birth certificate as parents of the child to whom I gave birth...” 8. On 10 March 2011, in accordance with Russian law, the applicants were registered as the baby’s parents. The Russian birth certificate, which contained no reference to the gestational surrogacy, was certified in accordance with the provisions of the Hague Convention of 5 October 1961 (hereafter, “the Hague Convention”) Abolishing the Requirement of Legalisation for Foreign Public Documents. 9. On 29 April 2011 the first applicant went to the Italian Consulate in Moscow to obtain the documents that would allow the baby to leave for Italy with her. The applicant answered questions and submitted the paperwork concerning the child’s birth. The Italian Consulate issued the documents enabling the boy to leave for Italy with the first applicant. 52 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 10. On 30 April 2011 the first applicant and the child arrived in Italy. A few days later the second applicant contacted the Colletorto municipality, requesting that the particulars of the birth certificate be entered in the register. 11. In a note of 2 May 2011 - which is not included in the Court’s case file – the Italian Consulate in Moscow indicated to the Campobasso Youth Court, the Ministry of Foreign Affairs and the Colletorto Prefecture and municipality that the paperwork in respect of the child’s birth contained false information. 12. On 5 May 2011 the applicants were placed under formal investigation for “altering civil status” within the meaning of Article 567 of the Criminal Code and forgery within the meaning of Articles 489 and 479 of the Criminal Code; and also for breaching section 72 of the Adoption Act (Law no. 183/1984), since they had brought the child into the country in breach of the law and had circumvented the condition set out in the adoption authorisation obtained by them on 7 December 2006, which prohibited them from adopting such a young child. 13. On 5 May 2011 the State Counsel’s Office attached to the Campobasso Youth Court asked that proceedings to free the child for adoption be opened, since the child ought to be considered, for legal purposes, as having been abandoned. On the same date the Youth Court appointed a guardian ad litem (curatore special) within the meaning of section 8 of Law no. 184/1983 and opened proceedings to free the child for adoption. On 16 May 2011 the State Counsel asked for a court-appointed adviser (curatore) to be named within the meaning of sections 8 and 10 of Law no. 184/83. A court-appointed adviser was named. It appears from the case file that the applicants protested against the measures in respect of the child and had asked to be able to adopt him. 14. On 25 May 2011 the first applicant, assisted by a lawyer of her own choosing, was questioned by the Larino carabinieri. She stated that she had travelled to Russia alone in September 2008, carrying with her seminal fluid that had previously been collected from her husband. She had concluded a contract with the company Rosjurconsulting, which had undertaken to find a surrogate mother willing to have implanted in her womb genetic material from the first applicant and her husband, through the Vitanova Clinic in Moscow. This practice was perfectly legal in Russia, and made it possible to obtain a birth certificate which identified the applicants as parents. In June/July 2010 the first applicant had been contacted by the Russian company, which stated that a surrogate mother had been found and had agreed to the medical procedure. On 10 March 2011 the first applicant had travelled to Moscow. In April 2011, with a birth certificate issued on 10 March 2011 by the Russian authorities, she had gone to the Italian Consulate in Moscow to obtain the documents that would enable the child to leave Russia and travel to Italy. The birth certificate showed the applicants’ names and identified them as the parents. 15. On 27 June 2011 the applicants were heard by the Youth Court. The first applicant stated that, after eight unsuccessful attempts at in vitro fertilisation, which had endangered her health, she had resorted to the Russian clinic, since it had been possible in Russia to use ova from a donor, which were subsequently implanted in the surrogate mother’s womb. 16. At the same time, the child’s court-appointed adviser asked the court to suspend the applicants’ parental responsibility within the meaning of section 10 § 3 of Law no. 184/1983. 17. On 7 July 2011 the court ordered that DNA testing be carried out in order to establish whether the second applicant was the child’s biological father. 18. On 11 July 2011 the Ministry of the Interior asked the Registry Office to refuse to enter the particulars of the birth certificate in the civil-status register. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 53 19. On 1 August 2011 the second applicant and the child underwent DNA testing. The result of those tests showed that there was no genetic link between them. 20. On 4 August 2011 the Registry Office refused to register the birth certificate. The applicants lodged an appeal with the Larino Court against this refusal. The State Counsel’s Office asked the court to give the child a new identity and to issue a new birth certificate. 21. The Larino Court having ruled on 29 September 2011 that it did not have jurisdiction, the proceedings resumed before the Campobasso Court of Appeal. The applicants demanded that the particulars of the Russian birth certificate be entered in the Italian register. 22. On 20 October 2011, on the basis of the genetic testing and the submissions of the parties, including those of the child’s court-appointed adviser, the Youth Court decided to remove the child from the applicants. This decision was immediately enforceable. In reaching its decision, the court took account of the following factors: the first applicant had stated that she was not the genetic mother; the ova came from an unknown woman; the DNA test carried out on the second applicant and the child had shown that there was no genetic link between them; the applicants had paid a large sum of money (49,000 euros (EUR)); contrary to his allegations, there was nothing to prove that the second applicant’s genetic material had indeed been transported to Russia. The only thing that was certain in this story was the identity of the surrogate mother, who was not the biological mother and who had relinquished the child just after his birth. The biological parents remained unknown. That being the case, the situation was not one of subrogated maternity, since the child had no biological link with the applicants. The latter were steeped in illegality: they had brought a child into Italy by passing him off as their son. In so doing, they had, in the first place, breached the provisions on international adoption (Law no. 184 of 4 May 1983), section 72 of which made such breaches a criminal offence, the assessment of which was not, however, a matter for the youth court. Secondly, the agreement entered into by the applicants with the company Rosjurconsulting was contrary to the Medically Assisted Reproduction Act (Law no. 40 of 19 February 2004), section 4 of which prohibited heterologous assisted fertilisation. This illegal situation had to be brought to an end, and the only way to do so was to remove the child from the applicants. The child would admittedly suffer harm as a consequence of the separation but, given the short period spent with the applicants and his young age, the child would be able to surmount this. Steps would be taken immediately to find a couple of adoptive parents. In addition, given that the applicants had preferred to circumvent the adoption legislation, notwithstanding the authorisation they had received, it could be thought that the child resulted from a narcissistic desire on the part of the couple or indeed that he was intended to resolve problems in their relationship. In consequence, the court cast doubt on whether they were genuinely capable of providing emotional and educational support. As the child had neither a biological family nor his surrogate mother, since she had relinquished him, the court considered that the Italian legislation on adoption was applicable to this case (within the meaning of section 37bis of Law no. 184/1983), entrusted the child to the social services and appointed a guardian (tutore) for his defence. 23. The child was placed in a children’s home (casa famiglia) in a locality that was unknown to the applicants. They were forbidden from having contact with the child. 24. The applicants lodged an appeal (reclamo) with the Campobasso Court of Appeal. They argued, inter alia, that the Italian courts could not call into question the birth certificate. They further requested that no measures be taken concerning the child while the criminal proceedings brought against them and the proceedings challenging the refusal to enter the birth certificate in the Italian register were pending. 54 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 25. By a decision of 28 February 2012, the Campobasso Court of Appeal dismissed the appeal. It transpires from this decision, among other points, that section 33 of Law no. 218/95 (Private International Law Act) did not prevent the Italian courts from refusing to comply with certified information from a foreign State. There was no issue of lack of jurisdiction, since section 37bis of the International Adoption Act (Law no. 184/1983) provided that Italian law was applicable if the alien minor had been abandoned, and that was the situation in this case. Moreover, it was unnecessary to await the outcome of the criminal proceedings, since the applicants’ criminal liability was irrelevant. On the contrary, it was necessary to take an urgent measure in respect of the child, in order to put an end to the illegal situation in which the applicants existed. It was not possible to lodge an appeal on points of law against this decision. 26. It appears from a memorandum dated 22 May 2012, sent by the youth court to the Ministry of Justice, that the child had not yet been declared available for adoption, since the proceedings with regard to the transcription of the child’s birth certificate were pending before the Campobasso Court of Appeal. 27. In the meantime, on 30 October 2011 the State Counsel attached to the Larino Court had ordered the interim attachment of the Russian birth certificate, on the ground that it was an essential piece of evidence. It appeared from the case file that not only had the applicants probably committed the offences with which they were charged, but that they had attempted to conceal them. Among other things, they had stated that they were the biological parents, and had corrected their versions of the events over time as those versions had been proved inaccurate. 28. The applicants appealed against the interim attachment order. 29. By a decision of 20 November 2012, the Campobasso Court dismissed the applicants’ appeal. The decision indicates that there existed serious suspicions that the offences in question had been committed. In particular, the first applicant had put about a rumour that she was pregnant; she had gone to the Consulate and implied that she was the natural mother; she had then admitted that the child had been born to a surrogate mother; she had stated to the carabinieri on 25 May 2011 that the second applicant was the biological father, although the DNA tests had disproved this, and had therefore made false statements; she had been very vague as to the identity of the genetic mother; the documents concerning the surrogate motherhood stated that the two applicants had been seen by the Russian doctors, which did not accord with the fact that the second applicant had not been in Russia; the documents about the birth did not have a precise date. All that was known was that the child had been born and that he had been handed over to the first applicant against payment of almost EUR 50,000. Accordingly, the hypothesis that the applicants had conducted themselves illegally with a view to having the particulars of the birth certificate entered in the register of births, marriages and deaths and to circumventing the Italian legislation appeared sound. 30. In November 2012 the decision regarding the interim attachment was transmitted to the youth court by State Counsel, since it had the following implications. The charges under section 72 of Law no. 184/1983 deprived the applicants of the possibility of fostering (affido) the child and of adopting him or other minors. There was therefore no other solution but to proceed with the adoption procedure for the child. The temporary placement with a foster family had been requested by virtue of sections 8 and 10 of Law no. 184/83. The State Counsel repeated his request and emphasised that the child had been removed more than a year previously, and that he had since been living in a children’s home (casa famiglia), where he had developed meaningful relationships with the persons responsible for looking after him. Thus, the child had not yet found a replacement family environment for the home that had been illegally provided by those who had brought him CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 55 to Italy. He seemed destined for yet another separation, even more painful than that from the mother who had given birth to him and from the woman who was claiming to be his mother. 31. It appears from the file that the child was placed in a foster family on 26 January 2013. 32. In March 2013, at the guardian’s request, an expert examination was carried out to determine the child’s age. It found that the child was probably aged 30 months, with a margin of error of three months. 33. In addition, at the beginning of April 2013 the guardian asked the juvenile court to give the child a formal identity, so that he could be registered for school without difficulty. He stated that the child had been placed in a family on 26 January 2013, but that he did not have an official identity. This “lack of existence” had a significant impact on administrative matters: it was unclear under what name the child was to be registered for school, for vaccination records, or for residence. Admittedly, this situation corresponded to the aim of preventing the original family, that is, the applicants, from discovering the child’s whereabouts, for his own protection. However, a temporary formal identity would enable the secrecy surrounding the child’s real identity to be maintained, while simultaneously enabling him to have access to public services; for the time being, he was entitled only to use emergency medical services. 34. By an immediately enforceable decision of 3 April 2013, the Campobasso Court of Appeal ruled in respect of the birth certificate and on whether an order should be made for it to be entered in the register of births, marriages and deaths (within the meaning of Article 95 of Presidential Decree (“DPR”) no. 396/00). It dismissed the objection raised by the guardian to the effect that the applicants did not have standing before the court; it acknowledged that the applicants had capacity to act in legal proceedings, in so far as they were indicated as the “parents” in the birth certificate that they wished to have transcribed. However, it was clear that the applicants were not the biological parents. There had not therefore been a gestational surrogacy, although the applicants had referred in their pleadings to heterologous artificial fertilisation; the parties agreed that the Russian legislation presupposed a biological link between the child and at least one of the potential parents before the term surrogate motherhood could be used. The birth certificate was therefore fraudulent (ideologicamente falso). Further, given that there was nothing to show that the child had Russian citizenship, the applicants’ argument that Italian law was inapplicable ran counter to section 33 of Law no. 218/95, which stated that the legal parent-child relationship was determined by the national law governing the child at the time of his or her birth. In addition, it was contrary to public order to enter the particulars of the disputed birth certificate in the register of births, marriages and deaths, since it was fraudulent. The applicants had pleaded their good faith, alleging that they were unable to explain why the second applicant’s seminal fluid had not been used in the Russian clinic; however, this did not alter the situation, and did not rectify the fact that the second applicant was not the biological father. In conclusion, it was legitimate to refuse to enter the particulars of the Russian birth certificate in the register of births, marriages and deaths, and to grant the State Council’s request that a new birth certificate be issued. The court therefore ordered that a new birth certificate be issued, indicating that the child was the son of persons unknown, born in Moscow on 27 February 2011, and that he be given a new name (determined within the meaning of DPR no. 396/00). 35. The proceedings relating to the child’s adoption were resumed before the Youth Court. The applicants confirmed their opposition to the child’s placement with third persons. The guardian asked the court to rule that the applicants no longer had locus standi. The State Council asked the court not to rule on its request to declare that the child was available for 56 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 adoption using the child’s original name, on the ground that, in the meantime, he had opened a second set of proceedings requesting that the child be declared available for adoption using his new identity as a child of unknown parents. On 5 June 2013, in the light of the material in the file, the Youth Court held that the applicants no longer had capacity to act in the adoption proceedings brought by them, given that they were neither the child’s parents nor members of his family, within the meaning of section 10 of Law no. 184/1983. The court stated that it would decide on the question of the child’s adoption in the context of the other adoption proceedings, referred to by State Council. II. RELEVANT DOMESTIC LAW AND PRACTICE A. Private International Law Act 36. Under section 33 of the Private International Law Act 1995 (Law no. 218), the legal parent-child relationship is determined by the national law governing the child at the time of his or her birth. B. Simplification of Civil Status Act 37. Presidential Decree no. 396 of 3 November 2000 (Simplification of Civil Status Act) provides that declarations of birth concerning Italian nationals which have been drawn up abroad must be transmitted to the consular authorities (section 15). The consular authorities transmit a copy of the documents, for the purpose of their entry in the register, to the civil status registrars of the municipality in which the individual concerned intends to take up residence (section 17). Documents drawn up abroad cannot be entered in the register of births, marriages and deaths if they are contrary to public order (section 18). In order to have full legal force in Italy, foreign decisions (provvedimenti) in respect of persons’ capacity or the existence of family relationships... must not be contrary to public order (section 65). C. Medically Assisted Reproduction Act 38. Section 4 of Law no. 40 of 19 February 2004 (the Medically Assisted Reproduction Act) prohibited the use of medically assisted reproduction. Breach of this provision entailed a financial penalty ranging from EUR 300,000 to EUR 600,000. By a judgment of 9 April 2014, the Constitutional Court declared those provisions unconstitutional. D. The relevant provisions in respect of adoption 39. The provisions concerning the procedure for adoption are set out in Law no. 184/1983. Section 2 provides that a minor who has temporarily been deprived of a satisfactory family environment may be placed with another family, if possible including other minors, or with a single person, or with a family type community, for the purposes of providing him or her with support, an upbringing and education. If it is not possible to provide him with a satisfactory family environment, a minor may be placed in a public or private children’s home, preferably in the area in which he has been living. Section 5 provides that the family or person with whom the minor has been placed must provide him or her with support, an upbringing and education... based on instructions from the guardian and in compliance with the judicial authority’s directions. In any event, the foster family exercises parental responsibility with regard to relations with the school and the national health service. The foster family must be heard in the proceedings on placement and the proceedings for a freeing for adoption order. Furthermore, section 7 provides that minors who have been declared available for adoption may be adopted. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 57 Section 8 provides that “the Youth Court may, even of its own motion, declare ... a minor available for adoption if he or she has been abandoned in the sense of being deprived of all emotional or material support from the parents or the members of his or her family responsible for providing such support (other than in temporary cases of force majeure)”. Section 8 continues: “A minor shall continue to be considered abandoned ... even if he or she is in a children’s home or has been placed in a foster home.” Lastly, section 8 provides that a case of force majeure shall be deemed to have ceased where the parents or other members of the minor’s family responsible for providing support refuse assistance from the authorities and the court considers their refusal unjustified. The fact that a minor has been abandoned may be reported to the authorities by any member of the public or noted by a court of its own motion. Furthermore, any public official and any member of the minor’s family who is aware that a child has been abandoned must report the situation to the authorities. Children’s homes must keep the judicial authorities regularly informed of the situation of minors whom they take into their care (section 9). Section 10 then provides that, pending a minor’s placement in a foster home before adoption, the court may order any temporary measure which is in the minor’s interests, including, if necessary, the suspension of parental responsibility. Sections 11 to 14 provide that enquiries shall be made so as to clarify the minor’s situation and determine whether he or she has been abandoned. In particular, section 11 provides that where, in the course of these enquiries, it transpires that the child does not have contact with any member of his or her family up to the fourth degree, the court may issue a declaration that he or she if available for adoption, unless an adoption application has been made within the meaning of section 44. If, at the end of the procedure provided for in the above sections, the minor is still abandoned within the meaning of section 8, the Youth Court shall declare him or her available for adoption if: (a) the parents or other members of the family have not appeared in the course of the proceedings; (b) it is clear from interviews with them that they are still failing to provide the child with emotional and material support and are unable or unwilling to remedy the situation; and (c) measures ordered under section 12 have not been implemented through the parents’ fault (section 15). Section 15 also provides that a declaration that a minor is available for adoption shall be made in a reasoned decision of the Youth Court sitting in chambers, after it has heard State Counsel, the representative of the children’s home in which the minor has been placed or any foster parent, the guardian, and the minor if aged over twelve or, if under twelve, where necessary. Section 17 provides that an objection to a decision declaring a child available for adoption must be lodged within thirty days of the date of notification to the requesting party. Under section 19 parental responsibility is suspended while a minor is available for adoption. Lastly, section 20 provides that a minor shall no longer be available for adoption once he has been adopted or has come of age. Moreover, a declaration that a child is available for adoption may be annulled, either by the court of its own motion or at the request of the parents or State Counsel’s Office, if the conditions laid down in section 8 have in the meantime ceased to apply. However, if the minor has been placed with a family with a view to adoption (affidamento preadottivo) within the meaning of sections 22–24, the declaration that he or she is available for adoption cannot be annulled. Section 44 provides for certain cases of special adoption: adoption is possible for minors who have not yet been declared available for adoption. In particular, section 44 (d) provides for adoption when it is impossible to place the child [in alternative care] pending adoption. 58 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 40. Section 37bis of this law provides that Italian law applies to foreign minors who are in Italy with regard to adoption, placement and urgent measures. Within the meaning of section 72 of the International Adoption Act, any person who brings into the territory of the State a foreign minor in violation of the provisions of the said law, in order to obtain money or other benefits, and in order that the minor be entrusted permanently to Italian citizens, is committing a criminal offence punishable by a prison term of between one and three years. This sentence is also applicable to those who, in exchange for money or other benefits, accept the “placement” of foreign minors on a permanent basis. Conviction for this offence entails disqualification from fostering children on placement (affidi) and from becoming a guardian. E. Appeal on points of law/ under Article 111 of the Constitution 41. Under Article 111 § 7 of the Italian Constitution, appeals to the Court of Cassation to allege violations of the law are always admissible against judgments or measures affecting personal freedom. The Court of Cassation extended the scope of this remedy to civil proceedings where the decision to be challenged has a substantial impact on situations (decisoria) and it cannot be varied or revoked by the same judge/court which delivered it (definitiva). Decisions concerning urgent measures with regard to an abandoned child, taken by the youth court on the basis of section 10 of the Adoption Act (Articles 330 et seq. of the Civil Code, Article 742 of the Code of Civil Procedure) may be varied and/or revoked. They may be the subject of a complaint before the court of appeal. No appeal on points of law can be made in respect of decisions that can be varied and revoked at any time (Court of Cassation, Civil Division, Sec. I, judgment of 18 October 2012, no. 17916). III. RELEVANT INTERNATIONAL LAW AND PRACTICE A. The Hague Convention Abolishing the Requirement of Legalisation for Foreign Public Documents 42. The Hague Convention Abolishing the Requirement of Legalisation for Foreign Public Documents was concluded on 5 October 1961. It applies to public documents – as defined in Article 1 – which have been drawn up in the territory of one Contracting State and which have to be produced in the territory of another Contracting State. Article 2 “Each Contracting State shall exempt from legalisation documents to which the present Convention applies and which have to be produced in its territory. For the purposes of the present Convention, legalisation means only the formality by which the diplomatic or consular agents of the country in which the document has to be produced certify the authenticity of the signature, the capacity in which the person signing the document has acted and, where appropriate, the identity of the seal or stamp which it bears.” Article 3 “The only formality that may be required in order to certify the authenticity of the signature, the capacity in which the person signing the document has acted and, where appropriate, the identity of the seal or stamp which it bears, is the addition of the certificate described in Article 4, issued by the competent authority of the State from which the document emanates.” Article 5 “The certificate shall be issued at the request of the person who has signed the document or of any bearer. When properly filled in, it will certify the authenticity of the signature, the capacity in which the person signing the document has acted and, where appropriate, the identity of the seal or stamp which the document bears. The signature, seal and stamp on the certificate are exempt from all certification.” CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 59 The explanatory report on this Convention indicates that the certificate does not attest to the truthfulness of the content of the original document. This limitation on the legal effects deriving from the Hague Convention is intended to preserve the right of the signatory States to apply their own choice-of-law rules when they are required to determine the probatory force to be attached to the content of the certified document. B. The relevant provisions of Russian law 43. Section 55 of the Basic Law on the Protection of Citizens’ Health includes surrogate motherhood among the techniques for assisted reproduction. Both married and unmarried couples may have access to this type of technique, as may single persons. Surrogate motherhood is the fact of bearing and handing over a child on the basis of a contract concluded between the surrogate mother and the “potential” parents. The surrogate mother must be aged between 20 and 35, have already borne a healthy child and have given her written consent to the procedure, which may only be carried out in authorised clinics. Ministry of Health Decree no. 67 (2003) governs the procedures and conditions. If the relevant provisions have been complied with, the outcome of the surrogate motherhood is that a married couple is recognised as the parent couple of a child born to a surrogate mother. The latter must give her written consent in order for the couple to be recognised as parents (Article 51 § 4 of the Family Code of 29 December 1995). C. Principles adopted by the Ad Hoc Committee of Experts on Progress in the Biomedical Sciences of the Council of Europe 44. The Council of Europe Ad Hoc Committee of Experts on Progress in the Biomedical Sciences (CAHBI), which preceded the present Steering Committee on Bioethics, published in 1989 a series of Principles. Principle 15, on “Surrogate Motherhood”, is worded as follows: “1. No physician or establishment may use the techniques of artificial procreation for the conception of a child carried by a surrogate mother. 2. Any contract or agreement between [the] surrogate mother and the person or couple for whom she carried the child shall be unenforceable. 3. Any action by an intermediary for the benefit of persons concerned with surrogate motherhood as well as any advertising relating thereto shall be prohibited. 4. However, States may, in exceptional cases fixed by their national law, provide, while duly respecting paragraph 2 of this principle, that a physician or an establishment may proceed to the fertilisation of a surrogate mother by artificial procreation techniques, provided that: a. the surrogate mother obtains no material benefit from the operation; b. the surrogate mother has the choice at birth of keeping the child.” THE LAW I. ALLEGED VIOLATIONS, RAISED ON BEHALF OF THE CHILD 45. The applicants complained on behalf of the child that it had been impossible to obtain recognition of the legal parent-child relationship established abroad and about the removal and placement measures decided by the Italian courts. They alleged that there had been a violation of Articles 6, 8 and 14 of the Convention, and also of the Hague Convention and of the Convention on the Rights of the Child of 20 November 1989. 46. According to the Government, the applicants could not represent the child before the Court, on the ground that he was already represented at domestic level by a guardian who had intervened in the proceedings before the domestic courts. Appointed on 20 October 2011 by the Campobasso Youth Court and confirmed by the Campobasso Court of Appeal on 21 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 February 2012, the guardian represented the child and administered his property. In conclusion, the part of the application lodged on behalf of the child by the applicants, who were defending their own interests and not those of the child, was incompatible ratione personae. 47. The applicants contested the Government’s submission. 48. The Court reiterates that it is necessary to avoid a restrictive and purely technical approach with regard to the representation of children before the Convention institutions; in particular, consideration must be given to the links between the child in question and his or her “representatives”, to the subject-matter and the purpose of the application and to the possibility of a conflict of interests (see Moretti and Benedetti v. Italy, no. 16318/07, § 32, 27 April 2010; see also S.D., D.P., and T. v. the United Kingdom, no. 23714/94, Commission decision of 20 May 1996, unpublished). 49. In the present case, the Court notes at the outset that the applicants have no biological ties with the child. Irrespective of the question of whether the birth certificate drawn up in Russia had legal effect in Italy, and if so, what effect, the child had been placed under guardianship since 20 October 2011 and had been represented by the guardian in the domestic proceedings. The proceedings to have the parent-child relationship recognised in Italy were unsuccessful and the child has a new identity and a new birth certificate. The applicants were also unsuccessful in the proceedings to adopt the child. The procedure to have the child adopted by another family is underway and the child has already been placed in a foster family. No signed form of authority has been submitted authorising the applicants to represent the child’s interests before the Court. This implies that, from a legal point of view, the applicants do not have standing to represent the minor’s interests in the context of judicial proceedings. 50. In those circumstances, the Court considers that the applicants do not have standing to act before the Court on behalf of the child (see Moretti and Benedetti, cited above, § 35). This part of the application must therefore be dismissed as incompatible ratione personae with the Convention’s provisions, in accordance with Article 35 §§ 3 and 4 thereof. II. ALLEGED VIOLATION OF ARTICLE 8 OF THE CONVENTION, RAISED BY THE APPLICANTS ON THEIR OWN BEHALF 51. The applicants alleged that the Italian authorities’ refusal to register the birth certificate issued in Russia and the domestic courts’ decisions to remove the child were in breach of the Hague Convention of 5 October 1961 and infringed their private and family life as guaranteed by Article 8 of the Convention. They also alleged that there had been a violation of Article 6, on the ground that the proceedings relating to the minor’s removal had not been fair. 52. The Government contested that argument. 53. According to settled case-law, a Contracting Party is responsible under Article 1 of the Convention for all acts and omissions of its organs regardless of whether the act or omission in question was a consequence of domestic law or of the necessity to comply with international legal obligations. Article 1 makes no distinction as to the type of rule or measure concerned and does not exclude any part of a Contracting Party’s “jurisdiction” from scrutiny under the Convention. The Court reiterates that the Convention cannot be interpreted in a vacuum but must be interpreted in harmony with the general principles of international law. Account should be taken, as indicated in Article 31 § 3 (c) of the Vienna Convention on the Law of Treaties of 1969, of “any relevant rules of international law applicable in the relations between the parties”, and in particular the rules concerning the international protection of human rights (see, inter alia, Nada v. Switzerland [GC], no. 10593/08, §§ 168-169, ECHR 2012). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 61 Thus, although the right to have the particulars of a foreign birth certificate entered in the register of births, marriages and deaths is not, as such, included among the rights guaranteed by the Convention, the Court will examine the application under the Convention in the context of the other relevant international treaties. 54. The Court, being master of the characterisation to be given in law to the facts of the case, considers it appropriate to examine this part of the application solely under Article 8 of the Convention, which requires the decision-making process leading to measures of interference to be fair and to afford due respect for the interests safeguarded by that Article (see Moretti and Benedetti, cited above, § 49; Havelka and Others v. the Czech Republic, no. 23499/06, §§ 34-35, 21 June 2007; Kutzner v. Germany, no. 46544/99, § 56, ECHR 2002-I; Wallová and Walla v. the Czech Republic, no. 23848/04, § 47, 26 October 2006). The relevant parts of Article 8 of the Convention provide: “1. Everyone has the right to respect for his... family life... 2. There shall be no interference by a public authority with the exercise of this right except such as is in accordance with the law and is necessary in a democratic society... for the protection of health or morals, or for the protection of the rights and freedoms of others.” A. Admissibility 1. Objection under Article 34 of the Convention 55. The Government raised a preliminary objection, arguing that the applicants could not act before the Court for the purposes of Article 34 of the Convention, since the child had been placed under guardianship. 56. The applicants challenged that submission. 57. The Court must examine whether the applicants can take part in the proceedings and whether they can claim to be victims, within the meaning of Article 34, of the alleged violations of the Convention. It notes in this regard that the Italian courts acknowledged the applicants’ standing to act in the proceedings, given that – according to the Russian birth certificate – they were the child’s parents and that, at least initially, the applicants had parental responsibility for the child. It follows that the applicants may raise their complaints before the Court within the meaning of Article 34 of the Convention. The Government’s objection must therefore be dismissed. 2. Objection of failure to exhaust domestic remedies 58. The Government observed that the proceedings before the domestic courts were still pending. They referred, in particular, to the criminal proceedings brought against the applicants and to the proceedings before the Campobasso Youth Court. Having subsequently been invited (see paragraph 4 above) to specify whether there existed an effective remedy to challenge the Campobasso Court of Appeal’s decision upholding the refusal to enter the particulars of the birth certificate in the official register, and whether there existed an effective remedy to challenge the youth court’s decision to exclude [the applicants] from the proceedings, the Government replied in the affirmative. However, they did not submit any relevant case law. 59. The applicants rejected the Government’s argument. 60. The Court reiterates that under Article 35 § 1 it may only deal with a matter after all domestic remedies have been exhausted according to the generally recognised rules of international law (see Akdivar and Others v. Turkey, 16 September 1996, §§ 65-69, Reports of Judgments and Decision 1996 IV). It must determine whether the applicants satisfied that condition. 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 61. The Court notes firstly that the criminal proceedings brought against the applicants were pending at the time of submission of their application. However, it notes, on the one hand, that the civil courts adopted their decisions without waiting for the outcome of those proceedings, and, secondly, that the applicants’ complaints do not concern the criminal proceedings as such. In consequence, the issue of non-exhaustion of domestic remedies does not arise on this point and the Court considers that the Government’s preliminary objection is irrelevant and must be rejected. 62. With regard to the proceedings brought by the applicants with a view to having the particulars of the child’s birth certificate entered in the register of births, marriage and deaths, the Court notes that the applicants did not appeal on points of law against the Campobasso Court of Appeal’s decision dismissing their appeal, dated 3 April 2013. The Government have confirmed the existence and effectiveness of such an appeal on points of law, without submitting relevant case-law. Thus, the Court does not have at its disposal decisions delivered by the Court of Cassation in similar cases where the matter at stake was also recognition of a foreign document which was in breach of domestic law. However, it is satisfied that the situation complained of by the applicants ought to have been submitted for assessment by the Court of Cassation, which is the national court with jurisdiction to interpret the law. It follows that, on this point, the applicants have not satisfied the requirement of exhaustion of domestic remedies. The complaint concerning the impossibility of having the particulars of the child’s birth certificate entered in the civil status registers must therefore be rejected in accordance with Article 35 §§ 1 and 4 of the Convention. 63. With regard to the complaint about the measures to remove the child and place him under guardianship, the Court notes that the Campobasso Youth Court’s decision of 20 October 2011 was challenged before the Campobasso Court of Appeal. That court dismissed the applicants’ appeal and confirmed the measures on 28 February 2012. Given the non-final nature of this type of decision, it was impossible to appeal on points of law (see paragraph 41 above). Accordingly, the Court considers that the applicants have exhausted the domestic remedies on this point. It notes that this complaint is not manifestly ill-founded within the meaning of Article 35 § 3 (a) of the Convention. It further notes that it is not inadmissible on any other grounds. It must therefore be declared admissible. 64. As to the Campobasso Youth Court’s decision of 5 June 2013 indicating that the applicants could not continue the proceedings concerning the child named Teodoro Campanelli since they no longer had standing to act, the Court notes that the applicants did not lodge an appeal against that decision before the court of appeal and then before the Court of Cassation. However, in view of the circumstances of the present case, the Court has doubts as to the effectiveness of those remedies in this case. The relevant decision by the Youth Court was delivered about twenty months after the child had been removed. The latter, who was considered to have been abandoned in the absence of biological ties to at least one of the applicants, had been placed, with a view to his adoption, with a family since at least January 2013. The youth court was called up on to rule on the child’s adoption in the context of another set of proceedings, which had been opened in the meantime under his new identity, and the applicants were unable to take part in those proceedings. In addition, the Government have submitted no decision shoeing that in such a case the remedies available would have had a reasonable chance of success. The Court therefore considers that, although remedies existed against the Youth Court’s decision of 5 April 2013, the applicants were not required to exhaust them (see Akdivar and CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 63 Others, cited above, §§ 66-67, and Scordino v. Italy (dec.), no. 36813/97, ECHR 2003 IV). B. Merits 1. The parties’ submissions 65. The applicants noted that the problem raised by the application did not concern surrogate motherhood, or assisted reproduction, or the genetic links between parents and children, or, lastly, adoption. The problem in issue was the refusal to recognise a birth certificate delivered by the relevant Russian authorities and the Italian authorities’ decision to remove the child. In spite of the fact that it had been impossible to have the legal parent-child relationship recognised, and in spite of the child’s removal, the applicants had parental responsibility for him, even if they were not his biological parents, on the basis of the birth certificate issued by the relevant authorities. The disputed certificate was authentic, as proved by the “apostille” certificate, and, for the sake of legal certainty, it ought to have been registered in accordance with the “Apostille” Hague Convention, concluded on 5 October 1961. It had been issued in accordance with Russian law, under which it was not necessary to have a genetic link in order to establish a parent- child relationship. The child’s origins had been established by the relevant Russian authorities, who had taken account of all of the circumstances of his birth. In this connection, the applicants’ lawyer submitted an article written by him and published in “Open Access Scientific Reports”. This article indicated that the donation of gametes and embryos was permitted in Russia, including for commercial purposes. Nor was surrogate motherhood for commercial purposes forbidden. It was therefore possible in Russia to purchase gametes from a database (IVF clinic’s database); in this way, the gametes purchased by the potential parents became “their” gametes, which enabled them to be considered as parents. The applicants had never committed offences in Russia. Nor had they committed any in Italy. They were free to cross the border and to travel to a place where the legislation allowed for heterologous in vitro fertilisation. By claiming, wrongly and without valid grounds, that the birth certificate was fraudulent, the Italian authorities had acted unlawfully. The only criterion which ought to have guided the Italian authorities in their decision-making was the child’s interest, namely that of remaining with the applicants. 66. The Government submitted that, in issuing the travel documents enabling the child to leave for Italy, the Italian Consulate in Moscow had complied with its international obligations. However, the certificate (“apostille”) attached to the Russian birth certificate did not prevent the Italian authorities from verifying the truthfulness of the contents of the file on the child’s birth. Italian law was applicable in this case. Section 18 of DPR no. 396/2000 required the Italian authorities to verify whether or not the birth certificate was contrary to domestic public policy and therefore whether or not it was fit to be entered in the civil status register. The legal parent-child relationship was determined on the basis of section 33 of the Private International Law Act. The domestic courts had established the absence of any biological link between the applicants and the child. This was therefore a birth certificate with inaccurate content. Even supposing that there had been interference with the applicants’ right to respect for their private and family life, it had been compatible with Article 8 of the Convention, since it had been in accordance with the law and corresponded to the aim of protecting the child, and was necessary in a democratic society. Given the authorisation to adopt that they had obtained, the applicants had been in a position to adopt a child, especially since the bilateral agreement concluded between Italy and Russia on 6 November 2008 had opened the way for 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 781 legal adoptions in 2011 alone. Lastly, the Government noted that there was no European consensus in the area of gestational surrogacy. 2. The Court’s assessment (a) Applicability of Article 8 of the Convention 67. In accordance with its previous case-law, the Court notes that the existence or nonexistence of family life is essentially a question of fact depending upon the real existence in practice of close personal ties (see Marckx v. Belgium, 13 June 1979, § 31, Series A no. 31, and K. and T. v. Finland [GC], no. 25702/94, § 150, ECHR 2001 VII). The notion of “family” in Article 8 is not confined solely to marriage-based relationships and may encompass other de facto “family ties” where the parties are living together outside marriage and a relationship has sufficient constancy (see Kroon and Others v. the Netherlands, 27 October 1994, § 30, Series A no. 297-C; Johnston and Others v. Ireland, 18 December 1986, § 55, Series A no. 112; Keegan v. Ireland, 26 May 1994, § 44, Series A no. 290; and X, Y and Z v. the United Kingdom, 22 April 1997, § 36, Reports 1997 II). Moreover, the provisions of Article 8 do not guarantee either the right to found a family or the right to adopt (see E.B. v. France [GC], no. 43546/02, § 41, 22 January 2008). The right to respect for “family life” does not safeguard the mere desire to found a family; it presupposes the existence of a family (see Marckx, cited above, § 31), or at the very least the potential relationship between, for example, a child born out of wedlock and his or her natural father (see Nylund v. Finland (dec.), no. 27110/95, ECHR 1999-VI ), or the relationship that arises from a genuine marriage, even if family life has not yet been fully established (see Abdulaziz, Cabales and Balkandali v. the United Kingdom, 28 May 1985, § 62, Series A no. 94,), or the relationship that arises from a lawful and genuine adoption (see Pini and Others v. Romania, nos. 78028/01 and 78030/01, § 148, ECHR 2004-V). 68. The Court notes that the present case has similarities to that of Wagner and J.M.W.L. v. Luxembourg (no. 76240/01, 28 June 2007). The Luxembourg case concerned the fact that it was impossible to obtain recognition in Luxembourg of the Peruvian judicial decision pronouncing the full adoption of the second applicant by the first applicant. The Court found that family life existed, in spite of the lack of recognition of the adoption, and took into account the fact that de facto family ties had existed for more than ten years between the applicants, and that the first applicant had acted as the child’s mother in every respect. Another case (Moretti and Benedetti, cited above, §§ 50-52) concerned a married couple (the applicants) who had had accepted a one-year-old child into their family. They had spent nineteen months with her, before the Italian courts decided to place the child with another family with a view to adoption. The Court also concluded that there existed a de facto family life, confirmed, inter alia, by expert reports on the family, in spite of any legal relationship of kinship (§§ 50-52). 69. In the present case, the applicants were unable to have the particulars of the Russian birth certificate establishing the legal parent-child relationship entered in the civil status registers. As this certificate had not been recognised under Italian law, it had not given rise to a legal relationship of kinship strictly speaking, although the applicants had had, at least initially, parental responsibility for the child, as shown by the request for suspension of parental responsibility, brought by the court-appointed adviser. Accordingly, the Court must take the de facto family ties into account. In this connection, it notes that the applicants had shared with the child the first important stages of his young life: six months in Italy, from the child’s third month of life. Prior to that period, the first applicant had already spent some weeks with him in Russia. Although that CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 65 period was in itself relatively short, the Court considers that the applicants had acted as parents towards the child and concludes that there existed a de facto family life between the applicants and the child. It follows that Article 8 of the Convention is applicable in the present case. 70. As a subsidiary consideration, the Court observes that in the context of the proceedings brought to obtain recognition of the parent-child relationship, the second applicant underwent a DNA test. It is true that no genetic link was established between the second applicant and the child (see, a contrario, Keegan, cited above, § 45). The Court reiterates, however, that Article 8 protects not only “family” but also “private” life. This includes, to a certain degree, the right to establish relationships with others (see, mutatis mutandis, Niemietz v. Germany, 16 December 1992, § 29, Series A no. 251-B). There seems, furthermore, to be no reason of principle why the notion of “private life” should be taken to exclude the determination of a legal or biological relationship between a child born out of wedlock and his natural father (see Mikulic v. Croatia, no. 53176/99, § 53, ECHR 2002 I). The Court has already held that respect for private life requires that everyone should be able to establish details of their identity as individual human beings and that an individual’s entitlement to such information is of importance because of its formative implications for his or her personality (see Gaskin v. the United Kingdom, 7 July 1989, § 39, Series A no. 160). In the present case, the second applicant sought to establish, by judicial means, whether he was the natural father. His request for recognition of the paternity that had been legally established abroad was thus coupled with a search for the biological truth, seeking to determine his links with the child. Consequently, there was a direct link between the establishment of paternity and the second applicant’s private life. The facts of the case accordingly fall within the ambit of Article 8 of the Convention (see Mikulic, cited above, § 55). (b) Compliance with Article 8 of the Convention 71. In the present case, the applicants were unable to obtain, from the Campobasso Youth Court and the Campobasso Court of Appeal, recognition of the paternity that had been established abroad, and were affected by the judicial decisions which resulted in the child’s removal and placement in care. In the Court’s opinion, this situation amounts to interference with the exercise of the rights enshrined in Article 8 of the Convention (see Wagner and J.M.W.L., cited above, § 123). Such interference will be in breach of Article 8 unless it meets the cumulative conditions of having been in accordance with the law, pursued a legitimate aim and been necessary in a democratic society. The notion of “necessity” implies that the interference corresponds to a pressing social need and, in particular, that it is proportionate to the legitimate aim pursued (see Gnahoré v. France, no. 40031/98, § 50, ECHR 2000 IX, and Pontes v. Portugal, no. 19554/09, § 74, 10 April 2012). 72. As to whether this interference was “in accordance with the law”, the Court reiterates that under Article 5 of the 1961 Hague Convention, the only effect of the certifying document (the “apostille”) is to certify the authenticity of the signature, the capacity in which the person signing the document has acted and, where appropriate, the identity of the seal or stamp which that document bears. The explanatory note to the above Convention indicates that the apostille does not attest to the truthfulness of the content of the original document. This limitation on the legal effects deriving from the Hague Convention is intended to preserve the signatory States’ right to apply their own choice-of-law rules where they are required to determine the probatory force to be attached to the content of the certified document. In the present case, the Italian courts did not base their decisions on the foreign birth certificate, but chose to apply the Italian legislation on the legal parent-child relationship. The Youth Court’s application of Italian 66 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 law in the present case derives from the choice-of-law rule according to which paternity is determined by the national law of the country in which the child was born. In the present case, given that the child was born from gametes of unknown donors, the child’s nationality was not established. In this situation, the Court considers that the domestic courts’ application of Italian law resulting in the finding that the child had been abandoned could not be viewed as arbitrary. Lastly, the Court notes that the measures in respect of the child, taken by the Youth Court and confirmed by the Campobasso Court of Appeal, were based on the provisions of domestic law. It follows that the interference – based, in particular on the relevant sections of the Private International Law Act and the International Adoption Act – was “in accordance with the law”. 73. With regard to the legitimate aim, the Court considers that it is not open to doubt that the measures taken with regard to the child pursued the aim of “prevention of disorder”, in so far as the applicants’ conduct was contrary to the legislation on international adoption and on the use of heterologous artificial procreation techniques was, at the relevant time, forbidden. In addition, the measures in question were aimed at protecting the “rights and freedoms” of the child. 74. The Court reiterates that in order to determine whether the impugned measures were “necessary in a democratic society”, it has to consider whether, in the light of the case as a whole, the reasons adduced to justify them were relevant and sufficient for the purposes of paragraph 2 of Article 8. In sensitive and complex cases, the margin of appreciation to be accorded to the competent national authorities varies in the light of the nature of the issues and the seriousness of the interests at stake. While the authorities enjoy a wide margin of appreciation in the area of adoption (see Wagner and J.M.W.L., cited above, § 127) or in assessing the necessity of taking a child into care, in particular where an emergency situation arises, the Court must still be satisfied in the particular case that there existed circumstances justifying the removal of the child. It is for the respondent State to establish that a careful assessment of the impact of the proposed care measure on the parents and the child, as well as of the possible alternatives to taking the child into public care, was carried out prior to implementation of such a measure (see K. and T. v. Finland [GC], no. 25702/94, § 166, ECHR 2001 VII, and Kutzner, cited above, § 67). 75. In the present case, the issue is whether the legislative provisions as applied in the present case struck a fair balance between the competing public and private interests involved, based on the right to respect for private and family life. In doing so, it must have regard to the essential principle according to which whenever the situation of a child is in issue, the best interests of that child are paramount (see Wagner and J.M.W.L., cited above, §§ 133-134; Mennesson v. France, no. 65192/11, § 81, ECHR 2014 (extracts); Labassee v. France, no. 65941/11, § 60, 26 June 2014). 76. The Court notes that in this case it has been established that there is no genetic relationship between the child and the applicants. Further, Russian law does not specify whether there must be a biological link between the future parents and the child who is to be born. In addition, the applicants did not argue before the domestic courts that it was unnecessary under Russian law to have a genetic link with at least one of the future parents in order to be able to refer to gestational surrogacy. In the light of these elements, the Court considers that it is not necessary to compare the legislation of the Member States in order to establish whether, in the area of gestational surrogacy, there exists extensive harmonisation in Europe. The Court is called upon to examine a case in which a Russian company – which employs the lawyer representing the applicants in Strasbourg – accepted a sum of money from the applicants; it purchased gametes form unknown donors; it found a surrogate mother and implanted the embryos in her; it handed the child over to the applicants; it assisted them in obtaining the birth CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 67 certificate. To explain this process more clearly, the lawyer in question indicated that it was entirely possible to circumvent the requirement to have a genetic link with one of the future parents by purchasing the embryos, which thus became “one’s own” embryos. Irrespective of any ethical considerations as to the actions of Rosjurconsulting, the consequences of those actions have been very serious for the applicants, especially if it is borne in mind that the second applicant was certain that he was the child’s biological father and that, to date, it has not been shown that he was not acting in good faith. 77. The application of national law resulted in non-recognition of the legal parent–child relationship established abroad, on the ground that the applicants had no genetic relationship to the child. The Court does not overlook the emotional aspects of this case, in which the applicants were required to face their inability to procreate; to apply for the authorisation to adopt; having obtained that authorisation in December 2006, to wait for years in order to be able to adopt, given the shortage of children eligible for adoption; to nurture hope until 2010, when they decided to conclude a contract with Rosjurconsulting and when they learned about the child’s birth; and to experience despair when they learned that the second applicant was not the child’s biological father. The national courts examined the second applicant’s argument that an error had occurred in the Russian clinic in that his seminal fluid had not been used. They considered, however, that his good faith could not give rise to the missing biological link. In the Court’s view, the national courts did not act unreasonably in applying the national law strictly to determine paternity and in ignoring the legal status established abroad (see, a contrario, Wagner and J.M.W.L. cited above, § 135). 78. Nonetheless, it remains to be ascertained whether, in such a situation, the measures taken in respect of the child – in particular, his removal and placement under guardianship – can be regarded as proportionate, namely whether the child’s interests were taken into account sufficiently by the Italian authorities. 79. The Court notes in this connection that the Campobasso Youth Court considered that the child was without a satisfactory family environment for the purposes of the International Adoption Act. In reaching that conclusion, the domestic courts took into consideration the fact that the child had been born to unknown biological parents and that the surrogate mother had relinquished him. They further attached great importance to the unlawful situation in which the applicants found themselves: the latter had brought the child to Italy by passing him off as their son and had thus breached Italian law, in particular the International Adoption Act and the Assisted Procreation Act. They also inferred from the fact that the applicants had contacted Rosjurconsulting a wish on their part to circumvent the adoption legislation, in spite of the fact that they had obtained an authorisation to adopt, and considered that this situation resulted from a narcissistic desire on the part of the parents, or that the child was intended to resolve problems in the couple’s relationship. In consequence, doubt could be cast on their emotional and child-raising capacities. It was therefore necessary to end this situation by removing the child from the applicants’ home and ending any possibility of contact with him. The approach followed by the domestic courts clearly met the need to end the illegal situation. 80. In the Court’s opinion, the reference to public order could not, however, be considered as giving carte blanche for any measure, since the State had an obligation to take the child’s best interests into account irrespective of the nature of the parental link, genetic or otherwise. In this connection, the Court reiterates that in the above-cited case of Wagner and J.M.W.L., the Luxembourg authorities did not recognise the legal parent child relationship established abroad on the ground that it was contrary to public order; however, they did not 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 take any measure aimed at removing the child or interrupting family life. The removal of a child from the family setting is an extreme measure which should only be resorted to as a very last resort. Such a measure can only be justified if it corresponds to the aim of protecting a child who is faced with immediate danger (see Scozzari and Giunta v. Italy [GC], nos. 39221/98 and 41963/98, § 148, ECHR 2000 VIII; Neulinger and Shuruk v. Switzerland [GC], no. 41615/07, § 136, ECHR 2010; Y.C. v. the United Kingdom, no. 4547/10, §§ 133-138, 13 March 2012; and Pontes v. Portugal, no. 19554/09, §§ 74-80, 10 April 2012). The threshold set in the case-law is very high, and the Court considers it useful to refer to the following passages from the above-cited Pontes judgment: “§ 74. The Court reiterates that the enjoyment by parent and child of each other’s company constitutes a fundamental element of family life (see Kutzner, cited above, § 58) and that domestic measures which hinder such enjoyment amount to an interference with the right protected by Article 8 of the Convention (see K. and T. v. Finland [GC], no. 25702/94, § 151, ECHR 2001-VII). Such interference violates Article 8, unless it is ‘in accordance with the law’, pursues one or more of the legitimate aims referred to in paragraph 2, and is ‘necessary in a democratic society’ to achieve the aim or aims concerned. The notion of ‘necessity’ implies that the interference corresponds to a pressing social need and, in particular, that it is proportionate to the legitimate aim pursued (see Couillard Maugery v. France, no. 64796/01, § 237, 1 July 2004). § 75. Although the essential object of Article 8 is to protect the individual against arbitrary interference by the public authorities, there may in addition be positive obligations inherent in an effective ‘respect’ for family life. Thus, where a family tie was established, the State must in principle act in such a way as to allow the relationship to develop and take any measures that might be appropriate to reunite the parent and child concerned (see, for example, Eriksson v. Sweden, 22 June 1989, § 71, Series A no. 156; Olsson v. Sweden (no. 2), 27 November 1992, § 90, Series A no. 250; Ignaccolo-Zenide v. Romania, no. 31679/96, § 94, ECHR 2000-I; Gnahoré v. France, no. 40031/98, § 51, ECHR 2000-IX, and, most recently, Neulinger and Shuruk v. Switzerland [GC], no. 41615/07, § 140, ECHR 2010). The boundaries between the State’s positive and negative obligations under the Convention do not lend themselves to precise definition; the applicable principles are nonetheless similar. In particular, in both instances regard must be had to the fair balance which has to be struck between the competing interests - those of the child, of the two parents, and of public order - (see Maumousseau and Washington v. France, no. 93388/05, § 62, ECHR 2007 XIII), bearing in mind, however, that the child’s best interests must be the primary consideration (see to this effect Gnahoré, cited above, § 59, ECHR 2000-IX), and may, depending on their nature and seriousness, override those of the parents (see Sahin v. Germany [GC], no. 30943/96, § 66, ECHR 2003-VIII). The parents’ interests, especially in having regular contact with their child, nevertheless remain a factor when balancing the various interests at stake (see Haase v. Germany, no. 11057/02, § 89, ECHR 2004-III (extracts), or Kutzner v. Germany, cited above, § 58). In both contexts the State enjoys a certain margin of appreciation (see, for example, W., B. and R. v. the United Kingdom, 8 July 1987, Series A no. 121, §§ 60 and 61, and Gnahoré, cited above, § 52). The Court’s task is not to substitute itself for the domestic authorities in the exercise of their responsibilities for the regulation of the public care of children and the rights of parents whose children have been taken into care, but rather to review under the Convention the decisions that those authorities have taken in the exercise of their power of appreciation (see Hokkanen v. Finland, 23 September 1994, § 55, Series A no. 299 A). § 76. The Court reiterates that, while Article 8 contains no explicit procedural requirements, the decision-making process involved in measures of interference must be fair and must ensure due respect for the interests safeguarded by that Article. It must therefore be determined whether, having regard to the particular circumstances of the case and notably the serious nature of the decisions to be taken, the parents were able to play a part in the decision-making process, seen as a whole, to a sufficient degree to provide them with the requisite protection of their interests. If not, there will have been a failure to respect their family life and the interference resulting from the CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 69 decision will not be capable of being regarded as ‘necessary’ within the meaning of Article 8 (see W. v. the United Kingdom, 8 July 1987, § 64, Series A no. 121). § 77. In order to determine whether the impugned measures were ‘necessary in a democratic society’ the Court has to consider whether, in the light of the case as a whole, the reasons adduced to justify them were relevant and sufficient for the purposes of Article 8 § 2 of the Convention. In so doing, it takes into consideration the fact that it is an interference of a very serious order to split up a family; such a step must be supported by sufficiently sound and weighty considerations in the interests of the child (see Scozzari and Giunta v. Italy [GC], nos. 39221/98 and 41963/98, § 148, ECHR 2000-VIII). § 78. While the authorities enjoy a wide margin of appreciation in assessing the necessity of taking a child into care, a stricter scrutiny is nonetheless called for in respect of any further limitations, such as restrictions placed by those authorities on parental rights of access, and of any legal safeguards designed to secure an effective protection of the right of parents and children to respect for their family life. Such further limitations entail the danger that the family relations between the parents and a young child would be curtailed (see Gnahoré, cited above, § 54, and Sahin v. Germany [GC], no. 30943/96, § 65, ECHR 2003-VIII). § 79. On the one hand, the interest clearly entails ensuring that the child develops in a sound environment and that under no circumstances can a parent be entitled under Article 8 to have measures taken that would harm the child’s health and development (see Sahin, cited above, § 66). On the other hand, it is clear that it is equally in the child’s interest for its ties with its family to be maintained, except in cases where the family has proved particularly unfit, since severing those ties means cutting a child off from its roots. It follows that the interest of the child dictates that family ties may only be severed in very exceptional circumstances and that everything must be done to preserve personal relations and, if and when appropriate, to ‘rebuild’ the family (see Gnahoré, cited above, § 59). § 80. Furthermore, the Court reiterates that, in cases concerning family life, the passage of time can have irremediable consequences for relations between the child and the parent with whom he or she does not live. The breaking-off of contact with a very young child may result in the progressive deterioration of the child’s relationship with his or her parent (see Ignaccolo-Zenide v. Romania, cited above, § 102, and Maire v. Portugal, no. 48206/99, § 74, ECHR 2003-VI).” The Court deems it useful to refer also to the following passages from the judgment in Zhou v. Italy (no. 33773/11, §§ 55-56, 21 January 2014): “§ 55. The Court reiterates that in such sensitive and complex cases, the margin of appreciation to be accorded to the competent national authorities will vary in the light of the nature of the issues and the seriousness of the interests at stake. While the authorities enjoy a wide margin of appreciation in assessing the necessity of taking a child into care, in particular where an emergency situation arises, the Court must still be satisfied in the particular case that there existed circumstances justifying the removal of the child. It is for the respondent State to establish that a careful assessment of the impact of the adoption measure on the parents and the child, as well as of the possible alternatives to taking the child into public care, was carried out prior to implementation of such a measure (see K. and T. v. Finland [GC], cited above, § 166, and Kutzner v. Germany, cited above, § 67, ECHR 2002-I). § 56. In contrast to other cases which the Court has been called upon to examine, the applicant’s child in the present case had not been subjected to violence or to physical or psychological illtreatment (see, conversely, Dewinne v. Belgium (dec.), no. 56024/00, 10 March 2005, and Zakharova v. France (dec.), no. 57306/00, 13 December 2005), or to sexual abuse (see, conversely, Covezzi and Morselli v. Italy, no. 52763/99, § 104, 9 May 2003). The Court notes that it found a violation in the case of Kutzner v. Germany (§ 68, cited above), in which the courts withdrew parental responsibility from the applicants after having noted a lack of emotional development on their part, and found no violation of Article 8 in the case of Aune v. Norway, (no. 52502/07, 28 October 2010), in which the Court noted that the minor’s adoption did not in fact prevent the ap- 70 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 plicant from continuing to have a personal relationship with the child and did not result in cutting the child off from his roots. It also found a violation of Article 8 in a case (Saviny v. Ukraine, no. 39948/06, 18 December 2008) in which the placement of the applicants’ children had been justified on account of the parents’ inability to provide them with an adequate standard of living (the applicants’ lack of financial means and personal qualities endangered their children’s life, health and moral upbringing). Moreover, in a case in which the children’s placement had been ordered on account of psychological instability on the part of the parents, the Court concluded that there had been no violation of Article 8, and also took into account the fact that the ties between the parents and children had not been severed (see Couillard Maugery v. France, cited above).” 81. The Court acknowledges that the situation facing the national authorities in the present case was a sensitive one. There were serious suspicions hanging over the applicants. When the youth court decided to remove the child from the applicants, it took into account the harm that he would undoubtedly sustain but, given the short period that he had spent with them and his young age, it considered that the child would surmount this difficult stage in his life. The Court considers, however, that the conditions justifying the use of the impugned measures were not met, for the following reasons. 82. Firstly, the mere fact that the child would have developed closer emotional ties with his intended parents had he stayed with them for longer is not sufficient to justify his removal. 83. Further, with regard to the criminal proceedings brought against the applicants, the Court notes at the outset that the Campobasso Court of Appeal had held that it was unnecessary to await their outcome, since the applicants’ criminal liability was irrelevant (see paragraph 25 above), with the result that the suspicions hanging over the applicants were also insufficient to justify the impugned measures. In the Court’s opinion, it is in any event impossible to speculate as to the outcome of the criminal proceedings. In addition, the applicants would have become legally disqualified from adopting the child or accepting him on placement only in the event of their conviction for the offence set out in section 72 of the Adoption Act. 84. In this latter connection, the Court notes that the applicants, who had been assessed as fit to adopt in December 2006 when they received the authorisation to adopt (see paragraph 12 above), were found to be incapable of bringing up and loving the child on the sole ground that they had circumvented the adoption legislation, without any expert report having been ordered by the courts. 85. Lastly, the Court notes that the child received a new identity only in April 2013, which means that he had no official identity for more than two years. It is necessary, however, to ensure that a child is not disadvantaged on account of the fact that he or she was born to a surrogate mother, especially in terms of citizenship or identity, which are of crucial importance (see Article 7 of the United Nations Convention on the Rights of the Child of 20 November 1989, which entered into force on 2 September 1990, 1577 Treaty Series 3). 86. Having regard to the above factors, the Court is not convinced of the adequacy of the elements on which the authorities relied in concluding that the child ought to be taken into the care of the social services. It follows that the Italian authorities failed to strike the fair balance that has to be maintained between the interests at stake. 87. In conclusion, the Court considers that there has been a violation of Article 8 of the Convention. 88. Given that the child has undoubtedly developed emotional ties with the foster family with whom he was placed at the beginning of 2013, this finding of a violation in the applicants’ case cannot therefore be understood as obliging the State to return the child to them. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 71 III. OTHER ALLEGED VIOLATIONS OF THE CONVENTION 89. Lastly, the applicants alleged that the refusal to recognise the legal parent-child relationship established abroad amounted to a violation of Article 14 of the Convention taken together with Article 8, and of Article 1 of Protocol No. 12. The Court notes at the outset that, to date, Italy has not ratified Protocol No. 12, so that this complaint is incompatible ratione personae and must be rejected in accordance with Article 35 §§ 3 and 4 of the Convention. This part of the application must therefore be examined under Article 14 taken together with Article 8 of the Convention. Article 14 provides: “The enjoyment of the rights and freedoms set forth in [the] Convention shall be secured without discrimination on any ground such as sex, race, colour, language, religion, political or other opinion, national or social origin, association with a national minority, property, birth or other status.” 90. In so far as this part of the application concerns the refusal to record the particulars of the birth certificate in the register of births, marriages and deaths, the Court considers that – in the same way as the complaint under Article 8 of the Convention taken separately (see paragraph 62 above) – it must be rejected for failure to exhaust domestic remedies, pursuant to Article 35 §§ 1 and 4 of the Convention. 91. In so far as this part of the application concerns the measures taken in respect of the child, the Court reiterates that in the enjoyment of the rights and freedoms guaranteed by the Convention, Article 14 affords protection against different treatment, without an objective and reasonable justification, of persons in similar situations (see Mazurek v. France, no. 34406/97, § 46, ECHR 2000 II). A difference in treatment is discriminatory if it “lacks objective and reasonable justification”, that is, if it does not pursue a “legitimate aim” or if there is not a “reasonable relationship of proportionality between the means employed and the aim sought to be realised” (see Mazurek, cited above, § 48). Having examined the case file, the Court finds no appearance of a breach of the provisions relied upon. It follows that this part of the application is manifestly ill founded and must be rejected in accordance with Article 35 §§ 3 and 4 of the Convention. IV. APPLICATION OF ARTICLE 41 OF THE CONVENTION 92. Article 41 of the Convention provides: “If the Court finds that there has been a violation of the Convention or the Protocols thereto, and if the internal law of the High Contracting Party concerned allows only partial reparation to be made, the Court shall, if necessary, afford just satisfaction to the injured party.” A. Damage 93. The applicants sought payment of 100,000 euros (EUR) in respect of non-pecuniary damage. 94. The Government objected to the payment of any amount and insisted that the application should be rejected. In any event, no damage had been demonstrated and the child was entitled to live in a “legitimate and calm” family environment. 95. Ruling on an equitable basis, the Court awards the applicants, jointly, EUR 20,000. B. Costs and expenses 96. The applicants claimed EUR 29,095 for reimbursement of the costs incurred before the domestic courts and in the Strasbourg proceedings. 97. The Government objected to the payment of any amount. 98. According to the Court’s case-law, an applicant is entitled to the reimbursement of 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 costs and expenses only in so far as it has been shown that these have been actually and necessarily incurred and are reasonable as to quantum. In the present case, regard being had to the documents in its possession and the above criteria, the Court considers it reasonable to award the applicants jointly the sum of 10,000 euros (EUR) covering costs under all heads. C. Default interest 99. The Court considers it appropriate that the default interest rate should be based on the marginal lending rate of the European Central Bank, to which should be added three percentage points. FOR THESE REASONS, THE COURT, 1. Declares, unanimously, the application admissible as regards the applicants’ complaint raised under Article 8 on their own behalf concerning the measures taken with regard to the child, and the remainder of the application inadmissible; 2. Holds, by five votes to two, that there has been a violation of Article 8 of the Convention; 3. Holds, by five votes to two, (a) that the respondent State is to pay the applicants jointly, within three months from the date on which the judgment becomes final in accordance with Article 44 § 2 of the Convention, the following amounts: (i) EUR 20,000 (twenty thousand euros), plus any tax that may be chargeable, in respect of non-pecuniary damage; (ii) EUR 10,000 (ten thousand euros), plus any tax that may be chargeable to the applicants, in respect of costs and expenses; (b) that from the expiry of the above-mentioned three months until settlement simple interest shall be payable on the above amounts at a rate equal to the marginal lending rate of the European Central Bank during the default period plus three percentage points; 4. Dismisses, unanimously, the remainder of the applicants’ claim for just satisfaction. Done in French, and notified in writing on 27 January 2015, pursuant to Rule 77 §§ 2 and 3 of the Rules of Court. Stanley Naismith Isil Karakas Registrar President In accordance with Article 45 § 2 of the Convention and Rule 74 § 2 of the Rules of Court, the joint separate opinion of Judges Raimondi and Spano is annexed to this judgment. A.I.K. S.H.N JOINT PARTLY DISSENTING OPINION OF JUDGES RAIMONDI AND SPANO 1. With due respect to our colleagues in the majority, we are unable to share their opinion that there has been a violation of Article 8 of the Convention in this case. 2. We can accept, albeit with some hesitation and subject to the comments set out below, the majority’s conclusions that Article 8 of the Convention is applicable in this case (see paragraph 69 of the judgment) and that there has been interference in the applicants’ rights. 3. In reality, the applicants’ de facto family life (or private life) with the child was based on a tenuous link, especially if one takes into consideration the very short period during which he resided with them. We consider that the Court, in situations such as that before it in the pre- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 73 sent case, ought to take account of the circumstances in which the child was placed in the custody of the individuals concerned when examining whether or not a de facto family life had been developed. We would emphasise that Article 8 § 1 cannot, in our opinion, be interpreted as enshrining “family life” between a child and persons who have no biological relationship with him or her, where the facts, reasonably clarified, suggest that the origin of the custody is based on an illegal act, in breach of public order. In any event, we consider that the factors related to possible illegal conduct at the origin of the establishment of a de facto family life must be taken into account in the analysis of proportionality required in the context of Article 8. 4. That being stated, it must be noted that the applicants were prevented, both by the Campobasso Youth Court and by the civil-status registry office and the Campobasso Court of Appeal, from obtaining recognition of the birth certificate issued by the competent Russian authorities, and were affected by the judicial decisions which resulted in the child’s removal and his placement in care. This situation amounts to an interference in the rights guaranteed by Article 8 of the Convention (see Wagner and J.M.W.L. v. Luxembourg, no. 76240/01, 28 June 2007, § 123). 5. In our opinion, this interference was in accordance with the law, pursued a legitimate aim and was necessary in a democratic society. 6. As to whether this interference was “in accordance with the law” and pursued a “legitimate aim”, we agree with the majority’s analysis (see paragraphs 72-73 of the judgment). 7. In addition, in our opinion, the application of the legislative provisions in this case struck a fair balance between the competing public and private interests at stake, based on the right to respect for private and family life. 8. In this case, there is, firstly, the established lack of genetic links between the child and the applicants. Further, the Russian legislation does not specify whether a biological link must exist between the future parents and the child to be born. In addition, the applicants did not argue before the domestic courts that it was unnecessary under Russian law to have a genetic link with at least one of the future parents in order to be able to refer to gestational surrogacy. In the light of these elements, we consider that it is not necessary to compare the legislation of the Member States in order to establish whether, in the area of gestational surrogacy, there exists extensive harmonisation in Europe. In fact, we are faced with a case in which a Russian company – which employs the lawyer representing the applicants in Strasbourg – accepted a sum of money from the applicants; it purchased gametes form unknown donors; it found a surrogate mother and implanted the embryos in her; it handed the child over to the applicants; it assisted them in obtaining the birth certificate. To explain this process more clearly, the lawyer in question indicated that it was entirely possible to circumvent the requirement to have a genetic link with one of the future parents by purchasing the embryos, which thus became “their own” embryos. 9. The application of national law resulted in non-recognition of the legal parent–child relationship established abroad, on the ground that the applicants had no genetic relationship to the child. We do not overlook the emotional aspects of this case, in which the applicants were required to face their inability to procreate; to apply for the authorisation to adopt; having obtained that authorisation in December 2006, to wait for years in order to be able to adopt, given the shortage of children eligible for adoption; to nurture hope until 2010, when they decided to conclude a contract with Rosjurconsulting and when they learned about the child’s birth; and, lastly, to experience despair when they learned that the second applicant was not the child’s biological father. 10. The national courts examined the second applicant’s argument that an error had oc- 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 curred in the Russian clinic in that his seminal fluid had not been used. They considered, however, that his good faith could not give rise to the missing biological link. In our opinion, the national courts did not act unreasonably in applying the national law strictly in order to determine paternity and in ignoring the legal status established abroad (see, a contrario, Wagner and J.M.W.L. cited above, § 135). 11. The Campobasso Youth Court considered that the child was without a satisfactory family environment for the purposes of the International Adoption Act. The domestic courts took into consideration the fact that the child had been born to unknown biological parents and that the surrogate mother had relinquished him. They further attached great importance to the unlawful situation in which the applicants found themselves: the latter had brought the child to Italy by passing him off as their son and had thus breached Italian law, in particular the International Adoption Act and the Assisted Procreation Act. They also inferred from the fact that the applicants had contacted Rosjurconsulting a wish on their part to circumvent the adoption legislation, in spite of the fact that they had obtained an authorisation to adopt, and considered that this situation resulted from a narcissistic desire on the part of the parents, or that the child was intended to resolve problems in their relationship. In consequence, doubt could be cast on their emotional and child-raising capacities, and it was therefore necessary to end this situation by removing the child from the applicants’ home and ending any possibility of contact with him. 12. We note at the outset that the applicants, who had been assessed as fit to adopt in December 2006 when they received the authorisation to adopt, were found to be incapable of bringing up and loving the child on the basis of presumptions and inferences, without any expert report having been ordered by the courts. Nonetheless, we recognise that the situation facing the national courts was sensitive and urgent. We do not have grounds for considering arbitrary the position of the domestic courts, which held that the suspicions hanging over the applicants were serious and that it was essential to remove the child and to ensure his safety, without allowing the applicants to contact him. When the youth court decided to remove the child from the applicants, it took into account the harm that he would undoubtedly sustain but, given the short period that he had spent with them and his young age, it considered that the child would surmount this difficult stage in his life. Having regard to those factors, we have no grounds to doubt the adequacy of the elements on which the authorities relied in concluding that the child ought to be taken into the care of the social services. It follows that the Italian authorities acted in accordance with the law, with a view to preventing disorder and protecting the rights and health of the child, and maintained the fair balance that should be struck between the interests at stake. 13. In our opinion, there are no grounds for calling into question the assessment made by the Italian courts. The majority is substituting its own assessment for that of the domestic authorities, and thus overruling the principle of subsidiarity and the “fourth-instance” doctrine. 14. In this type of case, in which the national courts are faced with difficult questions whereby they must balance, on the one hand, the child’s interests, and, on other, the requirements of public order, the Court ought, in our opinion, to show restraint and confine itself to ensuring that the domestic courts’ assessment is not flawed by arbitrariness. The arguments developed by the majority (see paragraphs 82-84 of the judgment) are not convincing. In particular, we consider that the issue of establishing the child’s identity did not have an impact on the 2011 decision to separate him from the applicants, and could, at a pinch, be the subject- matter of a complaint by the child himself. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 75 15. In addition, the majority’s position amounts, in substance, to denying the legitimacy of the State’s choice not to recognise gestational surrogacy. If it suffices to create, illegally, a link with the child abroad in order for the national authorities to be obliged to recognise the existence of “family life”, then it is clear that the States’ freedom not to give legal effect to gestational surrogacy, a freedom that has nonetheless been acknowledged by the Court’s caselaw (see Mennesson v. France, no. 65192/11, 26 June 2014, § 79, and Labassee v. France, (no. 65941/11), 2 June 2014, § 58), is reduced to nought. Traduzione a cura del Ministero della Giustizia - Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani (*) PROCEDURA 1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 25358/12) proposto contro la Repubblica italiana con il quale due cittadini di tale Stato, la sig.ra Paradiso e il sig. Campanelli («i ricorrenti »), hanno adito la Corte il 27 aprile 2012 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»). I ricorrenti hanno presentato ricorso anche a nome del bambino che, secondo il certificato di nascita rilasciato dalle autorità russe il 1° marzo 2011, sarebbe il loro figlio, nato il 27 febbraio 2011, e si chiamerebbe (...) Campanelli. 2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. K. Svitnev, del foro di Mosca, dipendente della società Rosjurconsulting. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora. 3. I ricorrenti sostengono, in particolare, che il rifiuto di trascrivere il certificato di nascita del minore nei registri dello stato civile italiano e l'allontanamento del minore sono incompatibili con l'articolo 8 della Convenzione. 4. Il 9 maggio 2012 il ricorso è stato comunicato al Governo. Il governo convenuto e i ricorrenti hanno depositato le loro osservazioni. Il 20 febbraio 2014 è stato posto un quesito complementare alle parti per sapere se esisteva un rimedio efficace per contestare la decisione della corte d'appello di Campobasso del 13 aprile 2013 che aveva confermato il rifiuto di trascrivere il certificato di nascita, e per contestare la decisione del 5 giugno 2013 con la quale il tribunale per i minorenni di Campobasso aveva dichiarato che i ricorrenti non avevano più la qualità per agire. Il Governo è stato invitato a depositare la giurisprudenza pertinente relativa all'efficacia dei rimedi che poteva ritenere esperibili. IN FATTO I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE 5. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel (...) e nel (...) e risiedono a (...). 6. I ricorrenti sono moglie e marito. Nel formulario di ricorso essi hanno dichiarato che dopo aver invano tentato il metodo della fecondazione in vitro, decisero di ricorrere alla gestazione surrogata per diventare genitori. A tale scopo contattarono una clinica di Mosca, specializzata nelle tecniche di riproduzione assistita. Conclusero un accordo di gestazione surrogata con la società Rosjurconsulting. Dopo una fecondazione in vitro riuscita il 19 maggio 2010, due (*) Traduzione effettuata e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico. 76 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 embrioni «che appartenevano a loro» furono impiantati nell'utero di una madre surrogata il 19 giugno 2010. Tra quest'ultima e gli embrioni non vi era alcun legame genetico. 7. Il bambino nacque il 27 febbraio 2011. La madre surrogata diede il suo consenso scritto affinché il minore fosse registrato come figlio dei ricorrenti. La sua dichiarazione scritta e datata lo stesso giorno, letta ad alta voce in ospedale in presenza del suo medico, del direttore sanitario e del capo reparto (dell'ospedale) è così formulata (traduzione francese dalla versione originale russa): «Io sottoscritta (...) ho messo al mondo un bambino presso la clinica ostetrica (...) di Mosca. I genitori del bambino sono una coppia sposata di italiani, Giovanni Campanelli, nato il (...) e Donatina Paradiso nata il (...), che hanno dichiarato per iscritto di voler impiantare i loro embrioni nel mio utero. Sulla base di quanto espresso sopra e conformemente al comma 5 del paragrafo 16 della legge federale sullo stato civile e al comma 4 del paragrafo 51 del codice della famiglia acconsento che nell’atto e nel certificato di nascita i coniugi di cui sopra siano iscritti come genitori del bambino da me partorito. (…)» Questa dichiarazione, nella sua traduzione italiana allegata all’originale, è così redatta (versione francese): «Io sottoscritta (...) ho messo al mondo un bambino presso la clinica ostetrica (…) di Mosca. I genitori genetici del bambino sono una coppia sposata di italiani, Giovanni Campanelli, nato il (…) e Donatina Paradiso nata il (…), che hanno dichiarato per iscritto di voler impiantare i loro embrioni nel mio utero. Sulla base di quanto espresso sopra e conformemente al comma 5 del paragrafo 16 della legge federale sullo stato civile e al comma 4 del paragrafo 51 del codice della famiglia acconsento che nell’atto e nel certificato di nascita i coniugi di cui sopra siano iscritti come genitori del bambino da me partorito. (...)» 8. Il 10 marzo 2011, conformemente al diritto russo, i ricorrenti furono registrati come genitori del neonato. Il certificato di nascita russo, che non fa menzione della gestazione surrogata, riporta l’apostille secondo le disposizioni della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 (infra «la Convenzione dell'Aja ») che abolisce la necessità della legalizzazione degli atti pubblici esteri. 9. Il 29 aprile 2011 la ricorrente si recò presso il Consolato d'Italia a Mosca per ottenere i documenti che permettevano al neonato di partire con lei per l’Italia. La ricorrente rispose ad alcune domande e depositò il fascicolo relativo alla nascita del bambino. Il Consolato d'Italia rilasciò i documenti che permettevano a quest'ultimo di partire per l'Italia con la ricorrente. 10. Il 30 aprile 2011 la ricorrente e il bambino arrivarono in Italia. Qualche giorno dopo, il ricorrente chiese al comune di [residenza] di registrare il certificato di nascita. 11. Con una nota del 2 maggio 2011 - che non è stata inserita nel fascicolo - il Consolato d'Italia a Mosca comunicò al tribunale per i minorenni di Campobasso, al Ministero degli Affari esteri, alla prefettura e al comune di [residenza dei coniugi], che il fascicolo relativo alla nascita del bambino conteneva dei dati falsi. 12. Il 5 maggio 2011 i ricorrenti furono indagati per «alterazione dello stato civile» ai sensi dell’articolo 567 del codice penale, per falso ai sensi degli articoli 489 e 479 del codice penale; inoltre, per violazione dell’articolo 72 della legge in materia di adozione (legge n. 183/1984), perché avevano portato il bambino con loro senza rispettare la legge e avevano aggirato i limiti posti nell’autorizzazione all’adozione ottenuta il 7 dicembre 2006, che escludeva l’adozione di un bambino in così tenera età. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 77 13. Il 5 maggio 2011 il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni di Campobasso chiese l’apertura del procedimento di adottabilità in quanto ai sensi di legge il minore doveva essere considerato in stato di abbandono. Lo stesso giorno il tribunale per i minorenni nominò un curatore speciale ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 184/1983 e aprì il procedimento di adottabilità. Il 16 maggio 2011 il procuratore della Repubblica chiese che il minore venisse messo sotto curatela ai sensi degli articoli 8 e 10 della legge 184/83. Il tribunale nominò un curatore. Risulta dal fascicolo che i ricorrenti si opponevano alle misure riguardanti il bambino e avevano chiesto di poter adottare il minore. 14. Il 25 maggio 2011 la ricorrente, assistita dal suo avvocato di fiducia, fu interrogata dai carabinieri di Larino. L’interessata dichiarò di essersi recata in Russia da sola, nel settembre 2008, con il liquido seminale di suo marito raccolto precedentemente. La ricorrente aveva sottoscritto un contratto con la società Rosjurconsulting, che si era impegnata a trovare una madre surrogata disposta ad accogliere nel proprio utero il materiale genetico della ricorrente e di suo marito, tramite la clinica Vitanova di Mosca. Questa pratica era perfettamente legale in Russia e permetteva di ottenere un certificato di nascita che alla voce genitori riportava le generalità dei ricorrenti. Nel giugno/luglio 2010 la ricorrente era stata contattata dalla società russa perché era stata trovata una madre surrogata che aveva dato il suo consenso all’intervento. Il 10 marzo 2011 la ricorrente si era recata a Mosca. Nell’aprile 2011, munita di un certificato di nascita rilasciato il 10 marzo 2011 dalle autorità russe, si era recata al Consolato d’Italia a Mosca per ottenere i documenti che permettessero al bambino di uscire dalla Russia e di recarsi in Italia. Il certificato di nascita indicava i nomi dei ricorrenti e la loro qualità di genitori. 15. Il 27 giugno 2011 i ricorrenti furono sentiti dal tribunale per i minorenni. La ricorrente dichiarò che dopo aver tentato invano per otto volte la fecondazione in vitro, mettendo in pericolo la sua salute, era ricorsa alla clinica russa perché, in questo paese, era possibile utilizzare gli ovuli di una donatrice, che venivano poi impiantati nel ventre della madre surrogata. 16. Peraltro, il curatore del minore chiese al tribunale di sospendere la potestà genitoriale dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 10, comma 3, della legge n. 184/1983. 17. Il 7 luglio 2011 il tribunale ordinò di eseguire un test del DNA per stabilire se il ricorrente era il padre biologico del bambino. 18. L’11 luglio 2011 il Ministro dell’Interno indicò all’ufficio dello stato civile di rifiutare la registrazione dell’atto di nascita. 19. Il 1° agosto 2011 il ricorrente e il bambino si sottoposero al test del DNA. Il risultato del test mostrò che non vi erano legami genetici tra loro. 20. Il 4 agosto 2011 l’ufficiale dello stato civile rifiutò di registrare il certificato di nascita. Avverso tale rifiuto i ricorrenti presentarono ricorso al tribunale di Larino. Il pubblico ministero chiese a questo tribunale di dare una nuova identità al minore e di rilasciare un nuovo certificato di nascita. 21. Poiché il 29 settembre 2011 il tribunale di Larino si era dichiarato incompetente, il procedimento riprese dinanzi alla corte d’appello di Campobasso. I ricorrenti insistevano per la trascrizione del certificato di nascita russo. 22. Il 20 ottobre 2011, sulla base della perizia genetica e delle conclusioni delle parti, comprese quelle del curatore del minore, il tribunale per i minorenni decise di allontanare il bambino dai ricorrenti. Questa decisione era immediatamente esecutiva. Alla base della sua decisione, il tribunale prese in considerazione i seguenti elementi: la ricorrente aveva dichiarato di non essere la madre genetica; gli ovuli provenivano da una donna sconosciuta; il test del DNA eseguito sul ricorrente e sul bambino aveva dimostrato che non vi era alcun 78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 legame genetico tra loro; i ricorrenti avevano pagato una consistente somma di denaro (49.000 euro (EUR)); contrariamente a quanto affermato, non vi erano elementi a riprova che il materiale genetico del ricorrente fosse stato realmente trasportato in Russia. L’unica cosa sicura in questa storia era l’identità della madre surrogata, che non era la madre biologica e che aveva rinunciato al bambino messo al mondo. I genitori biologici rimanevano sconosciuti. Per come stavano le cose, non si trattava di un caso di maternità surrogata perché il minore non aveva alcun legame genetico con i ricorrenti. Questi ultimi si trovavano nella illegalità: avevano portato un bambino in Italia facendo credere che si trattasse del loro figlio. Agendo in questo modo avevano in primo luogo violato le disposizioni sull’adozione internazionale (legge n. 184 del 4 maggio 1983), che all’articolo 72 prevedeva un reato la cui valutazione non competeva tuttavia al tribunale per i minorenni. In secondo luogo, l’accordo concluso dai ricorrenti con la società Rosjurconsulting era contrario alla legge sulla procreazione medicalmente assistita (legge n. 40 del 19 febbraio 2004) che all’articolo 4 vietava la fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Era necessario porre fine a questa situazione illegale e l’unico modo era quello di allontanare il bambino dai ricorrenti. Certamente, il bambino avrebbe subito un pregiudizio per via della separazione, ma, visto il breve periodo trascorso con i ricorrenti e la sua tenera età, il bambino avrebbe superato tutto ciò. Le ricerche per trovare una coppia adottiva sarebbero state avviate immediatamente. Inoltre, visto che i ricorrenti avevano preferito aggirare la legge sull'adozione nonostante avessero ottenuto l’autorizzazione, si poteva pensare che il bambino risultasse da un desiderio narcisistico della coppia o che fosse destinato a risolvere i problemi di coppia. Di conseguenza il tribunale dubitava della loro reale capacità affettiva ed educativa. Poiché il bambino non aveva una famiglia biologica né una madre surrogata, in quanto quest'ultima aveva rinunciato a lui, il tribunale ritenne che nel caso di specie fosse possibile applicare la legge italiana sull'adozione (ai sensi dell'articolo 37 bis della legge n. 184/1983), affidò quindi il bambino ai servizi sociali e nominò un tutore per la sua difesa. 23. Il bambino fu sistemato in una casa famiglia in un luogo sconosciuto ai ricorrenti. I contatti tra i ricorrenti e il bambino furono vietati. 24. I ricorrenti presentarono un reclamo alla corte d'appello di Campobasso. Tra l'altro, essi sostenevano che i giudici italiani non potevano rimettere in discussione il certificato di nascita. Domandavano, peraltro, di non adottare misure riguardanti il bambino mentre erano ancora pendenti il procedimento penale a loro carico e il procedimento avviato per contestare il rifiuto di trascrivere il certificato di nascita. 25. Con decisione del 28 febbraio 2012, la corte d'appello di Campobasso rigettò il ricorso. In particolare risulta da questa decisione che l'articolo 33 della legge. 218/95 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) non impediva all'autorità giudiziaria italiana di non dar seguito alle indicazioni accertate provenienti da uno Stato estero. Non vi era alcuna incompetenza, perché l'articolo 37bis della legge sull'adozione internazionale (legge n. 184/1983) prevedeva l'applicazione della legge italiana se il minore straniero era in stato di abbandono, ed era proprio così nel caso di specie. Era peraltro inutile attendere l'esito del procedimento penale perché la responsabilità penale dei ricorrenti non svolgeva alcun ruolo. Al contrario, era necessario adottare una misura urgente nei confronti del minore per porre fine alla situazione di illegalità nella quale si trovavano gli interessati. Avverso questa decisione non era possibile presentare ricorso per cassazione. 26. Da una nota del 22 maggio 2012, indirizzata dal tribunale per i minorenni al Ministero della Giustizia, risulta che il bambino non era ancora stato dichiarato adottabile perché il CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 79 procedimento sulla trascrizione del certificato di nascita del bambino era pendente dinanzi alla corte d'appello di Campobasso. 27. Nel frattempo, il 30 ottobre 2011, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Larino aveva disposto il sequestro conservativo del certificato di nascita russo, in quanto si trattava di una prova essenziale. In effetti, dal fascicolo risultava che i ricorrenti non soltanto avevano verosimilmente commesso i fatti ascritti, ma avevano anche tentato di nasconderli. Tra l'altro avevano dichiarato di essere i genitori biologici e avevano corretto le loro versioni dei fatti man mano che venivano smentiti. 28. I ricorrenti impugnarono il provvedimento di sequestro conservativo. 29. Con decisione del 20 novembre 2012, il tribunale di Campobasso respinse il ricorso dei ricorrenti. Risulta da questa decisione che vi erano gravi sospetti in merito alla commissione dei reati ascritti. In particolare, la ricorrente aveva fatto circolare la voce sulla sua gravidanza; si era presentata al Consolato lasciando sottintendere di essere la madre naturale; in seguito, aveva ammesso che il bambino era stato messo al mondo da una madre surrogata; il 25 maggio 2011 aveva dichiarato ai carabinieri che il ricorrente era il padre biologico mentre il test del DNA lo aveva smentito e quindi aveva reso false dichiarazioni; era stata molto vaga sull'identità della madre genetica; i documenti relativi alla maternità surrogata rivelavano che i due ricorrenti erano stati visti dai medici russi cosa che non concordava con il fatto che il ricorrente non era stato in Russia; i documenti che riguardavano il parto non avevano una data verificata. L'unica cosa certa era che il bambino era nato e che era stato consegnato alla ricorrente dietro pagamento di quasi 50.000 EUR. L'ipotesi secondo la quale i ricorrenti avrebbero tenuto una condotta illegale al fine di ottenere la trascrizione della nascita e di aggirare le leggi italiane sembrava dunque fondata. 30. Nel novembre 2012 il provvedimento riguardante il sequestro conservativo fu trasmesso dal pubblico ministero al tribunale per i minorenni perché aveva le implicazioni seguenti. Il capo d'accusa relativo all'articolo 72 della legge n. 184/1983 privava i ricorrenti della possibilità di avere il bambino in affido e di adottare quest'ultimo o altri minori. Non vi erano dunque altre soluzioni salvo quella di continuare la procedura di adozione per il minore. Il collocamento temporaneo presso una famiglia era stato richiesto in virtù degli articoli 8 e 10 della legge n. 184/83. Il pubblico ministero reiterò la sua domanda e sottolineò che il minore era stato allontanato più di un anno prima e che da allora viveva in una casa famiglia dove aveva stabilito delle relazioni significative con le persone che si occupavano di lui. Dunque il bambino non aveva ancora trovato un ambiente familiare che potesse sostituire quello che era stato illegalmente offerto da coloro che lo avevano portato in Italia. Questo bambino sembrava destinato a una nuova separazione molto più dolorosa di quella dalla madre che lo aveva messo al mondo e poi da quella che aspirava ad essere sua madre. 31. Risulta dal fascicolo che il 26 gennaio 2013 il bambino fu collocato presso una famiglia di accoglienza. 32. Nel marzo 2013, su richiesta del tutore, fu eseguita una perizia volta a determinare l'età del minore. La perizia stabilì che verosimilmente il bambino era di 30 mesi, con uno scarto di più o meno tre mesi. 33. Peraltro, all'inizio di aprile 2013, il tutore chiese al tribunale per i minorenni di attribuire una identità convenzionale al bambino affinché quest'ultimo potesse essere iscritto senza difficoltà a scuola. Il tutore comunicava che il bambino era stato collocato presso una famiglia il 26 gennaio 2013, ma che era privo di identità. Questa «inesistenza» aveva forti ripercussioni sulle questioni amministrative: sotto quale identità iscrivere il bambino a 80 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 scuola, nel suo libretto delle vaccinazioni, al suo domicilio. È vero che questa situazione rispondeva allo scopo di non permettere alla famiglia di origine, ossia ai ricorrenti, di capire ove si trovasse il bambino al fine di proteggerlo meglio. Tuttavia, una identità convenzionale temporanea avrebbe permesso di mantenere il segreto sulla reale identità del bambino e, al tempo stesso, avrebbe permesso a quest'ultimo di accedere ai servizi pubblici mentre così gli era possibile utilizzare soltanto il servizio medico di emergenza. 34. Con decisione immediatamente esecutiva del 3 aprile 2013, la corte d'appello di Campobasso si pronunciò in merito al certificato di nascita, a proposito del quale doveva decidere se ordinare o meno la trascrizione (ai sensi dell'articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica («DPR») n. 396/00). Essa rigettò l'eccezione sollevata dal tutore secondo la quale i ricorrenti non avevano la qualità per agire dinanzi alla corte; riconobbe, in effetti, ai ricorrenti la capacità di stare in giudizio dal momento che risultavano essere i «genitori» nell'atto di nascita che desideravano trascrivere. Tuttavia, era evidente che i ricorrenti non erano i genitori biologici. Dunque non vi era stata gestazione surrogata, mentre i ricorrenti nella loro memoria avevano parlato di fecondazione assistita eterologa; le parti erano concordi nel dire che la legge russa presupponeva un legame biologico tra il bambino e almeno uno dei potenziali genitori per poter parlare di maternità surrogata. L'atto di nascita era dunque ideologicamente falso. Inoltre, visto che non era dimostrato che il bambino avesse la cittadinanza russa, l'argomento dei ricorrenti relativo alla inapplicabilità della legge italiana contrastava con l'articolo 33 della legge n. 218/95, secondo il quale la filiazione era determinata dalla legge nazionale del bambino al momento della nascita. Era inoltre contrario all'ordine pubblico trascrivere il certificato contestato perché era falso. I ricorrenti opponevano la loro buona fede e sostenevano che non arrivavano a spiegarsi perché, nella clinica russa, non era stato utilizzato il liquido seminale del ricorrente; tuttavia ciò non cambiava nulla alla situazione e non ovviava al fatto che il ricorrente non fosse il padre biologico. In conclusione, era legittimo rifiutare la trascrizione del certificato di nascita russo e accogliere la richiesta del pubblico ministero di emettere un nuovo atto di nascita. Di conseguenza la corte ordinò di rilasciare un nuovo atto di nascita recante l’indicazione che il bambino era figlio di genitori ignoti, nato a Mosca il 27 febbraio 2011, e con un nuovo nome (determinato ai sensi del DPR n. 396/00). 35. La procedura relativa all'adozione del minore riprese dinanzi al tribunale per i minorenni. I ricorrenti confermarono la loro opposizione alla sistemazione del bambino presso terze persone. Il tutore chiese di dichiarare che i ricorrenti non avevano più locus standi. Il pubblico ministero chiese al tribunale di non pronunciarsi sulla sua richiesta di dichiarare il bambino adottabile utilizzando il nome che aveva all'origine in quanto nel frattempo aveva aperto una seconda procedura per chiedere la dichiarazione di adottabilità del bambino sotto la sua nuova identità di figlio di genitori ignoti. Il 5 giugno 2013, tenuto conto degli elementi contenuti nel fascicolo, il tribunale per i minorenni dichiarò che i ricorrenti non avevano più la qualità per agire nel procedimento di adozione che avevano avviato, dal momento che non erano né genitori né familiari del bambino, ai sensi dell'articolo 10 della legge n. 184/1983. Il tribunale dichiarò che avrebbe regolato la questione dell'adozione del bambino nell'ambito dell'altra procedura di adozione, alla quale il pubblico ministero aveva fatto riferimento. II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI A. La legge sul diritto internazionale privato CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 81 36. Ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 218 del 1995 sul sistema italiano di diritto internazionale privato, la filiazione è determinata dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. B. La legge per la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile 37. Il decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000 n. 396 (legge per la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) prevede che le dichiarazioni di nascita relative a cittadini italiani rese all'estero devono essere trasmesse alle autorità consolari (articolo 15). Le autorità consolari trasmettono copia degli atti ai fini della trascrizione all’ufficiale dello stato civile del comune in cui l'interessato intende stabilire la propria residenza (articolo 17). Gli atti formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico (articolo 18). Affinché essi producano i loro effetti in Italia, i provvedimenti esteri pronunciati in materia di capacità delle persone o di esistenza di rapporti familiari (…) non devono essere contrari all'ordine pubblico (articolo 65). C. La legge sulla procreazione medicalmente assistita 38. La legge n. 40 del 19 febbraio 2004 prevedeva all'articolo 4 il divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Il mancato rispetto di questa norma comportava una sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 EUR a 600.000 EUR. Con la sentenza del 9 aprile 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato queste disposizioni incostituzionali. D. Le disposizioni pertinenti in materia di adozione 39. Le disposizioni relative alla procedura di adozione sono contenute nella legge n. 184/1983. Secondo l'articolo 2, il minore che è rimasto temporaneamente senza un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia che abbia, se possibile, altri figli minori, o una persona singola, o una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. Nel caso in cui non fosse possibile un affidamento familiare idoneo, è consentito l’inserimento del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, preferibilmente nel luogo di residenza del minore. L'articolo 5 prevede che la famiglia o la persona alla quale il minore è affidato debbano provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione (…) tenendo conto delle indicazioni del tutore ed osservando le prescrizioni stabilite dall'autorità giudiziaria. In ogni caso, la famiglia di accoglienza esercita la responsabilità genitoriale in relazione agli ordinari rapporti con la scuola e il servizio sanitario nazionale. La famiglia di accoglienza deve essere sentita nel procedimento di affidamento e in quello che riguarda la dichiarazione di adottabilità. Peraltro, l'articolo 7 prevede che l'adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità. L'articolo 8 prevede che «possono essere dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni, anche d'ufficio, (…) i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio». «La situazione di abbandono sussiste», prosegue l'articolo 8, «(…) anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza (…) o siano in affidamento familiare». Infine, questa disposizione prevede che la causa di forza maggiore non sussista se i genitori o gli altri parenti tenuti a provvedere al minore rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi sociali locali e se tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice. La 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 situazione di abbandono può essere segnalata all’autorità pubblica da ogni cittadino e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. D'altra parte, ogni funzionario pubblico, nonché la famiglia del minore, che sono a conoscenza dello stato di abbandono di quest'ultimo, sono obbligati a farne denuncia. Peraltro, gli istituti di assistenza devono informare regolarmente l'autorità giudiziaria della situazione dei minori collocati presso di loro (articolo 9). L'articolo 10 prevede poi che il tribunale possa disporre, fino all’affidamento preadottivo del minore alla famiglia di accoglienza, ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, compresa eventualmente la sospensione della potestà genitoriale. Gli articoli da 11 a 14 prevedono una indagine volta chiarire la situazione del minore e a stabilire se quest'ultimo si trovi in uno stato di abbandono. In particolare, l'articolo 11 dispone che quando dalle indagini risulta che il minore non ha rapporti con alcun parente entro il quarto grado, il tribunale provvede a dichiarare lo stato di adottabilità salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44. Al termine del procedimento previsto da questi ultimi articoli, se lo stato di abbandono ai sensi dell'articolo 8 persiste, il tribunale per i minorenni dichiara lo stato di adottabilità del minore se: a) i genitori o gli altri parenti non si sono presentati nel corso del procedimento b) la loro audizione ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale nonché la non disponibilità degli interessati ad ovviarvi; c) le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori (articolo 15). L'articolo 15 prevede anche che la dichiarazione dello stato di adottabilità sia disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con decreto motivato, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell'istituto presso cui il minore è stato ricoverato o la sua eventuale famiglia di accoglienza, il tutore e il minore stesso se abbia compiuto i dodici anni o, se è più giovane, se sia necessaria la sua audizione. L'articolo 17 prevede che l’opposizione al provvedimento sullo stato di adottabilità del minore debba essere depositata entro trenta giorni a partire dalla data della comunicazione alla parte ricorrente. L'articolo 19 prevede che durante lo stato di adottabilità sia sospeso l’esercizio della potestà genitoriale. L'articolo 20 prevede infine che lo stato di adottabilità cessi nel momento in cui il minore è adottato o se quest'ultimo diventa maggiorenne. Peraltro, lo stato di adottabilità può essere revocato, d'ufficio o su richiesta dei parenti o del pubblico ministero, se le condizioni previste dall'articolo 8 sono state nel frattempo revocate. Tuttavia, se il minore è stato sistemato presso una famiglia in vista dell’affidamento preadottivo ai sensi degli articoli da 22 a 24, lo stato di adottabilità non può essere revocato. L'articolo 44 prevede alcuni casi di adozione speciale: l'adozione è possibile per i minori che non sono stati ancora dichiarati adottabili. In particolare, l'articolo 44 d) prevede l'adozione quando è impossibile procedere a un affidamento in vista dell'adozione. 40. L'articolo 37bis di questa legge prevede che ai minori stranieri che sono in Italia si applichi la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza. Ai sensi dell'articolo 72 della legge sull'adozione internazionale, colui che, per procurarsi denaro o altre utilità, in violazione delle disposizioni previste dalla suddetta legge introduce sul territorio dello Stato un minore straniero perché sia definitivamente affidato a cittadini italiani, commette un reato ed è punito con la reclusione da uno a tre anni. Questa pena si applica anche a coloro che, in cambio di denaro o di altra utilità, accolgono dei minori stra- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 83 nieri in «affidamento» in maniera definitiva. La condanna per questo reato comporta l'inidoneità a ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare. E. Il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione 41. Ai sensi dell'articolo 111, comma 7, della Costituzione, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge contro i provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto le restrizioni della libertà personale. La Corte di cassazione ha esteso il campo di applicazione di questo rimedio ai procedimenti civili quando la decisione da contestare ha un impatto sostanziale su alcune situazioni (decisoria) e non può essere modificata o revocata dallo stesso giudice che l'ha pronunciata (definitiva). I provvedimenti con i quali il tribunale per i minorenni dispone misure urgenti nei confronti di un minore in stato di abbandono adottati in base all’articolo 10 della legge sull’adozione (articoli 330 e successivi del codice civile, 742 del codice di procedura civile) sono modificabili e revocabili e possono essere oggetto di reclamo dinanzi alla corte d’appello. Trattandosi di provvedimenti che possono essere modificati e revocati in qualsiasi momento, non è ammesso il ricorso per cassazione (Cassazione civile, Sec. I, sentenza del 18.10.2012, n. 17916). III. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI PERTINENTI A. La Convenzione dell’Aja che abolisce l'esigenza della legalizzazione degli atti pubblici stranieri 42. La Convenzione dell'Aja che abolisce l'esigenza della legalizzazione degli atti pubblici esteri è stata conclusa il 5 ottobre 1961. Essa si applica agli atti pubblici - così come definiti dall'articolo 1 - che sono stati redatti sul territorio di uno Stato contraente e che devono essere prodotti sul territorio di un altro Stato contraente. Articolo 2 «Ciascuno Stato contraente dispensa dalla legalizzazione gli atti cui si applica la presente Convenzione e che devono essere prodotti sul suo territorio. La legalizzazione ai sensi della presente Convenzione concerne solo la formalità mediante la quale gli agenti diplomatici o consolari del paese, sul cui territorio l’atto deve essere prodotto, attestano l’autenticità della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto l’atto e, ove occorra, l’autenticità del sigillo o del bollo apposto a questo atto.» Articolo 3 «L’unica formalità che possa essere richiesta per attestare l’autenticità della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto l’atto e, ove occorra, l’autenticità del sigillo o del bollo apposto a questo atto, è l’apposizione dell’apostille di cui all’articolo 4, rilasciata dall’autorità competente dello Stato dal quale emana il documento» Articolo 5 «L’apostille è apposta su richiesta del firmatario o del portatore dell’atto. Debitamente compilata, essa attesta l’autenticità della firma, la qualifica della persona che ha sottoscritto l’atto e, ove occorra, l’autenticità del sigillo o del bollo apposto a questo atto. La firma, il sigillo o il bollo che figurano sull’apostille sono dispensati da qualsiasi attestazione». Dal rapporto esplicativo della suddetta Convenzione risulta che l’apostille non attesta la veridicità del contenuto dell’atto sottostante. Tale limitazione degli effetti giuridici derivanti dalla Convenzione dell’Aja ha lo scopo di preservare il diritto degli Stati firmatari di applicare le proprie regole in materia di conflitti di leggi quando devono decidere sul peso da attribuire al contenuto del documento apostillato. 84 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 B. Le disposizioni pertinenti di diritto russo 43. L’articolo 55 della legge fondamentale sulla tutela della salute dei cittadini prevede la maternità surrogata fra le tecniche di riproduzione assistita. Possono accedere a questo tipo di tecniche le coppie coniugate e non, nonché i celibi. La maternità surrogata consiste nella gestazione e nella consegna del figlio in base ad un contratto concluso tra la madre surrogata e i «potenziali» genitori. La madre surrogata deve avere un’età compresa fra i 20 e i 35 anni, deve già aver avuto un figlio in buona salute e deve aver dato il suo consenso scritto all’intervento. Quest’ultimo può essere eseguito soltanto presso cliniche autorizzate. Il decreto del Ministero della Salute n. 67 del 2003 disciplina le modalità e le condizioni. Se le disposizioni pertinenti sono state rispettate, il risultato della maternità surrogata è che una coppia sposata è riconosciuta come la coppia di genitori di un bambino nato da una madre surrogata. Quest’ultima deve esprimere il suo consenso scritto affinché i coniugi siano riconosciuti come genitori (articolo 51 § 4 del codice della famiglia del 29 dicembre 1995). C. I principi adottati dal comitato ad hoc di esperti sul progresso delle scienze biomediche del Consiglio d’Europa 44. Il comitato ad hoc di esperti sul progresso delle scienze biomediche costituito in seno al Consiglio d’Europa (CAHBI), predecessore del comitato direttivo di bioetica, ha pubblicato nel 1989 una serie di principi fra cui il quindicesimo, relativo alle «madri surrogate», è così formulato: «1. Nessun medico o istituto deve utilizzare le tecniche di procreazione artificiale per il concepimento di un figlio che sarà portato in gestazione da una madre surrogata. 2. Nessun contratto o accordo tra una madre surrogata e la persona o la coppia per conto della quale o del quale è portato in gestazione un bambino potrà essere invocato in giudizio. 3. Qualsiasi attività di intermediazione a favore delle persone interessate da una maternità surrogata deve essere vietata, come pure deve essere vietata ogni forma di pubblicità che vi faccia riferimento. 4. Tuttavia, gli Stati possono, in casi eccezionali stabiliti dal loro diritto nazionale, prevedere, senza fare eccezione al paragrafo 2 del presente Principio, che un medico o un istituto possano procedere alla fecondazione di una madre surrogata utilizzando tecniche di procreazione artificiale, a condizione: a. che la madre surrogata non tragga alcun vantaggio materiale dall’operazione; e b. che la madre surrogata possa scegliere alla nascita di tenere il bambino.» IN DIRITTO I. SULLE VIOLAZIONI DEDOTTE IN NOME DEL MINORE 45. I ricorrenti lamentano in nome del minore l’impossibilità di ottenere il riconoscimento della filiazione stabilita all’estero e delle misure di allontanamento e di affidamento adottate dai giudici italiani. Essi sostengono che vi è stata violazione degli articoli 6, 8 e 14 della Convenzione, della Convenzione de L’Aja e della Convenzione sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989. 46. Secondo il Governo i ricorrenti non possono rappresentare il minore dinanzi alla Corte, in quanto quest’ultimo è già rappresentato a livello nazionale da un tutore che è intervenuto nel procedimento dinanzi ai giudici nazionali. Nominato il 20 ottobre 2011 dal tribunale per i minorenni di Campobasso e confermato dalla corte d’appello di Campobasso il 21 febbraio 2012, il tutore rappresenta il minore e amministra i suoi beni. In conclusione, il ricorso presentato in nome del minore dai ricorrenti, che difendono il loro interesse e CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 85 non quello del minore, sarebbe, in questa parte, incompatibile ratione personae. 47. I ricorrenti contestano la tesi del Governo. 48. La Corte rammenta che è opportuno evitare un approccio restrittivo o puramente tecnico per quanto riguarda la rappresentanza dei minori dinanzi agli organi della Convenzione; in particolare, bisogna tenere conto dei legami tra il minore interessato e i suoi « rappresentanti», dell’oggetto e dello scopo del ricorso e dell’eventuale esistenza di un conflitto di interessi (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 32, 27 aprile 2010; si vedano anche S.D., D.P., e T. c. Regno Unito, n. 23714/94, decisione della Commissione del 20 maggio 1996, non pubblicata). 49. Nel caso di specie, la Corte osserva anzitutto che i ricorrenti non hanno alcun legame biologico con il minore. Indipendentemente dalla questione di stabilire se il certificato di nascita redatto in Russia abbia prodotto effetti in Italia e quali, il minore è stato posto sotto tutela dal 20 ottobre 2011 ed è stato rappresentato dal tutore nei procedimenti interni. La procedura ai fini del riconoscimento del legame di filiazione in Italia non ha avuto esito positivo e il minore ha una nuova identità e un nuovo certificato di nascita. Il procedimento avviato dai ricorrenti ai fini dell’adozione del minore si è concluso negativamente. La procedura volta a dare in adozione il minore a un’altra famiglia è in corso, e il minore è già stato affidato a una famiglia. Non è stata firmata alcuna procura in favore dei ricorrenti affinché gli interessi del minore siano da loro rappresentati dinanzi alla Corte. Ciò implica che i ricorrenti non possiedono, da un punto di vista giuridico, la qualità necessaria per rappresentare gli interessi del minore nell’ambito di un procedimento giudiziario. 50. In queste circostanze, la Corte ritiene che i ricorrenti non abbiano la qualità per agire dinanzi ad essa per conto del minore (Moretti e Benedetti, sopra citata, § 35). Questa parte del ricorso deve dunque essere rigettata in quanto incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione, ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di quest’ultima. II. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE DEDOTTA DAI RICORRENTI IN LORO NOME 51. I ricorrenti affermano che il rifiuto da parte delle autorità italiane di registrare il certificato di nascita rilasciato in Russia e le decisioni di allontanamento del minore adottate dai giudici nazionali hanno violato la Convenzione dell’Aja conclusa il 5 ottobre 1961 e hanno pregiudicato la loro vita privata e famigliare garantita ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Essi affermano inoltre che vi è stata violazione dell’articolo 6, in quanto il procedimento riguardante l’allontanamento del minore non è stato equo. 52. Il Governo si oppone a questa tesi. 53. Secondo una giurisprudenza costante, le Parti contraenti sono responsabili in virtù dell’articolo 1 della Convenzione di tutte le azioni e omissioni dei loro organi, sia che queste derivino dal diritto interno, sia che derivino da obblighi giuridici internazionali. L’articolo 1 non fa alcuna distinzione al riguardo tra i vari tipi di norme o di misure e non sottrae alcuna parte della «giurisdizione» delle Parti contraenti all’autorità della Convenzione. La Corte rammenta che la Convenzione non deve essere interpretata isolatamente ma in modo tale da conciliarsi con i principi generali del diritto internazionale. In virtù dell’articolo 33 § 3 c) della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, l’interpretazione di un trattato deve avvenire tenendo conto di tutte le norme pertinenti del diritto internazionale applicabile nelle relazioni con le parti, in particolare di quelle relative alla tutela internazionale dei diritti umani (si veda, tra altre, Nada c. Svizzera [GC], n. 10593/08, §§ 168- 169, CEDU 2012). In tal modo, anche se il diritto di ottenere la trascrizione di un certificato 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 di nascita straniero non rientra in quanto tale tra i diritti sanciti dalla Convenzione, la Corte esaminerà il ricorso dal punto di vista della Convenzione nel contesto degli altri trattati internazionali pertinenti. 54. Libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa, la Corte ritiene appropriato esaminare questa parte del ricorso unicamente dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione, che esige che il processo decisionale che porta all’adozione di misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi tutelati da tale disposizione (Moretti e Benedetti, sopra citata, § 49; Havelka e altri c. Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007 ; Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 56, CEDU 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006). L’articolo 8 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, recita: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (…) e familiare (...). 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (…) alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.» A. Sulla ricevibilità 1. Sull’eccezione relativa all’articolo 34 della Convenzione 55. Il Governo eccepisce che i ricorrenti non possono agire dinanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, in quanto il minore è stato posto sotto tutela. 56. I ricorrenti contestano questa tesi. 57. La Corte deve esaminare la questione di stabilire se i ricorrenti possono stare in giudizio e se possono sostenere di essere vittime delle violazioni dedotte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione. Essa osserva al riguardo che i giudici italiani hanno riconosciuto che i ricorrenti possono agire in giudizio, dato che erano i genitori del minore secondo il certificato di nascita russo e che, almeno inizialmente, gli interessati avevano la potestà genitoriale sul minore. Di conseguenza, i ricorrenti possono sollevare le loro doglianze dinanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione. L’eccezione del Governo deve dunque essere respinta. 2. Sull’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne 58. Il Governo ha osservato che i procedimenti nazionali erano pendenti, riferendosi in particolare al procedimento penale avviato nei confronti dei ricorrenti e al procedimento che si è svolto dinanzi al tribunale per i minorenni di Campobasso. Invitato in seguito (paragrafo 4 supra) a precisare se esistesse un rimedio efficace per contestare la decisione della corte d’appello di Campobasso che aveva confermato il rifiuto di trascrivere il certificato di nascita, e se esistesse un rimedio efficace per contestare la decisione di esclusione dal procedimento del tribunale per i minorenni, il Governo ha risposto in modo affermativo. Tuttavia, quest’ultimo non ha depositato una giurisprudenza pertinente. 59. I ricorrenti si oppongono alla tesi del Governo. 60. La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, può essere adita solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, §§ 65-69, Recueil des arrêts et décisions 1996 IV). Essa ha il dovere di stabilire se i ricorrenti abbiano soddisfatto a questa condizione. 61. La Corte rileva in primo luogo che il procedimento penale avviato nei confronti dei ri- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 87 correnti era pendente nel momento in cui è stato presentato il ricorso. Tuttavia essa osserva, da una parte, che i giudici civili hanno adottato le loro decisioni senza attendere l’esito di tale procedimento e, dall’altra, che i motivi di ricorso dei ricorrenti non riguardano il procedimento penale in quanto tale. Di conseguenza, su questo punto non si pone un problema di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e la Corte considera che l’eccezione del Governo non sia pertinente e debba essere rigettata. 62. Per quanto riguarda il procedimento intentato dai ricorrenti allo scopo di ottenere la trascrizione dell’atto di nascita del minore, la Corte osserva che i ricorrenti non hanno presentato un ricorso per cassazione contro la decisione della corte d’appello di Campobasso che ha rigettato il loro ricorso il 3 aprile 2013. Il Governo ha affermato l’esistenza e l’efficacia di un tale ricorso senza fornire alcuna giurisprudenza in materia. La Corte non dispone dunque di decisioni rese dalla Corte di cassazione in cause analoghe, nelle quali la posta in gioco sia il riconoscimento di un atto straniero contrario al diritto nazionale. Essa è convinta tuttavia che la situazione denunciata dai ricorrenti avrebbe dovuto essere sottoposta alla valutazione della Corte di cassazione, che è il giudice nazionale che può interpretare la legge. Di conseguenza, su questo punto, i ricorrenti non hanno soddisfatto alla condizione di esaurimento delle vie di ricorso interne. La doglianza relativa all’impossibilità di ottenere la trascrizione del certificato di nascita del minore nei registri dello stato civile deve pertanto essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. 63. Per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alle misure di allontanamento e di messa sotto tutela del minore, la Corte rileva che la decisione del tribunale per i minorenni di Campobasso del 20 ottobre 2011 è stata impugnata dinanzi alla corte d’appello di Campobasso. Quest’ultima ha respinto il ricorso dei ricorrenti e ha confermato le misure il 28 febbraio 2012. Dato il carattere non definitivo di questo tipo di decisioni, non era possibile presentare ricorso in cassazione (paragrafo 41 supra). La Corte ritiene pertanto che i ricorrenti abbiano esaurito le vie di ricorso interne su questo punto. Essa constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione, e rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile. 64. Quanto alla decisione pronunciata dal tribunale per i minorenni di Campobasso il 5 giugno 2013, che stabilisce che gli interessati non potevano proseguire il procedimento riguardante il minore chiamato (...) Campanelli in quanto non avevano più la qualità per agire, la Corte osserva che i ricorrenti non hanno impugnato tale decisione dinanzi alla corte d’appello e poi dinanzi alla Corte di cassazione. Tuttavia, alla luce delle circostanze della presente fattispecie, la Corte dubita dell’efficacia di tali rimedi in questo caso. In effetti, la decisione del tribunale per i minorenni in questione è stata pronunciata circa venti mesi dopo il momento dell’allontanamento del minore. Quest’ultimo, considerato in stato di abbandono in assenza di legami biologici con almeno uno dei ricorrenti, era stato dato in affidamento preadottivo dal mese di gennaio 2013. Il tribunale per i minorenni era chiamato a pronunciarsi sull’adozione del minore nell’ambito di un altro procedimento, avviato nel frattempo nei confronti dell’interessato sotto la sua nuova identità, al quale i ricorrenti non avevano avuto l’opportunità di partecipare. Inoltre, il Governo non ha fornito alcuna decisione che dimostri che in questo caso i ricorsi disponibili avrebbero avuto una ragionevole possibilità di successo. La Corte ritiene che pertanto che anche se dei ricorsi erano aperti contro la decisione del tribunale per i minorenni del 5 aprile 2013, i ricorrenti non 88 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 erano tenuti ad esperirli (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, §§ 66-67, Recueil 1996 IV; Scordino c. Italia (dec.), n. 36813/97, CEDU 2003 IV). B. Sul merito 1. Argomenti delle parti 65. I ricorrenti osservano che il problema sollevato dal ricorso non riguarda né la maternità surrogata né la procreazione assistita, né i legami genetici tra genitori e figli né, infine, l’adozione. Il problema in questo caso è il rifiuto di riconoscere un certificato di nascita rilasciato dalle autorità russe competenti e l’allontanamento del minore deciso dalle autorità italiane. Malgrado l’impossibilità di ottenere il riconoscimento della filiazione e malgrado l’allontanamento del minore, i ricorrenti hanno la potestà genitoriale su quest’ultimo, anche se non sono i suoi genitori biologici, e questo sulla base del certificato di nascita, rilasciato dalle autorità russe competenti. Il certificato in questione è autentico, come dimostra l’apostille, e, in nome della sicurezza giuridica, avrebbe dovuto essere registrato conformemente alla Convenzione dell’Aja sull’apostille conclusa il 5 ottobre 1961. È stato rilasciato conformemente al diritto russo, secondo il quale non è necessario avere un legame genetico per stabilire un legame di filiazione. L’origine del minore è stata accertata dalle autorità russe competenti che hanno tenuto conto di tutte le circostanze della sua nascita. L’avvocato dei ricorrenti ha prodotto a questo proposito un articolo redatto da lui stesso e pubblicato in «Open Access Scientific Reports». Da tale articolo risulta che la donazione di gameti e di embrioni è permessa in Russia, anche a livello commerciale. Non è vietata nemmeno la maternità surrogata a fini commerciali. È dunque possibile in Russia acquistare gameti presso una banca (IVF clinic’s database); in tal modo i gameti acquistati dai genitori potenziali diventano i «loro» gameti, il che permetterà loro di essere considerati genitori. I ricorrenti non hanno mai commesso reati in Russia. Non ne hanno mai commessi nemmeno in Italia. Erano liberi di passare la frontiera e di andare dove la legislazione permette la fecondazione in vitro eterologa. Sostenendo, a torto e senza fornire valide ragioni, che il certificato di nascita era falso, le autorità italiane hanno agito illegalmente. L’unico criterio che avrebbe dovuto guidare le autorità italiane nelle loro decisioni avrebbe dovuto essere l’interesse del minore: quello di poter rimanere presso i ricorrenti. 66. Il Governo fa osservare che, rilasciando i documenti di viaggio che hanno permesso al minore di partire per l’Italia, il Consolato italiano di Mosca ha rispettato i propri obblighi internazionali. L’apostille apposta sul certificato di nascita russo non ha impedito tuttavia alle autorità italiane di verificare la veridicità del contenuto del fascicolo legato alla nascita del minore. Il diritto italiano trova applicazione nel caso di specie. Ai sensi dell’articolo 18 del D.P.R. n. 396/2000 le autorità italiane devono verificare se l’atto di nascita sia o meno contrario all’ordine pubblico interno e dunque se sia o meno idoneo a essere trascritto nei registri dello stato civile. La filiazione si determina ai sensi dell’articolo 33 della legge sul diritto internazionale privato. I giudici nazionali hanno dimostrato l’assenza di qualsiasi legame biologico tra i ricorrenti e il minore. Si tratta dunque di un certificato di nascita il cui contenuto è falso. Anche a voler supporre che vi sia stata una ingerenza nella vita privata e famigliare dei ricorrenti, questa è conforme all’articolo 8 della Convenzione in quanto ha una base legale, risponde allo scopo di proteggere il minore ed è necessaria in una società democratica. Dato che avevano ottenuto l’autorizzazione, i ricorrenti avrebbero potuto adottare un minore, tanto più che l’accordo bilaterale concluso tra l’Italia e la Russia il 6 novembre 2008 ha permesso 781 adozioni regolari solo nell’anno 2011. Il Governo fa infine CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 89 osservare che non vi è un consenso europeo in materia di gestazione surrogata. 2. Valutazione della Corte a) Sull’applicabilità dell’articolo 8 della Convenzione 67. Conformemente alla propria giurisprudenza, la Corte osserva che la questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita famigliare è anzitutto una questione di fatto, che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, Serie A n. 31; K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 150, CEDU 2001 VII). La nozione di «famiglia » di cui all’articolo 8 non si limita alle sole relazioni basate sul matrimonio, ma può comprendere altri legami «famigliari» de facto, quando le parti convivono al di fuori di qualsiasi legame coniugale e una relazione è sufficientemente costante (Kroon e altri c. Paesi Bassi, 27 ottobre 1994, § 30, serie A n. 297-C; Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, § 55, serie A n. 112; Keegan c. Irlanda, 26 maggio 1994, § 44, serie A n. 290; X, Y e Z c. Regno Unito, 22 aprile 1997, § 36, Recueil 1997 II). Peraltro, le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di fondare una famiglia né il diritto di adottare (E.B. c. Francia [GC], n. 43546/02, § 41, 22 gennaio 2008). Il diritto al rispetto di una «vita famigliare» non tutela il semplice desiderio di fondare una famiglia; esso presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx, sopra citata, § 31), o almeno di una relazione potenziale che avrebbe potuto svilupparsi, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio (Nylund c. Finlandia (dec.), n. 27110/95, CEDU 1999-VI), di una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se non era ancora pienamente stabilita una vita famigliare (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A n. 94), o ancora di una relazione nata da un’adozione legale e non fittizia (Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 148, CEDU 2004-V). 68. La Corte osserva che il caso di specie presenta delle analogie con la causa Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo (n. 76240/01, 28 giugno 2007). Nella causa lussemburghese si trattava dell’impossibilità di ottenere il riconoscimento in Lussemburgo della decisione giudiziaria peruviana con cui era stata pronunciata l’adozione piena di una ricorrente a vantaggio di una seconda ricorrente. La Corte ha riconosciuto l’esistenza di una vita famigliare nonostante il mancato riconoscimento dell’adozione, tenendo conto del fatto che dei legami famigliari de facto esistevano da più di dieci anni tra le ricorrenti e che la seconda si comportava a tutti gli effetti come la madre della minore. In un’altra causa (Moretti e Benedetti, sopra citata, §§ 50-52), la Corte ha trattato il caso di una coppia sposata di ricorrenti che avevano accolto un bambino di un mese nella loro famiglia. Avevano passato diciannove mesi con lui prima che i giudici italiano decidessero di affidarlo ad un’altra famiglia ai fini dell’adozione. La Corte ha anche concluso che esisteva una vita famigliare de facto, confermata tra l’altro dalle perizie condotte sulla famiglia, malgrado l’assenza di un rapporto giuridico di parentela (§§ 50-52). 69. Nel caso di specie, ai ricorrenti è stata negata la trascrizione dell’atto di nascita russo che aveva stabilito la filiazione. Poiché tale certificato non era stato riconosciuto nel diritto italiano, non ha fatto nascere un legame di parentela nel senso proprio del termine, anche se i ricorrenti hanno avuto, almeno inizialmente, la potestà genitoriale sul minore come dimostra la richiesta di sospensione della potestà genitoriale presentata dal curatore. Pertanto, la Corte ha il dovere di tenere conto dei legami famigliari de facto. A questo riguardo, essa osserva che i ricorrenti hanno passato con il minore le prime tappe importanti della sua giovane vita: sei mesi in Italia, a partire dal terzo mese di vita del minore. Prima di tale periodo, la ricorrente aveva già passato alcune settimane con lui in Russia. Anche se il periodo in quanto tale è re- 90 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 lativamente breve, la Corte ritiene che i ricorrenti si siano comportati nei confronti del minore come dei genitori e conclude in favore dell’esistenza di una vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore. Pertanto nel caso di specie si applica l’articolo 8 della Convenzione. 70. La Corte osserva, a titolo ridondante, che nel caso del procedimento avviato per ottenere il riconoscimento della filiazione, il ricorrente si è sottoposto a un test del DNA. È vero che non è stato stabilito alcun legame genetico tra il ricorrente e il minore (si veda, a contrario, Keegan, sopra citata, § 45). Tuttavia, la Corte rammenta che l’articolo 8 tutela non soltanto la «vita famigliare», ma anche la «vita privata». Quest’ultima comprende, in una certa misura, il diritto per l’individuo di allacciare delle relazioni con i suoi simili (mutatis mutandis, Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29, serie A n. 251-B,). Sembra del resto non esservi alcuna ragione di principio per considerare che la nozione di vita privata escluda che si possa stabilire un legame giuridico tra un minore nato fuori dal matrimonio e il suo genitore (Mikulic c. Croazia, n. 53176/99, § 53, CEDU 2002 I). La Corte ha già dichiarato che il rispetto della vita privata esige che ciascuno possa accertare i dettagli della sua identità di essere umano e che il diritto di ogni individuo a tali informazioni è fondamentale data la loro incidenza sulla formazione della personalità (Gaskin c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 39, serie A n. 160). Nel caso di specie il ricorrente ha cercato, per via giudiziaria, di stabilire se era genitore. La sua domanda di riconoscimento della filiazione legalmente stabilita all’estero costituisce dunque anche una ricerca della verità biologica, volta a determinare i suoi legami con il minore. Ne consegue che esisteva una relazione diretta tra l’accertamento della filiazione e la vita privata del ricorrente. Pertanto i fatti di causa rientrano nelle previsioni dell’articolo 8 della Convenzione (Mikulic, sopra citata, § 55). b) Sul rispetto dell’articolo 8 della Convenzione 71. Nel caso di specie, ai ricorrenti è stato negato, da parte del tribunale per i minorenni di Campobasso e della corte d’appello di Campobasso, il riconoscimento della filiazione stabilita all’estero e gli stessi sono stati oggetto di decisioni giudiziarie che hanno portato all’allontanamento e alla presa in carico del minore. Secondo la Corte questa situazione si traduce in una ingerenza nei diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione (Wagner e J.M.W.L., sopra citata, § 123). Tale ingerenza è contraria all’articolo 8 a meno che non soddisfi le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo, e di essere necessaria in una società democratica. La nozione di necessità implica una ingerenza fondata su un bisogno sociale imperioso e, in particolare, proporzionato allo scopo legittimo perseguito (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 50, CEDU 2000 IX; Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, § 74, 10 aprile 2012). 72. Per quanto riguarda la questione di stabilire se tale ingerenza fosse «prevista dalla legge», la Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 5 della Convenzione dell’Aja del 1961, l’unico effetto dell’apostille è quello di certificare l’autenticità della firma, la qualità nella quale il firmatario dell’atto ha agito e, se del caso, l’identità del timbro apposto nello stesso. Dal rapporto esplicativo di detta Convenzione risulta che l’apostille non attesta la veridicità del contenuto dell’atto sottostante. Tale limitazione degli effetti giuridici derivante dalla Convenzione dell’Aja ha lo scopo di preservare il diritto degli Stati firmatari di applicare le loro regole in materia di conflitti di leggi quando devono decidere quale peso attribuire al contenuto del documento apostillato. Nel caso di specie i giudici italiani non si sono basati sul certificato di nascita straniero ma hanno optato per l’applicazione del diritto italiano per quanto riguarda il legame di filiazione. Infatti, l’applicazione delle leggi italiane che è stata fatta nel caso di specie dal tribunale per i minorenni deriva dalla norma in materia di CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 91 conflitti di leggi secondo la quale la filiazione è determinata dalla legge nazionale del minore al momento della nascita. Nel caso di specie, tenuto conto che il minore è nato dal gamete di donatori sconosciuti, la nazionalità del minore non era accertata. In questa situazione, la Corte ritiene che l’applicazione del diritto italiano da parte dei giudici nazionali che ha portato alla constatazione che il minore era in stato di abbandono non possa essere considerata arbitraria. Infine, la Corte osserva che le misure nei confronti del minore adottate dal tribunale per i minorenni e confermate dalla corte d’appello di Campobasso si basano sulle disposizioni del diritto interno. Ne consegue che l’ingerenza - fondata in particolare sugli articoli pertinenti della legge sul diritto internazionale privato e della legge sull’adozione internazionale - era «prevista dalla legge». 73. Per quanto riguarda lo scopo legittimo, secondo la Corte senza alcun dubbio le misure adottate nei confronti del minore miravano alla «difesa dell’ordine», in quanto la condotta dei ricorrenti si scontrava con la legge sull’adozione internazionale e il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita eterologa, all’epoca dei fatti, era vietato. Inoltre, le misure in questione erano volte alla protezione dei «diritti e libertà» del minore. 74. Per valutare la «necessità» delle misure controverse «in una società democratica», la Corte esamina, tenendo conto della causa nel suo complesso, se i motivi addotti per giustificarle siano pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dell’articolo 8. Nelle cause delicate e complesse, il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni sollevate e della gravità degli interessi in gioco. Se le autorità godono di una grande libertà in materia di adozione (Wagner e J.M.W.L., sopra citata, § 127) o per valutare la necessità di prendere in carico un minore, in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque avere acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistevano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare la minore dai genitori. Spetta allo Stato convenuto accertare che le autorità abbiano valutato accuratamente l’incidenza che avrebbe sui genitori e sul minore la misura di adozione, e abbiano preso in esame soluzioni diverse dalla presa in carico del minore prima di dare esecuzione a una tale misura (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 166, CEDU 2001 VII; Kutzner, sopra citata, § 67). 75. Nella presente causa la questione è stabilire se la valutazione fatta nel caso di specie delle disposizioni legislative abbia garantito un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e gli interessi privati in gioco, basati sul diritto al rispetto della vita privata e famigliare. In questo modo, essa deve avere riguardo al principio fondamentale secondo il quale ogni volta che è in causa la situazione di un minore, deve prevalere l’interesse superiore di quest’ultimo (Wagner e J.M.W.L., sopra citata, §§ 133-134; Mennesson c. Francia, n. 65192/11, § 81, CEDU 2014 (estratti); Labassee c. Francia, n. 65941/11, § 60, 26 giugno 2014). 76. La Corte osserva che, nel caso di specie, sussiste l’assenza comprovata di legami genetici tra il minore e i ricorrenti. Inoltre, la legge russa non precisa se sia necessario un legame biologico tra i futuri genitori e il minore nascituro. Inoltre, i ricorrenti non hanno argomentato dinanzi ai giudici nazionali che il diritto russo non esigeva un legame genetico con almeno uno dei futuri genitori per parlare di gestazione surrogata. Tenuto conto di questi elementi la Corte ritiene che non sia necessario confrontare la legislazione degli Stati membri allo scopo di stabilire se, in materia di gestazione surrogata, la situazione si trovi ad uno stadio avanzato di armonizzazione in Europa. In effetti, la Corte si trova di fronte un fascicolo in cui una società russa - per la quale lavora l’avvocato che rappresenta i ri- 92 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 correnti a Strasburgo - ha incassato una somma di denaro dai ricorrenti; essa ha acquistato dei gameti da donatori sconosciuti; ha trovato una madre surrogata e le ha fatto impiantare gli embrioni; ha consegnato il bambino ai ricorrenti; li ha aiutati a ottenere il certificato di nascita. Per spiegare meglio questo processo l’avvocato in questione ha indicato che era possibile aggirare l’esigenza di avere un legame genetico con uno dei futuri genitori acquistando gli embrioni, che diventano così i «suoi» embrioni. Indipendentemente da qualsiasi considerazione etica per quanto riguarda gli intrighi della società Rosjurconsulting, le conseguenze degli stessi sono state molto pesanti per i ricorrenti, soprattutto se si tiene conto del fatto che il ricorrente era certo di essere il padre biologico del minore e che, a tutt’oggi, non è stato dimostrato che non fosse in buona fede. 77. L’applicazione del diritto nazionale ha avuto come conseguenza il mancato riconoscimento della filiazione accertata all’estero, in quanto i ricorrenti non avevano un legame genetico con il minore. La Corte non trascura gli aspetti emozionali di questo caso in cui si è trattato, per i ricorrenti, di constatare la loro incapacità di procreare; di chiedere l’autorizzazione ad adottare; una volta ottenuta l’autorizzazione nel dicembre 2006, di attendere per anni di poter adottare affrontando la penuria di minori adottabili; di nutrire una speranza quando, nel 2010, i ricorrenti si sono decisi a sottoscrivere un contratto con la Rosjurconsulting e quando sono venuti a conoscenza della nascita del minore; di sprofondare nella disperazione quando hanno saputo che il ricorrente non era il padre biologico del minore. I giudici nazionali hanno esaminato l’argomento del ricorrente secondo il quale nella clinica russa si era verificato un errore in quanto il suo liquido seminale non era stato utilizzato. Tuttavia, essi hanno considerato che la buona fede dell’interessato non potesse creare il legame biologico che mancava. Secondo la Corte, applicando in maniera rigorosa il diritto nazionale per determinare la filiazione e andando oltre lo status giuridico creato all’estero, i giudici nazionali non hanno preso una decisione irragionevole (a contrario, Wagner e J.M.W.L. sopra citata, § 135). 78. Rimane tuttavia da stabilire se, in una tale situazione, le misure adottate nei confronti del minore - in particolare il suo allontanamento e la sua messa sotto tutela - possano essere considerate delle misure proporzionate, ossia se le autorità italiane abbiano tenuto conto dell’interesse del minore in maniera sufficiente. 79. La Corte osserva al riguardo che il tribunale per i minorenni di Campobasso ha ritenuto che il minore fosse privo di un ambiente famigliare adeguato ai sensi della legge sull’adozione internazionale. Per giungere a una tale conclusione, i giudici nazionali hanno tenuto conto del fatto che il minore era nato da genitori biologici sconosciuti e che la madre surrogata aveva rinunciato a lui. Essi hanno inoltre attribuito una grande importanza alla situazione nella quale versavano i ricorrenti: questi ultimi avevano condotto il minore in Italia facendo credere che si trattasse del loro figlio e avevano così violato il diritto italiano, in particolare la legge sull’adozione internazionale e la legge sulla riproduzione assistita. Inoltre, dal fatto che i ricorrenti si erano rivolti alla Rosjurconsulting i giudici avevano dedotto una volontà di scavalcare la legge sull’adozione malgrado l’autorizzazione ottenuta e hanno ritenuto che questa situazione risultasse da un desiderio narcisistico della coppia o che il minore fosse destinato a risolvere alcuni problemi della coppia stessa. Pertanto, si poteva dubitare della loro capacità affettiva ed educativa. Era dunque necessario porre un termine a tale situazione allontanando il minore dal domicilio dei ricorrenti ed escludere qualsiasi possibilità di contatto con lui. La prospettiva seguita dai giudici nazionali rispondeva evidentemente alla necessità di porre fine alla situazione di illegalità. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 93 80. Secondo la Corte, il riferimento all’ordine pubblico non può tuttavia essere preso come una carta bianca che giustifichi qualsiasi misura, in quanto l’obbligo di tenere in considerazione l’interesse superiore del minore incombe allo Stato indipendentemente dalla natura del legame genitoriale, genetico o di altro tipo. A questo riguardo la Corte rammenta che, nella causa Wagner e J.M.W.L. sopra citata, le autorità lussemburghesi non avevano riconosciuto la filiazione accertata all’estero in quanto questa era contraria all’ordine pubblico; tuttavia, esse non avevano adottato alcuna misura finalizzata all’allontanamento del minore o all’interruzione della vita famigliare. In effetti, l’allontanamento del minore dal contesto famigliare è una misura estrema alla quale si dovrebbe ricorrere solo in ultima ratio. Affinché una misura di questo tipo sia giustificata, essa deve rispondere allo scopo di proteggere il minore che affronti un pericolo immediato per lui (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 148, CEDU 2000 VIII; Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 136, CEDU 2010; Y.C. c. Regno Unito, n. 4547/10, §§ 133-138, 13 marzo 2012; Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, §§ 74-80, 10 aprile 2012). La soglia fissata nella giurisprudenza è molto alta, e la Corte ritiene utile ricordare i seguenti passaggi estratti dalla sentenza Pontes sopra citata: «§ 74. La Corte rammenta che, per un genitore e suo figlio, stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita famigliare (Kutzner, sopra citata, § 58) e che delle misure interne che glielo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto tutelato dall’articolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001-VII). Tale ingerenza viola l’articolo 8 a meno che, essendo «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi rispetto al secondo paragrafo di tale disposizione e sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli. La nozione di «necessità» implica un’ingerenza che si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito (Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 237, 1° luglio 2004). § 75. Se l’articolo 8 tende essenzialmente a premunire l’individuo contro ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso pone inoltre a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti al «rispetto» effettivo della vita famigliare. In tal modo, laddove è accertata l’esistenza di un legame famigliare, lo Stato deve in linea di principio agire in modo tale da permettere a tale legame di svilupparsi, e adottare le misure idonee a ricongiungere il genitore e il figlio interessati (si vedano, ad esempio, Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 71, serie A n. 156; Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250; Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000-I; Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 51, CEDU 2000-IX e, recentemente, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 140, CEDU 2010). Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato dall’articolo 8 non si presta a una definizione precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi coesistenti - quello del minore, quelli dei due genitori e quelli dell’ordine pubblico - (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 93388/05, § 62, CEDU 2007 XIII), tenendo conto tuttavia del fatto che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante (in questo senso Gnahoré, sopra citata, § 59, CEDU 2000-IX), che, a seconda della propria natura e gravità, può avere la meglio su quello dei genitori (Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 66, CEDU 2003-VIII). L’interesse di questi ultimi, in particolare a beneficiare di un contatto regolare con il minore, rimane comunque uno dei fattori di cui tenere conto nel bilanciare i diversi interessi in gioco (Haase c. Germania, n. 11057/02, § 89, CEDU 94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 2004-III (estratti), o Kutzner c. Germania, sopra citata, § 58). In entrambe le ipotesi lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (si vedano, ad esempio, W., B. e R. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, serie A n. 121, §§ 60 e 61, e Gnahoré, sopra citata, § 52). La Corte non ha il compito di sostituirsi alle autorità interne per regolamentare la presa in carico di minori da parte della pubblica amministrazione e i diritti dei genitori di tali minori, ma di esaminare sotto il profilo della Convenzione le decisioni rese da tali autorità nell’esercizio del loro potere discrezionale (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 55, serie A n. 299 A). § 76. La Corte rammenta che, se l’articolo 8 non contiene alcuna indicazione procedurale esplicita, il processo decisionale all’esito del quale vengono applicate misure di ingerenza deve essere equo e rispettare adeguatamente gli interessi tutelati da tale disposizione. Pertanto, è necessario determinare, in funzione delle circostanze di ciascun caso e in particolare della gravità delle misure da adottare, se i genitori abbiano potuto svolgere nel processo decisionale, considerato nel complesso, un ruolo abbastanza importante per accordare loro la tutela dei loro interessi richiesta. In caso negativo, si contravviene al rispetto della loro vita famigliare e l’ingerenza che risulta dalla decisione non può essere considerata «necessaria» nel senso dell’articolo 8 (W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, § 64, serie A n. 121). § 77. Per valutare la «necessità» della misura controversa «in una società democratica», la Corte esaminerà se, tenuto conto della causa nel suo complesso, i motivi invocati a sostegno della stessa siano pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione. A tal fine, terrà conto del fatto che la divisione di una famiglia costituisce una ingerenza molto grave; una misura di questo tipo deve dunque basarsi su considerazioni ispirate dall’interesse del minore e aventi sufficiente peso e solidità (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 148, CEDU 2000-VIII). § 78. Se le autorità godono di un ampio margine di manovra per valutare in particolare la necessità di prendere in carico un minore, esse devono invece esercitare un controllo più rigoroso sulle restrizioni supplementari, come quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita famigliare. Tali restrizioni supplementari comportano il rischio di troncare le relazioni famigliari tra i genitori e un giovane figlio (Gnahoré sopra citata, § 54, e Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 65, CEDU 2003-VIII). § 79. Da un lato, è certo che garantire ai minori uno sviluppo in un ambiente sano rientra in tale interesse e che l’articolo 8 non può in alcun modo autorizzare un genitore a veder adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo dei suoi figli (Sahin sopra citata, § 66). Dall’altro, è evidente che rientra ugualmente nell’interesse del minore che i legami tra lo stesso e la sua famiglia siano mantenuti, salvo nei casi in cui quest’ultima si sia dimostrata particolarmente indegna: rompere tale legame significa tagliare al figlio le sue radici. Ne risulta che l’interesse del minore impone che solo circostanze eccezionali possano portare a una rottura del legame famigliare, e che sia fatto il possibile per mantenere le relazioni personali e, se del caso, al momento opportuno, «ricostruire» la famiglia (Gnahoré sopra citata, § 59). § 80. La Corte rammenta peraltro che, nelle cause che riguardano la vita famigliare, il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il figlio e il genitore che non vive con lui. In effetti, l’interruzione del contatto con un figlio molto giovane può portare ad una crescente alterazione della sua relazione con il genitore (Ignaccolo-Zenide c. Romania, sopra citata, § 102; Maire c. Portogallo, n. 48206/99, § 74, CEDU 2003-VI).» CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 95 La Corte ritiene utile richiamare anche i seguenti passaggi estratti dalla sentenza (Zhou c. Italia, n. 33773/11, §§ 55-56, 21 gennaio 2014): «§ 55 La Corte rammenta che, in alcuni casi altrettanto delicati e complessi, il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni oggetto della controversia e della gravità degli interessi in gioco. Se le autorità godono di un’ampia libertà nel valutare la necessità di prendere in carico un minore, in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque aver acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare il minore dalla madre. Spetta allo Stato convenuto accertare che le autorità, prima di dare esecuzione a tale misura, abbiano valutato accuratamente l’incidenza che avrebbe sui genitori e sul minore la misura di adozione, e abbiano preso in esame soluzioni diverse dalla presa in carico del minore (K. e T. c. Finlandia [GC], sopra citata, § 166; Kutzner c. Germania, sopra citata, § 67, CEDU 2002-I). § 56 A differenza di altre cause che la Corte ha avuto occasione di esaminare, il figlio della ricorrente, nel caso di specie, non era stato esposto a una situazione di violenza o di maltrattamento fisico o psichico (si veda, a contrario, Dewinne c. Belgio (dec.), n. 56024/00, 10 marzo 2005; Zakharova c. Francia (dec.), n. 57306/00, 13 dicembre 2005), né ad abusi sessuali (si veda, a contrario, Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 104, 9 maggio 2003). La Corte rammenta che ha concluso per l’esistenza di una violazione nella causa Kutzner c. Germania, (§ 68, sopra citata) nella quale i tribunali avevano revocato la potestà genitoriale ai ricorrenti dopo avere constatato in questi ultimi un deficit affettivo, e ha dichiarato la non violazione dell’articolo 8 nella causa Aune c. Norvegia, (n. 52502/07, 28 ottobre 2010), in cui la Corte aveva rilevato che l’adozione del minore non aveva di fatto impedito alla ricorrente di continuare ad intrattenere una relazione personale con il minore e non aveva avuto la conseguenza di allontanarlo dalle sue radici. Essa ha anche constatato la violazione dell’articolo 8 in una causa (Saviny c. Ucraina, n. 39948/06, 18 dicembre 2008) in cui l’affidamento dei figli dei ricorrenti era stato motivato dalla loro incapacità di garantire condizioni di vita adeguate (la mancanza di risorse economiche e di qualità personali degli interessati mettevano in pericolo la vita, la salute e l’educazione morale dei figli). Del resto, in una causa in cui l’affidamento dei minori era stato disposto in ragione di uno squilibrio psichico dei genitori, la Corte ha concluso per la non violazione dell’articolo 8 tenendo conto anche del fatto che il legame tra i genitori e i figli non era stato interrotto (Couillard Maugery c. Francia, sopra citata).» 81. La Corte riconosce che la situazione che si presentava ai giudici nazionali nel caso di specie era delicata. In effetti, sui ricorrenti pesavano gravi sospetti. Nel momento in cui ha deciso di allontanare il minore dai ricorrenti, il tribunale per i minorenni ha tenuto conto del danno certo che lo stesso avrebbe subito ma, visto il breve periodo che aveva passato con loro e la sua giovane età, ha ritenuto che il minore avrebbe superato questo momento difficile della sua vita. Tuttavia la Corte ritiene che le condizioni che possono giustificare il ricorso alle misure controverse non erano soddisfatte per i motivi seguenti. 82. Anzitutto, il solo fatto che il minore avrebbe sviluppato un legame affettivo più forte nei confronti dei suoi genitori intenzionali qualora fosse rimasto presso di loro, non basta per giustificare il suo allontanamento. 83. Inoltre, per quanto riguarda il procedimento penale avviato nei confronti dei ricorrenti, la Corte osserva anzitutto che la corte d’appello di Campobasso aveva ritenuto che non fosse necessario attenderne l’esito in quanto la responsabilità penale degli interessati non svolgeva alcun ruolo (paragrafo 25 supra), cosicché nemmeno i sospetti che gravavano sugli interes- 96 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 sati sono sufficienti per giustificare le misure controverse. Secondo la Corte non è comunque possibile prevedere quale sarebbe l’esito del procedimento penale. Inoltre, solo in caso di condanna per il reato previsto dall’articolo 72 della legge sull’adozione i ricorrenti sarebbero divenuti legalmente incapaci di adottare o accogliere il minore in affidamento. 84. A quest’ultimo riguardo, la Corte osserva che i ricorrenti, giudicati idonei ad adottare nel dicembre 2006 nel momento in cui ricevettero l’autorizzazione (paragrafo 12 supra), sono stati giudicati incapaci di educare ed amare il figlio solamente in quanto avevano aggirato la legge sull’adozione senza che fosse stata disposta una perizia da parte dei tribunali. 85. Infine, la Corte osserva che il minore ha ricevuto una nuova identità soltanto nell’aprile 2013, il che significa che è stato inesistente per più di due anni. Ora, è necessario che un minore non sia svantaggiato per il fatto che è stato messo al mondo da una madre surrogata, a cominciare dalla cittadinanza o dall’identità che rivestono un’importanza primordiale (si veda l’articolo 7 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989, entrata in vigore il 2 settembre 1990, 1577 Recueil des Traités 3). 86. Tenuto conto di questi fattori, la Corte non è convinta del carattere adeguato degli elementi sui quali le autorità si sono basate per concludere che il minore doveva essere preso in carico dai servizi sociali. Ne deriva che le autorità italiane non hanno mantenuto il giusto equilibrio che deve sussistere tra gli interessi in gioco. 87. In conclusione, la Corte ritiene che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione. 88. Tenuto conto che il minore ha certamente sviluppato dei legami affettivi con la famiglia di accoglienza presso la quale è stato collocato all’inizio del 2013, la constatazione di violazione pronunciata nella causa dei ricorrenti non può dunque essere intesa nel senso di obbligare lo Stato a riconsegnare il minore agli interessati. III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI 89. I ricorrenti affermano infine che il mancato riconoscimento del legame di filiazione accertato all’estero costituisce una violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 8, e dell’articolo 1 del protocollo n. 12. La Corte osserva anzitutto che, a tutt’oggi, l’Italia non ha ratificato il Protocollo n. 12, cosicché questo motivo di ricorso è incompatibile ratione personae e deve essere rigettato conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione. Questa parte del ricorso deve pertanto essere esaminata dal punto di vista dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione. L’articolo 14 della Convenzione dispone: «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.» 90. Poiché questa parte del ricorso si riferisce al rifiuto di trascrivere il certificato di nascita nei registri dello stato civile, la Corte ritiene che - come il motivo di ricorso relativo all’articolo 8 della Convenzione invocato separatamente (si veda paragrafo 62 supra) essa debba essere rigettata per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. 91. Nella misura in cui questa parte del ricorso riguarda le misure adottate nei confronti del minore, la Corte ricorda che, nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione, l’articolo 14 vieta di trattare in maniera diversa, salvo giustificazione oggettiva e CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 97 ragionevole, delle persone che si trovano in situazioni simili (Mazurek c. Francia, n. 34406/97, § 46, CEDU 2000 II). Una distinzione è discriminatoria se «è priva di giustificazione oggettiva e ragionevole», ossia se non persegue uno «scopo legittimo» o se non vi è un «rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito» (Mazurek sopra citata, § 48). Dopo aver esaminato il fascicolo, la Corte non ha rilevato alcuna violazione delle disposizioni invocate. Di conseguenza questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione. IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE 92. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.» A. Danno 93. I ricorrenti chiedono il versamento di 100.000 euro (EUR) per il danno morale. 94. Il Governo si oppone al versamento di qualsiasi somma e insiste affinché il ricorso venga rigettato. In ogni caso, il danno non è stato dimostrato e il minore ha il diritto di vivere in un ambiente famigliare «legittimo e tranquillo». 95. Deliberando in via equitativa, la Corte accorda la somma di 20.000 EUR congiuntamente ai ricorrenti. B. Spese 96. I ricorrenti chiedono la somma di 29.095 EUR a rimborso delle spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e per il procedimento a Strasburgo. 97. Il Governo si oppone al versamento di qualsiasi somma. 98. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma complessiva di 10.000 EUR per tutte le spese e la accorda congiuntamente ai ricorrenti. C. Interessi moratori 99. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali. PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE 1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo di ricorso sollevato dai ricorrenti a loro nome e relativo all’articolo 8 della Convenzione con riguardo alle misure adottate nei confronti del minore e irricevibile per il resto; 2. Dichiara, con cinque voti contro due, che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione; 3. Dichiara, con cinque voti contro due, 1. che lo Stato convenuto deve versare congiuntamente ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme: 20.000 EUR (ventimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale; 98 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti, per le spese; 2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali; 4. Rigetta, all’unanimità, la richiesta di equa soddisfazione per il resto. Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 gennaio 2015, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento. Isil Karakas Presidente Stanley Naismith Cancelliere Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata dei giudici Raimondi e Spano. A.I.K. S.H.N. OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE COMUNE AI GIUDICI RAIMONDI E SPANO 1. Con tutto il rispetto dovuto ai nostri colleghi della maggioranza, non possiamo condividere la loro opinione secondo la quale nel caso di specie l’articolo 8 della Convenzione sarebbe stato violato. 2. Possiamo accettare, ma con una certa esitazione e con riserva delle seguenti osservazioni, le conclusioni della maggioranza secondo le quali nel caso di specie è applicabile l’articolo 8 della Convenzione (paragrafo 69 della sentenza) e vi è stata ingerenza nei diritti dei ricorrenti. 3. In effetti, la vita famigliare (o vita privata) de facto dei ricorrenti con il minore si basava su un legame debole, in particolare se si tiene conto del periodo molto breve durante il quale ne avrebbero avuto la custodia. Riteniamo che la Corte, in situazioni come quelle che ha dovuto esaminare nella presente causa, debba tenere conto delle circostanze nelle quali il minore è stato dato in custodia alle persone interessate nel momento in cui deve stabilire se si sia o meno sviluppata una vita famigliare de facto. Sottolineiamo che l’articolo 8 § 1 non può, secondo noi, essere interpretato nel senso di sancire una «vita famigliare» tra un minore e delle persone prive di qualsiasi legame biologico con lo stesso quando i fatti, ragionevolmente chiariti, suggeriscono che alla base della custodia vi è un atto illegale con cui si è contravvenuto all’ordine pubblico. In ogni caso, riteniamo che, nell’analisi della proporzionalità che si impone nel contesto dell’articolo 8, si debba tenere conto delle considerazioni legate ad una eventuale illegalità sulle quali è fondato l’accertamento di una vita famigliare de facto. 4. Ciò premesso, si deve constatare che ai ricorrenti è stato rifiutato, sia da parte del tribunale per i minorenni di Campobasso che da parte del registro dello stato civile e della corte d’appello di Campobasso, il riconoscimento del certificato di nascita rilasciato dalle autorità russe competenti, e che gli stessi sono stati oggetto delle decisioni giudiziarie che hanno portato all’allontanamento e alla presa in carico del minore. Questa situazione si traduce in una ingerenza nei diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione (Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, n. 76240/01, 28 giugno 2007, § 123). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 99 5. A nostro parere, tale ingerenza era prevista dalla legge, perseguiva uno scopo legittimo ed era necessaria in una società democratica. 6. Per quanto riguarda la questione di stabilire se tale ingerenza fosse «prevista dalla legge» e perseguisse uno «scopo legittimo», condividiamo l’analisi della maggioranza (paragrafi 72- 73 della sentenza). 7. Inoltre, secondo noi, l’applicazione fatta nel caso di specie delle disposizioni legislative ha garantito un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e gli interessi privati coesistenti in gioco, basati sul diritto al rispetto della vita privata e famigliare. 8. Nel caso di specie, vi è anzitutto l’assenza comprovata di legami genetici tra il minore e i ricorrenti. In secondo luogo, la legge russa non precisa se sia necessario un legame biologico tra i futuri genitori e il nascituro. Inoltre, i ricorrenti non hanno sostenuto dinanzi ai giudici nazionali che nel diritto russo l’esistenza di un legame genetico con almeno uno dei futuri genitori non era necessaria per parlare di gestazione surrogata. Tenuto conto di questi elementi, riteniamo che non sia opportuno confrontare le legislazioni dei vari Stati membri allo scopo di stabilire se, in materia di gestazione surrogata, la situazione si trovi in una fase avanzata di armonizzazione in Europa. In effetti, ci troviamo ad esaminare un fascicolo nel quale una società russa - per la quale lavora l’avvocato che rappresenta i ricorrenti a Strasburgo - ha incassato una somma di denaro dei ricorrenti; la stessa ha acquistato dei gameti da donatori sconosciuti; ha trovato una madre surrogata e le ha fatto impiantare gli embrioni; ha consegnato il minore ai ricorrenti; li ha aiutati a ottenere il certificato di nascita. Per spiegare meglio questo processo, l’avvocato in questione ha indicato che era possibile aggirare l’esigenza di avere un legame genetico con uno dei futuri genitori acquistando gli embrioni, che diventano così i «suoi» embrioni. 9. L’applicazione del diritto nazionale ha avuto come conseguenza il mancato riconoscimento della filiazione accertata all’estero, in quanto i ricorrenti non avevano alcun legame genetico con il minore. Non trascuriamo gli aspetti emozionali di questa causa nella quale i ricorrenti hanno dovuto constatare la loro incapacità di procreare; chiedere l’autorizzazione ad adottare; una volta ottenuta l’autorizzazione nel dicembre 2006, aspettare per anni di poter adottare affrontando la penuria di minori adottabili; nutrire una speranza quando, nel 2010, si sono decisi a sottoscrivere un contratto con la Rosjurconsulting e quando sono venuti a conoscenza della nascita del bambino; e, infine, precipitare nella disperazione quando sono venuti a sapere che il ricorrente non era il padre biologico del bambino. 10. I giudici nazionali hanno esaminato l’argomento del ricorrente secondo il quale nella clinica russa si era verificato un errore in quanto il suo liquido seminale non era stato utilizzato. Tuttavia, la buona fede dell’interessato non poteva creare il legame biologico che mancava. Secondo noi, applicando in maniera rigorosa il diritto nazionale per determinare la filiazione e andando oltre lo status giuridico creato all’estero i giudici nazionali non sono stati irragionevoli (si veda, a contrario, Wagner e J.M.W.L. sopra citata, § 135). 11. Il tribunale per i minorenni di Campobasso ha ritenuto che il minore non beneficiasse di un ambiente famigliare adeguato ai sensi della legge sull’adozione internazionale. I giudici nazionali hanno tenuto conto del fatto che il minore era nato da genitori biologici sconosciuti e che la madre surrogata aveva rinunciato a lui. Inoltre, essi hanno attribuito una grande importanza alla situazione di illegalità nella quale si erano ritrovati i ricorrenti: questi ultimi avevano portato il minore in Italia facendo credere che si trattasse del loro figlio violando in tal modo il diritto italiano, in particolare la legge sull’adozione internazionale e la legge sulla riproduzione assistita. Oltre a ciò, essi hanno dedotto dal fatto che i ricorrenti si erano rivolti 100 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 alla Rosjurconsulting una volontà di scavalcare la legge sull’adozione nonostante l’autorizzazione ottenuta e hanno ritenuto che tale situazione risultasse da un desiderio narcisistico della coppia o che il minore fosse destinato a risolvere i problemi della coppia. Pertanto, il tribunale ha ritenuto che si potesse dubitare delle capacità affettive ed educative dei ricorrenti, e che fosse pertanto necessario porre fine a tale situazione allontanando il minore dal domicilio dei ricorrenti ed escludere qualsiasi possibilità di contatto con lui. 12. Osserviamo anzitutto che i ricorrenti, giudicati idonei ad adottare nel dicembre 2006 nel momento in cui ricevettero l’autorizzazione, sono stati considerati incapaci di educare e di amare il figlio unicamente sulla base di presunzioni e deduzioni, senza che fosse stata disposta una perizia da parte dei tribunali. Tuttavia, riconosciamo che la situazione che si presentava ai giudici nazionali era delicata e rivestiva un carattere di urgenza. In effetti, non abbiamo motivi per considerare arbitraria la posizione dei giudici nazionali, che hanno ritenuto che i sospetti che pesavano sui ricorrenti erano gravi ed era fondamentale allontanare il minore e metterlo al sicuro senza permettere ai ricorrenti di contattarlo. Nell momento in cui ha deciso di allontanare il minore dai ricorrenti, il tribunale per i minorenni ha tenuto conto del danno certo che lo stesso avrebbe subito ma, visto il breve periodo che aveva passato con loro e la sua giovane età, ha ritenuto che il minore avrebbe superato questo momento difficile della sua vita. Tenuto conto di questi fattori, non abbiamo motivi di dubitare dell’adeguatezza degli elementi sui quali si sono basate le autorità per concludere che il minore avrebbe dovuto essere preso in carico dai servizi sociali. Ne deriva che le autorità italiane hanno agito nel rispetto della legge, ai fini della difesa dell’ordine e allo scopo di tutelare i diritti e la salute del minore, e hanno mantenuto il giusto equilibrio che deve prevalere tra gli interessi in gioco. 3. A nostro parere, non vi sono motivi per rimettere in gioco la valutazione fatta dai giudici italiani. La maggioranza sostituisce la propria valutazione a quella delle autorità nazionali, minando così il principio di sussidiarietà e la dottrina della «quarta istanza». 14. In questo genere di cause, nelle quali i giudici nazionali devono esaminare questioni difficili di bilanciamento degli interessi del minore da una parte e delle esigenze dell’ordine pubblico dall’altra, la Corte dovrebbe secondo noi dare prova di ritegno e limitarsi a verificare se la valutazione fatta dai giudici nazionali sia arbitraria. Gli argomenti sviluppati dalla maggioranza (paragrafi 82-84 della sentenza) non sono convincenti. In particolare, riteniamo che la questione dell’accertamento dell’identità del minore non abbia impatto sulla decisione del 2011 di separarlo dai ricorrenti e potrebbe essere oggetto, al limite, di una doglianza del minore stesso. 15. Inoltre, la posizione della maggioranza equivale, in sostanza, a negare la legittimità della scelta dello Stato di non riconoscere alcun effetto alla gestazione surrogata. Se è sufficiente creare illegalmente un legame con il minore all’estero perché le autorità nazionali siano obbligate a riconoscere l’esistenza di una «vita famigliare», è evidente che la libertà degli Stati di non riconoscere effetti giuridici alla gestazione surrogata, libertà comunque riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte (Mennesson c. Francia, n. 65192/11), 26 giugno 2014, § 79, e Labassee c. Francia, (n. 65941/11), 2 giugno 2014, § 58), viene annientata. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 101 La partecipazione degli enti pubblici alle gare di appalto e la tutela della concorrenza NOTA A CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA, SEZIONE QUINTA, SENTENZA 18 DICEMBRE 2014, CAUSA C-568/13 Stefano Varone* Analizzando la più recente giurisprudenza, tanto a livello nazionale quanto europeo è possibile osservare una netta evoluzione nell’approccio alla tematica della partecipazione degli enti pubblici alle gare di appalto, questione parallela, ma non integralmente sovrapponibile, a quella avente ad oggetto la partecipazione alle medesime procedure di gara degli enti privi di scopo di lucro (1). Già in precedenza il Consiglio di Stato (2) era giunto alla conclusione che l’art. 34 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 non individua tassativamente i soggetti legittimati alla partecipazione alle gare (3), precisando che lo scopo di lucro non è essenziale per la definizione di un soggetto come operatore economico, in quanto, pur in assenza di detto fine, non può escludersi che l’ente eserciti un’attività economica e costituisca impresa ai sensi delle disposizioni del Trattato. (*) Avvocato dello Stato. (1) Per quanto concerne le Onlus è possibile richiamare Cons. Stato, Sent. 20 novembre 2012, n. 5882 che, confermando i propri precedenti (sentenza 18 agosto 2010 n. 5815 e 26 agosto 2010 n. 5956) ribadisce che la vigente normativa consente anche a soggetti senza scopo di lucro di partecipare alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici alla condizione che esercitino anche attività d’impresa funzionale ai loro scopi ed in linea con la relativa disciplina statutaria, giacché l’assenza di fini di lucro non esclude che tali soggetti possano esercitare un’attività economica e che, dunque, siano ritenuti “operatori economici”, potendo soddisfare i necessari requisiti per essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o “prestatori di servizi”. Per un’analisi di detta pronuncia si veda CAPASSO, La partecipazione agli appalti pubblici di Onlus e associazioni di volontariato quali la Croce bianca di Milano alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, in Riv. amm., 2013, 34. Proprio in riferimento all’ordinamento italiano la Corte di giustizia, con sentenza 29 novembre 2007, causa C-119/06, valutando la normativa della regione Toscana in riferimento agli affidamenti socio-sanitari ad organizzazioni di volontariato ha affermato che si è in presenza di contratti di appalto anche qualora non si preveda un corrispettivo in senso tecnico ma solo il rimborso delle spese sostenute quando i rimborsi sono forfetari, non corrisposti cioè in base alla documentazione delle spese effettivamente sopportate: secondo la Corte infatti in questo modo potrebbero essere occultate extracompensazioni sostanzialmente remunerative. (2) Cons. Stato, Sez. VI, sent. 16 giugno 2009, n. 3897. (3) Di recente il TAR Lazio, con sentenza 14 gennaio 2015 n. 539 ha confermato il carattere aperto ed esemplificativo dell’elencazione di cui all’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006 dei soggetti ammessi a partecipare alle gare pubbliche e l’assenza di norme generali di divieto nei confronti degli stessi, escludendo pertanto “ogni aprioristica chiusura delle procedure di affidamento nei confronti di tale ampia categoria di soggetti. … In sostanza, la definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti. 102 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Ogni valutazione in ordine ai possibili limiti alla partecipazione dei soggetti pubblici alle gare di appalto non può d’altronde prescindere dall’analisi dell’articolo 345 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea il quale prevede il principio di neutralità nei confronti del regime della proprietà, pubblica o privata (4). È su tale base normativa che la Corte di giustizia ha più volte affermato il principio di eguaglianza tra imprese private e imprese pubbliche. Secondo l’art. 345 T.F.U.E. (5) infatti “i Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri” e non stabiliscono, quindi, alcuna forma di penalizzazione della proprietà (e pertanto dell’impresa) pubblica rispetto a quella privata (6). Il diritto dell’Unione europea non vieta agli Stati di sviluppare attività economiche né di partecipare in (o essere proprietari di) imprese operanti sul mercato (7). Tale conclusione risulta avvalorata dall’art. 106 del TFUE che legittima pienamente l’esistenza di imprese pubbliche lì dove prevede che “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi”. Qualsiasi operatore, pubblico o privato, deve d’altronde essere conside- L’unico limite all’ammissibilità delle offerte di soggetti pubblici non imprenditori può semmai derivare, eventualmente, da clausole statutarie auto-limitative ovvero dallo statuto giuridico proprio di quel tipo di ente (sia esso pubblico o privato) sulla base delle normativa nazionale di riferimento: sarà cioè necessario effettuare, caso per caso, un esame approfondito dello statuto di tali persone giuridiche al fine di valutare gli scopi istituzionali per cui sono state costituite”. (4) T.A.R. Lombardia Milano Sent. 10 febbraio 2012, n. 458 osserva che “per il diritto comunitario la proprietà pubblica dell’impresa costituisce, di per sé, un fattore neutro rispetto al dispiegarsi della concorrenza (art. 295 del Trattato), purché da ciò non derivino, sotto forma di finanziamenti, affidamenti diretti etc., aiuti idonei di alterare la par condicio fra essa e gli altri operatori. Le ipotesi in cui l’ordinamento, a tutela della concorrenza, impone a determinate imprese a capitale pubblico divieti di partecipazione alle gare devono, perciò, ritenersi tassative e fra queste non rientra il caso in cui il capitale della società partecipante alla gara sia di proprietà della stazione appaltante”. (5) Già art. 295 del Trattato. In materia, PICOZZA, L’incidenza del diritto comunitario (e del diritto internazionale) sui concetti fondamentali del diritto pubblico dell’economia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 239 ss. (6) Come osservato da D. CASALINI, Oltre la tutela della concorrenza: le forme giuridiche nazionali di esercizio dell’impresa pubblica, in Giornale dir. amm., 2009, 969, la presenza dell’imprenditore pubblico che può disporre di risorse pubbliche illimitate e acquisibili senza rischio finanziario può produrre distorsioni nei settori di mercato su cui incide la propria attività che l’ordinamento europeo contrasta con l’imposizione di regole di concorrenza unitarie per l’imprenditore privato e per quello pubblico, entrambi soggetti agli art. 81 e ss. del Trattato salva l’eccezione per i servizi di interesse economico generale. (7) Il diritto dei singoli Stati all’autoproduzione di beni e servizi è confermato dalla recente direttiva 24/14UE: al 5° considerando si precisa infatti che “È opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici”. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 103 rato un’impresa ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (già 87, paragrafo 1 del trattato CE) qualora svolga un’attività economica (8). Con la precisazione che, “un soggetto di diritto, segnatamente un ente pubblico, può essere considerato un’impresa unicamente per quanto riguarda una parte delle sue attività, se queste ultime corrispondono a quelle che devono essere qualificate come attività economiche. Infatti, nei limiti in cui un ente pubblico svolga un’attività economica che può essere dissociata dall’esercizio dei suoi pubblici poteri, in ordine a una siffatta attività tale ente agisce come impresa mentre, qualora la suddetta attività economica sia indissociabile dall’esercizio dei suoi pubblici poteri, tutte le attività svolte da tale ente rimangono attività che si ricollegano all’esercizio dei suddetti poteri” (9). Proprio in conformità con tale impostazione, la direttiva 2004/18/CE qualifica come “imprenditore”, “fornitore” “prestatore di servizi” qualsiasi “persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi”, senza, dunque, operare discriminazione alcuna tra la posizione degli operatori pubblici e quella degli operatori privati. Il descritto quadro interpretativo è poi confermato dalla recente direttiva 24/14/UE ove, al 31° considerando, si legge che “il solo fatto che entrambe le parti di un accordo siano esse stesse autorità pubbliche non esclude di per sé l’applicazione delle norme sugli appalti” (10). Se, alla luce dei suddetti parametri, un soggetto pubblico è qualificabile, nell’ambito dell’attività esercitata, quale operatore economico, non sussistono aprioristiche e generalizzate preclusioni alla partecipazione alle gare di appalto indette da altre amministrazioni aggiudicatrici (11). (8) Dall’esame della giurisprudenza della Corte si evince che costituisce un’impresa, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di concorrenza, qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (sentenze del 23 aprile 1991, C 41/90, punto 21, nonché sentenza 17 febbraio 1993, C 159/91 e C 160/91, punto 17). Va poi ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, costituisce attività economica qualunque attività consistente nell’offrire beni o servizi in un determinato mercato. (9) Corte di Giustizia, sentenza 12 luglio 2012, causa C-138/11, punti 37 e 38. (10) Significativo anche il 14° considerando, ove si legge che “la nozione di «operatori economici » dovrebbe essere interpretata in senso ampio, in modo da comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare. Pertanto imprese, succursali, filiali, partenariati, società cooperative, società a responsabilità limitata, università pubbliche o private e altre forme di enti diverse dalle persone fisiche dovrebbero rientrare nella nozione di operatore economico, indipendentemente dal fatto che siano «persone giuridiche» o meno in ogni circostanza”. (11) È stata piuttosto valutata contraria al diritto europeo, in quanto violativa del principio di proporzionalità, una normativa diretta ad escludere dalle gare pubbliche intere categorie di operatori in virtù di una presunzione assoluta di violazione del principio di parità di trattamento, senza permettere valutazioni caso per caso (Corte di Giustizia, grande sezione, 16 dicembre 2008, C-213-07). 104 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 La tematica risulta d’altronde direttamente influenzata da quella giurisprudenza che ha sancito la progressiva contrazione degli spazi riservati gli affidamenti diretti (12) e la delimitazione del campo riservato agli accordi fra soggetti “pubblici” (13). La facoltà di partecipare alle gare d’appalto agli enti pubblici ai quali il diritto nazionale consenta di offrire beni e servizi sul mercato può in un certo senso essere letta quale contraltare alla regola per le amministrazioni aggiudicatrici che intendano stipulare accordi aventi ad oggetto il trasferimento di beni o la prestazione di servizi, di ricorrere alla gara, anche se un’altra amministrazione aggiudicatrice sia disponibile a fornire i beni o servizi stessi. Preso quindi atto del chiaro indirizzo interpretativo della Corte di Giustizia (14), che fa leva sulla nozione di operatore economico delineata dalle di- (12) La questione dell’affidamento diretto è stata di recente affrontata dalla Corte di Giustizia, che ne ha sostanzialmente confermato la valenza di regime eccezionale nella sentenza 11 dicembre 2014, n. 113/13 (relativa al servizio di trasporto sanitario di urgenza svolto tramite associazioni di volontariato) oltre che nella ormai copiosa giurisprudenza sull’in house providing, fattispecie quest’ultima che legittima sì l’esenzione dalla gara, ma al ricorrere di specifici requisiti di controllo tra i soggetti coinvolti nell’operazione. La deroga all’applicazione del generale principio pro concorrenziale si giustifica infatti per il fatto che un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi, e che tale deroga può essere estesa alle situazioni in cui la controparte contrattuale è un’entità giuridicamente distinta dall’amministrazione aggiudicatrice, qualora quest’ultima eserciti sull’affidatario un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la parte più importante della propria attività con l’amministrazione o con le amministrazioni aggiudicatrici che la controllano (Corte di Giustizia, sentenza 8 maggio 2014, causa C 15/2013. (13) Corte giustizia Grande Sez., sent. 19 dicembre 2012, C. 159/11 “Il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui tale contratto non abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”. Sulla tematica si vedano anche le osservazioni critiche di M. MAZZAMUTO, L’apparente neutralità comunitaria sull’autoproduzione pubblica: dall’in house al Partenariato “Pubblico-Pubblico” in Giur. It., 2013, 6 secondo il quale già sul piano sistematico, una sopravvalutazione dell’autoproduzione pubblica (quale risultante dall’utilizzo di accordi fra amministrazioni e dall’applicazione del modello in house) “non potrebbe cadere in una mera irrilevanza comunitaria, finendo per compromettere in parte qua l’obiettivo della costruzione del mercato unico”. (14) Corte giustizia sent. 23 dicembre 2009, C. 305/08 che ha ammesso la partecipazione delle Università e degli Istituti di ricerca affermando che la nozione di “operatore economico” comprende anche soggetti senza scopo di lucro, che non dispongono di una struttura organizzativa d’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato. In detta occasione la Corte ha, fra l’altro, affermato che un’interpretazione restrittiva della nozione di “operatore economico” avrebbe come conseguenza che i contratti conclusi tra amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in base a un preminente scopo di lucro non sarebbero considerati come “appalti pubblici”, potrebbero essere aggiudicati in modo informale e, in tal modo, sarebbero sottratti alle norme comunitarie in materia di parità di trattamento e di trasparenza, in contrasto con la finalità delle medesime norme. In precedenza la Corte di giustizia, con sentenza 18 dicembre 2007, n. 357 aveva escluso che una normativa nazionale potesse limitare la partecipazione alle gare (in quel caso inerenti l’affidamento di CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 105 rettive europee (ma anche su più ampi principi di sistema ricavabili dalle disposizioni dei Trattati) per affermare il divieto di una generalizzata esclusione dei soggetti pubblici dalle gare di appalto, l’attenzione si è spostata sull’esame delle condizioni in base alle quali consentire la partecipazione nel quadro della garanzia di un corretto assetto concorrenziale. In detto quadro si era collocata l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 5241 del 2013 che rimetteva alla Corte di Giustizia non solo il quesito inerente la possibilità di escludere in via generalizzata gli enti pubblici dalla partecipazione alle gare (15), ma anche la specifica questione se il diritto dell’Unione osta ad una normativa che permetta ad un soggetto che beneficia stabilmente di risorse pubbliche e che è affidatario in via diretta di un servizio pubblico di presentare offerte benché le predette circostanze determinino un oggettivo vantaggio competitivo nel confronto concorrenziale con altri operatori economici operanti nel settore. In sostanza l’analisi si va a spostare dal profilo dell’astratta partecipazione a quello della sussistenza di possibili asimmetrie (16) e delle misure necessarie a garantire un corretto assetto concorrenziale. In detto contesto l’ordinanza n. 5241/13 del Consiglio di Stato, con cui è stato disposto il rinvio pregiudiziale, osservava lucidamente che la progressiva estensione del novero dei soggetti ammessi a partecipare alle gare, che include soggetti che beneficiano di regimi agevolati, anche dal punto di vista fiscale, porta con sé il rischio che la competizione sia caratterizzata, sempre di più, da una evidente disomogeneità tra i concorrenti. Ragionando astrattamente si potrebbe ritenere che quello che occorre verificare nelle singole fattispecie è se la partecipazione concretizzi un aiuto di servizi pubblici locali) alle sole società di capitali, escludendo soggetti che rivestono altre forme giuridiche quali le società in nome collettivo. Va ricordato anche che la Corte di Giustizia, con Ordinanza, 4 ottobre 2012, C. 502/11, ha ritenuto che il diritto dell’UE osta ad una normativa nazionale che vieta a una società quale una società semplice di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica. (15) Sul punto la Corte di Giustizia si era tuttavia già espressa con la sentenza 19 dicembre 2012, n. 159 ove al punto 27 si legge “gli Stati membri possono disciplinare le attività di tali soggetti e, in particolare, autorizzarli o non autorizzarli ad operare sul mercato, tenuto conto dei loro fini istituzionali e statutari. Comunque, se e nei limiti in cui i suddetti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi sul mercato, non può essere loro vietato di partecipare a una gara d’appalto avente ad oggetto i servizi in questione”. Come di recente precisato da T.A.R. Lazio Roma Sez. III, sent. 14 gennaio 2015, n. 539, limite certo all’ammissibilità delle offerte di soggetti pubblici non imprenditori può derivare da clausole statutarie auto-limitative ovvero dallo statuto giuridico proprio di quel tipo di ente sulla base delle normativa nazionale di riferimento: sarà cioè necessario effettuare, caso per caso, un esame approfondito dello statuto di tali persone giuridiche al fine di valutare gli scopi istituzionali per cui sono state costituite. (16) In questo senso la recente Cons. Stato Sez. V, Sent. 21 novembre 2014, n. 5767 ha ad esempio ammesso la partecipazione di una università ad una gara bandita da un ente regionale, ma ha precisato che nel caso di specie non sussisteva alcuna “prova di connessione tra il sostegno pubblico e la partecipazione e l’aggiudicazione di una gara d’appalto”. 106 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Stato (17), ipotesi che determinerebbe l’applicazione della relativa sottodisciplina. Si potrebbe altresì valutare la particolare configurazione della fattispecie e la possibile riconduzione ad una fattispecie di abuso di posizione dominante (18), che l’art. 102 TFUE valuta incompatibile con il mercato comune. Orbene, proprio la tematica dell’incidenza del finanziamento pubblico sull’offerta è stata affrontata dalla Corte di Giustizia nella sentenza 18 dicembre 2014. Al fine di comprendere le sintetiche conclusioni rese sul punto è tuttavia opportuno ricostruire il quadro di riferimento. Occorre partire dalla constatazione che il convincimento espresso dal Giudice remittente è che il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici - in particolare, i principi generali di libera concorrenza, non discriminazione e proporzionalità - osterebbe ad una normativa nazionale che permette ad un ente che beneficia stabilmente di risorse pubbliche e che è affidatario in via diretta di un servizio pubblico, di lucrare da tale situazione un vantaggio competitivo determinante nel confronto concorrenziale con altri operatori economici, vantaggio che viene desunto dall’entità del ribasso offerto (19). Sul punto è possibile osservare che la Corte di giustizia si è già occupata del caso di enti pubblici che beneficiano di sovvenzioni erogate dallo Stato e che consentono loro di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri offerenti, ma ha escluso che tale circostanza sia preclusiva alla partecipazione a procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici. L’analisi è stata condotta dapprima in riferimento alle disposizioni della direttiva 92/50 CE che si è ritenuta autorizzare “esplicitamente la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico di enti finanziati eventualmente mediante fondi pubblici” precisando che “non si può tuttavia escludere che, in talune circostanze particolari, la direttiva 92/50 obbliga le amministrazioni aggiudicatrici, o quantomeno consente loro, di prendere in considerazione l’esistenza di sovvenzioni, ed in particolare di aiuti non compatibili con il Trattato, al fine eventualmente di escludere gli offerenti che ne beneficiano” (20). (17) Sul punto può essere utile richiamare la sentenza della Corte giustizia 3 aprile 2014, C. 559/12, secondo la quale una garanzia implicita e illimitata concessa dallo Stato a un ente pubblico a carattere commerciale e industriale costituisce un aiuto di Stato illegittimo. (18) Per la giurisprudenza comunitaria l’abuso di posizione dominante corrisponde ad una potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato in questione, ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei concorrenti, dei clienti, ed in ultima analisi dei consumatori. Si veda Corte giustizia, Sent. 15 marzo 2007, C. 95/04. (19) La possibile incidenza sulle dinamiche concorrenziali è stata presa in considerazione (sia pure per escluderla nel caso concreto) dalla successiva sentenza del Consiglio di Stato 21 novembre 2014 n. 5767, al quale aveva ribadito che il principio da affermare è quello che depone per l’apertura alla concorrenza anche in casi in cui acquisiscano la veste di operatori economici taluni enti pubblici astrattamente beneficiari di finanziamenti statali, “allorché, come nel caso di specie, non vi sia alcuna prova di connessione tra il sostegno pubblico e la partecipazione e l’aggiudicazione di una gara d’appalto”. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 107 Nella successiva elaborazione è stato ampiamente confermato che il finanziamento pubblico non si pone quale elemento preclusivo alla partecipazione, ma che lo stesso può essere verificato, nella sua concreta incidenza sulla procedura di gara, alla luce della normativa sugli aiuti di stato e sulle offerte anomale (21). D’altronde, a differentemente argomentare, qualsivoglia soggetto riconducibile alla nozione sostanziale di Pubblica Amministrazione, (si pensi alle società partecipate da soggetti pubblici) risulterebbe impossibilitato a partecipare alle procedure di evidenzia pubblica. Ciò determinerebbe la sostanziale sterilizzazione della capacità negoziale di qualsivoglia soggetto pubblico, cui verrebbe precluso ogni possibile svolgimento di attività economica o imprenditoriale sul mercato. Ciò che risulterebbe, oltre che illogico, anche contrastante con la stessa giurisprudenza relativa alla tematica dell’in house providing (22) la quale rivela, specularmente, la legittimità della partecipa- (20) Corte di Giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, C-94/99, punto 29, la quale conclude (punto 32) statuendo che “il principio di parità di trattamento degli offerenti di cui alla direttiva 92/50 non è violato per il solo fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ammette a partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi organismi che ricevono, da essa stessa o da altre amministrazioni aggiudicatrici, sovvenzioni, indipendentemente dalla loro natura, che consentono a questi organismi di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri offerenti che non beneficiano di tali sovvenzioni”. Sempre in riferimento alla medesima normativa (che in parte qua non presenta tuttavia elementi di divergenza sostanziale da quella attualmente vigente) la Corte ha poi escluso la violazione del principio di parità di trattamento anche nel caso in cui l’amministrazione appaltante ammetta a partecipare ad una procedura di aggiudicazione organismi che ricevono, da essa stessa o da altre amministrazioni aggiudicatrici, sovvenzioni, indipendentemente dalla loro natura o dal fatto di essere partecipati dalla stessa amministrazione (sentenza 11 gennaio 2005; C-26/03). (21) Il richiamo è alla sentenza 23 dicembre 2009, C-305/08, in cui la Corte di Giustizia ha statuito che “In ordine alla questione, sollevata dal giudice del rinvio, di una possibile distorsione della concorrenza a motivo della partecipazione ad un appalto pubblico di enti che, come il ricorrente nella causa principale, vanterebbero una posizione privilegiata rispetto a quella degli operatori privati grazie a finanziamenti pubblici che vengono loro erogati, si deve sottolineare che il quarto ‘considerando’ della direttiva 2004/18 enuncia l’obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché una distorsione di questo tipo non si produca per il fatto della partecipazione di un organismo di diritto pubblico a un appalto pubblico. Detto obbligo si impone anche con riguardo ad entità come il suddetto ricorrente. Si devono altresì ricordare, al riguardo, gli obblighi e le facoltà di cui dispone un’amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’art. 55, n. 3, della direttiva 2004/18, in caso di offerte anormalmente basse dovute alla circostanza che l’offerente ha ottenuto un aiuto di Stato. Peraltro, la Corte ha riconosciuto che, in talune circostanze particolari, l’amministrazione aggiudicatrice ha l’obbligo, o quanto meno la facoltà, di prendere in considerazione l’esistenza di sovvenzioni, ed in particolare di aiuti non compatibili con il Trattato, al fine eventualmente di escludere gli offerenti che ne beneficiano. Tuttavia, l’eventualità di una posizione privilegiata di un operatore economico in ragione di finanziamenti pubblici o aiuti di Stato non può giustificare l’esclusione a priori e senza ulteriori analisi di enti, quali il ricorrente nella causa principale, dalla partecipazione a un appalto pubblico. […]”. (22) Si vedano Corte di Giustizia, sentenza 11 gennaio 2005, in causa C-26/03; id. sent. 13 ottobre 2005 in causa C-458/03, id. sent 18 novembre 1999, in C-197/98; sent., 13 novembre 2008, n. 324/07. Sull’ambito dell’in house occorrerà valutare l’impatto della nuova direttiva appalti 2014/24/UE, nell’individuare gli spazi nei quali l’applicazione della direttiva stessa è esclusa, all’art. 12 tratta degli “Ap- 108 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 zione a procedimenti di evidenza pubblica da parte di società partecipate dall’ente aggiudicatario. Il modello dell’in house è stato infatti da sempre inquadrato dalla Corte come eccezione all’obbligo di ricorrere alla gara ogni volta che l’amministrazione debba acquisire opere servizi o risorse strumentali. Raffrontando il settore pubblico con quello privato va poi considerato che anche soggetti privati possono essere animati da un lato da logiche di gruppo e comunque beneficiare di vantaggi competitivi che si ripercuotono sull’aspetto qualitativo e quantitativo delle offerte, ma non per questo sono esclusi aprioristicamente dalla partecipazione alle gare. Piuttosto sono soggetti allo strumento di verifica dell’anomalia dell’offerta nonché alla disciplina repressiva dell’abuso di posizione dominante, che l’art. 102 TFUE ritiene incompatibile con il mercato comune. La conclusione che pare di poter trarre dall’analisi della giurisprudenza stratificatasi nel tempo è pertanto che le garanzie derivanti dalla procedura ad evidenza pubblica consentono di escludere che la partecipazione ad una gara di un ente pubblico economico che riceve stabilmente risorse pubbliche possa di per sé determinare un fattore distorsivo della concorrenza. La conferma della correttezza dell’indirizzo interpretativo deriva proprio dalla recente sentenza della Corte di Giustizia 18 dicembre 2014 resa in causa C-568/13, che pur si caratterizza per un evidente equilibrismo frutto della consapevolezza che la quadratura del cerchio, nella materia in questione, risulta di fatto assai ardua. La Corte, dopo aver preso atto che non è possibile escludere un offerente “a priori e senza esami ulteriori” dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che grazie a sovvenzioni palti pubblici tra enti nell’ambito del settore pubblico”, fornendo una definizione normativa parzialmente innovativa dell’istituto. In particolare il primo comma della citata norma così dispone: Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Va fin da ora precisato che analoghe disposizioni sono contenute nella direttiva sui settori speciali e nella direttiva concessioni (rispettivamente agli artt. 28 e 17). Ritiene che dalle nuove direttive emerga “una netta modifica delle regole già fissate in via pretoria dalla giurisprudenza, quanto meno in ordine ai requisiti della partecipazione totalitaria e della prevalenza dell’attività svolta in favore dell’amministrazione aggiudicatrice” G. VELTRI, In house e anticipata efficacia della direttiva 2014/24/ue in Urbanistica e appalti, 2015, 6, 655. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 109 pubbliche è in grado di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato e che nella vigente normativa non sono configurati meccanismi correttivi volti a riequilibrare le condizioni di partenza tra operatori economici disomogenei, non resta che constatare (punto 41) che l’unico strumento giuridico utilizzabile è quello di verifica dell’anomalia delle offerte anormalmente basse. Resta ovviamente la possibilità di valutare la questione alla luce delle disposizioni in materia di aiuti di stato, ma anche qui la posizione della Corte è quanto mai ondivaga. Le considerazioni sono rese alla luce della direttiva 92/50 CE, ma le considerazioni della Corte paiono rilevanti anche alla luce della vigente disciplina, la quale espressamente prevede che le giustificazioni inerenti il prezzo anormalmente basso possono attenere anche all’eventualità che l’offerente ottenga un aiuto di Stato, con la precisazione che in detta ipotesi “l’amministrazione aggiudicatrice che accerta che un’offerta è anormalmente bassa in quanto l’offerente ha ottenuto un aiuto di Stato può respingere tale offerta per questo solo motivo unicamente se consulta l’offerente e se quest’ultimo non è in grado di dimostrare, entro un termine sufficiente stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice, che l’aiuto in questione era stato concesso legalmente” (23). Di sicuro viene sconfessata la posizione del Consiglio di Stato che nell’ordinanza di remissione aveva ritenuto (punto 10.1) che “il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici - in particolare, i principi generali di libera concorrenza, non discriminazione e proporzionalità - osta ad una normativa nazionale che permetta ad un soggetto (…) che beneficia stabilmente di risorse pubbliche e che è affidataria in via diretta di un servizio pubblico, di lucrare da tale situazione un vantaggio competitivo determinante nel confronto concorrenziale con altri operatori economici, come dimostra l’entità del ribasso offerto”. Sul punto la sentenza della corte di Giustizia risulta chiarissima lì dove prende atto (24) che “il legislatore dell’Unione, pur essendo consapevole della diversa natura dei concorrenti che partecipano a un appalto pubblico, non ha previsto altri meccanismi oltre a quello della verifica e dell’eventuale rigetto delle offerte anormalmente basse”, verifica di anomalia nel cui ambito valutare l’eventuale sussistenza di un aiuto di stato illegittimamente concesso (25), che pare essere l’unica vera causa di possibile esclusione del soggetto giuridico (26). (23) Art. 55 comma terzo della direttiva 18/2004. Disposizione di analogo tenore è ora contenuta nell’art. 69 della direttiva 24/2014, la quale richiede la verifica che l’aiuto sia “compatibile con il mercato interno ai sensi dell’articolo 107 TFUE”. (24) Corte di Giustizia, 18 dicembre 2014 resa in causa C- 568/13, punto 41. (25) Sul piano nazionale la Cassazione si è occupata dell’incidenza dell’abusivo utilizzo di agevolazioni fiscali nell’ambito del regime concorrenziale. Benché la questione presenti esclusivamente li- 110 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Sotto questo profilo la norma europea che viene in rilievo è l’art. 107, n. 1, TFUE, il quale si applica solo ad aiuti (27) concessi, direttamente o indirettamente, ad imprese. Pertanto, qualora un ente pubblico si limitasse a svolgere attività che non possono essere qualificate come economiche, non agendo come un’impresa non potrebbe considerarsi beneficiario di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107, n. 1, TFUE. Nell’ipotesi invece in cui lo stesso ponesse in essere anche attività consistenti nell’offrire servizi sul mercato, con riferimento a quest’ultimo segmento dovrebbe essere considerato come un’impresa con la conseguente applicazione della normativa sugli aiuti. Proprio sulla base di detti presupposti la Commissione europea aveva ritenuto che per poter escludere che le attività d’impresa beneficino di aiuti di Stato derivanti dal finanziamento pubblico delle attività non economiche sarebbe necessario adottare una separazione contabile, che consenta di verificare che le attività di impresa non traggano direttamente od indirettamente vantaggio dal finanziamento. Sul punto la Corte di giustizia ha tuttavia espressamente affermato (punto 45 della sentenza) che dall’assenza di tale separazione l’amministrazione aggiudicatrice non può automaticamente desumere che l’offerta (anormalmente bassa) sia stata resa possibile grazie all’ottenimento di una sovvenzione o di un aiuto di Stato non conforme al Trattato. mitati punti di contatto con la tematica dell’aiuto di stato interessante è che Cass. civ. Sez. I, 17 luglio 2008, n. 19720 abbia ritenuto che può costituire condotta di concorrenza sleale per violazione di norme pubblicistiche “lo svolgimento di un’attività d’impresa fruendo delle agevolazioni anche fiscali previste per le attività di volontariato, ma in termini tali da eccedere i limiti cui la normativa di settore subordina i relativi benefici, in quanto da tale condotta, per i minori costi di esercizio, può derivare un danno per l’impresa del concorrente”. (26) Anche in merito all’obbligo di valutazione della sussistenza di un aiuto di Stato la Corte di Giustizia non assume tuttavia posizioni chiarissime, risultando ondivaga se si tratti di un dovere o di una facoltà. Al punto 44 infatti, richiamando i precedenti ARGE e CoNISMa, si afferma che “in talune circostanze particolari, l’amministrazione aggiudicatrice ha l’obbligo, o quanto meno la facoltà, di prendere in considerazione l’esistenza di sovvenzioni, e in particolare di aiuti non conformi al Trattato, al fine eventualmente di escludere gli offerenti che ne beneficiano”. Nel dispositivo si legge poi che (enfasi aggiunta) “nell’esaminare il carattere anormalmente basso di un’offerta sul fondamento dell’articolo 37 di tale direttiva, l’amministrazione aggiudicatrice può prendere in considerazione l’esistenza di un finanziamento pubblico di cui detta azienda beneficia, alla luce della facoltà di respingere tale offerta”. (27) Sul carattere giuridico della nozione di aiuto di Stato, Corte giustizia 22 dicembre 2008, causa C-487/06. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 111 Corte di giustizia dell’Unione europea, Quinta Sezione, sentenza 18 dicembre 2014, causa C-568/13 - Pres. T. von Danwitz, Rel. E. Juhász, Ag. Gen. J. Kokott - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) - Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi-Firenze / Data Medical Service srl. «Rinvio pregiudiziale – Appalti pubblici di servizi – Direttiva 92/50/CEE – Articoli 1, lettera c), e 37 – Direttiva 2004/18/CE – Articoli 1, paragrafo 8, primo comma, e 55 – Nozioni di “prestatore di servizi” e di “operatore economico” – Azienda ospedaliera universitaria pubblica – Ente dotato di personalità giuridica nonché di autonomia imprenditoriale e organizzativa – Attività prevalentemente non lucrativa – Finalità istituzionale di offrire prestazioni sanitarie – Possibilità di offrire servizi analoghi sul mercato – Ammissione a partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 1, lettera c), e 37 della direttiva 92/50/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), e degli articoli 1, paragrafo 8, primo comma, e 55 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’Azienda Ospedaliero- Universitaria di Careggi-Firenze (in prosieguo: l’«Azienda») e la Data Medical Service Srl (in prosieguo: la «Data Medical Service») in merito alla regolarità dell’esclusione del primo ente dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. Contesto normativo Il diritto dell’Unione 3 L’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50 così disponeva: «“prestatori di servizi” [sono] le persone fisiche o giuridiche, inclusi gli enti pubblici che forniscono servizi (...)». 4 Ai sensi dell’articolo 37 di tale direttiva: «Se, per un determinato appalto, talune offerte presentano carattere anormalmente basso rispetto alla prestazione, l’amministrazione, prima di poter eventualmente respingere tali offerte, richiede per iscritto le precisazioni in merito agli elementi costitutivi dell’offerta in questione che essa considera pertinenti e verifica detti elementi costitutivi tenendo conto di tutte le spiegazioni ricevute. L’amministrazione può prendere in considerazione giustificazioni riguardanti l’economia del metodo di prestazione del servizio o le soluzioni tecniche adottate o le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’offerente per prestare il servizio, oppure l’originalità del servizio proposto dall’offerente. Se i documenti relativi all’appalto prevedono l’attribuzione al prezzo più basso, l’amministrazione aggiudicatrice deve comunicare alla Commissione il rifiuto delle offerte ritenute troppo basse». 5 Il considerando 1 della direttiva 2004/18 indica che tale direttiva procede, per motivi di chiarezza, alla rifusione in un unico testo delle direttive precedenti applicabili in materia di appalti pubblici di servizi, di forniture e di lavori, ed è basata sulla giurisprudenza della Corte. 112 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 6 Ai sensi del considerando 4 della richiamata direttiva: «Gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché la partecipazione di un offerente che è un organismo di diritto pubblico a una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico non causi distorsioni della concorrenza nei confronti di offerenti privati». 7 L’articolo 1, paragrafo 8, primo e secondo comma, della medesima direttiva così prevede: «I termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi” designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi. Il termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore, il prestatore di servizi. È utilizzato unicamente per semplificare il testo». 8 L’articolo 55 della direttiva 2004/18, rubricato «Offerte anormalmente basse», è così formulato: «1. Se, per un determinato appalto, talune offerte appaiono anormalmente basse rispetto alla prestazione, l’amministrazione aggiudicatrice, prima di poter respingere tali offerte, richiede per iscritto le precisazioni ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell’offerta in questione. Dette precisazioni possono riguardare in particolare: a) l’economia del procedimento di costruzione, del processo di fabbricazione dei prodotti o del metodo di prestazione del servizio; b) le soluzioni tecniche adottate e/o le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’offerente per eseguire i lavori, per fornire i prodotti o per prestare i servizi; c) l’originalità dei lavori, delle forniture o dei servizi proposti dall’offerente; d) il rispetto delle disposizioni relative alla protezione e alle condizioni di lavoro vigenti nel luogo in cui deve essere effettuata la prestazione; e) l’eventualità che l’offerente ottenga un aiuto di Stato. 2. L’amministrazione aggiudicatrice verifica, consultando l’offerente, detti elementi costitutivi tenendo conto delle giustificazioni fornite. 3. L’amministrazione aggiudicatrice che accerta che un’offerta è anormalmente bassa in quanto l’offerente ha ottenuto un aiuto di Stato può respingere tale offerta per questo solo motivo unicamente se consulta l’offerente e se quest’ultimo non è in grado di dimostrare, entro un termine sufficiente stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice, che l’aiuto in questione era stato concesso legalmente. Quando l’amministrazione aggiudicatrice respinge un’offerta in tali circostanze, provvede a informarne la Commissione». Il diritto italiano 9 Dall’articolo 3 del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502, «Riordino della disciplina in materia sanitaria», (supplemento ordinario alla GURI n. 305, del 30 dicembre 1992), come interpretato dalla Corte costituzionale, emerge che le aziende sanitarie sono enti pubblici economici che «assolvono compiti di natura essenzialmente tecnica, che esercitano con la veste giuridica di aziende pubbliche, dotate di autonomia imprenditoriale, sulla base degli indirizzi generali contenuti nei piani sanitari regionali e negli indirizzi applicativi impartiti dalle Giunte regionali». 10 Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 bis, di tale decreto legislativo: «In funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale; CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 113 la loro organizzazione ed il funzionamento sono disciplinati con atto aziendale [atto con cui sono definite le responsabilità nella gestione dell’azienda, in particolare a livello di bilancio] di diritto privato, nel rispetto dei princìpi e criteri previsti da disposizioni regionali. L’atto aziendale individua le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica». 11 La direttiva 92/50 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano con decreto legislativo del 17 marzo 1995, n. 157 (supplemento ordinario alla GURI n. 104, del 6 maggio 1995). 12 Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale decreto legislativo: «Sono amministrazioni aggiudicatrici: le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico comunque denominati». 13 L’articolo 5, paragrafo 2, lettera h), di detto decreto legislativo prevede che quest’ultimo non si applichi «agli appalti pubblici di servizi aggiudicati a un ente che sia esso stesso un’amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 2, in base a un diritto di esclusiva di cui beneficia in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, purché queste siano compatibili con il trattato». 14 La direttiva 2004/18 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano con decreto legislativo del 12 aprile 2006, n. 163 (supplemento ordinario alla GURI n. 100, del 2 maggio 2006), che codifica le regole in materia di appalti pubblici. 15 L’articolo 19, paragrafo 2, di tale decreto legislativo così dispone: «Il presente codice non si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore ad un’altra amministrazione aggiudicatrice o ad un’associazione o consorzio di amministrazioni aggiudicatrici, in base ad un diritto esclusivo di cui esse beneficiano in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative pubblicate, purché tali disposizioni siano compatibili con il trattato». 16 L’articolo 34, paragrafo 1, di detto decreto designa i soggetti ammessi a partecipare alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici e dispone quanto segue: «Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati: a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative; b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro (…) e i consorzi tra imprese artigiane (...); c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui all’articolo 36; d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c) (…); e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile (...); e bis) le aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’articolo 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (...); 114 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 f) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240 (...); f bis) operatori economici, ai sensi dell’articolo 3, comma 22, stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi». 17 La lettera f bis è stata inserita nell’articolo 34, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 163/2006 con l’adozione del decreto legislativo dell’11 settembre 2008, n. 152 (supplemento ordinario alla GURI n. 231, del 2 ottobre 2008), in seguito a una procedura d’infrazione avviata contro la Repubblica italiana dalla Commissione, la quale aveva sottolineato che le direttive in materia di appalti pubblici non consentono di limitare la possibilità di partecipare alle gare d’appalto a talune categorie di operatori economici. 18 Gli articoli da 86 a 88 del decreto legislativo n. 163/2006 prevedono i meccanismi di verifica dell’anomalia dell’offerta, sulla base dei quali l’amministrazione aggiudicatrice può decidere di escludere un offerente dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi. Procedimento principale e questioni pregiudiziali 19 Con bando pubblicato il 5 ottobre 2005, la Regione Lombardia ha lanciato una gara d’appalto per l’aggiudicazione, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, del servizio triennale di elaborazione dati per la valutazione esterna sulla qualità dei farmaci. L’Azienda, che è stabilita in Toscana, regione in cui esercita le proprie attività, ha partecipato a tale gara d’appalto risultando prima classificata, soprattutto grazie al prezzo al quale proponeva i propri servizi, del 59% inferiore a quello del secondo offerente classificato, la Data Medical Service. In seguito alla verifica dell’eventuale anomalia di tale offerta, l’appalto è stato attribuito all’Azienda con decisione della Regione Lombardia del 26 maggio 2006. 20 La Data Medical Service ha impugnato la decisione di aggiudicazione dell’appalto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sostenendo che l’aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso per il fatto che, conformemente alla normativa vigente, un ente pubblico non può partecipare a una gara d’appalto e che, in ogni caso, la sua offerta economica era anormalmente bassa, data l’entità del ribasso proposto. 21 Con sentenza del 24 novembre 2006 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha accolto il primo motivo dedotto. Fondandosi sul combinato disposto dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera h), del decreto legislativo n. 157/1995 e degli articoli 19 e 34 del decreto legislativo n. 163/2006, tale giudice ha considerato che, quantunque queste due ultime disposizioni non fossero applicabili al caso di specie ratione temporis, vi fosse per gli enti pubblici, quali l’Azienda, un divieto formale di partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, essendo consentito a tali enti, in presenza di determinate condizioni, solamente l’affidamento di un appalto in via diretta. Infatti l’Azienda, in quanto ente pubblico esclusivamente destinato alla gestione dell’ospedale pubblico fiorentino, non potrebbe agire in condizioni di libera concorrenza con soggetti privati. 22 L’Azienda ha interposto appello contro tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, giudice amministrativo supremo in Italia. 23 Tale giudice osserva preliminarmente che, nonostante il fatto che il contratto di cui trattasi sia stato nel frattempo interamente eseguito, l’Azienda conserva un interesse a che sia riconosciuto il suo diritto di partecipare a gare d’appalto. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 115 24 Il Consiglio di Stato rileva poi che la prima questione da esaminare nella fattispecie è quella dell’esatta definizione della nozione di «operatore economico», ai sensi del diritto dell’Unione, e della possibilità di ricomprendervi un’azienda ospedaliera universitaria pubblica. Per quanto attiene alla natura di tali enti nel quadro del processo di «aziendalizzazione », ossia il passaggio a un modello imprenditoriale, il Consiglio di Stato sottolinea che tale processo ha portato alla trasformazione delle «unità sanitarie locali» preesistenti – in origine amministrazioni operanti a livello comunale – in aziende dotate di personalità giuridica e autonomia imprenditoriale, vale a dire autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e di gestione, circostanza che ha portato una parte della dottrina e della giurisprudenza nazionali a qualificare le aziende sanitarie pubbliche, comprese quelle ospedaliere, come «enti pubblici economici». Tuttavia, la natura pubblica di tali soggetti non sarebbe discutibile. La loro attività non avrebbe prevalentemente finalità lucrativa e le stesse sarebbero titolari di poteri amministrativi in senso stretto, in particolare di tipo ispettivo e sanzionatorio. 25 Il Consiglio di Stato dubita che, in tale contesto, si possa continuare ad affermare, come fa il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, che in diritto italiano esiste un divieto categorico per tali aziende, in quanto enti pubblici economici, di partecipare alle gare pubbliche nella veste di «semplici concorrenti». A tale proposito esso richiama la giurisprudenza della Corte, in particolare le sentenze ARGE (C-94/99, EU:C:2000:677), CoNISMa (C-305/08, EU:C:2009:807) e Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a. (C-159/11, EU:C:2012:817), da cui emergerebbe che qualsiasi ente che si reputi idoneo a garantire l’esecuzione di un appalto pubblico avrebbe il diritto di prendervi parte, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto pubblico. 26 Tale giurisprudenza sarebbe seguita da gran parte dei giudici italiani, i quali avrebbero inoltre sottolineato che l’elencazione di cui all’articolo 34 del decreto legislativo n. 163/2006 non può essere considerata tassativa. Il Consiglio di Stato considera che tale giurisprudenza comunitaria e nazionale osta a che l’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), del decreto legislativo n. 157/1995 e l’articolo 34 del decreto legislativo n. 163/2006 siano interpretati nel senso di escludere a priori un’azienda ospedaliera dalla partecipazione a una gara d’appalto. Infatti, un tale divieto in linea generale non avrebbe più ragione di esistere. 27 Ciò non equivarrebbe tuttavia ad autorizzare in maniera indiscriminata tali aziende a partecipare alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici. Secondo il Consiglio di Stato, la medesima giurisprudenza ha individuato in proposito due limiti: il primo, che l’attività posta a gara sia strumentale al conseguimento delle finalità istituzionali dell’ente pubblico di cui trattasi, e il secondo, che non vi sia una previsione normativa specifica nazionale che vieti tale attività, in particolare in ragione del possibile effetto distorsivo sulla concorrenza. 28 Per quanto riguarda il primo limite, il Consiglio di Stato osserva che le aziende ospedaliere pubbliche, tanto più quelle universitarie, svolgono anche rilevanti funzioni di didattica e di ricerca, finalità istituzionali rispetto alle quali è possibile affermare che il servizio oggetto della gara di cui trattasi nella controversia di cui è investito, ossia l’elaborazione di dati, si pone in un rapporto di strumentalità. Quanto al secondo limite, il Consiglio di Stato rileva che la facoltà per un ente che beneficia di finanziamenti pubblici di partecipare liberamente a una gara d’appalto pone il problema della parità di tratta- 116 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 mento tra concorrenti disomogenei, da un lato quelli che devono stare sul mercato, e dall’altro quelli che possono contare anche su finanziamenti pubblici e sono quindi in grado di presentare offerte che nessun soggetto di diritto privato avrebbe mai potuto presentare. Si dovrebbero di conseguenza ricercare meccanismi correttivi volti a riequilibrare le condizioni di partenza tra i diversi operatori economici, meccanismi che dovrebbero andare oltre le procedure di verifica dell’eventuale anomalia delle offerte. 29 Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’art. 1 della direttiva [92/50], lett[o] anche alla luce del successivo art. 1 par. 8 della direttiva [2004/18], [osti] ad una normativa interna che fosse interpretata nel senso di escludere [l’Azienda], in quanto azienda ospedaliera avente natura di ente pubblico economico, dalla partecipazione alle gare. 2) Se il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici - in particolare, i principi generali di libera concorrenza, non discriminazione, proporzionalità - osti ad una normativa nazionale che permetta ad un soggetto, del tipo dell’[Azienda], che beneficia stabilmente di risorse pubbliche e che è affidataria in via diretta del servizio pubblico sanitario, di lucrare da tale situazione un vantaggio competitivo determinante nel confronto concorrenziale con altri operatori economici - come dimostra l’entità del ribasso offerto - senza che siano previste al contempo misure correttive volte ad evitare un simile effetto distorsivo della concorrenza». Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 30 Tale questione tra origine dai dubbi espressi dal giudice del rinvio, che si chiede se la normativa italiana vigente, interpretata nel senso di comportare un divieto generale per tutti gli enti pubblici, comprese di conseguenza le aziende ospedaliere universitarie pubbliche quali l’Azienda, di partecipare alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, possa essere considerata conforme alla giurisprudenza pertinente della Corte in materia di appalti pubblici. 31 Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50 osti a una normativa nazionale che esclude la partecipazione di un’azienda ospedaliera pubblica, come quella di cui al procedimento principale, dalle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, a causa della sua natura di ente pubblico economico. 32 In via preliminare occorre segnalare che, sebbene la questione posta dal giudice del rinvio faccia riferimento sia all’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50 sia all’articolo 1, paragrafo 8, primo comma, della direttiva 2004/18, l’appalto di cui trattasi nel procedimento principale è tuttavia disciplinato, ratione temporis, dalla direttiva 92/50. Infatti, dal punto 19 della presente sentenza emerge che la Regione Lombardia ha avviato la gara d’appalto di cui trattasi nel procedimento principale con un bando pubblicato il 5 ottobre 2005. Orbene, in forza degli articoli 80 e 82 della direttiva 2004/18, quest’ultima ha abrogato la direttiva 92/50 soltanto con effetto al 31 gennaio 2006. Pertanto, la procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi nel procedimento principale è disciplinata dalle norme in vigore alla data di pubblicazione del bando di gara. 33 Occorre poi osservare che la possibilità per gli enti pubblici di partecipare ad appalti pubblici, parallelamente alla partecipazione di operatori economici privati, risulta già chiaramente dal tenore letterale dell’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50, secondo CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 117 il quale i «prestatori di servizi» sono le persone fisiche o giuridiche, inclusi gli enti pubblici, che forniscono servizi. Inoltre, tale possibilità di partecipazione è stata riconosciuta dalla Corte nella sentenza Teckal (C-107/98, EU:C:1999:562, punto 51), ed è stata ribadita nelle sentenze successive ARGE (EU:C:2000:677, punto 40), CoNISMa (EU:C:2009:807, punto 38) e Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a. (EU:C:2012:817, punto 26). 34 La Corte ha inoltre sottolineato a tale proposito che uno degli obiettivi della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile (v., in tal senso, sentenza Bayerischer Rundfunk e a., C-337/06, EU:C:2007:786, punto 39), apertura che è anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice considerata, la quale disporrà così di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata. Un’interpretazione restrittiva della nozione di «operatore economico» avrebbe come conseguenza che i contratti conclusi tra amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in base a un preminente scopo di lucro non sarebbero considerati come «appalti pubblici» e potrebbero quindi essere aggiudicati in modo informale, sottraendosi alle norme dell’Unione in materia di parità di trattamento e di trasparenza, in contrasto con la finalità delle medesime norme (v., in tal senso, sentenza CoNISMa, EU:C:2009:807, punti 37 e 43). 35 La Corte ha così concluso che sia dalle norme dell’Unione sia dalla giurisprudenza risulta che è ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a garantire l’esecuzione dell’appalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale (v., in tal senso, sentenza CoNISMa, EU:C:2009:807, punto 42). 36 Inoltre, come emerge dalla lettera dell’articolo 26, paragrafo 2, della direttiva 92/50, gli Stati membri hanno certamente il potere di autorizzare o meno talune categorie di operatori economici a fornire certi tipi di prestazioni. Essi possono disciplinare le attività dei soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca, non aventi finalità di lucro, ma volti principalmente alla didattica e alla ricerca. In particolare, essi possono autorizzare o non autorizzare tali soggetti a operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari. Tuttavia, se, e nei limiti in cui, siffatti soggetti siano autorizzati a offrire taluni servizi contro corrispettivo sul mercato, anche a titolo occasionale, gli Stati membri non possono vietare loro di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizi. Un simile divieto contrasterebbe infatti con l’articolo 1, lettere a) e c), della direttiva 92/50 (v., per quanto concerne le corrispondenti disposizioni della direttiva 2004/18, sentenze CoNISMa, EU:C:2009:807, punti da 47 a 49, nonché Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce e a., EU:C:2012:817, punto 27). 37 Come affermato dal rappresentante del governo italiano all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte, le aziende ospedaliere universitarie pubbliche come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in quanto «enti pubblici economici», secondo la loro qualificazione a livello nazionale, sono autorizzate a operare contro corrispettivo sul mercato, in settori compatibili con la loro finalità istituzionale e statutaria. Nel procedimento principale pare inoltre che le prestazioni oggetto dell’appalto pubblico di cui trattasi non 118 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 siano incompatibili con gli obiettivi istituzionali e statutari dell’Azienda. In tali circostanze, che spetta al giudice del rinvio verificare, secondo la giurisprudenza della Corte richiamata al punto 36 della presente sentenza, non si può impedire all’Azienda di partecipare a tale appalto. 38 Occorre di conseguenza rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50 osta a una normativa nazionale che escluda un’azienda ospedaliera pubblica, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, a causa della sua natura di ente pubblico economico, se e nei limiti in cui tale azienda è autorizzata a operare sul mercato conformemente ai suoi obiettivi istituzionali e statutari. Sulla seconda questione 39 Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se le disposizioni della direttiva 92/50, e in particolare i principi generali di libera concorrenza, di non discriminazione e di proporzionalità soggiacenti a tale direttiva, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che consente a un’azienda ospedaliera pubblica, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, di partecipare a una gara d’appalto e di presentare un’offerta alla quale non è possibile fare concorrenza, grazie ai finanziamenti pubblici di cui essa beneficia, senza che siano state previste misure correttive per prevenire le eventuali distorsioni della concorrenza che ne derivano. 40 Nell’ambito della motivazione di tale questione, il Consiglio di Stato esprime dubbi sul fatto che la procedura di verifica delle offerte anormalmente basse, di cui all’articolo 37 della direttiva 92/50, possa essere considerata un mezzo sufficiente per prevenire tali distorsioni della concorrenza. 41 A tale proposito, sebbene il giudice del rinvio ritenga auspicabile ricercare meccanismi correttivi volti a riequilibrare le condizioni di partenza tra operatori economici disomogenei e che dovrebbero andare oltre le procedure di verifica dell’eventuale anomalia delle offerte, si deve constatare che il legislatore dell’Unione, pur essendo consapevole della diversa natura dei concorrenti che partecipano a un appalto pubblico, non ha previsto altri meccanismi oltre a quello della verifica e dell’eventuale rigetto delle offerte anormalmente basse. 42 Va inoltre rammentato che le amministrazioni aggiudicatrici devono trattare gli operatori economici su un piano di parità e in modo non discriminatorio, nonché agire con trasparenza. 43 Tuttavia, le disposizioni della direttiva 92/50 e la giurisprudenza della Corte non consentono di escludere un offerente, a priori e senza esami ulteriori, dalla partecipazione a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per il solo motivo che, grazie a sovvenzioni pubbliche di cui beneficia, esso è in grado di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli offerenti non sovvenzionati (v., in tal senso, sentenze ARGE, EU:C:2000:677, punti da 25 a 27, nonché CoNISMa, EU:C:2009:807, punti 34 e 40). 44 Ciò nonostante, in talune circostanze particolari, l’amministrazione aggiudicatrice ha l’obbligo, o quanto meno la facoltà, di prendere in considerazione l’esistenza di sovvenzioni, e in particolare di aiuti non conformi al Trattato, al fine eventualmente di escludere gli offerenti che ne beneficiano (v., in tal senso, sentenze ARGE, EU:C:2000:677, punto 29, nonché CoNISMa, EU:C:2009:807, punto 33). 45 A tale proposito, come rilevato dalla Commissione nell’udienza dinanzi alla Corte, la CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 119 circostanza che l’ente pubblico di cui trattasi disponga di una contabilità separata tra le attività esercitate sul mercato e le altre attività può permettere di verificare se un’offerta sia anormalmente bassa a causa di un elemento integrante un aiuto di Stato. Dall’assenza di tale separazione contabile l’amministrazione aggiudicatrice non può tuttavia desumere che tale offerta sia stata resa possibile grazie all’ottenimento di una sovvenzione o di un aiuto di Stato non conforme al Trattato. 46 Si deve inoltre sottolineare che dal tenore letterale dell’articolo 37, paragrafi 1 e 3, della direttiva 92/50 emerge che la possibilità di respingere un’offerta anormalmente bassa non è limitata alla sola ipotesi in cui la modicità del prezzo proposto in tale offerta sia giustificata dall’ottenimento di un aiuto di Stato illegale o incompatibile con il mercato interno. Tale possibilità riveste infatti un carattere più generale. 47 Da un lato, dal testo di tale disposizione risulta che l’amministrazione aggiudicatrice, in sede di esame del carattere anormalmente basso di un’offerta, è soggetta all’obbligo di chiedere al candidato di fornire le giustificazioni necessarie a provare la serietà della sua offerta (v., in tal senso, sentenza SAG ELV Slovensko e a., C-599/10, EU:C:2012:191, punto 28). 48 Pertanto, l’esistenza di un dibattito effettivo in contraddittorio, situato in un momento utile nella procedura di esame delle offerte, tra l’amministrazione aggiudicatrice e l’offerente, affinché quest’ultimo possa provare la serietà della sua offerta, costituisce un requisito della direttiva 92/50, al fine di evitare l’arbitrio dell’amministrazione aggiudicatrice e di garantire una sana concorrenza tra le imprese (v., in tal senso, sentenza SAG ELV Slovensko e a., EU:C:2012:191, punto 29). 49 Dall’altro lato, occorre osservare che l’articolo 37 della direttiva 92/50 non contiene una definizione della nozione di «offerta anormalmente bassa». Spetta pertanto agli Stati membri, e in particolare alle amministrazioni aggiudicatrici, stabilire le modalità di calcolo di una soglia di anomalia costitutiva di un’«offerta anormalmente bassa» ai sensi di tale articolo (v., in tal senso, sentenza Lombardini e Mantovani, C-285/99 e C-286/99, EU:C:2001:640, punto 67). 50 Ciò premesso, il legislatore dell’Unione ha precisato in tale disposizione che il carattere anormalmente basso di un’offerta dev’essere valutato «rispetto alla prestazione». Pertanto, l’amministrazione aggiudicatrice, nell’esaminare il carattere anormalmente basso di un’offerta, può, al fine di garantire una sana concorrenza, prendere in considerazione non soltanto le circostanze elencate all’articolo 37, paragrafo 2, della direttiva 92/50, ma anche tutti gli elementi pertinenti con riferimento alla prestazione di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza SAG ELV Slovensko e a., EU:C:2012:191, punti 29 e 30). 51 Occorre di conseguenza rispondere alla seconda questione dichiarando che le disposizioni della direttiva 92/50, e in particolare i principi generali di libera concorrenza, di non discriminazione e di proporzionalità soggiacenti a tale direttiva, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che consenta a un’azienda ospedaliera pubblica, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, partecipante a una gara d’appalto, di presentare un’offerta alla quale non è possibile fare concorrenza, grazie ai finanziamenti pubblici di cui essa beneficia. Tuttavia, nell’esaminare il carattere anormalmente basso di un’offerta sul fondamento dell’articolo 37 di tale direttiva, l’amministrazione aggiudicatrice può prendere in considerazione l’esistenza di un finanziamento pubblico di cui detta azienda beneficia, alla luce della facoltà di respingere tale offerta. 120 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Sulle spese 52 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1) L’articolo 1, lettera c), della direttiva 92/50/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, osta a una normativa nazionale che escluda un’azienda ospedaliera pubblica, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, a causa della sua natura di ente pubblico economico, se e nei limiti in cui tale azienda è autorizzata a operare sul mercato conformemente ai suoi obiettivi istituzionali e statutari. 2) Le disposizioni della direttiva 92/50, e in particolare i principi generali di libera concorrenza, di non discriminazione e di proporzionalità soggiacenti a tale direttiva, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che consenta a un’azienda ospedaliera pubblica, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, partecipante a una gara d’appalto, di presentare un’offerta alla quale non è possibile fare concorrenza, grazie ai finanziamenti pubblici di cui essa beneficia. Tuttavia, nell’esaminare il carattere anormalmente basso di un’offerta sul fondamento dell’articolo 37 di tale direttiva, l’amministrazione aggiudicatrice può prendere in considerazione l’esistenza di un finanziamento pubblico di cui detta azienda beneficia, alla luce della facoltà di respingere tale offerta. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 121 Causa C-301/14 - Materia: Agricoltura e Pesca - Normativa veterinaria - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Germania) il 24 giugno 2014 - Pfotenhilfe-Ungarn e.V. / Ministerium für Energiewende, Landwirtschaft, Umwelt und ländliche Räume des Landes Schleswig-Holstein (*). La questione investe il tema della necessità o meno di stabilire una nozione unitaria di “attività economica” a livello comunitario e, quindi, se la nozione debba essere limitata all’attività che persegue uno scopo di lucro oppure comprenda qualunque attività che presupponga un’organizzazione di mercato, ancorchè non finalizzata alla massimizzazione del profitto. CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLAREPUBBLICA ITALIANA, in persona dell’Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l’Ambasciata d’Italia nella causa C-301/14 promossa ai sensi dell’art. 267 TFUE dal Bundensverwaltungsgericht (Germania), con ordinanza del 09.04./24.06.2014. §§§ Il giudizio a quo 1. In data 29 dicembre 2009 un’associazione di protezione degli animali trasportava n. 39 cani dall’Ungheria alla Germania. 2. Per uno dei cani non era possibile ricostruire lo stato di salute e delle vaccinazioni. 3. Il Ministero dell’Agricoltura tedesco inviava alle autorità veterinarie locali una circolare dando indicazione di controllare tutti gli animali del suddetto trasporto, affermando che nella fattispecie non si applicavano le condizioni agevolate previste dal regolamento (CE) n. 998/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia, bensì le disposizioni in materia di polizia sanitaria del regolamento nazionale in materia di prevenzione delle epizoozie nell’ambito del mercato interno, nonché le disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio, del 22 dicembre 2004, sulla protezione degli animali durante il trasporto. 4. Il Tribunale amministrativo di primo grado e la Corte d’Appello respingevano il ricorso della parte, ritenendo inapplicabili le norme agevolative del regolamento (CE) n. 998/2003, in quanto il trasporto in parola è in relazione con un’attività economica. 5. La Corte di Cassazione tedesca reputava dirimente stabilire se la norma agevolativa si I GIUDIZI IN CORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE (*) Causa definita in corso di stampa con sentenza 3 dicembre 2015 (Quarta Sezione). 122 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 applica solo quando il trasporto di animali non è in relazione con un’attività economica e, prima ancora, se sussista una nozione unitaria di attività economica a livello comunitario, di modo che la nozione di attività economica non debba essere interpretata in modo diverso, a seconda di quale delle due fonti normative sopra richiamate debba essere applicata al caso di specie, formulando, perciò, alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti pregiudiziali. §§§ Il quesito 6. Il giudice a quo, a mente dell’art. 267 TFUE, sottopone alla Corte i seguenti “quesiti pregiudiziali relativi all’interpretazione del regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio, del 22 dicembre 2004, sulla protezione degli animali durante il trasporto (GU L 3, pag. 1) nonché della direttiva 90/425/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 224, pag. 29): 1) Se costituisca trasporto di animali che non sia in relazione con un’attività economica, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 1/2005, il trasporto effettuato da un’associazione per la protezione degli animali riconosciuta come soggetto di pubblica utilità e diretto ad affidare a terzi cani randagi a fronte del pagamento di un compenso («tassa di protezione») a) inferiore o appena sufficiente a coprire le spese sostenute dall’associazione per l’animale, il trasporto e l’affidamento, b) superiore alle suddette spese, fermo restando che il profitto conseguito è impiegato per finanziare le spese rimaste scoperte per l’affidamento di altri cani randagi, le spese per tali cani o altri programmi di protezione degli animali. 2) Se sia un operatore che effettua scambi comunitari ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 90/425/CEE un’associazione per la protezione degli animali riconosciuta come soggetto di pubblica utilità che trasferisce cani randagi in Germania e li affida a terzi dietro pagamento di un compenso («tassa di protezione») a) inferiore o appena sufficiente a coprire le spese sostenute dall’associazione per l’animale, il trasporto e l’affidamento, b) superiore alle suddette spese, fermo restando che il profitto conseguito è impiegato per finanziare le spese rimaste scoperte per l’affidamento di altri cani randagi, le spese per tali cani o altri programmi di protezione degli animali”. §§§ Il contesto normativo 7. Ai fini della soluzione dei quesiti, hanno diretta rilevanza le seguenti norme: Art. 1 paragrafo 5 del Regolamento (CE) 22-12-2004 n. 1/2005, Regolamento del Consiglio sulla protezione degli animali durante il trasporto, secondo cui “Il presente regolamento non si applica al trasporto di animali che non sia in relazione con un'attività economica e al trasporto di animali direttamente verso cliniche o gabinetti veterinari, o in provenienza dagli stessi, in base al parere di un veterinario”. Considerando 12 del citato Regolamento, per il quale “Il trasporto a fini commerciali non si limita ai trasporti che implicano uno scambio immediato di denaro, di beni o di CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 123 servizi. Il trasporto a fini commerciali include segnatamente i trasporti che determinano o mirano a produrre direttamente o indirettamente un profitto”. Considerando 21 del citato regolamento, per il quale “Gli equidi registrati, come definiti all'articolo 2, lettera c) della direttiva 90/426/CEE, sono spesso trasportati per scopi non commerciali e tali trasporti devono essere effettuati conformemente agli obiettivi complessivi del presente regolamento. Vista la natura di tali movimenti, sembra opportuno derogare a talune disposizioni quando equidi registrati sono trasportati per competizioni, gare, eventi cultuali o riproduzione. Tuttavia non è appropriato applicare tale deroga agli equidi, destinati ad essere condotti al macello per esservi macellati o direttamente o dopo essere transitati per un mercato o un centro di smistamento, che a norma dell'articolo 2, lettera d) e dell'articolo 8, paragrafo 1, secondo trattino della direttiva 90/426/CEE, sono da considerare come «equidi da macello»”. Art. 12 paragrafo 3 della Direttiva 92/65/CEE, Direttiva del Consiglio che stabilisce norme sanitarie per gli scambi e le importazioni nella Comunità di animali, che stabilisce che “Ai fini degli scambi le disposizioni dell'articolo 12 della direttiva 90/425/CEE sono estese agli esercizi commerciali che detengano in modo permanente o a titolo occasionale gli animali di cui agli articoli 7, 9 e 10”. Articolo 12 della Direttiva 90/425/CEE, Direttiva del Consiglio relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, con la quale si dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli operatori che effettuano scambi intracomunitari di animali e/o di prodotti di cui all'articolo 1: a) siano tenuti, su richiesta dell'autorità competente, a una registrazione preliminare in un registro ufficiale; b) tengano un registro in cui sono iscritte le forniture e, per i destinatari di cui all'articolo 5, paragrafo 1, lettera b), punto iii), la destinazione ulteriore degli animali o dei prodotti. Tale registro deve essere conservato per un periodo che sarà stabilito dall'autorità nazionale competente, per essere presentato, su sua richiesta, all'autorità competente”. §§§ 8. Sui quesiti proposti il Governo italiano svolge le seguenti osservazioni. 9. Il confine tra attività economiche e attività prive di tale carattere è piuttosto mobile ed è lungi dal poter essere ricondotto all'interno di una distinzione rigida e durevole nel tempo. 10. Come si rileva nella Comunicazione della Commissione Europea del 20.12.2011 C (2011) 9404, “Poiché la distinzione tra servizi economici e non economici dipende dalle specificità politiche ed economiche di un determinato Stato membro, non è possibile redigere un elenco esaustivo di attività che a priori non hanno mai carattere economico”. 11. In assenza di una definizione di attività economica nei trattati, la giurisprudenza sembra offrire criteri diversi per l’individuazione di un’attività economica, a seconda del settore preso in considerazione. 12. Ad esempio, in campo tributario, principio costantemente affermato dalla Corte di Giustizia è quello dell’ampiezza della nozione di soggetto passivo dell’imposta e di attività economica, nonché del suo carattere oggettivo in ossequio al principio di neutralità, che caratterizza tutto il sistema. 13. In uno dei primi precedenti in materia codesta Ecc.ma Corte afferma che “la nozione di attività economica è definita all'art. 4, n. 2 nel senso che vi sono incluse tutte le attività 124 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese in particolare quelle inerenti alle professioni liberali o assimilate. L'analisi di queste definizioni mette in rilievo la vastità della sfera d'applicazione determinata dalla nozione di attività economiche, [..], nonché il suo carattere obiettivo, nel senso che l'attività viene considerata di per sè, indipendentemente dalle sue finalità o dai suoi risultati” (sentenza Commissione/ Paesi Bassi nel 1987, nello stesso senso, ex pluribus, CGCE sentenza 14 febbraio 1985, causa 268/83, Rompelman, punto 19; sent. 15 giugno 1989, causa C-348/87, SUFA, p. 10; sent. 4 dicembre 1990, causa C-186/89, Van Tiem, punto 17; sentenza 12 settembre 2000, causa C-260/98, Commissione/Grecia, p. 26; sentenza 26 giugno 2003, causa C-305/01, MGK- Kraftfahrzeuge-Factoring, punto 42; sentenza, 27 novembre 2003, causa C-497/01, Zita Modes, punto 38; sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e a., punto 44; CGCE, 21 febbraio 2006, causa C-223/03, University of Huddersfield p. 45 ss.). 14. La nozione è stata, poi, ripetuta costantemente ed arricchita nel suo significato ogni qual volta la Corte si è trovata ad affrontare il tema della soggettività passiva Iva e, dunque, il contenuto della nozione di attività economica. 15. Ad esempio, la mancanza di uno scopo di lucro è stata ritenuta dirimente nella causa C- 116/10, decisa dalla III sez. CGUE in data 22 dicembre 2010, laddove “13. È giocoforza rilevare, a tal riguardo, che la formulazione stessa dell’art. 15, punto 5, della sesta direttiva, che effettua un rinvio al medesimo art. 15, punto 4, lettera a), si riferisce alle locazioni di navi adibite alla navigazione d’alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o usate nell’esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca. Affinché una tale prestazione di locazione possa essere esentata a titolo di detta disposizione, è necessario che il locatario della nave interessata utilizzi la medesima per esercitare un’attività economica. 14. Ne consegue che, se, come nella causa principale, una nave viene data in locazione a persone che l’utilizzano esclusivamente a fini di diporto e non a scopo di lucro, al di fuori di qualsiasi attività economica, la prestazione di locazione non soddisfa le condizioni esplicite di esenzione dall’IVA poste dall’art. 15, punto 5, della sesta direttiva”. 16. Di norma, comunque, come di recente dedotto dall’Avvocato generale Sharpston nelle conclusioni 07.03.2013 causa C-219/12, p. 20, “La Corte ha affermato che la nozione di «attività economica» di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della sesta direttiva ha un ambito di applicazione molto ampio e carattere obiettivo, nel senso che l’attività economica viene considerata di per sé, indipendentemente dai suoi scopi o dai suoi risultati. Pertanto, come regola generale, l’attività è considerata economica quando presenta un carattere stabile ed è svolta a fronte di un corrispettivo percepito dall’autore della prestazione”, come similmente affermato nella sentenza di codesta Corte del 29 ottobre 2009, Commissione/ Finlandia (C-246/08, Racc. pag. I-10605, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). 17. Al punto che nella citata causa C-219/02, la Corte dichiara, nella sentenza resa il 20 giugno 2013 che “sia dal testo stesso dell’articolo 4, paragrafo 1, della sesta direttiva, sia dalla giurisprudenza della Corte, risulta che, per considerare che lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale avvenga al fine di ricavarne introiti, è irrilevante che tale sfruttamento sia o meno finalizzato a generare profitti”. 18. Diversamente, la stessa Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai fini dell'applicazione delle regole sulla concorrenza, svincolando il giudizio sulla natura imprenditoriale di un soggetto dalla sua qualificazione giuridica interna ad ogni Stato membro, ha finito CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 125 per attribuire rilevanza allo svolgimento o meno da parte di quel soggetto di una attività di tipo economico con fine di lucro. 19. Ad esempio, tale soluzione è stata utilizzata per rinvenire o meno il carattere economico in determinati servizi quali, ad esempio, quello dell'istruzione o della sanità che, tradizionalmente, nei Paesi dell'Unione Europea sono fornite dalla pubblica amministrazione in un regime di natura pubblicistica. 20. Così, nelle cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, punto 47, si afferma che “Nell’ambito della previdenza sociale, la Corte ha stabilito che taluni organismi incaricati della gestione di regimi legali di assicurazione malattia e di assicurazione vecchiaia perseguono un obiettivo esclusivamente sociale e non esercitano un’attività economica. La Corte ha giudicato che ciò si verifica nel caso di casse malattia che applicano esclusivamente la legge e non hanno alcuna possibilità di influire sull’ammontare dei contributi, l’impiego dei fondi e la determinazione del livello delle prestazioni. Infatti la loro attività, fondata sul principio della solidarietà nazionale, è priva di qualsiasi scopo di lucro e le prestazioni fornite sono prestazioni legali, indipendenti dall’ammontare dei contributi (sentenza 17 febbraio 1993, cause riunite C-159/91 e C-160/91, Poucet e Pistre, Racc. pag. I-637, punti 15 e 18)”. 21. Ed è stato, al contrario, ravvisato un regime economico nelle cause riunite C-115/97 e 117/97, Brentjens, decise con sentenza del 21.09.1999, laddove, p. 78, si afferma che “nella citata sentenza Poucet e Pistre la Corte ha escluso dall'ambito della detta nozione gli enti incaricati della gestione di alcuni regimi previdenziali obbligatori, fondati su un principio di solidarietà. Nel regime di assicurazione malattia e maternità del sistema sottoposto all'esame della Corte, le prestazioni erano infatti identiche per tutti i beneficiari, anche se i contributi erano proporzionali ai redditi; nel regime di assicurazione per la vecchiaia, il finanziamento delle pensioni di vecchiaia proveniva dai lavoratori attivi; inoltre, le spettanze di pensione, fissate per legge, non erano commisurate ai contributi versati al regime di assicurazione per la vecchiaia; infine, i regimi eccedentari contribuivano al finanziamento dei regimi con difficoltà finanziarie strutturali. Tale solidarietà implicava necessariamente che i diversi regimi venissero gestiti da un unico ente e che l'iscrizione agli stessi fosse obbligatoria. 79. Per contro, nella citata sentenza Fédération française des sociétés d'assurances e a., la Corte ha dichiarato che un ente il quale, senza perseguire scopo di lucro, gestisce un regime di assicurazione per la vecchiaia destinato ad integrare un regime di base obbligatorio, istituito per legge a titolo facoltativo, e il quale opera secondo il principio della capitalizzazione costituiva un'impresa ai sensi degli artt. 85 e seguenti del Trattato. L'iscrizione facoltativa, l'applicazione del principio di capitalizzazione e il fatto che le prestazioni dipendevano unicamente dall'ammontare dei contributi versati dai beneficiari nonché dai risultati finanziari degli investimenti effettuati dall'ente incaricato della gestione implicavano che tale ente svolgesse un'attività economica in concorrenza con le società di assicurazione sulla vita. Né il perseguimento di una finalità sociale, né l'assenza di fini di lucro, né le esigenze della solidarietà, né le altre regole relative, in particolare, alle restrizioni che l'ente incaricato della gestione subisce nella realizzazione degli investimenti privavano l'attività svolta dall'ente incaricato della gestione della sua natura economica. 80. È alla luce di quanto precede che si deve valutare se la nozione di impresa, ai sensi degli artt. 85 e seguenti del Trattato, comprenda anche un ente come il fondo pensione 126 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 di categoria di cui trattasi nella causa principale”. 22. Nel campo sanitario, è stata esclusa l’attività economica, anche se l’ente si sia dato un’organizzazione professionale stabile. 23. Nella causa T-319/99, Fenin, decisa il 04.03.2003, al p. 39, si accerta che “Nel caso di specie è certo che il SNS, gestito dai Ministeri e dalle altre entità a cui si riferisce la denunzia presentata dalla ricorrente, funziona conformemente al principio di solidarietà per le sue modalità di finanziamento attraverso contributi sociali e altri contributi statali e per la sua prestazione gratuita di servizi ai suoi iscritti sulla base di una copertura universale. Così, tali entità non agiscono come imprese nella loro attività di gestione del SNS. 40. Ne consegue che, conformemente alla regola di diritto enunciata in precedenza ai punti 37 e 38, le entità in parola non agiscono in qualità di imprese quando acquistano il materiale sanitario venduto dalle imprese che sono membri dell'associazione ricorrente per offrire servizi sanitari gratuiti agli iscritti al SNS. 41. Tuttavia, la ricorrente afferma, nella propria memoria di replica, che gli ospedali pubblici spagnoli del SNS offrono, almeno in taluni casi, servizi a pagamento a persone non iscritte al sistema e, in particolare, ai turisti stranieri, per cui le entità di cui trattasi agiscono necessariamente in qualità di imprese quantomeno nell'ambito di tali prestazioni di servizi, se gli acquisti di materiale sanitario da esse effettuati sono collegati ad esse”. 24. La sentenza nella causa C-280/00, Altmark, ha fissato quattro criteri interpretativi per consentire una funzione di controllo minima sull'operato degli Stati membri nella scelta di individuazione ed organizzazione dei servizi di interesse economico generale: • la necessità di un atto di incarico espresso e la chiara definizione degli obblighi di servizio pubblico; • il calcolo della compensazione basato su parametri preventivamente definiti in modo chiaro e trasparente; • l'ammontare della compensazione non superiore a quanto necessario per coprire i costi derivanti dall'adempimento dell'obbligo di servizio pubblico, comprensivo di un margine di utile ragionevole; • l'individuazione dell'impresa da incaricare dell'adempimento degli obblighi di servizio pubblico e la determinazione della compensazione riconosciuta è effettuata mediante un confronto concorrenziale, o, in alternativa, sulla base di un'analisi dei costi che dovrebbe sostenere un'impresa media, gestita in modo efficiente e dotata degli adeguati mezzi per l'espletamento del servizio in questione. 25. In particolare, la sentenza Altmark, resa il 24 luglio 2003, afferma che “la compensazione da parte di uno Stato membro delle perdite subite da un'impresa senza che siano stati previamente stabiliti i parametri di detta compensazione, allorché in un secondo tempo risulta che la gestione di alcuni servizi nell'ambito dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico non è stata economicamente redditizia, costituisce un intervento finanziario che rientra nella nozione di aiuto di Stato ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato”. 26. I quattro criteri, com’è noto, hanno la funzione di tracciare una linea di demarcazione sull’attività posta in essere nel campo di applicazione delle regole sugli aiuti di Stato con riferimento a tutte le compensazioni per oneri di servizio pubblico relative ai servizi di interesse economico generale per escludere la compatibilità di quanti la cui attribuzione non rispetti anche solo uno dei criteri indicati. 27. Da una visione d’insieme dei vari settori considerati emerge chiaramente come una no- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 127 zione unitaria di attività economica andrebbe incontro a non poche ambiguità interpretative e applicative. 28. Negli esempi sopra indicati, lo scopo di lucro è necessario per ottenere un’agevolazione tributaria, non è dirimente per configurare un aiuto di Stato, torna, tuttavia, ad esserlo quando, però, l’attività (scuola o sanità), sospettata di configurare aiuto statale, è realizzata con apertura al mercato da parte di un soggetto pubblico. 29. La ricerca, quindi, di una soluzione al caso di specie pare, allora, dovere essere affrontata caso per caso, passando attraverso gli ordinari e consolidati criteri d’interpretazione generale delle fonti del diritto comunitario, come elaborate dalla giurisprudenza. 30. Va, quindi, rammentata al riguardo la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in particolare, sentenze 17 novembre 1983, causa 292/82, Merck, Racc. pag. 3781, punto 12; 1° marzo 2007, causa C-34/05, Schouten, Racc. pag. I-1687, punto 25, e 3 dicembre 2009, causa C-433/08,Yaesu Europe, Racc. pag. I-11487, punto 24). 31. Tale criterio ermeneutico porta a individuare come, nel caso di specie, il Regolamento n. 1/2005 e la Direttiva del 1990 abbiano ambiti e finalità diverse, con conseguente non decisività della ricerca di una nozione di “attività economica” comune ad entrambe le fonti. 32. Le fonti sono finalizzate alla disciplina di fattispecie diverse. 33. La ratio del Regolamento mira a tutelare gli animali nel momento del trasporto e si riferisce a coloro che effettuato l’attività di trasporto in modo sistematico. 34. La ratio della Direttiva è finalizzata a compiti di polizia veterinaria a tutela dell’interesse sanitario e si rivolge a tutti coloro che effettuano scambi, sistematici od occasionali, di natura commerciale di animali vivi. 35. Come cennato in precedenza, la controversia tra le parti verte sull’applicabilità o meno delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2005 in relazione ad un trasporto di animali compiuto da un’associazione registrata, che offre cani randagi in affidamento a seguito della stipulazione di un cosiddetto “contratto di protezione”; dirimente è se l’applicazione del citato regolamento sia esclusa a norma dell’art. 1, par. 5, prima alternativa, quando detto trasporto non sia in relazione con un’attività economica. 36. Tanto premesso, si ritiene essenziale quanto premesso nel considerando 12 del Reg. cit., a mente del quale “il trasporto a fini commerciali non si limita ai trasporti che implicano uno scambio immediato di denaro, di beni o di servizi. Il trasporto a fini commerciali include trasporti che determinano o mirano a produrre direttamente o indirettamente un profitto”. 37. Per la corretta interpretazione del suddetto considerando, sembra che si debba richiamare il Reg. UE n. 388/2010, sul trasporto da animali da compagnia. 38. Dalla lettura del considerando 6 di tale regolamento si evince che le motivazioni che hanno spinto la Commissione alla emanazione di tale provvedimento normativo risiedono proprio nella possibilità che “esiste un rischio elevato che i movimenti commerciali di cani, gatti, e furetti siano dissimulati fraudolentemente come movimenti non commerciali quando tali animali sono introdotti in uno stato membro in provenienza da un altro stato membro”. 39. Tale norma, quindi, evidenzia come l’attività del trasporto di animali (nel Regolamento 128 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 del 2003, limitata agli animali da compagnia) richiede la massima tutela sull’applicazione delle norme di polizia sanitaria, addirittura indipendentemente dalla natura di tale attività. 40. Pertanto, la nozione di attività economica del Regolamento del 2005 non potrà che essere intesa a livello sistematico come massimamente estensibile e, quindi, comprensiva di ogni tipo di attività a titolo oneroso, ancorchè non accompagnata dall’esistenza di una organizzazione commerciale direttamente finalizzata a scopo di lucro, né dall’abituale professionalità del soggetto che realizza o per conto del quale è effettuato il trasporto oneroso. 41. Diversamente, tali elementi, quali il profitto, l’attività diretta a percepire ingenti introiti, il fine diretto commerciale, la stabilità organizzativa e la professionalità del servizio, ricorrono nella nozione di “scambio” contenuta nella Direttiva del 1992 che fa esplicito riferimento agli “esercizi commerciali”, ossia a soggetti che operano sul mercato in modo organizzato con finalità di profitto. 42. Qui è, infatti, richiesto, il fine commerciale dell’attività e non il semplice contatto del soggetto che opera con il mercato, per far scattare l’operatività della norma e dei conseguenti controlli da essa previsti. 43. Né appare, infine, decisivo il numero degli animali trasportati, poiché sembra evidente come, ai fini dell’operatività della tutela, è sufficiente che anche un solo animale che sia esentato dal controllo veterinario, possa pregiudicare le finalità di tutela sottese al controllo sanitario. §§§ La risposta che il Governo italiano propone per entrambi i quesiti è, dunque, la seguente: “Le disposizioni del regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio, del 22 dicembre 2004, sulla protezione degli animali durante il trasporto e della Direttiva 90/425/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale presentano diverse finalità ed hanno diversi ambiti applicativi, nel senso che la nozione di attività economica nel Regolamento è da intendersi in senso lato, laddove nella Direttiva si riferisce solo a coloro che svolgono attività economica ai fini commerciali, ossia con scopo di lucro, con la conseguenza che 1. il trasporto di animali vivi a fronte del pagamento di un compenso realizza un’attività economica in senso oggettivo e che 2. l’applicazione del Regolamento n. 1/05 sul trasporto prescinde dalla qualificazione di attività economica in senso soggettivo, ossia dal perseguimento dello scopo di lucro di chi effettua il trasferimento degli animali come diversamente previsto nella Direttiva 90/425/CEE sugli scambi”. Fabrizio URBANI NERI AVVOCATO DELLO STATO CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 129 Causa C-387/14 - Materia: Libertà di stabilimento. Libera prestazione dei servizi. Ravvicinamento delle legislazioni - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Krajowa Izba Odwolawcza (Polonia) il 14 agosto 2014 - Esaprojekt Sp. z o.o. / Województwo Lodzkie. CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia nella causa C-387/14 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte ai sensi dell'art. 267 TFUE dalla Krajowa Izba Odwolawcza (Polonia), nella causa A) ESAPROJEKT SP. ZO.O. contro B) WOJEWÓDZTWO LODZKIE * * * I. LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE I. Con ordinanza del 25 luglio 2014, la Krajowa Izba Odwolawcza (Polonia), nell'ambito del procedimento che vede contrapposte le parti indicate in epigrafe, ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: 1) Se l'articolo 51, in combinato disposto con il principio di parità di trattamento e di non discriminazione degli operatori economici nonché con il principio di trasparenza, sanciti all'articolo 2 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (in prosieguo: la «direttiva 2004/18/CE»), permetta che un operatore economico, nell'integrare i documenti o fornire chiarimenti riguardo ad essi, indichi esecuzioni (ossia le prestazioni effettuate) diverse rispetto a quelle indicate nell'elenco delle forniture allegato all'offerta e, in particolare, se egli possa far riferimento alle esecuzioni di un altro soggetto sulle cui risorse non si è basato nell'offerta. 2) Se, alla luce della pronuncia della Corte, del 10 ottobre 2013, nella causa Manova, C- 336/12 - dalla quale risulta che «il principio della parità di trattamento dev'essere interpretato nel senso che non osta a che un’amministrazione aggiudicatrice chieda a un candidato, dopo la scadenza del termine stabilito per il deposito delle candidature a un appalto pubblico, di comunicare i documenti descrittivi della sua situazione, come il bilancio pubblicato, la cui esistenza prima della scadenza del termine fissato per presentare la candidatura sia oggettivamente verificabile, sempreché i documenti di detto appalto non ne abbiano esplicitamente imposto la comunicazione sotto pena di esclusione della candidatura» - l'articolo 51 della direttiva 2004/18/CE debba essere interpretato nel senso che l'integrazione di documenti è possibile solo in riferimento ai documenti la cui esistenza, prima della scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte o delle domande di partecipazione alla procedura, sia oggettivamente verificabile oppure nel senso che la Corte ha indicato soltanto una delle ipotesi e che l'integrazione di documenti è possibile anche in altri casi, ad esempio allegando documenti che non esistevano prima di tale data ma che possono oggettivamente dimostrare il soddisfacimento della condizione. 130 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 3) In caso dì una risposta alla seconda questione che ammetta la possibilità di integrare anche documenti diversi da quelli indicati nella sentenza Manova, C-336/12, se sia possibile integrare documenti predisposti dall'operatore economico, dai subappaltatori o da altri soggetti alle cui capacità fa riferimento l'operatore economico, qualora essi non siano stati comunicati contemporaneamente all'offerta. 4) Se l'articolo 44, in combinato disposto con l'articolo 48, paragrafo 2, lettera a) nonché con il principio di parità di trattamento degli operatori economici sancito all'articolo 2 della direttiva 2004/18/CE, consenta di far riferimento alle risorse di un soggetto da quelli di cui all'articolo 48, paragrafo 3, in modo tale che risultino sommate le conoscenze e l'esperienza di due soggetti i quali, singolarmente, non possiedono le conoscenze e l'esperienza richieste dall'amministrazione aggiudicatrice, qualora l'esperienza di cui trattasi sia indivisibile (vale a dire che la condizione per la partecipazione alla procedura deve essere soddisfatta per intero dall'operatore economico) e l'esecuzione dell'appalto sia altresì indivisibile (costituisca un tutt'uno). 5) Se l'articolo 44, in combinato disposto con l'articolo 48, paragrafo 2, lettera a), nonché con il principio di parità di trattamento degli operatori economici sancito all'articolo 2 della direttiva 2004/18/CE, consenta di far riferimento all'esperienza di un gruppo di operatori economici in modo tale che un operatore economico, il quale ha eseguito l'appalto come membro di un gruppo di operatori economici, possa far valere l'esecuzione effettuata da tale gruppo, indipendentemente da quale sia stata la sua partecipazione nell'esecuzione del suddetto appalto, oppure se possa far valere soltanto l'esperienza che egli ha effettivamente conseguito, maturata nell'esecuzione di quella determinata parte dell'appalto che gli è stata affidata all'interno del gruppo. 6) Se l'articolo 45, paragrafo 2, lettera g), della direttiva 2004/18/CE, a norma del quale può essere escluso dal procedimento l'operatore economico che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni o che non abbia fornito le informazioni, possa essere interpretato nel senso che è escluso dal procedimento l'operatore economico che ha fornito informazioni false che hanno influenzato o che avrebbero potuto influenzare l'esito del procedimento, muovendo dall'assunto che la colpa relativa all'induzione in errore consiste nella mera comunicazione all'amministrazione aggiudicatrice di informazioni che non corrispondono ai fatti e che sono rilevanti ai fini della decisione dell'amministrazione aggiudicatrice in merito all'esclusione dell'operatore economico (e al rigetto della sua offerta), indipendentemente dalla circostanza se l'operatore economico l'abbia fatto consapevolmente e volontariamente oppure per colpa incosciente, o ancora a causa di imprudenza, negligenza o inosservanza della dovuta diligenza. Se possa essere considerato soggetto che «si è reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni o che non ha fornito le informazioni» solo un operatore economico che ha fornito informazioni false (non corrispondenti ai fatti) oppure anche un operatore economico che ha fornito informazioni vere, ma lo ha fatto in modo tale da far credere, all'amministrazione aggiudicatrice, di essere in possesso dei requisiti da quest'ultima stabiliti, pur non essendone in possesso. 7) Se l'articolo 44, in combinato disposto con l'articolo 48, paragrafo 2, lettera a), nonché con il principio di parità di trattamento degli operatori economici sancito all'articolo 2 della direttiva 2004/18/CE, consenta ad un operatore economico di far riferimento alla propria esperienza in modo tale da far valere cumulativamente due o CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 131 più contratti come un unico appalto, anche se l'amministrazione aggiudicatrice non ha previsto una siffatta possibilità nel bando, né nel capitolato d'oneri. II. I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLA CAUSA PRINCIPALE 2. Il procedimento a quo ha per oggetto il ricorso di uno dei partecipanti ad una procedura di aggiudicazione, relativa a sistemi informatici negli ospedali, avverso la decisione dell'amministrazione aggiudicatrice di affidare l'appalto ad un offerente che aveva fornito le informazioni inerenti al requisito soggettivo sulle esecuzioni di precedenti appalti solo nella fase di integrazione dei documenti e avvalendosi, però, di precedenti esecuzioni effettuate da un altro soggetto. 3. Il ricorrente ha contestato che l'aggiudicatario non aveva dimostrato il possesso del suddetto requisito. 4. In particolare, nel bando di gara veniva richiesta la realizzazione di almeno due appalti relativi, per ciascuno degli appalti indicati, alla fornitura, installazione, configurazione ed implementazione del sistema ospedaliero integrato nella parte bianca (gestione della parte sanitaria) e grigia (gestione della parte amministrativa), per un istituto di assistenza sanitaria con un numero minimo di 200 posti letto e per un valore non inferiore a PLN 450.000,00. 5. Le forniture indicate dall'aggiudicatario in sede di gara - due contratti di fornitura, installazione, configurazione ed implementazione di un sistema ospedaliero integrato nella parte bianca e grigia di istituti di assistenza sanitaria di 500 e 600 posti letto - sono state ritenute dalla Izba (la Camera di ricorso), nel pronunciarsi su un primo ricorso della Esaprojeckt Sp. Z o.o., non chiaramente ricomprendenti le aree funzionali definite come parte grigia. 6. Dopo aver annullato l'aggiudicazione, la stazione appaltante, in esecuzione della sentenza della Izba, ha invitato la prima aggiudicataria a fornire chiarimenti riguardo ai documenti attestanti il soddisfacimento della condizione per la partecipazione alla procedura. In esito alla richiesta, l'operatore economico ha chiarito che una delle referenze indicate in sede di offerta riguardava l'esecuzione di due appalti, oggetto di contratti separati, uno dei quali non includeva la parte bianca e l'altro la parte grigia. 7. Ritenenuto che ciò non soddisfacesse il requisito necessario per la partecipazione (dovendo ogni appalto, ai sensi del bando, includere sia la parte bianca che quella grigia), la stazione appaltamte invitava l'impresa ad integrare i documenti ovvero a fornire i documenti comprovanti il requisito di partepazione. 8. In sede di integrazione, la Konsultant Konputer Sp.z.o.o. ha fornito un nuovo elenco di forniture nel quale si faceva riferimento all'esperienza di un altro soggetto, di cui non era stata fatta menzione nella dichiarazione originaria, producendo altresì l'impegno di tale soggetto a mettere a disposizione le risorse necessarie per il periodo necessario all'esecuzione dell'appalto. 9. Ritenuta tale integrazione soddisfacente, la stazione appaltante ha nuovamente aggiudicato l'appalto alla Konsultant Konputer Sp.z.o.o. 10. La Esaprojeckt Sp. Z o.o. ha nuovamente proposto ricorso, da cui è sorta la controversia di cui al procedimento principale. III. LA NORMATIVA COMUNITARIA RILEVANTE E LE MOTIVAZIONI DELLA GIURISDIZIONE DI RINVIO 11. I quesiti posti nell'ordinanza di rinvio vertono sull'interpretazione di alcune disposizioni 132 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 della direttiva 2004/18/CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 (in prosieguo: la «direttiva»), relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. 12. L'art. 2 (Principi di aggiudicazione degli appalti) stabilisce che "Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza". 13. L'art. 44 (Accertamento dell'idoneità e scelta dei partecipanti; aggiudicazione), par. 1 stabilisce che "1. L'aggiudicazione degli appalti avviene in base ai criteri di cui agli articoli 53 e 55, tenuto conto dell'articolo 24, previo accertamento dell'idoneità degli operatori economici non esclusi in forza degli articoli 45 e 46, effettuato dalle amministrazioni aggiudicatrici conformemente ai criteri relativi alla capacità economica e finanziaria, alle conoscenze od alle capacità professionali e tecniche di cui agli articoli da 47 a 52 e, se del caso, alle norme ed ai criteri non discriminatori di cui al paragrafo 3". 14. L'art. 45 (Situazione personale del candidato e dell'offerente), par. 2, lett. g) dispone che "2. Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni operatore economico: ... g) che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni". 15. L'art. 47 (Capacità economica e finanziaria), al par. 2 stabilisce: "Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell'impegno a tal fine di questi soggetti". 16. L'art. 48 (Capacità tecniche e professionali), par. 1, lett. a) e par. 3 stabilisce che: "1. Le capacità tecniche degli operatori economici possono essere provate in uno o più dei seguenti modi, a seconda della natura, della quantità o dell'importanza e dell'uso dei lavori, delle forniture o dei servizi: a) i) presentazione dell'elenco dei lavori eseguiti negli ultimi cinque anni; tale elenco è corredato di certificati di buona esecuzione dei lavori più importanti. Tali certificati indicano l'importo, il periodo e il luogo di esecuzione dei lavori e precisano se questi sono stati effettuati a regola d'arte e con buon esito; se del caso, questi certificati sono trasmessi direttamente all'amministrazione aggiudicatrice dall'autorità competente;" ... "3. Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Deve, in tal caso, provare all'amministrazione aggiudicatrice che per l'esecuzione dell'appalto disporrà delle risorse necessarie ad esempio presentando l'impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell'operatore economico le risorse necessarie". 17. L'art. 51 (Documenti e informazioni complementari) stabilisce che: "1. L'amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o chiarire i certificati e i documenti presentati ai sensi degli articoli da 45 a 50". CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 133 18. Ritenuta la sussistenza di possibili contrasti tra la prassi applicativa consolidatasi in Polonia e le sopra riportate disposizioni comunitarie rilevanti, il giudice del rinvio ha posto alla Corte le questioni oggetto dell'odierna domanda di pronuncia pregiudiziale. IV. OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO Premessa Il Governo italiano, nella presente fase scritta, intende prendere posizione sui quesiti numero 1), 2), 3), 4 e 6) posti dal giudice di rinvio. Sui primi tre quesiti. 19. Le prime tre questioni poste dal giudice di rinvio ineriscono il tema del contenuto e dei limiti del c.d. "soccorso istruttorio" nelle gare d'appalto, tema su cui codesta Corte si è più volte pronunciata, affermando principi alla luce dei quali deve essere data risposta ai quesiti in esame. 20. Rileva, in primo luogo, la sentenza - citata anche dalla giurisdizione di rinvio - del 10 ottobre 2013 (causa C-336/12 - Manova), nella quale la Corte ha affermato che: "42 ... il principio della parità di trattamento dev'essere interpretato nel senso che non osta a che un'amministrazione aggiudicatrice chieda a un candidato, dopo la scadenza del termine stabilito per il deposito delle candidature a un appalto pubblico, di comunicare i documenti descrittivi della sua situazione, come il bilancio pubblicato, la cui esistenza prima della scadenza del termine fissato per presentare la candidatura sia oggettivamente verificabile, sempreché i documenti di detto appalto non ne abbiano esplicitamente imposto la comunicazione sotto pena di esclusione della candidatura. Tale richiesta non deve indebitamente favorire o sfavorire il candidato o i candidati cui detta richiesta è stata rivolta". 21. A tale conclusione la Corte è arrivata evidenziando come il principio di parità di trattamento e di trasparenza impongono che la stazione appaltante, nell'esercitare il potere discrezionale di cui all'art. 51 della direttiva, deve trattare i candidati in maniera uguale e leale, di modo che, all'esito della procedura, non possa risultare che la richiesta di chiarimenti o integrazioni abbia indebitamente favorito o sfavorito il candidato o i canditati a cui è richiesta (punto 37). 22. Ciò implica, per quanto riguarda l'offerta, che la stazione appaltante non possa chiedere chiarimenti ad un offerente la cui offerta sia ritenuta imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri (punto 31), residuando, tuttavia, la possibilità che i dati relativi all'offerta possano essere corretti o integrati su singoli punti, in particolare se sia necessario un semplice chiarimento o al fine di correggere errori manifesti (punto 32). 23. Applicando tali principi, riguardanti l'offerta, ai fascicoli presentati dai candidati, la Corte ha precisato: "39 ... l'amministrazione aggiudicatrice può chiedere che i dati contenuti in tale fascicolo siano corretti o completati in maniera puntuale, purché tale richiesta riguardi elementi o dati, come il bilancio pubblicato, la cui anteriorità rispetto alla scadenza del termine fissato per presentare candidatura sia oggettivamente verificabile. 40 Va tuttavia precisato che la situazione sarebbe diversa se i documenti dell'appalto richiedessero la comunicazione del documento o dell'informazione mancante sotto pena di esclusione. Infatti, spetta all'amministrazione aggiudicatrice osservare rigorosamente i criteri da essa stessa fissati (v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2004, Commissione/CAS Succhi di Frutta, C-496/99 P, Racc. pag. 1-3801, punto 115)". 134 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 24. Tale principio è stato confermato dalla Corte nella sentenza del 6 novembre 2014 (causa C-42/13 - Cartiera dell'Adda), nella quale è stato ribadito che "44 ... il principio di parità di trattamento impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica quindi che queste siano soggette alle medesime condizioni per tutti i concorrenti. Dall'altro lato, l'obbligo di trasparenza ha come scopo quello di eliminare i rischi di favoritismo e arbitrarietà da parte dell'autorità aggiudicatrice. Esso implica che tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara o nel capitolato d'oneri in modo che, da un lato, si permetta a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprenderne l'esatta portata e d'interpretarle allo stesso modo e, dall'altro, all'autorità aggiudicatrice di essere in grado di verificare effettivamente se le offerte dei concorrenti rispondano ai criteri che disciplinano l'appalto in questione (v., in tal senso, sentenza Commissione/CAS Succhi di Frutta, C-496/99 P, EU:C:2004:236, punti da 108 a 111)" 45... nei limiti in cui l'amministrazione aggiudicatrice ritenga che tale omissione non costituisca un'irregolarità meramente formale, essa non può permettere a tale offerente di rimediare successivamente a tale omissione, in qualsivoglia modo, dopo la scadenza del termine stabilito per il deposito delle offerte. 46 Del resto, in siffatte circostanze, l'articolo 51 di detta direttiva, che dispone che l'amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o a chiarire i certificati e i documenti presentati ai sensi degli articoli da 45 a 50 della stessa direttiva, non può essere interpretato nel senso di consentirle di ammettere qualsiasi rettifica a omissioni che, secondo le espresse disposizioni dei documenti dell'appalto, debbono portare all'esclusione dell'offerente". 25. Può, quindi, ritenersi, in armonia con i principi affermati dalla Corte, che il potere di "soccorso istruttorio" debba essere esercitato dalla stazione appaltante in modo da contemperare, da un lato, il principio del favor partecipationis - e, dunque, evitare che un'irregolarità di natura meramente formale possa condurre all'esclusione di un candidato dalla gara -, e, dall'altro, con i principi di parità di trattamento, imparzialità e trasparenza, non potendosi attraverso l'esercizio del suddetto potere permettere ai candidati di integrare un'offerta carente ovvero un requisito soggettivo inesistente al momento della presentazione dell'offerta. 26. Dunque, quanto all'offerta, è da escludere che possa consentirsi ai candidati di supplire a carenze della stessa successivamente al termine finale stabilito dal bando, potendo i relativi dati essere solo "corretti o completati su singoli punti, in particolare in quanto evidentemente necessitano di un semplice chiarimento, o alfine di correggere errori materiali manifesti" (sentenza Manova, punto 32, cit.). 27. Quanto ai requisiti soggettivi di partecipazione, è invece possibile, a parere del Governo italiano, che la stazione appaltante consenta ai candidati di supplire alle carenze documentali riguardanti tutti gli elementi e le dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che debbano essere prodotti in base alla legge, al bando e al disciplinare di gara, compresi quelli relativi ai requisiti speciali, professionali o prescritti a dimostrazione delle qualità (1). (1) Nell'ordinamento interno italiano, dopo una fase in cui aveva prevalso un orientamento restrittivo - in base al quale, in ossequio al principio della parità di trattamento, il potere di "soccorso istruttorio" poteva essere esercitato solo al fine di "regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di farli completare, ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chia- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 135 28. Ciò, tuttavia, senza minare il fondamentale principio del necessario possesso dei requisiti alla scadenza del termine di presentazione dell'offerta, non potendo il "soccorso istruttorio" essere strumentalmente utilizzato per l'acquisizione, oltre il suddetto termine, di un requisito o di una condizione di partecipazione prima mancante. 29. Dunque, in un caso come quello di cui alla causa principale, non risulta possibile sanare, dopo il termine di presentazione delle offerte, la mancata dichiarazione della volontà di ricorrere all'avvalimento, costituendo tale dichiarazione parte integrante del requisito della capacità tecnico-professionale, altrimenti non posseduto dall'operatore economico. 30. Ritiene, quindi il Governo italiano, che al primo quesito posto dal giudice di rinvio debba rispondersi nel senso che l'art. 51 della direttiva 2004/18, in combinato disposto con l'art. 2, ostano ad una prassi nazionale che permetta ad un operatore economico, nell'integrare la documentazione prodotta o nel chiarimento riguardo ad essa, indichi esecuzioni diverse da quelle indicate nell'elenco delle forniture allegato all'offerta, in particolare facendo riferimento alle esecuzioni di un altro soggetto sulle cui risorse non si è basata l'offerta. 31. Quanto al secondo quesito si suggerisce di rispondere nel senso che, ai sensi dell'art. 51 della direttiva 2004/18 ed alla luce dei principi affermati dalla Corte nella sentenza del 10 ottobre 2013, causa C-336/12 - Manova, l'integrazione dei documenti da parte dei candidati, dopo il termine per la presentazione dell'offerta, è possibile al fine di supplire alle carenze documentali relative al possesso dei requisiti soggettivi, purché detti requisiti siano sicuramente posseduti alla data di presentazione dell'offerta. 32. In conseguenza della risposta suggerita in ordine ai primi due quesiti, non risulta necessario rispondere al terzo. Sul quarto quesito. 33. Con il quarto quesito il giudice di rinvio ripropone alla Corte la questione dell'ammissibilità del c.d. avvalimento plurimo o frazionato nel caso in cui lo stesso riguardi un requisito indivisibile. 34. Osserva il Governo italiano che il quesito debba essere risolto alla luce dei principi affermati da codesta Corte nella sentenza del 10 ottobre 2013, causa C-94/12, Swm Costruzioni 2 S.p.a., nella quale - sulla base dell'esame degli articoli 44, 47 e 48 della direttiva 2004/18 e, in particolare, tenuto conto dell'uso sistematico del plurale in tali disposizioni - è stato affermato che "33. ... la direttiva 2004/18 consente il cumulo delle capacità di più operatori economici per soddisfare i requisiti minimi di capacità imposti dall'amministrazione aggiudicatrice, purché alla stessa si dimostri che il candidato o l'offerente che si avvale delle capacità di uno o di svariati altri soggetti disporrà effetrimenti, rettificare errori materiali o refusi e fornire interpretazioni di clausole ambigue" (Cons. di Stato, Ad. Plen. n. 9/2014) - vi è stato, infine, il completo adeguamento della normativa di riferimento alla giurisprudenza di codesta Corte. Infatti, l'art. 39 del d.l. n. 90/2014 ha introdotto due nuove disposizioni nel D.lgs. n. 163/2006 (ossia il comma 2-bis dell'art. 38 e il comma 1-ter dell'art. 46), con il quale è stato ampliato l'ambito di applicazione dell'istituto del "soccorso istruttorio" nel senso di renderne possibile l'esercizio ad ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi o delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotti dai partecipanti alla gara in base alla legge, al bando o al disciplinare, relativamente al possesso dei requisiti soggettivi di partecipazione, requisiti che, tuttavia, devono essere posseduti alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande. 136 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 tivamente dei mezzi di questi ultimi che sono necessari all'esecuzione dell'appalto. 34. È pur vero che non si può escludere l'esistenza di lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si ottiene associando capacità inferiori di più operatori. In un'ipotesi del genere l'amministrazione aggiudicatrice potrebbe legittimamente esigere che il livello minimo della capacità in questione sia raggiunto da un operatore economico unico o, eventualmente, facendo riferimento ad un numero limitato di operatori economici, ai sensi dell'articolo 44, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/18, laddove siffatta esigenza sia connessa e proporzionata all'oggetto dell'appalto interessato. 36. Tuttavia, poiché tale ipotesi costituisce una situazione eccezionale, la direttiva 2004/18 osta a che la summenzionata esigenza assurga a regola generale nella disciplina nazionale, ...". 35. Dunque, secondo i riportati principi, di regola deve essere ammessa la possibilità per gli operatori economici di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, della capacità di più imprese, salvo che la stazione appaltante non abbia ritenuto necessario che il livello minimo di capacità richiesto per l'esecuzione dell'appalto non sia raggiunto da un operatore economico unico. 36. Quest'ultima costituisce, tuttavia, un'ipotesi eccezionale, dovendo tale necessità essere effettivamente connessa e proporzionata all'oggetto dell'appalto. 37. Va, infatti, considerato che l'istituto dell'avvalimento è di applicazione tendenzialmente generalizzata, avendo come sua ratio quella di incentivare la concorrenza e la massima partecipazione, nell'interesse delle imprese, consentendo l'ingresso nel mercato di nuovi soggetti, soprattutto di piccole dimensioni, che di per sé sarebbero privi dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, con l'unica condizione che l'impresa (o le imprese) ausiliaria metta a disposizione non l'astratto requisito soggettivo, ma tutte le proprie risorse ed il proprio apparato organizzativo. 38. Dall'ordinanza di rinvio emerge che, nell'ipotesi oggetto della causa principale, la stazione appaltante aveva richiesto, ai fini della dimostrazione della capacità tecnico-professionale, la realizzazione di due appalti in un determinato ambito e di un certo valore; secondo il giudice di rinvio tale requisito presentava carattere di indivisibilità e non poteva, quindi, essere soddisfatto sommando le capacità di più operatori. 39. Il Giudice di rinvio ha, quindi, ritenuto che nel caso di specie non fosse possibile fare ricorso al c.d. avvalimento plurimo o frazionato. 40. Dunque, sul quarto quesito, sul presupposto che sia corretta tale valutazione, ritiene il Governo italiano che spetti al giudice di rinvio stabilire, alla luce dei principi affermati da codesta Corte, se la relativa previsione della lex specialis di gara sia "connessa e proporzionata all'oggetto dell'appalto" e possa, quindi, legittimamente integrare una di quelle ipotesi eccezionali in cui il divieto di avvalersi della capacità di più soggetti sia conforme alla direttiva 2004/18. Sul sesto quesito. 41. Con il sesto quesito il giudice di rinvio chiede sostanzialmente se la causa di esclusione di cui all'art. 45, par. 2, lett. g) della direttiva - ossia l'essersi l'operatore economico reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni richieste dalla stazione appaltante o non avere fornito dette informazioni - ricorra quando le false informazioni abbiano influenzato o avrebbero potuto influenzare l'esito della gara, indipendentemente dal fatto che l'operatore economico l'abbia fatto consapevolmente e volontariamente ovvero con colpa e se ricorra tale causa di esclusione solo se l'operatore CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 137 economico abbia reso dichiarazioni false ovvero anche se le informazioni rese siano vere, ma siano state rese in modo da far credere di essere in possesso dei requisiti di partecipazione, pur non essendone in possesso. 42. Ritiene il Governo italiano che la causa di esclusione in discorso ricorra ogni volta che l'operatore economico abbia reso una dichiarazione falsa (ovvero abbia omesso di rendere una dichiarazione richiesta) su circostanze rilevanti ai fini dell'aggiudicazione dell'appalto, indipendentemente da ogni valutazione sul profilo psicologico. 43. La falsità della dichiarazione o l'omissione della stessa, nella misura in cui abbiano condizionato o possano condizionare l'esito della gara, infatti, costituiscono in sé una distorsione del libero e corretto confronto concorrenziale e devono essere sanzionati con l'esclusione dalla gara, senza che a tal fine la stazione appaltante sia tenuta ad accertare la sussistenza del dolo o della colpa in capo al partecipante (2). 44. Si suggerisce, pertanto, di rispondere al sesto quesito nel senso che la causa di esclusione di cui all'art. 45, par. 2, lett. g) della direttiva 2004/18 ricorre ogni qual volta l'operatore economico abbia reso false dichiarazioni relative ad elementi o condizioni rilevanti ai fini della partecipazione alla gara o dell'affidamento della stessa, indipendentemente dalla sussistenza del dolo o della colpa. V. CONCLUSIONI 45. In conclusione, il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti numeri 1), 2), 3), 4) e 6) posti dal giudice di rinvio nel senso indicato nelle presenti osservazioni. Roma, 10 dicembre 2014 Carla Colelli avvocato dello Stato . (2) La sussistenza del dolo o della colpa grave acquistano rilevanza, nell'ordinamento giuridico italiano, ai fini dell'iscrizione nel casellario informatico da parte dell'Autorità Nazionale Anticorruzione; l'art. 38, comma 1-ter del D.lgs. 163/2006 (introdotto dall'art. 4 del d.l. n. 70/2011) stabilisce infatti che "In caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all'Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1, lettera h), fino ad un anno, decorso il quale l'iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia"; l'essere iscritti nel casellario informatico ai sensi della citata disposizione costituisce autonoma causa di esclusione dalle gare per la durata della stessa, ai sensi dell'art. 38, comma 1, lett. h) del D.lgs. 163/2006; in ragione della gravità delle conseguenze che derivano da tale iscrizione, l'Autorità, ricevuta la segnalazione dalla stazione appaltante, avvia un procedimento in contraddittorio con l'operatore economico segnalato, al fine di accertare la riferibilità o meno delle false dichiarazioni allo stesso sotto il profilo dell'imputabilità soggettiva, ossia della sussistenza del dolo o della colpa, intesa quest'ultima in un'accezione non soggettiva, ma oggettiva, ossia come inosservanza della normale diligenza da parametrarsi ad obiettivi canoni sociali e professionali di condotta. 138 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Causa C-611/14 - Materia: Ravvicinamento delle legislazioni. Tutela dei consumatori - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Retten i Glostrup (Danimarca) il 23 dicembre 2014 - Anklagemyndigheden / Canal Digital Danmark A/S. La causa, proveniente dalla Danimarca, riguarda la conclusione di un contratto per via telematica e la tutela che si debba accordare al consumatore - la questione concerne l’istituto di recente creazione della dottrina civilistica della cd. “forma informativa”, ossia del contenuto che deve avere l’offerta pubblicitaria veicolata per via telematica (qui relativa all’offerta di acquisto di un pacchetto abbonamento di tv a pagamento). CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, nella causa C-611/14 Anklagemyndigheden contro Canal Digital Danmark A/S promossa ai sensi dell'art. 267 T.F.U.E. dal Tribunale di Glostrup - Danimarca, con ordinanza 09/11/2012. *** Premessa 1. Con ordinanza pronunciata in data 29 giugno 2010 e depositata il 16 agosto 2010, l’Autorità Giudiziaria in epigrafe indicata ha sollevato davanti alla Corte una questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE nell’ambito di un procedimento concernente l’interpretazione degli articoli 6 e 7 della Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. 2. I quesiti riguardano aspetti relativi all’indicazione del prezzo dei prodotti all’intemo dei messaggi pubblicitari e, in particolare, se le campagne promozionali debbano riportare l’indicazione del prezzo finale di vendita e di tutte le voci di costo obbligatoriamente dovute, o se, a fini informativi, sia sufficiente che il messaggio faccia rinvio ad altre fonti relative alle caratteristiche del bene offerto (sub specie il sito del professionista). 3. Dal contenuto dell’ordinanza risulta, infatti, che l’Autorità giudiziaria remittente, ritenendo che l’esito del giudizio nazionale dipenda dall’interpretazione delle previsioni contenute nella direttiva 2005/29/CE con riguardo all’indicazione del prezzo dei beni commercializzati (e dalla conseguente valutazione di conformità delle disposizioni danesi di recepimento della menzionata direttiva), chiede alla Corte di Giustizia di chiarire se le campagne promozionali debbano riportare l’indicazione del prezzo finale di vendita e di tutte le voci di costo obbligatoricimente dovute, o se, a fini informativi, sia sufficiente che il messaggio pubblicitario faccia rinvio ad altre fonti relative alle caratteristiche del bene offerto (sub specie il sito del professionista). Contesto normativo CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 139 4. Diritto comunitario. Dir. 11/05/2005, n. 2005/29/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio ("direttiva sulle pratiche commerciali sleali"), pubblicata nella G.U.U.E. 11 giugno 2005, n. L 149. Entrata in vigore il 12 giugno 2005. Articolo 7, par. 1, 2, 3 e 4 lett. a) e c). Omissioni ingannevoli: “1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. 5. 2. Una pratica commerciale è altresì considerata un'omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l'intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell'altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. 6. 3. Qualora il mezzo di comunicazione impiegato per comunicare la pratica commerciale imponga restrizioni in termini di spazio o di tempo, nel decidere se vi sia stata un'omissione di informazioni si tiene conto di dette restrizioni e di qualunque misura adottata dal professionista per mettere le informazioni a disposizione dei consumatori con altri mezzi. 7. 4. Nel caso di un invito all'acquisto sono considerate rilevanti le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal contesto: 8. a) le caratteristiche principali del prodotto in misura adeguata al mezzo di comunicazione e al prodotto stesso; 9. …c) il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l'impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l'indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore”. 10. Norme interne. Codice del consumo. Decreto legislativo 06.09.2005 n° 206, G.U. 08.10.2005. Art. 48 comma 1 lettera c), che prevede di indicare “il prezzo totale dei beni o servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o dei servizi comporta l'impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se applicabili, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l'indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore”. Causa principale e questioni pregiudiziali 11. La vicenda da cui trae origine la domanda riguarda una campagna pubblicitaria, lanciata da un’impresa danese che fornisce servizi televisivi, relativa ad abbonamenti TV e consistente in spot televisivi, visionabili anche sul sito www.youtube.com. in annunci con- 140 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 tenuti nei c.d. “banner pubblicitari” su diversi siti internet e in pubblicità sul sito dell’impresa interessata. 12. In particolare, i messaggi pubblicitari indicavano in maniera poco chiara il prezzo finale dovuto, composto da un prezzo mensile complessivo e da un prezzo semestrale di un “servizio connesso alla tessera” necessaria per usufruire del pacchetto di programmi televisivi acquistato. 13. Infatti, nei due spot TV, visionabili anche sul sito www.youtube.com, il costo dell’abbonamento mensile era annunciato da una voce fuori campo, che non menzionava nè il prezzo del servizio semestrale connesso alla tessera (riportato solo nel testo in fondo allo schermo), né il prezzo complessivamente richiesto al consumatore per il primo anno del contratto di abbonamento (periodo di impegno). 14. Quest’ultimo era riportato in caratteri più piccoli nella parte inferiore della pagina e in un cerchio presente sullo schermo. 15. Nei tre banner su internet, invece, veniva mostrato unicamente il prezzo dell’abbonamento, senza far riferimento al servizio semestrale connesso alla tessera. 16. Solo cliccando sul banner il consumatore poteva accedere al sito dell’impresa e reperire informazioni supplementari sui pacchetti venduti. 17. Infine, sul sito del professionista, era indicato all’interno di un cerchio il prezzo mensile dell’abbonamento, mentre i riferimenti al costo complessivo e all’addebito dell’importo per il servizio semestrale connesso alla tessera erano riportati con caratteri di ridotte dimensioni nella parte inferiore della pagina web. 18. La questione riguarda, quindi, se, in base alla direttiva 2005/29/CE le campagne promozionali debbano riportare l’indicazione del prezzo finale di vendita e di tutte le voci di costo obbligatoriamente dovute, o se, a fini informativi, sia sufficiente che il messaggio pubblicitario faccia rinvio ad altre fonti relative alle caratteristiche del bene offerto (sub specie il sito del professionista). 19. Per decidere la causa, l’Autorità Giudiziaria in epigrafe indicata ha ritenuto, perciò, di dover sottoporre all’esame di codesta Corte i seguenti quesiti: “1. Se la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno (la «direttiva sulle pratiche commerciali sleali») debba essere interpretata nel senso che osta ad un regime nazionale come quello previsto dall'articolo 3 del Markedsforingsloven danese, che vieta le pratiche commerciali ingannevoli, comprese quelle relative agli inviti all'acquisto, ma che né in tale articolo 3, né in altre disposizioni menziona le restrizioni previste dall'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva, secondo il quale occorre tenere conto del fatto che una pratica commerciale ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno, in un determinato contesto, per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, nonché dall'articolo 7, paragrafo 3, secondo il quale occorre tenere conto delle restrizioni in termini di tempo e di spazio imposte dal mezzo di comunicazione utilizzato. 2. Se l’articolo 6 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali debba essere interpretato nel senso che, nel caso in cui un professionista abbia scelto di indicare il prezzo complessivo di un abbonamento continuativo, in modo tale che il consumatore è tenuto a pagare sia un canone mensile sia un canone semestrale, tale pratica sarà considerata ingannevole se il prezzo mensile è messo in particolare evidenza nella pubblicità, mentre il canone semestrale è completamente omesso o presentato soltanto in modo meno evidente. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 141 3. Se l’articolo 7 della direttiva debba essere interpretato nel senso che, nel caso in cui un professionista abbia scelto di indicare il prezzo complessivo di un abbonamento continuativo, in modo tale che il consumatore è tenuto a pagare sia un canone mensile sia un canone semestrale, si configuri un'omissione ingannevole ai sensi dell'articolo 7 della direttiva se il prezzo mensile è messo in particolare evidenza nella pubblicità, mentre il canone semestrale è completamente omesso o presentato soltanto in modo meno evidente. 4. Se, nel valutare se una pratica commerciale sia ingannevole in situazioni come quelle descritte nella seconda e nella terza questione, occorra tenere conto del fatto che detta pratica: a) indichi il prezzo complessivo dell’abbonamento per il periodo di impegno, comprensivo del canone semestrale, e/o b) consista in annunci o pubblicità su Internet che rinviano al sito Internet del professionista, nel quale sono indicati il canone semestrale e/o il prezzo complessivo dell'abbonamento, comprensivo del canone semestrale. 5. Se, ai fini delle risposte alla seconda e alla terza questione, sia rilevante il fatto che la pubblicità consista in uno spot televisivo. 6. Se l'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva contenga un elenco tassativo delle informazioni sostanziali che devono comparire in un invito all'acquisto. 7. In caso di risposta affermativa alla sesta questione, se l’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva escluda la possibilità che un invito all’acquisto - che indica il prezzo complessivo che il consumatore è tenuto a pagare per il primo anno del periodo di contratto dell’abbonamento (periodo di impegno) - possa essere considerato una pratica commerciale ingannevole ai sensi dell'articolo 7, paragrafi 1 e 2, o dell’articolo 6 della direttiva, ad esempio qualora vengano fornite informazioni supplementari su talune componenti del prezzo del prodotto, ma non su tutte”'. Sulle questioni pregiudiziali 20. Il Governo italiano, quanto ai quesiti posti ed ai principi generali richiamati dal Giudice remittente, ritiene di dover intervenire nel presente giudizio perché l’emananda decisione può avere riflessi sulle disposizioni interne in materia. 21. Secondo il Governo italiano può essere data risposta ai quesiti formulati secondo le ragioni che si passa ad esporre. 22. In ambito comunitario, il principio della chiarezza e completezza delle indicazioni di prezzo risultava già affermato, a livello normativo, dalla Direttiva 2011/83/UE, c.d. Consumer Rights all’art. 5, par. 1, lett c), poi recepito nell’art. 48, comma 1, lett. c) del Codice del Consumo nazionale. 23. Gli obblighi di informazione gravanti sul professionista che decida di pubblicizzare i prodotti offerti in vendita rappresentano un elemento chiave per la tutela del consumo anche per la Commissione europea, che, nella relazione sull'applicazione della direttiva 2005/29/CE (1), ha sottolineato come la trasparenza sui prezzi costituisca un elemento (1) Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo del 14 marzo 2013, COM (2013) 139 finale pagg. 16 e ss. L’importanza delle informazioni sul prezzo era stata del resto già evidenziata nelle “linee guida” sulla direttiva sulle pratiche commerciali scorrette del 2009; cfr. Commission Staff Working Document Guidance on the implementation of Directive 2005/29/EC on Unfair Commercial Pratices, SEC (2009) 1666 del 3 dicembre 2009. pagg. 49 ss. 142 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 fondamentale, in quanto è in grado dì incidere in maniera rilevante sul processo decisionale del consumatore; pertanto, è indispensabile che il consumatore sia edotto sin dall'inizio e in maniera chiara sulle condizioni economiche dell’offerta. 24. Occorre precisare che la ratio normativa della Direttiva in parola è finalizzata a garantire la libera concorrenza sul mercato comunitario, come affermato dal Considerando 6, laddove si dichiara che “(6) La presente direttiva ravvicina pertanto le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi”, poiché detta disciplina “tutela indirettamente le attività legittime da quelle dei rispettivi concorrenti che non rispettano le regole previste dalla presente direttiva e, pertanto, garantisce nel settore da essa coordinato una concorrenza leale” (Considerando 8). 25. Per la giurisprudenza comunitaria, pur non sembrando sussistere precedenti specifici di codesta Corte di Giustizia, probabilmente in quanto il detto principio di chiarezza del prezzo è da considerarsi inconfutabile, si segnala, tuttavia, che in una sentenza del 12 maggio 2011 (Causa C-122/10, Konsumentombudsmannen-Ving Sverige AB) codesta Corte di Giustizia, pronunciandosi sul carattere ingannatorio di una pubblicità relativa alla vendita, anche via internet, di pacchetti turistici recante l’indicazione di un prezzo “a partire da”, ha statuito che il rinvio al proprio sito internet da parte del professionista può essere utilizzato per fornire talune informazioni al consumatore, purché consenta a quest’ultimo di assumere una decisione consapevole di natura commerciale. 26. E ciò in quanto ai sensi del quindicesimo "considerando" e l'art. 7, n. 5, della direttiva, le informazioni connesse alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing, sono ritenute di rilievo. 27. Pertanto, secondo la Corte, con tale decisione, spetta al giudice nazionale accertare in fatto la correttezza e completezza delle informazioni sul prezzo nel caso sottoposto al suo vaglio in relazione al prodotto offerto e al mezzo di comunicazione utilizzato. 28. Altresì, con la sentenza 19 dicembre 2013 (Causa C-281/12, Coop Superstore di Trento- Agcm), codesta Corte ha ribadito la rilevanza della fase dell’aggancio del cliente ai fini dell’applicazione delle norme sulle pratiche commerciali scorrette, rientrando nella nozione di decisione di natura commerciale, “qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto”, come ad esempio “la decisione di entrare nel negozio”. 29. In ambito nazionale, tali principi sono stati accolti anche dalla giurisprudenza nazionale amministrativa, secondo cui l’indicazione del prezzo deve includere ogni onere economico gravante sul consumatore, il cui ammontare sia determinabile ex ante o presentare, contestualmente e con adeguata evidenza grafica e/o sonora, tutte le componenti che concorrono al computo del prezzo, al fine di rendere chiara e compiuta l’informazione fornita al consumatore. 30. Sono, infatti, da ritenersi ingannevoli i messaggi pubblicitari in cui “il prezzo finale ed effettivo del servizio non sia quello enfatizzato nel claim principale, ma a tale prezzo si debbano aggiungere” ulteriori voci di costo “in base ad indicazioni non contestuali e prive della stessa enfasi”. 31. Ciò in quanto, “anche le sole modalità di presentazione del prezzo possono indurre in errore il consumatore, e quindi porsi in contrastoo con l’ampia previsione della norma richiamata, quando il messaggio pubblicitario enfatizza non il prezzo finale ed effettivo, ma un prezzo base a cui si aggiungono ulteriori costi ed oneri”, indipendentemente dal CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 143 mezzo di comunicazione utilizzato (si vedano le decisioni del Tar Lazio 27 marzo 2014, n. 3378 Ryanair; 8 maggio 2012, n. 4123, Opel - Pubblicità non trasparente; 21 luglio 2011, n. 6563, Peugeot 307 - Pubblicità non trasparente; del Consiglio di Stato 24 settembre 2012, n. 5073, Tariffe Ryanair; 24 novembre 2011, n. 6204, Snav - Prenotazione auto, 27 ottobre 2011, n. 5785, Sardinia Ferries-Auto ad 1 euro). 32. Il principio della chiarezza e completezza informativa sul prezzo pubblicizzato è stato recentemente ribadito dal Tar Tazio, con la sentenza n. 994 del 21 gennaio 2015, MSC Crociere - Crociere sul Mediterraneo, che ha confermato il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che aveva ritenuto ingannevole una campagna pubblicitaria a mezzo internet in cui il professionista forniva con modalità di scarsa accessibilità, chiarezza e trasparenza, informazioni rilevanti per il consumatore in merito a taluni esborsi economici richiesti al momento dell’acquisto di una crociera. 33. Con riferimento al deficit informativo derivante dal mero rinvio a fonti di informazioni ulteriori, il Tar Lazio (sent. 3 luglio 2012, n. 6026, Vibro Power) ha statuito come l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario non sia esclusa dalla possibilità che il consumatore sia posto in condizione, prima della stipula del contratto, di acquisire maggiori dettagli sull'offerta. 34. Infatti, la valutazione di recettività di un messaggio pubblicitario riguarda l’idoneità di quest'ultimo a condizionare le scelte dei consumatori, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili a contatto già avvenuto (e quindi, ad effetto promozionale ormai prodotto), non potendosi ammettere che una sorta di “attitudine etero integrativa”, costituita dal rinvio ad altri mezzi informativi, valga ad elidere la violazione degli obblighi di diligenza professionale in relazione ad un’informazione strutturalmente carente. 35. In sede amministrativa, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato vigila sull’esatta applicazione dei richiamati principi. 36. Nell’attività dell’Autorità suddetta è consolidato il principio generale secondo cui le comunicazioni pubblicitarie devono indicare, in maniera chiara, ogni onere economico gravante sul consumatore, il cui ammontare sia determinabile ex ante, e che nei messaggi promozionali devono essere riportate, con adeguata evidenza grafica, tutte le componenti che concorrono al computo della somma richiesta, allo scopo di rendere completa e corretta l’informazione fornita al consumatore. 37. Inoltre, l’Autorità ha ritenuto che il completamento del set su informazioni essenziali dell’offerta mediante il rinvio a pagine web è possibile esclusivamente nell’ipotesi in cui si crei un “percorso obbligato” e non qualora la consultazione delle pagine a cui si rinvia sia esclusivamente eventuale. 38. Per quanto concerne lo specifico settore dell’offerta di servizi di pay-TV, sottoposto al vaglio di codesta Corte di Giustizia, si sottolinea come l’Autorità abbia evidenziato nelle proprie decisioni la necessità dì fornire ai consumatori informazioni aggiornate e facilmente accessibili, comprendenti tutti gli elementi essenziali per effettuare scelte consapevoli. 39. Si pensi, a titolo esemplificativo, al provvedimento 24 maggio 2011, n. 22465, Offerta di Natale 2010 Christmas Box, in cui è stato chiarito che le precisazioni riportate in scritte scorrevoli, essenziali per valutare l’effettiva convenienza dell’offerta, devono essere portate a conoscenza del pubblico nel modo più appropriato possibile, anche in rapporto all’enfasi data alla convenienza dell’offerta tariffaria tramite i claim o le voci fuori campo. 144 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 40. Infatti, il messaggio pubblicitario deve dare alle avvertenze che limitano le alte aspettative suscitate con il claim principale un rilievo ed un posizionamento nel contesto complessivo della comunicazione, tali da rendere ragionevolmente certo che il pubblico abbia l’immediata percezione delle condizioni di fruizione dell’offerta pubblicizzata. 41. Tale onere vale, a maggior ragione, nel settore delle offerte televisive, caratterizzato da numerose proposte e combinazioni sempre molto articolate, sia sotto il profilo dei costi che dei contenuti, con il conseguente disorientamento che questo determina nel consumatore, già penalizzato da una forte asimmetria informativa. 42. In un altro procedimento l’Autorità ha giudicato ingannevole una campagna televisiva con la quale il professionista promuoveva i propri servizi televisivi a pagamento segnalando con particolare evidenza grafica la convenienza del prezzo dell’offerta, ma omettendo di specificare, o di indicare con sufficiente chiarezza, alcune caratteristiche economiche dell’offerta, tra cui gli ulteriori importi dovuti rispetto al costo base dell’abbonamento. 43. In tal senso rileva il provvedimento del 3 novembre 2010 n. 21772, Mediassi Premium- Omissioni informative, ove è stato precisato che il rinvio nelle campagne pubblicitarie ad altre fonti informative, tra cui il sito internet del professionista, non può ritenersi sufficiente ad escludere la portata recettiva del messaggio, dal momento che tutte le informazioni necessarie ad una corretta comprensione dell’offerta devono essere fornite contestualmente, al fine di consentire al consumatore di assumere una decisione pienamente consapevole. 44. Nell’ambito della dottrina nazionale (2), si è sviluppata una maggiore attenzione alla tutela della persona del consumatore che venga a contatto con offerte commerciali mediante l’uso di nuove tecniche di offerta come il computer ed il messaggio via internet. 45. Si è osservato che “Tali tecniche, inoltre, richiamano l’attenzione sulla comunicazione per immagini in ambito giuridico, ove è chiara la funzione manipolativa dell’immagine, intesa quest’ultima come circuito seduttivo in cui convivono una forte esposizione dell’emittente e una pesante pressione del ricevente”. 46. Pertanto, si ritiene che maggiore debba essere il grado di chiarezza e di precisione dell’offerta commerciale, laddove si faccia uso della trasmissione digitale ed informatica della pratica commerciale, poiché “La combinazione [scrittura + immagini], dunque, che ha reso universale il linguaggio stratificato del Web, influenza anche la contrattazione contemporanea: essa indirizza le scelte dell’utente globale in modo veloce perché, come è stato documentato in modo efficace su base scientifica, l’immagine «viaggia» più velocemente dello scritto, essa innesca il processo di persuasione, facilita la comprensione ed il ricordo dell’informazione e ne aumenta l’aderenza, ovvero il comportamento che asseconda il messaggio veicolato dall’informazione. L’immagine accresce, dunque, le potenzialità espansive della comunicazione scritta”. 47. Se, quindi, la pratica commerciale si avvale non più solo del mezzo cartaceo (depliant, volantini, moduli o formulari cartacei), ma anche e soprattutto del mezzo informatico, accrescendo la potenzialità espansiva, seduttiva e persuasiva dell’informazione, mag- (2) V. la nota La forma “informativa” di BARBARA PASA in Le Leggi d’Italia (www.leggiditalia.it); della stessa autrice La forma informativa nel diritto contrattuale europeo. Verso una nuova nozione procedurale di contratto, Napoli, 2008. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 145 giori, si ritiene, che debbano essere le tutele approntate dall’ordinamento a tutela del singolo consumatore ed indirettamente a tutela della libera concorrenza. 48. L’inadeguata conoscenza informativa dell’offerta lede la ratio della normativa in parola, poiché, com’è noto, il consumatore sceglie di acquistare attraverso una valutazione che riguarda essenzialmente le caratteristiche materiali del servizio offerto (nel caso di specie un abbonamento TV), e solo in seguito valuta quali siano le obbligazioni derivanti dal contratto. 49. Nelle proprie valutazioni il consumatore è principalmente indotto all’acquisto dalle informazioni che riguardano principalmente le caratteristiche servizi, i prezzi, il rapporto fra prezzo e qualità, la durata e le obbligazioni contrattuali. 50. Nella sua valutazione restano in penombra i costi aggiuntivi del servizio offerto, che, tuttavia, sono quelli che incidono maggiormente sull’asimmetria informativa e sul prezzo globale finale del servizio pubblicizzato. 51. Occorre, quindi, per realizzare la ratio normativa della direttiva in parola, interpretare l’art. 7, in modo da rendere crescenti le tutele del consumatore e della comunità imprenditoriale proprio nel caso in cui la pratica commerciale si avvalga di nuove tecniche di comunicazione. 52. La velocità e la stringatezza del messaggio pubblicitario non deve diventare alibi per la reticenza su costi rilevanti dell’operazione offerta, come nel caso di specie, laddove è posta in penombra, ossia in secondo piano, mediante ulteriore rinvio al sito del professionista, l’informazione sul costo aggiuntivo della tessera semestrale dell’abbonamento TV. 53. Infatti, è di tutta evidenza che l’effetto del divario informativo si concreta nell’impossibilità di svolgere una compiuta valutazione dell’operazione economica, compresa la valutazione dei rischi, cioè dei costi, di modo che il consumatore assumerà obblighi (oltre che titolarità di diritti), senza, tuttavia, la consapevolezza necessaria e con un’alta probabilità di riuscita che la transazione che sarà eventualmente conclusa col professionista non corrisponderà alle sue effettive esigenze, specie sotto il profilo della consapevole comparazione tra costi e qualità del servizio. 54. Per ciò che riguarda la ricerca e l’individuazione di regole precise sul contenuto minimo dell’informazione pre-contrattuale di natura pubblicitaria effettuata mediante strumenti telematici, si potrebbe, ad esempio, fare riferimento, in attesa di una prassi giurisprudenziale consolidata di codesta Corte, a principi, peraltro già presenti nella Direttiva de qua, che prescrivono obblighi informativi attraverso l’utilizzo di particolari formulazioni generali, quali “informazione veritiera e corretta, adeguata e precisa”, tali da definire una informazione chiara e comprensibile, così come definita nella dottrina europea, col progetto denominato di “Quadro Comune di Riferimento”, meglio noto come DCFR, acronimo inglese che sta per Draft Common Frame of Reference, all’art. II-3:106 (chiarezza e forma dell’informazione) (3). 55. Se è vero, quindi, per rifarsi ai Considerando citati della direttiva che il fine perseguito dalla direttiva art. 7 è quello di formare un “consenso informato” sulla pratica commerciale, eliminando i rischi del deficit informativo, si vede, allora che l’elevazione degli (3) Il Draft Common Frame of Reference del diritto privato europeo è edito in Italia a cura di ALPA GUIDO, PERFETTI UBALDO, ZATTI PAOLO, IUDICA GIOVANNI, Padova, CEDAM, Anno 2009. Tale testo è redatto in funzione di un progetto di codice civile europeo. 146 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 standards di chiarezza e correttezza dell’informazione pubblicitaria è garanzia di transazioni trasparenti, che, a loro volta, accrescono la fiducia e la sicurezza dei consumatori nel mercato a tutto vantaggio della quantità e della qualità degli scambi commerciali all’interno dell’Unione. *** In conclusione, il Governo italiano suggerisce alla Corte di rispondere ai quesiti sottoposti al suo esame affermando che, nell’ipotesi di comunicazione commerciale che consista in annunci su Internet mediante spot televisivi, che invitano all’acquisto indicando il prezzo complessivo ed il canone mensile dell’abbonamento continuativo, rinviando al sito del professionista offerente per conoscere tutte le ulteriori modalità del prezzo e dei costi aggiuntivi del servizio offerto, il diritto comunitario osta: 1) a che la pratica commerciale descritta ometta informazioni rilevanti a causa delle modalità del mezzo di comunicazione utilizzato; 2) a che la pratica commerciale consenta di conoscere il prezzo mensile di un abbonamento continuativo, ma non in maniera chiara il canone semestrale praticato, con conseguente definizione di tale pratica commerciale quale pratica ingannevole ai sensi dell’art. 7 par. 1, 2, 3 e 4 della Direttiva 2005/29/CE. Roma, 16 aprile 2014 Fabrizio URBANI NERI AVVOCATO DELLO STATO CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 147 Causa C-27/15 - Materia: Libertà di stabilimento. Libera prestazione dei servizi. Ravvicinamento delle legislazioni - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana (Italia) il 22/01/2015 - Pippo Pizzo / CRGT srl. CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia nella causa C-27/15 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (Italia), nella causa A) GEOM. PIPPO PIZZO contro B) C.R.G.T. S.R.L. e nei confronti di C) AUTORITÀ PORTUALE DI MESSINA D) MESSINA SUD S.R.L. E) DITTA TODARO FRANCESCO F) MYLECO S.A.S. * * * I. LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE 1. Con ordinanza del 10 dicembre 2014, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (Italia), nell'ambito del procedimento che vede contrapposte le parti indicate in epigrafe, ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: 1) se gli art. 47 e 48 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, debbano essere interpretati nel senso che essi ostino a una normativa nazionale, come quella italiana sopra descritta, che consente l’avvalimento frazionato, nei termini sopra indicati, nell'ambito dei servizi; 2) se i principi del diritto dell'Unione europea, e segnatamente quelli di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto e di proporzionalità, ostino, o no, a una regola dell'ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere da una procedura di evidenza pubblica un'impresa che non abbia percepito, perche non espressamente indicato dagli atti di gara, un obbligo - il cui inadempimento sia sanzionato con l'esclusione - di provvedere al versamento di un importo per i fini della partecipazione alla predetta procedura e ciò nonostante che l’esistenza di detto obbligo non sia chiaramente desumibile sulla base del tenore letterale della legge vigente nello Stato membro, ma sia tuttavia ricostruibile a seguito di una duplice operazione giuridica, consistente, dapprima, nell'interpretazione estensiva di talune previsioni dell'ordinamento positivo dello stesso Stato membro e, poi, nella integrazione in conformità agli esiti di tale interpretazione estensiva - del contenuto precettivo degli atti di gara. II. I FATTI E LA CONTROVERSIA NELLA CAUSA PRINCIPALE 2. Il procedimento a quo riguarda una procedura aperta, di rilevanza europea, indetta dall'Autorità Portuale di Messina, con bando pubblicato nel novembre 2012, per l'affida- 148 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 mento del servizio quadriennale di gestione dei rifiuti e dei residui di carico prodotti a bordo delle navi facenti scalo entro la circoscrizione territoriale dell'Autorità. 3. La procedura fu aggiudicata all'ATI Pippo Pizzo e Onofaro Antonino, mentre le altre imprese partecipanti indicate nell'epigrafe del presente atto - furono escluse in ragione del mancato pagamento del contributo alla Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP, oggi Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC), previsto dall'art. 1, commi 65 e 67, della L. 266/2005 (c.d. Legge finanziaria 2006). 4. Avverso l'esclusione propose ricorso la CRGT S.r.l.; l'ATI Pizzo Pizzo propose ricorso incidentale impugnando la mancata esclusione della CRGT per non avere la stessa prodotto - come richiesto dal bando due referenze bancarie, ma solo una, ricorrendo, per la seconda, all'istituto dell’avvalimento. 5. Il TAR per la Sicilia - Sezione Staccata di Catania, respinse il ricorso incidentale ritenendo che il requisito delle referenze bancarie, indicato nel bando a pena di esclusione, fosse integrabile mediante l'istituto dell'avvalimento anche in forma frazionata (sicché la stessa società poteva avvalersi della referenza bancaria presentata da una sua impresa ausiliaria); accolse, invece, il ricorso principale in quanto il pagamento del contributo non era richiesto né nel bando né nel disciplinare di gara e, per legge, risulta dovuto solo negli appalti di opere pubbliche; pertanto, la mancanza di una previsione normativa esplicita che estenda l'obbligo del versamento anche al settore dei "servizi" e il principio di tassatività delle cause di esclusione "avrebbero dovuto indurre la stazione appaltante a mantenere in gara" la società odierna ricorrente "non avendo la medesima percepito, senza colpa, che - per effetto dell’esegesi estensiva dell'obbligo di legge del pagamento anche ai servizi (ambito ricompreso nell'attività istituzionale dell’AVCP dopo il 2006) - operasse nella fattispecie il meccanismo di eterointegrazione della lex specialis di cui all'art. 1339 c.c.”. 6. L'impresa aggiudicataria ha appellato tale sentenza sostenendo quanto segue: - che il bando prevedeva l'indicazione di almeno due referenze bancarie, mentre la società resistente ne aveva indicata una in via autonoma mentre per l'altra si è avvalsa della referenza bancaria di una sua impresa ausiliaria; - che, diversamente da quanto affermato dal TAR con riguardo all'obbligo del versamento a favore dell'AVCP, alle imprese escluse dalla gara non può essere richiesta la "diligenza" semplice del "cittadino amministrato" bensì quella di "esperto in materia" e per tal motivo dette imprese non avrebbero dovuto ignorare l'obbligatorietà del versamento stesso. 7. Nell'ambito di tale procedimento il Consiglio di Giustizia Amministrativa della regione Siciliana ha proposto la domanda di rinvio pregiudiziale di cui all'odierna causa. III. LA NORMATIVA COMUNITARIA ED INTERNA RILEVANTE E LE MOTIVAZIONI DELLA GIURISDIZIONE DI RINVIO. 8. I quesiti posti nell'ordinanza di rinvio vertono sull'interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 (in prosieguo: la «direttiva»), relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. 9. L'art. 2 (Principi di aggiudicazione degli appalti) stabilisce che "Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza". 10. L'art. 44 (Accertamento dell'idoneità e scelta dei partecipanti; aggiudicazione), parr. 1 e 2 stabiliscono che CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 149 "1. L'aggiudicazione degli appalti avviene in base ai criteri di cui agli articoli 53 e 55, tenuto conto dell'articolo 24, previo accertamento dell'idoneità degli operatori economici non esclusi in forza degli articoli 45 e 46, effettuato dalle amministrazioni aggiudicatrici conformemente ai criteri relativi alla capacità economica e finanziaria, alle conoscenze od alle capacità professionali e tecniche di cui agli articoli da 47 a 52 e, se del caso, alle norme ed ai criteri non discriminatori di cui al paragrafo 3. 2. Le amministrazioni aggiudicatrici possono richiedere livelli minimi di capacità, conformemente agli articoli 47 e 48, che i candidati e gli offerenti devono possedere. La portata delle informazioni di cui agli articoli 47 e 48 nonché i livelli minimi di capacità richiesti per un determinato appalto devono essere connessi e proporzionati all'oggetto dell'appalto. Detti livelli minimi sono indicati nel bando di gara”. 11. L'art. 47 (Capacità economica e finanziaria), al par. 2 stabilisce: "Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell'impegno a tal fine di questi soggetti". 12. L'art. 48 (Capacità tecniche e professionali), al par. 3 stabilisce: "Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Deve, in tal caso, provare alla amministrazione aggiudicatrice che per l'esecuzione dell'appalto disporrà delle risorse necessarie ad esempio presentando l'impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell'operatore economico le risorse necessarie". 13. Secondo la prospettazione fatta propria dal giudice del rinvio rileva, poi, anche la direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 (in prosieguo: la «nuova direttiva»), sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, e in particolare: 14. Il considerando n. 2, che, tra l'altro, prevede che: "... la normativa sugli appalti adottata ai sensi della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dovrebbe essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l'efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale". 15. Rileva, poi, l'art. 63 (Affidamento sulle capacità di altri soggetti), che, al par. 1 stabilisce che: "1. Per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica e finanziaria stabiliti a norma dell'articolo 58, paragrafo 3, e i criteri relativi alle capacità tecniche e professionali stabiliti a norma dell'articolo 58, paragrafo 4, un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Deve, in tal caso, provare all'amministrazione aggiudicatrice che per l'esecuzione 150 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 dell'appalto disporrà delle risorse necessarie ad esempio presentando l'impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell'operatore economico le risorse necessarie". 16. Quanto alla normativa interna, rilevano, in primo luogo, le disposizioni di cui al D.lgs. 163/2006, con il quale è stata recepita nell'ordinamento italiano la direttiva 2004/18/CE. In particolare: 17. L'art. 49 (Avvalimento), che, al comma 6 (nella versione applicabile ratione temporis alla gara in questione), stabiliva che: "6. Per i lavori, il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione. Il bando di gara può ammettere l'avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell'importo dell'appalto o della peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico- finanziari e tecnico-organizzativi di cui all'articolo 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito il rilascio dell'attestazione in quella categoria ". 18. L'art. 49 (Avvalimento), che, al comma 6 (come sostituito, da ultimo, dall'art. 21, comma 1, della legge n. 161/2014), stabilisce che: "6. È ammesso l'avvalimento di più imprese ausiliarie, fermo restando, per i lavori, il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui all'articolo 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito il rilascio dell'attestazione in quella categoria. Le procedure di affidamento dei contratti pubblici hanno luogo nel rispetto degli atti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici, se previsti dal presente codice o dalle norme vigenti". 19. Rileva, poi, l'art. 1 della legge n. 266/2005 (c.d. Legge Finanziaria 2006), in particolare i commi 65 e 67, che stabiliscono che: "65. A decorrere dall'anno 2007 le spese di funzionamento della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione di vigilanza sui fondi pensione sono finanziate dal mercato di competenza, per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato, secondo modalità previste dalla normativa vigente ed entità di contribuzione determinate con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge, versate direttamente alle medesime Autorità. ... ... 67. L'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, cui è riconosciuta autonomia organizzativa e finanziaria, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento di cui al comma 65 determina annualmente l'ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione, ivi compreso l'obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale condizione di ammissibilità dell'offerta nell'ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche. ...". 20. Il giudice a quo ha, dapprima, valutato la legittimità, rispetto al diritto europeo, dell'istituto dell'avvalimento in forma frazionata. 21. Lo stesso ha evidenziato che l'ordinamento giuridico italiano (in particolare l'art. 49 del D.Lgs. 163/2006 di recepimento degli artt. 47 e 48 della direttiva 2004/18 e dell'art. 54 della direttiva 2004/17), così come il costante indirizzo giurisprudenziale nazionale (Cons. Stato, sent. n. 5874/2013 e sent. n. 2200/2014) e comunitario (causa C-94/12 con pronuncia del 10.10.2013), consentono che un'impresa possa ricorrere all'avvalimento anche in forma "frazionata" per soddisfare determinati requisiti di partecipazione (nel CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 151 caso di specie, la referenza bancaria). Tuttavia il giudice rimettente ha ritenuto necessario sollevare ugualmente la questione pregiudiziale sia per la differenza della fattispecie oggetto della controversia odierna rispetto a quella esaminata dalla CGUE nella causa C-94/12 e sia perché la nuova direttiva 2014/24/UE, seppur non ancora recepita in Italia, sembra aver limitato, all'art. 63, il precedente favor per l'istituto dell'avvalimento con riguardo ai requisiti di capacità economico finanziaria. 22. Quanto alla seconda questione, i dubbi della giurisdizione di rinvio riguardano il possibile contrasto con i principi comunitari della tutela del legittimo affidamento, della certezza del diritto e della proporzionalità, nonché del favor partecipationis, tenuto però conto del principio di parità di trattamento tra le imprese concorrenti, di una regola in virtù della quale - pur non avendo la normativa di gara prescritto espressamente, ai fini della valida partecipazione alla stessa, il possesso di un requisito (nella specie la prova dell'adempimento di un obbligo di versamento del contributo all'AVCP) - un'impresa venga esclusa, sebbene la obbligatorietà di tale requisito possa ricavarsi attraverso la duplice operazione giuridica di a) interpretazione estensiva del quadro normativo vigente (art. 1, commi 65 e 67, della L. 266/2005, che, sulla base delle determinazioni dell'AVCP, opererebbe a prescindere dalla tipologia del contratto messo a gara) e b) di eterointegrazione degli atti di gara "silenti" considerato che "la portata imperativa delle norme che prevedono tali adempimenti conduce, ai sensi dell'art. 1339 cod. civ. alla eterointegrazione del bando e successivamente, in caso di violazione dell'obbligo, all'esclusione del concorrente" (come stabilito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 9 del 2014). 23. Si chiede il giudice di rinvio se, non essendo, appunto, il requisito richiesto espressamente né dal bando di gara, né - per gli appalti di servizi - dalla normativa nazionale, non sia più conforme ai richiamati principi comunitari una regola che ammetta l'impresa a provvedere al pagamento omesso nel corso della procedura, entro un breve termine concesso dalla stazione appaltante. IV. OSSERVAZIONI DEL GOVERNO ITALIANO Sul primo quesito. a) Sulla ricevibilità. 24. I1 Governo italiano ritiene, in primo luogo, che, per come motivato, sia dubbia la ricevibilità del primo quesito. 25. Va al riguardo richiamata la giurisprudenza di codesta Corte secondo cui: "l'esigenza di giungere ad un'interpretazione del diritto dell'Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest'ultimo definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui s'inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., in particolare, sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. 1-393, punto 6). ... A questo proposito, le informazioni fornite nei provvedimenti di rinvio servono non solo a consentire alla Corte di fornire utili soluzioni, ma anche a dare ai governi degli Stati membri e agli altri interessati la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea. Spetta alla Corte vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della citata disposizione, agli interessati vengono notificati solo i provvedimenti di rinvio, corredati da una traduzione nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali di ciascuno Stato membro (v. sentenza 1° aprile 1982, cause riunite 141/81-143/81, Holdjk e a., Racc. pag. 1299, punto 6)" (Corte di Giustizia, 152 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 sentenza del 18 ottobre 2011, cause riunite da C-128/09 a C-131/09, C-134/09 e C-135/09). 26. Ebbene, la giurisdizione di rinvio - dopo aver dato atto della circostanza che l'avvalimento "plurimo o frazionato", cui aveva fatto ricorso la CRGT, non risulta vietato dalla legislazione nazionale applicabile ratione temporis ed era altresì ammesso dalla giurisprudenza sia nazionale che di codesta Corte, richiamando al riguardo la sentenza del 10 ottobre 2013 nella causa C-94/12 - motiva la decisione di disporre il rinvio pregiudiziale, in primo luogo, in quanto "la fattispecie oggetto della controversia è differente da quella esaminata nel citato precedente della Corte di Giustizia". 27. La stessa, tuttavia, in nessun modo precisa in cosa consista detta differenza e, soprattutto, non chiarisce per quali motivi tale differenza dovrebbe rendere dubbia l'applicazione dei principi affermati da codesta Corte nella citata sentenza. 28. In altri termini il giudice nazionale non ha spiegato "le ipotesi di fatto" su cui la questione è fondata, non fornendo, quindi, né alla Corte né alle parti interessate gli strumenti per prendere adeguata posizione sulla domanda proposta. 29. Considerato che l'ulteriore motivo che ha indotto la giurisdizione di rinvio a sollevare la questione è la riscontrata (ma invece inesistente, come si esporrà più avanti) differenza del nuovo quadro normativo rappresentato dall'art. 63 della direttiva 2014/24/UE rispetto alle disposizioni della direttiva 2004/18/CE (differenza consistente in un minor favor per l'istituto dell'avvalimento), tenuto conto che tale nuova disposizione è pacificamente inapplicabile alla fattispecie in esame e, peraltro, il termine di recepimento della citata direttiva non è neanche ancora scaduto, con conseguente irrilevanza del profilo in esame, ne deriva, ad avviso del Governo italiano, l'irricevibilità della questione. b) Esame della questione. 30. In ogni caso, passando all'esame della prima questione, ritiene il Governo italiano che la stessa, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisdizione di rinvio, possa essere agevolmente risolta alla luce della giurisprudenza di codesta Corte e, in particolare, dei principi affermati nella già citata sentenza in causa C-94/12. 31. Va in primo luogo evidenziato che - al di là delle ovvie specificità in fatto delle fattispecie concrete - non si riscontrano, tra quella esaminata dalla Corte e quella di cui al giudizio principale, differenze rilevanti sotto il profilo giuridico. 32. Nel caso di cui alla sentenza C-94/12 l'impresa che aveva fatto ricorso all'istituto dell'avvalimento aveva integrato, con l'ausilio di due imprese terze, il requisito relativo alla classe attestazione SOA necessaria. 33. Nel caso di specie la CRGT ha integrato, tramite un'impresa ausiliaria, il requisito della duplice garanzia bancaria richiesta. 34. In entrambi i casi sono, quindi, stati integrati, tramite il ricorso all'istituto dell'avvalimento, requisiti di partecipazione richiesti dalla lex specialis di gara. 35. Non vi sono, quindi, dubbi, ad avviso del Governo italiano, circa l'applicabilità al caso in esame dei principi di cui alla sentenza relativa alla causa C-94/12, principi, in ogni caso, affermati da codesta Corte con carattere di tale generalità da non ammettere interpretazioni restrittive. 36. Rilevano, in particolare, i seguenti passaggi: 1' "amministrazione aggiudicatrice deve tenere conto del diritto che gli articoli 47 [relativo alla Capacità economico e finanziaria, n.d.r.], paragrafo 2, e 48 [relativo alle Capacità tecniche e professionali, n.d.r.], paragrafo 3, della direttiva 2004/18 riconoscono ad ogni operatore economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle ca- CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 153 pacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura dei suoi legami con questi ultimi, purché dimostri all'amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari per eseguire tale appalto" (punto 29). "... 1’uso sistematico del plurale nelle succitate disposizioni indica che le stesse non vietano, in via di principio, ai candidati o agli offerenti di fare riferimento alle capacità di più soggetti terzi per comprovare che soddisfano un livello minimo di capacità. A fortiori, tali disposizioni non istituiscono divieti di principio relativi alla possibilità per un candidato o un offerente di avvalersi delle capacità di uno o più soggetti terzi in aggiunta alle proprie capacità, al fine di soddisfare i criteri fissati da un'amministrazione aggiudicatrice" (punto 30). "È pertanto d'uopo considerare che la direttiva 2004/18 consente il cumulo delle capacità di più operatori economici per soddisfare i requisiti minimi di capacità imposti dall'amministrazione aggiudicatrice, ..." (punto 33). "Un 'interpretazione del genere è conforme all'obiettivo dell'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, obiettivo perseguito dalle direttive in materia a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici (v., in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2009, CoNISMa, C-305/08, Racc. pag. 1-12129, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, come rilevato dall'avvocato generale ai paragrafi 33 e 37 delle sue conclusioni, essa è anche idonea a facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, cui tende altresì la direttiva 2004/18, come posto in rilievo dal considerando 32" (punto 34). 37. Dunque, secondo quanto affermato da codesta Suprema Corte, dagli articoli 47, comma 2, e 48, comma 3, della direttiva, deriva il diritto, per gli operatori economici, di avvalersi delle capacità di uno o più soggetti terzi in aggiunta alle proprie e così integrare i requisiti richiesti dalle amministrazioni aggiudicatrici sia di ordine economico e finanziario sia di ordine tecnico e professionale e ciò in armonia con il duplice obiettivo di aprire gli appalti alla massima concorrenza possibile e di favorire l'accesso agli stessi anche delle piccole e medie imprese. 38. Codesta Corte ha ammesso che possano esistere "lavori che presentino peculiarità tali da richiedere una determinata capacità che non si ottiene associando capacità inferiori di più operatori", con conseguente possibilità, in tal caso, per la stazione appaltante di introdurre un divieto di avvalimento, purchè tale esigenza sia "connessa e proporzionata all'oggetto dell'appalto interessato" (punto 36). 39. Ha tuttavia, precisato che "tale ipotesi costituisce una situazione eccezionale", con la conseguenza che "la direttiva 2004/18 osta a che la summenzionata esigenza assurga a regola di carattere generale nella disciplina nazionale". 40. Dunque, poiché nel caso di specie la stazione appaltante non aveva previsto alcun divieto di avvalimento ed un tale divieto non è desumibile né dalla disciplina interna e comunitaria né dai principi affermati da codesta Corte, non vi è alcuna ragione per dubitare della compatibilità della disciplina nazionale alla luce della quale deve ritenersi ammesso l'avvalimento in forma frazionata negli appalti di servizi - con gli articoli 47, comma 2, e 48, comma 3, della direttiva 2004/18. 41. Né ad un diverso esito interpretativo può pervenirsi alla luce della disposizioni della nuova direttiva 2014/24/UE. 42. Va in primo luogo ribadito che il termine di recepimento di tale direttiva non è ancora scaduto. 154 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 43. Com'è noto, una volta che la direttiva è pubblicata, fino a che non è scaduto il termine di recepimento, gli Stati sono solo tenuti a non emanare disposizioni interne incompatibili con le stesse (c.d. obbligo di stand still ), ma le relative disposizioni non sono certo vincolanti né possono impattare sulla compatibilità comunitaria delle vigenti disposizioni nazionali che siano state adottate in attuazione di precedenti atti normativi delle istituzioni dell'Unione. 44. In altri termini, a scopo esemplificativo, anche qualora la nuova direttiva avesse addirittura introdotto un divieto di avvalimento, ciò non renderebbe certamente contrarie al diritto dell'Unione le norme del decreto legislativo 163/2006 - che invece ammettono l'avvalimento - emanate in attuazione delle conformi disposizioni contenute nella vigente direttiva 2004/18. 45. In ogni caso, fermo quanto appena detto, è comunque da evidenziare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisdizione di rinvio, la nuova direttiva non risulta affatto meno favorevole all'istituto dell'avvalimento rispetto alla 2004/18. 46. L'art. 63 della nuova direttiva contiene una disciplina dell'istituto in esame sicuramente più dettagliata rispetto a quella di cui agli artt. 47, comma 2, 48, comma 3, della direttiva 2004/18; tuttavia, le ulteriori disposizioni introdotte in nessun modo sono volte a limitare il ricorso all'avvalimento, essendo esclusivamente finalizzate ad introdurre positivamente regole maggiormente garantiste per le stazioni appaltanti, prevedendo specifici poteri di controllo sui requisiti delle imprese ausiliarie ovvero la possibilità di richiedere, in caso di avvalimento per l'integrazione dei requisiti di capacità economico - finanziaria, che l'operatore economico e i soggetti terzi di cui si avvale l'operatore economico siano solidalmente responsabili per l'esecuzione dell'appalto. 47. Tali disposizioni, tuttavia, in nessun modo dimostrano un minor favore del legislatore comunitario per l'istituto in discorso, costituendo, in realtà, la semplice codificazione di regole che erano già insite e compatibili con gli articoli 47 e 48 della direttiva 2004/18. 48. Ne sia dimostrazione il fatto che l'art. 49 del D.lgs. 163/2006, che di tali ultime norme costituisce trasposizione, già prevedeva, al comma 4, la responsabilità solidale del concorrente e dell'impresa ausiliaria per le prestazioni oggetto del contratto. 49. D'altro canto, una diversa interpretazione dell'art. 63 della nuova direttiva sarebbe incompatibile con lo spirito della stessa, quale esplicitato in diversi considerando. 50. Come già detto, nella citata sentenza relativa alla causa C-94/12, codesta Corte ha evidenziato come un'ampia interpretazione degli articoli 47, par. 2, e 48, par. 3, della direttiva sia funzionale anche "a facilitare l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, cui tende altresì la direttiva 2004/18, come posto in rilievo dal considerando 32" (punto 34). 51. Ebbene, l'obiettivo di rendere il più agevole possibile la partecipazione delle piccole e medie imprese alle gare d'appalto costituisce una delle principali finalità della nuova direttiva, esplicitato con carattere di generalità al considerando n. 2, in cui una delle ragioni che hanno reso necessaria la modifica della vigente disciplina in materia di appalti pubblici è individuato proprio nello scopo di facilitare la partecipazione agli stessi delle PMI. 52. Tale finalità di carattere generale viene, poi, concretizzata in una serie di regole specifiche, la cui ratio è individuata in altrettanti considerando, quali, ad esempio il n. 78 ("È opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle PMI. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad avvalersi del Codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 155 giugno 2008, dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l'accesso delle PMI agli appalti pubblici», che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI"), il n. 80 ("Alfine di rendere le procedure più veloci e più efficaci, i termini per la partecipazione alle procedure d'appalto dovrebbero essere quanto più brevi possibile, senza creare indebiti ostacoli all'accesso di operatori economici di tutto il mercato interno, in particolare delle PMI"), il n. 83 ("Requisiti eccessivamente severi relativi alla capacità economica e finanziaria spesso costituiscono un ostacolo ingiustificato alla partecipazione delle PMI agli appalti pubblici. Eventuali requisiti dovrebbero essere attinenti e proporzionati all'oggetto dell'appalto"), il n. 124 ("Dato il potenziale delle PMI per la creazione di posti di lavoro, la crescita e l'innovazione, è importante incoraggiare la loro partecipazione agli appalti pubblici, sia tramite disposizioni appropriate nella presente direttiva che tramite iniziative a livello nazionale. Le nuove disposizioni della presente direttiva dovrebbero contribuire al miglioramento del livello di successo, ossia la percentuale delle PMI rispetto al valore complessivo degli appalti aggiudicati. Non è appropriato imporre percentuali obbligatorie di successo, ma occorre tenere sotto stretto controllo le iniziative nazionali volte a rafforzare la partecipazione delle PMI, data la sua importanza"). 53. In conclusione, ritiene il Governo italiano che nessun dubbio possa sussistere circa la compatibilità della normativa interna di cui all'art. 49 del D.lgs. 163/2006, che non vieta il ricorso all'avvalimento frazionato negli appalti di servizi, con i pertinenti articoli della direttiva 2004/18. Sul secondo quesito. 54. In ordine al secondo quesito si osserva quanto segue. 55. Nell'ordinamento giuridico interno, l'obbligo per gli operatori economici di contribuire al finanziamento dell'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi Autorità Nazionale Anticorruzione), quale condizione di ammissibilità dell'offerta negli appalti pubblici, è prevista dal combinato disposto dei commi 65 e 67 dell'art. 1 della legge 266/2005. 56. È vero che la norma, in particolare il comma 67, riferisce espressamente detto obbligo alle "procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche. ...". 57. È tuttavia, altresì vero che I'AVCP, fin dalla deliberazione del 26 gennaio 2006, emanata proprio al fine di dettare disposizioni attuative delle citate norme di legge, ha individuato, quali soggetti tenuti a versare il contributo, "b) gli operatori economici che intendono partecipare a procedure di scelta del contraente attivate dai soggetti di cui alla lettera a)" [vale a dire "le stazioni appaltanti di cui all'art. 2, comma 2, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e s.m., n.d.r."] (art. 1 della deliberazione), precisando poi che "2. I soggetti di cui all'art. 1, lettera b), del presente provvedimento sono tenuti al pagamento della contribuzione quale condizione di ammissibilità alla procedura di selezione del contraente. Essi sono tenuti a dimostrare, al momento di presentazione dell'offerta, di avere versato la somma dovuta a titolo di contribuzione. La mancata dimostrazione dell’avvenuto versamento di tale somma è causa di esclusione dalla procedura di gara" (art. 3). 58. Quindi, fin dall'entrata in vigore della legge che aveva introdotto l'obbligo del pagamento del contributo quale fonte di finanziamento dell'AVCP, quast'ultima, in via interpretativa, ha attribuito a tale obbligo carattere di generalità, non limitandolo ai soli appalti di "opere pubbliche" intese quali "lavori" ed espressamente sancendo la sanzione dell'esclusione in caso di mancata dimostrazione dell'avvenuto pagamento. 156 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 59. Tale orientamento è, poi, stato ribadito nel corso degli anni, con le delibere che si sono succedute nel tempo, quali pure richiamate nell'ordinanza di rinvio e in particolare: - la deliberazione del 24 gennaio 2008, in cui le riportate disposizioni sono state confermate, salvo modificare, quanto alle stazioni appaltanti, il riferimento agli articoli 32 e 207 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e aggiornare gli importi dovuti a titolo di contributo; - la deliberazione del 3 novembre 2010, nella quale, oltre ad essere riportate le disposizioni sopra indicate, ancora più esplicitamente, all'art. 3, è stato previsto che: "1. Sono esentate dall'obbligo della contribuzione esclusivamente le seguenti fattispecie: a) i contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 40.000 euro per i soggetti di cui all'art. 2, lettera a); b) i contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro per i soggetti di cui all'art. 2, lettera b)", dal che si desume in modo assolutamente chiaro che, anche quanto ai contratti di servizi e forniture, non rientranti nell'esenzione, era operativo l'obbligo di pagamento del contributo a pena di esclusione dalla gara; - la deliberazione 21 dicembre 2011 e - la deliberazione 5 marzo 2014 nelle quali sono state confermate le disposizioni quanto ai soggetti tenuti al pagamento ed alla sanzione dell'esclusione e si è provveduto al solo aggiornamento dell'importo del contributo. 60. Ed allora, stante il costante ed esplicito orientamento dell'Autorità di vigilanza, non può ritenersi condivisibile quanto sostenuto dalla giurisdizione di rinvio circa 1’"incolpevolezza" dell'omissione del versamento del contributo da parte della CRGT e, comunque, di un qualunque operatore economico. 61. È evidente, infatti, che il grado di diligenza richiesto ad un operatore di un determinato settore è maggiore di quello che può essere preteso da un cittadino comune e senz'altro la conoscenza delle deliberazioni costantemente emanate dall'autorità di vigilanza del proprio mercato di riferimento - nella specie, quello degli appalti pubblici - rientra nel grado di diligenza ragionevolmente esigibile. 62. Nessuna violazione dei principi comunitari richiamati nell'ordinanza di rinvio è pertanto riscontrabile. 63. Non quella del principio del legittimo affidamento, violazione ipotizzabile nel caso in cui siano pervenute dalla Pubblica Amministrazione o dalla stessa stazione appaltante indicazioni contrarie a quella che poi ha condotto alla decisione di esclusione. 64. Ma come detto, riguardo al requisito in discorso, l'orientamento dell'Amministrazione di riferimento, ossia 1'AVCP, è sempre stata univoca quanto al carattere generalizzato dell'obbligo di pagamento del contributo a tutti gli appalti pubblici ed alla correlativa sanzione. 65. Tale aspetto rileva anche quanto al rispetto del principio di certezza del diritto, avendo avuto la disposizione normativa primaria, fin dalla sua entrata in vigore, un'applicazione uniforme. 66. D'altro canto l'art. 46, comma 1 bis del D.lgs. 163/2006, individua, quali cause di esclusione, quelle previste dallo stesso decreto legislativo, dal bando di gara e "da altre disposizioni di legge vigenti", disposizioni idonee - stante la loro imperatività - ad eterointegrare il bando di gara (1). CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 157 67. Dunque, la circostanza che la lex specialis non prevedesse il mancato pagamento del contributo tra le cause di esclusione non è circostanza idonea a rendere incolpevole l'inadempimento dell'impresa, tenuta a conoscere tutte le disposizioni normative che cristallizzano le cause di esclusione obbligatorie e che, appunto, integrano automaticamente il bando, senza bisogno, ovviamente, che le stesse siano riprodotte nello stesso. 68. Quanto al principio di proporzionalità, va considerata la stretta interconnessione tra l'obbligo del pagamento del contributo e la funzione svolta dall'Autorità di vigilanza; quest'ultima svolge un'attività di controllo sulla regolarità delle gare e la ragione del contributo consiste nel rendere possibile e regolare tale attività di controllo garantendo la piena funzionalità dell'Autorità stessa; in tal senso l'obbligo di pagamento del contributo sorge solo al momento della presentazione dell'offerta, quale requisito di ammissibilità della stessa (2). 69. La sanzione dell'esclusione, quindi, in caso di mancato pagamento del contributo, non risulta sproporzionata rispetto alla finalità perseguita dall'obbligo, che è quella di garantire il regolare funzionamento dell'organo di vigilanza e, quindi, per estensione, di presidiare la trasparenza e la massima concorrenza negli appalti pubblici, obiettivi cui è funzionale l'attività dell'Autorità. 70. Né, come ritenuto dalla giurisdizione di rinvio, la stazione appaltante, invece di disporre l'esclusione, avrebbe potuto consentire la regolarizzazione del requisito omesso, ammettendo l'impresa a provvedere al pagamento nel corso della procedura. 71. Una tale opzione interpretativa contrasta, infatti, con i principi affermati da codesta Suprema Corte in materia di c.d. "soccorso istruttorio". 72. Come detto, in base alla legislazione interna, il pagamento del contributo rappresenta un requisito di partecipazione alla gara. 73. Secondo quanto evidenziato da codesta Suprema Corte nelle sentenze del 10 ottobre 2013 (causa C-336/12 - Manova) e 6 novembre 2014 (causa C-42/13 - Cartiera dell'Adda), il potere di "soccorso istruttorio" deve essere esercitato dalla stazione appaltante in modo da contemperare, da un lato, il principio del favor partecipationis - e, dunque, evitare che un'irregolarità di natura meramente formale possa condurre all'esclusione di un candidato dalla gara -, e, dall'altro, con i principi di parità di trattamento, imparzialità e trasparenza, non potendosi attraverso l'esercizio del suddetto potere permettere ai candidati di integrare un'offerta carente ovvero un requisito soggettivo inesistente al momento della presentazione dell'offerta. 74. Dunque, quanto all'offerta, è da escludere che possa consentirsi ai candidati di supplire a carenze della stessa successivamente al termine finale stabilito dal bando, potendo i relativi dati essere solo "corretti o completati su singoli punti, in particolare in quanto evidentemente necessitano di un semplice chiarimento, o al fine di correggere errori materiali manifesti" (sentenza Manova, punto 32, cit.). 75. Quanto ai requisiti soggettivi di partecipazione, è invece possibile che la stazione appaltante consenta ai candidati di supplire alle carenze documentali riguardanti tutti gli elementi e le dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che debbano essere prodotti in base alla legge, al bando e al disciplinare di gara, compresi quelli relativi ai requisiti speciali, professionali o prescritti a dimostrazione delle qualità. (1) Come affermato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2014. (2) Come pure precisato dalla giurisprudenza nazionale (cfr. TAR Lazio n. 5150/2014). 158 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 76. Ciò, tuttavia, senza minare il fondamentale principio del necessario possesso dei requisiti alla scadenza del termine di presentazione dell'offerta, non potendo il "soccorso istruttorio" essere strumentalmente utilizzato per l'acquisizione, oltre il suddetto termine, di un requisito o di una condizione di partecipazione prima mancante. 77. Ed allora, se così è, qualora la stazione appaltante ammettesse un'impresa a regolarizzare nel corso della procedura il pagamento omesso, sostanzialmente permetterebbe alla stessa di acquisire, oltre il termine fissato per la presentazione dell'offerta, un requisito di partecipazione che non possedeva, in tal modo evidentemente violando i principi di parità di trattamento, imparzialità e trasparenza. 78. Diversamente, nel caso in cui l'inadempimento fosse meramente formale - per avere l'impresa effettuato il pagamento con modalità diverse da quelle richieste dall'Autorità o per non aver allegato alla domanda di partecipazione la prova del pagamento effettuato - lo stesso non dovrebbe essere sanzionato con l'esclusione senza aver prima verificato se l'obbligo sia stato effettivamente assolto entro il termine di partecipazione alla gara; la mancata allegazione della ricevuta del versamento effettuato tempestivamente, in particolare, potrebbe essere oggetto, appunto, di soccorso istruttorio, trattandosi di comprovare documentalmente il possesso di un requisito già esistente (3). 79. In tal modo, in armonia con la giurisprudenza di codesta Corte, trovano un equo contemperamento i principi del favor partecipationis, da un lato, e quelli di trasparenza e parità di trattamento dall'altro. V. CONCLUSIONI 80. In conclusione, il Governo italiano suggerisce alla Corte - previa riformulazione del quesito n. 2) come di seguito riportato - di rispondere ai quesiti nel seguente modo: 1) gli art. 47 e 48 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale, come quella italiana sopra descritta, che consente 1'avvalimento frazionato, nei termini sopra indicati, nell'ambito dei servizi; 2) i principi del diritto dell'Unione europea, e segnatamente quelli di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto e di proporzionalità, non ostano ad una regola dell'ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere da una procedura di evidenza pubblica un'impresa che non abbia adempiuto all'obbligo, non espressamente indicato dagli atti di gara, di provvedere al versamento di un importo per i fini della partecipazione alla gara stessa, quando detto obbligo - benché non espressamente previsto, per la tipologia di appalto in questione, della legge vigente nello Stato membro - sia tuttavia ricostruibile in ragione dell'interpretazione estensiva di talune previsioni dell'ordinamento positivo dello stesso Stato membro costantemente fornita dalla pubblica amministrazione e della integrazione, in conformità agli esiti di tale interpretazione estensiva, del contenuto precettivo degli atti di gara. Roma, 25 maggio 2015 Carla Colelli avvocato dello Stato (3) In tal senso si è espressa l'Autorità Nazionale Anticorruzione con Determinazione n. 1 dell'8/01/15. CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 159 Causa C-75/15 - Materia: Ravvicinamento delle legislazioni. Agricoltura e Pesca. Alcol - Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Markkinaoikeus (Finlandia) il 19 febbraio 2015 - Viiniverla Oy / Sosiaali- ja terveysalan lupa- ja valvontavirasto. CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell'Agente designato per il presente giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia nella causa C-75/15 Promossa ai sensi dell’art. 267 TFUE dall’ Markkinaoikeus (Finlandia) con ordinanza in data 13.2.15. I) Il giudizio a quo I.a) Il giudizio a quo verte sull’utilizzo della denominazione “Verlados” per una bevanda spiritosa e, in particolare, sulla possibilità che tale utilizzo violi la denominazione “Calvados”, protetta come indicazione geografica ai sensi dell’art. 16 del Regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15.1.2008, relativo alla “definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio”. Premesso che per il Verlados non è stata richiesta nessuna protezione del marchio, la Commissione U.E. ha chiesto al Governo finlandese di prendere posizione su un reclamo ad essa presentato circa una possibile usurpazione della indicazione geografica francese Calvados. Avendo la Commissione europea altresì prospettato l’avvio di un procedimento per inadempimento, il Valvira ha vietato al produttore di commercializzare la bevanda spiritosa “Verlados” , ciò che ha dato origine al contenzioso nel cui ambito è stata resa l’ordinanza in epigrafe. I.b) Il giudice, in particolare, ritenendone la rilevanza ai fini del decidere, ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti: 1) Se, nel valutare se ricorra un’evocazione ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 1 del Consiglio, occorra far riferimento al consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. 2) Nel valutare il divieto, disposto a tutela dell’indicazione geografica «Calvados», di utilizzo della denominazione «Verlados» per una bevanda spiritosa ottenuta dalle mele e commercializzata in Finlandia con la suddetta denominazione, quale significato assumano le seguenti circostanze ai fini dell’interpretazione della nozione di «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 e dell’applicazione del regolamento in parola: la parte iniziale («Verla») della denominazione «Verlados» indica un paese in Finlandia probabilmente noto al consumatore finlandese; la parte iniziale («Verla») della denominazione «Verlados» rimanda alla produttrice del prodotto in questione, la Viiniverla Oy; il «Verlados» è un prodotto locale fabbricato a Verla, di cui sono stati venduti in media circa duecento litri l’anno nel ristorante di proprietà della tenuta e che è disponibile in quantitativi limitati su ordinazione presso la società di bevande alcoliche statale ai sensi della legge sull’alcol; 160 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 nelle parole «Verlados» e «Calvados» solo una delle tre sillabe è uguale («dos»), ma coincidono le ultime quattro lettere («ados»), vale a dire la metà delle loro rispettive lettere. 3) Qualora la denominazione «Verlados» dovesse essere considerata come un’evocazione ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, se il suo utilizzo possa essere comunque giustificato in ragione di una delle circostanze sopra indicate o in ragione di una diversa circostanza, ad esempio, in virtù del fatto che quantomeno il consumatore finlandese non può essere indotto a pensare che il «Verlados» sia prodotto in Francia. §§§ II) Viene in considerazione, ai fini della soluzione dei quesiti sottoposti alla Corte dal giudice remittente, l’art. 16 del Regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, il quale dispone: “Fatto salvo l’articolo 10, le indicazioni geografiche registrate nell’allegato III sono protette da: a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili alla bevanda spiritosa registrata con tale indicazione geografica o nella misura in cui l’uso di tale indicazione consenta di sfruttare indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica registrata; b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se la vera origine del prodotto è indicata o se l’indicazione geografica è usata in forma tradotta o è accompagnata da espressioni quali «genere», «tipo», «modo», «stile», «marca», «gusto» o altri termini simili; c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole in relazione alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto nella designazione, nella presentazione o nell’etichettatura del medesimo, tale da indurre in errore sull’origine; d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto”. III) Le osservazioni del Governo italiano III.a) In via preliminare, deve osservarsi che l’ordinanza di rimessione riferisce, al punto 28, che “… Nel caso di specie non è stato neppure sostenuto che l’uso della denominazione Verlados induca il consumatore, a norma dell’art. 16 lett. D, in errore sulla vera origine del prodotto”. Ciò posto, e considerato che la sentenza del 4 marzo 1999, resa nella causa C-87/1997 Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, al par. 26 precisa: “In particolare può esservi, contrariamente a quanto sostengono le convenute nel processo a quo, l’evocazione di una denominazione protetta in mancanza di qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui è causa, pur non applicandosi nessuna tutela comunitaria agli elementi della denominazione di riferimento che riprende la terminologia controversa …”. Sembra, quindi, che il concetto di evocazione possa prescindere dal riferimento al consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, in quanto essa può sussistere anche a prescindere dal rischio di confusione nel pubblico e, pertanto, dalla necessità di individuare un “consumatore medio” quale parametro per la valutazione dell’effettiva violazione del divieto. Qualora, tuttavia, si ritenesse necessario il riferimento alla categoria del “consumatore medio”, è avviso del Governo italiano che tale categoria vada necessariamente ricostruita avendo riguardo al consumatore europeo, attuale o potenziale, non unicamente al consumatore finlandese. Diversamente, la tutela accordata alle indicazioni geografiche protette non risulterebbe effettiva in tutto il territorio dell’Unione. Mutatis mutandis, può risultare utile a supporto di quanto appena affermato, richiamare la CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE 161 prassi dell'Ufficio per l'Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) in materia di impedimenti relativi alla registrazione di marchi comunitari, la quale ritiene che "L'espressione “consumatore medio” è concetto giuridico impiegato nel senso di “consumatore di riferimento” o “pubblico di riferimento” [...]. Per definire correttamente il pubblico di riferimento [...] occorre tenere conto [...] [del] territorio definitivo del marchio anteriore: il pubblico di riferimento è sempre il pubblico che vive nel territorio o nei territori in cui è tutelato il diritto anteriore o sono tutelati i diritti anteriori [...]. Nel caso di un marchio comunitario anteriore, si deve prendere in considerazione il pubblico dell'intera Comunità [...]. Il pubblico di riferimento include sempre sia i consumatori attuali che quelli potenziali, ossia coloro che acquistano attualmente i prodotti/servizi e a coloro che potrebbero farlo in futuro. Per stabilire l'esistenza di un rischio di confusione, è sufficiente constatare che una parte significativa del pubblico di riferimento per i prodotti o servizi in questione può percepire confusione in merito all'origine dei prodotti. Non è necessario accertare che tutti i consumatori attuali o potenziali dei prodotti o servizi in questione possono percepire confusione" (Direttive concernenti l’esame effettuato presso l’ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) sui marchi comunitari - parte c - opposizione - sezione 2 - doppia identità e rischio di confusione - capitolo 6 - pubblico di riferimento e grado di attenzione - paragrafo 2 pag. 4 - in https://oami.europa.eu/tunnelweb/ secure/webdav/guest/document_library/contentPdfs/law_and_practice/trade_marks_pract ice_manual/WP/Part-C/02 part_c_opposition_section_2/part_c_opposition_section_2_chapter_6_relevant_public_and_d egree_of_attention/part_c_opposition_section_2_chapter_6_relevant_public_and_degree_of_ attention_it.pdf) III.b) Proprio in considerazione di quanto esposto al punto che precede, non sembra che le circostanze richiamate nel quesito n. 2 abbiano una diretta rilevanza per escludere la ricorrenza di un’ “evocazione”, nella misura in cui la parola Verla non è verosimilmente nota a consumatori europei che non siano finlandesi. III.c) Da ultimo, quanto alla questione se la denominazione "Verlados" debba essere considerata come un'evocazione e se il suo utilizzo possa essere giustificato in ragione di determinate circostanze quali quelle indicate al secondo quesito od il fatto che il consumatore finlandese non possa essere indotto a credere che la bevanda sia prodotta in Francia, si osserva che la normativa comunitaria richiamata non prevede deroghe, e che - come già detto - la tutela dell’indicazione geografica va estesa ad un pubblico di riferimento europeo e non solo finlandese; sembra, pertanto, vada escluso che i fattori individuati al quesito n. 3, anche per rinvio al n. 2, possano assumere rilevanza ai fini della sua giustificazione. IV) Il Governo italiano propone pertanto di rispondere ai quesiti come segue: Quanto al primo quesito: Nel valutare se ricorra un’evocazione ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all’etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 1 del Consiglio, non è necessario far riferimento al consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto; tuttavia - nel caso in cui la Corte dovesse diversamente ritenere - allora la nozione di consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto dovrebbe essere ovviamente ricostruita avendo riguardo al consumatore europeo. 162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Quanto al secondo quesito: Nel valutare il divieto, disposto a tutela dell’indicazione geografica «Calvados», di utilizzo della denominazione «Verlados» per una bevanda spiritosa ottenuta dalle mele e commercializzata in Finlandia con la suddetta denominazione, non presentano rilievo le seguenti circostanze ai fini dell’interpretazione della nozione di «evocazione» ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008 e dell’applicazione del regolamento in parola: la parte iniziale («Verla») della denominazione «Verlados» indica un paese in Finlandia probabilmente noto al consumatore finlandese; la parte iniziale («Verla») della denominazione «Verlados» rimanda alla produttrice del prodotto in questione, la Viiniverla Oy; il «Verlados» è un prodotto locale fabbricato a Verla, di cui sono stati venduti in media circa duecento litri l’anno nel ristorante di proprietà della tenuta e che è disponibile in quantitativi limitati su ordinazione presso la società di bevande alcoliche statale ai sensi della legge sull’alcol; nelle parole «Verlados» e «Calvados» solo una delle tre sillabe è uguale («dos»), ma coincidono le ultime quattro lettere («ados»), vale a dire la metà delle loro rispettive lettere. Quanto al terzo quesito: Qualora la denominazione «Verlados» dovesse essere considerata come un’evocazione ai sensi dell’articolo 16, lettera b), del regolamento n. 110/2008, il suo utilizzo non potrebbe essere comunque giustificato in ragione di una delle circostanze sopra indicate o in ragione di una diversa circostanza, ad esempio, in virtù del fatto che quantomeno il consumatore finlandese non può essere indotto a pensare che il «Verlados» sia prodotto in Francia. Marina Russo Avvocato dello Stato CONTENZOSO NAZIONALE Il contratto preliminare di preliminare tra causa in concreto e accordi giuridici preparatori NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 6 MARZO 2015 N. 4628 Francesco Scardino* Il contratto preliminare di preliminare è una fattispecie contrattuale nata dalla prassi, segnatamente dall’evoluzione della contrattazione immobiliare, nonché dall’attività di mediazione professionalmente gestita. La complessità degli accertamenti prodromici alla stipulazione di un contratto di vendita, posti in essere, da un lato, per verificare l’effettiva consistenza del bene e, dall’altro, per saggiare la serietà ed affidabilità degli altri contraenti hanno, invero, determinato una frammentazione e una scomposizione delle fasi contrattuali. Solitamente si assiste, infatti, ad una prima fase in cui l’aspirante acquirente offre un certo corrispettivo al venditore, in quanto interessato all’acquisto del bene; atto che viene riscontrato dalla accettazione o dal rifiuto del proprietario, al quale segue, nel caso di accettazione, la stipulazione del contratto preliminare propriamente detto, per concludere il ciclo con l’indispensabile rogito notarile e con il saldo del prezzo. Sino a tempi recenti, la giurisprudenza era monoliticamente schierata nel negare la legittimità di una tale figura, individuando in un simile accordo “un’inconcludente superfetazione” (1), una “singolare architettura giuridica che non avrebbe altro scopo che quello di inutilmente aumentare il conten- (*) Dottore in Giurisprudenza, ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna. Sentenza in rassegna già annotata in questa rivista: FRANCESCO MOLINARO, Il procedimento di contrattazione in tema di vendita immobiliare, 2015, Vol. 2, p. 136 ss. (1) Cass., 2 aprile 2009, n. 8038, in Giustizia Civile - Massimario, 2009, 571. 164 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 zioso” (2). La convinzione secondo la quale la stipula di due contratti preliminari sarebbe priva di alcuna giustificazione sul piano pratico-giuridico era alla base della conclusione in ordine alla nullità del primo preliminare per difetto di causa, dalla quale veniva fatto discendere il corollario della nullità dell’intera operazione. In ogni caso, nonostante tale peculiare negozio fu sempre visto con un occhio di sfavore da parte delle corti, la pratica commerciale ha continuato a seguire il suo corso ed è andata, addirittura, consolidandosi (3). La dottrina, ad oggi, assume invece posizioni variegate: ad un orientamento maggioritario, il quale conclude per la nullità del c.d. pre-preliminare (4) a fronte dell’asserita assenza di alcuna funzione economica meritevole di tutela (5), instaurando lo stesso “un collegamento non immediato, ma mediato, con la fattispecie definitiva” (6); si contrappone un indirizzo più sensibile, volto a riconoscere validità a tale figura (7), valorizzando il ruolo rivestito dall’effettiva volontà delle parti e dagli interessi sottesi ad una simile operazione (8), o ipotizzando l’eventuale conversione del pre-preliminare in un preliminare ordinario (9). Sull’ammissibilità di tale negozio si è recentemente espressa la Cassazione a Sezioni Unite (10) che, discostandosi dalla quasi unanime posizione precedente, afferma che negare in toto una tale fattispecie equivale ad “amputare le forme dell’autonomia privata”. Viene così affermato il principio di diritto in forza del quale dovrà essere ritenuto produttivo di effetti “l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare”, ma a condizione che “emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare”. La Corte afferma che il pre-preliminare risponderebbe alla concreta esigenza “di fermare l’affare, nonostante le parti siano incerte e intendano me- (2) Cass., 10 settembre 2009, n. 19557, in www.iusexplorer.it. (3) V. BRIZZOLARI, Il preliminare di preliminare: l’intervento delle Sezioni Unite, in I contratti, 2015, 551. (4) E. SERRAO, Il contratto preliminare, Trattato Cendon, Padova, 2002, 9. (5) A. DE MARTINI, Vendita commerciale e contratto estimatorio, Milano, 1950, 78; F. GAZZONI, Il contratto preliminare, Torino, 1998, 47; R. RASCIO, Il contratto preliminare, Napoli, 1967, 174. (6) E. PEREGO, I vincoli preliminari e il contratto, Milano, 1974, 125. (7) P. GALLO, Trattato del contratto, Milano 2010, 459; R. SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto civile, Torino, 2004, 273. (8) R. SPECIALE, Contratti preliminari e intese precontrattuali, Milano, 1990, 110. (9) G. GABRIELLI, Contratto preliminare. Sintesi di informazione, in Rivista di Diritto Civile, 1987, 422. (10) Cass, S.U., 6 marzo 2015, n. 4628, in Corriere Giuridico, 2015, con nota di V. CARBONE, 609-625. CONTENZIOSO NAZIONALE 165 glio orientarsi”; in particolare, lo stesso consentirebbe all’aspirante compratore di verificare attentamente e con certezza l’effettiva praticabilità dell’operazione, prima di definirla in termini più precisi ed articolati, indagando tutti quegli elementi che, se conosciuti ex post e ritenuti negativi, non sarebbero invocabili come motivo di risoluzione. Giova tuttavia sottolineare che l’indagine della Corte è espressamente circoscritta alla sola dinamica degli accordi contrattuali in tema di compravendita immobiliare, essendo unicamente questo, di conseguenza, l’ambito di validità delle considerazioni svolte (11). La Suprema Corte giunge a riconoscere la libertà delle parti di determinarsi e di fissare un nucleo di interessi da trasfondere nei vari passaggi contrattuali, ponendo l’accento sul concetto di “causa concreta”, vista la stessa come lo scopo pratico del negozio, la sintesi degli interessi che questo è concretamente diretto a realizzare. Occorre dunque “ricercare l’interesse concretamente perseguito dalle parti. Non basta, cioè, verificare se lo schema usato sia compatibile con uno dei modelli contrattuali, ma occorre ricercare il significato pratico dell’operazione con riguardo a tutte le finalità che - sia pur tacitamente - sono entrate nel contratto” (12). La causa deve essere, dunque, individuata ricostruendo il compiuto contenuto del contratto, per esempio valorizzando l’essenzialità di elementi accidentali qualora idonei a consentire l’emersione di motivi altrimenti irrilevanti (13). Risulta così necessario valorizzare la signoria del volere delle parti contraenti, dovendo il giudice, non limitarsi a svolgere un mero e formale controllo di conformità rispetto allo schema tipico legale ma, spingendosi più in profondità, valutare che lo scopo ultimo perseguito dalle parti non contrasti con i principi ordinamentali (14). A titolo esemplificativo, e senza pretesa alcuna di esaustività, il giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c. darà senza ombra di dubbio esito positivo qualora risulti che le parti abbiano fatto ricorso al preliminare di preliminare al fine di poter svolgere indagini reciproche o a livello personale (per verificare, ad esempio, la solvibilità di controparte) o con riferimento al bene oggetto della compravendita (verificando la piena regolarità urbanistica, l’effettivo stato dell’immobile, ecc.) (15) o, ancora, per attendere l’avvenuta eliminazione di un vincolo gravante sul bene (16). (11) V. BRIZZOLARI, op. cit., 2015, 552. (12) C.M. BIANCA, Diritto Civile, vol. III, Milano, 1987, 425. (13) M. MARTINO, La causa concreta nella giurisprudenza: recenti itinerari di un nuovo “idolum fori”, in Corriere Giuridico, 2013, 1441. (14) A. GALATI, Brevi osservazioni in tema di causa concreta del contratto, in Giurisprudenza Italiana, 2009, 1657. (15) V. BRIZZOLARI, op. cit., 2015, 553. (16) V. CARBONE, Il diritto vivente dei contratti preliminari, in Il Corriere giuridico, 2015, 614. 166 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Ulteriore elemento a sostegno della bontà degli interessi perseguibili dalle parti attraverso un simile negozio è ricavabile valorizzando la ratio sottesa agli artt. 1482 c.c. e 1489 c.c., i quali predispongono un’adeguata tutela nel caso in cui la cosa oggetto del contratto di vendita sia gravata da garanzie, diritti reali di godimento, oneri o altri vincoli non dichiarati dal compratore e dal venditore ignorati. Tali articoli - i cui rimedi sono oggi considerati pacificamente invocabili da parte del promissario acquirente (17) - potrebbero essere considerati come una sorta di antenati dell’appena riconosciuto contratto. Questi, infatti, furono stilati in un momento in cui l’evoluzione del mondo degli affari e dei contratti non aveva ancora fatto sorgere l’esigenza di ricorrere al alcun pre-preliminare e consentivano, dunque, al contraente “vittima” di un acquisto non propriamente ben riuscito di invocare tutela davanti al giudice civile. Oggi, le parti ricevono tutela non solo da tali articoli ex post, ossia solo dopo essersi vincolati ad un contratto che, se avessero conosciuto le reali condizioni dell’oggetto della prestazione non avrebbero posto in essere, ma anche ex ante, in quanto l’utilità pratica del preliminare di preliminare è proprio quella di consentire l’esternazione del proprio interesse per un determinato affare, manifestando contestualmente la consapevolezza che la situazione non è matura per l’assunzione di un vincolo contrattuale vero e proprio. L’esordio del concetto di causa concreta, e il ripudio della tradizionale formula che individuava la causa del contratto nella “funzione economico sociale”, è fenomeno relativamente recente (18). È, infatti, da meno di un decennio che lo stesso compare sempre più frequentemente nelle motivazioni di molte sentenze delle corti di merito e di legittimità, testimoniando il grande “successo quantitativo” che ha conosciuto (19); tendenza che si pone, altresì, in linea con l’attuale regime costituzionale - il quale si incentra sulla libertà economica dei privati - e si pone come rispettosa della logica dei moderni mercati (20). In quest’ottica, la procedimentalizzazione delle fasi contrattuali non può ex se essere connotata da disvalore, qualora corrispondente a un complesso di interessi posti realmente alla base dell’operazione negoziale. Tale causa sarà di contro assente, e conseguentemente l’intesa sarà nulla, nel caso in cui il successivo contratto preliminare si atteggi a mera riproduzione della stessa, senza alcuna differenziazione contenutistica. Il pre-preliminare è riconducibile al genus dei c.d. “rapporti giuridici preparatori”, termine che designa una serie di operazioni negoziali volte a deter- (17) Cass., 4 ottobre 2004, n. 19812, in Giustizia Civile Massimario, 2004, 10. (18) Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2007, 299. (19) V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo?, in Rivista di Diritto Civile, 2013, 957. (20) G. FERRI, Tradizione e novità nella disciplina del negozio giuridico, in Rivista Diritto Commerciale, 1986, I, 127. CONTENZIOSO NAZIONALE 167 minare un certo assetto di interessi in funzione - e quale presupposto - della stipula di un successivo contratto attributivo di situazioni giuridiche finali (21). Gli stessi sarebbero accomunati dal carattere strumentale (22), essendo preordinati al futuro compimento di un altro negozio tale da consentire la piena e conclusiva realizzazione degli interessi perseguiti. Secondo la giurisprudenza la ratio degli stessi è data dal consentire alle parti di impegnarsi, nella fase di formazione del contratto, a non rimettere in discussione, durante la prosecuzione delle trattative, i punti già decisi e fissati (23). Si rende in tal sede necessario tracciare le differenze tra il contratto oggetto di esame ed altri istituti di confine, quali la minuta o la puntuazione di contratto. Nonostante tali ultimi due concetti siano spesso utilizzati come sinonimi, in realtà la puntuazione ricorre quando le parti fissano per iscritto i punti d’intesa fino a quel momento concordati; mentre la minuta costituisce una sorta di testo provvisorio, una “bozza” del contratto in discussione (24). Comune risulta, invece, la funzione ad esse riconosciuta, essendo la dottrina e la giurisprudenza concordi nell’attribuire a queste una mera valenza storica e probatoria delle trattative intercorse. Tali scritture, infatti, pur non costituendo fonte di obbligazione - in quanto in tale fase la conclusione del contratto rappresenta una mera possibilità (25) - costituiscono un utile strumento a disposizione dell’interprete, dato che essendo redatte e sottoscritte dalle parti, sono idonee ad agevolare la prova di un eventuale recesso ingiustificato dalle trattative di una delle parti, rilevante ai sensi dell’art. 1337 c.c. (26). Giova sottolineare che in questa fase di trattativa non può considerarsi sorto alcun vincolo giuridico tra le parti, conservando le stesse la piena libertà di porre fine alle intese e conseguentemente di non concludere alcun contratto, andando esenti da qualsiasi responsabilità per inadempimento. Potrà al massimo - e in considerazione dello stato delle trattative - venire in rilievo un’ipotesi di violazione della regola generale di buona fede di cui all’art. 1337, come tale idonea a dar luogo ad una responsabilità di tipo precontrattuale. Una simile species di responsabilità, come noto, è dalla dottrina e giurisprudenza prevalente ricondotta all’interno del genus della responsabilità ex- (21) G. DI ROSA, Circolazione immobiliare e contrattazione preliminare, in Rivista di diritto Civile, 2011, 110. (22) E. PEREGO, I vincoli preliminari e il contratto, op. cit., Milano, 1974, 16. (23) Cass., 6 aprile 1981, n. 1944, in Giustizia Civile, 1981, I, 2272. (24) P. RITONDALE, Commento a Cass. 2.2.2009, n. 2561, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2009, 881. (25) E. EMILIOZZI, Il confine tra la c.d. puntuazione e il contratto preliminare, in Il Corriere giuridico, 1996, 82. (26) G. BUSET, Le sezioni unite sul preliminare di preliminare, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2015, 617. 168 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 tracontrattuale, che come tale dà luogo all’obbligo del risarcimento - in capo al soggetto che abbia violato l’affidamento riposto dalla controparte nella conclusione del contratto - del c.d. interesse negativo, essendo lo stesso identificabile nel danno subito da una parte per aver patito una lesione della propria libertà negoziale (27). È da tali considerazioni che deriva l’importanza di tracciare una precisa linea di confine tra gli istituti appena commentati e il contratto preliminare di preliminare, essendo il regime della responsabilità connessa a questo secondo istituto di una diversa tipologia. Come chiarito dalla dottrina (28), l’utilità e la peculiarità del pre-preliminare sarebbe quella di consentire una sorta di anticipazione di tutela, essendo il sottostante accordo rilevante e vincolante dal punto di vista giuridico, con la conseguente qualificazione della relativa responsabilità in termini di responsabilità contrattuale, come tale comprensiva del danno emergente e del lucro cessante e quindi notevolmente superiore rispetto al semplice interesse negativo. Criteri principe di valutazione, consolidati nel diritto vivente, al fine di discernere gli accordi contrattuali propriamente detti da semplici intese prive di ogni effetto obbligatorio e poste in essere in sede di trattativa, sono rappresentati dal criterio della “completezza” e da quello della “volontà delle parti di obbligarsi” (29). Il contratto potrà, in applicazione di tali principi, ritenersi concluso sia qualora le parti, attraverso l’accordo su tutti gli elementi venuti in considerazione, abbiano determinato un significativo regolamento di interessi, dotato cioè di un nucleo contrattuale dal quale emergano per lo meno la causa e il tipo delle obbligazioni; sia qualora, anche nel caso di accordo solo parziale, risulti inequivocabilmente la loro volontà di obbligarsi (30). Relativamente alle modalità attraverso le quali condurre una verifica di tal specie, la giurisprudenza ritiene debba farsi ricorso ai criteri dettati dal codice civile, dagli artt. 1362 ss., in materia di interpretazione del contratto (31). Concludendo, appurata l’astratta legittimità di un contratto antecedente ad un preliminare in materia di contrattazione immobiliare ed il regime della connessa responsabilità, l’intervento delle Sezioni Unite è apprezzabile anche nella misura in cui statuisce il principio in forza del quale dall’eventuale corrispondenza dei due preliminari, ossia nel caso in cui il secondo si risolva in una mera riproduzione del primo, “l’assenza di causa [..] potrebbe riguardare tutt’al più il secondo, ma non di certo il primo”, concludendo di conseguenza (27) E. EMILIOZZI, op. cit., 79. (28) A. CELESTE, Le dinamiche delle compravendite immobiliari tra inconcludenti superfetazioni ed esigenze volte a bloccare l’affare, in Immobili & Proprietà, 2015, 421. (29) G. BUSET, op. cit., 612. (30) P. RITONDALE, op. cit., 886. (31) Cass. Civ., 2 febbrario 2009, n. 2561, in www.iusexplorer.it. CONTENZIOSO NAZIONALE 169 per l’eventuale nullità del solo secondo preliminare, senza che ciò intacchi l’efficacia dell’obbligo al trasferimento definitivo e del trasferimento stesso una volta avvenuto. Come osservato dalla dottrina (32), in tal modo viene arginata la possibilità che la tesi della nullità del preliminare di preliminare si presti a comodo escamotage utilizzabile da chi, senza alcun giustificato motivo, voglia sottrarsi all’obbligo - liberamente assunto - di dar corso all’operazione di trasferimento immobiliare. (32) F. FESTI, Il contratto preliminare di preliminare, in Il corriere giuridico, 2015, 628. 170 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 L’accesso abusivo ai sistemi informatici e il giudice naturale CASSAZIONE PENALE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 24 APRILE 2015 N. 17325 La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penali del 26 marzo /24 aprile 2015, n. 17325, conformemente alle conclusioni rassegnate dalla parte offesa Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha dichiarato la competenza del GUP del Tribunale di Napoli, affermando il seguente principio di diritto “Il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all’art. 615-ter cod. pen., è quello nel quale si trova il soggetto che effettua l’introduzione abusiva o vi si mantiene abusivamente”. Si pubblica la memoria. CT 40896/14 avv. Grasso interim Ferrante AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE PENALI R.G. 35519/14 - UDIENZA 26.3.2015 MEMORIA EX ART. 127, COMMA 2 C.P.P. Per il MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore, C.F. 97149560589, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587 per il ricevimento degli atti, FAX 06/96514000 e PEC ags_m2@mailcert.avvocaturastato. it) presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è ex lege domiciliato, persona offesa nel procedimento R.G.N.R. N. 437/14 - R.G. G.I.P. N. 1505/14 CONTRO 1) M.R. (Luigi Sena) 2) G.S. (Avv. Gennaro Somma) IMPUTATI del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv, 110, 615 ter comma 2 e 3 c.p. IN RELAZIONE al conflitto negativo di competenza tra il Tribunale di Napoli e il Tribunale di Roma. ** ** ** 1. Con ordinanza del 16 giugno 2014, il GIP presso il Tribunale di Roma ha elevato conflitto negativo di competenza tra il Tribunale di Napoli e il Tribunale di Roma (all. A). Con ordinanza n. 52575 del 18 dicembre 2014 (all. C 3), la Corte di Cassazione, sez. I, accogliendo la richiesta avanzata in subordine dall’Avvocatura dello Stato, che aveva concluso per la declaratoria di competenza del Tribunale di Napoli, ha rimesso a codeste Sezioni Unite, a norma dell’art. 618 c.p.p., la decisione in ordine alla competenza territoriale nei procedimenti penali concernenti l’accesso abusivo a sistemi informatici ex art. 615 ter c.p. Con detta pronuncia, infatti, valutata la rilevanza della questione in ragione della potenziale frequenza dei casi di conflitto negativo di competenza (si vedano le ordinanze di numerosi GIP presso il Tribunale di Roma prodotte sub all. B n. 1, 2, 3, 4, 5 e 6), la Corte di Cassazione, CONTENZIOSO NAZIONALE 171 sez. I ha reputato opportuno investire le Sezioni Unite al fine di prevenire l’insorgenza di un contrasto giurisprudenziale interno alla stessa sezione I. Con la richiamata ordinanza, infatti, la Corte ha espressamente affermato di non condividere l’isolato precedente contrario della sezione, la sentenza n. 40303 del 27 settembre 2013 (all. C 1), confermata, come si vedrà, solo per ragioni di connessione, dalla sentenza n. 34165 del 1 agosto 2014 (all. C 2) che hanno risolto analogo conflitto negativo di competenza, affermando la competenza del Tribunale di Roma. Ciò in quanto “il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico previsto dall’art. 615 ter c.p.p. costituisce un reato di mera condotta, che si perfeziona con la violazione del domicilio informatico, ossia con l’introduzione in un sistema costituito da un complesso di apparecchiature che utilizzano tecnologie informatiche, senza necessità che si verifichi una effettiva lesione del diritto alla riservatezza dei legittimi utenti del sistema informatico (sez. 5, n. 11689 del 6 febbraio 2007, Cerbone e altro, Rv. 236221)”. Tale premessa, frutto di consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, ha indotto la Corte a ritenere che “poiché il reato si perfeziona con l’introduzione abusiva nel sistema, a prescindere dalla effettiva acquisizione dei dati riservati in esso contenuti, si deve ritenere che la condotta materiale si perfeziona nel luogo fisico e nel momento in cui l’agente si introduce abusivamente nella postazione locale (nel caso in esame nel computer ubicato presso la sede della Motorizzazione Civile di Napoli), la quale non è un mero mezzo di accesso ma, al pari del computer denominato server ubicato presso la sede centrale, un componente informatico essenziale costituente articolazione territoriale del complessivo sistema informatico nazionale nella disponibilità del Ministero dei Trasporti”. Nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, la Corte ha quindi sposato la tesi, sino al 2013 unanimemente condivisa, della competenza del c.d. luogo di digitazione, andando di contrario avviso rispetto all’isolato precedente contrario che ha invece innovativamente ritenuto sussistente la competenza del c.d. luogo di ubicazione del server. La giurisprudenza di merito, infatti, ad eccezione del precedente del Tribunale di Firenze che ha originato il primo conflitto, ha sempre pacificamente affermato la competenza periferica del c.d. luogo di digitazione. Sul punto, appare essenziale richiamare i precedenti citati da autorevole dottrina (Prof. GROSSO, Rivista Italiana di diritto e procedura penale, 2014, vol. III, fll. 1519 nota I all. D 1): “I casi di ingresso abusivo in un sistema informatico il cui server è collocato a Roma, pervenuti tuttavia in Cassazione dopo giudizi di merito celebrati in Uffici giudiziari periferici sono numerosissimi: Cass. 24 aprile 2013, nr. 22024 (Appello Catania); Cass. 6 marzo 2013, nr. 13475 (Appello L’Aquila); Cass. 24 febbraio 2011, nr. 9891 (Appello Lecce); Cass. 22 settembre 2010, nr. 39620 (Appello Venezia); Cass. 16 febbraio 2010, nr. 19463 (Appello Torino); Cass. 20 dicembre 2007, nr. 2534 (Tribunale Torino); Cass. 30 settembre 2008, nr. 31727 (Tribunale Palermo); Cass. 8 ottobre 2008, nr. 39920 (Tribunale Palermo); Cass. 13 febbraio 2009, nr. 18006 (Tribunale Firenze); Cass. 10 dicembre 2009 (Tribunale Milano)”. L’Autore citato rimarca inoltre la rarità delle “decisioni divergenti di qualche magistrato sollecitato dall’eccezione di incompetenza di qualche difensore”: Trib. Firenze, 29 giugno 2011, Pres. Est. Maradei (Riv. It. Dir. Proc. Pen. fl. 1520). 2. Ciò premesso, si ricorda che il primo precedente di codesta Suprema Corte sopra citato (sentenza n. 40303 del 2013) trae origine dal procedimento recante R.G.N.R. N. 47639/11 - R.G. G.I.P. N. 10547/12 a carico di M.L. ed altri. In detto procedimento, il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 3853 del 16 settembre 2011, ha 172 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 dichiarato ex art. 23 c.p.p. la propria incompetenza territoriale a decidere nel procedimento penale r.g.n.r. 778/2008 riguardante la contestazione a diversi soggetti, tra cui alcuni pubblici ufficiali, dei reati di cui agli artt. 416, 319, 321, 326, 615 ter c.p. e art. 12 legge 1 aprile 1981, n. 121, per essersi abusivamente introdotti e mantenuti nella banca dati riservata del sistema d’informazione interforze del Ministero dell’Interno (SDI), al fine di acquisire e comunicare, ad alcuni degli imputati che avevano commissionato tale illecita attività in qualità di titolari o dipendenti di agenzie investigative, dati segreti riguardanti centinaia di persone. La decisione del Tribunale di Firenze che ha accolto l’eccezione di incompetenza territoriale, sollevata dalle difese degli imputati e in precedenza già respinta dal Gup di Firenze, muove dalla convinzione che il delitto di cui all’art. 615 ter c.p. - reato da ritenersi più grave tra quelli contestati, in quanto nelle ipotesi di cui al terzo comma la pena edittale va da tre a otto anni - sia stato commesso a Roma e che, pertanto, ai sensi degli artt. 8 e 16 c.p.p., la competenza territoriale vada radicata presso il Tribunale di Roma per tutti i reati, stante la loro evidente connessione e inscindibilità. Successivamente il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, al quale erano stati trasmessi gli atti del procedimento originariamente incardinato a Firenze, ha formulato richiesta di rinvio a giudizio e contestualmente ha depositato una memoria con la quale ha argomentato nel senso dell’incompetenza del Tribunale di Roma, chiedendo al GUP di Roma di sollevare il conflitto di competenza con il Tribunale di Firenze e di trasmettere gli atti a codesta Suprema Corte per la risoluzione dello stesso. All’udienza del 14 novembre 2012, innanzi al Gup di Roma, si sono costituiti parte civile il Ministero dell’Interno, il Ministero della Difesa e il Ministero dell’Economia e delle Finanze per chiedere l’integrale risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dei reati ascritti agli imputati. Il Gup di Roma, con ordinanza del 14 novembre 2012 (r.g.n. r. 47639/2011 - r.g. gip 10547/12 all. B 1), conformemente a quanto richiesto dal Pubblico Ministero e dai Ministeri costituiti parte civile, ha dichiarato la propria incompetenza per territorio e sollevato conflitto di competenza ex art. 30 c.p.p. innanzi a codesta Ecc.ma Corte, ritenendo che tutti i reati in contestazione, ivi incluso quello di cui all’art. 615 ter c.p., fossero stati commessi a Firenze. Come noto, codesta Corte di cassazione, sez. I, con la sentenza del 27 maggio /27 settembre 2013, n. 40303, ha risolto il conflitto negativo di competenza tra il Tribunale di Firenze e il Tribunale di Roma, dichiarando la competenza di quest’ultimo, presso il quale, a seguito di rinvio a giudizio del GIP, il procedimento risulta tutt’ora pendente e rinviato all’udienza del 20 marzo 2015 per l’escussione dei testi del P.M. 3. Il secondo precedente di codesta Suprema Corte sopra citato (sentenza n. 34165 del 1 agosto 2014), in realtà, trae origine da altro “troncone” del suddetto processo, a suo tempo stralciato, a carico di C.D.B. ed altri (e ora nuovamente riunito al primo), che vede imputati anche due pubblici ufficiali. Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 4760 del 30 settembre /7 ottobre 2013, ha dichiarato ex art. 23 c.p.p. la propria incompetenza territoriale a decidere nel procedimento penale r.g.n.r. 778/2007 riguardante la contestazione a diversi soggetti dei reati di cui agli artt. 416, 319, 321, 326, 615 ter c.p. e art. 12 legge 1 aprile 1981, n. 121, per essersi abusivamente introdotti e mantenuti nella banca dati riservata del sistema d’informazione interforze del Ministero dell’Interno (SDI), al fine di acquisire e comunicare, ad alcuni degli imputati che avevano commissionato tale illecita attività in qualità di titolari o dipendenti di agenzie investigative, dati segreti riguardanti centinaia di persone. Anche in tal caso l’eccezione di incompetenza territoriale era stata in precedenza respinta dal Gup di Firenze. CONTENZIOSO NAZIONALE 173 Successivamente il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, al quale erano stati trasmessi gli atti del procedimento originariamente incardinato a Firenze, ha formulato richiesta di rinvio a giudizio e contestualmente ha depositato una memoria con la quale ha argomentato nel senso dell’incompetenza del Tribunale di Roma, chiedendo al GUP di Roma di rilevare il conflitto di competenza con il Tribunale di Firenze e di trasmettere gli atti a codesta Suprema Corte per la risoluzione dello stesso. All’udienza del 16 aprile 2013, innanzi al Gup di Roma, si sono costituiti parte civile il Ministero dell’Interno e il Ministero della Difesa per chiedere l’integrale risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dei reati ascritti agli imputati. Il Gup di Roma, con ordinanza del 16 aprile 2014 (r.g.n.r. 55349/2013 - r.g. gip 27572/13 all. B 2), conformemente a quanto richiesto dal Pubblico Ministero e dai Ministeri costituiti parte civile, ha dichiarato la propria incompetenza per territorio e sollevato conflitto di competenza ex art. 30 c.p.p. innanzi a codesta Ecc.ma Corte, ritenendo che tutti i reati in contestazione, ivi incluso quello di cui all’art. 615 ter c.p., fossero stati commessi a Firenze. La sentenza di codesta Suprema Corte n. 34165 del 2014, invero, pur riconoscendo che “in astratto, le osservazioni del pubblico ministero che ha sollecitato il conflitto e del giudice che l’ha sollevato, così come quelle delle parti intervenute, hanno il pregio di sviscerare con maestria argomenti scientifici e giuridici dibattuti sia in giurisprudenza sia in dottrina, meritevoli di attento vaglio critico, attesa la rilevanza delle questioni agitate e la ricordata incidenza su procedimenti che risultano in ambiti territoriali diversi”, ha tuttavia affermato la competenza del Tribunale di Roma solo in virtù del criterio della connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera a) c.p.p. del procedimento stralciato oggetto di quel giudizio a carico di D.B. ed altri con quello a carico di M.L. ed altri, nel quale era già intervenuta la più volte citata sentenza della Corte di cassazione n. 40303 del 2013 che aveva irretrattabilmente attribuito la competenza al Tribunale di Roma. Si può dire quindi che la sentenza della Suprema Corte n. 40303 del 2013 costituisce un unico isolato precedente, la cui condivisibilità in astratto è posta in dubbio dalla stessa Suprema Corte nella successiva sentenza n. 34165/14 oltre che dalla più autorevole dottrina (cfr. i pregevoli articoli di CARLO FEDERICO GROSSO, in Rivista italiana di diritto e procedura penale all. D 1; MAURIZIO BELLACOSA, in Diritto penale contemporaneo all. D 2; ROBERTO ZANNOTTI, in Diritto dell’informazione e dell’informatica all. D 3). 4. Nel presente giudizio, il GUP presso il Tribunale di Napoli, in ossequio all’isolato precedente della Corte di cassazione più volte richiamato, con sentenza del 2 dicembre 2013, ha dichiarato ex art. 23 c.p.p. la propria incompetenza territoriale a decidere nel procedimento penale riguardante la contestazione, a una dipendente del Ministero delle Infrastrutture, con mansioni di impiegata della Motorizzazione civile di Napoli (R.M.) e all’amministratore di fatto dell’agenzia di pratiche automobilistiche (...) (S.G.), del reato di cui all’art. 615 ter c.p. per essersi introdotti - utilizzando la password di accesso della R. e le postazioni informatiche di altri dipendenti della Motorizzazione civile di Napoli, fra cui quella di I.T. - nel sistema informatico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (c.d. Sistema SIMOT. DDT), in maniera abusiva, effettuando visure informatiche relative a diverse immatricolazioni di interesse esclusivo dello S.G. Successivamente, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma, al quale erano stati trasmessi gli atti del procedimento originariamente incardinato a Napoli, ha formulato richiesta di rinvio a giudizio e, con memoria depositata all’udienza dell’8 aprile 2014, ha argomentato nel senso dell’incompetenza del Tribunale di Roma, chiedendo al GUP di Roma di sollevare 174 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 il conflitto di competenza con il Tribunale di Napoli e di trasmettere gli atti a codesta Suprema Corte per la risoluzione dello stesso. Il Gup di Roma, con ordinanza del 10 giugno 2014 (all. A), conformemente a quanto richiesto dal Pubblico Ministero, ha dichiarato la propria incompetenza per territorio e sollevato conflitto di competenza ex art. 30 c.p.p. innanzi a codesta Ecc.ma Corte, ritenendo che il reato in contestazione fosse stato commesso a Napoli. 5. A fronte del precedente di codesta Suprema Corte che ha scatenato un numero elevato di conflitti negativi di competenza, questa difesa intende sottoporre all’attenzione delle Sezioni Unite le conseguenze pregiudizievoli che da tale orientamento possono conseguire sia in relazione al principio costituzionale di cui all’art. 25, comma 1 del giudice naturale precostituito per legge, sia in relazione al diritto di difesa anch’esso costituzionalmente tutelato dall’art. 24 che verrebbe certamente compresso dallo svolgimento del processo in luogo distante dalla residenza degli imputati, sia in relazione all’interesse alla corretta amministrazione della giustizia e al giusto processo, garantito dall’art. 111 Cost., suscettibile di essere gravemente compromesso dall’esigenza di svolgere le indagini, acquisire le prove, escutere testimoni in luogo distante dal locus commissi delicti, con lievitazione dei tempi e dei costi per la collettività, come chiaramente messo in luce nella memoria del Pubblico Ministero (all. B 6 bis). In detta memoria, si sottolinea che la regola di cui all’art. 8, comma 1 c.p.p. “si è sempre imposta per la sua agevole applicazione e per la sua capacità di soddisfare due rilevanti esigenze: concentrare l’attività processuale nel luogo nel quale il reato è stato commesso significa facilitare la raccolta delle prove e, nel contempo, rendere partecipe il giudice delle connotazioni ambientali nel quale il reato è maturato ed esaltare la percettibilità della funzione dissuasiva che deve avere sui cittadini la pronuncia di condanna (cd. principio di esemplarità)”. Inoltre, come evidenziato nella richiamata memoria del Pubblico Ministero “Le conseguenze pratiche della soluzione propugnata dal Tribunale di Firenze sono paradossali: il Tribunale di Roma avrebbe una competenza nazionale per tutta una serie di condotte criminose, in considerazione del fatto che nella Capitale hanno sede Ministeri, uffici centrali, Enti nazionali, Direzioni Generali, Autorità indipendenti, centri di comando etc. Siffatte conseguenze, paventate a suo tempo, non hanno tardato a verificarsi: la Procura della Repubblica di Roma è ormai destinataria di svariati procedimenti provenienti da tutta Italia a seguito di sentenze di incompetenza; essa assume surrettiziamente e innaturalmente una competenza nazionale che non solo non è compatibile con il sistema processuale vigente, ma che si abbatte su un Ufficio non adeguatamente provvisto di risorse aggiuntive. Allorquando i procedimenti penali perverranno alla Procura della Repubblica di Roma all’inizio delle indagini preliminari, questo Ufficio sarà costretto a condurre le indagini e a raccogliere elementi probatori (acquisizione di documenti, assunzione di informazioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche etc.) nelle località più lontane e disparate del territorio nazionale, con evidente danno per la tempestività e completezza dell’intervento e con evidente distorsione processuale di cui ne farebbe le spese anche l’indagato, costretto a difendersi in una sede lontana centinaia di chilometri dalla sua sede naturale. Se la normativa vigente appare inadeguata e distonica rispetto all’incessante innovazione tecnologia, prima dell’auspicato intervento del Legislatore, deve essere l’interprete a colmare il differenziale attraverso un’ermeneutica evoluta. Il ricorso a superate concezioni, impermeabili all’evoluzione tecnologica dell’umano operare e del crimine, continua a riprodurre gli abituali schemi legati al mondo materiale totalmente incompatibili con una realtà immateriale come quella dei computer’s crimes.” CONTENZIOSO NAZIONALE 175 Va inoltre evidenziato che l’isolato precedente della Corte più volte citato si pone in contrasto con la decisione di codesta Suprema Corte emessa nella fase cautelare del medesimo procedimento a carico di M.L. ed altri (Cass., 30 aprile 2009, n. 18006 su cui infra). Con riferimento al primo “troncone”, infatti, l’eccezione di incompetenza territoriale accolta dal Tribunale di Firenze è stata per la prima volta sollevata e poi respinta davanti al Gup. Ne né in sede di riesame, né in sede di ricorso per Cassazione è stata posta la questione dell’incompetenza territoriale del Gip di Firenze che, con ordinanza del 26 settembre 2008, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti degli indagati R., M. e C. e quella degli arresti domiciliari per B.P. e B.E. (cfr. Cass., 30 aprile 2009, n. 18006 che ha implicitamente confermato la competenza del Tribunale di Firenze). 6. Ciò premesso, la questione che oggi si pone all’esame delle Sezioni Unite richiede di verificare se, in caso di accesso abusivo ad una banca dati, il luogo di consumazione del reato si collochi nella sede ove si trova il sistema informatico violato, oppure se abbiano rilevanza territoriale le singole postazioni attraverso cui avviene l’accesso. Nel primo caso, sarebbe competente il Tribunale di Roma; nel secondo, il Tribunale di Napoli. Sul punto, non constano specifici precedenti giurisprudenziali, oltre all’isolata pronuncia di codesta Suprema Corte più volte citata; tuttavia, sulla base delle considerazioni che seguiranno, appare corretto - perché maggiormente in linea con i principi generali in tema di consumazione del reato e di competenza territoriale - l’orientamento proposto dal Pubblico Ministero e dal Gup di Roma, che rinvengono in Napoli il luogo di consumazione del delitto. Preliminarmente, va ricordato che codesta Suprema Corte ha precisato che “integra il delitto previsto dall’art. 615 ter c.p. colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema” (Cass. Sez. Un. n. 4694 del 27 ottobre 2011). Detta pronuncia delle Sezioni Unite ha risolto il contrasto che si era formato tra un orientamento che riteneva rilevanti, ai fini della consumazione del reato, le finalità estranee alle ragioni di istituto ed agli scopi sottostanti alla protezione dell’archivio informatico (Cass., sez. 5, n. 2987 del 10 dicembre 2009) ed un diverso orientamento secondo il quale, ai fini della configurabilità del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico, la qualificazione di abusività andava intesa in senso oggettivo, con riferimento al momento dell’accesso, a nulla rilevando le finalità perseguite dall’autore (Cass., n. 40078 del 25 giugno 2009). Le Sezioni Unite hanno quindi sposato tale seconda tesi che fa coincidere la soglia di consumazione del reato con il mero “accesso” al sistema informatico protetto. Al riguardo, si sottolinea che il Tribunale di Firenze (nel procedimento in cui è intervenuta la pronuncia di codesta Suprema Corte n. 40313 del 2013) ha osservato che, ai fini della determinazione della competenza per il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, la condotta rilevante non è l’acquisizione abusiva delle informazioni, ma l’abusiva introduzione o l’abusivo mantenimento nel sistema. Ha poi sottolineato che i terminali che si trovano negli uffici di Firenze e presso i quali sono state inserite le credenziali di accesso sono dei meri strumenti per introdursi nella banca dati ma non contengono alcun dato proprio, mentre è nel sistema informatico sito a Roma che ci si deve necessariamente introdurre per estrarre le informazioni. Sul punto si legge nella sentenza del Tribunale di Firenze n. 4760/2013 che “la procedura di 176 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 accesso dovrebbe anche definirsi, con una corretta analisi parcellizzata delle condotte, come un atto prodromico alla reale introduzione nel sistema informatico, la quale avviene materialmente solo nel momento in cui si “entra” effettivamente nello SDI per estrarne i dati che ivi si trovano dopo aver lanciato l’accesso, cioè dopo aver effettuato la digitazione di user name e password e completato con successo la loro validazione da parte del sistema centrale che si trova in Roma e che può ovviamente escludere i fruitori locali e periferici non muniti delle credenziali autorizzate e valide”. L’orientamento proposto, suggerendo una separazione tra la fase di immissione delle credenziali e quella di vero e proprio accesso al sistema, pare suggerire una non condivisibile frammentazione della condotta. Occorre, pertanto, soffermarsi sulla stessa nozione di accesso e su quella di sistema informatico. Come è sottolineato da parte dello stesso Tribunale di Firenze, ai fini della determinazione del momento consumativo del reato e quindi della competenza territoriale, ciò che rileva è l’introduzione abusiva nel sistema o l’illegittimo mantenimento contro la volontà, anche tacita, del titolare dello ius escludendi. Se, dunque, si è concordi con la giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato come il delitto di accesso abusivo a un sistema informatico sia un reato di mera condotta che si perfeziona con la violazione del domicilio informatico (Cass., 20 marzo 2007, n. 11689) non si comprende, poi, perché si neghi che il momento consumativo coincida con quello di accesso dal terminale remoto e si cerchi, invece, di dare rilevanza ad un successivo “evento” di “immissione materiale” all’interno della banca dati che non appare logicamente e tecnicamente scindibile dal primo. Come ha avuto modo di sottolineare la dottrina, si ha "accesso" quando l'operatore è in grado di dialogare con il sistema, avendo superato o aggirato le iniziali validazioni. La consultazione, per scopi irrituali, di dati inclusi nell'archivio informatico rientranti nel dominio dell'operatore, è un'azione successiva e diversa dall'accesso. Non si deve incorrere nell'equivoco per cui si avrebbe accesso abusivo al sistema nel momento della ricerca di un’informazione o nel momento della sua ricezione da parte dell'operatore che utilizzi la prevista interfaccia. L'operatore è nel sistema, e quindi ha avuto accesso, quando ha oltrepassato le barriere di sicurezza che lo tutelano; cioè nel momento in cui, dal terminale remoto, vengono inviate le "stringhe di comando" atte a forzare il firewall e/o i sistemi di sicurezza posti a protezione dei dati. Alla luce di quanto si è detto, il reato deve considerarsi consumato nel momento e nel luogo in cui viene pigiato il tasto "invio" del terminale remoto, in quanto, da quel momento, la volontà delittuosa si realizza in modo inequivocabile ed irreversibile e, dunque, si consuma la condotta criminosa. Non deve ritenersi giuridicamente rilevante, ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 615 ter c.p., la circostanza che il dato sarà poi prelevato da server ubicati in altra località, in quanto l’illecito penale è già stato compiuto nel momento in cui l'atto di invio delle credenziali si è concluso. 7. L’errore in cui è incorso il Tribunale di Firenze nel declinare la propria competenza si rinviene nell’aver applicato, in materia di domicilio informatico, le stesse nozioni di accesso e introduzione utilizzate per accertare la violazione del domicilio di cui all’art. 614 c.p., operando in tal modo una commistione tra ciò che è una realtà virtuale - telematica e ciò che rileva in una dimensione fisica e materiale. Si legge nella sentenza del Tribunale di Firenze che “il luogo di consumazione del reato è CONTENZIOSO NAZIONALE 177 sempre quello ove avviene il superamento delle barriere di difesa informatica e l’introduzione nel sistema, cioè Roma ove è fisicamente collocato l’elaboratore centrale (l’hardware) che controlla le credenziali di accesso e dal quale si estraggono le informazioni”. Ebbene, proprio il richiamo alla collocazione spaziale dell’hardware pone in luce il vizio che caratterizza l’iter motivazionale percorso dal giudice toscano. Ciò che viene in rilievo non è infatti l’ingresso, se così si voglia chiamarlo, all’interno dell’apparecchio (hardware) fisicamente collocato presso la sede di Roma, bensì l’accesso al sistema informatico, ovvero a quel sistema immateriale e delocalizzato nel quale confluiscono le informazioni. Come appare ormai pacifico, per sistema informatico, secondo l’espressione utilizzata per i computer’s crime dalla legge n. 547 del 1993, deve intendersi “un insieme di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all'uomo, attraverso l'utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, che sono caratterizzate - per mezzo di un'attività di "codificazione" e "decodificazione" - dalla "registrazione" o "memorizzazione", per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di "dati", cioè di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazione diverse, e dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare "informazioni", costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l'utente” (Cass. 13 dicembre 1999, n. 3067). Risponde pienamente a tale definizione la banca dati (SDI) del Ministero dell’Interno istituita dall’art. 8 della legge 121/1981. Si tratta di un sistema informatico composto da più elaboratori che interagiscono tra loro attraverso una rete il cui acceso è limitato ai soggetti abilitati all’utilizzo di determinate credenziali per specifiche finalità. Costituiscono parte integrante di detto sistema (oltre all’hardware e all’elaboratore presente presso la sede del Ministero) anche tutti i terminali remoti disseminati nel territorio nazionale, in quanto è proprio da tali impostazioni che vengono alimentate e gestite tutte le informazioni che confluiscono nella banca dati. I terminali remoti sono quindi “parti integranti del sistema e sono collegati al contenitore centrale” come sostenuto, peraltro, dallo stesso Tribunale di Firenze e pertanto l’utilizzo di credenziali nell’elaboratore remoto determina l’istantaneo perfezionamento della fattispecie delittuosa in contestazione in quanto avvia una stringa di comandi che porta irreversibilmente all’accesso alle informazioni presenti nella banca dati. Analoghe considerazioni possono essere trasposte in relazione alla banca dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti c.d. Sistema SIMOT. DDT. Alla luce di quanto affermato appare evidente come non si possa che contestare qualsivoglia ricostruzione interpretativa che individui la competenza del Tribunale di Roma utilizzando categorie concettuali (quali quelle del collocamento spaziale dei dati) di per sé logicamente incompatibili con un sistema immateriale che raccoglie informazioni provenienti contestualmente da più parti. Accogliere l’innovativo orientamento proposto dal Tribunale di Firenze e seguito da codesta Suprema Corte nel precedente più volte richiamato, nonché successivamente, dal Tribunale di Napoli, comporterebbe, peraltro, due distorsioni processuali in tema di competenza. Da un lato, si determinerebbe una competenza quasi universale del Tribunale di Roma in quanto tutti i Ministeri hanno sede nella capitale e, conseguentemente, anche i relativi database; dall’altro si rischierebbe di creare una situazione nella quale le Autorità preposte alle indagini si troverebbero fisicamente lontane dal luogo dove sono avvenuti i 178 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 fatti in contestazione e dove si dovranno raccogliere gli elementi probatori. Né vale ad indebolire la tesi qui sostenuta l’asserito pericolo, prospettato dal giudice di Firenze, che, così ragionando, si dovrebbe escludere la giurisdizione italiana ogniqualvolta l’accesso abusivo sia intervenuto tramite un terminale sito all’estero. Come correttamente osservato dal Gup di Roma nell’ordinanza del 14 novembre 2012, sono infatti ben noti i criteri di cui agli artt. 3, 6, 9 e 10 c.p.p. ed il principio di territorialità della legge penale, interpretato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità nel senso che il reato si considera commesso nel territorio dello Stato italiano anche quando l’azione o l’omissione, si è ivi realizzata soltanto in parte, e anche laddove non abbia raggiunto la soglia del tentativo. L’abusivo accesso dall’estero ad un sistema informatico collocato sul territorio nazionale, dunque, in quanto reato commesso in parte in Italia troverebbe comunque tutela nell’ambito della nostra giurisdizione. Alla luce di quanto dedotto, l’amministrazione in epigrafe, come sopra rappresentata e difesa, chiede l’accoglimento delle seguenti CONCLUSIONI Voglia l’Ecc.ma Corte di Cassazione a Sezioni Unite, considerato tutto quanto esposto di tema di competenza e giurisdizione e considerato che il delitto di cui all’art. 615 ter c.p. è stato commesso a Napoli (luogo in cui è stata posta in essere la condotta di accesso abusivo), affermare la competenza del Tribunale di Napoli per il delitto in contestazione. Si producono: A. ORDINANZA DEL GIP DI ROMA TRASMESSA ALLE SS.UU. DALLA I SEZ. PENALE CORTE CASSAZIONE - Ordinanza di elevazione del conflitto 16 giugno 2014 GUP Roma Bonaventura p.p.nr. 55349/13 RGNR Roma e 27572/13 RGGIP Roma (luogo di digitazione). B. GIURISPRUDENZA DI MERITO 1. Ordinanza di elevazione del conflitto 14 novembre 2012 (GUP Roma d’Alessandro p.p.nr. 47639/11 RGNR Roma e 10547/12 RGGIP Roma) (luogo di digitazione); 2. Ordinanza di elevazione del conflitto 16 aprile 2014 (GUP Roma d’Alessandro p.p.nr. 55349/13 RGNR Roma e 27572/13 RGGIP Roma) (luogo di digitazione); 3. Ordinanza cautelare ex art. 27 c.p.p. 28 maggio 2014 (GIP Roma Boffi p.p.nr. 17950/2014 RGNR Roma nr. 7159/2014 RG GIP Roma) (luogo di digitazione); 4. Sentenza di incompetenza territoriale 1 luglio 2014 (GUP Roma Gavoni p.p.nr. 14547/2014 RGNR Roma e nr. 5759/2014 RG GIP Roma) (luogo di digitazione); 5. Ordinanza di rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale 16 luglio 2014 (GUP Roma Passamonti, p.p. nr. 16516/2011 RGNR Roma e 28511/2014 RGGIP Roma) (luogo di digitazione); 6. Ordinanza di elevazione del conflitto 15 ottobre 2014 (GUP Roma Savio p.p.nr. 10943/14 RGNR Roma e 4621/14 RGGIP Roma) (luogo di digitazione); 7. Sentenza di incompetenza territoriale 10 dicembre 2014 (GUP Roma d’Alessandro p.p.nr. 35451/2014 RGNR Roma e nr. 19613/2014 RG GIP Roma) (luogo di digitazione). C. GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ 1. Cass. Sez. I sent. 27 maggio /27 settembre 2013 Pres. Chieffi, Est. La Posta nr. 40303/2013 (luogo del server); 2. Cass. Sez. I sent. 15 luglio /1 agosto 2014 Pres. Vecchio, Est. Di Tomassi nr. 34165/2014 (luogo del server ma solo per connessione); CONTENZIOSO NAZIONALE 179 3. Cass. Sez. I, ord. 28 ottobre /18 dicembre 2014 Pres. Siotto, Est. Locatelli nr. 52575/2014 (luogo di digitazione). D. DOTTRINA 1. Rivista Italiana di diritto e procedura penale, 2014, vol. III, fll. 1502 - 1531 CARLO FEDERICO GROSSO, Su di un’interessante controversia interpretativa in tema di luogo del commesso reato e di Giudice competente per territorio in materia di accesso abusivo a un sistema informatico (luogo di digitazione); 2. Diritto Penale Contemporaneo, 2015, rivista online, fll. 1 - 14 MAURIZIO BELLACOSA, Il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico: in attesa delle Sezioni Unite (luogo di digitazione); 3. Diritto dell’informazione e dell’informatica, fasc. VI, fll. 945 - 951 ROBERTO ZANNOTTI, Accesso abusivo a un sistema telematico: quale il locus commissi delicti? (luogo di digitazione). Roma, 19 marzo 2014 Wally Ferrante Avvocato dello Stato Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza 24 aprile 2015 n. 17325 - Pres. Giorgio Santacroce, Rel. Claudia Squassoni, P.M. Carlo Destro (competenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli) - Conflitto di competenza sollevato dal Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Roma, nel procedimento nei confronti di R.M. e S.G (avv. Luigi Sena e avv. Pasquale Crea); parte civile Ministero delle Infrastrutture (avv. Stato Wally Ferrante). RITENUTO IN FATTO 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha esercitato l'azione penale nei confronti di R.M. e S.G. in ordine al reato previsto dall'art. 81 c.p., art. 110 c.p., art. 615 ter c.p., commi 2 e 3, perchè, in concorso tra loro ed agendo la R.M. in qualità di impiegata della Motorizzazione civile di Napoli, si introducevano abusivamente e ripetutamente nel sistema informatico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per effettuare visure elettroniche che esulavano dalle mansioni della imputata ed interessavano lo S.G. (amministratore di una agenzia di pratiche automobilistiche). Con sentenza in data 2 dicembre 2013, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Napoli ha dichiarato la propria incompetenza per territorio ritenendo competente il Giudice del Tribunale di Roma in ragione della ubicazione della banca-dati della Motorizzazione civile presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con sede in Roma. Chiesto il rinvio a giudizio da parte del Procuratore della Repubblica per entrambi gli imputati, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Roma, con ordinanza del 16 giugno 2014, ha sollevato conflitto negativo di competenza per territorio ritenendo che il luogo di consumazione del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico dovesse radicarsi ove agiva l'operatore remoto e, pertanto, a Napoli. 2. La Prima Sezione penale, cui il ricorso è stato assegnato tabellarmente, con ordinanza n. 52575 del 28 ottobre 2014, depositata il 18 dicembre 2014, rilevato un potenziale contrasto di giurisprudenza, ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite. 180 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Con decreto in data 23 dicembre 2014 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone per la trattazione l'odierna udienza camerale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il quesito posto alle Sezioni Unite è il seguente: "Se, ai fini della determinazione della competenza per territorio, il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all'art. 615 ter c.p., sia quello in cui si trova il soggetto che si introduce nel sistema o, invece, quello nel quale è collocato il server che elabora e controlla le credenziali di autenticazione fornite dall'agente". 1.1. La questione è di particolare rilievo dal momento che il reato informatico, nella maggior parte dei casi, si realizza a distanza in presenza di un collegamento telematico tra più sistemi informatici con l'introduzione illecita, o non autorizzata, di un soggetto, all'interno di un elaboratore elettronico, che si trova in luogo diverso da quello in cui è situata la banca-dati. Gli approdi ermeneutici hanno messo in luce due opposte soluzioni che si differenziano nel modo di intendere la spazialità nei reati informatici: per alcune, competente per territorio è il tribunale del luogo nel quale il soggetto si è connesso alla rete effettuando il collegamento abusivo, per altre, il tribunale del luogo ove è fisicamente allocata la banca-dati che costituisce l'oggetto della intrusione. 1.2. Una sola sentenza della Corte di cassazione ha approfondito il tema in esame, individuando la competenza territoriale nel luogo ove è allocato il server (Sez. 1, n. 40303 del 27/05/2013, Martini, Rv. 257252). Secondo tale impostazione, ciò che rileva ai fini della integrazione del delitto è il momento in cui viene posta in essere la condotta che si connota per l'abusività (inconferenti essendo le finalità perseguite) che si perfeziona quando l'agente, interagendo con il sistema informatico o telematico altrui, si introduce in esso contro la volontà di chi ha il diritto di estromettere l'estraneo. Posta la centralità del jus excludendi, la fattispecie si perfeziona nel momento in cui il soggetto agente entra nel sistema altrui, o vi permane, in violazione del domicilio informatico, sia che vi si introduca contro la volontà del titolare sia che vi si intrattenga in violazione delle regole di condotta imposte. Il delitto può, di conseguenza, ritenersi consumato solo se l'agente, colloquiando con il sistema, ne abbia oltrepassato le barriere protettive o, introdottosi utilizzando un valido titolo abilitativo, vi permanga oltre i limiti di validità dello stesso. Deriva che l'accesso si determina nel luogo ove viene effettivamente superata la protezione informatica e si verifica la introduzione nel sistema e, quindi, dove è materialmente situato il server violato, l'elaboratore che controlla le credenziali di autenticazione del client. Il luogo di consumazione del reato non è dunque quello in cui vengono inserite le credenziali di autenticazione, ma quello in cui si entra nel server dal momento che la procedura di accesso deve ritenersi atto prodromico alla introduzione nel sistema. Nella ipotesi di accesso da remoto, l'attività fisica viene esercitata in luogo differente da quello in cui si trova il sistema informatico o telematico protetto, ma è certo che il client invia le chiavi logiche al server web il quale le riceve "processandole" nella fase di validazione che è eseguita unicamente all'interno dell'elaboratore presidiato da misure di sicurezza. In sostanza, l'opzione ermeneutica che ha fissato presso il server il luogo di consumazione del reato fa leva sulla constatazione che l'effettivo ingresso di cui trattasi si verifica solo presso il sistema centrale con il superamento delle barriere logiche dopo la immissione delle credenziali di autenticazione da remoto. CONTENZIOSO NAZIONALE 181 Altra sentenza (Sez. 3, n. 23798 del 24/05/2012, Casalini, Rv. 253633), pur senza approfondire, ha affermato, in riferimento al diverso reato di frode informatica, che la competenza territoriale deve essere individuata nel luogo in cui si trova il server all'interno del quale sono archiviati i dati oggetto di abusivo trattamento. 1.3. Un significativo segnale di mutamento in ordine alla riflessione giurisprudenziale sul luogo di consumazione del reato di accesso abusivo a sistema informatico può cogliersi in una decisione (Sez. 1, n. 34165 del 15/06/2014, De Bo, non massimata); la Corte, nel risolvere il conflitto di competenza sollevato dall'autorità giudiziaria del luogo di digitazione della password di accesso alle risorse informatiche, ha rilevato come la questione (non conferente nel caso in esame) fosse fondata su argomenti giuridici e scientifici meritevoli di attento esame critico e, quindi, di ulteriore analisi in sede di ricostruzione dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 615 ter c.p. La ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite - dopo avere evidenziato che il client ed il server sono componenti di un unico sistema telematico - osserva che l'accesso penalmente rilevante inizia dalla postazione remota ed il perfezionamento del reato avviene nel luogo ove si trova l'utente (diverso da quello in cui è ubicato il server). 1.4. La impostazione della ricordata sentenza n. 40303 del 2013 della Corte di cassazione è criticata dal Giudice rimettente (e da parte della dottrina) che puntualizza come l'intera architettura di un sistema per la gestione e lo scambio di dati (server, client, terminali e rete di trasporto delle informazioni) corrisponde, in realtà, ad una sola unità di elaborazione, altrimenti definita "sistema telematico". In questa prospettiva, il terminale mediante il quale l'operatore materialmente inserisce username e password è ricompreso, quale elemento strutturale ed essenziale, nell'intera rete di trattamento e di elaborazione dei dati, assumendo rilevanza il luogo di ubicazione della postazione con cui l'utente accede o si introduce nel sistema che contiene l'archivio informatico. 2. Prima di esaminare la questione controversa, è opportuno puntualizzare, nello stretto ambito richiesto per risolvere il quesito, la struttura della fattispecie dell'art. 615 ter c.p., iniziando dalla nozione di introduzione e trattenimento nel sistema. La materia è già stata passata al vaglio delle Sezioni Unite (sent. n. 4694 del 27/10/2011, Casani, Rv. 25129) che ha precisato come le condotte descritte dalla norma sono punite a titolo di dolo generico e consistono: a) nello introdursi abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza - da intendere come l'accesso alla conoscenza dei dati o informazioni contenute nello stesso - effettuato sia da lontano (condotta tipica dello hacker), sia da vicino (cioè da persona che si trova a diretto contatto con lo elaboratore); b) nel mantenersi nel sistema contro la volontà, espressa o tacita, di chi ha il diritto di esclusione, da intendere come il persistere nella già avvenuta introduzione, inizialmente autorizzata o casuale, violando le disposizioni, i limiti e i divieti posti dal titolare del sistema. 2.1. Nel caso che ci occupa (almeno dagli atti in visione di questa Corte) risulta che la R.M., pur avendo titolo e formale abilitazione per accedere alle informazioni in ragione della sua qualità di dipendente della competente amministrazione e di titolare di legittime chiavi di accesso, si è introdotta all'interno del sistema, in esecuzione di un previo accordo criminoso con il coimputato al fine di consultare l'archivio per esigenze diverse da quelle di servizio; pertanto, la condotta deve essere considerata di per sè illecita sin dal momento dell'accesso, essendo irrilevante la successiva condotta di mantenimento. 2.2. Per quanto concerne il bene giuridico, va ricordato che l'art. 615 ter c.p., è stato in- 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 trodotto nel nostro ordinamento in esito alla Raccomandazione del Consiglio di Europa del 1989 per assicurare una protezione all'ambiente informatico o telematico che contiene dati personali che devono rimanere riservati e conservati al riparo da ingerenze ed intrusioni altrui e rappresenta un luogo inviolabile, delimitato da confini virtuali, paragonabile allo spazio privato dove si svolgono le attività domestiche. Per questo la fattispecie è stata inserita nella Sezione IV del Capo III del Titolo XII del Libro II del codice penale, dedicata ai delitti contro la inviolabilità del domicilio, che deve essere inteso come luogo, anche virtuale, dove l'individuo esplica liberamente la sua personalità in tutte le sue dimensioni e manifestazioni. È stato notato che, con la previsione dell'art. 615 ter c.p., il legislatore ha assicurato la protezione del domicilio informatico quale spazio ideale in cui sono contenuti i dati informatici di pertinenza della persona ad esso estendendo la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene costituzionalmente protetto; all'evidenza il parallelo con il domicilio reale - sulla cui falsariga è stata strutturata la norma - è imperfetto. In realtà, la fattispecie offre una tutela anticipata ad una pluralità di beni giuridici e di interessi eterogenei e non si limita a preservare solamente i contenuti personalissimi dei dati raccolti nei sistemi informatici protetti, ma ne offre una protezione da qualsiasi tipo di intrusione che possa avere anche ricadute economico-patrimoniali (Sez. 4, n. 3067 del 04/10/1999, Piersanti, Rv. 214946). È condivisa l'opinione secondo la quale il delitto previsto dall'art. 615 ter c.p., è di mera condotta (ad eccezione per le ipotesi aggravate del comma 2, nn. 2 e 3) e si perfeziona con la violazione del domicilio informatico - e, quindi, con la introduzione nel relativo sistema - senza la necessità che si verifichi una effettiva lesione del diritto alla riservatezza dei dati (Sez. 5, n. 11689 del 06/02/2007, Cerbone, Rv. 236221). Dal momento che oggetto di tutela è il domicilio virtuale, e che i dati contenuti all'interno del sistema non sono in via diretta ed immediata protetti, consegue che l'eventuale uso illecito delle informazioni può integrare un diverso titolo di reato (Sez. 5, n. 40078 del 25/05/2009, Genchi, Rv. 244749). 2.3. Il legislatore, introducendo con la L. 23 dicembre 1993, n. 547, i cosiddetti computer's crimes, non ha enunciato la definizione di sistema informatico o telematico (forse per lasciare aperta la nozione in vista dell'evoluzione della tecnologia), ma ne ha presupposto il significato. In argomento, l'art. 1 della Convenzione Europea di Budapest del 23 novembre 2001, definisce sistema informatico "qualsiasi apparecchiature o gruppi di apparecchiature interconnesse o collegate, una o più delle quali, in base ad un programma, compiono l'elaborazione automatica dei dati". La giurisprudenza ha fornito una definizione tendenzialmente valida per tutti i reati facenti riferimento alla espressione "sistema informatico", che deve intendersi come un complesso di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all'uomo attraverso l'utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche che sono caratterizzate, per mezzo di una attività di "codificazione" e "decodificazione", dalla "registrazione" o "memorizzazione" tramite impulsi elettronici, su supporti adeguati, di "dati", cioè, di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit) in combinazioni diverse, e dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare informazioni costituite da un insieme più o meno vasto di informazioni organizzate secondo una logica che consente loro di esprimere un particolare significato per l'utente (Sez. 6, n. 3067 del 04/10/1999, Piersanti, Rv. 214945). CONTENZIOSO NAZIONALE 183 In generale, un dispositivo elettronico assurge al rango di sistema informatico o telematico se si caratterizza per l'installazione di un software che ne sovrintende il funzionamento, per la capacità di utilizzare periferiche o dispositivi esterni, per l'interconnessione con altri apparecchi e per la molteplicità dei dati oggetto di trattamento. Per evitare vuoti di tutela e per ampliare la sfera di protezione offerta ai sistemi informatici e telematici, è opportuno accogliere la nozione più ampia possibile di computer o unità di elaborazione di informazioni, come del resto la Corte ha già fatto in materia di carte di pagamento, trattandosi di strumenti idonei a trasmettere dati elettronici nel momento in cui si connettono all'apparecchiatura POS (così Sez. F, n. 43755 del 23/08/2012, Chiriac, Rv. 253583). Nell'ambito della protezione offerta dall'art. 615 ter c.p., ricadono anche i sistemi di trattamento delle informazioni che sfruttano l'architettura di rete denominata client-server, nella quale un computer o terminale (il client) si connette tramite rete ad un elaboratore centrale (il server) per la condivisione di risorse o di informazioni, che possono essere rese disponibili a distanza anche ad altri utenti. La tutela giuridica è riservata ai sistemi muniti di misure di sicurezza perchè, dovendosi proteggere il diritto di uno specifico soggetto, è necessario che questo abbia dimostrato di volere riservare l'accesso alle persone autorizzate e di inibire la condivisione del suo spazio informatico con i terzi. 3. La condotta illecita commessa in un ambiente informatico o telematico assume delle specifiche peculiarità per cui la tradizionale nozione - elaborata per una realtà fisica nella quale le conseguenze sono percepibili e verificabili con immediatezza - deve essere rivisitata e adeguata alla dimensione virtuale. In altre parole, il concetto di azione penalmente rilevante subisce nella realtà virtuale una accentuata modificazione fino a sfumare in impulsi elettronici; l'input rivolto al computer da un atto umano consapevole e volontario si traduce in un trasferimento sotto forma di energie o bit della volontà dall'operatore all'elaboratore elettronico, il quale procede automaticamente alle operazioni di codificazione, di decodificazione, di trattamento, di trasmissione o di memorizzazione di informazioni. L'azione telematica viene realizzata attraverso una connessione tra sistemi informatici distanti tra loro, cosicchè gli effetti della condotta possono esplicarsi in un luogo diverso da quello in cui l'agente si trova; inoltre, l'operatore, sfruttando le reti di trasporto delle informazioni, è in grado di interagire contemporaneamente sia sul computer di partenza sia su quello di destinazione. È stato notato che nel cyberspace i criteri tradizionali per collocare le condotte umane nel tempo e nello spazio entrano in crisi, in quanto viene in considerazione una dimensione "smaterializzata" (dei dati e delle informazioni raccolti e scambiati in un contesto virtuale senza contatto diretto o intervento fisico su di essi) ed una complessiva "delocalizzazione" delle risorse e dei contenuti (situabili in una sorte di meta-territorio). Pertanto non è sempre agevole individuare con certezza una sfera spaziale suscettibile di tutela in un sistema telematico, che opera e si connette ad altri terminali mediante reti e protocolli di comunicazione. Del resto, la dimensione aterittoriale si è incrementata da ultimo con la diffusione dei dispositivi mobili (tablet, smartphone, sistemi portatili) e del cloud computing, che permettono di memorizzare, elaborare e condividere informazioni su piattaforme delocalizzate dalle quali è possibile accedere da qualunque parte del globo. 184 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Va comunque precisato che, se i dati oggetto di accesso abusivo sono archiviati su cloud computing o resi disponibili da server che sfruttano tali servizi, potrebbe risultare estremamente difficile individuare il luogo nel quale le informazioni sono collocate. 4. Le esposte osservazioni sono utili per risolvere la questione sottoposta alle Sezioni Unite. In estrema sintesi, si può rilevare che le due teorie contrapposte sul luogo del commesso reato si ancorano l'una (quella della Prima Sezione della Corte di cassazione) sul concetto classico di fisicità del luogo ove è collocato il server e l'altra (quella del Giudice rimettente) sul funzionamento delocalizzato, all'interno della rete, di più sistemi informatici e telematici. Ora - pur non sminuendo le difficoltà di trasferire al caso concreto il criterio attributivo della competenza territoriale dell'art. 8 c.p.p., parametrato su spazi fisici e non virtuali - la Corte reputa sia preferibile la tesi del Giudice remittente, che privilegia le modalità di funzionamento dei sistemi informatici e telematici, piuttosto che il luogo ove è fisicamente collocato il server. 4.1. Deve, innanzitutto, ricordarsi come l'abusiva introduzione in un sistema informatico o telematico - o il trattenimento contro la volontà di chi ha diritto di esclusione - sono le uniche condotte incriminate, e, per quanto rilevato, le relative nozioni non sono collegate ad una dimensione spaziale in senso tradizionale, ma a quella elettronica, trattandosi di sistemi informatici o telematici che archiviano e gestiscono informazioni ossia entità immateriali. Tanto premesso, si rileva come la ricordata sentenza della Prima Sezione abbia ritenuto che l'oggetto della tutela concreta coincida con l'ambito informatico ove sono collocati i dati, cioè con il server posto in luogo noto. Tale criterio di articolare la competenza in termini di fisicità, secondo gli abituali schemi concettuali del mondo materiale, non tiene conto del fatto che la nozione di collocazione spaziale o fisica è essenzialmente estranea alla circolazione dei dati in una rete di comunicazione telematica e alla loro contemporanea consultazione da più utenti spazialmente diffusi sul territorio. Non può essere condivisa, allora, la tesi secondo la quale il reato di accesso abusivo si consuma nel luogo in cui è collocato il server che controlla le credenziali di autenticazione del client, in quanto, in ambito informatico, deve attribuirsi rilevanza, più che al luogo in cui materialmente si trova il sistema informatico, a quello da cui parte il dialogo elettronico tra i sistemi interconnessi e dove le informazioni vengono trattate dall'utente. Va rilevato, infatti, come il sito ove sono archiviati i dati non sia decisivo e non esaurisca la complessità dei sistemi di trattamento e trasmissione delle informazioni, dal momento che nel cyberspazio (la rete internet) il flusso dei dati informatici si trova allo stesso tempo nella piena disponibilità di consultazione (e, in certi casi, di integrazione) di un numero indefinito di utenti abilitati, che sono posti in condizione di accedervi ovunque. Non è allora esatto ritenere che i dati si trovino solo nel server, perchè nel reato in oggetto l'intera banca dati è "ubiquitaria", "circolare" o "diffusa" sul territorio, nonchè contestualmente compresente e consultabile in condizioni di parità presso tutte le postazioni remote autorizzate all'accesso. A dimostrazione della unicità del sistema telematico per il trattamento dei dati, basti considerare che la traccia delle operazioni compiute all'interno della rete e le informazioni relative agli accessi sono reperibili, in tutto o in parte, sia presso il server che presso il client. Nè può in contrario sostenersi, come afferma l'orientamento che in questa sede si ritiene di non condividere, che le singole postazioni remote costituiscano meri strumenti passivi di accesso al sistema principale e non facciano altrimenti parte di esso. CONTENZIOSO NAZIONALE 185 4.2. Da un punto di vista tecnico-informatico, il sistema telematico deve considerarsi unitario, essendo coordinato da un software di gestione che presiede al funzionamento della rete, alla condivisione della banca dati, alla archiviazione delle informazioni, nonchè alla distribuzione e all'invio dei dati ai singoli terminali interconnessi. Consegue che è arbitrario effettuare una irragionevole scomposizione tra i singoli componenti dell'architettura di rete, separando i terminali periferici dal server centrale, dovendo tutto il sistema essere inteso come un complesso inscindibile nel quale le postazioni remote non costituiscono soltanto strumenti passivi di accesso o di interrogazione, ma essi stessi formano parte integrante di un complesso meccanismo, che è strutturato in modo da esaltare la funzione di immissione e di estrazione dei dati da parte del client. I terminali, secondo la modulazione di profili di accesso e l'organizzazione della bancadati, non si limitano soltanto ad accedere alle informazioni contenute nei data base, ma sono abilitati a immettere nuove informazioni o a modificare quelle preesistenti, con potenziale beneficio per tutti gli utenti della rete, che possono fruire dì dati più aggiornati e completi per effetto dell'interazione di un maggior numero di operatori. Alla luce di questa considerazione, va focalizzata la nozione di accesso in un sistema informatico, che non coincide con l'ingresso all'interno del server fisicamente collocato in un determinato luogo, ma con l'introduzione telematica o virtuale, che avviene instaurando un colloquio elettronico o circuitale con il sistema centrale e con tutti i terminali ad esso collegati. L'accesso inizia con l'unica condotta umana di natura materiale, consistente nella digitazione da remoto delle credenziali di autenticazione da parte dell'utente, mentre tutti gli eventi successivi assumono i connotati di comportamenti comunicativi tra il client e il server. L'ingresso o l'introduzione abusiva, allora, vengono ad essere integrati nel luogo in cui l'operatore materialmente digita la password di accesso o esegue la procedura di login, che determina il superamento delle misure di sicurezza apposte dal titolare del sistema, in tal modo realizzando l'accesso alla banca-dati. Da tale impostazione, coerente con la realtà di una rete telematica, consegue che il luogo del commesso reato si identifica con quello nel quale dalla postazione remota l'agente si interfaccia con l'intero sistema, digita le credenziali di autenticazione e preme il testo di avvio, ponendo così in essere l'unica azione materiale e volontaria che lo pone in condizione di entrare nel dominio delle informazioni che vengono visionate direttamente all'interno della postazione periferica. Anche in tal senso rileva non il luogo in cui si trova il server, ma quello decentrato da cui l'operatore, a mezzo del client, interroga il sistema centrale che gli restituisce le informazioni richieste, che entrano nella sua disponibilità mediante un processo di visualizzazione sullo schermo, stampa o archiviazione su disco o altri supporti materiali. Le descritte attività coincidono con le operazioni di "trattamento", compiute sul client, che il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 4, lett. a), (codice della privacy) definisce come "qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati". La condotta è già abusiva (secondo la clausola di antigiuridicità speciale) nel momento in cui l'operatore non autorizzato accede al computer remoto e si fa riconoscere o autenticare manifestando, in tale modo, la sua volontà di introdursi illecitamente nel sistema con possibile violazione della integrità dei dati. 186 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Deve precisarsi in ogni caso che, se il server non risponde o non valida le credenziali, il reato si fermerà alla soglia del tentativo punibile. Nelle ipotesi, davvero scolastiche e residuali, nelle quali non è individuabile la postazione da cui agisce il client, per la mobilità degli utenti e per la flessibilità di uso dei dispositivi portatili, la competenza sarà fissata in base alle regole suppletive (art. 9 c.p.p.). 4.3. Il luogo in cui l'utente ha agito sul computer - che nella maggior parte dei casi, è quello in cui si reperiscono le prove del reato e la violazione è stata percepita dalla collettività - è consono al concetto di giudice naturale, radicato al locus commissi delicti di cui all'art. 25 Cost. La Corte costituzionale, infatti, non ha mancato di sottolineare al riguardo (v. sentenza n. 168 del 2006) come il predicato della "naturalità" del giudice finisca per assumere nel processo penale "un carattere del tutto particolare, in ragione della fisiologica allocazione di quel processo nel locus commissi delicti", giacchè la "celebrazione di quel processo in quel luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata quella - più che tradizionale - per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati". In tale cornice, se l'azione dell'uomo si è realizzata in un certo luogo - sia pure attraverso l'uso di uno strumento informatico e, dunque, per sua natura destinato a produrre flussi di dati privi di una loro "consistenza territoriale" - non v'è ragione alcuna per ritenere che quel "fatto", qualificato dalla legge come reato, non si sia verificato proprio in quel luogo, così da consentire la individuazione di un giudice anche "naturalisticamente" (oltre che formalmente) competente. Predicato, quello di cui si è detto, che, al contrario, non potrebbe ritenersi affatto soddisfatto ove si facesse leva sulla collocazione, del tutto casuale, del server del sistema violato. 4.4. D'altra parte, che il fulcro della attenzione normativa sia stato, per così dire, allocato nel luogo in cui si trova ad operare l'autore del delitto - evocando, dunque, una sorta di sincretismo tra la localizzazione dell'impianto informatico utilizzato per realizzare il fatto-reato e la persona che, proprio attraverso quell'impianto, accede e dialoga col sistema nella sua indefinibile configurazione spaziale - lo si può desumere anche dal modo in cui risultano strutturate le circostanze aggravanti previste dal comma secondo dell'art. 615 ter c.p. Se si considera, infatti, l'aggravante di cui al n. 2, del predetto comma, non avrebbe senso alcuno immaginare una competenza per territorio saldata al luogo - in ipotesi del tutto eccentrico rispetto al "fatto" - in cui si trova il server, visto che è proprio l'attività violenta dell'agente (e, dunque, la relativa collocazione territoriale) a specificare, naturalisticamente, il locus commissi delicti. Allo stesso modo, è sempre il luogo in cui si trova ed opera l'agente ad essere quello che meglio individua il "fatto", ove da esso sia derivata, a norma del n. 3, la interruzione, la distruzione o il danneggiamento del sistema o di qualche sua componente: è l'operazione di manipolazione, infatti (si pensi alla introduzione di un virus) che qualifica, specificandola in chiave aggravatrice, la condotta punibile, con l'ovvia conseguenza che è l'azione umana (e non altro) a determinare il "fatto" e con esso il suo riferimento spazio-temporale. Circostanze, quelle testè evidenziate, che valgono anche per l'aggravante dell'abuso della qualità pubblica dell'autore del fatto di cui al n. 1, posto che - ancora una volta - è sempre la condotta di accesso a indicare "chi", "dove" e "quando" hanno realizzato la fattispecie incriminata, qualificandola "abusiva" in ragione delle specifiche disposizioni che regolano l'impiego del sistema. 5. Deve ora, per completezza, rilevarsi che la conclusione è trasferibile alla diversa ipotesi nella quale un soggetto facoltizzato ad introdursi nel sistema, dopo un accesso legittimo, vi si intrattenga contro la volontà del titolare eccedendo i limiti della autorizzazione. CONTENZIOSO NAZIONALE 187 In questo caso, non può farsi riferimento all'azione con la quale l'agente ha utilizzato le sue credenziali e dato l'avvio al sistema, dal momento che tale condotta commissiva è lecita ed antecedente alla perpetrazione del reato. Necessita, quindi, fare leva sull'inizio della condotta omissiva che, come è stato puntualmente osservato, coincide con un uso illecito dello elaboratore, con o senza captazione di dati. L'operatore remoto, anche in questo caso, si relaziona, con impulsi elettronici e colloquia con il sistema dalla sua postazione periferica presso la quale vengono trasferiti i dati con la conseguenza che è irrilevante il luogo in cui è collocato il server per le già dette ragioni. 6. Conclusivamente, va affermato il seguente principio di diritto: "Il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all'art. 615 ter c.p., è quello nel quale si trova il soggetto che effettua l'introduzione abusiva o vi si mantiene abusivamente". 7. Consegue che nella specie deve essere dichiarata la competenza dell'autorità giudiziaria del Tribunale di Napoli, atteso che la condotta abusiva è stata contestata come materialmente realizzata dalla imputata R.M. negli uffici della Motorizzazione civile di Napoli, dove, servendosi del computer in dotazione dell'ufficio, essa si sarebbe introdotta abusivamente e ripetutamente nel sistema informatico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. P.Q.M. dichiara la competenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli, cui dispone trasmettersi gli atti. Così deciso in Roma, il 26 marzo 2015. Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2015 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 “Limiti esterni” della giurisdizione del Consiglio di Stato e esercizio della discrezionalità del Consiglio Superiore della Magistratura CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, SENTENZA 5 OTTOBRE 2015 N. 19787 Marina Russo* Con la sentenza in rassegna la Corte di Cassazione a Sezioni Unite: a) ha chiarito la portata delle recenti sentenze nn. 23302/11 e 1823/15, precisando che il principio ivi affermato (e cioè che vi è eccesso di potere giurisdizionale se il giudice amministrativo, in sede di ottemperanza alla pronuncia di annullamento di una delibera del C.S.M. ordini di attribuire “ora per allora” un incarico a magistrati ormai in quiescenza), non rileva direttamente nel giudizio ordinario di legittimità, all’esito del quale il C.S.M., trovandosi nell’impossibilità di conferire l’incarico a chi sia ormai collocato in quiescenza, potrà comunque conformarsi al giudicato amministrativo, semplicemente - a seconda dei casi - dando atto del “non luogo a provvedere” qualora ritenga che l’incarico avrebbe dovuto essere conferito al ricorrente frattanto cessato dal servizio, oppure - nel caso contrario - confermando il provvedimento di attribuzione al controinteressato, frattanto cessato dal servizio; b) ha affermato il seguente principio di diritto: “In caso di concorso bandito dal Consiglio Superiore della magistratura per l'attribuzione di un incarico giudiziario, il Consiglio di Stato travalica i limiti esterni della giurisdizione qualora, nel giudizio avente ad oggetto la legittimità della delibera del CSM, operi direttamente una valutazione di merito del contenuto del provvedimento e ne apprezzi la ragionevolezza e non si limiti a sindacarne la legittimità, anche a mezzo del vizio dell’eccesso di potere”, annullando la sentenza del Consiglio di Stato che aveva negato - con valutazione di merito ad esso preclusa - l’equiparabilità, ai fini del giudizio di idoneità attitudinale per il posto di presidente Aggiunto della Corte di cassazione, della esperienza professionale presso l’Avvocatura dello Stato all’esperienza professionale in sede giurisdizionale. (*) Avvocato dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 189 Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza 5 ottobre 2015 - Primo Pres. f.f. L. Rovelli, Pres. Sez. M. Finocchiaro, Rel. G. Amoroso, P.M. P. Fratis (conforme) - Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della Giustizia (Avv. Gen. Stato) c. C. G.M. (avv. A. Lamberti); V. P. (avv. M. Luciani). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Il Consiglio Superiore della Magistratura (d'ora in poi CSM), nella seduta del 22 luglio 2010, ha deliberato, a maggioranza, la nomina a Presidente Aggiunto della Corte di cassazione, a sua domanda, del dott. V.P., magistrato di settima valutazione di professionalità. In particolare la proposta in favore del dott. V. è stata approvata avendo riportato 15 voti, contro i 5 voti per la proposta in favore del dott. C. G.M., magistrato anch'egli di settima valutazione, ed i 4 voti per la proposta in favore di altro magistrato. Nella proposta approvata dal CSM in seduta plenaria, il relatore - dopo avere esposto le ragioni per le quali "il dott. V. P. è il candidato più idoneo, in base ai parametri delle attitudini e del merito, a ricoprire l'ufficio di Presidente Aggiunto presso la Corte di Cassazione" ed avere in particolare indicato che "il protratto esercizio da parte del dottor V. delle funzioni di legittimità, anche presso le Sezioni Unite e nell'incarico direttivo che attualmente ricopre, assicura quella capacità di comprensione e di percezione unitaria delle esigenze degli uffici di legittimità e dell'intera giurisdizione che conferiscono al candidato proposto un profilo attitudinale di specifico e preminente rilievo" - ha fatto altresì presente che "la valutazione di eccellenza del dottor V. sotto tutti i profili rilevanti ai fini del conferimento dell'ufficio in esame ha evidenti ricadute in sede di comparazione: rispetto a tutti gli altri aspiranti, il dott. V. può vantare non soltanto il risalente e protratto esercizio di funzioni di legittimità, ma anche una approfondita conoscenza delle problematiche e delle esigenze della Corte di Cassazione, una specifica attitudine alle funzioni direttive, e una particolare sensibilità per tutte le tematiche giuridiche ed organizzative dell'intera giurisdizione, dimostrata anche dall'imponente produzione scientifica". La proposta approvata dall'organo di autogoverno, in particolare, ha evidenziato che "il dottor V. prevale infatti nella comparazione con i predetti aspiranti per le attitudini e competenze organizzative più a lungo sperimentate come Presidente di Sezione. Il dottor V. ha infatti assunto il ruolo di Presidente Titolare nel dicembre 2008 mentre i dottori ... e C. ricoprono il ruolo di Presidenti Titolari rispettivamente dal ... luglio 2008 ma quello di Presidente di Sezione sin dall'aprile 2004, laddove il dott. ... lo ricopre dall'agosto 2006 e dal marzo 2006 i dott.ri ... e C.". La proposta ha evidenziato altresì che "tale circostanza assume rilievo in sede di comparazione in favore del dottor V., ove si valuti che questi ha avuto modo di confrontarsi per un più ampio periodo con le problematiche organizzative dell'ufficio e, come dimostrano gli efficaci interventi in relazione a tali problematiche, di dare un oggettivo riscontro di capacità attitudinali ininterrottamente più a lungo mantenute nel tempo". Inoltre, egli "ha avuto un ruolo di grande rilievo nella fase istitutiva e di prima organizzazione della c.d. Struttura unificata, avendone assunto il compito di coordinatore, ottenendo brillanti risultati.". Passando al profilo del merito, l'organo di autogoverno ha ritenuto preminente "il profilo del dott. V. rispetto a quello dei predetti candidati anche per quanto concerne lo spessore culturale e giuridico, come dimostrano la apprezzata e varia produzione scientifica e la partecipazione all'attività di formazione organizzata dal CSM". "Lo spessore culturale del dott. V., che si è espresso nella padronanza e nella capacità di approfondimento di svariate tematiche 190 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 giuridiche e che appare di evidente rilievo per l'altissimo contributo che può assicurare alla funzione nomofilattica della Corte, giustificano il giudizio di eccellenza sul suo profilo e la sua prevalenza sui predetti candidati". La proposta approvata dal CSM ha in definitiva ritenuto che "il dottor V. presenta il curriculum più idoneo rispetto alle esigenze concrete del posto da ricoprire con riguardo ai parametri di attitudini e merito opportunamente integrati fra loro secondo i criteri fissati dalla vigente circolare e deve pertanto essere preferito a tutti gli altri aspiranti nella valutazione comparativa". 2. Il Dottor C., anch'egli Presidente di Sezione della Corte di cassazione e destinatario di una proposta di minoranza, impugnava tale deliberazione del CSM con ricorso al TAR Lazio, denunciando violazione e falsa applicazione di legge nonchè eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, per irragionevolezza, contraddittorietà, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifeste, sviamento, sproporzione, perplessità, arbitrarietà ed irragionevolezza, discriminatorietà. Evidenziava in particolare che il dott. V. era stato per diciotto anni (dal 1968 al 1986) al di fuori della magistratura, per avere prestato servizio presso l'Avvocatura dello Stato. Tale circostanza non poteva non assumere una valenza negativa e ciò sempre nell'ottica della valutazione comparativa con il ricorrente, nel senso che quest'ultimo, per la sua permanenza costante ed ininterrotta nella magistratura con il conseguimento di risultati altamente positivi, avrebbe mostrato una maggiore attitudine al conferimento dell'incarico in questione. 3. Il C.S.M. ed il Ministero della giustizia, costituitisi a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, contestavano la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso. 4. Il T.A.R. del Lazio respingeva il ricorso con sentenza n. 5159 del 2011. Osservava in particolare il TAR che la circostanza che il dott. V. fosse stato per diciotto anni (dal 1968 al 1986) al di fuori della magistratura, per avere prestato servizio presso l'Avvocatura dello Stato, non aveva assunto una valenza ostativa al conferimento dell'incarico, in quanto non aveva inciso sul profilo professionale del candidato e, soprattutto, sulla idoneità ed attitudine all'ottimale svolgimento delle funzioni di Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione. In conclusione, secondo il TAR doveva ritenersi esente da ogni profilo di illogicità la prevalenza attribuita al controinteressato in ragione dei molteplici elementi puntualmente evidenziati dall'organo di autogoverno. 5. Il successivo appello del dottor C. veniva definito con la sentenza n. 486 del 2012 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato; l'appello veniva accolto per difetto della motivazione e di conseguenza veniva annullato il predetto atto di nomina. In particolare ha osservato il Consiglio di Stato che la valutazione globale dei due candidati in comparazione era stata carente per aver tralasciato di considerare che l'esperienza giurisdizionale complessiva del dott. V. era di vari anni inferiore a quella del dott. C.. Ha quindi annullato la Delib. del CSM, in riforma della sentenza di primo grado, salvi i provvedimenti ulteriori dello stesso CSM, chiamato a rinnovare la valutazione comparativa alla luce del contenuto conformativo della sentenza. 6. A seguito di richiesta del dott. C. di dare seguito alla cit. sentenza n. 486/2012 il CSM esaminava nuovamente i due nominati candidati in concorso e con Delib. 18 aprile 2012 conferiva nuovamente l'incarico al dottor V.. In particolare il C.S.M. ha osservato, quanto all'esperienza "fuori dalla giurisdizione" del dottor V., limitata al periodo svolto, peraltro in epoca non recente, nell'Avvocatura dello Stato, che l'attività di avvocato dello Stato, se non del tutto assimilabile a quella giurisdizionale, era equiparabile a quella svolta in una "magistratura speciale", tanto da essere riconosciuta ai fini CONTENZIOSO NAZIONALE 191 della riammissione nell'ordine giudiziario; queste considerazioni soddisfacevano l'esigenza di una valutazione particolarmente attenta, al fine di non creare indebite situazioni di vantaggio per i magistrati che avevano maturato minore esperienza nell'ambito proprio della giurisdizione; il dottor V. - osservava ancora il CSM - aveva comunque esercitato le funzioni di legittimità da maggior tempo rispetto al dottor C. (dal marzo 1990 rispetto al settembre 1992). 7. Impugnando con due distinti ricorsi tale seconda Delib. del CSM, il dottor C. ha proposto da una parte ricorso per l'ottemperanza al giudicato di cui assumeva la violazione e/o l'elusione verificatasi appunto con detta Delib. 18 aprile 2012. Il dottor C. ha dedotto che la nuova Delib. C.S.M. fosse una pura riedizione di quella già annullata, sicchè dovevano considerarsi violate le statuizioni contenute nella sentenza n. 486/2012 del Consiglio di Stato. Il dottor V. e l'Amministrazione si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso. 8. Con sentenza n. 5903 del 2012 il ricorso per l'ottemperanza è stato respinto dal Consiglio di Stato che ha osservato che la precedente sentenza, nell'accogliere l'appello del dottor C., faceva espressamente salvi "i provvedimenti ulteriori dell'amministrazione, chiamata a rinnovare la valutazione comparativa alla luce del contenuto conformativo della presente sentenza". Pertanto - rilevava il Consiglio di Stato - il CSM non poteva che procedere a una nuova valutazione dei magistrati aspiranti all'incarico giudiziario sicchè la nuova impugnata Delib. non poteva considerarsi di per sè adottata in diretta violazione del giudicato, nè questo poteva ritenersi eluso. Ha inoltre precisato il Consiglio di Stato che l'eventuale asserita inosservanza delle prescrizioni della sentenza richiamata, piuttosto che integrare violazione o elusione del giudicato, avrebbe dovuto essere lamentata dal ricorrente con ordinaria impugnazione promuovendo un nuovo giudizio di legittimità. 9. Ed in effetti la stessa nuova Delib. C.S.M. 18 aprile 2012 era stata d'altra parte anche impugnata dal dottor C. con ricorso ordinario per vizi di legittimità innanzi al T.A.R. Lazio. Quest'ultimo, pronunciandosi nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3651 del 2013 respingeva l'impugnazione, osservando che doveva essere considerata la particolare "vicinanza" alla giurisdizione dell'attività svolta presso l'Avvocatura di Stato (nel caso del dott. V. non solo davanti alle giurisdizioni amministrative di primo e di secondo grado, pia anche davanti alla Corte costituzionale, specificamente nel campo delle impugnazioni principali e dei conflitti Stato-Regioni) che, se non del tutto assimilabile a quella giurisdizionale (come precisato dal Consiglio di Stato), era equiparata a quella svolta in una "magistratura speciale", tanto da essere stata riconosciuta ai fini della riammissione nell'ordine giudiziario (Delib. CSM 4 febbraio 1986)". In definitiva - ha osservato il TAR - il C.S.M. con la nuova Delib. aveva ritenuto il curriculum del dott. V. essere maggiormente idoneo, rispetto a quello del dott. C., riguardo alle specifiche esigenze del posto da ricoprire con riferimento ai parametri delle attitudini e del merito, sulla base di una approfondita disamina e di una attenta comparazione del complesso profilo di ciascun candidato, opportunamente motivando la scelta così effettuata nell'esercizio della propria discrezionalità valutativa. 10. Avverso questa pronuncia il dott. C. ha proposto appello al Consiglio di Stato lamentando, in particolare, che la Delib. impugnata e la sentenza del giudice di primo grado avevano errato nel ritenere comparativamente più rilevante l'attività del dott. V. nell'esercizio della giurisdizione, essendo del tutto evidente invece la violazione dei criteri riguardanti il conferimento dell'incarico in questione potendo quest'ultimo vantare una esperienza di durata largamente inferiore a cui si contrapponeva un più lungo periodo di ininterrotta permanenza in magistratura, quale quello che egli poteva vantare. 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 11. Il Consiglio di Stato, Quarta Sezione, con sentenza n. 3501 del 10 luglio 2014 ha accolto l'appello e per l'effetto ha annullato la Delib. impugnata "salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione". In particolare il Consiglio di Stato ha respinto l'argomento introdotto dall'Avvocatura dello Stato, che, richiamando la pronuncia di queste Sezioni Unite 9 novembre 2011 n. 23302, aveva sostenuto che, essendo nel frattempo la parte appellante (come anche la parte appellata) cessata dal servizio per collocamento in quiescenza, non residuava, anche il caso di esito positivo del gravame, alcun interesse del ricorrente ad ottenere una nuova Delib. del CSM, a sè favorevole, di conferimento "ora per allora" dell'incarico di Presidente aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Secondo il Consiglio di Stato, considerata la natura sostanziale dell'interesse legittimo fatto valere dall'originario ricorrente e stante l'esigenza che comunque ci fosse una risposta di giustizia alle censure da quest'ultimo mosse alla Delib. CSM, non poteva ritenersi preclusa una nuova pronuncia di annullamento dal sopravvenuto collocamento in quiescenza dei magistrati che avevano concorso per il posto. Entrando poi nel merito delle censure mosse dal ricorrente avverso la sentenza impugnata e la Delib. CSM, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il rilievo con cui il ricorrente aveva dedotto che l'esperienza "fuori dalla giurisdizione" del dott. V. come avvocato dello Stato non era equiparabile a quella svolta in una "magistratura speciale". Secondo il Consiglio di Stato è da escludere che l'Avvocatura dello Stato possa rientrare nella nozione di "magistrature speciali" di cui al R.D. n. 12 del 1941, art. 211, comma 2, sottratte alla operatività del divieto di riammissione nell'ordine giudiziario prescritto dal comma 1. L'equiparazione degli avvocati dello Stato al personale delle magistrature - ha ritenuto il Consiglio di Stato - rileva ai soli fini economici e retributivi, come previsto dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 23 restando esclusa, invece, ogni assimilazione di tipo funzionale. Ha quindi concluso il Consiglio di Stato che una minore durata di 18 anni nell'esercizio dell'attività giurisdizionale del dott. V. non poteva essere compensata dalla maggiore durata dell'esercizio delle funzioni di legittimità rispetto a quella del dott. C.. 12.Avverso questo pronuncia propongono, con il medesimo atto, ricorso per cassazione il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Ministro della Giustizia. Resiste con controricorso il dott. C.G.M.. Anche il dott. V.P. ha proposto controricorso e ricorso incidentale adesivo del ricorso principale, cui ha resistito il dott. C. con ulteriore controricorso. I ricorrenti principale ed incidentale adesivo hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso principale del CSM e del Ministero della giustizia è articolato in due motivi. Con il primo motivo i ricorrenti deducono eccesso di potere giurisdizionale lamentando in particolare che il Consiglio di Stato non abbia tenuto conto dell'arresto giurisprudenziale delle sezioni unite di questa corte (sentenza n. 23302/2011) e si sia pronunciato, accogliendo l'appello, benchè non vi fosse più spazio per una pronuncia che imponesse al CSM di Delib. nuovamente rivalutando "ora per allora" la posizione del dott. C. una volta che quest'ultimo - come, del resto, anche il contro interessato dott. V. - era cessato dal servizio, residuando ormai solo la possibilità di una compensazione economica. Il Consiglio di Stato, invece, ha ritenuto ugualmente di annullare la Delib. CSM 18 aprile 2012, pur facendo espressamente salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, ma mostrando di ritenere in motivazione che CONTENZIOSO NAZIONALE 193 la nuova Delib. avrebbe potuto avere il contenuto del conferimento dell'incarico all'appellante ora per allora. Secondo i ricorrenti la situazione è analoga a quella oggetto della citata sentenza n. 20302/11 di queste sezioni unite. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano ulteriormente l'eccesso di potere giurisdizionale sotto altro profilo. Deducono che il Consiglio di Stato, con la valutazione operata circa l'assimilazione dell'esperienza di avvocato dello Stato alle funzioni giurisdizionali, ha superato i limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo ed ha invaso la sfera decisionale riservata al solo CSM ai sensi dell'art. 105 Cost.. Il Consiglio di Stato - lamentano i ricorrenti - non si è limitato a censurare le modalità applicative dei criteri usati dal CSM nell'operare il raffronto tra le differenti esperienze professionali dei candidati, ma ha esercitato direttamente quella discrezionalità valutativa che appartiene al CSM. Rientrano infatti nei poteri valutativi discrezionali spettanti al CSM ai sensi dell'art. 105 Cost. apprezzare il valore da scrivere all'esperienza presso l'avvocatura dello Stato, tenendo conto dei profili di affinità con la funzione giurisdizionale al solo fine dell'attribuzione dell'incarico giudiziario. 2. Il ricorso incidentale adesivo del dott. V. è articolato in tre motivi. Con i primi due motivi il ricorrente incidentale aderisce ai primi due motivi del ricorso principale sostenendone l'ammissibilità e la fondatezza. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente incidentale deduce la violazione dell'art. 37 c.p.c. e degli artt. 7, 29 e 114 cp.a.. In particolare lamenta che il Consiglio di Stato si sia pronunciato due volte sulla stessa impugnata Delib. CSM. Sostiene che la sentenza impugnata, nonostante si qualifichi come pronuncia relativa ai profili di illegittimità della seconda Delib. CSM, è in realtà una nuova sentenza di ottemperanza, relativa alla presunta violazione del giudicato di cui alla prima sentenza del Consiglio di Stato n. 486 del 2012. Ciò costituisce eccesso di potere giurisdizionale sindacabile ai sensi dell'art. 362 c.p.c., comma 1. 3. I giudizi promossi rispettivamente con il ricorso principale con il ricorso incidentale vanno riuniti avendo ad oggetto la stessa sentenza impugnata. 4. Il ricorso principale del CSM (in due motivi) e quello incidentale adesivo (nei suoi primi due motivi) si sovrappongono e sollevano simmetricamente due questioni. La prima questione riguarda se poteva, o no, il Consiglio di Stato annullare la Delib. CSM, adottata quando i magistrati che concorrevano per l'incarico giudiziario di Presidente Aggiunto della Corte di cassazione erano ancora in servizio (il dott. V. ancora per pochi mesi; il dott. C. per circa un anno), se successivamente, al momento della decisione sull'appello proposto da quest'ultimo, entrambi i magistrati erano ormai in quiescenza; questione che ha come riferimento giurisprudenziale la pronuncia di questa Corte (Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302) che ha affermato in proposito che non è possibile che il Consiglio di Stato, esercitando formalmente la giurisdizione di merito del giudizio di ottemperanza, "ordini" al CSM di attribuire, ora per allora, l'incarico giudiziario. Il CSM ricorrente principale ed il ricorrente incidentale adesivo sostengono in sostanza, con il primo motivo di ricorso, che da tale principio non possa non inferirsi la sua estensione all'ordinaria cognizione di legittimità del giudice amministrativo talchè l'impugnata sentenza del Consiglio di Stato sarebbe incorsa nel medesimo vizio di eccesso di potere giurisdizionale per superamento dei limiti esterni della giurisdizione così come, in altra vicenda giudiziaria, la precedente sentenza del Consiglio di Stato annullata da Cass. n. 23302 del 2011 cit.. La seconda questione, posta con l'ulteriore motivo del ricorso principale e di quello incidentale adesivo, logicamente in via subordinata al rigetto del primo motivo di entrambi, si focalizza nel quesito se il Consiglio di Stato, nell'esercizio della giurisdizione di legittimità, 194 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 abbia travalicato i limiti esterni della giurisdizione impingendo nell'area della discrezionalità del CSM col fatto, in particolare, di aver operato direttamente la comparazione dei magistrati aspiranti al posto quanto in particolare alla valutazione del periodo di attività svolta, in passato, dal dott. V. presso l'Avvocatura di Stato e alla sua equiparabilità, o no, all'attività giudiziaria al fine dell'attribuzione del posto. Entrambe le questioni poste ruotano quindi attorno alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale e dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo. Altresì il terzo motivo del solo ricorso incidentale adesivo pone una ulteriore questione che afferisce anch'essa al denunciato eccesso di potere giurisdizionale, ma sotto il profilo che, in tale vizio sarebbe incorso il Consiglio di Stato dal momento che, a seguito dell'impugnazione della medesima Delib. CSM, si è pronunciato due volte: una volta (con sent. n. 5903 del 2012) in sede di ottemperanza (rigettando il ricorso) ed una seconda volta (con sent. n. 3501 del 2014) in sede di appello avverso la sentenza del TAR Lazio (riformando quest'ultima ed accogliendo l'impugnazione con conseguente annullamento della Delib. CSM). 5. Va esaminato innanzi tutto il terzo motivo del ricorso incidentale adesivo che denuncia l'eccesso di potere giurisdizionale nella sua forma più radicale: il Consiglio di Stato - si sostiene - non aveva più alcun potere giurisdizionale per averlo già esercitato rigettando il ricorso in ottemperanza con sentenza n. 5903 del 2012. Il motivo è infondato. Il Consiglio di Stato non si è pronunciato due volte in riferimento allo stesso ricorso, ma una prima volta (sentenza n. 5903 del 2012) ha deciso il ricorso per ottemperanza proposto avverso la Delib. CSM ed una seconda volta (sentenza n. 3501 del 2014, oggetto delle impugnazioni, principale ed incidentale, in esame) ha deciso il ricorso in appello avverso la sentenza del TAR Lazio n. 3651 del 2013 che a sua volta si era pronunciato, in sede di cognizione ordinaria di legittimità, a seguito di separata impugnazione della medesima Delibera. Trattandosi di due ricorsi distinti (per l'ottemperanza della prima sentenza del Consiglio di Stato e per la riforma della sentenza del TAR Lazio da ultimo menzionata), ancorchè riguardanti la medesima Delib. CSM, il Consiglio di Stato non poteva fare altro che pronunciarsi due volte: ciò che ha fatto una prima volta in sede di ottemperanza ed una seconda volta in sede di giudizio d'appello e quindi di ordinaria cognizione di legittimità. Nè può dirsi che il decisum della sentenza del Consiglio di Stato attualmente impugnata - che ha accolto l'appello e per l'effetto ha annullato l'impugnata Delib. CSM - abbia un contenuto sostanzialmente equiparabile a quello che avrebbe potuto avere in sede di giudizio di ottemperanza, essendo comunque mancata la conformazione delle determinazioni che il CSM era chiamato ad adottare a seguito dell'annullamento dell'impugnata Delib. 18 aprile 2012; ed anzi la sentenza di annullamento è stata pronunciata dal Consiglio di Stato con l'espressa salvezza delle ulteriori determinazioni del CSM. Il quale quindi, in sede di nuovo esercizio del proprio potere, a seguito dell'annullamento dell'atto impugnato, riacquistava la propria discrezionalità con il solo limite dell'impossibilità di riprodurre i medesimi vizi già oggetto della sentenza stessa. Aver ritenuto ammissibile la duplice impugnazione nei confronti della stessa Delib. CSM, escludendo quindi la consumazione del potere di impugnare, attiene alle regole del giudizio amministrativo che rientrano nella piena cognizione del giudice amministrativo: gli eventuali errores in procedendo non ridondano in vizio di giurisdizione (ex plurimis Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8056) sicchè non sussiste, sotto questo profilo, il denunciato eccesso di potere giurisdizionale. 6. Il primo motivo del ricorso principale ed il simmetrico primo motivo del ricorso inci- CONTENZIOSO NAZIONALE 195 dentale adesivo, che possono essere trattati congiuntamente perchè afferiscono entrambi alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale ed ai limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, sono parimenti infondati. 7. Preliminarmente giova ricordare che la figura dell'eccesso di potere giurisdizionale, quale costruzione di matrice giurisprudenziale di una fattispecie generale di difetto di giurisdizione del giudice (amministrativo, nella specie) per superamento dei limiti esterni della sua giurisdizione, si atteggia diversamente nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo (per violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere) e nella giurisdizione di merito del giudizio di ottemperanza. Nel primo caso il giudice amministrativo travalica i limiti esterni della giurisdizione quando, apparentemente esercitando l'ordinaria giurisdizione di legittimità, nella sostanza entra nel merito dell'atto amministrativo impugnato ed esercita una discrezionalità che appartiene all'Amministrazione (Cass., sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312). Nel secondo caso, in cui la giurisdizione è prevista come di merito (art. 112 c.p.a., comma 3) per violazione del giudicato, nonchè per elusione del giudicato - come si desume, per quest'ultima ipotesi, dall'art. 112, comma 3 che la contempla come fonte di danno risarcibile - si ha eccesso di potere giurisdizionale quando il giudice amministrativo ritiene che ci siano i presupposti dell'ottemperanza anche in casi in cui tali presupposti in realtà non ricorrano (nel senso che non sussistono nè violazione nè, soprattutto, elusione del giudicato): cfr. Cass., sez. un., 19 gennaio 2012, n. 736. Anche in questo secondo caso il giudice amministrativo finisce per esercitare un'attività amministrativa discrezionale sotto le vesti di una giurisdizione dichiaratamente di merito. Nell'ambito, del giudizio di ottemperanza poi - nella cui sede l'art. 114 c.p.a. prevede che il giudice amministrativo possa ordinare l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione - una particolare ipotesi di travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione si ha allorchè il giudice amministrativo conformi l'agire della pubblica amministrazione in un contenuto "impossibile" essendo la vicenda ormai "chiusa" con il definitivo accertamento dell'illegittimità del provvedimento annullato in sede di cognizione e non sussistendo più le condizioni perchè la pubblica amministrazione possa provvedere ancora sicchè la tutela dell'interesse legittimo violato, non più realizzabile nella forma (specifica) dell'ottemperanza, è indirizzata verso quella compensativa e risarcitoria. In riferimento a quest'ultima fattispecie, particolare è l'ipotesi di Delib. CSM di assegnazione di incarichi giudiziali a magistrati con procedura concorsuale e quindi nell'esercizio del potere di autogoverno della magistratura, che per il suo rilievo costituzionale - stante il disposto dell'art. 105 Cost. che attribuisce al CSM il potere di disporre le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni dei magistrati - ha una marcata connotazione di specialità, pur se non si sottrae alla giurisdizione di ottemperanza del giudice amministrativo (Corte cost. nn. 419 e 435 del 1995). Con riguardo ad essa può ribadirsi il principio espresso dalla citata pronuncia di queste Sezioni Unite (Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302): c'è eccesso di potere giurisdizionale se il giudice amministrativo, in sede di ottemperanza della pronuncia, passata in giudicato, di annullamento di una Delib. CSM, e quindi pur esercitando una giurisdizione di merito, "ordini" al CSM di attribuire, ora per allora, l'incarico giudiziario a magistrati in quiescenza ossia a magistrati che ormai non possono prendere possesso del posto. Ossia sono superati i limiti esterni della giurisdizione quando la vicenda della Delib. CSM, dichiarata illegittima in sede di cognizione di legittimità, risulti essere ormai "chiusa" nel senso che non è ipotizzabile una nuova Delib. che, per ottemperare al giudicato, la "riapra" 196 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 assegnando l'incarico giudiziario ora per allora perchè i magistrati in concorso sono in quiescenza e non c'è più, per questa ragione, il posto da assegnare ad essi; talchè la decisione del giudice amministrativo che detti criteri per l'esecuzione in sede di ottemperanza indirizzandola all'assegnazione dell'incarico giudiziario ora per allora ridonda in eccesso di potere giurisdizionale. In particolare nella citata pronuncia queste Sezioni Unite hanno affermato: “Una cosa è il giudicato che tocca vicende chiuse, delle quali cioè l'intervento del giudice è destinato a segnare la conclusione, altra cosa è la sentenza, che, viceversa, riapre una situazione che il provvedimento annullato aveva inteso definire, dischiudendo nuove prospettive per il futuro". A questo orientamento espresso hanno già dato continuità Cass., sez. un., 19 gennaio 2012, n. 73.6, e Cass., sez. un., 2 febbraio 2015, n. 1823; pronunce queste che, nel riaffermare il principio suddetto, hanno però rigettato, per altro motivo, l'impugnativa ex art. 362 c.p.c., comma 1, di sentenze del Consiglio di Stato di annullamento di Delib. CSM in un caso perchè si era formato un giudicato interno sulla questione e nell'altro caso perchè il magistrato vittorioso nella sede di legittimità del giudizio amministrativo era solo prossimo al collocamento in quiescenza, ma era ancora in servizio, seppur per un breve periodo di tempo, sicchè l'assegnazione dell'incarico giudiziario non poteva considerarsi come da farsi "ora per allora", ma vi era ancora la possibilità di assegnare il posto al magistrato vittorioso in sede di legittimità. 8. Nella specie - come è pacifico tra le parti e come risulta dalla sentenza impugnata, nonchè dalla circostanza che la via dell'ottemperanza è già stata percorsa dall'attuale controricorrente e si è conclusa con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5903 del 2012 di cui si è detto esaminando il terzo motivo - non si è in sede di giudizio di ottemperanza, bensì si versa nell'ordinaria sede di legittimità in grado d'appello e quindi non rileva, direttamente il principio affermato con riferimento al giudizio di ottemperanza da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302. L'oggetto del giudizio innanzi al Consiglio di Stato è stato l'appello avverso l'impugnata sentenza del TAR; appello che il Consiglio di Stato ha accolto e, per l'effetto, ha annullato la Delib. 18 aprile 2012 del CSM "facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione". Quindi il Consiglio di Stato non ha affatto conformato le successive possibili determinazioni del CSM, pur riconoscendo che permaneva l'interesse dell'appellante, ancorchè collocato in quiescenza, ad ottenere comunque l'incarico giudiziario "ora per allora". Ma quest'ultimo riferimento argomentativo, pur non corretto perchè contrastante con il principio affermato da Cass., sez. un., n. 23302/2011, e qui ribadito, non vale ad determinare una sorta di permutazione dalla sede di legittimità in (impropria) sede di ottemperanza. Del resto l'interesse sotteso all'atto di appello rimaneva quello diretto ad ottenere, in sede di legittimità, una pronuncia del giudice amministrativo che accertasse i denunciati vizi dell'impugnata Delib. CSM e l'annullasse. Non c'è quindi, nella sentenza del Consiglio di Stato, alcuna conformazione del contenuto delle successive possibili determinazioni del CSM, avendo la pronuncia impugnata un contenuto dichiaratamente solo di annullamento della Delib. 18 aprile 2012 del CSM con espressa salvezza delle ulteriori determinazioni del CSM; ciò che è pienamente coerente con la sede di legittimità del giudizio d'appello. 9. In realtà, enfatizzando il riferimento all'interesse dell'appellante all'attribuzione dell'incarico giudiziario ora per allora, quale rinvenibile nell'impugnata sentenza del Consiglio di Stato per coonestare il perdurante interesse dell'appellante, ancorchè in quiescenza, alla decisione dell'appello, il primo motivo del ricorso principale e quello simmetrico del ricorso incidentale adesivo finiscono per chiedere, in sostanza, un'estensione, per inferenza logica, del principio espresso da queste Sezioni Unite nella citata sentenza n. 23302/2011 anche alla sede della ordinaria cognizione di legittimità, rappresentando che, se non è possibile in sede di ot- CONTENZIOSO NAZIONALE 197 temperanza che il giudice amministrativo ordini al CSM di assegnare l'incarico giudiziario, ora per allora, ad un magistrato in quiescenza, conseguirebbe da ciò che neppure potrebbe il giudice amministrativo sindacare, in sede di giurisdizione di legittimità (anche d'appello), il nuovo provvedimento di assegnazione dell'incarico giudiziario, dopo l'annullamento della prima Delib. ad opera del giudice amministrativo, ove sia sopraggiunto il collocamento in quiescenza dei magistrati in concorso perchè anche in questa evenienza la vicenda sarebbe ormai "chiusa". A questa tesi non può accedersi dovendo all'opposto - come correttamente ha ritenuto il Consiglio di Stato nell'impugnata sentenza - escludersi che una tale inferenza possa trarsi dall'arresto espresso da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, cit., essenzialmente perchè ipotizzare una sorta di stallo nel giudizio amministrativo di legittimità, che cristallizzi la situazione nel momento in cui si verifichi l'impossibilità di attribuzione dell'incarico giudiziario per essere ormai in quiescenza i magistrati in competizione, contrasterebbe con il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e con il canone del buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.). 10. Deve infatti considerarsi che, se il giudizio amministrativo nella ordinaria sede di legittimità dovesse avere una di battuta di arresto nel momento in cui i magistrati che concorrono per l'assegnazione dell'incarico giudiziario siano collocati in quiescenza, le censure mosse dal magistrato ricorrente, che deduca l'illegittimità della Delib. CSM, rimarrebbero senza una risposta di giustizia e si consoliderebbe una situazione di fatto in ragione di un dato contingente ed eventuale, quale appunto è il collocamento in quiescenza, senza alcuna verifica della legittimità del provvedimento. Nè potrebbe parlarsi di cessazione della materia del contendere perchè l'oggetto del giudizio amministrativo - i.e. legittimità, o no, della Delib. CSM - rimane tal quale. Inoltre dall'ipotizzato venir meno dell'oggetto del giudizio amministrativo in sede di legittimità discenderebbe necessariamente anche che, se il collocamento in quiescenza intervenisse dopo una pronuncia di annullamento della Delib. CSM ad opera del giudice amministrativo che si fosse pronunciato quando i magistrati aspiranti all'incarico giudiziario erano ancora in servizio, la situazione di stallo si verificherebbe a valle di tale pronuncia. Sarebbe allora il CSM a non poter più provvedere sicchè si consoliderebbe, invece, la perdita del posto da parte del magistrato assegnatario dello stesso in ragione della Delib. annullata e non sarebbe possibile per il CSM l'assegnazione dell'incarico giudiziario al magistrato vittorioso nel giudizio amministrativo perchè ormai collocato in quiescenza. In entrambe le ipotesi si cristallizzerebbe una situazione di fatto: nel primo caso a vantaggio del magistrato assegnatario dell'incarico giudiziario con la Delib. la cui legittimità sia stata contestata dal magistrato concorrente; nel secondo caso in danno del primo e neppure, in sostanza, a favore del magistrato che abbia ottenuto l'annullamento della Delib. con la pronuncia del giudice amministrativo in sede di legittimità, che - come nella specie - abbia fatto "salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione". In quest'ultima ipotesi, in particolare, vi sarebbe una parte soccombente, che perde il posto a seguito dell'annullamento della Delib. CSM ad opera del giudice amministrativo, ed una parte formalmente vittoriosa nel giudizio amministrativo, ma nella sostanza non soddisfatta nella sua pretesa perchè non ottiene l'incarico giudiziario, ora per allora, nè consegue il riconoscimento (pur anche non del diritto al posto, che non esiste più, ma quanto meno) del fondamento della sua pretesa (interesse legittimo nel suo aspetto sostanziale) a che il CSM si determini nuovamente senza incorrere in vizi di violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere. Insomma la situazione si cristallizzerebbe nel momento contingente in cui una parte è soccombente, perchè perde il posto, 198 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 ed un'altra parte non è davvero vittoriosa, perchè non ottiene l'incarico giudiziario: il giudicato amministrativo finirebbe per avere una valenza solo destruens; ipotetica situazione che si porrebbe in contrasto con la garanzia della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e con il canone del buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.). Nell'una e nell'altra evenienza sarebbe sacrificato l'interesse delle parti, che è null'altro che proiezione processuale dell'interesse legittimo del magistrato a ricoprire il posto e che è presidiato dalla garanzia costituzionale alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), nonchè quello dello stesso CSM a un definitivo assetto del suo legittimo agire nell'esercizio del potere di autogoverno della magistratura (art. 97 Cost.). Non è quindi possibile - perchè contrasterebbe con la garanzia della tutela giurisdizionale ( art. 24 Cost.) e con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia ( art. 97 Cost.) - che la situazione si cristallizzi a vantaggio di questa o quella parte che, nel momento in cui si verifichi la sopravvenuta situazione di impossibilità di attribuzione dell'incarico giudiziario, si trovi - in quella contingenza - in una situazione più favorevole, destinata a consolidarsi per un ipotetico venir meno dell'oggetto del giudizio (nella prima ipotesi) o della materia su cui provvedere (nella seconda ipotesi). 11. In realtà il fatto che il CSM non possa attribuire l'incarico giudiziario ora per allora ad un magistrato in quiescenza - secondo il principio affermato da Cass., sez. un., n. 23302/2011, qui ribadito - non esclude che l'organo di autogoverno debba nuovamente provvedere tenendo conto del giudicato amministrativo. Però, proprio perchè non può più attribuire l'incarico giudiziario ora per allora, ad un magistrato in quiescenza, la Delib. CSM ha un ambito più limitato di possibili contenuti. I quali possono essere quello di una sorta di conferma della precedente Delib. annullata dal giudice amministrativo mediante rinnovazione dell'atto se il CSM ritiene che con una diversa o più puntuale motivazione, o rinvenendo altre ragioni fondanti, possa confermarsi l'assegnazione del posto in capo a chi era stato nominato in precedenza e che di fatto ha esercitato le funzioni; oppure quello di non luogo a provvedere per mera acquiescenza al giudicato amministrativo tout court se invece, ferma restando l'illegittimità della precedente Delib., il CSM non ravvisi più ragioni, nè rinvenga fondamento, a giustificazione di una nuova assegnazione dell'incarico giudiziario al magistrato originariamente assegnatario dello stesso, anche in valutazione comparativa con l'altro candidalo vittorioso nel precedente giudizio amministrativo. Nel primo caso il provvedimento ha, per così dire, un contenuto sostanzialmente confermativo della precedente Delib. annullata dal giudice amministrativo, in disparte sempre la possibilità di ulteriore impugnativa innanzi al giudice amministrativo; nel secondo caso il magistrato vittorioso,in sede di giudizio amministrativo avrà diritto al risarcimento del danno da perdita (non del posto cui aspirava, ma) della chance che aveva di ricoprire quel posto allorchè il CSM ha operato la valutazione comparativa sfociata nella annullata precedente Delibera. È vero che così non si esclude che la vicenda possa avere un ulteriore seguito in sede di nuova impugnativa (dall'una o dall'altra parte), innanzi al giudice amministrativo, anche della nuova Delib. CSM. Ma alla fine rimane la possibilità del giudizio di ottemperanza (non per l'attribuzione dell'incarico giudiziario ora per allora, possibilità negata da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, ma) per adottare - nel rispetto ora delle particolari limitazioni apportate al potere del giudice dell'ottemperanza, proprio in tema di incarichi giudiziari direttivi e semidirettivi conferiti dal CSM, dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 2, comma 4, conv. dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, - il provvedimento di "conferma" oppure di non luogo a provvedere; il quale ultimo schiude la strada al risarcimento del danno per perdita di chance in ragione della mancata attribuzione dell'incarico giudiziario. CONTENZIOSO NAZIONALE 199 12. Da questi rilievi consegue che il principio affermato da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, e qui ribadito, non riguarda l'ordinario giudizio di legittimità, ma solo quello di ottemperanza e limitatamente all'ottemperanza consistente nell'assegnazione dell'incarico giudiziario ora per allora ad un magistrato in concorso che sia ormai in quiescenza. Si ha invece che la circostanza del sopravvenuto collocamento in quiescenza dei magistrati in competizione nella procedura concorsuale non esime il giudice amministrativo, investito della legittimità della Delib. CSM impugnata da uno dei magistrati concorrenti, dal pronunciarsi nel merito delle censure (per violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza) anche se tale circostanza sopravvenuta non consentirà, in caso di accoglimento dell'impugnativa, un'ottemperanza in forma specifica con l'assegnazione, ora per allora, dell'incarico giudiziario. Consegue che, correttamente il Consiglio di Stato ha preliminarmente disatteso le argomentazioni - svolte dall'Avvocatura di Stato ed ora riprese nel primo motivo dell'odierno ricorso, principale - dirette, nella sostanza, ad estendere il suddetto principio di diritto, enunciato per la fase dell'ottemperanza, per renderlo applicabile anche alla fase della ordinaria cognizione legittimità, ed è quindi passato ad esaminare il merito dell'appello proposto dal dott. C.. Il primo motivo del ricorso principale va pertanto rigettato unitamente al primo motivo del ricorso, incidentale adesivo. 13. Fondato invece è il secondo motivo di ricorso del ricorso principale ed il simmetrico secondo motivo del ricorso incidentale adesivo. 14. Come si è già ricordato, è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302) che in generale le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sono sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, laddove detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservato alla P.A., compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell'atto. In tale evenienza il superamento dei limiti esterni della giurisdizione è censurabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, e art. 362 c.p.c., comma 1. Invece non sono ricorribili per cassazione le sentenze del Consiglio di Stato per motivi afferenti al superamento dei limiti interni della giurisdizione e cioè alle modalità mediante le quali viene garantita la tutela giurisdizionale. Quindi, allorchè l'indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprima una volontà dell'organo giudicante che si sostituisce a quella dell'amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito, sono superati i limiti esterni della giurisdizione (Cass., sez. un., 19 maggio 2015, n. 10182). In particolare - ha affermato Cass., sez. un., 8 marzo 2012, n. 3622 - per esercitare la propria giurisdizione di legittimità, e quindi valutare gli eventuali sintomi dell'eccesso di potere dai quali un atto amministrativo impugnato potrebbe essere affetto, il giudice amministrativo non può esimersi dal prendere in considerazione la congruità e la logicità del modo in cui la medesima amministrazione ha motivato l'adozione di quell'atto. In tal caso l'individuazione dell'eccesso di potere giurisdizionale corre lungo la linea di discrimine tra l'operazione intellettuale consistente nel vagliare l'intrinseca tenuta logica della motivazione dell'atto amministrativo impugnato e quella che si sostanzia invece nello scegliere tra diverse possibili opzioni valutative, più o meno opinabili, inerenti al merito dell'attività amministrativa di cui si discute: "altro è l'illogicità di una valutazione, altro è la non condivisione di essa". Altresì quando, il legislatore ha riconosciuto alla pubblica amministrazione un margine di 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 apprezzamento particolarmente ampio - e tale è la discrezionalità del CSM, quale organo di rilievo costituzionale, segnatamente nell'assegnazione di incarichi direttivi e semidirettivi, come ora indirettamente emerge anche dalla disciplina differenziata dettata dal cit. D.L. n. 114 del 2014, art. 2, comma 4, in tema di giudizio di ottemperanza - a maggior ragione il sindacato che il giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano del sindacato parametrico (e quindi esterno) della valutazione degli elementi di fatto compiuta dalla p.a. e, non può pervenire ad evidenziare una diretta "non condivisibilità" della valutazione stessa. L'adozione del criterio della "non condivisione" - come nel caso, in altra materia, esaminato da Cass., sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312 - si traduce non in un errore di giudizio, ma in uno sconfinamento nell'area della discrezionalità amministrativa, ossia in un superamento dei limiti esterni della giurisdizione che ha condotto, in quel caso, alla cassazione dell'impugnata sentenza del Consiglio di Stato". Il quale peraltro, nel seguito della stessa vicenda processuale, ha riconosciuto, come dato di diritto vivente, la dottrina dei limiti esterni della giurisdizione ribadendo - in sintonia con la citata giurisprudenza di queste Sezioni Unite - che lo sconfinamento da tali limiti si realizza non solo in presenza della violazione dei criteri di riparto della giurisdizione, con conseguente invasione della sfera spettante ad altra giurisdizione, o in caso di rifiuto di esercizio del potere giurisdizionale sul presupposto erroneo che la materia non possa essere oggetto di funzione giurisdizionale, ma anche sotto forma di eccesso di potere giurisdizionale, attuato mediante l'invasione di spazi riservati al potere amministrativo o finanche legislativo (Cons. Stato, sez. 6, 14 agosto 2013, n. 4174). Tale criterio distintivo, nel caso della ordinaria giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, viene in rilievo soprattutto allorchè l'atto della p.a. sia impugnato deducendo un vizio di eccesso di potere, che è quello in riferimento al quale è meno agevole tracciare il limite esterno della giurisdizione al di là del quale c'è lo sconfinamento nell'esercizio di attività amministrativa. Giovano a tal fine le figure sintomatiche dell'eccesso di potere nella forma della motivazione insufficiente, dell'errore di fatto, dell'ingiustizia grave e manifesta, della contraddittorietà interna ed esterna, della violazione di circolari, di norme interne o della prassi amministrativa, nonchè, più radicalmente, dello sviamento di potere, che ricorre quando la pubblica amministrazione persegue un interesse diverso da quello predefinito dalla legge. Invece nella giurisdizione di ottemperanza il potere giurisdizionale del giudice amministrativo si estende anche al merito con possibilità di conformare l'agire della pubblica amministrazione in ottemperanza, appunto, del giudicato amministrativo, con il diverso limite della non prescrivibilità di un contenuto "impossibile" (o "non più possibile") di tale attività provvedimentale, nei termini in cui si è detto sopra. Pertanto risulta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, oppure il fatto stesso che un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava (Cass., sez. un., 31 marzo 2015, n. 6494; sez. un., 26 aprile 2013, n. 10060; sez. un., 3 febbraio 2014, n. 2289). In ogni caso il riconosciuto sindacato di queste Sezioni Unite sulle pronunce del Consiglio di Stato per superamento dei limiti esterni della giurisdizione ha di per sè una connotazione di eccezionalità - si parla talora di "casi estremi" (Cass., sez. un., 4 febbraio 2014, n. 2403) - e, anche se si è assistito ad un incremento di ricorsi ex art. 362 c.p.c., comma 1, avverso pronunce del Consiglio di Stato per il dedotto eccesso di potere giurisdizionale, sono di gran lunga più numerose le pronunce di queste Sezioni Unite che hanno escluso tale travalicamento, dichiarando inammissibile o rigettando il ricorso, rispetto a quelle che invece hanno ritenuto CONTENZIOSO NAZIONALE 201 superati i limiti esterni della giurisdizione (da ultimo Cass., sez. un., 6 febbraio 2015, n. 2242). Questi principi valgono anche quando impugnata sia una Delib. del Consiglio Superiore della Magistratura. Ha precisato Cass., sez. un., 8 marzo 2012, n. 3622, che per non eccedere dai limiti della propria giurisdizione il giudice amministrativo se, chiamato a vagliare la legittimità di una Delib. con cui il CSM ha conferito un incarico direttivo, deve astenersi dal censurare i criteri di valutazione adottati dall'amministrazione e la scelta degli elementi ai quali la stessa amministrazione ha inteso dare peso, ma può annullare tale Delib. per vizio di eccesso di potere, desunto dall'insufficienza o dalla contraddittorietà logica della motivazione in base alla quale il CSM ha dato conto del modo in cui, nel caso concreto, gli stessi criteri da esso enunciati sono stati applicati per soppesare la posizione di contrapposti candidati. 15. Ciò posto, facendo applicazione di questi principi nel caso di specie, deve considerarsi che dopo la prima pronuncia del Consiglio di Stato di annullamento della Delib. 22 luglio 2010 del CSM, quest'ultimo era chiamato a rifare la comparazione dei magistrati in competizione considerando in particolare - quanto alla deduzione, fatta dal dott. C., della minore durata complessiva dell'attività giudiziaria in senso stretto del dott. V. rispetto a quella che egli stesso poteva vantare - non già un'equiparazione per legge (che non veniva in gioco), ma una "vicinanza", come esperienza professionale, al fine di valutare la maggiore o minore attitudine all'incarico giudiziario, atteso anche che - come già rilevato - la discrezionalità del CSM che per gli incarichi giudiziari in magistratura, soprattutto apicali, è particolarmente ampia. La seconda Delib. 18 aprile 2012 reca questa nuova valutazione comparativa; Delib. che, in riforma della sentenza del TAR Lazio, è stata annullata dal Consiglio di Stato con la sentenza attualmente oggetto del ricorso principale e di quello incidentale adesivo. Il percorso argomentativo del Consiglio di Stato muove dal raggiunto convincimento della non assimilabilità dell'attività di avvocato di Stato a quella di magistrato; valutazione questa che appartiene al sindacato di legittimità per violazione di legge. Il Consiglio di Stato, operando tale sindacato di legittimità ha escluso che per legge ci sia equiparazione dell'attività di avvocato di Stato a quella di magistrato ordinario; ossia il Consiglio di Stato ha null'altro che interpretato il disposto dell'art. 211 ord. giud. (R.D. n. 12 del 1941), anche confrontandolo con l'art. 23 ord. Avv. Stato (R.D. n. 1611 del 1933). La prima disposizione, nella formulazione introdotta dalla L. 2 aprile 1979, n. 97, art. 7 prevede che la prescrizione secondo cui il magistrato che ha cessato di far parte dell'ordine giudiziario in seguito a sua domanda non può essere riammesso in magistratura non si applica a chi, già appartenente all'ordine giudiziario, sia transitato nelle magistrature speciali ed in esse abbia prestato ininterrottamente servizio. La seconda disposizione prevede che gli avvocati dello Stato sono equiparati ai magistrati dell'ordine giudiziario in conformità della tabella B annessa al medesimo T.U. sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato. Ma ciò è null'altro che una mera premessa argomentativa perchè in realtà il CSM non era chiamato a fare applicazione (e prima ancora ad interpretare) l'art. 211 cit. per la semplice, ma decisiva, ragione che tale disposizione l'organo di autogoverno aveva già applicato anni prima al dott. V. che aveva chiesto la riammissione nel ruolo della magistratura. In quella sede e a quel tempo (nel 1986) si pose il problema dell'interpretazione dell'art. 211, ossia se l'appartenenza all'Avvocatura di Stato potesse, o no, equipararsi all'appartenenza alle magistratura speciali al fine della riammissione nel ruolo della magistratura. Il CSM, accedendo all'interpretazione che tale equiparazione a quel fine predicava, deliberò (il 4 febbraio 1986) la riammissione in ruolo del dott. V. il quale conseguentemente, in ragione in particolare del cit. art. 211, comma 3 (che prevede il collocamento del magistrato riammesso nel ruolo della magi- 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 stratura nel posto di ruolo risultante dalla ricongiunzione dei servizi prestati) fu collocato nel ruolo della magistratura con un'anzianità complessiva che cumulava i due periodi di attività (quello iniziale come magistrato ordinario e quello successivo, senza soluzione di continuità, come avvocato dello Stato). Questa vicenda, che non ha dato luogo - per quanto consta - ad alcuna impugnazione da parte di eventuali controinteressati - era chiusa da tempo per definitività del provvedimento di riammissione nel ruolo della magistratura. Invece il CSM, nell'esercizio della sua discrezionalità amministrativa, era chiamato a valutare, tra l'altro, l'esperienza di avvocato di Stato del dott. V. al solo fine di apprezzare la maggiore, o minore, attitudine all'incarico giudiziario; ciò che è cosa ben diversa dalla assimilabilità delle due funzioni ex art. 211 cit. al fine della menzionata riassunzione in servizio, esclusa dal Consiglio di Stato con la sentenza impugnata. Valutazione questa che non mette in gioco la corretta interpretazione dell'art. 211, che ben può essere quella ritenuta dalla sentenza impugnata; nè certo sarebbe tale pronuncia sindacabile sotto questo profilo non essendo ammissibile ex art. 111 Cost., comma 8, il sindacato di legittimità sulle pronunce del Consiglio di Stato. In realtà ciò che la vicenda in esame richiedeva al CSM, in disparte altri elementi valutativi, era la comparazione tra un'esperienza professionale tutta nella magistratura ordinaria (quella del dott. C.) ed un'esperienza professionale complessiva risultante da quella nella magistratura ordinaria sommata a quella nell'avvocatura dello Stato, senza soluzione di continuità (quella del dott. V.). Comparazione che costituisce una tipica valutazione di merito, calibrata anche sulle caratteristiche ed esigenze del posto a concorso ed arricchita poi, nella specie, dall'ulteriore comparazione quanto alla specifica esperienza professionale nell'attività di magistrato di legittimità, che era di maggiore durata per il dott. V. rispetto al dott. C.. Questa valutazione di merito rientrava e rientra nella discrezionalità del CSM, censurabile in sede di ordinaria cognizione di legittimità del giudice amministrativo per eccesso di potere secondo i parametri delle figura sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza. Non può invece il giudice amministrativo senza violare i limiti esterni della giurisdizione, rifare tale valutazione discrezionale per pervenire ad un risultato diverso da quello recato dal provvedimento impugnato e quindi annullarlo. Questo controllo ab externo del provvedimento del CSM è stato fatto dal TAR Lazio (con la cit. sentenza n. 3651 del 2013) che, nella specie, ha escluso l'eccesso di potere in una delle sue figure sintomatiche arrivando a concludere che "deve ritenersi esente da ogni profilo di illogicità la prevalenza attribuita al controinteressato in ragione dei molteplici elementi puntualmente evidenziati dall'organo di autogoverno". Invece il Consiglio di Stato dopo aver svolto una ampia ed argomentata premessa in diritto sulla corretta interpretazione dell'art. 211 ord. giur. e art. 23 ord. Avv. Stato che ha condotto ad affermare che non c'è alcuna equiparazione tra attività di magistrato ordinario ed attività di avvocato dello Stato, si è poi posto su un piano diverso non esaminando affatto la correttezza, o no, della sentenza del TAR Lazio, la cui impugnazione era oggetto del suo sindacato di appello, attivato con l'impugnazione dell'odierno controricorrente; nè ha valutato la legittimità della Delib. CSM in relazione alle figure sintomatiche dell'eccesso di potere. Insomma nella parte motivazionale della impugnata sentenza del Consiglio di Stato non si esamina la motivazione della appellata sentenza del TAR Lazio, nè si argomenta su eventuali elementi sintomatici dell'eccesso di potere nella Delib. CSM. All'opposto il Consiglio di Stato ha rifatto direttamente la valutazione comparativa con un giudizio tipicamente di merito - e non già pa- CONTENZIOSO NAZIONALE 203 rametrico e di raffronto (con le figura sintomatiche dell'eccesso di potere) - pervenendo, peraltro rapidamente e con una formulazione testuale secca, all'affermazione che i due anni in più che il dott. V. poteva vantare nelle funzioni di legittimità nei confronti del dott. C. (dal marzo 1990 rispetto al settembre 1992) non potevano "ragionevolmente" compensare un deficit di 18 anni di attività complessiva come magistrato. Ma la "ragionevolezza" di questa comparazione, peraltro isolata da ogni riferimento al più ampio contesto motivazionale sia della sentenza di primo grado, oggetto del giudizio di appello, sia della stessa Delib. del CSM impugnata in primo grado, non può ritenersi figura sintomatica dell'eccesso di potere, bensì appartiene all'esercizio della discrezionalità amministrativa e quindi esorbita dal sindacato di legittimità del giudice amministrativo, quale quello condotto sul parametro dell'eccesso di potere. Insomma il Consiglio di Stato non afferma che sussiste eccesso di potere perchè il CSM non ha giustificato adeguatamente e con coerenza la propria Delib. sui punti indicati dalla precedente sentenza n. 486 del 2012 dello stesso Consiglio di Stato, sopra cit., ma ha operato egli stesso tale valutazione (ri)facendo anche il bilanciamento ponderato della maggiore attività giurisdizionale complessiva del dott. C. rispetto a quella del dott. V. versus la maggiore attività giurisdizionale di legittimità del dott. V. rispetto a quella del dott. C.. 16. In conclusione il Consiglio di Stato, pur svolgendo una premessa riconducibile all'ordinario sindacato di legittimità avendo ritenuto che sia da escludere in generale un'equiparazione ex lege (ossia ex art. 211 cit.) del servizio presso l'Avvocatura dello Stato al servizio nella magistratura ordinaria al fine della riassunzione in servizio, ha però poi fatto una diretta valutazione di merito - e non già un sindacato sulla valutazione di merito del CSM a mezzo del canone parametrico dell'eccesso di potere - ritenendo che, secondo un apprezzamento di ragionevolezza, i due anni in più che il dott. V. poteva vantare nelle funzioni di legittimità nei confronti del dott. C. (dal marzo 1990 rispetto al settembre 1992) non potevano compensare un deficit di 18 anni di attività complessiva come magistrato. Così facendo, il Consiglio di Stato si è sovrapposto all'esercizio della discrezionalità del CSM, peraltro espressione di alta amministrazione di rilievo costituzionale ( art. 105 Cost.) e quindi particolarmente ampia, invece di svolgere un sindacato di legittimità di secondo grado (nella sede del giudizio d'appello), anche a mezzo del canone parametrico dell'eccesso di potere quale vizio della Delib. stessa. In tal modo - e per le ragioni suddette - deve ritenersi che siano stati travalicati i limiti esterni della giurisdizione sicchè l'impugnata sentenza va cassata con rinvio al Consiglio di Stato, in diversa composizione, perchè decida nuovamente avverso la menzionata sentenza del TAR Lazio n. 3651 del 2013. 17. La cassazione della sentenza impugnata va pronunciata con rinvio al Consiglio di Stato come già affermato da questa Corte in quelle (pur rare, come si è notato) ipotesi in cui si è ritenuto che il Consiglio di Stato, decidendo in sede di legittimità, abbia ecceduto dai limiti esterni del potere giurisdizionale; cfr. Cass., sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312, che - richiamando la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59 e D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 11 che disciplinano la translatio iudicii tra giudice amministrativo e giudice ordinario - ha ritenuto che la cassazione della pronuncia del Consiglio di Stato dovesse essere disposta con rinvio ex art. 383 c.p.c., essendo quella senza rinvio ex art. 382 c.p.c. limitata solo all'ipotesi in cui qualsiasi altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda. Conf. da ultimo anche Cass., sez. un., 6 febbraio 2015, n. 2242. Diversa è invece l'ipotesi della cassazione senza rinvio pronunciata da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, più volte cit.) perchè - come già rilevato - questa pronuncia ha riguardato una sentenza del Consiglio di Stato resa in sede di ottemperanza, talchè, una volta 204 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 ritenuto che l'ottemperanza richiesta dal ricorrente (i.e. l'assegnazione dell'incarico giudiziario ora per allora) non fosse più possibile per il suo collocamento in quiescenza, non c'era altro che il Consiglio di Stato potesse decidere in sede di rinvio. 18. In conclusione, possono affermarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, i seguenti principi di diritto: «Non sussiste eccesso di potere giurisdizionale ove - in caso di duplice impugnativa dello stesso atto amministrativo sia con ricorso per ottemperanza sia con ordinario ricorso in sede di legittimità - il Consiglio di Stato, dopo essersi pronunciato, rigettandolo, sul ricorso per ottemperanza, si pronunci nuovamente in sede di appello avverso la sentenza di primo grado del TAR che abbia deciso il ricorso ordinario». «In caso di concorso bandito dal Consiglio Superiore della magistratura per l'attribuzione di un incarico giudiziario non travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che, nell'esercizio dell'ordinaria cognizione di legittimità in grado d'appello avverso una sentenza del TAR, si pronunci sull'appello, e quindi anche sulla legittimità della Delib. CSM, quando il magistrato ricorrente non sia più nel ruolo della magistratura per sopravvenuto collocamento in quiescenza ancorchè tale ultima circostanza non consenta successivamente, senza che risultino superati i limiti esterni della giurisdizione, al giudice amministrativo, adito in sede di ottemperanza, di ordinare al CSM di assegnare il posto ora per allora al magistrato vittorioso nel giudizio amministrativo». «In caso di concorso bandito dal Consiglio Superiore della magistratura per l'attribuzione di un incarico giudiziario travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che, adito in grado d'appello avverso una pronuncia di primo grado avente ad oggetto la legittimità, o no, della Delib. CSM e quindi nell'esercizio dell'ordinaria cognizione di legittimità, operi direttamente una valutazione di merito del contenuto della Delib. stessa e ne apprezzi la ragionevolezza, così sovrapponendosi all'esercizio della discrezionalità del CSM, espressione del potere, garantito dall'art. 105 Cost., di autogoverno della magistratura, invece di svolgere un sindacato di legittimità di secondo grado, anche a mezzo del canone parametrico dell'eccesso di potere quale possibile vizio della Delib. stessa». 19. Sussistono giustificati motivi, tra cui la novità delle questioni esaminate, per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione. PER QUESTI MOTIVI riunisce i ricorsi principale ed incidentale adesivo; accoglie il secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Consiglio di Stato in diversa composizione; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 22 settembre 2015. Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2015 CONTENZIOSO NAZIONALE 205 Il diritto al risarcimento/indennizzo per i medici iscritti ad un corso di specializzazione prima del 1 gennaio 1983 Il discutibile orientamento della Cassazione lavoro NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO, SENTENZA 22 MAGGIO 2015 N. 10612 Lucrezia D’Avenia* RESPONSABILITÀ CIVILE - Amministrazione pubblica - In genere - Risarcimento danni da mancato recepimento di direttive comunitarie - Medici specializzandi iscritti a corso di specializzazione prima del 1 gennaio 1983 - Spettanza - Fondamento. Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 76/363/CEE, sorto, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia (sentenze 25 febbraio 1999 in C-131/97 e 3 ottobre 2000 in C-371/97), in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni accademici compresi tra il 1983 ed il 1991, spetta anche ai medici specializzandi che avevano già iniziato il corso di specializzazione prima del 31 dicembre 1982, attesa l'assenza, nelle citate direttive, di una limitazione della platea dei beneficiari del diritto alla retribuzione ai soli medici iscritti ai corsi di specializzazione a partire dal 1 gennaio 1983, e, comunque, dovendosi ritenere una diversa interpretazione in contrasto con il criterio - funzionale al ristoro di tutti i danneggiati per il ritardo del legislatore - dell'applicazione cd. retroattiva e completa delle misure di attuazione della norma comunitaria. (Rigetta, App. Roma, 22/11/2013). (CED CASSAZIONE, 2015) Con la sentenza in commento, la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione si è discostata da tutte le precedenti pronunce della Sezione Civile della stessa Corte, riconoscendo, per la prima volta, il diritto al rimborso ai medici che alla data del 31 dicembre 1982 frequentavano un corso di specializzazione, indipendentemente dall'anno di iscrizione allo stesso. Giova premettere che la problematica in esame trae origine dalla normativa introdotta dalla Direttiva del Consiglio del 26 gennaio 1982 n. 82/76/CEE, che, aggiungendo l’allegato I alla Direttiva 75/363/CEE, aveva prescritto agli Stati membri di corrispondere un'adeguata remunerazione ai medici iscritti ad un corso di specializzazione conforme ai canoni dalle stesse individuati. La Direttiva imponeva, dunque, agli Stati membri l'obbligo di corrispondere un compenso, senza tuttavia individuare, come riconosciuto dalla CGUE nelle storiche sentenze Carbonari e Gozza (sentenze 25 febbraio1999 causa C-131197 Carbonari / Università di Bologna e 3 ottobre 2000 causa C-371/97 Gozza/ Università di Padova), a che titolo dovesse essere corrisposto, né l'importo dello stesso, né, tantomeno, il soggetto statuale tenuto a versarlo. (*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato di Napoli. 206 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Pertanto, essendo necessario che gli Stati membri adottassero una disciplina interna di recepimento che definisse, tra l'altro, tali profili, l’art. 16 della Direttiva n. 82/76/CEE individuava quale data limite entro la quale i singoli Stati avrebbero dovuto uniformarsi alle proprie previsioni quella del 31 dicembre 1982. Il legislatore italiano, però, emanava la normativa di adeguamento soltanto con il decreto lgs. n. 257/1991, così determinando l'insorgere di una problematica discrasia rispetto al diritto comunitario. Nell'ordinamento italiano, si instaurò, dunque, un copioso contenzioso proposto da quei medici iscritti ad un corso di specializzazione precedentemente all'emanazione della normativa interna del 1991, che è stato oggetto di numerosi interventi chiarificatori della Corte di Cassazione. La Suprema Corte, riconoscendo la sussistenza di un'ingiusta disparità di trattamento per i medici iscritti prima del 1991 che risultavano titolari di una posizione giuridica tutelata dal diritto comunitario, ma non dall'ordinamento interno, si trovò di fronte alla necessità di individuare una data precisa a partire dalla quale i medici specializzati avevano diritto al rimborso per il mancato adeguamento dello Stato italiano alla normativa comunitaria. Tale data, sulla base della citata previsione dell'art. 16 della Direttiva 82/76, venne individuata nel 1° gennaio1983, ovvero la data a partire dalla quale si era verificata la situazione di inadempienza dello Stato italiano, con la conseguenza che tutti i medici iscrittisi ad un corso di specializzazione a partire da questa data ed in possesso di titoli conformi ad i canoni individuati dalla normativa comunitaria, potevano aver diritto ad essere indennizzati per non aver percepito l'adeguata remunerazione a causa di un illecito comunitario perpetrato dallo Stato italiano. Sul punto può citarsi ex multis la sentenza n. 21719/2012, con la quale la Suprema Corte, Sez. III Civile, affermava che «In tema di Direttive CEE 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, cosi` come modificate dalla Direttiva n. 82/76/CEE, riguardanti l’organizzazione dei corsi di specializzazione medica, a seguito dell’inadempimento statuale ad esse, verificatosi il 31 dicembre 1982, non insorse alcun diritto al risarcimento del danno a favore dei medici che a quella data avevano gia` iniziato il loro corso di specializzazione». E tale orientamento si è consolidato nella successive pronunce della stessa Corte, tra le quali si riporta una delle più recenti: “Ora questa Corte ha già ritenuto che, avendo gli specializzandi iscrittisi a corsi di specializzazione anteriormente al 31 dicembre 1982 frequentato un corso che legittimamente sul piano del diritto comunitario era iniziato in una situazione nella quale lo Stato italiano non era ancora divenuto inadempiente all’obbligo di ottemperare alle note direttive ed essendo l’obbligo statuale di adempiere le direttive correlato all’organizzazione del corso nella sua completezza e, quindi, fin dal suo inizio, deve ritenersi che la situazione di inadempienza dello Stato verificatasi a far tempo dal 1° gennaio 1983 fosse riferibile soltanto all’organizzazione di corsi di specializzazione a far tempo da quella data e, quindi, a corsi iniziati da essa. CONTENZIOSO NAZIONALE 207 Con la conseguenza che il diritto nascente dalla situazione di inadempienza non poteva riguardare i medici che a quella data stavano frequentando già corsi di specializzazione iniziati anteriormente, in quanto ciò si sarebbe risolto in una sorta di inammissibile retroattività degli effetti dell’inadempimento statuale, cioé del fatto costitutivo del diritto dei singoli che dopo il 31 dicembre 1982 si vennero a trovare nelle condizioni di fatto in cui, se le direttive fossero state adempiute, avrebbero potuto beneficiare dei diritti da esse previsti: tali condizioni di fatto erano, infatti, riferibili all’inizio del corso di specializzazione dopo il 31 dicembre 1982 e non alla frequenza di un corso iniziato anteriormente. Al riguardo, va considerato che al momento di inizio dei corsi prima del 31 dicembre 1982 lo Stato, non essendo ancora scaduto il termine per adempiere, nell’organizzare i corsi senza tener conto delle direttive tenne un comportamento pienamente legittimo sul piano comunitario e non può sostenersi, stante il carattere unitario del corso, che una volta sopravenuta la scadenza del termine per adempiere, detto comportamento venne colpito da una sorta di illegittimità sopravvenuta. E ciò nè in via retroattiva e, quindi, per tutta la durata del corso, cioé sia per quella collocantesi prima del 31 dicembre 1982 e per quella collocantesi dopo, né soltanto dopo quella data, cioé per gli anni di durata del corso successivi” (cfr. Cass. Civile, sez. VI, sentenza n. 5275/2014 del 6 marzo 2014). Tanto premesso, appare chiaro che la sentenza in commento, si pone in contrasto con un principio giurisprudenziale ormai consolidato, riaprendo una questione che sembrava ormai risolta. E tale contrasto non rappresenta un precedente isolato ed eccezionale, bensì un vero e proprio nuovo orientamento, che la sezione Lavoro della Cassazione ha ribadito anche nella successiva sentenza n. 17434/15 del 2 settembre 2015. Appare, pertanto, necessario operare una lettura critica delle citate sentenze, esaminando le argomentazioni che hanno portato la Sezione Lavoro a “ritenere applicabile il suindicato risarcimento anche in favore dei medici [che] alla suddetta data (31.12.1982) stavano già frequentando un corso di specializzazione”, così discostandosi apertamente dalle pronunce della Sezione Civile, ancorpiù in vista dell’imminente intervento delle Sezioni Unite, sollecitato dalla VI Sez. Civile con ordinanza n. 23652/15 del 18 novembre 2015. 1. Quale prima argomentazione a sostegno della propria tesi, la Sez. Lavoro richiama la giurisprudenza della CGUE ed in particolare le sentenze Carbonari (C-131/97) e Gozza (C-371/97) nelle quali si affermerebbe “il carattere incondizionato e sufficientemente preciso dell'obbligo di retribuzione in oggetto, indicando come rimedio alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione della direttiva in questione la cd. applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della norma comunitaria, prevedendo la possibilità di risarcire tutti coloro che avevano subito danno, senza effettuare una distinzione in ordine all'anno di iscrizione al corso di specializzazione” (cfr. pag. 5, lettera a) della sentenza in commento). 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Tale affermazione non appare condivisibile in quanto decontestualizzata e non rispondente alla lettera delle citate sentenze. In primo luogo, appare opportuno precisare che, contrariamente a quanto lascia intendere il provvedimento in commento, la sentenza Carbonari non afferma affatto che il diritto all'adeguata remunerazione riconosciuto dalle Direttive comunitarie sia di per sé ed in assoluto sufficientemente preciso ed incondizionato, il che comporterebbe che la statuizione che lo riconosce possa considerarsi self executing. Nella detta sentenza, infatti, la CGUE, afferma soltanto che: “Tale obbligo è incondizionato e sufficientemente preciso nella parte in cui richiede - affinché un medico specialista possa avvalersi del sistema di reciproco riconoscimento istituito dalla direttiva «riconoscimento» - che la sua formazione si svolga a tempo pieno e sia retribuita”, con ciò intendendo chiarire che le disposizioni comunitarie sono sufficientemente precise solo nell'individuare le condizioni necessarie affinché lo Stato sia tenuto a remunerare il medico specializzando, ovvero la durata minima del corso di specializzazione ed il tempo pieno dello stesso, specificando che “detto obbligo non consente tuttavia, di per sé, al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata, né l'importo della stessa”. In altre parole le citate sentenze, hanno sì affermato che l'obbligo di corrispondere un'adeguata remunerazione è sufficientemente preciso, ma che lo è soltanto parzialmente ovvero nell'individuare le condizioni necessarie e sufficienti ad ottenerla, in quanto, come dalle stesse precisato, la normativa comunitaria non consente al Giudice di identificare né il debitore né l’importo dovuto. Ciò significa che in mancanza della disciplina interna di attuazione che, si ricorda, doveva essere adottata dagli Stati membri entro il 31 dicembre 1982, non si sarebbe potuto, in ogni caso, realizzare materialmente il diritto alla remunerazione riconosciuto dalle Direttive. Né può sostenersi, come ha fatto la Sez. Lavoro, che il rimedio dell'applicazione retroattiva della normativa interna di adeguamento, prospettato nelle citate pronunce dalla Corte di Giustizia, per rimediare al tardivo recepimento dello Stato italiano delle Direttive in oggetto, possa considerarsi un rimedio generale, applicabile a tutti i medici specializzati, senza alcuna distinzione in considerazione dell'anno di iscrizione al relativo corso di specializzazione. Tale affermazione appare, evidentemente, frutto di una mera presunzione, in quanto la CGUE non ha mai fatto alcuna considerazione in merito all'arco temporale di applicazione di tale rimedio che era riferito al caso di specie, ovvero alla situazione di quei medici specializzandi che, alla data di entrata in vigore della normativa italiana di recepimento delle suddette Direttive, ovvero nel 1991, erano ancora iscritti ad un corso di specializzazione, il che significa, considerando che la durata massima di un corso conforme è di 5 anni, che si erano iscritti allo stesso a partire dal 1986. CONTENZIOSO NAZIONALE 209 2. Ulteriore argomentazione della Corte è che la limitazione del risarcimento agli specializzandi iscritti prima del 1° gennaio 1983 sarebbe in contrasto con l'art. 14 della Direttiva 82/76, la cui lettera è la seguente: “la formazione a tempo ridotto dei medici specialisti, iniziate prima del 1.1.1983, in applicazione dell'art. 3 della direttiva 75/363/CEE, possono essere completate conformemente a tale articolo”. La norma appena citata, inserita nel contesto generale della Direttiva 82/76, è chiaramente volta alla creazione di un regime transitorio riferito alle sole specializzazioni a tempo ridotto. Infatti, tale tipologia di specializzazione, che rappresenta un'eccezione rispetto alla regola generale del tempo pieno e la cui ammissibilità è stata oggetto di diversi dibattiti in ambito comunitario, era stata riconosciuta e regolata, per la prima volta, proprio dall'art. 3 della Direttiva 75/363/CEE. Successivamente, però, l'art. 10 della Direttiva 82/76 aveva sostituito per intero il suddetto art. 3, determinando la necessità di istituire un regime transitorio che stabilisse quale norma applicare alle specializzazioni a tempo ridotto iniziate in conformità con il vecchio art. 3 ed ancora in corso alla data di emanazione della direttiva 82/76. Alla luce di tali chiarimenti, non si comprende quale sia il significato che la Suprema Corte - Sezione Lavoro abbia inteso attribuire a tale norma per ricavare dalla stessa un obbligo in capo agli Stati membri di adeguamento dei corsi di specializzazione a tempo pieno in corso alla data di entrata in vigore della Direttiva 82/76. L'art. 14, infatti, non prevede alcun obbligo di adeguamento, bensì, all'opposto stabilisce l'applicazione della normativa pregressa alle situazioni pendenti. Né può sostenersi che dalla citata norma possa ricavarsi a contrario un obbligo di adeguamento implicito per tutte le altre situazioni in quanto, come affermato dalla Suprema Corte, Sez. VI Civile, nella sentenza n. 8504/2014 del 27 marzo 2014 “vi è solo da dire che l'argomento che nel ricorso si prospetta sulla base dell'art. 14 della direttiva 82/76 è privo di significato nel senso di poter intendere tale direttiva di coordinamento come impositiva dell'obbligo degli stati membri di adeguare i corsi pendenti e ciò per la ragione che si riferisce a corsi che erano organizzati secondo una delle due pregresse direttive coordinate. Proprio l'espressa preoccupazione del legislatore comunitario di dettare questa specifica norma diretta a completare la vigenza di disciplina adeguatasi alla direttiva 75/363/CEE palesa che per tutte le restanti situazioni pendenti l'obbligo di adeguamento non sussisteva, operando la previsione dell'art. 16 della direttiva là dove prevedeva il termine del 31.12.1982 come impositiva di quell'obbligo a partire da quel momento e correlandosi l'obbligo, evidentemente, all'organizzazione dell'intero corso, che era la fattispecie regolata dal legislatore comunitario”. Ma vi è di più. Chiarito, infatti, che l'art. 14 ha inteso introdurre un regime transitorio 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 per le specializzazioni a tempo ridotto iniziate sotto la vigenza di un articolo poi abrogato e sostituito, appare logico corollario ritenere che se lo Stato non si era ancora adeguato alla normativa precedente, ovvero alla direttiva 75/363/CEE, all'interno dello stesso non potevano esistere corsi di specializzazione iniziati in conformità con l'art. 3 della suddetta direttiva, con la conseguenza che per tali Stati “inadempienti” non vi è alcuna situazione giuridica regolabile dall'art. 14. Appare pertanto del tutto coerente l'argomentazione fornita dalla VI sezione Civile nella sentenza n. 21967/2014 del 22 maggio 2014 ed oggetto di critica da parte del provvedimento in commento, secondo la quale: “Poichè lo Stato Italiano non aveva adempiuto la Direttiva de qua è, d'altro canto, palese che l'art. 14 non lo riguardava, essendo pertinente a Stati membri che avessero, prima della Direttiva di coordinamento 82/76/CEE provveduto ad adeguarsi ad una delle pregresse direttive coordinate da quella” (cfr. pag. 8, 3° cpv della sentenza). 3. Resta, infine da analizzare il richiamo operato dalla Corte al “principio di equivalenza giurisdizionale” . Come è noto, si tratta di un principio di natura giurisprudenziale secondo il quale gli strumenti di tutela processuale per le situazioni soggettive riconosciute dal diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelli previsti per la protezione di situazioni soggettive analoghe, riconosciute dall’ordinamento nazionale (sentenza Rewe del 16 dicembre 1976, causa 33/76 e sentenza Comet del 16 dicembre 1976, causa 45/76). Ebbene, secondo la Corte, da tale principio discenderebbe la necessità di applicare al caso di specie il principio valido nel diritto interno italiano, secondo cui nei rapporti di durata la legge sopravvenuta disciplina il rapporto giuridico in corso allorchè esso, sebbene sorto anteriormente, non abbia esaurito i suoi effetti e purchè la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto generatore del rapporto, ma il suo perdurare nel tempo. Tale deduzione non appare corretta per diverse ragioni. Come è noto, il principio di equivalenza esige che il legislatore nazionale, nell'esercizio della autonomia procedurale riconosciuta agli ordinamenti degli Stati membri, riconosca alle posizioni giuridiche attribuite all'individuo dall'ordinamento dell'Unione una tutela equivalente a quella assicurata ad analoghe posizioni attribuite dall'ordinamento interno. Cio` significa, in altre parole, che i singoli Stati membri devono assicurare ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell'Unione il medesimo trattamento di quelli fondati sulla violazione del diritto interno «aventi un oggetto e una causa analoghi». (Cfr. Corte Giust., 10 luglio 1997, C-261/95, Palmisani, in Racc., 1997, p. I-1591, par. 34 ss. e Corte Giust., 1 dicembre 1998, causa C-326/96, Levez, in Racc., p. I-7835, par. 41). L'equivalenza dovra`, percio`, sussistere in relazione a pretese, norme pro- CONTENZIOSO NAZIONALE 211 cedurali e procedimenti della stessa natura, finalizzati a tutelare analoghe posizioni giuridiche, fondate l'una sul diritto interno, l'altra sul diritto dell'Unione, così come affermato dall'Avvocato Generale nelle conclusioni presentate il 23 gennaio 1997 alla causa C-261/95, Palmisani, secondo il quale “(...) dovra` essere effettuato un raffronto tra una pretesa e una pretesa della stessa natura, tra una norma procedurale e una norma procedurale della stessa natura e tra un iter procedurale e un iter procedurale della stessa natura, e non tra pretese eterogenee, o tra norme considerate a se´ stanti e il rispettivo procedimento, o facenti parte di procedimenti diversi, come ad esempio le une di procedimenti amministrativi, le altre di procedimenti giurisdizionali». Chiarito il significato del principio di equivalenza giurisdizionale, appare dunque evidente che lo stesso è stato usato del tutto impropriamente dalla Sezione Lavoro, che lo pone quale antecedente necessario e sufficiente all'estensione di un principio di diritto interno sostanziale quale è quello che regolamenta nell'ordinamento interno italiano il rapporto tra le norme nel tempo in relazione ai rapporti di durata. Infine, in una prospettiva di coerenza e di certezza del diritto, posto in premessa che prima della data del 31 dicembre 1982 non vi è alcun illecito comunitario dello Stato nel regolamentare i corsi di specializzazione medica secondo regole di diritto interno e posto che nello stabilire tale limite temporale la Direttiva 82/76 non ha stabilito alcun obbligo di armonizzazione delle specializzazioni in corso, appare logico ritenere che un percorso di studio e formazione iniziato sotto la vigenza di una normativa specifica che ne regolamenta ogni aspetto in considerazione degli interessi generali e delle disponibilità finanziarie dello Stato, debba essere considerato nella sua unitarietà e dunque completato secondo quella stessa normativa. In tal senso, si è espressa la Cassazione civile in una pluralità di recenti pronunce tra cui può citarsi la sentenza n. 14375 del 9 luglio 2015, secondo la quale: “nè il diritto può valere per gli anni successivi a tale data, perchè il corso va valutato nella sua unitarietà e, al momento del suo inizio, lo specializzando non aveva ancora alcun concreto diritto alla remunerazione. Ne consegue che il diversificato trattamento degli specializzandi in ragione dell'anno di iscrizione al corso risponde alla necessità della considerazione unitaria dello stesso (oltre che ad esigenze di finanza pubblica), sicchè la relativa previsione, concretizzando un “acte claire”, esclude l'obbligo di rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia dell'UE”. In conclusione, si ritiene che l'orientamento inaugurato dalla sez. Lavoro della Suprema Corte nella sentenza in commento non abbia prodotto alcuna nuova argomentazione che sia in grado di giustificare un mutamento giurisprudenziale che comporterebbe una crescita esponenziale della platea dei ricorrenti ed il conseguente esborso di ingenti risorse da parte dell'Erario. È significativo che ultimamente la Corte di Cassazione - sesta sezione ci- 212 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 vile -, con ordinanza n. 23652 del 18 novembre 2015, nel ribadire l'interpretazione fino ad oggi maggioritaria, difforme da quella della Sezione Lavoro, abbia chiesto l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sulla questione. Cassazione civile, Sez. lavoro, sentenza del 22 maggio 2015, n. 10612 - Pres. F. Roselli, Rel. L. Tria, P.M. F. Ceroni (conforme al ricorso principale) - Repubblica italiana, Min. Istruzione Università e Ricerca, Min. Economia e Finanze, Min. Salute (avv. gen. Stato) c. I.G. (avv. U. Cantelli). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1.- La sentenza attualmente impugnata accoglie l'appello della Repubblica italiana, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministeri dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dell'Economia e delle Finanze, della Salute, avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 10293/2013, limitatamente alla determinazione del quantum dovuto a I.G., - anche a titolo risarcitorio del danno da ritardato e parziale recepimento di normativa Europea - quale trattamento economico previsto per i laureati in medicina per il periodo di frequentazione di scuole universitarie di specializzazione dalle direttive n. 75/362/CEE e 82/76/CEE, a partire dall'anno accademico 1983-1984, essendo illegittima la normativa nazionale di tardivo recepimento di tali direttive, di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, che ne aveva fatto decorrere l'operatività dall'anno accademico 1991-1992. La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che: a) in base alla giurisprudenza di legittimità, ormai consolidatasi a partire da Cass. SU 17 aprile 2009, n. 9147, la domanda proposta dall' I., medico laureato iscrittosi ad un corso di specializzazione in Italia nel periodo compreso tra l'emanazione della normativa comunitaria (nella specie, le direttive n. 75/362/UE, n. 75/363/UE, n. 82/76/UE, n. 86/457/UE e n. 93/16/UE non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) e quella in tema di parziale recepimento (D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257), va qualificata come domanda di risarcimento danni per inadempimento dello Stato per omessa o tardiva trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie non autoapplicative; b) ai soli fini della quantificazione di tale peculiare diritto, in applicazione della citata L. n. 370 del 1999, art. 11, si può rapportare la liquidazione ai criteri fissati dalla suddetta legge, facendo riferimento al compenso annuo ivi determinato in L. 13.000.000, pari ad Euro 6713,94, e non al maggiore compenso previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, visto che tale compenso riguarda un periodo successivo all'intervenuto (nel 1992) per l'aumento delle ore annuali di frequenza richiesta agli specializzandi (da 800 a 1500 annue); c) sulla somma così determinata, secondo la disciplina dei debiti di valuta, gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall'eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale; d) si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi di merito del giudizio, in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali riscontratasi nella materia trattata e della sopravvenienza in corso di causa della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata. 2.- Il ricorso della Repubblica italiana, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministeri dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dell'Economia e delle Finanze, della Salute - tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato - domanda la CONTENZIOSO NAZIONALE 213 cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, I.G. che propone, a sua volta, ricorso incidentale per un motivo. MO T I V I DELLA D E C I S I O N E Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti perchè proposti avverso la medesima sentenza. I - Sintesi dei motivi del ricorso principale. 1.- Il ricorso principale è articolato in due motivi, con i quali si deducono: A) in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione degli artt. 342 e 112 cod. proc. civ. Si sostiene che la Corte romana avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato per non avere esaminato l'eccezione, ritualmente proposta dalle Amministrazioni, secondo cui nella specie il diritto de quo non poteva essere riconosciuto perchè la frequentazione della scuola di specializzazione in oggetto risale al 1981, mentre la decorrenza della disciplina in oggetto è stata fissata, dalla giurisprudenza di legittimità consolidata, nel 31 dicembre 1982, data fissata dalla direttiva 82/76/CEE per il relativo recepimento da parte degli Stati membri; 2) in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione della L. n. 370 del 1999, del D.Lgs. n. 257 del 1991, delle direttive CEE n. 82/76, 93/16. Si ribadisce che, alla luce della su richiamata giurisprudenza di legittimità (si citano: Cass. 11 gennaio 2013, n. 587 e Cass. 17 gennaio 2013, n. 1157), nella specie non era configurabile alcun illecito comunitario ristorabile perchè alla data di iscrizione alla scuola di specializzazione, da parte dell' I., la direttiva 82/76 CEE non era ancora cogente per lo Stato italiano, cosa avvenuta a partire dall'1 gennaio 1983. II - Sintesi del ricorso incidentale. 2.- Con il motivo di ricorso incidentale si deduce illogica e contraddittoria motivazione sulla compensazione delle spese di giudizio nonchè violazione e falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c., comma 2. III - Esame dei motivi del ricorso principale. 3.- I due motivi del ricorso principale - da esaminare insieme, data la loro intima connessione - non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. Entrambi i motivi riguardano la questione relativa alla attribuibilità del risarcimento in oggetto anche ai medici che avevano già iniziato il loro corso di specializzazione al 31 dicembre 1982, come l'attuale ricorrente. Per quanto riguarda il primo motivo, in particolare, va ricordato che è jus reception che non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo, in quanto la pretesa avanzata con la domanda o l'eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (vedi, tra le tante: Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 21 luglio 2006, n. 16788; Cass. 10 maggio 2007, n. 10696; Cass. 8 marzo 2007, n. 5351). Tale ultima evenienza ricorre nella specie, sicchè la relativa censura risulta infondata. 4.- Per quel che riguarda il merito della suindicata questione, deve essere precisato che la relativa soluzione ha dato luogo ad un ampio dibattito nella giurisprudenza di questa Corte. Infatti, dopo l'affermazione di un indirizzo favorevole ad includere la suddetta categoria di medici fra i destinatari della normativa (vedi, per tutte: Cass. 29 agosto 2011, n. 17682 e Cass. 17 novembre 2011, n. 24092), in epoca recente si va affermando il diverso orientamento - richiamato nel presente ricorso - secondo cui, in tema di Direttive CEE 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, cosi come modificate dalla Direttiva n. 82/76/CEE, riguardanti l'organizzazione dei corsi di specializzazione medica, a seguito dell'inadempimento statuale ad esse, verificatosi 214 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 il 31 dicembre 1982, non è insorto alcun diritto al risarcimento del danno a favore dei medici che a quella data avevano già iniziato il loro corso di specializzazione (vedi, fra le prime: Cass. 11 gennaio 2013, n. 587 e Cass. 17 gennaio 2013, n. 1157, citate dai ricorrenti, cui adde: Cass. 18 giugno 2013, n. 15199; Cass. 10 luglio 2013, n. 17072; Cass. 10 luglio 2013, n. 17069; Cass. 20 gennaio 2014, n. 1064; Cass. 21 gennaio 2014, n. 1143; Cass. 11 aprile 2014, n. 8504; Cass. 16 ottobre 2014, n. 21967). Tale ultimo orientamento, pur supportato da ampie argomentazioni, non è condiviso da questo Collegio. 5.- Deve essere, al riguardo, ricordato che tutta la presente vicenda nasce dalle direttive Europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE (coordinate con la direttiva 93/16/CEE), che hanno introdotto, in favore dei medici iscritti ai corsi di specializzazione, tanto a tempo pieno quanto a tempo ridotto, il diritto ad una adeguata remunerazione in tutti gli Stati membri. L'art. 16 della direttiva 82/76/CEE, in particolare, ha indicato il 31 dicembre 1982 quale termine ultimo per l'adozione, da parte degli Stati, di tutte le misure necessarie per conformarsi alla direttiva medesima, in osservanza degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE (all'epoca vigente), il secondo dei quali, al comma 3, stabiliva che: "la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi". Lo Stato italiano ha provveduto al suddetto recepimento con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, dunque con circa dieci anni di ritardo e solo in seguito alla condanna della Corte di Giustizia CE, pronunziata con sentenza del 7 luglio 1987, C-49/86, a conclusione di una procedura di infrazione. Il legislatore italiano, inoltre, con l'anzidetto D.Lgs. aveva - in contrasto con le direttive de quibus - limitato l'ambito di applicazione della normativa, prevedendo che la borsa di studio annuale di L. 21.500.000 fosse attribuita ai soli medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione a far data dall'anno accademico 1991/1992. L'adeguamento del legislatore nazionale alla normativa comunitaria si è completato - sia pure in modo non del tutto appagante - con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 entrata in vigore il 27 ottobre 1999 (vedi, al riguardo: Cass. 17 maggio 2011, n. 10813). Peraltro, la parziale e tardiva attuazione della direttiva 82/76, ad opera del citato D.Lgs. n. 257 del 1991, ha causato la mancata remunerazione dei medici iscritti ai corsi di specializzazione tra gli anni 1982 e 1991, durante l'espletamento delle correlate attività di formazione e prestazioni mediche. 6.- Ne è scaturito un ampio contenzioso, interno e comunitario, nel corso del quale, particolare rilievo hanno assunto il primo intervento della Corte di Giustizia CE (sentenza 25 febbraio 1999, Carbonari e a., C-131/97) e la successiva sentenza della CGCE 3 ottobre 2000, Gozza e a., C-371/97). Con tali sentenze è stata finalmente sanata la patologia determinata dalla mancata attuazione nei termini della direttiva comunitaria 82/76 da parte dell'Italia, affermandosi il diritto alla remunerazione in favore di tutti i medici iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1983 ed il 1991, in ragione dell'obbligo incondizionato e sufficientemente preciso dettato dalle disposizioni comunitarie e indicandosi, inoltre, quale rimedio alle conseguenze pregiudizievoli dell'inadempimento italiano, l'applicazione retroattiva del Decreto 257 del 1991 al fine di assicurare una adeguata tutela risarcitoria agli interessati. In particolare, nella suindicata sentenza Gozza, la CGCE ha posto l'accento sul carattere incondizionato e sufficientemente preciso dell'obbligo di retribuzione in oggetto - già evidenziato dalla sentenza Carbonari e a. - e ha aggiunto che tale obbligo concerneva tanto la for- CONTENZIOSO NAZIONALE 215 mazione a tempo pieno, quanto quella a tempo ridotto. La Corte di Giustizia, inoltre, ha indicato come rimedio alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione della direttiva in questione la cd. applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della norma comunitaria prevedendo la possibilità di risarcire tutti coloro che avevano subito un danno. 7.- Nella giurisprudenza di questa Corte tali principi hanno dato luogo a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 17 aprile 2009, n. 9147 ad un orientamento - e che è assurto al rango di "diritto vivente" per effetto di molteplici decisioni successive, specialmente per effetto delle cd. sentenze gemelle n. 10813, n. 10814, n. 10815 e n. 10816 del 17 maggio 2011 - secondo il quale, sulla scorta della qualificazione dell'azione dei medici specializzandi per l'inadempimento della direttiva CEE n. 82/76, quale effettuata dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 9147 del 2009, tale situazione comporta la responsabilità statale contrattuale e, quindi, l'applicabilità della prescrizione decennale, con individuazione del relativo dies a quo nel 27 ottobre 1999. Tuttavia, nell'anzidetta sentenza, le Sezioni Unite non hanno avuto modo dì affrontare la questione della attribuibilità del risarcimento in oggetto anche ai medici che al 31 dicembre 1982 non si erano iscritti al primo anno del corso di specializzazione, ma che a quella data stavano frequentando un simile corso, al quale si erano iscritti in precedenza. Va tuttavia osservato che la suindicata sentenza si basa sull'adesione delle Sezioni Unite all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in considerazione del carattere autonomo e distinto dell'ordinamento comunitario e di quello interno, il comportamento del legislatore - consistente nella mancata attuazione nei termini prescritti e quindi, in violazione degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE (nel testo all'epoca vigente) di una direttiva CE dalla quale sarebbe derivata l'attribuzione ai singoli di diritti dal contenuto ben individuato sulla base della direttiva stessa - secondo il principio enunciato dalla CGCE nella celebre sentenza 19 novembre 1991, Francovich e Bonifaci, cause riunite C-6/90 e C-9/90, ribadito in. molte altre successive sentenze - è suscettibile di essere qualificato come antigiuridico nell'ambito dell'ordinamento comunitario, anche se non lo è alla stregua dell'ordinamento interno, in base ai principi fondamentali che risultano evidenti nella stessa Costituzione (le SU citavano in particolare: Cass. 5 ottobre 1996, n. 8739; 11 ottobre 1995, n. 10617; 19 luglio 1995, n. 7832). Conseguentemente, la Sezioni Unite affermavano che: "sulla base del principio della "non applicabilità della normativa nazionale (sia essa precedente che successiva) contrastante con quella comunitaria - che non implica fenomeni nè di caducazione, nè di abrogazione della norma statale confliggente con quella comunitaria - il trattamento giuridico del caso di specie è attratto (ratione materiae) nell'ambito di applicazione del diritto comunitario, in modo che al giudice è demandato il controllo dell'adeguamento dell'ordinamento interno a quello comunitario, adeguamento che diviene così automatico, dovendo la normativa interna cedere il passo a quella comunitaria ove risulti essere con quest'ultima contrastante". 8.- Come si vede, tale orientamento - che non è mai stato modificato dalle Sezioni Unite - risulta del tutto conforme al generale canone ermeneutico dell'obbligo degli Stati UE della interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto comunitario, come interpretato dalla CGUE (in tal senso vedi, tra le molte, le sentenze della CGUE 5 ottobre 2004, C-397/01- 403/01; 22 maggio 2003, C-462/99; 15 maggio 2003, C-160/01; 13 novembre 1990, C- 106/89), sistematicamente applicato da questa Corte di cassazione (vedi, tra le tante: Cass. SU 14 aprile 2011, n. 8486; Cass. SU 16 marzo 2009, n. 6316; Cass. 18 aprile 2014, n. 9082; Cass. 30 dicembre 2011, n. 30722; Cass. 16 settembre 2011, n. 19017; Cass. 1 settembre 2011, n. 17966; Cass. 9 agosto 2007, n. 17579; Cass. 19 aprile 2001, n. 5776; Cass. 26 luglio 2000, n. 9795; Cass. 10 marzo 1994, n. 2346; Cass. 13 maggio 1971, n. 1378) in questa sede non si 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 può non tenere conto delle indicate decisioni della Corte di Giustizia, nonchè dei principi generali affermati nella relativa giurisprudenza. Tra questi principi rientrano: a) quello del primato del diritto comunitario; b) quello secondo cui la mancata o inadeguata trasposizione di una direttiva nella legislazione nazionale autorizza i legittimati ad invocare contro lo Stato membro le sue disposizioni precise ed incondizionate; c) quello cd. di "equivalenza giurisdizionale", che comporta che il regime della riparazione in caso di violazione del diritto comunitario non deve essere meno favorevole di quello applicabile a delle azioni analoghe fondate sulla violazione di norme di diritto interno. 9.- Sull'applicazione di tali principi - nel senso delineato dalle Sezioni Unite, nella richiamata sentenza - si basa l'indicata non condivisione del succitato indirizzo interpretativo espresso dalle suindicate sentenze della Terza Sezione di questa Corte, che esclude i medici che al 31 dicembre 1982 avevano già iniziato il loro corso di specializzazione dalla platea dei destinatari del risarcimento del danno di cui si tratta, senza tuttavia tenere conto degli anzidetti principi. Tale indirizzo si basa, in particolare, sulle seguenti statuizioni (vedi: Cass. 10 luglio 2013, n. 17067): a) "avendo gli specializzandi iscrittisi a corsi di specializzazione anteriormente al 31 dicembre 1982 frequentato un corso che legittimamente sul piano del diritto comunitario era iniziato in una situazione nella quale lo Stato italiano non era ancora divenuto inadempiente all'obbligo di ottemperare alle note direttive ed essendo l'obbligo statuale di adempiere le direttive correlato all'organizzazione del corso nella sua completezza e, quindi, fin dal suo inizio, deve ritenersi che la situazione di inadempienza dello Stato verificatasi a far tempo dal giorno 1 gennaio 1983 fosse riferibile soltanto all'organizzazione di corsi di specializzazione a far tempo da quella data e, quindi, a corsi iniziati da essa"; b) conseguentemente, "il diritto nascente dalla situazione di inadempienza non poteva riguardare i medici che a quella data stavano frequentando già corsi di specializzazione iniziati anteriormente, in quanto ciò si sarebbe risolto in una sorta di inammissibile retroattività degli effetti dell'inadempimento statuale, cioè del fatto costitutivo del diritto dei singoli che dopo il 31 dicembre 1982 si vennero a trovare nelle condizioni di fatto in cui, se le direttive fossero state adempiute, avrebbero potuto beneficiare dei diritti da esse previsti: tali condizioni di fatto erano, infatti, riferibili all'inizio del corso di specializzazione dopo il 31 dicembre 1982 e non alla frequenza di un corso iniziato anteriormente"; c) "al riguardo, va considerato che al momento di inizio dei corsi prima del 31 dicembre 1982 lo Stato, non essendo ancora scaduto il termine per adempiere, nell'organizzare i corsi senza tener conto delle direttive tenne un comportamento pienamente legittimo sul piano comunitario e non può sostenersi, stante il carattere unitario del corso, che una volta sopravenuta la scadenza del termine per adempiere, detto comportamento venne colpito da una sorta di illegittimità sopravvenuta. E ciò nè in via retroattiva e, quindi, per tutta la durata del corso, cioè sia per quella collocantesi prima del 31 dicembre 1982 e per quella collocantesi dopo, nè soltanto dopo quella data, cioè per gli anni di durata del corso successivi"; d) "è vero, d'altro canto, che, scegliendo tale interpretazione si finisce per ammettere che lo Stato, nel consentire l'organizzare dei corsi di specializzazione fino al 31 dicembre 1982 e particolarmente di quello iniziato nello stesso anno 1982, là dove la durata di essi avesse comportato il loro proiettarsi oltre il 31 dicembre 1982, si sarebbe posto nella condizione di perpetuare dopo tale data la durata di corsi non conformi alle note direttive, ma ciò non potè integrare un inadempimento delle direttive riguardo ad essi dopo quella data, perchè le direttive e segnatamente quella di cd. coordinamento n. 82 del 1976 non prevedevano, nel fissare CONTENZIOSO NAZIONALE 217 la scadenza del 31 dicembre 1982 che a far tempo da quella data gli Stati membri dovessero rendere conformi alle direttive i corsi pendenti". 10.- Ebbene, si tratta di argomentazioni che non appaiono in linea con i principi e le regole comunitarie, la cui doverosa conformazione - costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte e, confermata, con riguardo alla presente vicenda, dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 9147 del 2009 - non può che portare, sulla scia di quanto affermato dalle Sezioni Unite, alla diversa soluzione di ritenere applicabile il suindicato risarcimento anche in favore dei medici che - come l'attuale ricorrente - alla suddetta data (31 dicembre 1982) stavano già frequentando un corso di specializzazione. Ciò in quanto: a) la CGUE, nelle citate sentenze, ha affermato il carattere incondizionato e sufficientemente preciso dell'obbligo di retribuzione in oggetto, indicando come rimedio alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione della direttiva in questione la cd. applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della norma comunitaria, prevedendo la possibilità di risarcire tutti coloro che avevano subito un danno, senza effettuare alcuna distinzione in ordine all'anno di iscrizione al corso di specializzazione; b) nelle stesse sentenze la CGUE ha altresì precisato che la direttiva comunitaria 75/363 così come modificata dalla 82/76 soddisfa tutte e tre le condizioni richieste dalla giurisprudenza per impegnare la responsabilità di uno Stato membro dell'Unione Europea, quali indicate nella celebre sentenza 19 novembre 1991, Francovich e Bonifaci, cause riunite C-6/90 e C-9/90, ove è stato stabilito affermato che: "il diritto comunitario impone il principio secondo cui tutti gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili" e perchè sorga il diritto al risarcimento del danno in capo al singolo occorre che siano soddisfatte tre condizioni: 1) il risultato prescritto dalla direttiva implichi l'attribuzione di diritti a favore dei singoli; 2) il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva; 3) esista un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato ed il danno subito dai soggetti lesi; c) la indicata limitazione ai soli medici iscritti ai corsi di specializzazione a partire dal 31 dicembre 1982 non trova alcun riscontro nelle direttive CEE 16 giugno 1975 n. 75/363 e 26 gennaio 1982 n. 82/76, anzi, è indirettamente smentita dall'art. 14 di quest'ultima direttiva - secondo cui "le formazioni a tempo ridotto di medici specialisti iniziate prima del 1 gennaio 1983, in applicazione dell' art. 3 della direttiva 75/363/CEE, possono essere completate conformemente a tale art." - e comunque si pone in contrasto con il criterio della la cd. applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della norma comunitaria comportante la previsione della possibilità di risarcire tutti coloro che avevano subito un danno, indicato dalla CGUE come rimedio alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione della direttiva; d) d'altra parte, nella descritta situazione di palese inadempimento del nostro Stato (cui, come si è detto, si è posto rimedio solo a seguito della condanna della Corte di Giustizia pronunziata con sentenza del 7 luglio 1987, causa n. 49/86) e di avvenuto riconoscimento, da parte della stessa Corte, del carattere preciso e incondizionato della disciplina comunitaria, non può dubitarsi dell'applicabilità anche nei confronti dello Stato italiano del citato art. 14 della direttiva 82/76, in quanto limitarne l'applicabilità agli Stati membri che avessero, prima della direttiva di coordinamento 82/76/CEE, provveduto ad adeguarsi ad una delle pregresse direttive coordinate da quella (in tal senso, vedi per tutte: Cass. 16 ottobre 2014, n. 21967), contraddice i principi che si desumono dalla giurisprudenza della CGUE, in materia e, quindi, confligge con il principio del primato del diritto comunitario; 218 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 e) pertanto, la indicata limitazione della platea dei beneficiari è suscettibile di essere qualificata come un comportamento del legislatore antigiuridico nell'ambito dell'ordinamento comunitario, anche se non lo è alla stregua dell'ordinamento interno, dato il carattere autonomo e distinto dell'ordinamento comunitario e di quello interno; f) inoltre, con riferimento al principio cd. di "equivalenza giurisdizionale", va considerato che, essendo il rapporto derivante dall'iscrizione ad un corso di specializzazione, da parte del medico, un rapporto di durata, nell'ambito del diritto interno, ad esso trova applicazione il principio secondo cui la legge sopravvenuta disciplina il rapporto giuridico in corso allorchè esso, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i propri effetti e purchè la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto generatore del rapporto, ma il suo perdurare nel tempo (vedi, per tutte: Cass. 8 marzo 2001, n. 3385; Cass. 9 febbraio 2001, n. 1851); g) del resto, mutatis mutandis, va ricordato che, anche la giurisprudenza amministrativa (vedi, per tutte: Cons. di Stato, sez. 4, decisione 2 agosto 1997, n. 927), ha precisato che, dalle direttive indicate, si desume che la vicenda in oggetto riguarda i medici "in atto frequentatori delle scuole di specializzazione" e per ciò ritenuti portatori di un interesse tutelato a fruire dei vantaggi previsti dalla normativa comunitaria. 11.- Di qui il rigetto dei due motivi del ricorso principale. IV - Esame del ricorso incidentale. 12.- Anche il motivo del ricorso incidentale non è da accogliere. 12.1.- Vanno ricordati al riguardo i consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte secondo cui: a) ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma 2, - nel testo introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, applicabile, nella specie, ratione temporis - nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorchè concorrano "gravi ed eccezionali ragioni", costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storicosociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass. SU 22 febbraio 2012, n. 2572); b) in particolare, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicare esplicitamente nella motivazione, in presenza delle quali, ai sensi dell'art. 92 cod. proc. civ., comma 2, il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio non possono essere tratte dalla struttura del tipo di procedimento contenzioso applicato nè dalle particolari disposizioni processuali che lo regolano, ma devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (vedi, per tutte: Cass. 15 dicembre 2011, n. 26987; Cass. 11 luglio 2014, n. 16037). 12.2.- Nella specie la Corte d'appello ha ritenuto di compensare tra le parti le spese dei due gradi di merito del giudizio, in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali riscontratasi nella materia trattata e della sopravvenienza in corso di causa della giurisprudenza di legittimità di riferimento. La suddetta statuizione risulta conforme ai suindicati principi perchè è giustificata con un adeguato supporto motivazionale nel quale, in modo non illogico nè contraddittorio, si fa riferimento a specifiche circostanze e aspetti della controversia decisa, caratterizzata dalla particolare complessità delle questioni di diritto da esaminare e dalle conseguenti oscillazioni della giurisprudenza anche di legittimità, che continuano a registrarsi, su alcuni aspetti, anche dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 9147 del 2009, come risulta da quanto fin qui si è detto. Pertanto, la sentenza impugnata non merita alcuna censura neppure sul punto relativo alla compensazione delle spese. V - Conclusioni. CONTENZIOSO NAZIONALE 219 13.- In sintesi entrambi i ricorsi devono essere respinti. 13.1.- In applicazione del principio della soccombenza prevalente il ricorrente principale deve essere condannato al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata nel dispositivo. 13.2.- Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. Infatti, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il provvedimento con cui il giudice dell'impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l'abbia proposta, l'obbligo di versare - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, - un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1- bis, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (vedi, per tutte: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955 e Cass. 5 novembre 2014, n. 23514). 13.3.- Viceversa, i suindicati presupposti sussistono con riguardo al ricorrente incidentale, come indicato in dispositivo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. L'ulteriore importo per contributo unificato dev'essere, per contro, pagato dal ricorrente incidentale. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 21 gennaio 2015. Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2015. 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 La Cassazione scioglie i dubbi sull’ambito temporale di efficacia della declaratoria di incandidabilità degli amministratori degli Enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose NOTA A CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE I, SENTENZA 22 SETTEMBRE 2015 N. 18696 David Romei* SOMMARIO: 1. La vicenda - 2. L’ambito temporale di efficacia della declaratoria di incandidabilità degli amministratori degli Enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose. 1. La vicenda. Il Consiglio comunale di Nardodipace, i cui organi elettivi erano stati rinnovati nelle consultazioni elettorali del 27-28 maggio 2007, a seguito degli accertamenti effettuati dai competenti organi del Ministero dell’Interno, è stato sciolto, ai sensi dell’art. 143, d.lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267, con d.P.R. del 19 dicembre 2011. La procedura che ha portato all’emanazione del predetto d.P.R. prendeva le mosse da una vasta operazione condotta nel mese di luglio 2010 dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria denominata “Crimine”; venivano tratti in arresto per associazione a delinquere di stampo mafioso, tra gli altri, il padre ed il cugino dell’allora vice Sindaco del Comune di Nardodipace, R.T., individuati come personaggi di spicco della ndrangheta nelle Serre vibonesi. A seguito del monitoraggio dell’Ente, i cui esiti confermavano sostanzialmente l’esistenza di un contesto caratterizzato da contiguità tra amministratori e criminalità, la Prefettura di Vibo Valentia disponeva l’accesso presso il Comune per l’analisi delle posizioni soggettive degli amministratori locali, dei dipendenti e collaboratori comunali, nonché di altri soggetti di interesse per l’attività di accesso. L’analisi svolta sull’andamento dei rapporti tra amministratori e criminalità organizzata evidenziava la sussistenza, sotto una pluralità di aspetti, di significative, circostanziate, oggettive e concludenti condizioni idonee a configurare fenomeni di condizionamento e di “collegamenti” che vincolavano la vita amministrativa dell’ente locale a dinamiche riconducibili alle mire espansionistiche delle consorterie criminali gravitanti sul territorio. Gli accertamenti effettuati consentivano, infatti, di appurare una fitta e intricatissima rete di parentele dirette e collaterali, di affinità, di contiguità, di connivenze e di assidue frequentazioni degli amministratori comunali in carica e di molti dipendenti con numerosi soggetti gravati da diversi precedenti penali e di polizia, nonché con noti esponenti delle consorterie criminali delle (*) Avvocato del libero Foro, già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 221 Serre vibonesi, dettagliatamente descritti nella relazione della Commissione. Alla luce delle risultanze dell’attività svolta dalla Commissione d’accesso, la Prefettura di Vibo Valentia inoltrava, dunque, al Ministero dell’Interno relazione negativa, con la quale veniva proposto ai superiori Uffici ministeriali lo scioglimento del Consiglio Comunale di Nardodipace. Tale proposta esitava nel d.P.R. del 19 dicembre 2011, con cui veniva disposto lo scioglimento del predetto Consiglio comunale per la durata di 18 mesi ai sensi dell’art. 143, d.lgs. n. 267/2000. In conseguenza degli esposti avvenimenti, il Ministero dell’Interno inviava al Tribunale di Vibo Valentia la proposta di scioglimento del Consiglio Comunale ai fini della valutazione in merito alla ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 143, comma 11, d.lgs. n. 267/2000, per la dichiarazione di incandidabilità con riferimento agli amministratori locali individuati dalla commissione per l’accesso. Il procedimento veniva definito con decreto del 10 ottobre 2013, con cui il Tribunale di Vibo Valentia dichiarava l’incandidabilità dei soli L.R. e T.R., rigettando, di contro, la domanda nei confronti degli altri amministratori locali. Avverso tale provvedimento interponevano reclamo innanzi alla Corte d’appello di Catanzaro sia il Ministero dell’Interno, sia i sigg. L.R. e T.R. Con sentenza del 22 luglio 2014, la Corte territoriale calabrese dichiarava improcedibile il reclamo proposto dall’Amministrazione, ritenendo che non potesse più trovare applicazione la misura dell’incandidabilità (prevista dalla legge con esclusivo riferimento al primo turno elettorale successivo allo scioglimento) poiché, successivamente allo scioglimento del Consiglio comunale, nella Regione si erano già svolti due turni elettorali. Contro tale decisione proponevano ricorso straordinario per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Catanzaro ed il Ministero dell’Interno. Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione, nel cassare con rinvio l’impugnata sentenza, affronta - per la prima volta - il delicato tema dell’ambito temporale di applicazione della declaratoria di incandidabilità degli amministratori locali disposta ai sensi dell’art. 143, comma 11, d.lgs. n. 267/2000. 2. L’ambito temporale di efficacia della declaratoria di incandidabilità degli amministratori degli Enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose. La pronuncia in commento rappresenta un unicum nel panorama giurisprudenziale. Difatti, per la prima volta dalla sua introduzione all’interno del corpus dell’art. 143 T.U.E.L. (operata dalla l. 15 luglio 2009, n. 94), la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla delicata problematica relativa all’individuazione dell’ambito temporale di applicazione della misura dell’incandidabilità degli amministratori locali che, con la loro condotta, abbiano 222 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 causato lo scioglimento dell’Ente di appartenenza (comunale o provinciale) per infiltrazioni e/o condizionamento di tipo mafioso (1). Com’è noto, tale misura è contemplata dal comma 11 dell’art. 143 T.U.E.L.., il quale stabilisce che, fatta salva l’applicazione di ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo (2). Il giudizio (cui si applicano, in quanto compatibili, le norme sul rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.) è instaurato direttamente a seguito di iniziativa del Ministro dell’Interno, il quale invia, senza ritardo, la proposta di scioglimento - corredata dalla relazione prefettizia di accompagnamento che ne costituisce parte integrante - al tribunale competente per territorio, ed è finalizzato ad accertare la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 dell’art. 143 T.U.E.L. con riferimento agli amministratori indicati nella medesima proposta (3). Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte affronta la delicata problematica relativa alla definizione dei confini temporali di operatività dell’incandidabilità, sotto il duplice profilo della durata dell’efficacia interdittiva della misura e dell’individuazione del dies a quo di decorrenza dei suoi effetti. Sotto il primo aspetto gli Ermellini fanno propria la soluzione, già precedentemente accolta da una parte della giurisprudenza di merito (4) e della dottrina (5), secondo cui l’univoco tenore letterale della disposizione recata dal (1) Per una più approfondita analisi dell’istituto dello scioglimento dei consigli comunali (e provinciali) degli enti locali per infiltrazioni o condizionamento di tipo mafioso sia consentito rinviare a ROMEI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento mafioso, in Rass. Avv. Stato, 2014, 2, 358 e ss. Sull’argomento si vedano, altresì, ALFANO-GULLOTTI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata, in Nuova rassegna on line, 3, 2010; STADERINI, Diritto degli enti locali, Padova, 2011; LONGO, Lo scioglimento dei consigli comunali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso e questione di contesto, in Foro amm. CdS, 2008, 880 e ss.; LEOTTA, Breve rassegna di giurisprudenza in materia di provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, Intervento al Workshop “Infiltrazioni mafiose e P.A.”, Siracusa, 26 maggio 2007, in www.giustizia-amministrativa.it; GAGLIARDI, Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalità organizzata, in Foro amm. CdS, 11, 2005; CELLA, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni o condizionamento di tipo mafioso, in Foro amm. TAR, 2004, 1209 e ss. (2) Per una panoramica sull’istituto di nuova introduzione sia consentito rinviare nuovamente a ROMEI, Lo scioglimento dei consigli comunali, cit., 380 e ss. nonché a ALFANO-GULLOTTI, op. cit. (3) Per un’approfondita analisi delle problematiche correlate alla natura del procedimento volto alla declaratoria di incandidabilità, si veda ROMEI, L’incandidabilità del Sindaco e degli amministratori locali che hanno causato lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, in Rass. Avv. Stato, 2015, 1, 76 e ss. (4) Cfr. App. Napoli, sez. I, 16 agosto 2012, n. 2926 (inedita). (5) Sul punto si vedano ROMEI, Lo scioglimento dei consigli comunali, cit., 382-383; ID., L’incandidabilità del Sindaco, cit., 84-85. CONTENZIOSO NAZIONALE 223 comma 11 dell’art. 143 T.U.E.L. (chiaramente evidenziato dall’utilizzo della congiunzione coordinante copulativa “e”, solitamente adoperata per esprimere l’unione di due elementi, e non già della congiunzione coordinante semplice disgiuntiva “o”, solitamente usata per esprimere un’alternativa) impone all’interprete di riferire la norma al primo turno di tutte le tornate elettorali - regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali - che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento. Questa interpretazione, oltre ad essere l’unica compatibile con il dato testuale della norma, è - a parere di chi scrive - anche la sola conciliabile con la ratio legis sottesa all’introduzione della misura. Difatti, come recentemente chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (6), l’incandidabilità rappresenta un rimedio di extrema ratio volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che il provvedimento dissolutorio dell’organo elettivo dell’Ente ha inteso ovviare e a salvaguardare beni primari dell’intera collettività nazionale, individuabili non solo nella sicurezza pubblica, nella trasparenza e nel buon andamento delle amministrazioni comunali, ma soprattutto nel “regolare funzionamento dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la «credibilità» delle amministrazioni locali presso il pubblico e il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni”; beni compromessi o messi in pericolo, non solo dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile, secondo la scelta non irragionevolmente compiuta dal legislatore, con altri apparati preventivi o sanzionatori previsti dall’ordinamento. La funzione di eradicamento del condizionamento mafioso propria dell’istituto uscirebbe, infatti, certamente svilita dall’interpretazione restrittiva della norma fatta propria dal giudice di appello nella vicenda sottoposta all’esame della Corte; l’accoglimento di tale impostazione ermeneutica, difatti, finirebbe, da un lato, per circoscrivere l’ambito di applicazione della misura ad un ristrettissimo arco temporale (considerata la frequenza normalmente annuale di indizione delle consultazioni elettorali ai vari livelli di governo del territorio), rendendone, di conseguenza, irrilevante l’applicazione, mentre, dall’altro, determinerebbe la pressoché completa frustrazione dell’effetto “sterilizzante” degli organi elettivi rispetto ai condizionamenti della criminalità organizzata perseguita dal legislatore, considerato che gli amministratori vicini agli ambienti malavitosi potrebbero agevolmente “accasarsi” presso gli organi elettivi immediatamente prossimi a quello di provenienza, perpetuando la loro funzione “inquinante” degli apparati politici, amministrativi e burocratici degli Enti presenti sul territorio. Parimenti condivisibile è anche il principio sancito dalla sentenza in com- (6) Cfr. Cass. civ., sez. un., 30 gennaio 2015, n. 1747, in Rass. Avv. Stato, 2015, 1, 86 e ss., con nota di ROMEI, L’incandidabilità del Sindaco, cit., 77-81. 224 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 mento relativamente all’individuazione del termine iniziale di decorrenza degli effetti della misura, correttamente individuato dalla Suprema Corte nel momento in cui il provvedimento giurisdizionale dichiarativo dell’incandidabilità diviene definitivo. Questa soluzione - come, del resto, già rilevato in dottrina (7) - oltre che essere coerente con il tenore letterale della disposizione (alla stregua del canone interpretativo di cui all’art. 12 disp. prel. c.c.) e rispettosa del principio generale secondo cui le limitazioni al diritto di elettorato passivo, garantito dall’art. 51 Cost., per essere conformi al dettato costituzionale, devono considerarsi di stretta interpretazione (8), è, altresì, conforme all’intento legislativo di operare una netta distinzione tra la misura prevista dall’art. 143, comma 11, T.U.E.L. e le altre cause di incandidabilità (in precedenza) previste dall’art. 58 T.U.E.L., oggi confluito nel d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 (c.d. legge Severino) (9). Difatti, la misura di cui all’art. 143, comma 11, T.U.E.L., a differenza dell’ipotesi contemplata dall’abrogato art. 58 T.U.E.L. (10), ove l’incandidabilità conseguiva come vera e propria obbligatoria sanzione accessoria ad una sentenza di condanna definitiva per i delitti ivi espressamente indicati, assume una precisa finalità cautelativa e di prevenzione, sì da attuare - almeno nelle intenzioni del legislatore - una modalità di controllo sulle candidature, quanto meno in una fase circoscritta temporalmente e, comunque, successiva allo scioglimento del consiglio (comunale o provinciale). Tale fondamentale differenza emerge, del resto, dallo stesso tenore letterale dell’art. 143, comma 11, T.U.E.L., il quale, nel prevedere che il tribunale valuti la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa, impone al giudice l’effettuazione di una effettiva e nuova ponderazione delle ragioni che hanno condotto allo scioglimento dell’organo elettivo. Infatti, lungi dal sancire alcun automatismo tra lo scioglimento dell’ente e l’incandidabilità degli amministratori decaduti dalla carica (come accadeva, invece, per l’incandidabilità di cui all’art. 58 T.U.E.L., che deriva quale conseguenza automatica del venire in essere di una delle si- (7) Cfr. ROMEI, Lo scioglimento dei consigli comunali, cit., 383-384; ID., L’incandidabilità del Sindaco, cit., 84-85. (8) Cfr., ex plurimis, Corte cost., ord. 24 febbraio 2014, n. 34, in www.cortecostituzionale.it; id., 5 giugno 2013, n. 120, in Giur. cost., 2013, 3, 1936; id., 15 luglio 2010, n. 257, in Giur. cost., 2010, 4, 3117, e in Foro amm. CdS, 2011, 2, 377; id., 2 luglio 2008, n. 240, in Giur. cost., 2008, 4, 2845 id., 3 ottobre 2003, n. 306, in Giur. cost., 2003, 5; id., 30 ottobre 1996, n. 364, in Giust. civ., 1997, I, 345; id., 6 maggio 1996, n. 141, in Foro amm., 1997, 73; id., 13 luglio 1994, n. 295, in Riv. giur. polizia locale, 1996, 249; id., 17 giugno 1992, n. 280, in Giur. it., 1994, I, 524, con nota di POLICE. In senso analogo anche la dottrina costituzionalistica: cfr., per tutti, MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1991, 480. (9) Cfr., amplius, ROMEI, L’incandidabilità del Sindaco, cit., 81-84; nonché ALFANO-GULLOTTI, op. cit. (10) L’art. 58 T.U.E.L. (oggi confluito nell’art. 10 d.lgs. n. 235/2012) prevedeva, quali cause ostative alla candidabilità, tra le altre, l’aver riportato una condanna definitiva per il delitto previsto dall’art. 416-bis c.p. nonché l’essere stati destinatari, in forza di un provvedimento definitivo, di una misura di prevenzione in relazione alla partecipazione ad associazioni di carattere mafioso. CONTENZIOSO NAZIONALE 225 tuazioni contemplate dalla norma), il legislatore ne ha rimesso l’accertamento alla magistratura ordinaria, che deve valutare, sia pure nelle forme rapide e sommarie del giudizio in camera di consiglio, nel cui ambito è comunque garantito il contraddittorio, la ricorrenza dei presupposti di cui al comma 1 dell’art. 143 T.U.E.L. relativamente alla posizione non già dell’apparato amministrativo e/o burocratico nel suo complesso, ma di ogni singolo amministratore indicato nella proposta ministeriale. Dalla su esposta interpretazione discende che, durante la pendenza del giudizio e fino al passaggio in giudicato del suo provvedimento conclusivo, gli amministratori locali devono essere ritenuti pienamente candidabili, con conseguente validità delle elezioni che si siano eventualmente svolte medio tempore (11). Del resto - precisa condivisibilmente la Corte - diversamente opinando e, cioè, ritenendo la misura operante già con riferimento alle prime elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali che si svolgono successivamente allo scioglimento dell’Ente locale, si perverrebbe ad una sostanziale tacita abrogazione dell’istituto de quo, che risulta tanto più irragionevole ove si consideri che, allorché la sentenza intervenga a distanza di lungo tempo dalla dissoluzione dell’Ente, essa condurrebbe alla paradossale conclusione di rendere inoperante la misura proprio allorché il provvedimento dichiarativo dell’incandidabilità assume il connotato della definitività. Cassazione Civile, Sez. I, sentenza 22 settembre 2015, n. 18696 - Pres. Salvago, Rel. Lamorgese, P.M. Del Core (conforme al ricorso del Procuratore Generale) - Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catanzaro e Ministero dell’Interno (Avv. Gen. Stato) c. L.R., T.R., T.A., L.P., M.A., F.A., F.A. (avv. La Grotteria). Svolgimento del processo 1. Il Presidente della Repubblica, con decreto 19.12.2011, su proposta del Ministero dell’Interno, ha disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Nardodipace per la durata di diciotto mesi, ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 143 (t.u. degli enti locali), per l’esistenza di ingerenze della criminalità organizzata. Il Ministero dell’Interno ha avviato presso il Tribunale di Vibo Valentia, ai sensi del medesimo art. 143, comma 11, il procedimento per la declaratoria di incandidabilità di coloro che a vario titolo erano stati amministratori di quel Comune: sig.ri L.R. e T.R., rispettivamente sindaco e vice sindaco, nonché T.A., L.P., M.A., F.A. e F.U. 2. Il Tribunale di Vibo Valentia, con decreto 21.10.2013, ha dichiarato incandidabili i primi due e ha rigettato la domanda nei confronti degli altri. (11) Contra GAGLIOTI, L’incandidabilità per lo scioglimento degli organi elettivi degli enti locali (Nota a Cassazione, Sez. I, 22 settembre 2015, n. 18696), in www.lexitalia.it, secondo cui dovrebbe considerarsi più in linea con la ratio della norma di cui al comma 11 dell’art. 143 T.U.E.L. escludere la candidabilità del soggetto sin dallo scioglimento dell’Ente locale, avendo l’accertamento definitivo dei presupposti per l’incandidabilità in capo agli amministratori locali coinvolti una mera funzione di mantenimento dei relativi effetti. 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 3. Avverso il suddetto decreto hanno proposto reclamo il Ministero dell’Interno, il quale ha lamentato che erroneamente era stata esclusa l’incandidabilità di alcuni amministratori, sia i sig.ri L.R. e T.R., i quali hanno dedotto che, successivamente allo scioglimento del consiglio comunale, si erano già svolti due turni elettorali nella Regione Calabria, sicché la richiesta di declaratoria di incandidabilità avanzata dal Ministero doveva giudicarsi improcedibile. 4. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 22.7.2014, per quanto ancora interessa, ha dichiarato improcedibile la domanda del Ministero volta alla declaratoria di incandidabilità di tutti gli amministratori del disciolto consiglio comunale. La Corte, tenuto conto che si erano svolti già due turni elettorali (in data 6-7.5.2012 e 26-27.5.2013) nella regione successivamente allo scioglimento del consiglio comunale, ha ritenuto che non potesse più trovare applicazione la misura di carattere preventivo e sanzionatoria della incandidabilità che era prevista dalla legge con esclusivo riferimento al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso. 5. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale presso la Corte d’appello di Catanzaro, cui ha aderito con controricorso il Ministero dell’Interno, che ha proposto anche un autonomo ricorso. Resistono con controricorso i sig.ri R., R. e T.A., L., M., A. e F.A. Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione 1. I controricorrenti eccepiscono l’inammissibilità del ricorso della Procura generale della Repubblica presso la Corte d’appello, in quanto priva di legittimazione ad agire, non essendo stata parte, nemmeno interveniente, nei precedenti gradi di giudizio; eccepiscono, inoltre, la tardività e, quindi, inammissibilità del ricorso del Ministero dell’Interno. 1.1. La prima delle due eccezioni in esame è infondata. Nelle azioni per la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori locali responsabili di condotte che hanno dato causa allo scioglimento dell’ente locale per fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 22, comma 10, (come già il D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 82, comma 2, sostituito dall’art. 1 del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570) attribuisce al Procuratore generale presso la Corte d’appello, benché sfornito del potere di azione in materia elettorale, il potere di impugnazione della decisione della medesima Corte d’appello, evidentemente ancorché non sia stato parte nel giudizio di merito. 1.2. La seconda eccezione è fondata. Avverso la sentenza impugnata, notificata al Ministero dell’Interno presso l’Avvocatura dello Stato l’8.8.2014, la Procura generale presso la Corte d’appello di Catanzaro ha notificato tempestivamente il ricorso per cassazione il 1.9.2014. Un successivo ricorso è stato proposto dal Ministero dell’Interno sia con atto denominato come controricorso, ma da intendere come ricorso incidentale (v., tra le tante, Cass. n. 4252/1976), notificato in data 24.10.2014, sia con un successivo ricorso notificato il 3.12.2013: in entrambi gli atti il Ministero, in sostanziale adesione al ricorso principale della Procura generale, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata. Nella costante giurisprudenza di questa Corte si è affermato il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, il quale comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione (principale), tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; pertanto, sebbene quest’ultima modalità non possa considerarsi essenziale, dal momento che ogni ricorso successivo al primo si converte in ricorso inciden- CONTENZIOSO NAZIONALE 227 tale, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, la sua ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) per la notificazione del controricorso, risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dal termine (breve o lungo) di impugnazione in astratto operativo, a norma dagli artt. 325 e 327 c.p.c. (v. Cass. n. 5695/2015, n. 20136 e 26622/2005, n. 7325/2002) o - può aggiungersi - di disposizioni speciali, qual è quella contenuta nel D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, comma 10, che stabilisce il termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza per proporre il ricorso per cassazione in materia elettorale. Tale principio - è stato anche precisato - non trova deroghe riguardo alle impugnazioni di tipo adesivo che perseguono lo scopo di rimuovere il medesimo capo della sentenza sfavorevole o capi della sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione o che si rivolgono contro una parte non impugnante. Nel caso in esame, considerando che il suddetto termine di quaranta giorni è ridotto a venti giorni (dieci più dieci), a norma del citato D.Lgs. del 2011, art. 22, comma 11, che stabilisce che nel giudizio di cassazione relativo alle cause elettorali “tutti i termini del procedimento sono ridotti della metà”, come già previsto dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, comma 3, (v. Cass., s.u., n. 360/1977), entrambi i ricorsi del Ministero dell’Interno sono tardivi, in quanto non rispettosi del predetto termine, decorrente dalla scadenza del periodo feriale (16.9.2014) durante il quale il ricorso principale della Procura generale è stato notificato (il 1.9.2014), tenuto conto che il ricorso per cassazione in materia elettorale è soggetto alla sospensione feriale dei termini (v. Cass. n. 2195/2003). Ne consegue l’inammissibilità dei ricorsi del Ministero dell’Interno. 2. Nell’unico motivo di ricorso, la Procura generale presso la Corte d’appello di Catanzaro denuncia la violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, per avere la sentenza impugnata ingiustificatamente circoscritto la declaratoria di incandidabilità alla prima tornata elettorale temporalmente successiva al decreto presidenziale di scioglimento, mentre l’intendimento del legislatore era di impedire la possibilità di candidarsi al primo turno successivo di ciascuna elezione regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale che si svolga nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato; di conseguenza, la pronuncia definitiva di incandidabilità che sopraggiunga dopo lo svolgimento del primo turno di una o più elezioni tra quelle elencate, è destinata a produrre i suoi effetti con riferimento alle altre elezioni (tra quelle elencate) non ancora svoltesi dopo lo scioglimento. 2.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione. Ai fini dell’interpretazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, che per la prima volta viene all’esame di questa Corte nei termini prospettati, si pone un duplice ordine di problemi nell’individuazione dell’ambito applicativo dell’incandidabilità temporanea prevista per gli amministratori locali che si siano resi colpevoli della cattiva gestione della cosa pubblica. Il primo riguarda l’individuazione di quali siano le elezioni, tra quelle (regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali) indicate, cui si riferisce la norma nel prevedere l’incandidabilità al primo turno elettorale successivo allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali; il secondo riguarda l’operatività della incandidabilità nel caso in cui il provvedimento che la dichiari in modo definitivo sopraggiunga quando uno o più turni elettorali si siano già tenuti nella regione successivamente allo scioglimento. 2.1.1. La norma dispone che “Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, 228 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo”. L’univoco tenore letterale e grammaticale della norma, chiaramente evidenziato dall’utilizzo della congiunzione coordinante “e”, solitamente adoperata per esprimere l’unione di due elementi, e non della congiunzione disgiuntiva “o”, solitamente usata per esprimere un’alternativa, consente di identificarne l’ambito applicativo in relazione a tutte le tornate elettorali indicate. Di conseguenza, la candidatura è preclusa nel primo turno elettorale di ciascuna delle predette elezioni (regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali) che si svolgano, successivamente allo scioglimento, nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato. La diversa interpretazione proposta dalle parti private, nel senso che l’incandidabilità opererebbe esclusivamente con riferimento al primo turno della prima (intesa come una qualsiasi) elezione, tra quelle sopra indicate, che si svolga successivamente allo scioglimento, non è condivisibile. La norma, se ha precisato quali siano le elezioni cui si riferisce l’incandidabilità, cioè quelle regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, è perché ha inteso implicitamente ma chiaramente riferirsi a tutte queste elezioni e, quindi, al primo turno di ciascuna di esse, posto che altrimenti si sarebbe limitata a riferire l’incandidabilità al primo turno di una qualsiasi elezione che si svolga nella regione successivamente allo scioglimento dell’ente. L’interpretazione qui confutata, inoltre, produce l’effetto di sminuire irragionevolmente l’ambito applicativo della misura interdittiva nei confronti degli amministratori locali colpevoli della cattiva gestione della cosa pubblica. Si tratta di una misura che le Sezioni Unite di questa Corte hanno configurato come un rimedio volto alla salvaguardia di beni primari della collettività nazionale, al fine di evitare il ricrearsi delle situazioni, cui lo scioglimento dell’ente ha inteso ovviare, di ingerenza e condizionamento da parte delle associazioni criminali operanti sul territorio (v., in tal senso, Cass., s.u., n. 1747/2015) . 2.1.2. Con riguardo all’ambito temporale di operatività della misura interdittiva in esame, secondo l’interpretazione seguita nella sentenza impugnata, l’incandidabilità, sebbene dichiarata con provvedimento giurisdizionale definitivo, non potrebbe operare rispetto alle elezioni successive (al suddetto provvedimento), nel caso in cui una o più elezioni si siano già svolte dopo lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale e nelle more del procedimento giurisdizionale, in considerazione del dato letterale che farebbe limitato riferimento “al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso”. Il problema si pone quando, com’ è avvenuto nel caso in esame, vi sia una distanza temporale - che in una ridotta misura è fisiologica, nonostante l’urgenza con la quale è previsto che siano trattate le controversie in materia elettorale (del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, comma 16) - tra la data di scioglimento dell’ente e l’adozione del provvedimento definitivo di incandidabilità. In tal caso, è ben possibile che dopo la prima data e prima del provvedimento definitivo di incandidabilità si tengano turni elettorali nell’ambito della regione, ai quali potrebbero partecipare i medesimi candidati colpiti dalla misura interdittiva divenuta definitiva solo successivamente. L’interpretazione sostenuta dalle parti private non è condivisibile, perché conduce a una sostanziale e implicita abrogazione della norma, che sarebbe tanto più irragionevole in quanto renderebbe l’incandidabilità inoperativa proprio quando il provvedimento giurisdizionale assuma il carattere della definitività. È invece ragionevole interpretare la norma nel senso che l’incandidabilità operi quando, come previsto dalla norma, “sia dichiarata con provvedimento definitivo”, valendo evidentemente CONTENZIOSO NAZIONALE 229 per tutti i turni elettorali successivi che si svolgeranno nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, sebbene nella stessa regione si siano svolti uno o più turni elettorali (di identica o differente tipologia) successivamente allo scioglimento dell’ente ma prima che il provvedimento giurisdizionale dichiarativo dell’incandidabilità abbia assunto il carattere della definitività. È opportuno precisare che neppure è condivisibile la diversa opinione, che sembra adombrata dalla stessa Procura generale nel motivo in esame, secondo la quale la pronuncia definitiva di incandidabilità, ove sopravvenga dopo lo svolgimento del primo turno di una o più elezioni, sarebbe destinata a produrre i suoi effetti con riferimento soltanto alle “altre” (tipologie di) elezioni tra quelle elencate, cioè diverse da quelle già svoltesi dopo lo scioglimento dell’ente, poiché per queste ultime l’incandidabilità non potrebbe operare nei turni elettorali successivi al provvedimento giurisdizionale definitivo che l’abbia accertata. Questa interpretazione non è condivisibile, laddove attribuisce effetti esecutivi ad un provvedimento di incandidabilità prima che sia divenuto definitivo e non considera che nelle elezioni precedenti la persona era candidabile ed eleggibile (salva la ricorrenza di una specifica causa di ineleggibilità o incompatibilità), divenendo incandidabile solo per effetto del provvedimento giurisdizionale definitivo e con riferimento alle elezioni successive nel senso che si è chiarito (nel precedente p. 2.1.1). L’interpretazione qui seguita, oltre che coerente con il tenore letterale della disposizione, è rispettosa del principio generale di libero accesso di tutti i cittadini in condizioni di uguaglianza alle cariche elettive (art. 51 Cost.) che è possibile limitare soltanto per la necessità di garantire un elettorato passivo scevro da contaminazioni e condizionamenti da parte della malavita organizzata. 3. In conclusione, il ricorso principale è accolto nei termini sopra precisati e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, che dovrà decidere la causa nel merito, facendo applicazione dei principi sopra enunciati, nonché provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibili i ricorsi del Ministero dell’Interno; in accoglimento del ricorso della Procura generale presso la Corte d’appello di Catanzaro, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 5 giugno 2015. Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2015. 230 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Autorità amministrative indipendenti e principio di legalità nella prospettiva nazionale ed europea NOTA A CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI, SENTENZA 1 OTTOBRE 2014 N. 4874 Francesco Maria Ciaralli* SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Primo livello: compatibilità degli atti di regolazione con il principio di legalità. Il problema dei poteri impliciti - 3. Secondo livello: conformità a Costituzione del modello delle Autorità amministrative indipendenti. Principio di legalità costituzionale - 4. Terzo livello: principio di legalità comunitaria delle Autorità amministrative indipendenti - 5. Rilievi conclusivi. 1. Premessa. Con la sentenza 1 ottobre, 2014, n. 4874, che qui si annota, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha indagato i rapporti tra il principio di legalità e gli atti di regolazione delle Autorità amministrative indipendenti, con peculiare riguardo alla questione dei poteri impliciti. Il Consiglio di Stato rinviene nel principio di legalità in senso formale il “contraltare sistematico” del deficit di legalità sostanziale che connota le Autorità di regolazione, le cui leggi istitutive sovente si limitano a fissare gli obiettivi da perseguire ed i valori da tutelare. Particolare rilevanza è annessa alle garanzie partecipative ed al contraddittorio che, in una correlazione inversa, assolvono la funzione di bilanciare la carenza di una precisa declinazione dei criteri direttivi e del contenuto degli atti che le Autorità sono abilitate ad emanare. Nella nota che segue, i rapporti, finanche turbolenti, tra principio di legalità ed Autorità indipendenti sono affrontati nella prospettiva della legge ordinaria, dei parametri costituzionali ed, infine, comunitari. 2. Primo livello: compatibilità degli atti di regolazione con il principio di legalità. Il problema dei poteri impliciti. Al fine di introdurre un assetto disciplinare idoneo ad evitare fallimenti di mercato, nonché ad assicurare un quadro di regole stabili e pro-concorrenziali, l’ordinamento ha conferito a talune Autorità amministrative indipendenti (ex plurimis, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas) poteri regolatori da esercitare ex ante tramite l’emanazione di atti normativi (regolamenti) ed atti amministrativi generali, non limitando conseguentemente l’attività di tali Autorità a compiti di mera “aggiudicazione”, consistente nell’applicazione ex post della * Dottorando di Ricerca in “Diritto ed Impresa” presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma, già praticante forense presso l’Avvocatura dello Stato e tirocinante presso il Consiglio di Stato. CONTENZIOSO NAZIONALE 231 legge al caso concreto (come invece avviene per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato) (1). Il Legislatore, nel conferire alle Autorità di regolazione competenze generali e normative, si limita sovente all’individuazione degli obiettivi da perseguire e dei valori da tutelare, senza specificare precisi criteri direttivi né la tipologia attizia degli strumenti operativi conferiti ai Regolatori. Si è dunque posto il problema della peculiare “torsione” cui risulta esposto il principio di legalità sostanziale, sotto il duplice aspetto della gerarchia delle fonti e dell’allocazione dei poteri tra i diversi organi pubblici, atteso che alle Autorità di regolazione è rimessa non solo la determinazione dei meccanismi di funzionamento del settore interessato, ma anche la scelta degli strumenti operativi da utilizzare (2). Il principio di legalità sostanziale, nella sua accezione tradizionale, pur non richiedendo la rigida predeterminazione legale dell’an e del quomodo della regolazione, nondimeno postula l’individuazione dello scopo da perseguire, nonché del contenuto e delle condizioni di esercizio dell’attività (3). Tale tradizionale declinazione del principio di legalità in senso sostanziale non può, tuttavia, trovare tout court ingresso nella disciplina dei poteri regolamentari commessi alle Autorità di regolazione, posto che è proprio il particolare tecnicismo del settore ad imporre il costante adeguamento del contenuto delle regole tecniche all’evoluzione del sistema. Diversamente opinando, secondo la sentenza che si annota, sarebbe frustrata la stessa ratio che giustifica l’attribuzione di poteri normativi e sarebbe dunque ostacolato il perseguimento degli scopi della regolazione. Conseguentemente, si ritiene conforme a Costituzione, in relazione agli atti regolatori in esame, la sola predeterminazione legale, purché caratterizzata da adeguati livelli di certezza, degli obiettivi propri dell’attività e dei limiti all’esercizio in concreto di tale attività. Siffatta connotazione del paradigma di legalità schiude un particolare profilo problematico con riferimento ai cc.dd. poteri impliciti, per tali intendendosi quei poteri che, sebbene non espressamente conferiti dalla legge, siano nondimeno strumentali al raggiungimento dei fini istituzionali assegnati. Sul punto non si rinvengono orientamenti univoci in giurisprudenza, atteso che una rilevante pronuncia (4) ha ritenuto indefettibile una “relazione di rigida conformità (per cui (1) La distinzione tra poteri di intervento ex ante (rulemaking) ed ex post (adjudication), che implicano diverse esigenze di disciplina e tutela, costituisce un’acquisizione che risale al Final Report of Attorney General's Committee on Administrative Procedure del 1939, prodromico all’approvazione, nel 1946, dell’Amministrative Procedure Act. (2) Tar Lombardia, Milano, III, 14 marzo 2013, n. 683, in osservatorioappalti.it. (3) In tal senso Cons. Stato, VI, 2 maggio 2012, n. 2521, in osservatorioair.it. (4) Tar Lombardia, Milano, III, 14 marzo 2013, n. 683, cit., sul cui appello non ha potuto, per rinuncia al ricorso primo grado, pronunciarsi nel merito il Consiglio di Stato (Cons. Stato, VI, 3 marzo 2014, n. 967). 232 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 devono considerarsi legittimi i soli atti previsti e autorizzati dalla norma di legge)”, specie laddove si incida sull’autonomia privata, mentre in altra sentenza si è affermato che “una predeterminazione legislativa rigida sarebbe di ostacolo al perseguimento di tali scopi [di regolazione]: da qui la conformità a Costituzione, in relazione agli atti regolatori in esame, dei poteri impliciti” (5). La delineata parziale dequotazione del principio di legalità sostanziale, giustificata in ragione della valorizzazione degli obiettivi da conseguire, tuttavia impone il rafforzamento del principio di legalità procedimentale che si sostanzia, inter alia, nella previsione di specifici moduli di partecipazione degli operatori del settore al procedimento di formazione degli atti regolamentari. Il rafforzamento delle garanzie di legalità in senso procedimentale si rende necessario, inoltre, a causa dello stesso connotato di indipendenza delle Autorità di regolazione, come tali sottratte al circuito politico-rappresentativo, che avvince le scelte di indirizzo amministrativo alla responsabilità politica dell’organo esecutivo di vertice (c.d. “democrazia procedurale” intesa come strumento sostanzialmente surrogatorio della dialettica propria delle strutture stricto sensu rappresentative) (6). L’esigenza garantista di rafforzare schemi partecipativi uniformi, onde bilanciare la vis expansiva dei poteri delle Autorità indipendenti, ha trovato compiuta espressione negli Stati Uniti d’America con l’Administrative Procedure Act del 1946 (7). Per quanto concerne le garanzie procedurali relative all’attività di regolazione, un’apposita Sezione della legge stabilisce il diritto per i soggetti coinvolti di presentare memorie e documenti, con eventuale facoltà di discuterli oralmente, nonché l’obbligo per l’Autorità di riscontrare in motivazione le osservazioni rilevanti. Nella specie, la Section 4 dell’APA, espressamente rubricata Rulemaking, (5) Cons. Stato, VI, 2 maggio 2012, n. 2521, cit. (6) In termini, Cons. Stato sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7972, in osservatorioair.it. Si segnala il passaggio più rilevante dell’iter motivazionale: “Del resto, non è pensabile che l’attività di regulation venga svolta senza la necessaria partecipazione al procedimento dei soggetti interessati: nei settori regolati dalle Autorità, in assenza di un sistema completo e preciso di regole di comportamento con obblighi e divieti fissati dal legislatore, la caduta del valore della legalità sostanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del contraddittorio (la dottrina ha sottolineato che si instaura una correlazione inversa tra legalità sostanziale e legalità procedurale: quanto meno è garantita la prima, per effetto dell’attribuzione alle Autorità indipendenti di poteri normativi e amministrativi non compiutamente definiti, tanto maggiore è l’esigenza di potenziare le forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessanti nel procedimento finalizzato all’assunzione di decisioni che hanno un impatto così rilevante sull’assetto del mercato e sugli operatori)”. Per l’inquadramento sistematico della decisione, si segnala: CIRILLO, CHIEPPA, Le Autorità amministrative indipendenti, Padova, 2010, p. 439, nonché in prospettiva generale si veda CASSESE (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, IV ed., p. 103. (7) Significativamente l’APA fu definito dal Senatore Pat McCarran come "a bill of rights for the hundreds of thousands of Americans whose affairs are controlled or regulated" dalle agenzie federali. CONTENZIOSO NAZIONALE 233 prescrive che “After notice required by this section, the agency shall afford interested persons an opportunity to participate in the rule making through submission of written data, views, or arguments with or without opportunity to present the same orally in any manner; and, after consideration of all relevant matter presented, the agency shall incorporate in any rules adopted a concise general statement of their basis and purpose” (8). La necessità di tali garanzie partecipative, con peculiare riferimento alla consultazione preventiva degli operatori del settore (“notice and comment”), è stata riaffermata nel parere reso dal Consiglio di Stato, Sezione consultiva atti normativi, 6 febbraio 2006, n. 355, sullo schema del c.d. Codice degli appalti, valorizzando altresì il richiamo al rapporto tra consultazione e qualità della regolazione evidenziato, a livello comunitario, dal Protocollo n. 7 al Trattato di Amsterdam. Con riferimento ai provvedimenti delle Autorità di regolazione operanti nei mercati assicurativi, finanziari e creditizi, la legge 262/2005 (art. 23) ha partitamente indicato i contenuti di tali garanzie procedurali, ponendo in particolare l’accento sulla necessaria predisposizione di una relazione avente per oggetto l’analisi di impatto della regolazione, nonché sull’onere di motivare i provvedimenti aventi natura regolamentare o di contenuto generale che invece, alla stregua di quanto in via ordinaria disposto dall’art. 3, c. 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241, non abbisognano di motivazione. 3. Secondo livello: conformità a Costituzione del modello delle Autorità amministrative indipendenti. Principio di legalità costituzionale. Il principio di legalità in senso formale e le garanzie partecipative, lungi dall’esaurire la propria funzione sul piano dei rapporti tra legge ordinaria ed atti di regolazione, svolgono un ruolo ancor più rilevante nella prospettiva del giudizio di compatibilità costituzionale delle Autorità. Salendo di livello nella gerarchia delle fonti, infatti, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sull’innesto costituzionale di un modello organizzativo, quale quello delle Autorità indipendenti, che la Costituzione del 1948 non contempla. L’art. 95 Cost., anzi, recependo uno schema proprio della forma di governo parlamentare e risalente alla legge Cavour del 1853, afferma che i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri; con ciò, si inserisce l’amministrazione attiva nel circuito politico rappresentativo, attesa la responsabilità politica dell’esecutivo dinanzi al Parlamento, che può sanzionarne l’azione mediante il voto di sfiducia. (8) Rilevanti sono anche i “basic purposes” della legge, declinati dall’Attorney General's Manual on the Administrative Procedure Act. Nella specie: “(i) to provide for public participation in the rulemaking process; (ii) to establish uniform standards for the conduct of formal rulemaking and adjudication; (iii) to define the scope of judicial review; (iv) to require agencies to keep the public informed of their organization, procedures and rules”. 234 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Appurata la natura amministrativa delle Autorità (9), assai autorevole dottrina ne ha ritenuto la conformità a Costituzione opinando che, oltre al modello di amministrazione come struttura servente dell’esecutivo, la Carta fondamentale conosce anche un diverso modulo amministrativo, come “apparato a sé, separato dal Governo ed in genere dal potere politico: una sorta di pouvoir administratif non subordinato al potere politico, ma regolato direttamente dalla legge” (10); trattasi della c.d. Amministrazione imparziale, come emerge dal pensiero di Mario Nigro (11). La conformità a Costituzione del nuovo modello amministrativo, d’altra parte, viene argomentata alla stregua delle funzioni esercitate dalle Autorità, che sono poste a tutela di valori costituzionalmente rilevanti che si ritiene di dover sottrarre alla conflittualità del sistema politico. Proprio l’esigenza di garantire a tali valori un presidio rafforzato, sciolto dai condizionamenti della maggioranza parlamentare, giustifica l’attribuzione della relativa cura ad autorità indipendenti dal Governo e, mediatamente, anche dal Parlamento. Ciò inerisce, d’altronde, al risalente dibattito sui poteri neutri, sottratti al collegamento con il circuito rappresentativo proprio in ragione della conflittualità immanente tra tutela di valori di lungo periodo ed esigenze politiche contingenti (12). Nel quadro così tracciato, risulta essenziale il ruolo assolto dal principio di legalità in senso formale che compensa, in un’ottica di correlazione inversa, con il contraddittorio e le garanzie partecipative l’estraneità delle Autorità al circuito democratico, per tal via simmetricamente bilanciato da una “legittimazione dal basso”, fondata sul giusto procedimento e sul susseguente sindacato giurisdizionale (13). Nondimeno, la mancanza di un “baricentro costituzionale” (14) delle Au- (9) In tal senso Cass. civ. 20 maggio 2002, n. 7341, in Diritto e giustizia, che ha escluso la sussistenza di un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione, statuendo che il riconoscimento in capo alle Autorità di funzioni paragiurisdizionali non vale a farne un giudice speciale, nel rispetto dell’art. 102, secondo comma, Cost. D’altra parte, la circostanza che i provvedimenti adottati dalle Autorità a conclusione dell’istruttoria non sono suscettibili di “passare in giudicato” e possono essere soggetti allo scrutinio dell’autorità giudiziaria impedisce di attribuire agli organi emananti natura giurisdizionale. (10) NIGRO, La pubblica amministrazione fra costituzione formale e costituzione materiale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, p. 163 s. (11) Si è tuttavia fatto notare che l’amministrazione imparziale di cui all’art. 97 Cost. non può che coincidere con l’amministrazione servente di cui all’art. 95, atteso che l’imparzialità, intesa come considerazione equanime degli interessi in gioco, è requisito generale di tutta la Pubblica Amministrazione. Diversamente, indipendenza e neutralità sono proprie solo delle AAI. Per tale critica, si veda CLARICH, CORSO, ZENOVICH, Il sistema delle Autorità indipendenti: problemi e prospettive, relazione per l’Associazione Nexus. (12) CAIANIELLO, Le autorità indipendenti tra potere politico e società civile, in Foro amm., 1997, pp. 341 ss. (13) CLARICH, Garanzia del contraddittorio nel procedimento innanzi alle Autorità amministrative indipendenti, intervento al convegno Le Autorità amministrative indipendenti, in giustizia-amministrativa.it. (14) L’espressione è di ENZO CHELI, L’innesto costituzionale delle Autorità indipendenti: problemi e conseguenze, relazione scritta per il convegno organizzato da Nexus, tenutosi a Roma, 27 febbraio 2006. CONTENZIOSO NAZIONALE 235 torità ha indotto in più occasioni il legislatore a formulare un’espressa copertura, ancorata allo “svolgimento di attività di garanzia e vigilanza in materia di diritti di libertà garantiti dalla Costituzione e su materie di competenza dello Stato” (15). Tali tentativi non sono stati, ad oggi, coronati da successo. Il dibattito costituzionale induce a ritenere che il vero fondamento ed innesto costituzionale delle Autorità indipendenti riposi sul diritto dell’Unione europea, motore dell’introduzione delle Authorities, nonché fonte della contaminazione tra modelli di common e civil law che ne è alla base. 4. Terzo livello: principio di legalità comunitaria delle Autorità amministrative indipendenti. È generalmente riconosciuto che l’introduzione nel contesto nazionale delle Autorità indipendenti risponda a stimoli provenienti dall’ambito comunitario. D’altra parte, il rinnovato rapporto tra Stato e mercato, auspice la Commissione europea, costituisce una delle ragioni invocate a giustificazione dell’indipendenza delle Autorità: solo sottraendo la disciplina dei mercati all’ingerenza governativa è possibile evitare i conflitti di interesse potenziali tra Stato regolatore e Stato gestore (16). Ma v’è di più. Le fonti del diritto comunitario (rectius, euro-unitario), anche di rango primario, prescrivono direttamente in taluni casi l’introduzione delle Authorities. L’art. 8, terzo comma, della Carta di Nizza, cui è annesso lo stesso valore dei Trattati, prevede che il rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali debba essere soggetto al controllo di “autorità indipendenti”. Per quanto concerne il diritto derivato, si è fatto espresso riferimento alle Autorità in materia di comunicazioni elettroniche (art. 3 Dir. 21/02), in materia di energia elettrica (art. 23 Dir. 54/03) e gas naturale (art. 25 Dir. 55/03). Significativo è, inoltre, l’art. 107 del Trattato di Roma che, con riguardo alla BCE ed alle banche centrali nazionali, stabilisce che esse “non possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo” (17). (15) Così recitava l’art. 98-bis, che la riforma approvata in seconda lettura dalle Camere nel novembre 2005 e in séguito non confermata dal referendum popolare aveva tentato di introdurre in Costituzione. Il tenore della norma rispecchia quanto già proposto, nella legislatura precedente, dalla Commissione bicamerale per la riforma costituzionale. (16) In tal senso NAPOLITANO, voce Autorità indipendenti e agenzie amministrative, in Dizionario di diritto amministrativo, a cura di CLARICH e FONDERICO, Milano, 2007, pp. 86 ss. (17) Rilevante, nella sua chiarezza, il tenore dell’articolo, che di séguito si riporta. “Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo Statuto del SEBC, né la BCE né una Banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai Governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i Governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti”. 236 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 In tale contesto, è altresì rilevante l’inserimento delle Autorità nazionali in “reti” di regolatori europei, quali gli European Regulators Groups per le comunicazioni elettroniche e per l’energia, nonché European Competition Network in materia antitrust. L’indipendenza dal Governo è poi espressamente imposta dall’art. 7 dello Statuto del Sistema europeo delle banche centrali. Dalle disposizioni suesposte è possibile, dunque, evincere un principio di legalità comunitaria, che sorregge le Autorità nazionali e, attesa l’integrazione tra l’ordinamento interno e quello europeo, ne rappresenta il vero fondamento costituzionale. Tale conclusione è rafforzata dalla considerazione che tutte le Autorità istituite in Italia, con le uniche eccezioni della Commissione di Garanzia per l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e dell’Autorità nazionale anticorruzione, sono il frutto di esigenze maturate in ambito comunitario e che rinvengono nei Trattati il proprio ancoraggio normativo primario (basti pensare, esemplificativamente, alle materie della concorrenza, trasporti, comunicazioni, energia) (18). 5. Rilievi conclusivi. La valorizzazione delle garanzie partecipative, atteggiantesi a “contraltare sistematico” a fronte del parziale temperamento del principio di legalità in senso sostanziale, pone due principali questioni problematiche. In primo luogo, occorre determinarne la latitudine, con particolare riferimento all’onere dell’Autorità di motivare in relazione alle osservazioni formulate dagli operatori del settore nell’ambito della consultazione prodromica all’adozione dell’atto regolamentare. La giurisprudenza ha recentemente affermato (19) che l’Amministrazione non è onerata di motivare “in positivo ed in negativo” le scelte tecnico-discrezionali sottese all’emanazione di ciascun atto di regolazione, ciò che al contrario determinerebbe la trasformazione di un condivisibile meccanismo partecipativo in un inammissibile modello di immanente co-decisione con i destinatari finali della regolazione. D’altra parte, si afferma la necessità di un più pregnante apparato motivazionale con riferimento alle osservazioni che prospettano motivi di illegittimità dell’attività di regolazione, il cui mancato riscontro in motivazione non acquisisce efficacia viziante qualora in concreto le paventate illegittimità siano insussistenti, atteso il principio di strumentalità delle forme e la dequotazione dei vizi formali ex art. 21-octies, c. 2, l. 241/90. (18) È rilevante considerare che la Sezione consultiva atti normativi del Consiglio di Stato, con parere 25 febbraio 2005, n. 11603, ha posto in correlazione il rapporto tra fonte primaria ed atti di regolazione delle AAI al metodo Lamfalussy (di cui al Rapporto del Comitato di esperti della Commissione europea sulla regolazione dei mercati mobiliari europei, 20 febbraio 2001), rinvenendo proprio in ciò un segno di compatibilità col complessivo assetto ordinamentale. (19) Cfr. Cons. Stato, VI, 1° ottobre, 2014, n. 4874. CONTENZIOSO NAZIONALE 237 Ulteriore questione problematica si appunta sull’efficacia del consenso eventualmente prestato dall’operatore in ordine al progetto di regolazione reso noto dall’Autorità nell’ambito della fase partecipativa, in relazione ad una successiva contestazione in giudizio proprio degli aspetti assentiti. Il Consiglio di Stato, in una sentenza assai recente, ha escluso ogni conseguenza preclusiva discendente dalla fase partecipativa, statuendo che quest’ultima, pur potendo ridurre di fatto i margini di dissenso degli operatori interessati, non è idonea ad incidere sui diritti degli stessi, in rapporto ai provvedimenti poi in concreto adottati, la cui stessa effettiva portata, data la complessità della materia, non può prestarsi ad una compiuta valutazione ex ante (20). Può conclusivamente affermarsi che la declinazione assunta dal paradigma di legalità con riguardo alle Autorità indipendenti si atteggia a ipotesi di tipicità elastica, di cui è rilevante studiare limiti e connotati. Una prospettiva di ricerca, ancora aperta, riguarda la determinazione del valore che riveste (anche in chiave di eventuale successivo contenzioso) la condotta serbata dagli operatori del settore nella fase di consultazione preventiva: possono, in particolare, venire contra factum proprium, dolendosi senza limiti in giudizio di aspetti in precedenza assentiti? Ulteriori studi in merito si profilano di particolare interesse, accresciuto dai consistenti risvolti sul piano della pratica giudiziaria. Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 1 ottobre 2014 n. 4874 - Pres. L. Barra Carracciolo, Est. C. Contessa - Unione Nazionale Imprese Elettriche Minori (avv.ti F.G. Scoca e R. Colagrande) c. Autorità per l’energia elettrica ed il gas (avv. gen. Stato). FATTO I termini della vicenda all’origine dei fatti di causa sono descritti nel modo seguente nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia n. 1737/2011. Le società ricorrenti sono imprese elettriche minori, operanti su isole non interconnesse né direttamente né indirettamente con la RTN (esse verranno qui di seguito indicate come IEMNI, o: ‘imprese elettriche minori non interconnesse’), che producono e distribuiscono energia elettrica a prezzi amministrati, fissati dall’Autorità amministrativa in misura inferiore ai costi di esercizio. La situazione di svantaggio connessa al particolare contesto in cui tali società operano comporta, in loro favore, l’erogazione di integrazioni economiche a carico di un apposito Fondo di compensazione per l’unificazione delle tariffe elettriche, gestito dalla Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico (di seguito: ‘la CCSE’), tenuto conto dei criteri previamente fissati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (d’ora in poi: ‘l’AEEG’ o ‘l’Autorità’). In ordine alle integrazioni tariffarie dovute alle imprese elettriche minori per gli anni 1991 e seguenti, ai sensi dell’articolo 7 comma 3 della legge 9 gennaio 1991, n. 10 (‘Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia’), il Comitato Interministeriale Prezzi (20) Cons. Stato, VI, 12 giugno 2015, n. 2888, ined. 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 (‘CIP’) avrebbe dovuto stabilire (dal 1991 in poi) per ogni annualità l’acconto per l’anno in corso ed il conguaglio per l’anno precedente, sulla base dell’ultimo bilancio. Tali attribuzioni sono state nel prosieguo rimesse dapprima alla competenza del Ministero dell’Industria (il quale intervenne con decreto in data 19 novembre 1996, poi parzialmente annullato con sentenza del T.A.R. Lazio 14 aprile 1998, n. 841) e, successivamente, a quella della istituita AEEG. Sebbene, a decorrere dal 1 luglio 2007 (art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 125 recante ‘Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 giugno 2007, n. 73, recante misure urgenti per l'attuazione di disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia’), fosse stato introdotto il diritto di tutti i clienti finali di poter stipulare contratti di fornitura con aziende di vendita attive nel libero mercato, nelle isole minori ha continuato ad operare un unico soggetto integrato incaricato di produrre, distribuire e vendere energia elettrica ai clienti finali. Questi ultimi, pertanto, non potevano scegliere, pur a seguito della liberalizzazione del mercato, un fornitore diverso dal proprio distributore. Per tale motivo, con la regolazione oggetto della presente controversia, l’AEEG ha inteso introdurre gli strumenti tecnici e giuridici necessari a garantire anche agli utenti delle reti non interconnesse una condizione paritaria rispetto agli altri utenti del sistema nazionale. In particolare, l’AEEG, con la deliberazione ARG/elt 89/09, ha concluso l’istruttoria riferita al documento di consultazione n. 26/08, emanando specifiche prescrizioni per l’erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica nell’ambito di reti non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale. La delibera in questione, è bene precisare, dispone anche in materia di unità essenziali per la sicurezza del sistema di cui alla precedente delibera n. 111/2006. Tali unità sono finalizzate a predisporre adeguati servizi di riserva di capacità per soddisfare una domanda soggetta ad improvvise variazioni spesso imprevedibili. Esse sono idonee, in particolare, a risolvere problematiche di dispacciamento a carattere prevalentemente locale. Per quanto riguarda le unità essenziali non di titolarità delle imprese elettriche minori, la delibera riconosce il diritto alla reintegrazione in ragione della essenzialità del servizio svolto da detti impianti; per quanto riguarda gli impianti nella titolarità delle imprese elettriche minori, l’inclusione nel novero delle unità essenziali non ha ripercussioni economiche dirette, ma consente a TERNA di ottenere informazioni sulla natura di tali impianti (permettendo la partecipazione al mercato libero dei clienti finali senza disturbare il normale andamento della borsa elettrica italiana, nella quale vengono registrate le transazioni di energia elettrica). Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Lombardia e recante il n. 2664/2009, le società ricorrenti hanno impugnato la deliberazione ARG/elt 89/09, chiedendo al Tribunale di disporne l’annullamento, in quanto asseritamente viziata da molteplici profili di violazione di legge ed eccesso di potere. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale adito ha respinto il ricorso ritenendolo infondato. La sentenza in epigrafe è stata impugnata in appello da undici società elettriche minori, nonché dall’associazione che le raggruppa (UNIEM - Unione Nazionale Imprese Elettriche Minori). Esse hanno chiesto l’integrale riforma della sentenza in epigrafe articolando cinque complessi motivi di gravame. Si è costituita in giudizio l’Autorità per l’energia elettrica e il gas la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello. Si è altresì, costituita in giudizio la società Terna - Rete Elettrica Nazionale s.p.a., la quale ha concluso nel senso delle reiezione dell’appello. CONTENZIOSO NAZIONALE 239 Con ordinanza 12 giugno 2012, n. 4388 questo Consiglio ha disposto incombenti istruttori e ha fissato un rinvio per il prosieguo della trattazione. Le parti costituite hanno prodotto ulteriori documenti e memorie e, alla pubblica udienza del 24 giugno 2014, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da undici imprese elettriche minori, operanti su isole non interconnesse né direttamente né indirettamente con la rete di trasmissione nazionale (d’ora innanzi: ‘la RTN’), nonché dall’associazione di categoria che le raggruppa (esse verranno qui di seguito indicate come IEMNI, o: ‘imprese elettriche minori non interconnesse’) avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato respinto il ricorso dalle stesse proposto avverso la delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (d’ora in poi: ‘l’AEEG’ o ‘l’Autorità’) del 7 luglio 2009 avente ad oggetto ‘[la] erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica nell’ambito di reti non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale’. 2. Le società appellanti fanno precedere l’articolazione dei motivi di appello in senso proprio da una ‘premessa critica di carattere generale’ con la quale sottopongono a censura nella sua ratio di fondo la stessa struttura logica e sistematica della delibera ARG/elt 89/09. In primo luogo, le appellanti criticano la scelta regolatoria di introdurre anche gli utenti delle isole minori non interconnesse nel libero mercato elettrico, enucleando un meccanismo di dispacciamento “tanto artificioso quanto virtuale”: un meccanismo che si basa sull’innaturale riconoscimento della qualifica di ‘impianti essenziali’ alla totalità degli impianti presenti nelle isole minori. Tale riconoscimento risulterebbe del tutto antisistemico in quanto difetterebbero nel caso di specie le condizioni che hanno indotto l’Autorità (con la delibera n. 111/06) a definire e regolare gli ‘impianti essenziali’ per la sopravvivenza stessa del sistema elettrico nazionale (impianti che devono necessariamente essere posti sotto il controllo del gestore della rete - TERNA -). Una siffatta assimilazione sarebbe in ogni caso illogica laddove riferita ad impianti (quelli delle IEMNI) per definizione avulsi dal sistema elettrico nazionale e che, pertanto, non potrebbero in alcun modo condividere il carattere di ‘essenzialità’ per il sistema nazionale proprio degli impianti cui era riferita la richiamata delibera n. 111/06. In secondo luogo le appellanti lamentano che l’incongrua assimilazione degli impianti delle IEMNI agli ‘impianti essenziali’ al livello nazionale abbia altresì comportato il loro transito nella disponibilità di esercizio del gestore della rete (TERNA) con conseguente imposizione di meccanismi di gestione “più complessi e onerosi”. In terzo luogo, le imprese appellanti osservano che nel caso delle IEMNI non sussisterebbero i tipici rischi di comportamenti speculativi e opportunistici che inducono solitamente ad imporre un particolare (e vincolante) meccanismo di determinazione dei prezzi per i titolari degli ‘impianti essenziali’ in senso proprio. In quarto luogo, le appellanti lamentano che il contestato sistema di dispacciamento virtuale e di attribuzione della qualifica di ‘impianti essenziali’ determini una struttura della remunerazione la quale, comportando il superamento del pregresso modello basato sulle tariffe di maggior tutela, comporterebbe altresì il venir meno di alcuni corrispettivi in precedenza fruiti (in particolare, quelli di commercializzazione e vendita), con conseguenti, rilevanti danni economici in danno delle stesse appellanti (danni che saranno tanto più consistenti, quanto maggiore sarà il numero degli utenti che sceglieranno di passare al regime di libero mercato). In quinto luogo le società appellanti lamentano le irragionevoli conseguenze connesse al nuovo sistema di remunerazione imposto alle IEMNI (sistema, quest’ultimo, basato sulla remunera- 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 zione a Prezzo Unico Nazionale - PUN - cui va aggiunto il prezzo del servizio di dispacciamento). Si tratta, secondo le appellanti, di un sistema che, per un verso, determinerà certamente in loro danno cospicue perdite di ricavi e conseguenti perdite di esercizio e che, per altro verso, renderà comunque necessaria la reintegrazione dei costi di produzione (a carico dell’utenza) o attraverso il sistema già disciplinato dalla l. 10 del 1991 o attraverso le particolari modalità di reintegrazione fissate per le unità essenziali. In sesto e ultimo luogo le appellanti lamentano lo svantaggio competitivo che la delibera impugnata in primo grado determina in loro danno. Tale sistema, infatti, consente ai soli traders di acquistare l’energia a prezzo ‘spot’ (il PUN) e di rivendere l’energia stessa a prezzi competitivi, mentre tale possibilità resta preclusa per ragioni strutturali alle IEMNI. 2.1. Per ciò che riguarda la ‘Premessa critica di carattere generale’ appena descritta nei suoi tratti salienti, il Collegio si limita ad osservare che, a prescindere dalla condivisibilità o meno dei relativi assunti, essa non reca puntuali censure avverso le statuizioni della sentenza in epigrafe. Ciò esime il Collegio dal compito di esaminare puntualmente le singole affermazioni contenute in questo capo del ricorso in appello, nella consapevolezza - peraltro - che l’esame dei singoli motivi di ricorso consentirà altresì di scrutinare in modo esaustivo la fondatezza degli argomenti enucleati nella ‘Premessa’ in questione. 3. Qui di seguito verranno, quindi, sintetizzati i motivi del ricorso in appello. 3.1. Con il primo motivo (‘Error in iudicando e omessa pronuncia su punti decisivi della controversia di cui al primo motivo di ricorso di primo grado’) le società appellanti lamentano l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo con cui si era lamentata la violazione dei princìpi di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza in relazione al complessivo iter che ha condotto all’adozione della delibera ARG/elt 89/09. In particolare, i primi Giudici avrebbero fatto cattivo governo del principio giurisprudenziale secondo cui l’esercizio dell’attività di regolazione da parte delle Autorità amministrative indipendenti, in quanto collocato al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall’articolo 95, Cost., deve avvenire prestando particolare attenzione al rispetto delle regole procedimentali e partecipative. Tuttavia, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che nel caso di specie sarebbe mancato del tutto il coinvolgimento in sede procedimentale delle imprese appellanti (coinvolgimento che, pure, era stato in più occasioni richiesto prima dell’adozione della delibera impugnata in primo grado). Ancora, i primi Giudici avrebbero omesso di apprezzare il grave error in procedendo derivante dal mancato coordinamento fra: i) l’iniziativa regolatoria avviata con la delibera n. 208/06 (iniziativa che non aveva infine prodotto alcun atto conclusivo) e ii) l’iniziativa regolatoria di cui alla consultazione pubblica avviata con la delibera n. 26/08 (iniziativa infine conclusa con l’adozione della delibera impugnata in primo grado). Infine, le appellanti lamentano nuovamente il difetto di motivazione che vizierebbe la delibera ARG/elt 89/09 per non avere adeguatamente motivato (se non con formule stereotipe e comunque insufficienti) in ordine alle ragioni che inducevano a non tenere in considerazione le numerose osservazioni formulate in sede procedimentale dalle stesse appellanti 3.2. Con il secondo motivo di appello (‘Omesso esame del secondo e sesto motivo di ricorso di primo grado’) le società appellanti ripropongono il motivo di ricorso già articolato in primo grado (e, a loro dire, non esaminato dai primi Giudici) secondo cui la delibera ARG/elt 89/09, nel supporre come esistente l’interconnessione tra la rete di distribuzione locale (per definizione, non interconnessa con quella nazionale) e la rete di trasmissione nazionale, prendesse le mosse da premesse erronee e pervenisse a conseguenze altrettanto erronee. CONTENZIOSO NAZIONALE 241 Sotto tale aspetto, la delibera impugnata risulterebbe irragionevole e incongrua sotto svariati profili: - in primo luogo, in quanto supporrebbe l’esistenza di una interconnessione alla RTN a fronte di una realtà locale in cui, per definizione, tale interconnessione non esiste; - in secondo luogo, in quanto introdurrebbe un modello di dispacciamento virtuale nell’ambito di sistemi (quali quelli delle piccole isole non interconnesse alla rete di trasmissione nazionale) i quali, per definizione, non presentano problematiche di dispacciamento, in presenza di un ‘sole provider’ che assicura da molto tempo la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia elettrica; - in terzo luogo, in quanto riconoscerebbe illegittimamente agli impianti delle IEMNI la qualifica di ‘impianti essenziali per la sicurezza’, così attribuendo in modo tutto improprio a tali impianti una qualificazione che si giustifica solo a fronte di sistemi effettivamente interconnessi, ma non anche a fronte delle piccole realtà isolane in cui tale qualificazione comporta una vera e propria ‘forzatura di sistema’; - in quarto luogo perché tale delibera risponderebbe piuttosto allo scopo di far fronte a un problema (artificialmente creato) di mercato, che non allo scopo di migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento. Ed ancora, i primi Giudici avrebbero omesso di apprezzare il motivo di ricorso con cui si era lamentata l’irragionevolezza di ritenere le IEMNI assoggettate agli obblighi di approvvigionamento di energia ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera b) della l. 239 del 2004. Sotto questo aspetto, gli estensori della delibera impugnata avrebbero omesso di considerare l’incongruità di una siffatta impostazione, la quale - in particolare - non tiene conto del fatto che a carico delle IEMNI già esistono a legislazione vigente oneri di servizio pubblico, in particolare per ciò che riguarda l’attività di distribuzione dell’energia (in tal senso: l. 239 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera c)) e il sistema tariffario da riservare alla clientela. Ancora con il secondo motivo di appello, le società appellanti ripropongono il motivo già articolato in primo grado con il quale si era lamentato un ulteriore incongruo effetto connesso alla delibera ARG/elt 89/09: quello consistente nella coattiva separazione fra attività di vendita (comunque residuante in capo alle società appellanti) e obbligo di fornitura nei confronti di altri operatori. Tale coattivo effetto viene determinato dalla delibera impugnata attraverso il riconoscimento alle società appellanti della qualifica (invero, sconosciuta alla legislazione vigente) di ‘utente del bilanciamento’. Ancora, le società appellanti lamentano l’incongruità della scelta regolatoria che postula l’esercizio di attività di dispacciamento dell’energia elettrica nell’ambito di reti non interconnesse. La scelta regolatoria in questione risulterebbe irragionevole atteso che l’assenza di interconnessione e l’esistenza di un ‘sole provider’ in ciascuno dei singoli sistemi isolani renderebbero ex se impossibile (almeno in via di fatto) l’esercizio di un’attività di dispacciamento in senso proprio. Ed ancora, la delibera impugnata risulterebbe illegittima per avere imposto un incongruo meccanismo nel cui ambito l’attività di dispacciamento resta demandata al gestore e l’attività di bilanciamento è demandata all’impresa locale. In sintesi, la delibera in questione avrebbe illegittimamente istituito “un sistema di scambi commerciali, basato su scambi fisici a somma zero, tra punti di prelievo e di immissione e tra punti di consumo virtuale e di consegna della produzione nella rete isolata, che configura un complesso e non facilmente decifrabile sistema di gestione anche per quello che attiene alle modalità commerciali (di applicazione dei prezzi ai clienti finali)”. 3.3. Con il terzo motivo di appello (‘Error in iudicando sul terzo, quarto e quinto motivo di 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 ricorso di primo grado’) le società appellanti lamentano il mancato accoglimento del motivo di ricorso già articolato in primo grado (il terzo) con il quale si era lamentato che la delibera ARG/elt 89/09 fosse violativa del diritto comunitario e nazionale per aver configurato un’attività di dispacciamento quale funzione autonoma separabile dal trasporto in rete ed esercitabile in assenza di interconnessione fisica (a prescindere, cioè, dall’esistenza di infrastrutture di rete interconnesse). In particolare, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che l’assenza di interconnessione fisica avrebbe dovuto impedire in radice la configurazione di un sistema di dispacciamento per le isole minori e avrebbe dovuto impedire l’istituzione di un artificioso sistema di dispacciamento vituale (altrove definito ‘immaginario’ - pagina 26 del ricorso introduttivo -). In particolare, il sistema così introdotto si porrebbe in contrasto con l’articolo 11 della direttiva 2003/54/CE (‘Direttiva del parlamento UE e del Consiglio relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE’), il quale postula la separazione del servizio di dispacciamento e di quello di trasmissione. Sotto tale aspetto, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare che, in assenza di flussi di energia tra le reti e di dispositivi fisici di interconnessione, non risulterebbe neppure configurabile un’attività di dispacciamento in senso proprio, atteso che per il diritto comunitario l’attività in parola postula in via necessaria l’esistenza di un flusso fisico di energia (nel presente caso, insussistente). Al riguardo le società appellanti chiedono eventualmente che questo Giudice di appello sollevi un quesito per rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea al fine di stabilire se sia compatibile con il diritto dell’Unione (e, segnatamente, con l’articolo 11 della direttiva 2003/54/CE) una previsione regolatoria nazionale (quale quella recata dalla delibera impugnata in primo grado) la quale postula invece la separazione del servizio di dispacciamento da quello di trasmissione. Non a caso - sottolineano sul punto le appellanti - l’articolo 3 del decreto legislativo 79 del 1999 muove a propria volta dal presupposto della necessaria coesistenza tra attività di dispacciamento ed esistenza di una rete di trasmissione interconnessa, senza la quale il trasporto dell’energia sulla rete (e la stessa necessità di un’attività di dispacciamento) non sarebbe in alcun modo possibile. Ancora con il terzo motivo, le società appellanti chiedono la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto: - il quarto motivo di ricorso, con cui si era contestata l’assenza in capo all’AEEG del potere di imporre alle IEMNI un obbligo di interconnessione alla rete di trasmissione (senza che fosse mai stata formulata una richiesta in tal senso) e - il quinto motivo, con cui si era lamentato che la disciplina del dispacciamento senza interconnessione risultasse violativa dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 79 del 1999 e dell’articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 239 del 2004. Al riguardo, le società appellanti: - ribadiscono che la normativa tecnica sul dispacciamento risulta inattuabile senza il presupposto dell’interconnessione fisica con la rete di trasmissione; - sottolineano che il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, articolo 3, comma 10, lettera d), nel recare la revisione dell’attività di dispacciamento dell’‘energia essenziale’ (ricorso in appello, pag. 34), postula pur sempre l’esistenza dell’allacciamento/interconnessione degli impianti interessati alla rete di trasmissione nazionale (interconnessione che, nel caso di specie, è pacificamente assente); CONTENZIOSO NAZIONALE 243 - osservano che la delibera ARG/elt 89/09 risulta priva di base normativa abilitante laddove individua le IEMNI quali ‘utenti del bilanciamento’, qualificandole come utenti del dispacciamento titolari di impianti essenziali per la sicurezza del sistema nell’ambito di una rete non interconnessa. Le appellanti, poi, contestano l’erroneità della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha affermato che il sistema basato sul dispacciamento virtuale e sull’esistenza di contratti (solo) finanziari con i rivenditori finali di energia agli utenti isolani non sarebbe in alcun modo diverso rispetto a quello ordinariamente esistente nei sistemi interconnessi, ove sarebbe parimenti possibile la stipula di contratti regolati solo finanziariamente. Sotto tale aspetto, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per non avere considerato che, nel caso dei mercati interconnessi, la possibilità per il venditore finale di energia di procedere alla stipula di un contratto di vendita solo finanziario resta comunque connesso all’obbligo di immettere nel sistema un quantitativo di energia pari a quello oggetto del contratto regolato solo finanziariamente. Al contrario, nel sistema istituito con la delibera ARG/elt 89/09, in assenza di una interconnessione reale, il contratto finanziario stipulato dall’impresa venditrice acquisterebbe le caratteristiche di un contratto derivato c.d. ‘nudo’ (i.e.: privo di un qualsiasi sottostante obbligo di immissione di energia da parte di chi la vende). Secondo le società appellanti, questa spuria tipologia di contratti finanziari conclusi al di fuori della borsa risulterebbe illecita in quanto non inclusa fra gli ‘strumenti derivati sull’energia elettrica’ la cui stipula risulta lecita ai sensi della direttiva 2004/39/CE. Del resto il sistema in questione, nell’imporre la libera compravendita senza un obbligo sottostante di fornitura e nel consentire l’effettuazione di transazioni non qualificabili come ‘transazioni nel mercato elettrico’ in senso proprio, si porrebbe altresì in contrasto con l’articolo 5 della direttiva 2003/54/CE il quale è ispirato, al contrario, al diverso principio dell’interconnessione e dell’interoperabilità delle reti. La delibera impugnata in primo grado sarebbe, oltretutto illegittima: - per avere introdotto (ancora una volta, in modo irragionevole e ingiustificato) la figura dell’‘utente di bilanciamento’ (una figura, questa, del tutto artificiosa in quanto l’assenza dell’interconnessione di rete non consente alcuna effettiva attività di bilanciamento); - per aver consentito a terzi rivenditori (che fruiranno della produzione di energia delle IEMNI) di stipulare contratti di vendita di carattere meramente finanziario affetti da radicale nullità per impossibilità dell’oggetto (art. 1418, I, cod, civ.), “in quanto contratt[i] di vendita senza obbligo di prestazione” (ricorso in appello, pag. 41); - per avere in tal modo disposto l’asservimento della produzione di energia elettrica da parte delle IEMNI alle esigenze di terzi rivenditori, in tal modo violando l’articolo 41, Cost. (in tema di libertà di iniziativa economica privata) e l’articolo 43 (in tema di limiti al potere di ablazione); - per aver definito, contro la realtà dei fatti, tutti gli impianti isolani di produzione come ‘impianti essenziali’. Sempre con riferimento all’assenza di una disposizione (comunitaria o nazionale) che conferisse all’Autorità il potere di regolare in tal modo il c.d. ‘dispacciamento virtuale’, le società appellanti contestano sia il passaggio della sentenza in cui si è affermato (in modo apodittico) che il richiamato sistema fosse coerente con il pertinente quadro normativo comunitario e nazionale, sia il passaggio in cui è affermato che il medesimo sistema fosse coerente con il riconoscimento del diritto per l’utente finale di scegliere il gestore di riferimento sul libero mercato. Semplicemente, osservano sul punto le società appellanti, la legge 125 del 2007 non impone 244 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 né giustifica in alcun modo un sistema regolatorio quale quello delineato dalla delibera impugnata in primo grado. Allo stesso modo, le appellanti lamentano l’erroneità della sentenza in epigrafe: - per la parte in cui afferma (ma senza alcun effettivo riscontro) che l’entrata in vigore della l. 125 del 2007 avrebbe sic et simpliciter determinato l’abrogazione del sistema di compensazioni di cui all’articolo 7 della l. 10 del 1991 e - per la parte in cui afferma che, in assenza di specifiche deroghe per i sistemi isolani ai sensi della direttiva 2009/72/CE (deroghe che, nel caso in esame, non risultano autorizzate dalla Commissione europea), l’Autorità avrebbe legittimamente potuto istituire un sistema regolatorio quale quello impugnato in primo grado. Sempre con il terzo motivo le società appellanti contestano la sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con il quale si era negata la sussistenza dei presupposti per l’esercizio nel caso di specie dell’attività di regolazione e si era altresì lamentata la violazione degli articoli 95 e 97, Cost. Allo stesso modo, si chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha affermato che il fondamento della potestà regolatoria nel caso di specie esercitata sarebbe rinvenibile: a) nell’articolo 3 del decreto legislativo n. 79 del 1999; b) nella puntuale applicazione dei princìpi di trasparenza e di concorrenza; c) nel generale richiamo all’articolo 1, comma 3, lettera c) della legge n. 239 del 2004. Né risulterebbe sufficiente, al fine di giustificare l’esercizio della più volte richiamata attività regolatoria, il mero richiamo operato dai primi Giudici al comma 5 dell’articolo 3 del decreto legislativo 79 del 1999 relativo ai contenuti dell’attività di dispacciamento in quanto tale. Ancora una volta le appellanti osservano al riguardo che l’attività di dispacciamento comporta necessariamente che gli impianti essenziali siano fisicamente interconnessi con la rete di trasmissione. 3.4. Con il quarto motivo di appello (‘Error in iudicando con riguardo al settimo motivo di ricorso’) le società appellanti reiterano nella sostanza gli argomenti già contenuti nel settimo motivo del ricorso di primo grado, ritenuti infondati dal T.A.R. In particolare, viene qui riproposto l’argomento con il quale si era negata la possibilità per l’AEEG di disciplinare - così come ha in concreto fatto - l’attività di ‘dispacciamento virtuale’ demandata al Gestore della rete di trasmissione (oggi: TERNA s.p.a.). Sotto tale aspetto i primi Giudici avrebbero omesso di considerare: - che non basta a supportare il contestato esercizio di competenze in capo al gestore della rete il fatto che a quest’ultimo abbia competenza “sull’intero territorio nazionale”. Ciò, in quanto tale delimitazione territoriale deve comunque essere riferita alle ipotesi – e alle aree geografiche – in cui sussista l’effettiva interconnessione degli impianti con la rete di trasmissione nazionale; - che “è la rete di trasmissione nella sua effettiva estensione che circoscrive la competenza funzionale [del GRTN]. Pertanto, solo nel territorio servito dalla rete di trasmissione deve riconoscersi la sussistenza dei compiti specifici di gestione della rete da parte del gestore” (ricorso in appello, pag. 51); - che, a tal fine, la delibera impugnata in primo grado ha richiamato in modo erroneo il d.P.C.M. 11 maggio 2004 (recante ‘Criteri, modalità e condizioni per l'unificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica nazionale di trasmissione’). Ciò in quanto: a) il decreto in questione non demanda al GRTN compiti relativi ad aree geografiche non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale; b) il medesimo decreto rinvia, per ciò che riguarda la definizione dell’effettivo ambito di competenza del gestore, al decreto ministeriale 17 luglio 2000 il quale non contempla in alcun modo le piccole realtà isolane non interconnesse. CONTENZIOSO NAZIONALE 245 Pertanto, la sentenza in epigrafe sarebbe altresì meritevole di riforma per avere omesso di considerare che la delibera ARG/elt 89/09 avesse ecceduto i limiti soggettivi e oggettivi recati dall’atto di concessione (e, più a monte, dalla normativa nazionale di settore) alla società TERNA nel suo ruolo di gestore della rete di trasmissione nazionale di energia. Sotto tale aspetto la sentenza in epigrafe risulterebbe altresì meritevole di riforma per la parte in cui ha tentato comunque di giustificare (ma con argomenti non perspicui) il riconoscimento dei richiamati compiti e funzioni a TERNA nell’ambito di un sistema di ‘dispacciamento virtuale’, pure in assenza della necessaria condizione rappresentata dall’esistenza dell’interconnessione fisica alla RTN. 3.5. Con il quinto motivo di appello (‘Error in iudicando in relazione all’ottavo, al nono e al decimo motivo di ricorso’) le società appellanti lamentano l’erroneità della sentenza in epigrafe in relazione al mancato accoglimento: - dell’ottavo motivo del ricorso di primo grado (con cui si era lamentato che la delibera impugnata in primo grado non fosse conforme ai criteri di redditività ed economicità di cui all’articolo 1 della l. 481 del 1995, nonché alle disposizioni in tema di remunerazione dei costi di cui all’articolo 1 della l. 10 del 1991, lamentando altresì l’incompetenza dell’AEEG a modificare in via regolamentare il sistema di integrazione tariffaria di cui alla l. 10 del 1991); - del nono motivo di ricorso (con cui si era lamentata la violazione della l. 125 del 2007 e dell’articolo 3 della direttiva 2003/54/CE anche in relazione agli articoli 2 e 3 della l. 241 del 1990); - del decimo motivo di ricorso (con cui si era altresì censurata la delibera in questione per violazione e falsa applicazione del regime di cui all’articolo 7 della l. 10 del 1991). In particolare le imprese appellanti lamentano che, nell’adottare la sentenza reiettiva qui gravata, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare: - che l’Autorità non disponesse in radice del potere di adottare la delibera impugnata in primo grado, atteso che attraverso la sua adozione si sarebbe derogato, di fatto, alla previsione legislativa (articolo 7 della l. 10 del 1991) la quale legittima - rectius: impone - il sistema di remunerazione basato sulla c.d. integrazione tariffaria (un sistema di remunerazione a sua volta espressamente derogatorio e alternativo rispetto al principio del libero mercato di cui alla l. 125 del 2007); - che, nell’adottare la delibera ARG/elt 89/09, l’Autorità avesse omesso di tenere in adeguata considerazione le peculiarità tipiche dei piccoli sistemi isolati e dei microsistemi isolati di cui all’articolo 2, paragrafi 26 e 27 della direttiva 2003/54/CE e di cui all’articolo 44 della direttiva 2009/72/CE; - che, nell’adottare la richiamata delibera, l’Autorità avrebbe posto le basi per l’instaurazione di un sistema estremamente confuso e irragionevole nel cui ambito: i) (per un verso) sarebbe rimasto in vigore - in quanto non espressamente abrogato - il sistema di remunerazione basato sulla c.d. integrazione tariffaria di cui alla l. 10 del 1991 (in effetti, non revocato in modo espresso dalla delibera ARG/elt 89/09), mentre ii) (per altro verso) si sarebbe instaurato un sistema di remunerazione del tutto alternativo a quello caratterizzato dall’integrazione tariffaria; - che l’adozione della delibera impugnata in primo grado determinasse un pregiudizio immediato e diretto in danno delle IEMNI. Sotto tale aspetto la sentenza in epigrafe avrebbe erroneamente affermato che un pregiudizio diretto ed immediato non sarebbe in concreto configurabile, stante la disposta sospensione della procedura di riforma del sistema di integrazione verticale già avviata con la delibera n. 348/07. Al contrario, la delibera del 2009 avrebbe determinato in danno delle società appellanti un danno immediato e diretto, derivante dalla perdita di rilevanti corrispettivi. 4. Il Collegio ritiene che, per ragioni di coerenza sistematica, occorra riconoscere priorità logica all’esame dei motivi di gravame relativi alla ritenuta, radicale carenza in capo all’AEEG 246 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 del potere di adottare la delibera impugnata in primo grado (si tratta di argomenti articolati, sia pure con diverse declinazioni, nell’ambito del terzo, del quarto e del quinto motivo di appello). Allo stesso modo, occorre esaminare in via prioritaria i motivi di appello con cui (reiterando analoghi motivi già articolati in primo grado e disattesi dal T.A.R.) si è lamentato che l’Autorità fosse radicalmente carente del potere di adottare una delibera il cui oggetto o effetto sostanziale sarebbe quello di derogare (o di abrogare tout-court) un sistema di remunerazione - quello della c.d. integrazione tariffaria di cui alla l. 10 del 1991 -, in assenza di una fonte normativa primaria che legittimasse un siffatto intervento operato in via solo regolamentare. In secondo luogo - e in via subordinata rispetto al mancato accoglimento del primo ordine di motivi - occorrerà esaminare i motivi di appello con cui (reiterando anche in questo caso analoghi argomenti già profusi in primo grado) si è lamentato che, in sede di adozione della delibera ARG/elt 89/09 l’Autorità abbia violato i princìpi e le prerogative della partecipazione procedimentale che necessariamente devono presiedere anche all’adozione degli atti di regolazione delle Autorità amministrative indipendenti. In terzo luogo - e in via subordinata rispetto al mancato accoglimento anche del secondo ordine di motivi - occorrerà esaminare i residui motivi di appello con cui si è lamentata l’illegittimità (sotto plurimi profili di violazione di legge ed eccesso di potere) della richiamata delibera ARG/elt 89/09. 4.1. Sempre in via preliminare occorre osservare che non assume rilievo ai fini del decidere il contenuto della delibera ARG/elt 186/2011 (recante determinazione del corrispettivo, a reintegrazione dei costi di generazione, relativo all’anno 2009, per gli impianti di titolarità della società Enel Produzione s.p.a., essenziali per la sicurezza di ambiti territoriali serviti da reti elettriche con obbligo di connessione di terzi, non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale). Vero è che, con ordinanza istruttoria n. 4388/2012, questa Sezione aveva ritenuto possibile che la deliberazione n. 186, cit. incidesse in modo diretto o indiretto sulla posizione dedotta in giudizio dalle odierne appellanti (ragione per cui si era chiesto all’Autorità di ostendere i dati preparatori della delibera in parola, al fine di comprendere il metodo di determinazione del corrispettivo per gli impianti essenziali ammessi alla reintegrazione dei costi). Vero è anche che le stesse società appellanti (ritenendo insufficiente e non significativa la documentazione prodotta dall’Autorità) avevano agito in giudizio per ottenere in modo pieno l’accesso agli atti prodromici all’adozione della richiamata delibera n. 186 (il contenzioso in parola è culminato con la sentenza di questo Consiglio n. 1095/2013, che ha riformato la sentenza reiettiva n. 2013/2012 adottata dal T.A.R. della Lombardia, ordinando l’integrale ostensione degli atti richiesti). Tuttavia, a seguito dell’avvenuta esibizione documentale, le stesse società appellanti (che, pure, hanno continuato a lamentare il carattere non completo dell’avvenuta ostensione) hanno dichiarato l’impossibilità di desumere dalla delibera n. 186/2011 (e dagli atti ad essa prodromici) elementi idonei a suffragare i motivi di appello per ciò che attiene le modifiche al sistema di remunerazione apportate dalla delibera ARG/elt 89/09 (in tal senso, la memoria in data 3 giugno 2014). A propria volta questo Giudice di appello (che, pure, aveva ventilato con l’ordinanza n. 4388/2012 la possibilità che la delibera n. 186/2011 potesse incidere sulle posizioni vantate in giudizio dalle società appellanti), all’esito dell’esame della documentazione prodotta in atti, ritiene che gli elementi desumibili dalla delibera in questione (e dagli atti ad essa prodromici) non risultino effettivamente conferenti con il presente thema decidendum. In particolare, va rilevato che l’esame della delibera 186, cit. (la quale - è appena il caso di rammentarlo - non risulta impugnata dalle società appellanti) non ha palesato la sussistenza CONTENZIOSO NAZIONALE 247 di motivi di illegittimità della delibera n. 89/09, né ha consentito l’articolazione da parte delle medesime appellanti di motivi aggiunti o ulteriori ai sensi dell’articolo 104, co. 3 del cod. proc. amm. (ipotesi, quest’ultima, che le odierne appellanti avevano ipotizzato con la memoria in data 1° febbraio 2012). Ed infatti, dalla documentazione in atti è emerso - fra l’altro - che la metodologia di calcolo utilizzata per la determinazione del corrispettivo a reintegrazione dei costi di generazione degli impianti di Enel Produzione s.p.a. è profondamente differente rispetto a quella utilizzata per le IEMNI le quali, per la copertura dei sopracosti di generazione, beneficiano del regime speciale di integrazione tariffaria di cui all’articolo 7 della l. 10 del 1991. 5. È quindi possibile passare all’esame dei (tre) ordini di motivi su cui si articola l’atto di appello, secondo la scansione delineata dinanzi, sub 4. 5.1. Il primo ordine di motivi (con cui si è contestata in radice la sussistenza del potere in capo all’AEEG di adottare un delibera del contenuto di quella impugnata in primo grado) è infondato. Al riguardo, pur non apparendo condivisibile il passaggio della sentenza impugnata con cui si afferma che l’ordinamento giuridico ammette una sorta di ‘declinazione debole’ del principio di legalità in relazione all’operato delle Autorità amministrative indipendenti (atteso che il principio in questione opera nel settore che qui rileva in modo non dissimile rispetto a numerosi altri settori dell’ordinamento), devono nondimeno trovare puntuale conferma le statuizioni dei primi Giudici i quali hanno ritenuto che l’individuazione legale ‘per obiettivi’ delle finalità istituzionali demandate alla cura delle Autorità indipendenti giustifica comunque l’esercizio (inter alia) dell’attività di regolazione quante volte una o più puntuali disposizioni normative individuino con sufficiente livello di dettaglio le finalità dell’attività di regolazione e i confini dei poteri esercitabili al fine del conseguimento di tali finalità. La giurisprudenza di questo Consiglio ha recentemente chiarito che negli ambiti caratterizzati da particolare tecnicismo, quale è quello che qui viene in rilievo, le leggi di settore attribuiscono alle singole Autorità amministrative indipendenti (nel caso di specie: l’AEEG), per assicurare il perseguimento degli obiettivi legislativamente fissati, non solo poteri amministrativi individuali ma anche poteri normativi e di regolazione in senso ampio (e la presente vicenda di causa mostra in modo piuttosto eloquente come sovente la regolazione dei fenomeni collettivi da parte delle Autorità di settore non consenta di distinguere in modo agevole fra atti normativi in senso proprio e atti di regolazione collettiva che restano confinati nell’ambito degli atti amministrativi generali). Al riguardo è stato chiarito che il rispetto del principio di legalità, pur non imponendo la puntuale e rigida predeterminazione legale dell’an e del quomodo dell’attività di regolazione, richiede nondimeno sia la indicazione dello scopo che l’Autorità amministrativa deve perseguire nell’esercizio in concreto di tale attività, sia la predeterminazione, in funzione di garanzia, del contenuto e delle condizioni dell'esercizio dell'attività (in tal senso: Cons. Stato, VI, 2 maggio 2012, n. 2521). Nel caso degli atti regolamentari, tuttavia, la legge normalmente non indica nei dettagli il relativo contenuto. La particolare declinazione del principio di legalità sostanziale in tal modo realizzata si giustifica in ragione dell’esigenza di assicurare il perseguimento di fini che la stessa legge predetermina: il particolare tecnicismo del settore impone, infatti, di assegnare alle Autorità il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche all'evoluzione del sistema. Una predeterminazione legislativa di carattere rigido risulterebbe di ostacolo al perseguimento di tali scopi: da qui la conformità a Costituzione, in relazione agli atti regolatori in esame, 248 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 della sola predeterminazione legale (purché caratterizzata da adeguati livelli di certezza) degli obiettivi propri dell’attività di regolazione e dei limiti dell’esercizio in concreto di tale attività (al riguardo la dottrina e la stessa giurisprudenza di questo Consiglio hanno talora richiamato la teorica dei cc.dd. ‘poteri impliciti’). È altresì noto che, in base a un consolidato orientamento giurisprudenziale, il parziale temperamento (nei termini appena richiamati) del principio di legalità in senso sostanziale - giustificato, come detto, dalla valorizzazione degli scopi pubblici da perseguire in particolari settori - imponga, altresì (quale sorta di contraltare sistematico), il rafforzamento delle garanzie di legalità in senso procedimentale che si sostanzia, tra l’altro, nella previsione di rafforzate forme di partecipazione degli operatori del settore al procedimento di formazione degli atti regolamentari (in tal senso: Cons. Stato, VI, 27 dicembre 2006, n. 7972). Sul punto si tornerà comunque nel prosieguo. 5.2. Ebbene, impostati in tal modo i termini sistematici della questione, il Collegio ritiene che nell’adottare la delibera impugnata in primo grado, l’Autorità appellata non abbia travalicato i confini (legislativamente fissati ‘per princìpi’ e ‘per obiettivi’) della propria attività di regolazione in tema di erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica nell’ambito delle reti non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale. Sotto tale aspetto, la sentenza in epigrafe è meritevole di puntuale conferma laddove ha affermato che il fondamento legale del potere di regolazione nel caso di specie esercitato è rinvenibile: - nella previsione di cui al comma 3 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 79 del 1999 (secondo cui l’Autorità ha il compito di fissare le condizioni atte a garantire a tutti gli utenti della rete la libertà di accesso a parità di condizioni, l’imparzialità e la neutralità del servizio di trasmissione e di dispacciamento). Secondo la disposizione in questione, in particolare, nell’esercizio di tali competenze l’Autorità “persegue l’obiettivo della più efficiente utilizzazione dell’energia elettrica prodotta o comunque immessa nel sistema elettrico nazionale, compatibilmente con i vincoli tecnici di rete”. Come si avrà modo di chiarire nel prosieguo, il riferimento qui operato al ‘sistema elettrico nazionale’ non consente di ritenere - contrariamente a quanto affermato dalle società appellanti - che i poteri di regolazione legittimati da tale disposizione restino - per così dire - ‘confinati’ ai sistemi interconnessi alla RTN, non rinvenendosi ragioni sistematiche o testuali idonee a supportare una lettura così limitativa e settoriale; - nella previsione di cui al comma 12, lettera c) dell’articolo 2 della l. 481 del 1995, secondo cui rientra fra i compiti dell’Autorità quello di controllare che le condizioni e le modalità di accesso per i soggetti esercenti i servizi, comunque stabilite, siano attuate nel rispetto dei princìpi della concorrenza e della trasparenza, anche al fine di soddisfare “tutte le ragionevoli esigenze degli utenti” e di garantire il rispetto di primari obiettivi di interesse generale, quale quello della sicurezza degli impianti e del sistema nel suo complesso (e si chiarirà nel prosieguo che la delibera impugnata in primo grado abbia individuato e disciplinato in modo congruo gli impianti essenziali per la sicurezza del sistema elettrico nazionale); - nella previsione di cui al comma 3, lettera c) dell’articolo 1 della l. 239 del 2004, secondo cui rientra fra gli obiettivi generali di politica energetica nazionale (demandati in parte qua all’attività regolatoria dell’Autorità) quello di assicurare l’economicità dell’energia offerta ai clienti finali e le condizioni di non discriminazione degli operatori nel territorio nazionale (sotto tale aspetto, si chiarirà nel prosieguo che la sentenza in epigrafe è altresì meritevole di puntuale conferma laddove ha affermato che la delibera impugnata in primo grado conduca ad esiti coerenti i princìpi di liberalizzazione e di tutela dei consumatori di cui all’articolo 1 della l. 125 del 2007). CONTENZIOSO NAZIONALE 249 5.3. Del resto, l’ampiezza dei poteri di regolazione spettanti alle Autorità nazionali di settore e la loro piena compatibilità con l’ordinamento comunitario sono stati di recente confermati dalla stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE. Ed infatti, con la sentenza 21 dicembre 2011 in causa C-242/10 - Enel Energia resa su un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 del TFUE la Corte ha ribadito che “nel contesto della liberalizzazione progressiva del mercato dell’energia elettrica, alle autorità di regolamentazione, individuate dagli Stati membri, sono state affidate particolari responsabilità. Infatti conformemente all’art. 23, n. 1, lett. b) e g), della direttiva 2003/54, le autorità di regolamentazione, quali l’AEEG, sono incaricate di garantire l’assenza di discriminazione, un’effettiva concorrenza e l’efficiente funzionamento del mercato, segnatamente per quanto riguarda gli strumenti che mirano a risolvere le congestioni del sistema nazionale di energia elettrica e il limite entro il quale i gestori dei sistemi di trasmissione e dispacciamento adempiono agli obblighi loro imposti in virtù degli artt. 9 e 14 della citata direttiva” (punto 43 della motivazione). 5.4. Per le ragioni appena richiamate deve ritenersi che l’attività di regolazione realizzata attraverso l’adozione della delibera impugnata in primo grado non abbia travalicato i limiti dei poteri delineati (sia pure ‘per obiettivi’) dalla pertinente legislazione di settore, in tal modo palesando l’infondatezza: - dell’argomento (terzo motivo di appello) con cui si è contestata l’assenza in capo all’AEEG del potere di imporre alle IEMNI un obbligo di interconnessione - virtuale - alla rete di trasmissione, senza che fosse stata previamente formulata una richiesta in tal senso; - dell’argomento (anch’esso articolato con il terzo motivo di appello) con cui si è contestata l’assenza in capo all’Autorità del potere di individuare le IEMNI quali ‘utenti del bilanciamento’, qualificando altresì gli stessi quali titolari di impianti essenziali per la sicurezza del sistema nell’ambito di una rete non interconnessa (e, dopo aver riaffermato la sussistenza in astratto di un siffatto potere di regolazione in capo all’Autorità, si verificherà nel prosieguo se il concreto esercizio di tale potere risulti affetto dai lamentati profili di violazione di legge ed eccesso di potere). 5.5. Allo stesso modo, non sono fondati gli argomenti con cui si è affermata la carenza, nel caso di specie, del potere di regolazione in capo all’Autorità dal momento che sarebbe la rete di trasmissione nella sua effettiva estensione a circoscrivere la competenza funzionale del GRTN, con la conseguenza che solo nel territorio servito dalla rete di trasmissione dovrebbe riconoscersi la sussistenza dei compiti specifici di gestione della rete da parte del gestore. Al riguardo ci si limita ad osservare che, a ben vedere, l’argomento in questione (quand’anche fondato) non risulterebbe comunque idoneo a palesare la radicale incompetenza per l’AEEG a dettare una particolare disciplina dell’attività di dispacciamento nell’ambito delle reti non interconnesse con la RTN, ma - a tutto concedere - paleserebbe profili di semplice illegittimità della delibera impugnata in primo grado per incompatibilità con le disposizioni che delineano i confini dell’attività del GRTN. Ebbene, premesso che non sussistono in capo all’AEEG i lamentati profili di difetto assoluto di attribuzione (per conformarsi alla terminologia di cui all’articolo 21-septies della l. 241 del 1990), si rinvia al prosieguo l’esame puntuale - e l’altrettanto puntuale confutazione - del motivo secondo cui la delibera impugnata in primo grado avrebbe travalicato in concreto - ampliandoli in modo non ammissibile e in tal modo violando la normativa di settore - i limiti delle competenze del GRTN. Allo stesso modo, si rinvia al prosieguo l’esame puntuale - e la puntuale confutazione - del motivo secondo cui la delibera ARG/elt 89/09 avrebbe erroneamente interpretato ed applicato 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 il d.P.C.M. 1 maggio 2004 (recante ‘Criteri, modalità e condizioni per l’unificazione della proprietà e della gestione della rete elettrica nazionale di trasmissione’) in relazione alle previsioni di cui al decreto ministeriale 17 luglio 2000 (avente ad oggetto la concessione alla società ‘Gestore della rete di trasmissione nazionale s.p.a.’ delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica nel territorio nazionale). 5.6. Il primo ordine di motivi di appello deve conclusivamente essere respinto. 6. Occorre a questo punto esaminare il secondo ordine dei motivi di appello con cui - come anticipato in precedenza - si è lamentato che, in sede di adozione della delibera ARG/elt 89/09 l’Autorità avrebbe violato i princìpi e le prerogative della partecipazione procedimentale che necessariamente devono presiedere anche all’adozione degli atti di regolazione delle Autorità amministrative indipendenti. 6.1. Il motivo, nel suo complesso, è infondato. Al riguardo la sentenza in epigrafe è meritevole di puntuale conferma laddove ha richiamato il consolidato - e qui condiviso - orientamento secondo cui l’esercizio dei poteri regolatori da parte delle Autorità amministrative indipendenti, in quanto posto al di fuori del tipico circuito di responsabilità delineato in via di principio dell’articolo 95, Cost., risulta comunque giustificato dall’esistenza di un procedimento adeguatamente rispettoso delle regole di partecipazione, inteso quale strumento sostanzialmente sostitutivo della dialettica propria delle strutture stricto sensu rappresentative (vengono richiamate, al riguardo, le sentenze di questo Consiglio 1° ottobre 2002, n. 5105, 11 aprile 2006, n. 2007 e 2 marzo 2010, n. 1215). Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe è meritevole di conferma laddove ha osservato che, per quanto riguarda l’esercizio dell’attività di regolazione da parte delle Autorità di settore, il pur necessario rispetto delle garanzie partecipative (solitamente assicurato attraverso la previa pubblicazione di documenti di consultazione e dibattito pubblici e la valutazione finale degli elementi acquisiti all’esito di tale dibattito) non può spingersi sino al punto di onerare l’Autorità del compito di confutare in modo puntuale ciascuna delle osservazioni critiche presentate dai portatori qualificati di interessi e dai singoli operatori di settore. In particolare, la mancata puntuale motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto il decisore pubblico a discostarsi dalle osservazioni critiche formulate in occasione del dibattito pubblico non può sortire effetti vizianti sull’atto finale di regolazione, in specie laddove (come nel caso in esame) le osservazioni critiche non accolte riguardino: - per un verso la condivisibilità in radice della stessa scelta regolatoria di fondo (nel caso di specie: la scelta di istituire un sistema di dispacciamento virtuale per le piccole reti isolane non interconnesse con la RTN, che impinge il merito stesso delle scelte regolatorie); - per altro verso, la presunta esistenza di vizi di legittimità (in effetti insussistenti) inficianti la scelta regolatoria in parola nelle sue declinazioni concrete. 6.1.1. Quanto al primo dei richiamati aspetti, ci si limita qui ad osservare che, con il documento di consultazione n. 26/08 (rubricato ‘Dispacciamento reti non interconnesse - Erogazione del pubblico servizio di dispacciamento dell’energia elettrica nell’ambito di reti non interconnesse con il sistema elettrico nazionale’), l’Autorità appellata aveva reso noti con adeguato livello di dettaglio i termini di fondo dell’attività regolatoria che essa si accingeva a porre in essere e che, pertanto, gli operatori del settore erano stati posti in condizione di poter svolgere in modo adeguato le proprie critiche al modello in via di definizione. D’altra parte, le critiche in parte qua rivolte avverso tale modello non sono riuscite (anche per le ragioni che fra breve si esporranno) a palesare profili di effettiva illegittimità del modello prescelto, incentrandosi - piuttosto - su aspetti di pura e semplice non condivisione del modello CONTENZIOSO NAZIONALE 251 individuato (i.e.: sul proprium della scelta tecnico-discrezionale opinabile demandata all’Autorità di settore, nel caso di specie tradottasi nell’individuazione del più volte richiamato modello di ‘dispacciamento virtuale’). Ora, non può ritenersi che la latitudine delle richiamate garanzie partecipative possa essere estesa sino al punto di onerare l’Autorità dell’obbligo di motivare - per così dire - ‘sia in positivo che in negativo’ ciascuna delle numerosissime scelte tecnico-discrezionali sottese all’emanazione di ciascun atto di regolazione (pur se evidentemente ricompresa nel legittimo ambito di esercizio delle proprie scelte valutative e nell’altrettanto legittimo spettro delle possibili scelte alternative). Ebbene, laddove si aderisse a una siffatta impostazione e laddove si affermasse la sussistenza di una violazione delle garanzie partecipative per il solo fatto che l’Autorità di settore non abbia motivato in modo puntuale (pure all’interno dello spettro delle opzioni regolatorie comunque legittime) la scelta per una delle opzioni sul campo invece di una delle numerose altre possibili pure suggerite dagli operatori di settore, si esporrebbe il sistema della regolazione a possibili paralisi operative, sostituendo - oltretutto - un condivisibile modello partecipativo con un inammissibile modello di immanente co-decisione con i destinatari finali dell’attività di regolazione. È vero che, in sede di adozione della delibera impugnata in primo grado, l’AEEG ha dedicato solo poche battute alle osservazioni critiche formulate dalle odierne appellanti (in particolare, l’Autorità si è limitata ad osservare che “lo schema di provvedimento (…) ha ottenuto un generale apprezzamento da parte degli operatori che hanno partecipato alla consultazione ad eccezione di alcuni rappresentanti di imprese elettriche minori che hanno contestato una potenziale riduzione dei diritti loro riconosciuti ai sensi della legge 10/91 e in particolare una presunta inopportuna applicazione del «principio di non discriminazione tra imprese concorrenti nello stesso mercato»”). D’altra parte si osserva che non sussistono nel caso di specie i lamentati vizi di illegittimità sub specie di mancato rispetto delle garanzie procedimentali e partecipative spettanti alle imprese appellanti, atteso che: - la pur sintetica motivazione dinanzi richiamata esprime in modo scarno ma efficace il proprium di alcune fra le principali contestazioni rivolte a seguito della pubblicazione del documento di consultazione n. 26/08; - le critiche rivolte dalle società deducenti avverso il modello regolatorio in fieri si rivolgevano, ancora una volta, avverso il proprium delle stesse scelte tecnico-discrezionali sottese alla proposta regolatoria, auspicando la perpetuazione del pregresso, alternativo modello, che risultava maggiormente gradito alle stesse appellanti. 6.1.2. Quanto al secondo dei richiamati aspetti (ci si riferisce alle critiche rivolte in sede di consultazione pubblica avverso il modello proposto, con le quali si erano ipotizzati veri e propri profili di possibile illegittimità connessi all’eventuale adozione della proposta regolatoria), ci si limita ad osservare che - per le ragioni che fra breve si esporranno - tali profili di illegittimità erano in effetti insussistenti. Anche in questo caso, quindi, anche a voler enfatizzare in massimo grado il principio di legalità in senso procedimentale che deve caratterizzare l’esercizio dell’attività regolatoria da parte delle Autorità di settore, non può ritenersi che il mancato riscontro a fronte di censure di illegittimità sollevate in sede di consultazione pubblica (ma in concreto insussistenti) possa sortire effetto viziante nei confronti dell’atto di regolazione infine adottato. Laddove si aderisse a una siffatta lettura circa gli oneri di partecipazione procedimentale ricadenti in capo alle Autorità di settore, si finirebbe per delineare in questo particolare settore dell’ordinamento un modello palesemente distonico rispetto alle correnti acquisizioni di si- 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 stema in tema di conservazione degli atti e di strumentalità delle forme (secondo un modello che tende ormai a dequotare le violazioni di carattere meramente procedimentale, a tutto favore di una lettura in chiave marcatamente sostanzialistica del regime di invalidità degli atti amministrativi - anche - di carattere generale). 6.2. Ancora, non può trovare accoglimento il motivo di appello con cui (reiterando analogo motivo già articolato in primo grado e disatteso dai primi Giudici) si è lamentato il profilo di illegittimità - invero, impingente allo stesso tempo profili di ordine sostanziale e procedimentale - derivante dalla sostanziale sovrapposizione fra le iniziative regolatorie avviate - rispettivamente -: i) con la delibera n. 208/06 (si tratta di un’iniziativa che non si è poi risolta nell’adozione di provvedimenti regolatori) e ii) con il documento di consultazione n. 26/08. Come si è anticipato in precedenza, le appellanti lamentano il mancato coordinamento fra le due iniziative in questione: un mancato coordinamento che risulterebbe tanto più grave in quanto comportava la coesistenza di due modelli di fatto antitetici (quello fondato sul regìme di ‘perequazione speciale’ il primo e quello fondato sul modello del dispacciamento virtuale il secondo). Il motivo in questione non può essere condiviso. In particolare, non emergono in atti i lamentati profili di piena sovrapposizione sistematica (e quindi, di sostanziale antiteticità) fra le due richiamate iniziative regolatorie. Al riguardo si osserva che, pur sussistendo la possibilità di alcune parziali intersezioni sistematiche fra le due iniziative, quella avviata con la delibera n. 208/06 (e non tradottasi nell’adozione di atti conclusivi) mirava a una revisione complessiva della regolazione delle imprese elettriche minori e del sistema di remunerazione di cui all’articolo 7 della l. 10 del 1991, mentre quella avviata con il documento di consultazione 26/08 (e conclusasi con l’adozione della delibera impugnata in primo grado) mirava al diverso obiettivo della disciplina del pubblico servizio di dispacciamento nell’ambito delle reti non interconnesse alla RTN, lasciando - peraltro - espressamente invariato il sistema di remunerazione di cui alla l. 10, cit. Gli unici passaggi della delibera impugnata che trattavano in modo diretto della questione della remunerazione erano quelli con cui si ammetteva la possibilità di copertura dei costi riconosciuti di generazione per le unità di produzione che svolgono un ruolo essenziale per la sicurezza e la continuità del servizio elettrico nelle reti non interconnesse e che non sono nella titolarità di imprese elettriche minori (si tratta, evidentemente, di un aspetto che non riguarda sotto l’aspetto soggettivo le imprese odiernamente appellanti). Al contrario, per quanto riguarda le IEMNI, la delibera impugnata in primo grado non solo non incideva in modo diretto e immediato sul sistema di remunerazione di cui all’articolo 7 della l. 10 del 1991, ma - per di più - faceva espressamente salvo (e con formulazioni prive dei profili di ambiguità lamentati dalle imprese appellanti) tale particolare sistema. Sotto tale aspetto il Collegio osserva che: - altra cosa è una disciplina di settore che, attraverso l’introduzione del modello di ‘dispacciamento virtuale’ consente la piena libertà di scelta del gestore per i clienti di micro-sistemi in precedenza chiusi alla concorrenza (determinando possibili cadute di redditività per l’ipotesi - allo stato non dimostrata - di massicce transizioni verso altri operatori in grado di offrire condizioni tariffarie di maggior favore), mentre - ben altra cosa è una disciplina di settore - allo stato non adottata - con comporti il pieno superamento del sistema di remunerazione basato sulla c.d. ‘integrazione tariffaria’ ai sensi dell’articolo 7 della l. 10 del 1991. Pertanto, il motivo di appello con cui si è lamentato il mancato coordinamento e la sostanziale sovrapposizione fra le due richiamate iniziative regolatorie non può trovare accoglimento. CONTENZIOSO NAZIONALE 253 6.3. Per le medesime ragioni non può essere condiviso l’argomento (articolato con il quinto motivo di appello) con cui si è lamentato che la delibera impugnata in primo grado avrebbe comportato una deroga sostanziale - se non un vero e proprio fenomeno di abrogazione implicita - del modello di remunerazione di cui al più volte richiamato articolo 7. 6.3.1. Si tratta, invero, di un motivo di ricorso che non riguarda la questione della partecipazione procedimentale (che viene esaminata nella presente Sezione), bensì la legittimità au fond della delibera impugnata in primo grado in relazione alla cruciale questione dei modelli di remunerazione dell’attività svolta dalle IEMNI. Si ritiene, tuttavia, che evidenti ragioni di stretta connessione per ragione di materia con quanto appena osservato sub 6.2. inducano ad anticipare alla presente sede la trattazione di questa parte dei motivi di merito. 6.3.2. Al riguardo, ci si limita ad osservare che l’argomento in questione (pure, svolto con particolare enfasi dalle società appellanti) non rinviene in atti alcun riscontro testuale o sistematico e - al contrario - risulta espressamente disatteso da una specifica e non equivoca prescrizione contenuta nella delibera impugnata. 6.4. Per ragioni del tutto analoghe, non può trovare accoglimento l’argomento (anch’esso sviluppato con il quinto motivo di appello) con cui si è lamentato che la delibera ARG/elt 89/09 avrebbe instaurato un regime confuso e irragionevole comportante la coesistenza del regìme di integrazione verticale instaurato nel 1991 e del diverso regime di remunerazione determinato dall’adozione della delibera del 2009. 6.4.1. Anche in questo caso si tratta di una questione che, pur non impingendo i profili della partecipazione procedimentale, può essere esaminata nella presente sede, sussistendo adeguate ragioni sistematiche in tal senso. 6.4.2. Al riguardo ci si limita ad osservare che, per le ragioni dinanzi esposte, non può affermarsi che la delibera impugnata in primo grado avesse inciso in modo diretto e immediato sui pregressi sistemi di remunerazione delle IEMNI. Al contrario, le possibili ricadute negative sulla redditività di tali imprese (peraltro, prive di puntuali ed esaustivi risconti in atti) potrebbero verificarsi solo laddove le scelte degli utenti si orientassero in modo massivo verso altri fornitori. Ma anche in questo caso, l’eventuale (e non dimostrato) pregiudizio patto dalle società appellanti non paleserebbe per ciò stesso profili di ingiustizia, costituendo null’altro, se non la conseguenza di ordinarie dinamiche concorrenziali (quali quelle sottese alla formulazione del comma 2 dell’articolo 1 del decreto-legge 18 giugno 2007, n. 73 convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2007, n. 125). 6.5. Evidenti ragioni di contiguità sistematica impongono, altresì, di anticipare l’esame dei motivi di ricorso con cui si è lamentato che la delibera impugnata in primo grado avrebbe comportato una inammissibile deroga (o, addirittura uno spurio fenomeno di abrogazione implicita) rispetto alle previsioni di materia di remunerazione dell’attività delle IEMNI di cui alla l. 10 del 1991. 6.5.1. Al riguardo il Collegio osserva che non appare condivisibile l’argomento (articolato con il terzo motivo di appello) con cui si contesta che l’entrata in vigore della l. 125 del 2007 avrebbe comportato sic et simpliciter l’abrogazione (implicita) del sistema di remunerazione di cui all’articolo 7 della l. 10 del 1991. Si osserva al riguardo che la delibera impugnata in primo grado non ha in alcun modo affermato che l’entrata in vigore della l. 125, cit. avrebbe comportato l’abrogazione del richiamato sistema di remunerazione (il quale - al contrario - è stato tenuto espressamente fermo dalla delibera in questione). 254 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Invero, la richiamata delibera si è limitata ad affermare (e in modo del tutto corretto): i) che la legge n. 125 cit., nel dare attuazione a disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia, ha individuato tutti i clienti finali, senza distinzione in merito alla localizzazione della rete elettrica di connessione, come clienti titolari del diritto di scegliere un proprio fornitore di energia elettrica e quindi accedere al mercato libero; ii) che la medesima legge n. 125 del 2007, nel disciplinare l'erogazione dei servizi di maggior tutela e di salvaguardia, non ha operato alcuna distinzione dei diritti dei clienti finali in merito alla localizzazione della rete di connessione. In modo parimenti condivisibile, la richiamata delibera ha stabilito che, anche al fine di dare piena attuazione a quanto disposto dalla legge n. 125 del 2007, sia opportuno disciplinare le modalità di erogazione del pubblico servizio di dispacciamento delle aree del territorio nazionale servite da reti non interconnesse, “anche per dare applicazione ai servizi di vendita dell'energia elettrica senza discriminare tra clienti finali allacciati a reti con obbligo di connessione di terzi situate in aree interconnesse con la rete di trasmissione nazionale e clienti finali in aree non interconnesse a quest’ultima”. 6.5.2. Anche sotto tale aspetto, quindi, il ricorso in epigrafe non può trovare accoglimento. 6.6. Il secondo ordine di motivi di appello deve conclusivamente essere respinto. 7. Si può a questo punto passare all’esame dei motivi di appello inerenti i profili di legittimità delle scelte regolatorie ‘di merito’ tradottesi nell’adozione della delibera ARG/elt 89/09. Come si è anticipato in premessa, la principale censura mossa dalle società appellanti alla delibera impugnata in primo grado riguarda la presunta erroneità ed irragionevolezza della scelta regolatoria tradottasi nell’istituzione di un sistema di ‘dispacciamento virtuale’ in assenza di interconnessione fisica con la RTN, laddove il proprium dell’attività di dispacciamento presupporrebbe in via necessaria una siffatta interconnessione, risolvendosi - altrimenti - in un meccanismo del tutto artificioso o ‘immaginario’. Il motivo in questione deve essere esaminato congiuntamente con l’ulteriore motivo (già articolato in primo grado e qui puntualmente riproposto) con cui si è lamentato che la delibera impugnata in primo grado avrebbe travalicato i limiti oggettivi e soggettivi della concessione rilasciata a Terna s.p.a. quale gestore della RTN ai sensi del d.m. 17 luglio 2000, atteso che l’atto di concessione non consente l’esercizio di attività di dispacciamento al fuori della RTN stessa (e in particolare, per quanto qui rileva, nell’ambito dei micro-sistemi isolani non interconnessi con la RTN). 7.1. I motivi in questione non possono trovare accoglimento. In particolare si osserva che la scelta regolatoria tradottasi nella configurazione di un sistema di ‘dispacciamento virtuale’ in assenza di interconnessione fisica può, se del caso, essere sottoposta a una critica - per così dire - di tipo ‘valoriale’ in quanto opzione tecnico discrezionale comunque opinabile, ma non risulta affetta da evidenti profili di illegittimità, non sussistendo alcuna preclusione di ordine comunitario o nazionale in tal senso e - correlativamente - non sussistendo alcun vincolo normativo che imponga la necessaria coincidenza - per così dire - ‘in senso fisico’ fra l’ambito dell’interconnessione di rete e l’ambito spaziale di esercizio dell’attività di dispacciamento. 7.1.1. Al riguardo, nei suoi scritti difensivi l’Autorità appellata ha correttamente rilevato: - che l’enucleazione del contestato sistema di dispacciamento virtuale e, più in generale, la complessiva scelta regolatoria tradottasi nell’adozione della delibera impugnata in primo grado, sia stata dettata dall’esigenza di corrispondere alle prescrizioni di cui alla l. 125 del 2007, la quale ha sancito - compatibilmente con i dettami dell’ordinamento comunitario - il CONTENZIOSO NAZIONALE 255 diritto di tutti i clienti finali (ivi compresi, quindi, quelli residenti nelle piccole realtà isolane che qui rilevano) di beneficiare - in assenza di discriminazioni di sorta rispetto agli utenti residenti in aree interconnesse con la RTN - degli effetti della piena apertura e liberalizzazione del mercato elettrico, con la connessa libertà di scegliere il proprio operatore/fornitore di riferimento (in tal senso, la previsione di cui al primo periodo del comma 2 dell’articolo 1 della l. 125, cit., secondo cui “a decorrere dal 1° luglio 2007 i clienti finali domestici hanno diritto di recedere dal preesistente contratto di fornitura di energia elettrica come clienti vincolati, secondo modalità stabilite dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e di scegliere un fornitore diverso dal proprio distributore”). Tale previsione risulta, del resto, del tutto conforme alla previsione di cui alla direttiva 2003/54/CE - sesto e settimo ‘considerando’ - secondo cui l’accesso alla rete senza discriminazioni, in modo trasparente e a prezzi ragionevoli è necessaria per il buon funzionamento della concorrenza anche in questo particolare settore di mercato. Del resto è pacifico in atti che, prima dell’adozione del sistema regolatorio in contestazione, il richiamato diritto di libertà in favore dei clienti finali residenti nelle piccole isole non potesse in alcun modo essere esercitato; - che la delibera in questione, pur nella sua particolarità e oggettiva complessità (derivante dall’assoluta peculiarità delle realtà di riferimento), risponde in modo non irragionevole all’esigenza di consentire a società terze che intendano stipulare contratti di fornitura di energia elettrica con clienti residenti nelle piccole isole in questione di conoscere la quantità di energia da immettere nel sistema interconnesso in conseguenza del prelievo di energia - di identico ammontare - operato dal cliente finale residente sulla piccola isola; - che la scelta di ricorrere, a tal fine, a sistemi di carattere convenzionale (basati sulla stipula di contratti di carattere finanziario conclusi al di fuori del circuito borsistico e in assenza di un obbligo sottostante di fornitura), lungi dal palesare profili di illegittimità o di illogicità, si rivela piuttosto uno strumento di fatto necessitato al fine di conseguire comunque i richiamati obiettivi di apertura al mercato e di tutela dell’utente finale di cui alla l. 125, cit. (altrimenti, non realizzabili), pur tenendo conto delle assolute peculiarità e dei vincoli di contesto che caratterizzano le piccole realtà isolane in parola; - che, allo stesso modo, l’istituzione di un sistema ‘virtuale’ in base al quale l’utente finale acquista in modo altrettanto virtuale energia da un operatore del mercato libero (mentre, sotto l’aspetto ‘fisico’ continua a prelevare energia dal produttore della micro-rete cui è in concreto connesso) risulta, di fatto, l’unico possibile laddove si intenda riconoscere alla clientela isolana la possibilità di scegliere il proprio operatore sul mercato libero della fornitura. Sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che, in pratica, l’alternativa al - pur complesso - sistema in contestazione sarebbe semplicemente quello di non ammettere tale porzione di clientela (e in contrasto con le previsioni di cui alla più volte richiamata l. 125 del 2007 e ai principi comunitari sottesi alle sue prescrizioni) alla scelta del proprio operatore di riferimento; - che, impostati in tal modo i termini della questione, non appare né illegittima né irragionevole la scelta regolatoria volta ad istituire un particolare sistema di dispacciamento (ancora una volta, di carattere ‘virtuale’) pure in assenza di interconnessione con la RTN; - che, come condivisibilmente statuito dai primi Giudici, la particolarità del sistema regolatorio contestato dalle IEMNI consiste in ciò, che nel caso delle reti non interconnesse alla RTN, stante l’impossibilità ‘strutturale’ della rete medesima di operare il dispacciamento dell’energia oggetto dei contratti di vendita stipulati altrove, si assoggettano le imprese ‘sole providers’ nei mercati isolani agli obblighi di servizio pubblico di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 1 della l. 239 del 2004. Sotto tale aspetto, non emergono preclusioni ad ammettere 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 l’applicabilità della disposizione da ultimo richiamata nei confronti delle imprese appellanti, le quali gestiscono - conformemente a tale disposizione - particolari infrastrutture di approvvigionamento di energia connesse alle attività di trasporto e dispacciamento - inteso in senso ‘virtuale’ - dell’energia a rete (né una siffatta preclusione può derivare dal fatto che le imprese appellanti risultano altresì destinatarie degli obblighi di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c) della medesima legge n. 239 per ciò che riguarda l’esercizio dell’attività di distribuzione); - che l’enucleazione del richiamato sistema di dispacciamento virtuale e l’imposizione di obblighi di connessione anche a soggetti non richiedenti risulta giustificata da considerazioni inerenti la sicurezza del sistema nel suo complesso e la garanzia della corretta erogazione del servizio. E le opzioni poste a fondamento di tale scelta regolatoria risultano tanto più giustificate laddove si consideri il rilievo essenziale che gli impianti nella disponibilità di ciascuna delle imprese appellanti presentano nell’ambito delle singole realtà geografiche di riferimento. Sotto tale aspetto, la delibera impugnata in primo grado risulta esente dai lamentati profili di violazione di legge e di eccesso di potere (in relazione alle numerose figure sintomatiche invocate) per la parte in cui ha assunto quale presupposto fondante dell’attività di regolazione il riconoscimento degli impianti di produzione delle imprese appellanti quali impianti essenziali per la sicurezza del sistema elettrico (con conseguente iscrizione degli stessi, a far data dal 1° gennaio 2010, nell’elenco UESS). In particolare, tale riconoscimento appare del tutto coerente con il dato di fatto (riconosciuto dalle stesse società appellanti e pacifico in atti) secondo cui gli impianti riferibili a ciascuna delle società appellanti rappresentano, nei rispettivi ambiti geografici di riferimento, le uniche risorse in grado di garantire la continuità del sistema elettrico sulle reti isolane. Allo stesso modo, del tutto coerentemente la delibera impugnata in primo grado ha stabilito che gli impianti in questione dovessero essere soggetti a particolari vincoli di offerta e di programmazione al fine di garantire la sicurezza del sistema elettrico nelle particolari realtà di riferimento. 7.2. Ebbene, una volta operate le premesse generali di cui al precedente punto 7.1.1., emerge l’infondatezza dell’atto di appello nel suo complesso. 7.2.1. In primo luogo, risultano infondati: - il motivo di ricorso (sviluppato con il primo motivo di appello) con cui si è lamentata la presunta erroneità ed irragionevolezza della scelta regolatoria consistente nell’enucleazione di un artificiale sistema di interconnessione solo ‘virtuale’ in relazione ad ambiti geografici non interconnessi e caratterizzati dalla presenza di un ‘sole provider’. Al riguardo (rinviando a quanto già in precedenza osservato e a quanto si dirà infra, sub 8.1 in relazione alla compatibilità del modello in questione con l’ordinamento comunitario) si osserva che le Autorità italiane si sono avvalse in modo del tutto legittimo della possibilità, contemplata dall’Ordinamento dell’Unione europea, di svincolare e (e di non far coincidere) l’ambito geografico dell’esercizio dell’attività di dispacciamento e quello dell’interconnessione di rete; - il motivo di ricorso con cui si è lamentato che la delibera impugnata avrebbe illegittimamente istituito un altrettanto artificioso sistema di regolazione meramente finanziaria dei rapporti fra gli operatori del mercato elettrico (con obbligo di fornitura nei confronti di altri operatori) e avrebbe altrettanto illegittimamente assoggettato le IEMNI ai particolari obblighi di servizio pubblico di cui alla l. 239 del 2004, articolo 1, comma 2, lettera b). In particolare, non può essere condiviso il motivo con cui si è osservato che i ‘contratti di vendita di carattere meramente finanziario’ stipulati con i clienti finali risulterebbero effetti da radicale nullità per impossibilità dell’oggetto ai sensi del primo comma dell’articolo 1418, cod. civ. Sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che la tesi risulta infondata, evidente essendo che i contratti stipulati CONTENZIOSO NAZIONALE 257 con gli utenti finali hanno ad oggetto - e in modo del tutto ordinario - la fornitura di determinati quantitativi ‘fisici’ di energia elettrica dietro versamento di un corrispettivo, non rilevando nei rapporti con gli utenti finali le modalità di approvvigionamento dell’energia elettrica nei rapporti - per così dire - ‘a monte’ fra il soggetto produttore e l’operatore distributore e venditore finale. Allo stesso modo, non appare in alcun modo dimostrato che i richiamati contratti ‘a monte’ siano ascrivibili al novero degli strumenti finanziari derivati e che rientrino nel campo di applicazione della direttiva 2004/39/CE; - il motivo di ricorso con cui si è lamentato che illegittimamente la delibera ARG/elt 89/09 avrebbe attribuito agli impianti di produzione delle imprese appellanti la qualifica di ‘impianti essenziali per la sicurezza’ del sistema nel suo complesso. Sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che, per le ragioni già esposte (nonché per quelle che fra breve si esporranno) la ridetta qualificazione appare del tutto giustificata laddove si riguardi all’assoluta peculiarità degli impianti di produzione in relazione alla realtà di riferimento e secondo un angolo visuale volto a riguardare il sistema elettrico nazionale (nelle sue tre fasi della produzione, trasmissione e distribuzione) in una chiave di lettura non ‘monadologica’, ma in base un’ottica, appunto, ‘di sistema’; - il motivo di ricorso con cui si è lamentata l’illegittimità della coattiva separazione fra l’attività di vendita (che comunque residua in capo alle società appellanti) e il concomitante obbligo di fornitura in favore di altri operatori imposto attraverso il riconoscimento della qualifica di ‘utenti del bilanciamento’. Sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che la delibera in questione, lungi dall’imporre forme di coattiva separazione, postula al contrario un sistema nell’ambito del quale entrambe le attività in questione sono svolte in modo concomitante dai titolari degli impianti di produzione esistenti in ciascuna realtà isolana; - il motivo di ricorso con il quale (reiterando ancora una volta un argomento già profuso in primo grado e già respinto dai primi Giudici) si è affermato che la delibera impugnata in primo grado avrebbe disposto una forma di asservimento della produzione di energia elettrica da parte delle IEMNI alle esigenze di terzi rivenditori, in tal modo violando l’articolo 41, Cost. (in tema di libertà di iniziativa economica privata) e l’articolo 43 (in tema di limiti al potere di ablazione). Quanto al primo aspetto (libertà di iniziativa economica privata), ci si limita ad osservare che l’adozione da parte delle Autorità pubbliche di misure proconcorrenziali non può in alcun modo essere ritenuta lesiva di tale diritto di libertà, a meno di voler ritenere che il mantenimento di una situazione di chiusura del mercato costituisca di per sé un bene giuridico meritevole di tutela. Quanto al secondo aspetto (limiti al potere di ablazione) ci si limita ad osservare che - come condivisibilmente affermato dai primi Giudici - l’introduzione di taluni meccanismi tipici dell’economia di mercato in regime di concorrenza non presenti alcun profilo di carattere ablatorio nei confronti delle imprese interessate. A tacer d’altro, è stato correttamente osservato che, anche a seguito dell’entrata in vigore della delibera impugnata in primo grado e anche nel caso di parziale passaggio della clientela di ad altri operatori, le IEMNI continueranno comunque ad operare nei mercati di riferimento e ad incamerare sia il corrispettivo dell’energia prodotta (a tal fine godendo dell’integrazione tariffaria, espressamente fatta salva), sia il corrispettivo per l’attività di fornitura da parte del distributore esterno. 8. Devono a questo punto essere esaminati motivi con cui è stata riproposta la questione della compatibilità con l’ordinamento comunitario del modello regolatorio di cui alla delibera impugnata in primo grado. 8.1. Al riguardo il Collegio osserva in primo luogo che non può trovare accoglimento la richiesta (formulata dalle società appellanti in via subordinata rispetto all’accoglimento dei motivi di appello sin qui esaminati) di rivolgere alla Corte di giustizia dell’Unione europea un 258 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 quesito interpretativo ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’UE circa la compatibilità del sistema di dispacciamento virtuale istituito dalla delibera ARG/elt 89/09 e l’articoli 11 della direttiva 2003/54/CE (in tema, appunto, di ‘dispacciamento e bilanciamento’). Sotto tale aspetto si osserva che, nonostante il terzo comma dell’articolo 267 del TFUE oneri in via generale gli Organi giurisdizionali nazionali avverso le cui decisioni non sono ammessi rimedi in via ordinaria a sollevare il c.d. rinvio per interpretazione quante volte tali Organi ritengano la risoluzione della questione necessaria per poter rendere la propria pronunzia, nondimeno si ritiene che nel caso in esame sussistano le condizioni per poter prescindere dal sollevare una siffatta questione, vertendosi in una delle ipotesi di esenzione da tale obbligo ammesse dalla giurisprudenza della stessa Corte di giustizia. In particolare, nel caso in esame, la dedotta questione interpretativa risulta palesemente inconferente alla luce del contenuto precettivo della disposizione comunitaria richiamata dalle società appellanti (articolo 11 della direttiva 2003/54/CE), sì da non lasciare residuare alcun ragionevole dubbio in ordine alla soluzione da dare alla questione sollevata (CGCE, sentenza 16 giugno 2981 in causa C-126/80, Cilfit e, più di recente, sentenza 18 luglio 2013 in causa C-136/12, Consiglio nazionale dei geologi). Si osserva al riguardo: - che la richiamata disposizione comunitaria (conformemente alla previsione generale di cui all’articolo 288 del TFUE) indica il contenuto minimo necessario delle disposizioni nazionali di recepimento relative alla definizione dei compiti del gestore del sistema di trasmissione inerenti l’esercizio dell’attività di dispacciamento degli impianti di generazione “situati nella sua zona”. Tuttavia, la richiamata disposizione comunitaria non preclude in alcun modo alle Autorità nazionali di individuare ulteriori compiti del gestore e una latitudine delle attività di dispacciamento ulteriori rispetto a quelle riferibili all’ambito dell’interconnessione di rete; - che la previsione comunitaria la quale demanda al gestore del sistema di trasmissione l’attività di dispacciamento “degli impianti di generazione situati nella sua zona” non sembra in alcun modo imporre una coincidenza - per così dire - ‘in senso fisico’ fra l’ambito dell’interconnessione e l’ambito spaziale di esercizio dell’attività di dispacciamento. Al contrario, è evidente l’individuazione della latitudine di tale ‘zona’ resti demandata dalle stesse Autorità nazionali, le quali ben possono - in assenza di vincoli o preclusioni comunitarie di sorta – individuarla in un ambito geografico ulteriore e diverso rispetto a quello caratterizzato dall’interconnessione di rete; - che le Autorità italiane si sono effettivamente avvalse della possibilità di svincolare e (e di non far coincidere) l’ambito geografico dell’esercizio dell’attività di dispacciamento e quello dell’interconnessione di rete. Una conferma dirimente di quanto appena osservato si trae dalla previsione del comma 1 dell’articolo 1 del d.m. 17 luglio 2000 il quale ha attuato le previsioni di cui all’articolo 1 comma 1 e di cui all’articolo 3, comma 5 del decreto legislativo n. 79 del 1999 e ha evidentemente ammesso (contrariamente a quanto ritenuto dalle società appellanti) la possibilità di svincolare i due ambiti in parola. Non altrimenti può essere interpretata la previsione di cui all’articolo 1, comma 1, cit., secondo cui “è attribuita alla società ‘Gestore della rete di trasmissione nazionale s.p.a.’, a norma dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, la concessione delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica nel territorio nazionale, ivi compresa la gestione unificata della rete di trasmissione nazionale” (laddove l’utilizzo della locuzione “ivi compresa” sta chiaramente ad indicare che fra i due richiamati ambiti sussiste un evidente rapporto di genus ad speciem). 8.1.1. La richiesta in questione non può, quindi, trovare accoglimento. CONTENZIOSO NAZIONALE 259 8.2. Non può poi trovare accoglimento l’argomento (articolato con il quinto motivo di appello) con cui si è lamentato che, nell’adottare la delibera impugnata in primo grado, l’Autorità avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione le peculiarità tipiche dei piccoli sistemi isolati e dei microsistemi isolati di cui all’articolo 2, paragrafi 26 e 27 dell’articolo 2 della direttiva 2003/54/CE e di cui all’articolo 44 della direttiva 2009/72/CE. Al riguardo si osserva che i richiamati paragrafi 26 e 27 si limitano a fornire la definizione - rispettivamente - dei ‘piccoli sistemi isolati’ e dei ‘microsistemi isolati’, senza implicare - in modo esplicito o implicito - alcuna preclusione all’istituzione di un sistema del tipo di quello delineato dalla delibera ARG/elt 89/09. Per quanto riguarda, poi, il richiamo operato dalle appellanti all’articolo 44 della direttiva 2009/72/CE (relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE), va premesso che la disposizione in questione non potrebbe comunque costituire parametro di legittimità della delibera impugnata in primo grado, essendo stata adottata in un momento successivo a quello dell’emanazione della delibera in questione (rispettivamente: 13 luglio e 7 luglio 2009). Ai limitati fini che qui rilevano si osserva, comunque, che il richiamato articolo 44 non fissa un obbligo per gli Stati membri ad introdurre nei propri ordinamenti deroghe specifiche atte a fronteggiare le peculiarità dei cc.dd. ‘microsistemi isolati’, limitandosi – piuttosto – a riconoscere agli Stati membri una mera facoltà in tal senso. 9. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto. Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti, anche in considerazione della complessità e parziale novità delle questioni sottese alla presente decisione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2014. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Sull’erogazione del contributo economico per le vittime dell’estorsione PARERE 31/07/2015-357133, AL 16876/15, AVV. ILIA MASSARELLI Con la nota che si riscontra si chiede alla Scrivente di chiarire se, nel caso in cui sussistano utili e solidi elementi probatori in merito agli eventi delittuosi per la commissione dei quali è stata presentata dalle vittime dell’estorsione l’istanza di elargizione di cui alla legge 44\99, sia possibile procedere alla concessione dell’intero importo di quest’ultima (e non solo di un anticipo) anche prima dell’emanazione della sentenza conclusiva del giudizio penale. Nella predetta nota si è, infatti, evidenziato che la necessità di fare chiarezza sul punto nasce dall’esigenza di eliminare quelle situazioni di ingiustificata disparità di trattamento in forza delle quali, ancora oggi, le vittime dell’estorsione risultano destinatarie di un trattamento di minor favore: A) sia rispetto alle vittime dell’intimidazione ambientale, B) sia rispetto alle vittime dell’usura. A) Quanto alle vittime dell’intimidazione ambientale (soggetti rimasti vittime di condotte che, pur non integrando gli estremi del reato di estorsione, si caratterizzano per le medesime finalità estorsive), si è invero sottolineato che, pur essendo queste ultime formalmente equiparate dal legislatore alle vittime dell’estorsione in forza del co. 2 dell’art. 3 della L. 44/99, nella prassi, però, finiscono per essere destinatarie di un trattamento più favorevole rispetto a quello riservato alle vittime dell’estorsione. In forza di una prassi ormai consolidata, infatti : - mentre per le vittime dell’estorsione, la concessione dell’intero saldo dell’elargizione è subordinata all’esito del procedimento penale avente ad oggetto il fatto delittuoso posto alla base dell’istanza; - invece, per le vittime di intimidazione ambientale è possibile procedere all’erogazione dell’intero importo dell’elargizione a prescindere, e dunque 262 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 anche prima, dell’emanazione di una sentenza di condanna conclusiva del relativo procedimento penale. B) Per quanto riguarda, invece, le vittime dell’usura, si è sottolineato che la disparità di trattamento rispetto alle vittime dell’estorsione trova oggi il proprio fondamento nella diversa e più favorevole disciplina dettata dal legislatore per questa categoria di soggetti. A seguito della modifica apportata dalla L. 3/2012 all’art. 14 della L. 108/1996, infatti, il co. 3 del citato art. 14 prevede oggi espressamente - ma solo per le vittime dell’usura - che “il mutuo può essere concesso, anche nel corso delle indagini preliminari, previo parere favorevole del pubblico ministero, sulla base di concreti elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari medesime”. Manca invece un analogo intervento legislativo anche per le vittime dell’estorsione, per le quali non è espressamente prevista la possibilità di ricevere l’intero ammontare dell’elargizione (a loro ex lege riservata) prima della conclusione del giudizio penale. ***** Con la nota che si riscontra, si è, inoltre, fatto presente che sulla predetta questione si era già in precedenza pronunciato il Comitato di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura il quale, nella seduta del 21 ottobre 2009, aveva affermato che, fatti salvi i casi di intimidazione ambientale, la corresponsione alle vittime dell’estorsione dell’intero importo dell’elargizione fosse subordinata esclusivamente all’emanazione, da parte dell’Autorità Giudiziaria, della sentenza definitoria del procedimento penale: prima di tale momento, invero, sarebbe stato possibile procedere solo alla corresponsione di una percentuale dell’ammontare complessivo dell’elargizione stessa. A fondamento di tale interpretazione si richiamava in particolare l’art. 14 della l. 44/99 (sul Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura) che, nel disciplinare la concessione dell’elargizione, espressamente stabilisce che alla stessa debbano trovare applicazione, in quanto compatibili, alcune disposizioni di cui alla L. 302/90 (Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata) tra le quali, in particolare, l’art. 7. Quest’ultima disposizione nega la possibilità di corrispondere ai destinatari, vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, l’intero saldo dell’elargizione prima della conclusione del giudizio penale, potendosi riconoscere al limite, in tale momento, il diritto all’erogazione di una provvisionale: norma ritenuta, in quella sede, applicabile anche alle elargizioni spettanti alle vittime dell’estorsione, in forza, appunto, del rinvio operato dal menzionato art. 14. Con la nota che si riscontra, però, codesto Ufficio, constatando le negative e, soprattutto, discriminatorie conseguenze pratiche derivanti dall’applicazione di una simile interpretazione, chiede alla Scrivente se, in determinati casi, PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 263 anche con riferimento alle vittime dell’estorsione sia possibile procedere alla corresponsione dell’intera elargizione ancor prima dell’emanazione della relativa sentenza penale, come avviene, appunto, per legge per le vittime dell’usura e, per prassi consolidata, per quelle dell’intimidazione ambientale. Esaminata la disciplina dettata dal legislatore in materia nonché le finalità pratiche che la stessa mira a perseguire, la Scrivente ritiene che, specialmente nei casi in cui l’Amministrazione risulti in possesso di fondati elementi probatori in merito all’evento delittuoso posto alla base dell’istanza, possa legittimamente consentirsi alla stessa di procedere all’erogazione dell’intero ammontare del beneficio anche prima della conclusione del procedimento penale. Per comprendere la ragionevolezza di tale soluzione interpretativa, pare opportuno chiarire meglio: - il significato da attribuire al rinvio (succitato) operato dall’art. 14 della L. 44/99 alle disposizioni di cui alla L. 302/90; - ed, in particolare, al richiamato art 7. A tale riguardo, è infatti dirimente tenere presente che l’art. 14 della L. 44/99 dispone espressamente che, nella concessione dell’elargizione, “si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 7 (sopra menzionato), 10 e 13 della legge 20 ottobre 1990, n. 302”. Ciò significa quindi che il rinvio operato dall’art. 14 alle predette disposizioni normative, lungi dall’essere un rinvio automatico ed immediato, presuppone, invece, una preventiva valutazione di compatibilità di ciascuna delle norme richiamate con la disciplina legislativa nella quale le stesse dovrebbero andare ad inserirsi. E tale valutazione deve essere, dunque, operata anche con riferimento all’art. 7 della L. 302/90 nella parte in cui - come già in precedenza ribadito - prevede che, prima dell’emanazione della sentenza penale, l’Amministrazione possa corrispondere solo una percentuale dell’ammontare totale dei benefici riconosciuti e non l’intera elargizione. Prima che tale norma possa, infatti, trovare applicazione anche ai benefici previsti per le vittime dell’estorsione, è necessario che ne venga preventivamente valutata la sua piena compatibilità: - sia con l’intera disciplina dettata dal legislatore a tutela delle vittime dell’estorsione; - sia con le finalità ad essa sottese, considerando anche i possibili effetti negativi che dalla sua applicazione potrebbero derivare. Per quanto riguarda innanzi tutto la disciplina dettata dal legislatore in materia di estorsione, occorre osservare che nella L. 44/99 non si rinviene alcuna esplicita disposizione intesa a subordinare la concessione del saldo dell’elargizione all’emanazione della sentenza penale di accertamento del fatto delittuoso. Al contrario, sembrerebbe piuttosto che la richiamata normativa sia orien- 264 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 tata nel senso di svincolare, per quanto possibile, il procedimento amministrativo di elargizione dal procedimento penale. E a deporre in tal senso sovvengono alcune specifiche disposizioni quali, in particolare, l’art. 3 della L. 44/99 il quale, nell’individuare i soggetti beneficiari della tutela, specifica che “se per il delitto al quale è collegato il danno sono in corso le indagini preliminari, l'elargizione è concessa sentito il pubblico ministero competente, che esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla richiesta. Il procedimento relativo all'elargizione prosegue comunque nel caso in cui il pubblico ministero non esprima il parere nel termine suddetto ovvero nel caso in cui il pubblico ministero comunichi che all'espressione del parere osta il segreto relativo alle indagini”. Analoga deduzione si ricava anche dall’art. 17 che, nel determinare le condizioni necessarie per la concessione di una provvisionale prima della definizione del procedimento (amministrativo) per la concessione dell'elargizione, statuisce che “Se per il delitto al quale è collegato il danno sono in corso le indagini preliminari, la provvisionale è concessa, sentito il pubblico ministero competente, che esprime il proprio parere entro trenta giorni dalla richiesta. Il procedimento relativo alla concessione della provvisionale prosegue comunque nel caso in cui il pubblico ministero non esprima il parere nel termine suddetto ovvero nel caso in cui il pubblico ministero comunichi che all'espressione del parere osta il segreto relativo alle indagini”. Sulla base di tali disposizioni sembrerebbe, quindi, che il legislatore, preso atto della possibilità della contemporanea pendenza dei due procedimenti, abbia voluto impedire (o quantomeno evitare) che il procedimento amministrativo subisca un arresto o un impedimento a causa del procedimento penale, consentendo allo stesso di proseguire comunque, pur in mancanza di un espresso parere da parte del Pubblico Ministero. Se questa è la base sulla quale il legislatore ha costruito l’impianto legislativo di cui alla L. 44/99, è evidente che difficilmente potrà considerarsi compatibile con essa una disposizione, quale l’art. 7 della L. 302/90, volta a subordinare in ogni caso l’esito del procedimento amministrativo a quello del procedimento penale. A conferma di tale assunto sovviene soprattutto quanto recentemente disposto dal nuovo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 60/2014, il quale sembra addirittura riconoscere espressamente la possibilità di corrispondere l’intero importo dell’elargizione anche prima della definizione del processo penale. L’art. 26 del citato regolamento dispone, infatti, che “Se l'elargizione (beneficio previsto per i soggetti passivi dell’estorsione) o il mutuo sono concessi prima della sentenza relativa al fatto che ha causato il danno o al delitto di usura, pronunciata anche a seguito di giudizio abbreviato o ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, ovvero prima dell'adozione del prov- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 265 vedimento di archiviazione, il Comitato di solidarietà antiracket e antiusura, entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, ancorché non definitiva, o dell'adozione del provvedimento di archiviazione, procede al riesame della domanda ai fini dell'eventuale revoca, anche parziale, della deliberazione precedentemente assunta, anche con riguardo all'entità dell'elargizione o all'ammontare del mutuo”. Da tale disposizione risulta chiaro che lo stesso legislatore, non parlando espressamente di “anticipo” o di “parte” del beneficio abbia considerato come possibile l’ipotesi della corresponsione dell’intera elargizione ancor prima dell’emanazione della sentenza penale: diversamente, non avrebbe, infatti, avvertito l’esigenza di dettare una norma ad hoc volta a disciplinarne le conseguenze. Pertanto, se è vero che non esiste disposizione di legge che neghi espressamente la facoltà di concessione dell’intero beneficio in esame (e non solo di una parte) indipendentemente dall’adozione di una sentenza penale sul fatto delittuoso, è altrettanto vero che tale possibilità è oggi espressis verbis accordata dal precitato art. 26 del regolamento di attuazione, che, quindi, nel contenuto, non si pone in contrasto con alcuna disposizione di legge contraria. D’altro canto la difficile compatibilità del citato art. 7 con la disciplina soprarichiamata si evidenzia anche sotto il diverso profilo delle finalità che tale normativa si pone di perseguire e realizzare. Obiettivi principali della L. 44/99 sono, infatti, da un lato, quello di combattere il fenomeno criminale dell’estorsione, incentivando le denunce da parte delle vittime; dall’altro, quello di garantire a queste ultime l’erogazione di un indennizzo che possa costituire un adeguato supporto economico oltre che un ristoro per i danni subiti. Come, però, anche correttamente evidenziato nella nota in oggetto, l’efficacia del sostegno economico per gli imprenditori che sono rimasti vittima di reati quali l’estorsione o l’usura dipende inevitabilmente dalla rapidità dell’erogazione del beneficio. Orbene, in base alla prassi tutt’ora seguita nonché alla disciplina attualmente vigente per come letteralmente interpretata, sembra che tale esigenza di celerità sia stata senz’altro assicurata: - da un lato, alle vittime dell’intimidazione ambientale, per le quali, per prassi, si procede all’erogazione dell’intero importo dell’elargizione a prescindere dall’emanazione della sentenza penale; - dall’altro, alle vittime dell’usura, per le quali è lo stesso legislatore a prevedere oggi espressamente la possibilità che il mutuo sia erogato “anche nel corso delle indagini preliminari, previo parere favorevole del pubblico ministero, sulla base di concreti elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari medesime”, come disposto dal già richiamato co. 3 dell’art. 14, L. 108/1996. 266 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Considerato, però, che la medesima esigenza di garanzia dell’efficacia del contributo economico si pone, in ugual misura, anche per le vittime dell’estorsione, non si vede per quale ragione solo nei confronti di quest’ultime si debba negare la possibilità di corrispondere l’intera erogazione dell’elargizione anche prima della definizione del procedimento penale. In primo luogo, infatti, ove, in applicazione dell’art. 7 della L. 302/90, l’Amministrazione fosse costretta ad attendere sempre l’esito del processo penale prima di riconoscere alla vittima dell’estorsione l’intera somma alla stessa spettante, l’efficacia del sostegno economico previsto per le vittime dell’estorsione verrebbe ad essere completamente vanificata: e ciò a maggior ragione nei casi in cui l’Amministrazione, attraverso gli atti giudiziari o i rapporti delle Forze di Polizia, abbia raccolto solidi elementi probatori in merito al fatto delittuoso posto a fondamento dell’istanza. In secondo luogo, si verrebbe a creare una situazione di palese e ingiustificata disparità di trattamento tra le vittime dell’estorsione, da un lato, e le vittime dell’intimidazione ambientale e dell’usura, dall’altro. Alla luce di ciò, posta la difficile compatibilità, per le suesposte considerazioni giuridiche e di opportunità, dell’art. 7 della L. 302/90 con la disciplina dettata in materia di benefici per le vittime dell’estorsione, specialmente nei casi in cui l’Amministrazione sia in possesso di concreti elementi probatori in merito ai fatti delittuosi per i quali è stata proposta l’istanza di elargizione, sembra opportuno ritenere che in tali circostanze si possa procedere, anche nei confronti delle vittime dell’estorsione, all’erogazione dell’intero importo dell’elargizione anche prima che venga pronunciata la sentenza penale. Il presente parere è passato all’esame del Comitato Consultivo, che si è espresso in conformità. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 267 Procedura sulla scelta degli enti incaricati della valutazione scientifica dei dossier di prodotti fitosanitari PARERE 14/09/2015-404412, AL 24525/15, AVV. VINCENZO RAGO 1. Si chiede di conoscere il parere della Scrivente, in relazione alla corretta procedura di scelta degli enti, con i quali stipulare accordi di collaborazione per lo svolgimento delle attività istituzionali di valutazione scientifica dei dossier per l’immissione in commercio di prodotti fitosanitari, tenuto conto della necessità per il Ministero di avvalersi dell’opera di alta specializzazione di alcuni istituti e università, anche quelle private e/o c.d. libere, oltre che di laboratori privati. 1.1 Tra le varie possibilità fornite dall’ordinamento, il Ministero precisa di avere, nel tempo, stipulato a) accordi di collaborazione con “pubbliche amministrazioni”, ai sensi dell’art. 15 della Legge n. 241/90; b) convenzioni con Università non statali con ricorso alla procedura negoziata (art. 57, c. 2 lett. b), del D.lgs. n. 163/2006), in presenza di ragioni di natura tecnica che giustificassero la stipulazione del contratto unicamente con un ente determinato; c) nonché, da ultimo, la procedura comparativa semplificata dei cc.dd. acquisti in economia (art. 125, D.lgs. 163/2006 citato). 1.2 Questi enti e soggetti specializzati - Istituti scientifici, Università sia pubbliche che non statali, Centri di ricerca, Laboratori ufficiali sia privati sia pubblici, - sono ora iscritti in un apposito Elenco, costituito, ai sensi dell’art. 125 del D.Lg.vo n. 163/2006 citato, sulla base di un recente Decreto direttoriale 20 ottobre 2014 ed a seguito di Avviso pubblico inserito sul Portale web del Ministero, in quanto risultano in possesso dei requisiti di capacità tecnicoprofessionale e di capacità economico-finanziaria, necessari per svolgere le procedure d’esame preventivo dei prodotti in tema. 1.3 Così stando le cose, considerate le innovazioni procedurali intervenute nel 2014, consistenti nella istituzione dell’Elenco di questi soggetti specializzati, nonché nella separazione tra l’utilizzo dello strumento dell’Accordo tra pubbliche amministrazioni (art. 15 Legge n. 241/1990) e l’utilizzo delle procedure di acquisto in economia (art. 125 D. Lg.vo n. 163/2006), e tenuto conto che le procedure di “gara europea”, disciplinate dal c.d. Codice dei contratti pubblici, sono procedure particolarmente complesse, che richiedono tempi lunghi, codesto Ministero chiede se sia possibile utilizzare le disposizioni di cui all’art. 3 del D.P.R. 23 aprile 2001, n. 290, Regolamento di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti, evitando - nella sostanza - il ricorso alla gara pubblica. 268 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 1.4 L’art. 3 del D.P.R. n. 290/2001 dispone che “Il Ministero (della salute - n.d.r.), di concerto con i Ministeri dell'ambiente e delle politiche agricole e forestali, per l'assolvimento di tutti i compiti di natura tecnico-scientifica di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, ed al presente regolamento, stipula convenzioni con l'istituto superiore di sanità ed anche con altri istituti di diritto pubblico di specifica competenza, utilizzando allo scopo le risorse di cui all’articolo 20, comma 5, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194”. *** 2. Occorre, anzitutto, esaminare quali siano le attività oggetto delle convenzioni da stipulare: codesto Ministero riferisce nella richiesta di parere che si tratta di servizi disciplinati dal Reg. CE n. 1107/2009 disposizioni correlate, all’osservanza delle quali l’Italia non può sottrarsi, in ragione di rilevantissimi profili di sanità pubblica e che sono procedimento resi dalla P.A “ad istanza ed utilità di parte” tariffati con appositi Decreti interministeriali Ministero Salute - Ministero Economia e Finanze. 2.1 Acquisito dal sito Internet del Ministero il D.M. 20 ottobre 2014 di “Istituzione di un elenco di enti per lo svolgimento delle attività di cui ai Regolamenti (CE) n. 396/2005, (CE) n. 1272/2008, e (CE) n. 1107/2009 ed alla Direttiva 2009/12/CE, in materia di prodotti fitosanitari”, nonché l’Avviso pubblico, pure pubblicato sul sito Internet indicato, è emerso che le attività richieste ai soggetti inseriti nell’elenco - connotate da elevato grado di tecnicismo - sarà affidata (cfr. art. 1 del D.M. cit.) a) mediante apposite convenzioni, lo svolgimento delle attività di valutazione dei prodotti fitosanitari (tra queste la valutazione dei dossier per l’approvazione di sostanze attive, la valutazione dei dossier per l'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, la valutazione dei dossier per la ri-registrazione e gli adeguamenti delle autorizzazioni in ottemperanza a disposizioni comunitarie, etc, etc.); b) mediante contratti di ricerca e sviluppo, lo svolgimento delle attività di messa a punto di modellistica per la predizione delle concentrazioni di prodotti fitosanitari nei comparti ambientali e dei loro potenziali effetti; di definizione di criteri generali di valutazione del rischio per i consumatori, gli operatori e l'ambiente, connesso all’utilizzo di prodotti fitosanitari in agricoltura, di messa a punto di criteri per l’attuazione di valutazione comparative dell’efficacia di differenti prodotti fitosanitari. Acquisite, per le vie brevi, ulteriori informazioni da parte del Ministero, è emerso che l’attività richiesta ai soggetti inseriti nell’elenco di cui sopra è solo quella sub a) dell’art. 1 del D.M. 20 ottobre 2014 (valutazione di prodotti fitosanitari e dei relativi dossier). *** 3. Per quanto concerne le attività di cui al punto a) del D.M. 20 ottobre 2014 - attività di valutazione dei prodotti fitosanitari - trattandosi di procedimenti “ad istanza ed utilità di parte” e tariffati, essendo preordinati all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, in linea generale, si ritiene PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 269 che, alla luce della normativa nazionale e comunitaria, non sia possibile evitare il ricorso ai principi del Codice dei contratti pubblici, tenuto anche conto che l’art. 3 del D.P.R. n. 290/2001, disposizione di secondo livello, non consente una deroga alla normativa di livello primario che, appunto, richiede che la stipula delle convenzioni deve, comunque, essere preceduta da una fase trasparente di scelta del contraente. *** 4.1 Esaminando le varie possibilità offerte dall’ordinamento, per quanto concerne l’applicazione dell’art. 15 della Legge n. 241/1990 e successive modificazioni, con determina n. 7 del 21 ottobre 2010 l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture ha ritenuto opportuno, al fine di evitare una possibile elusione della normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici, precisare i limiti entro i quali è possibile ricorrere alla previsione di cui all’art. 15 della L. n. 241/90: a. l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l’obbligo di perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalità istituzionali degli enti coinvolti; b. alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità; c. i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo comprensivo di un margine di guadagno; d. il ricorso all’accordo non può interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri. Pertanto, la collaborazione tra amministrazioni non può trasformarsi in una costruzione di puro artificio diretta ad eludere la normativa vigente in tema di appalti e gli atti che approvano l’accordo, nella motivazione, devono dar conto di quanto precisato nei punti precedenti. 4.2 L’applicazione dell’art. 15 Legge n. 241/1990, quindi, non sembra, nel caso di specie, ammissibile, sia per la contemporanea presenza sul libero mercato anche di soggetti privati, sia perché, in ogni caso, i servizi di cui alla lett. a) del D.M. 20 ottobre 2014 sono, come detto, “ad istanza ed utilità di parte”. 4.3 D’altra parte anche la giurisprudenza europea - restringendo l’ambito di applicazione dell’art. 15 Legge n. 241/1990 cit., ha ribadito il principio di diritto, contenuto nella direttiva n. 2004/18/CE sugli appalti pubblici, secondo cui due o più amministrazioni pubbliche non possono stipulare un contratto di cooperazione tra loro, senza aver prima esperito una regolare gara pubblica d’appalto. 4.4 L’unica eccezione al predetto principio è rinvenibile solo nel caso di coesistenza di determinati presupposti, cioè: a) che nessuna parte privata partecipi all’accordo; 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 b) che nessun privato tragga vantaggio dal medesimo accordo, onde evitare di porre costui in una situazione di privilegio rispetto ad altri soggetti privati; c) che la cooperazione tra enti pubblici sia diretta al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. 4.5 In particolare, la Corte di Giustizia, confermando un proprio precedente orientamento (sentenza del 19 dicembre 2012 nella causa C-159/11 tra l’ASL di Lecce ed altri contro l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Lecce ed altri), ha rilevato che non può escludersi la nozione di appalto pubblico in un contratto la cui onerosità sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio (cfr. cause C-352/12, C-564/11, e C-386/11). Nel caso ora richiamato, la Corte ha precisato che “il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui tale contratto non abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti” (cfr. Corte di Giustizia Europea, Grande Sez., 19 dicembre 2012, n. 159/11). 4.6 La Corte medesima, nella causa C-352/12, ha sottolineato che l’applicabilità delle norme sugli appalti pubblici non può escludersi, neanche nel caso in cui l’accordo sia stato concluso in circostanze straordinarie perché la deroga di cui all’art. 31, punto 1, lett. c) della direttiva 2004/18/CE, potrebbe essere utilizzata solo quando l’evento straordinario ed imprevedibile rende materialmente impossibile all’amministrazione pubblica l’utilizzazione di procedure di gara cosiddetta normale e/o accelerata. 4.7 L’applicazione dell’art. 15 Legge n. 241/1990 potrebbe, in ipotesi ammettersi per i servizi di cui alla lett. b) del D.M. 20 ottobre 2014, ove si riconosca si attesti e si dimostri che si tratta di servizi di interesse comune ai soggetti pubblici coinvolti nell’accordo ed utili per la ricerca. *** 5. Per quanto concerne l’art. 57 del D.L.gs n. 163/2006, che consente l’affidamento di un servizio ad un soggetto determinato, in presenza di una pluralità di operatori esistenti sul mercato, sia privati sia pubblici, si ritiene che tale possibilità non sia del tutto preclusa, in presenza, naturalmente dei presupposti richiesti, ovvero che il servizio possa essere reso da un unico soggetto determinato, tenuto conto della alta specializzazione richiesta. 5.1. In questo caso, però, occorrerebbe fornire la rigorosa dimostrazione che una particolare valutazione del dossier del prodotto fitosanitario può realmente essere fornita da un unico soggetto. *** 6. Per quanto concerne i soggetti con i quali codesto Ministero intende- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 271 rebbe stipulare queste convenzioni, nella richiesta di parere si fa riferimento alle Università pubbliche ed a quelle non statali. 6.1. In proposito, occorre esaminare la possibilità, per questi soggetti di partecipare a gare bandite da altre PP.AA. Originariamente tale possibilità non era riconosciuta né dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture né dalla giurisprudenza prevalente. 6.3 Più recentemente, la giurisprudenza ha chiarito che, a prescindere dalla natura di questi soggetti e della forma giuridica, le Università sono “operatori economici” e, come tali, abilitati a partecipare a gare pubbliche. 6.4. In particolare, si richiama quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia nella causa C-305/08 proprio (Consorzio Conisma) che con sentenza del 23 dicembre 2009, ha ritenuto che “le disposizioni della direttiva 2004/18, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, nn. 2, lett. a), e 8, primo e secondo comma, che si riferiscono alla nozione di «operatore economico», devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi”. 6.5 Sulla questione è intervenuta, altresì, l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture con la determina n. 7 del 21 ottobre 2010 già sopra citata. 6.6 Nel prendere atto della possibilità per gli enti pubblici di partecipare a gare indette da altre pubbliche amministrazioni, l’Autorità ha precisato che le stazioni appaltanti sono comunque tenute ad effettuare, caso per caso, un esame approfondito dello statuto degli enti pubblici che intendono svolgere il ruolo di “appaltatore” al fine di valutare gli scopi istituzionali per i quali sono stati istituiti. In sostanza la stazione appaltante deve verificare che gli enti partecipanti alla gara possano statutariamente svolgere attività di impresa offrendo la fornitura di beni o la prestazione di servizi sul mercato, pur senza rivestire la forma societaria (cfr. Cons. Stato sez. VI 16 giugno 2009, n. 3897). 6.7 In altri termini, anche se non ricompresi nell’elenco di cui all’art. 34 del Codice, qualora i soggetti giuridici in questione annoverino, tra le attività statutariamente ammesse, quella di svolgere compiti aventi rilevanza economica possono, limitatamente al settore di pertinenza - e se in possesso dei requisiti richiesti dal singolo bando - partecipare a procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento di contratti aventi ad oggetto servizi compatibili con le rispettive attività istituzionali. 6.8 Con riferimento, poi, alle Università non statali, il TAR Lazio Sez. Terza con recentissima sentenza n. 8376/2015 del 15 giugno 2015, confermando la impostazione della giurisprudenza comunitaria, accogliendo il ricorso proposto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore avverso la delibera 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del 7 ottobre 2014 n. 144/2014 con la quale l’Autorità aveva ritenuto che anche le Università c.d. libere, (oltre le Università statali), fossero assoggettate alla disciplina in materia di obblighi di trasparenza e pubblicità, perché comprese nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lg.vo n. 165/2001, ha ritenuto che tale soggetto non sia un “ente pubblico non economico”. 6.9 Sotto questo profilo, si deve, quindi, escludere la possibilità di applicazione dell’art. 15 L. n. 241/1990 e successive modificazioni, con le Università non statali che, anche recentemente il Consiglio di Stato ha ritenuto essere soggetti privati (cfr. CdS Sez. VI n. 2660/2015, relativa alla Università Cattolica, alla Bocconi ed allo IULM). *** 8. L’altro strumento che codesta Amministrazione ha utilizzato è quello di cui all’art. 125 del Codice dei Contratti pubblici - D.Lgs. n. 163/2006 cit., relativo ai “Lavori, servizi e forniture in economia” che, appunto, prevede la possibilità di acquisire in economia “beni, servizi, lavori”, mediante “cottimo fiduciario”. 8.1 In virtù di quanto statuito dall’art. 125, comma 9, “Le forniture e i servizi in economia sono ammessi per importi inferiori a 137.000 euro per le amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 28, comma 1, lettera a), e per importi inferiori a 211.000 euro per le stazioni appaltanti di cui all'articolo 28, comma 1, lettera b). Tali soglie sono adeguate in relazione alle modifiche delle soglie previste dall'articolo 28, con lo stesso meccanismo di adeguamento previsto dall'articolo 248”. L’art. 125, comma 10, precisa anche che “L'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche esigenze”. L’art. 125, comma 11, poi, dispone che “Per servizi o forniture di importo pari o superiore a quarantamila euro e fino alle soglie di cui al comma 9, l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per servizi o forniture inferiori a quarantamila euro, è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”. Lo stesso art. 125, comma 12, infine, stabilisce che “L'affidatario di lavori, servizi, forniture in economia deve essere in possesso dei requisiti di idoneità morale, capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria prescritta per prestazioni di pari importo affidate con le procedure ordinarie di scelta del contraente. Agli elenchi di operatori economici tenuti dalle sta- PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 273 zioni appaltanti possono essere iscritti i soggetti che ne facciano richiesta, che siano in possesso dei requisiti di cui al periodo precedente. Gli elenchi sono soggetti ad aggiornamento con cadenza almeno annuale”. *** 9.4 In alcuni casi, come detto, è possibile anche procedere con affidamenti diretti, utilizzando, se del caso, appositi elenchi di soggetti interessati (cfr. art. 125, commi 11 e 12), scelti secondo una apposita rotazione e con criteri trasparenti. 9.5 Sotto questo profilo, si deve peraltro precisare che la utilizzazione degli elenchi di operatori economici è una possibilità solo facoltativa ed eventuale, per gli appalti e le forniture di importo inferiore a 40.000,00 Euro, mentre è obbligatoria per quelli di importo superiore (cfr. art. 125 comma 8 del Codice cit.). *** 10. Nulla osta alla Scrivente che la convenzione-tipo sia stabilita di concerto con i Ministeri dell’ambiente e delle politiche agricole (cfr. art. 3 DPR n. 290/2001 cit.) e che, prima dell’avvio della fase annuale di scelta dei contraenti tra i soggetti dell’Elenco, e così come segnalato da codesto Ministero, si produca un c.d. Atto programmatorio contabile da porre al vaglio preventivo della Corte dei Conti, che riporti le risorse economiche certe destinabili a tale attività. Sulla questione è stato sentito il Comitato Consultivo che si è espresso in conformità. 274 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Agenzie ippiche: “minimi garantiti” e “quote di prelievo” PARERE 15/09/2015-406215, AL 47718/14, AVV. MASSIMO BACHETTI Codesta Agenzia, con la nota che si riscontra, ha chiesto a questa Avvocatura il parere sulla c.d. “bozza di accordo definitorio ad effetti transattivi” con le Agenzie Ippiche titolari delle c.d. “concessioni storiche” (n. 329 attribuite dall’UNIRE anteriormente all’anno 2000 senza alcuna procedura di gara) e le titolari di concessioni rilasciate nell’anno 2000 (n. 671) all’esito della procedura selettiva pubblica bandita nell’anno 1999 (gara Visco) per attività di raccolta per conto dello Stato di gioco mediante scommesse sulle corse dei cavalli a totalizzatore e quota fissa, scommesse multiple libere con riferimento alle quote al totalizzatore, scommesse di ippica nazionale ed internazionale ai sensi della normativa per esse vigente. Con nota prot. R.U. 700028 del 9 luglio 2015 è stata riscontrata la richiesta di cui alla nota prot. 60697 del 9 luglio 2015 di questa Avvocatura di ulteriori elementi istruttori in esito a quanto deliberato dal Comitato Consultivo del 26 giugno 2015. Ciò premesso, si svolgono qui di seguito le necessarie osservazioni generali relativamente alla non più procrastinabile definizione della annosa vicenda, facendo riserva di rendere successivo parere sulla bozza degli atti transattivi, che dovranno essere modificati alla luce delle considerazioni qui sviluppate. Premessa In primo luogo si evidenzia che le note prot. 537485 del 17 dicembre 2014 e 96858/P del 25 febbraio 2015 hanno carattere interlocutorio, come esplicitato nella nota del 25 febbraio 2015, nella quale si precisava che rimanevano impregiudicate la questione della natura giuridica dell’accordo e le valutazioni sui contenuti dei vari articoli dell’ipotesi di accordo, all’epoca ancora in via di formulazione. In dette note, peraltro - e come è ovvio attesa la natura dell’attività consultiva della scrivente Avvocatura - non si manifestava evidentemente alcuna determinazione, esprimendosi valutazioni giuridiche sulla base dei presupposti di fatto e sulle valutazioni di merito esposti nelle note cui si forniva riscontro. Pertanto codesta Amministrazione, nell’atto generale in cui si disponesse che la soluzione delle vertenze avvenga in via transattiva, come nel corpo delle singole transazioni, dovrà fare riferimento solo al presente parere adottato a seguito della deliberazione del Comitato Consultivo, richiamando, eventualmente, le precedenti consultazioni come mero dato storico, escluso comunque che nelle stesse siano state adottate determinazioni in ordine al merito della definizione delle controversie, tanto sull’an che sul quantum. 1. Presupposti di fatto dell’accordo. Le “concessionarie 2000” e le c.d. “storiche” hanno aderito alla medesima PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 275 convenzione-tipo, accessiva alla concessione, relativa alla procedura selettiva pubblica bandita nell’anno 1999. Nella bozza di accordo viene riconosciuto a favore delle Agenzie un credito per risarcimento del danno provocato dai minori introiti a seguito della riduzione della raccolta delle scommesse. La causa del ridimensionamento della raccolta viene individuata nella condotta inerte dello Stato, incapace di adottare misure efficaci di contrasto alla alterazione del mercato (mutamenti del quadro regolatorio del settore conseguente a progressivi interventi degli organi comunitari; aumento del numero dei competitori con le gare Bersani del 2006 e Giorgetti del 2009; nascita e sviluppo delle reti on line alternative alla raccolta del gioco). Ulteriore profilo di danno deriva dalla responsabilità dello Stato per il colpevole ritardo nella implementazione delle formule di gioco. Le mutate condizioni del mercato ed i ritardi nell’attivazione delle formule di gioco previste dalla convenzione non hanno consentito alle concessionarie cd. “storiche e 2000” di raggiungere una soglia di incassi che permettesse di pagare il cd. “minimo garantito” (importo, comunque, dovuto dalle concessionarie all’Erario indipendentemente dall’effettiva raccolta di giocate), previsto dall’art. 5 della convenzione e stabilito d’intesa con le Agenzie Ippiche concessionarie in sede di aggiudicazione. Ciò ha fatto sì che si accumulassero crediti a favore dello Stato per “i minimi garantiti” a cui si è aggiunto, in seguito, il credito per “le quote di prelievo”, non avendo taluni concessionari versato neanche la quota dovuta in ragione della effettiva raccolta. Alcune Agenzie Ippiche hanno promosso giudizi arbitrali per ottenere il risarcimento del danno in ragione dei minori introiti derivanti dalle alterate condizioni del mercato e ritardi da parte dell’Amministrazione ed hanno impugnato al TAR le diffide di pagamento relative ai cd. “minimi garantiti” e alle “quote di prelievo”. I giudizi arbitrali si sono conclusi, per lo più, con l’accoglimento integrale delle domande delle Agenzie. Alcuni collegi, invece, hanno respinto la domanda risarcitoria per la riduzione della raccolta in ragione della alterazione del mercato ed accolto quella per il danno provocato dal ritardo nell’implementazione di alcune formule di gioco. I Giudici amministrativi hanno accolto le domande di annullamento delle diffide di pagamento relative ai “minimi garantiti”. Nei giudizi arbitrali, il quantum da riconoscere alle Agenzie a titolo risarcitorio è stato determinato sulla base dell’aliquota media sull’aggio percepito, calcolato sulla media ponderata delle aliquote individuate dai collegi arbitrali corrispondente al 13,41% (composto dal 13,19% per media ponderata a cui va aggiunto lo 0,22% per il danno da ritardo nell’attivazione di formule di gioco). Non vi sono, a quanto consta, altri elementi che consentano una valutazione sul danno. Va inoltre rammentato che la necessità di un riequilibrato riassetto del 276 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 mercato è stata riconosciuta dal Legislatore con vari interventi di rideterminazione dei “minimi” (art. 8 D.L. 452 del 2001 convertito nella legge 16 del 2002, art. 8 D.L. 147 del 2003 convertito nella legge 200 del 2003, art. 8 comma 4 lettera i) D.L. 223 del 2006 convertito nella legge 248 del 2006, art. 23 quater D.L. 95 del 2012 convertito nella legge 135 del 2012), nonché dalla giurisprudenza dei TAR e della Corte Costituzionale (sent. n. 375/13). L’ipotesi di accordo riguarda tutte le Agenzie che hanno sottoscritto la convenzione accessiva alla concessione nel 2000, comprese quelle che non hanno promosso alcun giudizio. 2. Natura giuridica dei “minimi garantiti” e “quote di prelievo”. Occorre riassumere brevemente la vicenda sotto il profilo normativo e giurisprudenziale. L’art. 12 DPR 169/98 stabilisce che con decreto del Ministro delle Finanze, di concerto con il Ministro per le Politiche Agricole, sono stabilite le “quote di prelievo” sull'introito lordo delle scommesse sulle corse dei cavalli da destinare all'UNIRE, al fine di garantire l'espletamento dei suoi compiti istituzionali. In ottemperanza a tale disposizione con decreti interministeriali Finanze e Politiche Agricole 15 giugno 1998 Pubbl. su Gazzetta Ufficiale 17 giugno1998 n. 139 e 15 febbraio 1999 pubblicato su Gazzetta Ufficiale 40 del 18 febbraio 1999 sono state determinate le quote di prelievo sull’introito lordo delle scommesse di spettanza dell’UNIRE. Con l’art. 16 della legge 133/99 si è previsto che con decreto del Ministero delle Finanze sia determinato l’ammontare del prelievo complessivo spettante allo Stato su ciascuna scommessa e sua ripartizione. L’art. 5 delle convenzioni inter partes stabilisce che, qualora nell’esercizio annuale gli incassi del concessionario non consentano di raggiungere la somma corrispondente alla quota annuale di cui all’art. 12 del DPR 169/98, spettante all’UNIRE in relazione al “minimo garantito annuo”, in base al quale è stata aggiudicata la gara, il concessionario è tenuto a versare una somma per differenza, tale da consentire all’Amministrazione di coprire il suddetto importo a favore dell’UNIRE. A seguito delle difficoltà economiche emerse nel settore di riferimento, l’art. 8 del decreto legge 452/01 convertito nella legge 16 del 2002 aveva tuttavia attribuito all’Amministrazione il compito di ridefinire le condizioni economiche delle concessioni in parola. In attuazione di tale disposizione, con decreti ministeriali del 6 giugno e del 2 agosto 2002 del Ministero dell’Economia e Finanze - AAMS e del Ministero Politiche Agricole, si era provveduto in tal senso. Sul tema dei cd. “minimi garantiti ” il legislatore interveniva quindi nuovamente con l’art. 8 del D.L. 147 del 2003 convertito nella legge 200 del 2003 nonché con l’art. 38 comma 4 lettera l del D.L. 223 del 2006 convertito nella legge 248 del 2006, che prevedeva che l’Amministrazione, nell’adozione di nuove procedure selettive, avrebbe definito modalità di salvaguardia dei concessionari della raccolta scommesse ippiche in esame. Infine, con l’art.10 PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 277 comma 5 D.L. 16/12, è stata prevista la definizione in via transattiva delle vertenze sulle “quote di prelievo” ex art. 12 DPR 169/98 e sui “minimi garantiti” con riduzione del credito nella misura del 5% di quanto dovuto. Dal predetto quadro normativo emerge che le “quote di prelievo” sono state determinate con decreti ministeriali mentre i c.d. “minimi garantiti”, sebbene concordati originariamente con accordo negoziale, sono stati rideterminati con interventi legislativi e successivi atti amministrativi. Quindi alle c.d. “quote di prelievo” come anche ai c.d “minimi” non può essere attribuita natura pattizia ma di “prestazione patrimoniale imposta”. La natura pubblicistica ed autoritativa, oltre che nel dato normativo, trova riscontro nel fondamento della pretesa, da parte delle Agenzie Ippiche, di non corrispondere i c.d. “minimi” nella misura stabilita dalla convenzione. Tale fondamento va individuato nella violazione della garanzia di mantenimento delle condizioni originarie della concessione, di cui va ripristinata la posizione di vantaggio per le Agenzie concessionarie derivante dalla riserva statuale dell’attività di raccolta delle scommesse. Peraltro i vari interventi normativi di rideterminazione dei “minimi” sono proprio finalizzati ad un riequilibrio del rapporto fra Amministrazione ed Agenzie Ippiche. 3. Necessità della adozione di un atto regolatorio. Va chiarito in primo luogo l’ambito applicativo dell’art. 10 co. 5 lettera b del D.L. 16/12 convertito nella legge 44/12. A tal fine, si osserva le pretese risarcitorie (oggetto dei giudizi arbitrali) delle “Agenzie concessionarie storiche e 2000”, in ragione della condotta inerte dello Stato nel contrastare l’alterazione del mercato o nel ritardare la implementazione delle formule di gioco, esulano dall’ambito applicativo del citato articolo 10 c. 5. La norma è stata oggetto di questione di legittimità costituzionale sollevata con ordinanze del Tar Lazio nell’ambito di giudizi intentati dalle Agenzie Ippiche per ottenere l’annullamento dei provvedimenti con i quali l’AAMS aveva chiesto il versamento dei c.d. “minimi garantiti” la questione è stata decisa dal Giudice delle leggi con sentenza n. 275 del 2013. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 co. 5 lettera b del D.L. 16/12 convertito nella legge 44/12, ravvisando una evidente rottura della consequenzialità logica fra la pretesa di pervenire ad un riequilibrato riassetto delle prestazioni economiche dei concessionari e la fissazione del tetto in modo apodittico, prescindendo da una attenta valutazione delle mutate circostanze di fatto (i pacifici minori introiti conseguenti all’evoluzione in senso concorrenziale del mercato delle scommesse ippiche) che costituiva la premessa indispensabile delle modalità di salvaguardia e che rimane non meno indispensabile per l’applicazione del nuovo meccanismo di riequilibrio. La Corte, è utile sottolineare, limita la statuizione di incostituzionalità alla fissazione di un tetto in modo apodittico riconoscendo, invece, non incongrua 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 la finalità perseguita dalla norma di una risoluzione equitativa della controversie per una maggiore efficacia ed economicità dell’azione amministrativa e raccomanda di tener conto - in tale definizione - dei riflessi di natura finanziaria. Dal canto suo il Tar Lazio (v. sentenza della sez. II n. 7325/14 trasmessa con nota prot. 534625 P del 16 dicembre 2014), a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 275/13, ha annullato i provvedimenti con cui l’AAMS aveva chiesto alle Agenzie Ippiche il versamento dei minimi garantiti. Ha rilevato altresì che a seguito del venir meno del criterio sulla cui base procedere alla definizione in via transattiva ed equitativa dei rapporti controversi, si apre una serie di possibilità di intervento idonee a colmare il vuoto normativo che si è venuto a determinare, potendosi in ipotesi procedere all’adozione di una nuova legge-provvedimento che disciplina la fattispecie in modo conforme alle indicazioni della Consulta, oppure all’adozione di un atto generale di indirizzo che rechi i criteri, anche essi coerenti con le indicazioni della Consulta, in base ai quali procedere alla definizione dei rapporti controversi analogamente a quanto prevedeva con riferimento alle misure di salvaguardia l’art. 38 comma 4 lettera l) del d.l. 223/06 abrogato dall’art. 10 c.5 d.l. 16/12. Quindi, l’art. 10 co. 5 lettera b del D.L. 16/12 convertito nella legge 44/12 si inserisce nel contesto di procedimenti relativi alla determinazione dei minimi garantiti e delle quote di prelievo. A seguito della declaratoria di incostituzionalità, la legge provvedimento che stabiliva l’abbattimento del 5% di quanto dovuto per minimi e quote di prelievo, è stata annullata dal Tar Lazio con caducazione dei conseguenti atti amministrativi. Il procedimento deve essere proseguito in una di queste due modalità: con un’altra legge provvedimento o con un atto amministrativo regolatorio analogo a quello che avrebbe dovuto essere adottato con le misure di salvaguardia. A fronte di quanto spettante all’Amministrazione, come visto, le Agenzie Ippiche avanzano pretese creditorie in ragione della alterazione, rispetto alla originaria concessione del 2000, delle condizioni del mercato alterazione che ha determinato una erosione di fette di mercato con conseguente calo della raccolta e minori incassi. Si è anche rilevato che i giudizi arbitrali hanno avuto esito prevalentemente favorevole ai concessionari. La natura pubblicistica delle pretese in gioco è confermata, a fortiori, dalla giurisprudenza della Corte d’Appello di Roma, sez. III Civile, con sentenza depositata il 21 novembre 2013, ha dichiarato la nullità del “lodo Di Maio” per difetto di giurisdizione degli arbitri. Si richiama testualmente un passo della sentenza che sintetizza il ragionamento della Corte: “… non si può escludere la giurisdizione amministrativa nel caso in esame, ove si controverte del contenuto della concessione in termini di garanzia dell’attività in regime di monopolio e dell’equilibrio contrattuale in relazione al prezzo della concessione, contestandosi all’Amministrazione di non aver valutato al riguardo la presenza di reti clandestine incidenti sul ricavato medio delle scommesse”. PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 279 In altro punto della decisione la Corte precisa poi che si tratta della “determinazione del canone di concessione che è espressione di un potere autoritativo - discrezionale sul regime del rapporto concessorio nei cui confronti il privato non può che vantare un interesse legittimo” (pag. 17 della sentenza). La sentenza in parola è stata impugnata da numerose Agenzie dinanzi alla Corte di Cassazione. I giudizi sono tuttora pendenti e, in disparte l'evidente alea ad essi connaturata, l'eventuale esito favorevole alle amministrazioni statali confermerebbe sì la nullità del lodo ma lascerebbe ai concessionari la possibilità di continuare a far valere le proprie pretese dinanzi alla competente Autorità giudiziaria, qualora le stesse non fossero prescritte. Alla luce della citata giurisprudenza, va esaminata la possibilità della definizione delle pendenze in corso con un accordo ad effetti transattivi. L’accordo ad effetti transattivi riguarda, da una parte, “i minimi garantiti” e “quote di prelievo” ; dall’altra, le pretese risarcitorie in ragione dell’alterazione delle condizioni del mercato e ritardo nell’implementazione delle formule di gioco. Si tratta, come risulta dall'esposizione fin qui compiuta, di due aspetti evidentemente complementari. L’impossibilità di pagare l’importo dovuto a titolo di “minimo garantito” deriva dal fatto che le concessionarie sono costrette a corrispondere un determinato importo indipendentemente dal livello della raccolta. È evidente che, con l’alterazione delle condizioni di mercato per la concorrenza di operatori esteri non autorizzati e per l’ingresso di nuovi concessionari e per i ritardi dell’Amministrazione, si è determinata un'erosione delle quote di mercato che non ha consentito ai concessionari di pagare il cd. “minimo garantito” allo Stato ed ha provocato, nel contempo, un pregiudizio patrimoniale alle Agenzie concessionarie per il calo delle giocate. Numerosi concessionari, oltre all’importo da pagare come “ minimo garantito” ex art. 5 della convenzione, non hanno corrisposto alcunchè a titolo di “quote di prelievo”, da versare in proporzione alla raccolta effettiva. Questo ulteriore debito delle Agenzie può essere compensato con il credito risarcitorio nel contesto di un processo di riequilibrio del rapporto concessorio. In conformità a quanto disposto dalla citata giurisprudenza del TAR, della Corte di Appello, e soprattutto della Corte Costituzionale, sembra alla Scrivente che la risoluzione delle singole controversie debba essere preceduta da un atto di carattere generale - sulla cui forma codesta Amministrazione potrà liberamente determinarsi - volto al riequilibrio interno del rapporto concessorio per pervenire ad un assetto del mercato che garantisca una effettiva concorrenza fra tutti gli operatori del settore, sempreché l’onere di spesa sia sostenibile per la finanza pubblica. La presenza di un simile atto - che sarà dato quale presupposto negli atti di transazione da concludere con le singole Agenzie - è d’altro canto reso necessario da quanto imposto dalle richiamate sentenze, atteso che è in ogni caso necessario regolamentare posizioni che potenzialmente riguardassero sog- 280 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 getti che non fossero coinvolti negli accordi transattivi, per i quali non sembra possibile non porre un tetto al recupero alla luce dei richiamati giudicati. 4. Contenuto dell’atto amministrativo generale e delle transazioni. In merito ai contenuti dell’atto amministrativo generale e dei singoli atti transattivi, alla luce della necessaria natura degli stessi, finalizzati alla definitiva chiusura di ogni contenzioso in materia (elemento che ha rilevanza fondamentale in punto di interesse dell’Amministrazione a concludere gli accordi), va evidenziato quanto segue. 4.1. Innanzitutto occorre mettere in rilievo che l’atto generale, adottato nelle modalità che codesta amministrazione riterrà opportune, dovrà richiamarsi - in quanto ad essi conforme - alla ricordata giurisprudenza della Corte Costituzionale ed agli obblighi di ottemperanza discendente dalle pronunce dei TAR, si chiarirà che esso è volto ad un riequilibrio interno del rapporto concessorio con un assetto del mercato che garantisca un'effettiva concorrenza fra tutti gli operatori del settore ed assume quale presupposto normativo l’art. 10 co. 5 lettera b del D.L. 16/12 convertito nella legge 44/12 come risultante alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale. 4.2. Si evidenzierà, inoltre, anche nelle premesse alle singole transazioni, che tale obiettivo di riequilibrio dell’assetto del mercato sarà conseguito attraverso accordi ad effetti transattivi con le singole Agenzie Ippiche riconoscendo un credito a titolo di risarcimento danni nella misura che codesta Agenzia riterrà congrua utilizzando come parametro, a titolo esemplificativo e in difetto di diverse ragionevoli risultanze, la media delle aliquote di cui alle decisioni dei collegi arbitrali, come già ipotizzato nelle precedenti consultazioni alla luce di quanto rappresentato da codesta Amministrazione. È opportuno che nella premessa di tali accordi siano meglio evidenziate le reciproche concessioni tra le parti: in particolare, la parte privata, a fronte del riconoscimento di un importo a titolo risarcitorio come sopra determinato, riconoscerà l’integrale debenza di quanto spettante all’Amministrazione, in forza della determinazione generale adottata in ottemperanza ai giudicati. La parte privata prenderà atto del contenuto dello stesso e rinuncerà ad ogni impugnazione. 4.3. Va precisato che gli accordi non potranno estendersi alle posizioni di soggetti i cui crediti siano prescritti o le cui pretese siano coperte da giudicato sfavorevole. Tale non può tuttavia considerarsi il caso dei lodi impugnati innanzi alla Corte di appello per nullità derivante dal difetto di giurisdizione degli arbitri nei quali le Agenzie Ippiche siano rimaste soccombenti sulla domanda risarcitoria relativa all’alterazione del mercato per la presenza di operatori non autorizzati. In questa ipotesi, infatti, l’accoglimento dell’appello travolgerebbe l’intero lodo, lasciando ancora potenzialmente azionabile la pretesa risarcitoria. 4.4. La rateizzazione del debito per quote di prelievo, su richiesta dell’Agenzia debitrice, potrà essere concessa anche fino a 72 rate, in analogia a PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO 281 quanto previsto per i crediti tributari dall’art. 19 e 21 DPR 602/73, a condizione che in caso di partecipazione a gara per il rinnovo delle concessioni l’Agenzia Ippica provveda al saldo del dovuto. Invero, l’art. 4 della bozza qui trasmessa, sebbene non affermi la diretta applicabilità degli articoli 19 e 21 DPR 602/73, riproduce le condizioni di rateizzazione stabilite dal detto art. 19 (che pure non appare direttamente applicabile al caso di specie poiché si riferisce ai crediti di natura tributaria). Il termine di estinzione dell’obbligazione, a giudizio della Scrivente, va, tuttavia, ancorato alla scadenza delle concessioni prevista per il 30 giugno 2016. Questa soluzione evita di determinare una potenziale situazione di vantaggio per le Agenzie che stipuleranno l’accordo transattivo rispetto agli altri concorrenti. Si potrà quindi prevedere la facoltà di estinguere il credito fino a 72 rate, salvo porre il saldo del dovuto come condizione per la partecipazione alla gara. Ciò consentirà di evitare ogni situazione che possa essere fonte di squilibrio dell’assetto del mercato e che alteri la concorrenza fra gli operatori del settore nelle nuove gare. In tal senso, anche per prevenire il reiterarsi di future pretese risarcitorie da parte delle concessionarie, si suggerisce per il futuro di predisporre bandi che non possano essere in alcun modo intesi come discriminatori o tali da legittimare soggetti non autorizzati a continuare ad operare sul mercato. 4.5. Gli atti transattivi dovranno tassativamente contenere l'espressa rinuncia alle pretese relative a tutti i contenziosi in essere, agli eventuali lodi favorevoli intervenuti, ed alla proposizione di nuove azioni. Essi, come già detto, dovranno in ogni caso portare all’integrale soddisfacimento del credito vantato dall’Erario per i c.d. “minimi garantiti”. Gli atti di transazione dovranno essere sottoscritti anche dai legali delle Agenzie per rinuncia al vincolo di solidarietà ai sensi dell'art. 68 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 nonchè dell'art. 13, comma 8, della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Si preciserà altresì che le parti rinunciano ad impugnare l’accordo e che, in ogni caso, è esclusa la possibilità di compromettere in arbitri le eventuali controversie relative. * * * Conclusivamente, alla luce di quanto evidenziato da codesta Amministrazione, si esprime parere favorevole alla definizione delle note controversie con le precisazioni e nei termini che precedono. Sulle linee generali della transazione - e con riserva di rendere definitivo parere sulla bozza di atto transattivo, come modificato alla luce di quanto sin qui esposto - è stato sentito il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato, il quale, nella seduta del 16 luglio 2015, si è espresso in conformità. 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 L’istituto del silenzio-assenso sui pareri dell’Avvocatura dello Stato PARERE 28/10/2015-481307, AL 35684/15, AVV. MARIA LETIZIA GUIDA Codesta Amministrazione chiede se l’art. 17 bis della legge n. 241/1990 (introdotto dall’art. 3 della L. 28 agosto 2015, n. 124) sia applicabile anche all’attività consultiva di questa Avvocatura. Si osserva al riguardo che, secondo il chiaro tenore letterale della novella legislativa e secondo le prime interpretazioni dottrinali, l’istituto del silenzioassenso disciplinato dal predetto art. 17 bis, riguarda esclusivamente gli atti di assenso, concerto o nulla osta comunque denominati, e perciò atti di natura sostanzialmente provvedimentale da parte di Amministrazioni o gestori di servizi pubblici chiamati a partecipare alla formazione della volontà dell’Amministrazione procedente. La norma non riguarda, invece, la richiesta e l’adozione di pareri da parte degli organi consultivi dello Stato, ai quali si applica la specifica disciplina per gli stessi prevista. Sulla predetta questione di massima è stato sentito il Comitato Consultivo, che nella riunione del 26 ottobre 2015 si è espresso in conformità. LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ Lotta alla mafia e alla corruzione negli appalti pubblici. Il ruolo del giudice amministrativo CONVEGNO, T.A.R. CAMPANIA NAPOLI, SALA FILANGIERI, 5 GIUGNO 2015 INTERVENTO DI Paolo Del Vecchio Avvocato dello Stato Ringrazio il Presidente Cesare Mastrocola che ci ospita in questa magnifica Aula del TAR Campania e tutti gli organizzatori di questo convegno che tratta (ed è sempre bene farlo) del tema del momento. È solo del 27 maggio 2015, infatti, il “varo” della legge n. 69, nota come legge “anticorruzione”. Dico subito che purtroppo sono un po’ critico nei confronti di quest’ultimo intervento legislativo, non certo perché non ne condivido gli intenti (ci mancherebbe ...), ma perché ancora una volta si punta l’indice solo sull’aspetto repressivo, sulla patologia del fenomeno e non si mira, invece, a “curare” il fenomeno stesso. Traendo spunto proprio dall’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario presso questo Tribunale, cito il Presidente Mastrocola, quando, con la sua consueta lucidità, ha parlato di “prevenzione amministrativa”, come strumento per combattere la corruzione. Occorre, cioè, intervenire prima e con un’azione corale di tutti gli attori del procedimento per prevenire fenomeni di infiltrazione mafiosa o corruttiva. Prevenzione amministrativa significa “intervenire in tempo”, quando cioè il reato non si è ancora consumato e soprattutto quando si ha ancora la possibilità di arrivare anche in quelle zone d’ombra che, a mio avviso, sono le più pericolose; là dove, cioè, non vi è ancora un rilievo di natura penalistica, ma vi è comunque già una evidente compressione di legalità. La legge n. 190/2012 ha previsto disposizioni per la prevenzione e la re- 284 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 pressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, mediante un approccio multidisciplinare, nel quale gli strumenti sanzionatori si configurano solamente come alcuni dei fattori per la lotta alla corruzione ed all’illegalità nell’azione amministrativa. Infatti, vengono posti a sostegno del provvedimento legislativo motivazioni di trasparenza e controllo proveniente dai cittadini e di adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano agli standards internazionali. Il giudice amministrativo, in questi anni, a onor del vero, ha fatto la sua parte, anche grazie alle recenti riforme processuali che hanno previsto un rito celere ed efficiente per i ricorsi in materia di appalti pubblici, coniugando in modo sicuramente efficace il codice dei contratti pubblici con quello del processo amministrativo ed eliminando quelle aporie di tempi e di indecisioni che spesso lasciavano l’amministrazione in una situazione di incertezza e di stallo (non sapendo cosa fare e quale fosse magari il “male minore” in caso di impugnativa di atti di gara). Anche sul fronte dell’antimafia e delle cd. interdittive, il Giudice amministrativo si è posto negli anni come baluardo della legittimità dell’azione amministrativa, rafforzando, in alcuni casi, le scelte operate dall’amministrazione e intervenendo, in altri, per frenare eventuali eccessi delle Prefetture, cercando di evitare fenomeni di “giustizia sommaria”. L’Avvocatura dello Stato ha, dal canto suo, occupato uno spazio importante, esercitando, con la propria attività istituzionale, proprio una funzione di “prevenzione amministrativa”, nel senso che, nella qualità di difensore istituzionale della P.A., ha svolto una funzione procedimentale, consigliando prima e difendendo poi, l’amministrazione dinanzi a fenomeni dubbi in cui poteva profilarsi qualche dubbio di infiltrazione. In questo c’è tutto il cambiamento di questi anni dell’Avvocatura pubblica che si è fatta interprete del nuovo procedimento, assistendo quotidianamente la pubblica amministrazione, fornendo quella obiettività di chi esercita una funzione pubblica e non solo un’attività defensionale di parte (1). L’art. 13 del T.U. 1611/33, infatti, recita che “L’Avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni richieste dalle amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi…” e tale attività consultiva, nel fornire risposta alle consultazioni richieste, costituisce una fase estremamente delicata dell’attività dell’Avvocatura, completata poi da quella più strettamente contenziosa. Sull’art. 13 citato si è innestato l’art. 19, comma 5, del decreto legge 24 (1) V. Atti Convegno “Il ruolo dell’Avvocatura pubblica nel processo di crescita del Paese”, tenutosi presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Napoli Federico II il 6 novembre 2012, i cui atti sono pubbl. in Rass. Avv. Stato n. 1/2013, pagg. 17 e ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ 285 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che dispone che l’Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza (ANAC) di cui all'art. 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ridenominata Autorità nazionale anticorruzione, in aggiunta ai compiti di cui al comma 2 del medesimo articolo, prevede, alla lettera a-bis) che (l’ANAC) “riceve notizie e segnalazioni da ciascun avvocato dello Stato il quale, nell'esercizio delle funzioni di cui all'art. 13 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, venga a conoscenza di violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolarità relative ai contratti che rientrano nella disciplina del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Per gli avvocati dello Stato segnalanti resta fermo l'obbligo di denuncia di cui all'art. 331 del codice di procedura penale”. La genesi dell’art. 19 va ricercata nel fatto che l’Autorità, nel corso degli ultimi anni, oltre alla funzione consultiva e di accompagnamento, ridimensionata in materia di anticorruzione dal d.l. n. 69/2013, convertito con modifiche dalla legge n. 98/2013, ha rafforzato quelle di vigilanza e di controllo sul rispetto del sistema della trasparenza, proprio in funzione di prevenzione della corruzione. Per agevolare l’esercizio delle funzioni di prevenzione e contrasto della corruzione, all’Autorità sono stati attribuiti poteri ispettivi, che si sostanziano nella richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti e possono giungere sino ad ordinare alle amministrazioni l’adozione di atti e provvedimenti richiesti dai Piani triennali di prevenzione della corruzione, nonché la rimozione di atti e comportamenti con questi ultimi contrastanti. La disposizione sopra citata configura in capo al singolo avvocato dello Stato l’obbligo di inviare all’Autorità nazionale anticorruzione “notizie e segnalazioni” in ordine a “violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolarità” di cui questi venga a conoscenza, nell’esercizio delle proprie funzioni, con riferimento ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture disciplinati dal d.lgs. 163/2006. Tale formulazione pone una serie di interrogativi. Innanzitutto un problema di carattere terminologico, in quanto si fa riferimento a ciascun avvocato dello Stato, escludendo dalla norma, per lo meno letteralmente, i procuratori dello Stato, e poi si fa riferimento al singolo, cosa francamente davvero nuova nel panorama legislativo che riguarda l’Avvocatura dello Stato, considerata sempre nelle sua veste istituzionale ed impersonale e mai identificata con i singoli legali. Ora, se la citazione dei soli avvocati appare superabile, in quanto i procuratori sono parte di un unico “corpus” dell’Avvocatura, quella relativa al riferimento al singolo lascia perplessi. Questo anche in chiave di riferibilità degli affari e dei pareri, sol se si consideri che occorrerebbe tener presente che il procedimento di formazione dei pareri in Avvocatura dello Stato è di natura complessa e consta dell’asse- 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 gnazione del fascicolo, della redazione del parere o dell’atto a cura dell’avvocato estensore, affidatario del fascicolo, e della condivisione/sottoscrizione da parte del dirigente dell’Avvocatura (Avvocato Generale, Vice Avvocato Generale o Avvocato Distrettuale), che quel fascicolo ha assegnato e che firma la corrispondenza relativa allo stesso, impegnando l’Istituto all’esterno (2). L’art. 19, inoltre, si richiama comunque all’art. 13 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 allo scopo di individuare le funzioni dal cui esercizio l’avvocato (o il procuratore) dello Stato trae la conoscenza della patologia da segnalare all’Autorità. Stante l’ampiezza del contenuto normativo dell’articolo richiamato, deve ritenersi che l’obbligo di segnalazione riguardi notizie apprese nell’esercizio di tutte le funzioni istituzionali dell’Avvocatura dello Stato, nessuna esclusa. La norma infatti si riferisce tanto all’attività svolta in sede di “tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato” (funzioni contenziose), quanto a quella esercitata nelle “consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni” (funzioni consultive), intese nel senso più ampio. È evidente che la segnalazione, inoltre, non può che avere ad oggetto esclusivamente ciò che l’amministrazione porta a conoscenza dell’Avvocatura dello Stato, posto che potrebbe verificarsi anche il caso in cui alcune circostanze non siano proprio rese note dall’amministrazione difesa all’Avvocatura. Poi c’è un problema di compatibilità tra l’attività dell’avvocato dello Stato, comunque legato con il cliente- amministrazione da un rapporto di servizio, quale difensore ex lege, che negli ultimi decenni si è rafforzato, e quella dell’incaricato di pubblico servizio, tenuto a segnalare. Con l’evolversi della legislazione degli ultimi vent’anni, il difensore pubblico si è posto al fianco delle amministrazioni, divenendo sempre più “ufficio legale” dell’amministrazione (con maggiore facilità di contatti, se si pensa solo all’uso della posta elettronica sia certificata, che ordinaria), con tutte le peculiarità del rapporto difensore - difeso. Prova ne è, in materia di accesso all’attività dell’Avvocatura dello Stato, il D.P.C.M. n. 200 del 26 gennaio 1996 che prescrive alcune limitazioni dettate proprio per tutelare il segreto professionale, al fine di salvaguardare i rapporti tra difensore e difeso in relazione a pareri o corrispondenza riguardanti “liti in potenza o in atto”. Pur tuttavia la riservatezza posta a base del decreto citato sull’accesso e in genere del rapporto tra difensore (anche pubblico) e cliente (anche amministrazione pubblica) non dovrebbe porsi in conflitto con la previsione di cui all’art. 19 del D.l. 90/2014, in quanto la comunicazione dei dati all’ANAC rimane un fatto assolutamente riservato e viene fatto oggetto di comunicazione (2) Si veda a tale proposito “Il procedimento di formazione dei pareri dell’Avvocatura dello Stato” a cura di O. FIUMARA ed E. FIGLIOLIA in Rass. Avv. Stato, fasc. 2/3 - 2003, pag. 1 e ss. LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ 287 per fini esclusivamente di ordine pubblico, protetti dalla Carta Costituzionale. E in ciò, richiamandoci alla definizione del primo Avvocato Generale dello Stato, Giuseppe Mantellini, che definì l’avvocato dello Stato “prima giudice, che avvocato”, va anche ribadito che la funzione pubblica esercitata dall’avvocato dello Stato è sempre stata caratterizzata da obiettività (ben prima dell’avvento della L. 114/14) e quindi l’ufficio di difensore pubblico ex lege non deve ritenersi in contrasto con quello di incaricato di pubblico servizio. La segnalazione, inoltre, dovrebbe riguardare “la violazione di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolarità”, nulla quaestio, sulle irregolarità o anomalie occorre fare un’opera interpretativa. L’irregolarità dovrebbe riferirsi ad un profilo più formale, certamente emendabile e che appare sicuramente di minor rilievo rispetto alla nullità e all’annullabilità dell’atto. L’anomalia, intesa come qualcosa che si discosta da ciò che è normale, è già di per sè, etimologicamente, diversa e più ampia rispetto ai concetti sopra citati e tende forse a fungere come “definizione di chiusura” rispetto al resto, completando con una buona dose di discrezionalità in capo al singolo avvocato dello Stato il quadro di “ciò che non va”. In ciò l’avvocato dello Stato dovrà farsi carico di selezionare le notizie da trasmettere all’ANAC, in quanto una valutazione non rigorosa potrebbe portare a comunicare all’ANAC qualsiasi cosa, inondando letteralmente l’Autorità di carte e di notizie sostanzialmente ordinarie, non utili ai fini a cui è preposta l’Autorità stessa. In tal senso è venuto in soccorso il Ministero dell’interno che con le “prime linee guida per l’avvio di un circuito collaborativo tra ANAC - Prefettura UTG ed Enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa” ha indicato i casi in cui vi siano indizi “significativi o gravi discostamenti rispetto agli standard di legalità e correttezza” tali da poter integrare “situazioni di anomalia sintomatica di condotte illecite o criminali”. L’inciso poi che “Per gli avvocati dello Stato resta fermo l’obbligo di denuncia di cui all’art. 331 cpp”, oltre a rimarcare la qualifica di incaricati di pubblico servizio per gli avvocati dello Stato, traccia un ulteriore importante distinzione tra ciò che è anomalia e che può anche rimanere tale, senza per ciò avere una connotazione penalistica e ciò che rileva, invece, come sempre, penalmente, che è oggetto di denuncia da parte dell’incaricato di pubblico servizio. La “prevenzione amministrativa” si articola in varie fasi: le amministrazioni che operano in prima linea, l’Avvocatura dello Stato che opera nella veste di difensore e di segnalatore di anomalie e poi la “diga” costituita dal Giudice amministrativo. Giudice della legittimità, ma anche Giudice della nuova economia, come 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 autorevolmente sostenuto (3), cioè un Giudice che riesce, con i propri strumenti, a sindacare l’operato della P.A. senza entrare nel “fatto” delle vicende, lasciando tale compito alla precipua competenza del Giudice ordinario. Pur tuttavia, non poche sono state, negli ultimi anni, anche le critiche rivolte alla giustizia amministrativa. Si è arrivati a dire che costituisce un limite allo sviluppo economico del Paese, che rallenta l’attività della pubblica amministrazione e che presso di essa si accentrerebbe troppo potere e quindi, come conseguenza, ogni tanto, si torna a parlare di giurisdizione unica (accorpando la giurisdizione amministrativa in quella ordinaria). In verità tali critiche sembrano frutto spesso di una analisi distratta e poco meditata dei processi che hanno interessato la pubblica amministrazione negli ultimi tempi e in cui il Giudice amministrativo ha avuto un ruolo “curante”. In verità vi sono cause di “crisi” esterne al Giudice amministrativo e con le quali lo stesso Giudice deve confrontarsi quotidianamente. In primis, è sotto gli occhi di tutti una produzione legislativa molto meno rigorosa di un tempo, qualitativamente parlando. E forse in ciò sono da rimpiangere proprio le presenze di brillanti giudici amministrativi all’interno degli uffici di diretta collaborazione dei Ministeri o degli altri enti politici del nostro Paese, in quanto la loro presenza garantiva un’altissima qualità legislativa e un’analisi “preventiva” sul comportamento della pubblica amministrazione anche in forma prognostica (su quelli che sarebbero stati ipotetici contenziosi). Oggi, infatti, si vedono sempre più leggi troppo dettagliate, quelle che autorevole dottrina (4) ha classificato come leggi-provvedimento in tempi non sospetti (quando cioè si era ancora in un Mondo felice sotto quest’aspetto) e che oggi viene definita anche “soft law”. E poi c’è stato, a mio avviso, molto chiaro negli ultimi anni, il rendersi conto che quella tanto auspicata modernizzazione dell’amministrazione, non c’è stata. La semplificazione amministrativa, parola di cui ci siamo un po’ tutti riempiti la bocca, è rimasta al palo. Un esempio per tutti, l’istituto della Conferenza di servizi: doveva semplificare, ma, di fatto, ha complicato terribilmente determinate procedure. Ci sono stati anche raggi di luce: una norma particolarmente illuminata è stata introdotta dalla novella L. 15/2005 alla L. 241/90 ed è l’art. 21 octies, norma che all’inizio non è piaciuta a nessuno e che, unica nel genere, ha saputo dare una visione sostanzialistica dell’attività amministrativa. Penso che soprattutto l’Avvocatura dello Stato ne abbia apprezzato la por- (3) Cfr. PASQUALE DE LISE “Un Giudice per l’economia” in “Giustizia amministrativa e crisi economica” p. 69 e ss. in Quaderni dell’Istituto di Studi Giuridici del Lazio “C. Jemolo”. (4) G. PALMA, Itinerari di diritto amministrativo, Editoriale scientifica, Napoli, 1994. LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ 289 tata, in quanto con essa si è introdotto nel procedimento un giudizio prognostico sul quale potrebbe essere l’esito del procedimento stesso, anche prescindendo dalla valutazione di un vizio formale e cioè se comunque l’esito, a prescindere dal vizio, sarebbe rimasto comunque invariato. Se la legge sul procedimento ha avuto il merito di rendere partecipi i cittadini di cosa (e di quando) succede nella P.A., vi è anche da dire che molto spesso vi sono stati ricorsi assolutamente pretestuosi, i quali miravano solo a ritardare quanto l’amministrazione stava mettendo in campo, senza una reale volontà di ambire ad un procedimento corretto. Infatti, spesso, l’amministrazione, una volta “subito” il provvedimento sfavorevole, riesercitava la propria funzione, esprimendo la medesima volontà. L’ambizione sarebbe quella di avere un’amministrazione non più di procedure, ma di risultati, un’amministrazione di missione (alla maniera francese). E poi c’è un problema di fondo, che un po’ è radicato nel costume italico, un po’ è frutto di questi ultimi anni, e cioè l’insofferenza dei cittadini e delle imprese ai controlli. Di qualsiasi tipo. Amministrativi, contabili, disciplinari e penali. Fino a quanto il Paese non comprenderà che occorre convivere con i controlli, amministrativi prima e giurisdizionali poi, accettandoli (e talvolta sopportandone anche le iniquità e gli errori), non sarà davvero ancora un Paese civile. Quali, a questo punto, le misure consigliate. Innanzitutto una maggiore sinergia tra Enti ed istituzioni in fase preventiva, fase nella quale ha un ruolo importante l’Avvocatura dello Stato, la quale sia nella propria attività istituzionale di consulente e di legale dell’amministrazione che in quella aggiunta dalla legge n. 114/14 di segnalatore di anomalie, può avere funzione di osservatorio su fenomeni di corruzione e mafia e può incidere profondamente, evitando spesso inutili ricorsi giurisdizionali. Poi c’è il Giudice amministrativo, che sindaca la legittimità dell’azione amministrativa e che deve tenersi distinto dai giudici di merito, ed, in particolare, dai giudici penali. E ciò, sia per rispondere ad una diversa esigenza di tutela e sia per non dare credito a chi continua a credere che i giudici amministrativi non debbano avere una propria specificità, ma debbano confluire in una giurisdizione unica. Cosa che trovo francamente inaccettabile, in quanto va a cancellare 150 anni di storia e di civiltà giuridica. Appare, infine, necessario dare spazio al singolo o all’impresa che vuole ricorrere, non rendendo il processo un “bene di lusso” e in ciò mi riferisco in particolare alle spese di giustizia troppo elevate, quali i contributi unificati che tanto spesso hanno negli ultimi anni scoraggiato imprese dal proporre ricorso giurisdizionale, cristallizzando così atti che spesso andavano sottoposti al vaglio del giudice amministrativo. 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Tali atti sono, invece, rimasti privi di controllo da parte del Giudice, creando una situazione dannosa sia all’impresa che magari aveva censure apprezzabili da proporre e che non ha potuto ricorrere che all’amministrazione stessa, la quale ha perso un’occasione per vedere valutata la propria attività dal G.A. (perde quel “diritto ad essere giudicata” che ha costituito negli ultimi decenni, un baluardo insostituibile per ogni pubblica amministrazione). Su tale problematica, già molti sono i ricorsi proposti anche in sede comunitaria e se ne attendono gli esiti. Occorre, infine, comprendere “cosa faranno da grande” gli strumenti alternativi del contenzioso (i cd. ADR, alternative dispute resolutions), e se cioè riusciranno ad imporsi come alternative concrete al Giudice amministrativo, per lo meno in determinate materie, al fine di deflazionare il processo, limitando anche casi di abuso del processo stesso. Vi ringrazio. LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ 291 Il Processo Amministrativo Telematico e le notifiche a mezzo PEC Si pubblica la memoria con la quale, innanzi al Consiglio di Stato, la difesa erariale ha sostenuto la tesi della ammissibilità delle notifiche a mezzo pec nel processo amministrativo pur in mancanza delle regole tecniche previste dall'art. 13 disp. att. del cpa. Si tratta di questione assai controversa, rispetto alla quale la giurisprudenza dei T.a.r. ha oscillato con una prevalenza per la tesi negativa. Nella memoria pur muovendo da un recente e favorevole precedente del Consiglio di Stato, si è cercato di affrontare anche altri aspetti non esaminati in quell'occasione, cercando di fornire elementi in grado di confutare le ragioni poste alla base della giurisprudenza contraria alla ammissiblità della notifica a mezzo pec. La memoria, redatta a metà giugno, fa riferimento al quadro normativo precedente al D.L. n. 83/2015 - che ha apportato rilevanti modifiche nella materia del processo telematico - convertito ed ampiamente rimaneggiato con la legge 132/2015, sebbene, rispetto al caso specifico, tali modifiche abbiano inciso poco. CS 33318/14 - La Greca AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ECC.MO CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE III Ricorso n. 540/2015 – udienza pubblica del 9 luglio 2015 MEMORIA DIFENSIVA PER il MINISTERO DELL’INTERNO (C.F. 80014130928), in persona del Ministro pro tempore, nonché, per quanto possa occorrere, per la PREFETTURA DI REGGIO CALABRIA, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso cui sono ex lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12 (pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, telefax n. 06/96514000); - appellanti - CONTRO E.S. (avv.ti Guido Contestabile e Graziella Scionti) - appellato - AVVERSO La sentenza del Tribunale amministrativo regionale di Reggio Calabria n. 197 dell’8 maggio 2014, non notificata. * * * (...) Tanto preliminarmente precisato, si passa ad contestare quanto ex adverso esposto con la memoria di costituzione. 292 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 1) Con riferimento alla svolta eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto notificato a mezzo pec. La controparte, costituendosi nel presente giudizio, ha eccepito la nullità della notifica effettuata a mezzo pec. Già in sede di discussione della domanda cautelare, l’esponente Avvocatura aveva illustrato le ragioni a sostegno della ammissibilità, anche nel giudizio amministrativo, della notifica a mezzo pec, a condizione, peraltro, che essa venga poi seguita, ai sensi dell’art. 9, comma 1 bis, della legge n. 53/94, dal deposito cartaceo di quanto notificato per via telematica, condizione rispettata nel caso di specie. Con l’adottata ordinanza cautelare, codesto Collegio, nell’accogliere la domanda di sospensione della sentenza impugnata, ha rimesso al merito, tra l’altro, la questione relativa alla ammissibilità della effettuata notifica a mezzo pec dell’impugnazione proposta dall’esponente Avvocatura. Al riguardo, deve in primo luogo osservarsi che codesto Consiglio di Stato, sezione VI, con sentenza n. 2682 del 28 maggio 2015, si è pronunciato a favore della ammissibilità delle notifiche a mezzo pec nel processo amministrativo, così autorevolmente dirimendo una questione sulla quale si erano registrati orientamenti contrastanti da parte dei Tribunali amministrativi regionali. Con tale pronuncia, dunque, è stato chiaramente affermato che la disciplina delle notifiche a mezzo pec, dettata dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, è direttamente applicabile al processo amministrativo, stabilendo l’art. 1 della legge stessa che l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale […] a mezzo della posta elettronica certificata” e non richiede la previa autorizzazione presidenziale ai sensi del’art. 52 del cpa, riferendosi tale disposizione a di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile”. È stato altresì affermato che “Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico-operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a., ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC” e che “Sulle regole tecnico -operative applicabili, viene in rilievo il d.P.R. n. 68 del 2005, al quale fa riferimento l’art. 3 bis della l. n. 53 del 1994”. Il DPR n. 68/2005, per il vero, viene dall’art. 3 bis, comma 3, della legge n. 53/94, richiamato solo rispetto alle ricevute di accettazione e di consegna, delle quali viene precisato che sono per l’appunto quelle di cui all’art. 6, comma 1 e comma 2, del medesimo DPR, ed in tal senso deve dunque essere inteso il riferimento ad esso contenuto nella pronuncia in esame (le residue disposizioni di cui al DPR n. 68/2005, del resto, non sono di utilità rispetto alle tematiche processuali né, in base all’art. 16, ad esse applicabili). Il Consiglio di Stato, infine, ha chiarito che l’art. 16 quater, comma 3 bis, del DL 18 ottobre 2012, n. 179 (comma aggiunto dal DL 90/2014), in base al quale “le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa”), deve essere interpretato nel senso della esclusione per il processo amministrativo non della disciplina delle notifiche a mezzo pec (contenuta nel comma 1) ma solo del particolare regime di sua entrata in vigore (stabilito, per l’appunto, dai commi 2 e 3), con la conseguenza che la stessa disciplina, per il processo amministrativo, è entrato in vigore immediatamente. Codesto Consiglio di Stato ha così fornito una risposta alle ragioni poste alla base della giurisprudenza contraria alla ammissibilità delle notifiche a mezzo pec nel processo ammini- LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ 293 strativo, e che si fondava essenzialmente su due argomenti, uno più risalente ed uno affermato più di recente, dei quali appare comunque utile riportare, a beneficio, se lo riterrà, del Collegio, una ricostruzione critica. 1.1 Argomento tradizionale: la mancata adozione delle regole tecniche previste dall’art. 13 delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo, senza le quali la notifica via pec sarebbe consentita solo previa autorizzazione adottata ai sensi dell’art. 52, comma 2, del D. Lgs. n. 104/2010. L’orientamento si è affermato a partire dal Decreto presidenziale della Sezione III bis del Tar per il Lazio n. 23921 del 12 novembre 2013. 1.1.1 Al riguardo, tuttavia, deve contrariamente osservarsi che le adottande regole tecniche dovranno propriamente disciplinare gli scambi telematici con gli uffici giudiziari; in mancanza, nessuno potrebbe certamente pensare di procedere validamente ad un deposito telematico (senza che la giustizia amministrativa, per esempio, abbia deciso quali sono i formati ammessi e con quali modalità possano essere effettuati tali depositi); nel caso di specie, per contro, si ha riguardo a notifiche eseguite tra avvocati, in forza di una disciplina riferita, secondo l’ampia dizione contenuta nell’art. 1 della legge n. 53/94, alle notifiche di atti “in materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, con successivo deposito cartaceo di quanto notificato per via telematica; l’ipotesi (di notifica telematica seguita da deposito cartaceo, appunto) è espressamente regolata dall’art. 9, comma 1 bis, della stessa legge n. 53/94, in base al quale l’avvocato, dopo avere proceduto alla notifica via pec, provvede ad estrarre copia analogica di quanto notificato e delle relative ricevute, dichiarandone, nell’esercizio del potere di autentica che nell’occasione gli è stato funzionalmente attribuito, la conformità ai rispettivi originali informatici. Si tratta di una disciplina in sé compiuta, non bisognevole di regolamentazione tecnica, nel momento in cui presso l’ufficio giudiziario viene depositato un plico cartaceo, in nulla diverso da quello effettuato, in base alla stessa legge, a mezzo del servizio postale. È vero che la legge n. 53/94, all’art. 3 bis, fa salvo quanto previsto “dalla normativa anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”. Tale riserva, tuttavia, deve essere correttamente intesa. “Normativa anche regolamentare” vuol dire innanzi tutto che vengono in rilievo le disposizioni di rango primario contenute nel D. Lgs. n. 82/2005 (il codice dell’Amministrazione digitale), a mente del quale vengono definite la posta elettronica certificata, le ricevute che vengono generate dopo l’invio del messaggio pec, le firme digitali e, in generale, tutto ciò che viene citato nella legge n. 53/94. Vengono poi in rilievo, con specifico riguardo alle ricevute di accettazione e consegna, il DPR 11 febbraio 2005, n. 68, in quanto richiamato dalla stessa legge n. 53/94, all’art. 3 bis. “Normativa anche regolamentare”, poi, nel senso che essa rileva ove esista. Si prenda il caso del D.M. n. 44/2011, relativo al processo civile e penale telematico, che, all’articolo 18, disciplina proprio la notifica eseguita dagli avvocati, stabilendo, per esempio, che la ricevuta di consegna debba essere quella “completa” e non anche quella “breve”; si vedano, ancora, gli articoli 12 e 13 delle specifiche tecniche adottate (ai sensi dell’art. 34 dello stesso D.M. n. 44/2011) con provvedimento del Ministero della giustizia del 16 aprile 2014, che chiariscono quali siano i formati degli atti, dei documenti ed i dispositivi di firma ammessi e, di conseguenza, quelli esclusi. In mancanza di tali disposizioni regolamentari, la conseguenza non è la impossibilità di procedere alla notifica via pec, ma solo la non opponibilità delle limitazioni ivi previste. In tale prospettiva, dunque, e riprendendo la esemplificazione precedente, la ri- 294 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 cevuta di consegna potrebbe essere sia “completa” che “breve”; i formati ed i dispostivi di firma, per parte loro, non incontrerebbero limitazioni specifiche se non quella, di carattere generale, dell’essere di uso comune, conformi a standard riconosciuti o comunque agevolmente reperibili sul mercato, oltre che, ovviamente, rispettose di quanto previsto dai citati D. Lgs. n. 82/2005 e DPR n. 68/2005 (quest’ultimo, come accennato, nei limiti in cui è applicabile, siccome richiamato dall’art. 3 bis, comma 2, della legge n. 53/1994) Anche il conferimento della procura risulta compiutamente regolato ai fini della notifica e mezzo pec. Sebbene il problema non si ponga rispetto all’Avvocatura dello Stato, la quale, come è noto, agisce in virtù di mandato ex lege (artt. 1 e 43 del R.D. 1611/1933) appare utile osservare, per completezza di esposizione, che il conferimento della procura è disciplinato, anche per il giudizio amministrativo (nel cpa non sono contenute regole autonome per regolare la fattispecie), dall’art. 83 cpc, in base al quale, nel testo risultante a seguito delle modifiche dall’art. 45, comma 9, lett. a), della legge n. 69/2009, la procura “si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce, o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia” . La procura, dunque, può anche essere conferita con un documento informatico, come è certamente necessario in caso di ricorso notificato via pec. Circa la modalità di congiunzione della procura su documento informatico, in relazione alle quali l’art. 83 c.p.c. riserva la disciplina ad un decreto del Ministero della giustizia, viene certamente in rilievo l’art. 18 del D.M. n. 44/2011, decreto recante regole tecniche per il processo civile e penale telematico, ma, a questi fini, senza dubbio applicabile anche al processo amministrativo (almeno fino quando, se del caso, la fattispecie non verrà autonomamente disciplinata dalle emanande regole tecniche di cui all’art. 13 disp. Att. cpa), secondo cui “La procura alle liti si considera apposta in calce all'atto cui si riferisce quando è rilasciata su documento informatico separato allegato al messaggio di posta elettronica certificata mediante il quale l'atto è notificato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando la procura alle liti è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine”. Anche rispetto alla procura, dunque, non vi è necessità di una specifica ed autonoma trattazione a livello regolamentare. Il che ovviamente non esclude che le emanande regole tecniche sul processo amministrativo telematico possano farlo; solo, non è necessario affinché possa procedersi alla notifica a mezzo pec, la fattispecie essendo già compiutamente regolata. 1.1.2 Ove, peraltro, si volesse ritenere che anche rispetto alla notifica a mezzo pec seguita dal deposito cartaceo vi sia la necessità di una disciplina tecnica di dettaglio, deve pure considerarsi lo specifico rinvio che il Cpa opera, proprio in materia di notifiche, alla disciplina delle notifiche civili. Stabilisce infatti l’art. 39, comma 2, del Cpa che “le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile”. La legge n. 53/1994, a sua volta, e come già ricordato, rinvia, dichiarando di rispettarla, alla “normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”, normativa regolamentare nella quale deve certamente essere annoverato il D.M. n. 44/2011 e, segnatamente, il suo articolo 18, che puntualmente disciplina, LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ 295 sul piano regolamentare, appunto, il caso della notifica via pec eseguita dagli avvocati, anche per quanto concerne la procura. In quest'ottica, il blocco costituito dalla legge n. 53/94 e dal D.M. n. 44/2011 potrebbe rappresentare una delle “leggi speciali in materia civile” cui rinvia il menzionato art. 39 del Cpa ai fini delle notifiche nel processo amministrativo; con il che, evidentemente, verrebbe meno, anche sotto tale profilo, la formulata riserva sulla applicabilità al processo amministrativo delle notifiche telematiche. Sul piano giurisprudenziale, si fa ulteriormente osservare che, prima della recente e citata pronuncia di codesto Consiglio di Stato, a pronunciarsi nel senso della non necessità della previa emanazione delle regole tecniche ai fini della ammissibilità delle notifiche via pec nel processo amministrativo, proprio in ragione della ritenuta completezza della disciplina dettata dalla legge n. 53/1994, era stato lo stesso Tar per il Lazio, sezione III, con sentenza n. 11808 del 25 novembre 2014, con cui è stato affermato che “la possibilità per gli avvocati di notificare gli atti a mezzo pec sussiste già da tempo e prescinde dall’introduzione e piena attuazione del processo telematico, fondandosi tale facoltà su autonome e specifiche disposizioni di legge quali l’art. 3 della Legge n. 53 del 1994 (come modificato dalla legge n. 263 / 2005), l’art. 25 Legge n. 183 del 2011 e, quindi, sul D.L. n. 179 del 2012, che ha introdotto un apposito articolo (il 3-bis) nel corpo della Legge n. 53 del 1994, che consente all’avvocato la notifica a mezzo pec avvalendosi del registro cronologico disciplinato dalla stessa Legge n. 53” (si consideri tuttavia che, rispetto al registro cronologico, al Tar è sfuggito che tale adempimento, in base all’art. 8, comma 4 bis, introdotto dalla legge n. 228/2012, è stato escluso per le notifiche via pec). Nelle stesso senso, di recente, si segnalano anche TAR Calabria, Sezione II, sentenza 4 febbraio 2015, n. 183, e TAR Campania, Sezione Settima, sentenza 6 febbraio 2015 n. 923, del resto espressamente citata anche nella sentenza del Consiglio di Stato n. 183. Con la prima, che si segnala per l’approfondimento della trattazione, è stato in particolare affermato che “Nel processo amministrativo, è consentito al ricorrente redigere, ai sensi dell’art. 136, coma 2-bis c.p.a., il ricorso introduttivo nelle forme del documento informatico sottoscritto con firma digitale; notificarlo telematicamente, nel rispetto della disciplina dettata dall’art. 3-ter l. 21 gennaio1994, n. 53; costituirsi depositando, ai sensi dell’art. 9, commi 1- bis e 1-ter l. 21 gennaio 1994, n. 53, copia analogica del messaggio di posta elettronica certificata mediante la quale ha provveduto alla notifica di ricorso, del ricorso e degli altri allegati, delle ricevute di accettazione e avvenuta consegna, con attestazione, da parte del difensore, della conformità delle copie depositate ai documenti informatici da cui sono tratte. A tali condizioni, il rapporto processuale deve ritenersi correttamente instaurato e la costituzione del ricorrente è da considerarsi valida”. Con la seconda sentenza, ancora è stato precisato che: “la notifica per mezzo di posta elettronica certificata (PEC) deve ritenersi valida ed efficacemente effettuata: ad avviso del Tribunale, la mancata autorizzazione ex art. 52 CPA non può ritenersi ostativa atteso che la predetta norma si relaziona a forme “speciali” di notificazione, laddove il processo amministrativo, nella sua interezza tende ormai irreversibilmente a trasformarsi in processo amministrativo telematico (PAT; cfr. ex pluris, il DPCM 13 novembre 2014); sul piano della economicità delle forme, va ancora rilevato che l’autorizzazione, a seguito di innegabile rinnovabilità della notifica, non comporterebbe altro che una nuova notifica (verisimilmente) a mezzo PEC; che, in particolare, la legittimità della predetta notifica è comunque recuperabile ex art. 1 L. n. 53 del 21 gennaio1994 secondo cui <1. L'avvocato o il procuratore legale, munito di procura alle liti a norma dell'articolo 83 del 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 codice di procedura civile e della autorizzazione del consiglio dell'ordine nel cui albo è iscritto a norma dell'articolo 7 della presente legge, può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale a mezzo del servizio postale, secondo le modalità previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, salvo che l'autorità giudiziaria disponga che la notifica sia eseguita personalmente. Quando ricorrono i requisiti di cui al periodo precedente, fatta eccezione per l'autorizzazione del consiglio dell'ordine, la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata>”. 1.2 Argomenti introdotti dal Tar per il Lazio, sezione III ter, con sentenza n. 396 del 13 gennaio 2015: a) il DL n. 90/2014 avrebbe espressamente escluso l’applicabilità della notifica via pec nel processo amministrativo; b) nel processo amministrativo comunque non si può procedere alla notifica via pec della copia informatica di un originale analogico. Con riferimento a quanto indicato sub a), si osserva che il Tar attribuisce decisivo rilievo al fatto che in base all’art. 16 quater, comma 3 bis, del DL 179/2012 (comma aggiunto dal DL 90/2014) “le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano alla giustizia amministrativa”. Dal che lo stesso Tar ritiene di potere giungere alla conclusione che sebbene l’art. 1 della legge n. 53/1994 dichiari di applicarsi anche alla materia amministrativa, il comma appena menzionato, introdotto nel giugno del 2014, abbia corretto tale indicazione, per l’effetto escludendo dal processo amministrativo la specifica disciplina delle notifiche via pec. Tale conclusione è il frutto di una non corretta interpretazione delle disposizioni di riferimento. Come puntualmente rilevato da codesto Consiglio di Stato con la sentenza n. 2682/2015, i commi 2 e 3 dell’art. 16 quater del Dl 179/2012, risalenti alla legge n. 228/2012, la cui applicabilità al processo amministrativo è stata esclusa dal comma 3 bis, non regolano la disciplina delle notifiche pec, contenuta invece nel comma 1, ma subordinano l’efficacia delle modifiche alla legge n. 53/94 appena introdotte, appunto, dal comma 1, alla adozione ed entrata in vigore del decreto ministeriale di adeguamento delle regole tecniche contenute nel DM 44/2011 e dettate per il processo civile e penale telematico. L’esclusione di cui al comma 3 bis, dunque, deve correttamente essere intesa come esclusione per la giustizia amministrativa della sola condizione di efficacia delle modifiche, così giungendosi a conclusioni opposte a quelle fatte proprie dal Tar, e cioè che la disciplina delle notifiche via pec, dettata dal comma 1 (e non, si ripete, dai commi 2 e 3), dallo stesso art. 16 quater, è sin dalla sua adozione immediatamente applicabile alla giustizia amministrativa. Dalla esposta non applicabilità alla giustizia amministrativa dei commi 2 e 3 dell’art. 16 quater del D.L. 179/2012, tuttavia, non potrebbe farsi discendere, di per sé, come è stato sostenuto avanti al CDS, nella causa decisa con la sentenza n. 2682/2014, anche la non applicabilità del D.M. n. 44/2011 alle notifiche telematiche in “materia amministrativa”. La questione, pur prospettata dalla parte appellante, non è tuttavia stata affrontata in quell’occasione dal CDS, assorbita dalla affermata, diretta applicabilità della disciplina delle notifiche pec al processo amministrativo, senza la necessità di regole tecnico operative. Per completezza di trattazione, sia consentito di osservare che un conto è stabilire che nella giustizia amministrativa l’efficacia di una disposizione non dipenda dall’adeguamento delle regole tecniche sul processo civile e penale telematico, altro è stabilire che le regole sul processo civile e penale telematico non ancora adeguate o quelle successivamente adeguate non trovino applicazione, entro certi limiti, nella giustizia amministrativa (ovviamente fintanto LEGISLAZIONE ED ATTUALITÀ 297 che non siano adottate quelle di specifico riferimento della stessa giustizia amministrativa). Sicché, ove si ritenga, in relazione a quanto esposto in precedenza, che il rinvio di cui all’art. 39 del cpa, relativo “alle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile”, possa o debba, in ipotesi, e per il tramite della legge n. 53/1994, riguardare anche il D.M. n. 44/2011, ebbene tale possibilità non potrebbe essere esclusa dal disposto di cui all’art. 16 quater, comma 3 bis, del D.L. 179/2012, muovendosi quest’ultima disposizione su di un piano differente, relativo a ciò che l’adeguamento del D.M. n. 44/2011 determinava in relazione alla efficacia differita della disciplina delle notifiche pec, non anche al contenuto dello stesso D.M. n. 44/2011. Con riferimento a quanto indicato sub b), pur considerando la natura assorbente di quanto esposto al paragrafo precedente, lo stesso Tar per il Lazio aveva, peraltro, rilevato un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso notificato via pec, avendo in quel caso l’avvocato proceduto ai sensi del comma 2 dell’art. 3 bis della legge n. 53/1994, dunque notificando non l’originale informatico dell’atto ma la copia per immagine dichiarata conforme all’originale cartaceo. Nel caso di specie si è invece provveduto alla notifica direttamente dell’originale informatico dell’atto e dunque la specifica questione posta dal Tar non si pone. Solo per completezza si può comunque osservare, sul punto, che il menzionato comma 2 rinvia, circa le modalità con cui procedere alla attestazione di conformità della copia informatica all’originale cartaceo, a quanto previsto dall’art. 22, comma 2, del D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (“Codice dell’amministrazione digitale”, di seguito, “cad”), che, a sua volta, rinvia a quanto previsto dalle regole tecniche stabilite ai sensi dell’art. 71 dello stesso cad; regole tecniche che, tuttavia, al momento della notificazione del ricorso sul quale il Tar era stato chiamato a decidere, non erano state ancora emanate, essendo state poi introdotte con DPCM 13 novembre 2014, applicabile dal 12 febbraio 2015. Nel processo civile, ha osservato correttamente il Tar, la fattispecie ha avuto autonoma disciplina, a livello regolamentare, con il menzionato articolo 18 del D.M. n. 44/2011, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. 3 aprile 2013, n. 48, e che, proprio al fine di superare l’impasse derivante dalla mancata adozione delle regole tecniche del cad, ha stabilito potersi procedere, in tale evenienza, alla asseverazione “prevista dall’art. 22, comma 2, del codice dell’Amministrazione digitale, inserendo la dichiarazione di conformità all’originale nella relazione di notificazione, a norma dell’art. 3 bis, comma 5, della legge 21 gennaio 1994, n. 53”. Rilevato che analoga disciplina non è stata dettata per il processo amministrativo, il Tar ha dunque ritenuto che l’avvocato, pur avendo, in teoria, il potere di dichiarare la conformità all’originale cartaceo della copia informatica notificata, non potesse in concreto esercitarlo per la mancanza della specifica normativa regolamentare applicabile al processo amministrativo che regolasse le concrete modalità con cui compiere tale asseverazione. La tesi inquadra correttamente la necessità di una normativa regolamentare che disciplini la concreta modalità di esercizio del potere di autentica attribuito all’avvocato rispetto al caso considerato. Essa, peraltro, perderebbe ovviamente di pregio ove si aderisse alla tesi, esposta in precedenza, che afferma la applicabilità al giudizio amministrativo della disciplina regolamentare dettata dal D.M. 44/2011, in virtù dello specifico rinvio operato dall’art. 39 del Cpa alle leggi speciali in materia di notifiche civili. Si tratta, ad ogni buon conto, di profilo che, in virtù di quanto sin qui esposto, sussisterebbe, nel processo amministrativo, solo ove l’avvocato abbia ritenuto di procedere, prima del 12 febbraio 2015 (a decorrere da tale data entrando in vigore le specifiche tecniche di cui al Dpcm 298 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 13 novembre 2014), alla notifica di copia informatica di originale cartaceo e non, invece, nel caso di originale informatico direttamente sottoscritto con firma digitale. * * * Da quanto sin qui esposto non potrà non derivare il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’appello, stante la validità della effettuata notifica a mezzo pec. Ad ogni buon conto, in via subordinata non può non osservarsi che, a tutto voler concedere, la notifica sarebbe nulla e, perciò, sanata dalla costituzione della controparte. (omissis) Roma, 8 giugno 2015 Marco La Greca Avvocato dello Stato CONTRIBUTI DI DOTTRINA La formula “Legge-provvedimento” ed i suoi significati Guglielmo Bernabei* Lo studio, partendo dal dato fattuale della prassi del ricorso ad atti legislativi per amministrare, intende evidenziare le origini e analizza le evoluzioni della struttura e degli effetti giuridici delle leggi provvedimento e delle leggi personali, con particolare attenzione alle leggi che svolgono attività amministrativa. A fronte dell'amministrazione per legge, vengono esaminati i limiti costituzionali ed interpretativi all'esercizio della funzione amministrativa da parte del Parlamento e dei Consigli regionali e le ragioni dell'amministrare attraverso atti amministrativi con forma legislativa delineati dal sistema italiano a diritto amministrativo. Le questioni poste dall’esercizio dell’attività amministrativa in forma legislativa si evidenziano solo a seguito della nascita della concezione della divisibilità del potere. Va, pertanto, verificato se l’attività amministrativa possa essere esercitata in forme diverse da quella amministrativa. Le connessioni tra istruttoria legislativa, motivazione delle leggi e rilevanza del fatto nelle leggi a carattere provvedimentale va visto alla luce del sindacato costituzionale sull’amministrazione per legge. Si sostiene, infine, che nel sistema a diritto amministrativo le leggi-provvedimento rappresentano una anomalia e il giudizio di legittimità costituzionale andrebbe reso più incisivo. SOMMARIO: 1. Dallo Stato legislativo allo Stato amministrativo - 2. La formula “leggeprovvedimento” - 3. La legge personale e i suoi caratteri - 4. Leggi-provvedimento innovative e leggi-provvedimento esecutive o in luogo di provvedimento - 5. Problematica dell’ammissibilità delle leggi-provvedimento nell’ordinamento giuridico italiano. 1. Dallo Stato legislativo allo Stato amministrativo. La legge provvedimento è una fonte del diritto collocata fra le fonti di (*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale - guglielmo.bernabei@unife.it 300 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 rango primario dell’ordinamento italiano. Tale fonte del diritto è costituita da atti avente forza di legge e valore di legge ordinaria ed è destinata a regolare casi specifici, incidendo su soggetti determinati (1). Per comprendere quindi i caratteri dell’istituto in esame, occorre riprendere brevemente le concezioni, anche di natura storica, che si pongono alla base del ricorso alle cosiddette “leggi-provvedimento”. Già sul finire dell’Ottocento, il modello dello Stato liberale, borghese e legislativo mostra i segnali di una crisi evidente (2), in quanto incapace di conciliare i movimenti popolari di massa, che vanno sempre più organizzandosi nella forma “partito”, con la struttura legislativa statale. Ne consegue che il Parlamento non rispecchia più le attese di una società complessa, e non è in grado di operare una sintesi di interessi così differenti per provenienza ed articolazione interna (3). In questa delicata ridefinizione del concetto di Stato, va ricordata la posizione di chi sottolineava “l’impersonalità del potere pubblico o, meglio, la personificazione del potere per mezzo dello Stato, concepito esso stesso come persona (…) immateriale, ma pur reale”, capace di manifestazioni di volontà per il tramite di “delicati e meravigliosi congegni giuridici”, “non ombra o spettro, ma vero principio di vita, operante (…) col sussidio di un insieme di istituzioni atteggiate ed armonizzate a questo scopo” (4). Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, si coglie la percezione della trasformazione dello Stato liberale di diritto in Stato amministrativo, dove l’amministrazione rappresenta l’espressione vitale della sovranità statale, superando così la concezione dello Stato legislativo inteso come “formalistico e astratto” (5). (1) Cfr. RESCIGNO, Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-provvedimento costituzionalmente illegittime, Relazione esposta al 53° convegno di studi amministrativi di Varenna, 22 settembre 2007. (2) Per una ricostruzione generale della questione cfr. ROMANO, Lo Stato moderno e la sua crisi, (1910), ora in Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano, 1969, pag. 23; cfr. FIORAVANTI, “Stato giuridico” e diritto costituzionale negli scritti giovanili di Santi Romano (1897-1909), in La scienza del diritto pubblico, Milano, 2001, pag. 294; cfr. BOBBIO, Dalla struttura alla funzione, Milano, pag. 183; cfr. SANDULLI, Santi Romano, Orlando, Ranelletti e Donati sull’“eclissi dello Stato”. Sei scritti di inizio secolo XX, in Riv. trim. dir. pubbl., 2006, pag. 80. (3) Cfr. NIGRO, Il ruolo dei giuristi nello Stato liberale, (1988), ora in Scritti giuridici, tomo III, Milano, 1996, pag. 1976, il quale ricorda come nell’Ottocento “si realizza e si consuma un duplice passaggio: un primo passaggio (durato forse tutto il secolo) dalle istituzioni giuridiche e sociali dell’Ancien Règime a quello dello Stato liberale, e un secondo (cominciato a metà del secolo e finito - anche qui, forse - con il termine della seconda guerra mondiale) dalle istituzioni dello Stato liberale (c.d. “monoclasse”) a quelle dello Stato democratico (c.d. “pluriclasse”) e sociale”. Sulla distinzione tra Stato e società “polemico e che aveva davanti a sé come contro rappresentazione il concreto Stato monarchico, burocratico e militare, allora esistente” di fronte al quale “ciò che non apparteneva ad un simile Stato, si chiamava appunto società” cfr. SCHMITT, Il custode della Costituzione, a cura di CARACCIOLO, Milano, pag. 116. (4) Cfr. ROMANO, Lo Stato moderno e la sua crisi, cit., pag. 100. (5) Cfr. NIGRO, Carl Schmitt e lo Stato amministrativo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1986, pag. 1770. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 301 Anche oggi si nota la crescente difficoltà dello Stato di diritto di costituire realmente quel “particolare tipo di sistema politico, la cui peculiarità consiste nel fatto che esso scorge l’espressione più alta e decisiva della volontà comune in formazioni, che vogliono essere diritto, che perciò pretendono di avere determinate qualità, e alle quali quindi devono essere subordinate tutte le altre funzioni, competenze e attività politiche” (6). Queste criticità comportano il fatto che viene meno la divisione tra potere legislativo ed esecutivo, che rappresenta il requisito imprescindibile dello Stato legislativo; la rappresentanza politica non è più in grado di collegare le esigenze della società alle risposte dello Stato, limitandosi ad essere una semplice rappresentanza di interessi, incapace di pensare lo Stato in termini di collettività ampia ed integrale. Questo si evidenzia, ora come allora, nella ristrettezze di vedute del Parlamento che, trasformando la natura stessa della legge parlamentare, si dedica alla cura di tematiche particolari, circoscritte, mirate, spesso espressione di attese corporativistiche, snaturando il sistema delle fonti del diritto. In relazione a quest’ultimo tema, l’affermazione dello Stato amministrativo non comporta soltanto che il potere statale si concentri nelle autorità amministrative, in primo luogo nel Governo, ma implica inoltre una disarticolazione degli atti normativi, che non rispondono più alla loro naturale funzione; se infatti il carattere provvedimentale degli atti prodotti dall’apparato amministrativo non è più riconoscibile, si perde la concezione di provvedimento intesa come “misura amministrativa correlata alla condizione delle cose ed effettiva per la sua idoneità a soddisfare le esigenze derivante da tale condizione” (7). Il venire meno di questa concezione si riscontra sia a livello di atti, indipendentemente dal grado gerarchico, sia a livello di struttura e di suddivisione delle competenze dello Stato, nel senso che il Parlamento tende ad amministrare mediante le leggi-provvedimento, e il Governo a legiferare, attraverso la decretazione d’urgenza e le ordinanze di protezione civile. Questo passaggio costituisce il compimento di quanto aveva preso avvio nell’Ottocento, e la legislazione si contraddistingue per contenere disposizioni rivolte all’amministrazione, “un ammasso incoerente di articoli, dove tutto è mescolato, quello che appartiene ai principi e quello che riguarda i dettagli, quello che è transitorio e quello che è definitivo”, in modo che le leggi appaiono “come un vasto arsenale che fornisce armi a tutti i partiti, a tutti gli interessi, a tutti i sofismi” (8). (6) Cfr. SCHMITT, Legalità e legittimità, in Le categorie del politico, a cura di MIGLIO e SCHIERA, Bologna, 1972, pag. 211. (7) Cfr. NIGRO, Carl Schmitt e lo Stato amministrativo, cit., pag. 1775. Inoltre cfr. CERULLI IRELLI, Principio di legalità e poteri straordinari dell’amministrazione, in Dir. Pubbl., 2007, pag. 377; cfr. MATTARELLA, L’attività, in Trattato di diritto amministativo, Parte generale, Tomo I, a cura di S. CASSESE, Milano, 2003, pag. 797. (8) Cfr. DELAHAYE DE CORMENIN, Questions de droit administratif, Bruxelles, Imprimerie de Ode et Wodon, 1834, Prolègomènes, V, come riportato da MANNORI, SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma - Bari, 2001, pag. 272. 302 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Questo segna il definitivo riconoscimento del peso istituzionale della funzione amministrativa e della pubblica amministrazione quale soggetto pubblico (9). Tuttavia, se lo scopo principale dello Stato di diritto consiste nella riconduzione alla legge dei poteri dell’Esecutivo, quest’ultimo, a sua volta, esegue la legge interpretando l’interesse generale. Il difficile equilibrio tra questi due aspetti vuole evidenziare che la “legge è il fondamento e la misura dell’azione amministrativa, ma il principio di legalità ha la funzione di limitare e incanalare l’attività dello Stato nell’interesse dello Stato medesimo; e l’amministrazione si pone anch’essa come interprete e attuatrice, subordinata ma essenziale, dell’interesse obiettivo” (10). Quest’opera di mediazione ha come suo ambito d’azione preferito proprio il sistema delle fonti del diritto, insieme alla “totale e generale permeabilità dell’amministrazione alle disposizioni della legge, o, addirittura, a quelle della Costituzione” (11). Nel momento stesso in cui lo Stato diviene sempre più amministrativo, l’amministrazione si rafforza fino al punto di rivendicare un ruolo parzialmente autonomo anche dal suo organo apicale, ossia il Governo, e, in questo, “il diritto amministrativo che nello Stato liberale di diritto dell’Ottocento era apparso il luogo del conflitto tra autorità pubblica e libertà privata, diventa il luogo della prevalenza, del plusvalore, della supremazia della pubblica amministrazione sui diritti degli individui privati” (12). La maggiore criticità dello Stato amministrativo è rappresentata nella sostanziale “amministrativizzazione” (13) delle sue funzioni statuali, proprio in quanto comando e volontà non vogliono essere “semplici applicazioni di normazioni superiori, bensì solo disposizioni concrete”, prive, quindi, di ogni progettualità legislativa. Quando il Parlamento si arroga il compito di amministrare entra in crisi una organizzazione normativa che vede nel criterio di competenza uno dei suoi requisiti ineludibili. 2. La formula “legge-provvedimento”. L’espressione “legge-provvedimento” ha una origine risalente nel tempo, e viene inizialmente concettualizzata come appartenente alle “funzioni amministrative del Parlamento italiano”, mediante una catalogazione di leggi che (9) Cfr. FARSTHOFF, Le leggi provvedimento in Stato di diritto in trasformazione, a cura di AMIRANTE, Milano, 1973; cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, Milano, 2007, pag. 42. (10) Cfr. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 2002, a cura di CARDI e NIGRO, pag. 28. (11) Cfr. NIGRO, Il ruolo dei giuristi nello Stato liberale, (1988), ora in Scritti giuridici, tomo III, Milano, 1996, pag. 1977. (12) Cfr. CIANFERROTTI, Storia della letteratura amministrativa italiana, I, Milano, 1998, pag. 389; inoltre cfr. ESPOSITO, La validità delle leggi, Padova, 1964. (13) Cfr. SPAGNUOLO VIGORITA, Attività economica privata e potere amministrativo, Napoli, 1962, pag. 23, il quale lo definisce neologismo “certo sgraziato” che tuttavia esprime “in modo che appare insostituibile, per l’immediatezza della sintesi e la precisione dell’effetto, la evoluzione in atto nel contenuto della legge”. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 303 non prevedono un “comando generale accompagnato da sanzione”, ma recano un “comando individuale non contrario al diritto vigente” (14). Si comincia, pertanto ad individuare alcune categorie di atti, come, ad esempio, le leggi di classificazione di monumenti nazionali e di opere pubbliche quali strade nazionali, opere idrauliche e opere di bonifica; a queste si aggiungono anche le leggi “portanti dichiarazione di pubblica utilità” (15), oltre alle leggi per le concessioni (16), con particolare riferimento all’esercizio delle ferrovie, e a quelle che approvano contratti (17). Parimenti rilevanti per la definizione delle leggi-provvedimento furono nell’Ottocento lo studio degli atti legislativi aventi ad oggetto la leva annuale militare e marittima, la variazione di circoscrizioni comunali, circondariali e provinciali. Queste prime tipologie hanno consentito di studiare le leggi-provvedimento attraverso una suddivisione in due macrocategorie: le leggi in senso materiale e le leggi in senso formale. Le prime si contraddistinguono per avere come contenuto un precetto giuridico od un complesso di precetti, le seconde, invece, presentano un contenuto di ordine diverso, trattandosi di deliberazioni, pronunzie, provvedimenti, contratti, ossia atti che siano espressione di esplicazione di funzioni (14) Cfr. CAMMEO, Della manifestazione di volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, a cura di V.E. ORLANDO, Milano, 1907, pag. 92, il quale fu il primo a coniare l’espressione “legge provvedimento”, in riferimento alle “leggi-provvedimento 4 luglio 1886 per riordinare la circoscrizione delle province di Bologna e Ravenna; 19 luglio 1904 per l’erezione del Comune di Campo dell’Elba colla riunione di frazioni di Comuni diversi”. (15) Cfr. CAMMEO, Della manifestazione di volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, cit., pag. 96, il quale afferma che non vi è differenza in relazione agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità “ove la dichiarazione avvenga per legge o per decreto. Solo ove la dichiarazione si faccia per legge non si fa luogo all’inchiesta preliminare […] il che è un inconveniente deplorato anche dal Consiglio di Stato nel suo parere 20 febbraio 1869”. (16) Cfr. RANELLETTI, Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative. Parte III: Facoltà create dalle autorizzazioni e concessioni amministrative, (1895-1896), ora in Scritti giuridici scelti, III. Gli atti amministrativi, a cura di FERRARI e SORDI, Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza di Camerino, Napoli, 1992, pag. 650, il quale afferma che “per le concessioni è possibile una larga competenza del potere legislativo, che si svolgerebbe evidentemente nella sua funzione impropria, giacché gli atti di concessione rientrano nella funzione propria del potere esecutivo”; inoltre l’Autore aggiunge che “il potere legislativo è il solo competente per le concessioni di cittadinanza (grande naturalità), per le concessioni perpetue di derivazione di acque pubbliche, per le concessioni perpetue di pertinenze del demanio marittimo, per le concessioni delle ferrovie principali”. È interessante la sottolineatura della distinzione intercorrente, operata dal diritto positivo, tra competenza del potere legislativo e competenza del potere esecutivo in relazione alle concessioni di beni sul criterio della divisione “tra atti di amministrazione ed atti di disposizione” che “spettano […] come regola generale, quelli al potere esecutivo, questi al potere legislativo; difatti una concessione perpetua di una cosa demaniale è un atto di disposizione”. (17) Cfr. ARANGIO-RUIZ, Storia costituzionale del Regno d’Italia, 1848-1898, (1898), ristampa con presentazione di Elia e introduzione di Carlassare, Napoli, 1985, pag. 221, il quale, con rifermento alla legge n. 4544 del 24 agosto 1868, concernente la convenzione stipulata “con una società privata, abbandonandole per un numero stabilito di anni il monopolio dei tabacchi, con partecipazione dello Stato negli aumenti progressivi dell’introito”, rileva che “questa regìa interessata si obbligava di anticipare la somma di centottanta milioni di lire, di fargli il rimborso di altri cinquanta milioni, che occorrevano alle esigenze del bilancio per lo scorcio del 1868”. 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 amministrative, aventi la forma di legge in quanto approvate dal Parlamento, ma prive della capacità di innovare il diritto obiettivo (18). Secondo alcuni alla serie delle leggi-provvedimento andrebbe aggiunta un’altra, costituita da leggi che, seppure generali ed astratte, si rivolgono a soddisfare esigenze particolari per scopi specifici e transeunti, destinate a cessare una volta conseguite tali finalità; la particolarità risiederebbe nella estraneità di tali leggi ai valori oggettivi della giustizia, che sarebbero, per loro natura, stabili nel tempo (19). L’elemento comune che emerge da queste classificazioni è dato dalla concretezza che si presenta a seconda che sia conferita alla legge-provvedimento dalla determinatezza dei soggetti che ne sono i destinatari oppure dalla specificità della situazione che, benché interessi una pluralità di soggetti e conferisca alla legge stessa il carattere della generalità, è presa in considerazione quale evento speciale o transeunte (20). Seguendo questa impostazione, le leggi-provvedimento sono caratterizzate anche da una molteplicità di fattispecie legislative e di interpretazioni (21) fornite dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale. In relazione a tale molteplicità, è opportuno procedere ad una scomposizione delle fattispecie, al fine di evidenziare alcune tipologie dai caratteri comuni, che permettano di mantenere unitario l’insieme (22). In primo luogo emerge il dato della scissione tra forma e contenuto, in quanto legato al fatto che la legge-provvedimento “riguarda regole che mirano e sono subordinate alla realizzazione di uno scopo. La legge-provvedimento nasce perciò da una determinata situazione e sta con essa in un rapporto preve- (18) Cfr. FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, I, Roma, 1921, pag. 101, il quale inoltre precisa che “questa separazione non è sempre così assoluta, perché può avvenire che uno stesso atto del Parlamento sia per certi rapporti soltanto, legge formale, cioè atto di amministrazione, per altri, legge materiale, cioè importi un regolamento giuridico”. In seguito l’Autore afferma che “si tratta di atti, che nonostante la forma di leggi, non sono alle leggi equiparabili, ma mantengono il loro carattere ed effetti amministrativi (perciò non sono denunziabili in Cassazione per la loro violazione, non importano abrogazione dei diritti quesiti dei terzi, perdono efficacia indipendentemente dalla loro abrogazione, coll’estinguersi dei diritti che hanno creato”. Per quanto riguarda le ferrovie, l’Autore ricorda “le antiche leggi sulle concessioni ferroviarie, le quali pur essendo un contratto contenevano l’ordinamento di questo servizio pubblico”. (19) Cfr. ESPOSITO, Gli artt. 3, 41 e 43 della Costituzione e le misure legislative e amministrative in materia economica, in Giur. cost., 1962, pag. 48; cfr. CAPPELLETTI, La pregiudizialità costituzionale, Milano, 1957, pag. 67, il quale, riferendosi alla posizione del Carnelutti, attribuisce al termine “provvedimento” il significato generale di atto di esercizio di una potestas, di comando super partes, e propone di designare gli atti legislativi col nome di leggi speciali. (20) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, pag. 5. (21) Cfr. PALADIN, Legittimità e merito delle leggi nel processo costituzionale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1964, pag. 308, il quale parla di “multiforme insieme delle leggi provvedimento”. (22) Cfr. BEDUSCHI, Tipicità e diritto, Padova, 1992, pag. 128, il quale definisce la tipologia come “schema costitutivo (e in questo senso come “matrice”) della loro individualità, del loro essere percepibili all’interno dell’esperienza come entità dotate di specifica rilevanza”; l’Autore prosegue affermando che “i tipi esprimono […] delle funzioni, e cioè il ruolo che l’oggetto è chiamato a svolgere nei confronti degli altri oggetti o che i singoli aspetti dell’oggetto vengono a svolgere fra loro”. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 305 dibile e logicamente realizzabile” (23). Si assiste, dunque, ad una trasformazione di situazioni giuridiche soggettive determinate in modo analogo a ciò che si realizza mediante i provvedimenti dell’amministrazione, con l’aggiunta fondamentale del valore di legge (24), dalla quale scaturisce l’efficacia costitutiva (25). A differenza delle leggi-norma, il cui effetto finale è affidato agli organi di interpretazione e di applicazione del diritto, le leggi-provvedimento ottengono direttamente ed immediatamente l’effetto giuridico voluto. In questa maniera, la legge si svincola dalla sua funzione di garanzia permanente e di base legittimante per l’azione di altri poteri; infatti, il legislatore si sostituisce ad alcuni di questi poteri, “facendo evidentemente leva sull’autorità della legge e intendendone la valenza casuale in termini di strumento più forte attraverso il quale perseguire determinati risultati” (26). La maggiore garanzia offerta dal procedimento legislativo ordinario strutturato nelle forme costituzionalmente previste subisce una vistosa contraddizione nel momento stesso in cui la legge subentra ad altri poteri non legislativi; si assiste pertanto ad una disarmonia tra la funzione tipica dell’atto, scaturente dalla forma di atto legislativo, e lo scopo reale posto alla base dell’adozione dell’atto medesimo. È stato rilevato che le leggi-provvedimento costituiscono “una delle lame della tenaglia che sta progressivamente appiattendo ogni distinzione tra legislativo ed esecutivo per quanto riguarda la funzione legislativa” (27), il tutto aggravato dall’affermazione della cosiddetta “democrazia maggioritaria” che ha introdotto nuove regolarità, mediante le quali si è giustificata la nascita di un “monismo sostanziale” finalizzato ad esprimere un potere unitario di direzione politica, articolatosi in “un continuum reale tra maggioranza parlamentare ed esecutivo, saldamente coesi da un flusso decisionale che ha nel Governo il centro propulsivo” (28). Questi fattori favoriscono lo svilimento (23) Cfr. FORSTHOFF, Le leggi-provvedimento, ora in Stato di diritto in trasformazione, a cura di AMIRANTE, Milano, 1973, pag. 111. (24) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 133. (25) Cfr. FALZEA, Efficacia giuridica, in Enc. dir., vol. XIV, Milano, 1965, pag. 488, il quale nota che l’efficacia costitutiva, in relazione alle situazioni giuridiche, si articola “nelle tre figure di trasformazione: costituzione, modificazione, estinzione”. (26) Cfr. DICKMANN, La legge in luogo di provvedimento, in Riv. trim. dir. pubbl., 4/1999, pag. 923. (27) Cfr. RESCIGNO, Rinasce la distinzione-opposizione tra legge in senso formale e legge in senso materiale?, in Giur. cost., 1999, pag. 2024, il quale afferma che “da un lato l’immiserirsi del ruolo delle assemblee che si sostituiscono all’amministrazione (per ragioni nobili e meno nobili), dall’altro lato l’abnorme estensione dei decreti-legge e della decretazione legislativa (rispetto alla quale la prescrizione di criteri e principi direttivi si riduce sempre più a poche frasi generiche e vuote), e soprattutto la dilatazione senza limiti delle c.d. delegificazioni, che sono oggi una vera frode della Costituzione (dal momento che, sulla base di pochi, generici e vaghi criteri direttivi, viene trasferito all’esecutivo il compito di individuare le leggi e le disposizioni di legge da abrogare). Queste sono le lame della tenaglia: l’una giustifica e sostiene l’altra”. (28) Cfr. CHESSA, La democrazia maggioritaria nell’interpretazione costituzionale della forma di governo, in Dir. pubbl., 2004, pag. 19. 306 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 della differenziazione dell’esercizio delle potestà pubbliche in funzione di reciproco controllo e pone sotto una forte pressione l’amministrazione e lo stesso concetto di “provvedere”, in quanto su questi da un lato vi è una forte ingerenza esercitata dal Governo che ne fa il suo apparato, dall’altro vi è la pressione del Parlamento mediante la sua “selva di leggi e leggine” (29). 3. La legge personale e i suoi caratteri. Un carattere particolare delle leggi-provvedimenti si constata quando queste dispongono in relazione ad un singolo e determinato soggetto; si è parlato, pertanto, di “diritto singolare”, o di “legge singolare” (30), in contrapposizione al diritto regolare, considerato avverso allo Stato di diritto, in quanto “il diritto singolare è il diritto contrario ai principi. Mentre le norme regolari di fronte alle norme generali che esse specializzano ricevono spiegazione e chiarimento da queste, ed alla loro volta ad esse ne danno, all’incontro il diritto singolare non completa il principio generale che esso interrompe, né è da questo completato, ma è con esso in collisione” (31). Il termine “legge personale” esprime meglio tale peculiarità e risulta più comprensivo rispetto ad altri, come ad esempio quello di “individuale”, utilizzabile più propriamente in relazione a persone fisiche, o quello di “nominativo”, da riservare nel caso in cui la legge enunci il nome del soggetto, affinché venga posto in risalto la determinatezza del soggetto cui le leggi hanno riguardo (32). Analogamente quando la legge si riferisce ad una pluralità di persone, essendo irrilevante il numero, così come è irrilevante il fatto che l’indicazione delle stesse sia effettuata con rinvio ad altre fonti di conoscenza, o mediante l’indicazione della categoria in cui sono ricomprese. L’unica distinzione importante nei casi di riferimento a categorie concerne il carattere di astrattezza o di concretezza che esse rivestono, a secondo che gli elementi assunti a contrassegnarle permettano o meno l’accertabilità di coloro che concorrono a comporle. L’analisi del testo normativo, quindi, deve essere particolarmente attenta, in quanto la qualificazione “personale” di una norma non può compiersi esclusivamente in base alla sua formulazione, alle tipizzazioni risultanti dalla sua (29) Cfr. NIGRO, La pubblica amministrazione fra costituzione formale e costituzionale materiale, (1985), ora in Scritti giuridici, tomo III, Milano, 1996, pag. 1852. Inoltre cfr. PACE, Postilla in tema di legge-provvedimento, in Giur. cost., 2010, pag. 3740. (30) Cfr. ORESTANO, Diritto singolare, in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1964, pag. 746. (31) Cfr. FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, vol. I, Roma, 1921, pag. 86. Inoltre cfr. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, trad. it. DI FADDA e BENSA, vol. I, Torino, 1930, pag. 85, il quale definisce l’applicazione più rilevante del diritto eccezionale il fatto che “con esso si stabilisce, per una certa classe di persone, o cose, o rapporti giuridici, alcunché di non avente vigore rispetto alle altre persone, o cose, o rapporti giuridici simili”. (32) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, pag. 5. Inoltre cfr. FODERARO, Il concetto di legge: studi sulla legge provvedimento nell’ordinamento giuridico italiano, Milano, 1948, pag. 10. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 307 struttura logico-formale, bensì deve desumersi dall’effettivo ambito della sua applicabilità, quale appare dallo studio del contenuto delle sue disposizioni, dal momento che ogni provvedimento concreto può essere occultato mediante l’utilizzo di formule generali ed astratte, in modo da snaturarne la reale essenza (33). Secondo questa impostazione, non può essere conferito alcun valore, in relazione all’accertamento del carattere personale e concreto, al fatto che una legge attribuisca ad un soggetto una posizione destinata ad esaurirsi con un solo atto d’esercizio, o sia, al contrario, suscettibile di una indeterminata pluralità di tali atti, limitati nei loro effetti al soggetto stesso che li compie nei confronti dell’autorità che li ha consentiti o prescritti. Allo stesso modo non rileva il fatto che la situazione regolata sia esistente o solo possibile, risultando idonea anche dinanzi a disposizioni che riguardano contesti determinati e destinati ad aver vigore sotto condizione dell’avverarsi di eventi futuri ed incerti. Ne consegue che il concetto di legge personale è composto dalla presenza di due elementi: l’individuazione del soggetto o dei soggetti cui essa si rivolge e la concretezza del rapporto che ne è oggetto, aspetto che non viene meno anche nell’eventualità in cui l’oggetto medesimo abbia una natura tale da richiedere o rendere possibile una successione nel tempo delle attività regolate, a patto che siano riconducibili agli stessi soggetti individualmente determinati (34). Si tratta, dunque, di una concretezza soggettiva ed oggettiva. Accanto a queste considerazioni ne vanno poste altre ugualmente significative; va, infatti, ripresa quella corrente di pensiero che vede nella norma singolare una contiguità con la norma eccezionale sotto il punto di vista della medesima matrice e della difficoltà di operare una apprezzabile distinzione (35). Aspetto rilevante è costituito dall’ulteriore categoria delle norme speciali, dove la qualificazione “speciale” vuole indicare “quelle leggi nel senso di complesso di norme, che rispetto ad altri diritti, leggi e norme stanno in rapporto di specie a genere” (36). Tra norme eccezionali e norme speciali è stata sottolineata la comune caratteristica di “derogare o sospendere la forza pre- (33) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, Milano, 1968, pag. 7, il quale precisa che “per lo meno nel caso in cui i contrassegni della fattispecie normativa attengano esclusivamente a rapporti svoltisi in passato, e non più ripetibili, l’applicazione della medesima risulta necessariamente limitata a coloro che erano parti di quei rapporti ed identificabili in virtù di tale connessione. Unicità e irriproducibilità della situazione personale regolata e astrattezza appaiono termini non conciliabili tra loro”. (34) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, cit., pag. 12. (35) Cfr. MODUGNO, Norme singolari, speciali, eccezionali, in Enc. dir., vol. XXVIII, Milano, 1978, pag. 506. (36) Cfr. GIANNINI, Diritto speciale, legge speciale, norma speciale, ora in Scritti, vol. II, 1939- 1948, Milano, 2002, pag. 518, il quale afferma che “stabilire se un diritto è speciale, serve più che altro a fini didattici e di primo orientamento scientifico, per l’inquadramento di materie di studio; si tratta di nozione approssimativa […]. Anche lo stabilire se una norma presenta o meno carattere speciale può spesso farsi solo per approssimazione; neppure la nozione di norma speciale ha grande interesse pratico […]. Invece presenta maggior importanza la nozione di legge speciale, perché essa può assumere rilievo ai fini dell’abrogazione, espressa o tacita”. 308 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 scrittiva (e quindi l’applicazione) di norme (più generali) che, nel caso di loro mancanza, avrebbero dovuto essere applicate” (37) . Interessante è dunque ancora il riferimento a chi escludeva dagli atti amministrativi attribuiti al Parlamento “gli atti che importano deroga ad una legge generale per un caso particolare, senza che questa deroga abbia fondamento in altra regola giuridica generale” (38). A titolo di esempio, meritano di essere ricordati alcune situazioni che hanno assunto particolare rilievo (39), anche in una prospettiva storico-giuridica; provvedimenti particolari furono adottati per migliorare le condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno, ponendo l’attenzione sulla questione delle leggi speciali richieste per soddisfare le necessità della “graduatoria delle province sofferenti” (40). A proposito del disegno di legge concernete alcune misure speciali per la Regione Sardegna, si affermò che “a torto si parla di disparità di trattamento”, in quanto “queste leggi devono corrispondere a condizioni speciali, particolari delle varie regioni, e non si può dire che si sia speso di più per le une e le altre, poiché le spese sono differenti” (41); nello specifico, in questo provvedimento, venivano diminuiti i contributi a favore degli enti locali e contemporaneamente erano stabilite agevolazioni ed esenzioni fiscali per la costruzione di infrastrutture (42). Altrettanto meritevoli di nota gli interventi della legislazione emergenziale conseguente al terremoto del 1908 di Reggio Calabria e Messina, mediante i quali si introdusse la sospensione delle imposte e una agevolazione per la concessione dei mutui ipotecari (43). Sulla base di queste considerazioni, le norme eccezionali possiedono una (37) Cfr. Norme singolari, speciali, eccezionali, cit., pag. 517, il quale, inoltre, precisa che le norme speciali andrebbero equiparate a quelle eccezionali, previste ex art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, quali norme “che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi”. (38) Cfr. CAMMEO, Della manifestazione di volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, cit., pag. 93, il quale escludeva “le leggi che prorogano o dispensano dal pagamento delle tasse territori colpiti da gravi disastri; che prolungano il termine per l’ufficio di commissario regio, che dispensano i promotori di una lotteria dal pagamento della tassa del 10 % stabilita dalla legge 2 aprile 1886, e simili”. (39) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 56. (40) Cfr. COCCO-ORTU, Discorso parlamentare, Camera dei Deputati, seduta del 13 febbraio 1904, in Aspetti della politica liberale (1881-1922), vol. II, Roma, 1974, pag. 1007, l’espressione riportata si deve all’Onorevole Chimirri. (41) Cfr. COCCO-ORTU, Discorso parlamentare, cit., pag. 1022. Inoltre cfr. ZAGREBELSKY, Il sistema delle fonti, Torino, 1987, pag. 15. (42) Cfr. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana, 1861-1993, Bologna, 1996, pag. 258, il quale afferma che “la difformità vista come valore in sé (nella cultura liberale immediatamente postunitaria era stata considerata un disvalore) avrebbe in effetti costituito l’esito più vistoso e duraturo della nuova legislazione: ne sarebbe derivato un primo sfaldamento del rassicurante quadro legislativo postunitario e crispino, l’appannarsi dei caratteri di astrattezza e universalità della legge, l’emergere sempre più frequente, invece, della legge-provvedimento, mirata a regolare situazioni peculiari con il ricorso a strumenti e soluzioni tecniche di volta in volta calibrate su specifici interessi”. (43) Cfr. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana, 1861-1993, cit., pag. 250; cfr. CINGARI, Storia della Calabria dall’Unità ad oggi, Roma-Bari, 1982, pag. 168. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 309 capacità derogativa “non già nei confronti di un principio generale dell’ordinamento, bensì della norma (più generale) della propria fattispecie, di quella norma cioè che, qualora essa mancasse, si applicherebbe in sua vece alla fattispecie stessa” (44). La legge che deroga all’ordinamento generale diviene personale soltanto laddove arrivi a vulnerare la generalità del principio e concretamente si riferisca ad un caso particolare, concettualmente definito come “constitutio personalis” (45). Questo a conferma che la concretezza di una determinata situazione non conduce automaticamente all’insussistenza della generalità ed astrattezza delle disposizioni legislative, ed “è un errore dedurre la non generalità e astrattezza di una disposizione dalla sua natura eccezionale e temporanea” (46). Ne consegue che l’ordinamento giuridico, per evitare sovrapposizioni e confusioni, disciplina una determinata fonte, ed è il caso della decretazione d’urgenza, appositamente finalizzata a collegare precisi effetti giuridici a fattispecie spazio-temporali determinate o a situazioni soggettive individuate o individuabili; si tratta di interventi ammissibili e giustificati dall’ordinamento stesso in quanto riconducibili ad uno stato di grave necessità ed urgenza. Ciò si verifica, ad esempio, quando gli atti di decretazione d’urgenza producono effetti giuridici sia ampliativi di determinate sfere giuridiche soggettive, come nel caso di agevolazioni fiscali riconosciute a soggetti residenti nella zona colpita da un evento sismico, sia restrittivi, come mediante l’emanazione di misure straordinarie poste in ricorrenza di episodi di terrorismo. Questo primo collegamento tra le tematiche della legge-provvedimento e quelle del decretolegge indica che lo strumento ex art. 77 Cost. è idoneo a porre una “disposizione singolare” nel suo pieno significato di regola del caso singolo, che concerne “un solo soggetto, un solo oggetto, un solo caso” (47). Infatti, se non vi fosse una precisa ratio giustificatrice, come i presupposti indicati ex art. 77 Cost., la trasformazione di posizioni giuridiche soggettive, individuate o individuabili, riferite a fattispecie determinate o a condizioni personali creerebbe situazioni di privilegio, vere e proprie leggi ad personam. (44) Cfr. MODUGNO, Norme singolari, speciali, eccezionali, cit., pag. 520; inoltre cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 174. (45) Cfr. FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, cit., pag. 91, il quale afferma che “in antitesi alle norme generali ed astratte si hanno disposizioni individuali (lex in privos lata), di contenuto vario. Oggetto di esse è la concessione di un benefizio, di carattere pubblico o privato, personale o patrimoniale, ma può essere anche una restrizione, una incapacità o sanzione (c.d. privilegium odiosum)”. (46) Cfr. RESCIGNO, Forma e contenuto di regolamento, in Giur. cost., 1993, pag. 1434, il quale sostiene che “si danno tranquillamente, per ammissione unanime, disposizioni eccezionali che vengono considerate generali e astratte (tutte le deroghe che una legge generale e astratta pone rispetto ad altra legge generale e astratta); disposizioni temporanee che ugualmente vengono considerate generali e astratte (se non fosse così, non potremmo avere leggi temporanee in materia penale); disposizioni che sono ad un tempo eccezionali e temporanee, e che però ugualmente sono considerate generali e astratte”. (47) Cfr. MODUGNO, Norme singolari, speciali, eccezionali, cit., pag. 511. 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 4. Leggi-provvedimento innovative e leggi-provvedimento esecutive o in luogo di provvedimento. L’indagine del fenomeno delle leggi-provvedimento è stata sistematizzata da autorevole dottrina (48) in modo da individuare due categorie di leggi aventi contenuto concreto; da un lato, nel caso di leggi rivolte “a dare applicazione concreta ad altre leggi”, e tali da conferire all’atto carattere di legge solo formale, in quanto carente dei requisiti tipici della generalità ed innovatività, dall’altro, nel caso di leggi provvedimento che, con riferimento a singoli soggetti e a specifici rapporti, derogano al diritto comune e “per le quali quindi l’elemento della singolarità […] si presenta sotto il duplice e congiunto aspetto della personalità e della eccezionalità” (49). Da questo consegue che la prima categoria di leggi-provvedimento concerne la valutazione del principio della separazione dei poteri, mentre per la seconda è il principio di eguaglianza a porsi come fondamentale parametro di giudizio (50). Tale importante distinzione è stata poi nuovamente ripresa da quella corrente di pensiero che separa tra l’ipotesi in cui la legge apporta una deroga per una situazione particolare e concreta rispetto ad una precedente disciplina generale e l’ipotesi in cui la legge si limita a provvedere alla semplice applicazione od alla esecuzione per un caso specifico di norme già esistenti oppure si verifichi l’approvazione di un atto o l’autorizzazione di una attività che risultano essere legittimi anche secondo il diritto vigente (51). Il primo aspetto riguarda la situazione in cui “il fine concreto, il bene della vita perseguito dal legislatore non potrebbe essere realizzato direttamente dalla P.A., ma occorre un atto avente forza di legge che innovi, sia pure per un singolo e determinato caso, alla normativa vigente, apportandovi una deroga particolare”, mentre il secondo identifica le ipotesi in cui “quel dato assetto dello specifico rapporto o della situazione concreta potrebbe essere realizzato anche direttamente dalla P.A., salvi ovviamente gli effetti e le conseguenze derivanti dalla diversa efficacia e forza dell’atto” (52). Ne deriva che la categoria delle leggi-provvedimento innovative comprende quella serie di atti legislativi che comportano una deroga alla vigente disciplina generale, dal momento che si ritiene di dover ricorrere alla forza di (48) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, cit., pag. 1. (49) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, cit., pag. 2. (50) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 137. (51) Cfr. FRANCO, Leggi provvedimento, principi generali dell’ordinamento, principi del giusto procedimento (in margine all’innovativa sent. n. 143 del 1989 della Corte costituzionale), in Giur. cost., 1989, II, pag. 1056; cfr. PIZZORUSSO, Sistema delle fonti e forma di Stato e di Governo, in Quad. cost., 1986, pag. 217. (52) Cfr. FRANCO, Leggi provvedimento, principi generali dell’ordinamento, principi del giusto procedimento (in margine all’innovativa sent. n. 143 del 1989 della Corte costituzionale), cit., pag. 1056. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 311 legge al fine di realizzare un effetto abrogativo ed innovativo nei confronti dell’ordinamento giuridico in relazione alla situazione giuridica da disciplinare. Diversamente la categoria delle leggi-provvedimento esecutive indicano gli atti legislativi adottati in violazione del principio di legalità, inteso come necessaria presenza di una legge di previsione astratta dalla quale consegue la predisposizione e l’adozione di un provvedimento per il caso concreto sindacabile dal giudice amministrativo (53). In questa maniera la legge-provvedimento si configura come una mera sostituzione di un atto legislativo ad un provvedimento amministrativo, e gli effetti raggiunti potrebbero essere ottenuti anche dalla Pubblica Amministrazione nell’ordinario esercizio dei suoi poteri, nonostante la carenza del valore di legge che invece questa sostituzione garantisce (54). Le leggi-provvedimento esecutive descrivono la relazione che intercorre tra una legge-provvedimento e una preesistente legge generale, e comprendono tutte quelle disposizioni legislative con le quali si modificano direttamente parti definite e circoscritte di provvedimenti normativi emanati da un potere amministrativo (55). In base a questa tipologia di intervento si sono spesso apportate modifiche a regolamenti governativi o decreti ministeriali, e si sono abrogati regolamenti governativi e ministeriali. Questi interventi comportano alcune considerazioni sul piano della coerenza dell’ordinamento giuridico basate sul fatto che si possa creare una artificiosa situazione di disparità del legislatore nei confronti del giudice amministrativo e della Pubblica (53) Cfr. RESCIGNO, Sul principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, pag. 264. (54) Cfr. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico, cit., pag. 383, il quale afferma che “il Parlamento applica puramente e semplicemente” quando “dopo aver approvato una legge di carattere generale che disciplina un certo oggetto, pretende poi di applicare la sua stessa legge a questo o a quel caso ([…] immaginiamo una legge che concede un sussidio alle famiglie che si trovano nella situazione X indicata dalla legge, e immaginiamo che il Parlamento sulla base della sua legge conceda il sussidio a questa o a quella famiglia): il Parlamento in questo caso pretende, con una o più leggi successive, di eseguire in concreto la sua stessa legge generale già approvata”. (55) Cfr. DICKMANN, La legge in luogo di provvedimento, cit., pag. 924. Inoltre cfr. PALADIN, In tema di leggi personali, in Giur. cost., 1961, pag. 1267, il quale critica la distinzione fra leggi provvedimento innovative e leggi provvedimento esecutive formulata da Mortati, sul rilievo che la tesi che siano ammissibili leggi personali esecutive “mira a rispondere ad interrogativi marginali e di rarissima verificazione, né offre un criterio di valutazione della massa degli atti legislativi concreti, che hanno per loro natura carattere derogatorio”. In tema di prima distinzione tra norma ritenuta esecutiva, pur essendo innovativa, cfr. CRISAFULLI, In tema di rapporti tra competenza legislativa, competenza amministrativa e competenza regolamentare, in Giur. cost., 1960, pag. 969, nota a Trib. Roma, Sez. I, 19 marzo 1959, con la quale veniva ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 301 del 1951, “in quanto il potere legislativo non ha con tale articolo realizzato una attività di competenza della pubblica amministrazione, ma ha provveduto ad emanare direttamente una norma di esecuzione o di attuazione di precedente legge formale”. Questa affermazione è giudicata dall’Autore “del tutto fuori luogo”, poiché la disposizione “stabilendo che certe sostanze siano “equiparate” ad altre, anteriormente disciplinate, lungi dal determinare l’appartenenza di esse al genere indicato da norme di legge, poneva e pone una disposizione innovativa rispetto a queste, caratterizzata da evidente generalità”. 312 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 Amministrazione, i quali possono annullare un provvedimento amministrativo con efficacia ex tunc, possibilità che invece è preclusa al legislatore. Al fine di esemplificare alcuni casi di legislazione in luogo di provvedimento di autorità amministrative, si ricorda l’annosa questione della riforma agraria attuata mediante la legge n. 230 del 1950, recante Provvedimenti per la colonizzazione dell’Altopiano della Sila e dei territori contermini, con particolare attenzione per l’art. 5 in cui si delegò il Governo a provvedere con decreti legislativi “all’approvazione dei piani particolareggiati di espropriazione”, definiti dall’Opera per la valorizzazione della Sila, prevista dalla legge n. 1629 del 1947, e “alle occupazioni di urgenza dei beni sottoposti ad espropriazione ed ai trasferimenti dei terreni indicati nell’articolo 3 a favore dell’Opera”. Sul punto si espresse la Corte costituzionale, la quale escluse la violazione dell’art. 113 Cost., prospettata in base al fatto che il procedimento legislativo di espropriazione sarebbe stato previsto in luogo del corrispondente procedimento amministrativo per eluderne i condizionamenti procedurali e il regime di impugnazione dei provvedimenti conclusivi; la Corte riconobbe gli interventi adottati come espressione della funzione legislativa, la quale, prevista senza ulteriori specificazioni dall’art. 70 Cost., legittima, in via generale, il ricorso alle leggi provvedimento (56). Tuttavia, la questione è ancora estremamente attuale e pone dubbi e rilievi significativi; si pensi alla previsione di cui al comma 101 dell’articolo 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, con la quale, prevedendo che “per l’assunzione di mano d’opera da utilizzare nei reparti di lavoro del Genio militare, continuano a trovare applicazione le disposizioni contenute negli articoli 51, comma 1, lettera a), e 52 del regolamento approvato con regio decreto 17 marzo 1932, n. 365”, si conferma la sussistenza di una norma regolamentare, mai pubblicata e che dispone, nelle citate disposizioni, la possibilità di chiamata diretta di tali lavoratori al di fuori di ogni forma di selezione e concorso (57). In questa circostanza, data la contraddizione con l’art. 97, comma 3, Cost., il fatto che in sede legislativa se ne sia salvaguardata la vigenza può evidenziare un eccesso nell’uso dello strumento legislativo, al quale si è ricorsi allo scopo di preservare l’applicabilità di una normativa amministrativa in deroga alla legislazione vigente. Si ricordi, inoltre, la legge n. 381 del 1988, con l’articolo unico della quale si prevede che “in deroga a quanto stabilito dall’art. 12 del decreto legislativo luogotenenziale n. 518 del 1945, relativo alla presentazione di proposte di ri- (56) Cfr. Corte cost., sent. 60/1957, in Giur. cost., 1957, pag. 677. (57) Cfr. DICKMANN, La legge in luogo di provvedimento, cit., pag. 930. Inoltre cfr. FOIS, Rinvio, recezione e riserva di legge, in Giur. cost., 1966, pag. 605, il quale dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni legislative che si limitano con singola disposizione a recepire in tutto o in parte il contenuto di un regolamento, nel momento stesso in cui con esse si eludono riserve di legge per effetto della sottrazione della materia oggetto di normativa regolamentare al vaglio parlamentare da svolgere in sede di procedimento legislativo. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 313 compense al valor militare per la Resistenza, per le province di La Spezia, Alessandria, Asti, Caserta, Pordenone e Brescia, e per i comuni di Verona, Castellino Tanaro (VR), Guarditallo (PI), Fivizzano (MS), Acervia (AN), Feletto Canavese (TO) e Palagano (MO), possono essere prese in esame le proposte di concessione di medaglie d’oro al valor militare per la Resistenza, presentate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore di quella legge”. Il legislatore ha inteso individuare una serie di enti locali ai quali assicurare il conferimento di una onorificenza specifica e particolare, sostituendosi all’organo amministrativo appositamente costituito per tale valutazione e violando lo stesso art. 87, ultimo comma, della Costituzione. Infine si riporta la previsione di cui all’articolo 1, comma 1, della legge n. 224 del 1998, recante Trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari e agevolazioni per l’editoria, la quale recita: “allo scopo di garantire la continuità del servizio di trasmissione radiofonica delle sedute parlamentari, e confermando lo strumento della convenzione da stipulare a seguito di gara pubblica, i cui criteri saranno definiti nel quadro dell’approvazione della riforma generale del sistema delle comunicazioni, in via transitoria la convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e il Centro di produzione S.p.a., stipulata ai sensi dell’articolo 9, comma 1, del decreto-legge 28 ottobre 1994, n. 602 ed approvata con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni del 21 novembre 1994, è rinnovata con decorrenza 21 novembre 1997 per un ulteriore triennio, intendendosi rivalutato in L. 11.500.000.000 l’importo di cui al comma 4 dello stesso articolo 9. I contratti collettivi nazionali di lavoro, ivi compreso, per i redattori, il contratto unico nazionale di lavoro dei giornalisti, si applicano ai dipendenti del Centro di produzione S.p.a. fino alla scadenza della convenzione”. Questa lunga disposizione citata è un caso paradigmatico di legge in luogo di provvedimento, con particolare riferimento alla parte in cui, pur confermando il regime convenzionale, dispone un nuovo termine di durata rispetto a quello originariamente definito ed integrazioni al regime negoziale ivi indicati (58). Queste esemplificazioni consentono di soffermarsi sul significato del termine “esecutivo”, ed è utile richiamare gli studi di chi afferma che “letteralmente “esecutivo” significa “di esecuzione”, ed esecuzione significa (derivando etimologicamente da ex e sequi) il far seguire ciò che è contenuto in qualcosa di principale”, ma si potrebbe dire che “tutta l’attività giuridica è sempre, in questo senso, esecuzione”, in quanto “realizza in concreto qualche cosa già esistente in astratto”. Ne consegue che questo “qualche cosa non può essere che una proposizione generale che abbia già una esistenza giuridica e (58) Cfr. DICKMANN, La legge in luogo di provvedimento, cit., pag. 933. Si ricordi anche ARCONZO, Contributo allo studio sulla funzione legislativa provvedimentale, Milano, 2013, pag, 10 e seg. 314 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 che sia suscettiva di essere realizzata: tale quindi è una legge quando, da un lato, determini un mutamento nella posizione giuridica di un soggetto, ovvero quando determini la possibilità di realizzare quel mutamento al verificarsi di alcune circostanze; ma, d’altro lato, non sia essa stessa sufficiente ad attuare quella modificazione” (59). In questo senso, si pone il tema che “funzione legislativa e attività necessariamente esecutiva sono concetti i quali si escludono a vicenda” (60), e si sottolinea che il potere legislativo esercitato dalle Camere è una estrinsecazione di una potestà idonea ad innovare, in quanto “l’atto legislativo, anche allorquando non rappresenta che l’applicazione in un caso singolo di una regolamentazione preesistente, non può mai essere considerato un mero atto di esecuzione. Esso rappresenta infatti sempre, necessariamente, la libera estrinsecazione di una determinazione che avrebbe potuto orientarsi diversamente” (61). Tuttavia, un altro aspetto che ridimensiona quanto appena riportato consiste nel fatto che, sempre nel caso di precetti legislativi meramente esecutivi, avviene una semplice modificazione del titolo giuridico, frutto di una sostituzione di norma a norma, come quando il legislatore riproduce integralmente i contenuti di una legge preesistente attraverso una legge nuova, conservando la stessa intentio legislatoris e introducendo alcune innovazioni formali o di dettaglio. In relazioni quindi alle tipologie di leggi provvedimento viste nel corso del presente paragrafo, va affermato, quale elemento tipico e distintivo della funzione legislativa, il carattere della novità sostanziale (62), non potendo risultare sufficiente la considerazione secondo la quale ogni atto giuridico è in grado di apportare elementi di novità nel sistema preesistente con forza più o meno intensa (63). (59) Cfr. BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, Padova, 1987, pag. 37. (60) Cfr. SANDULLI, Osservazioni sulla costituzionalità delle deleghe in materia di riforma fondiaria, in Foro amm., 1952, IV, pag. 5. (61) Cfr. SANDULLI, Osservazioni sulla costituzionalità delle deleghe in materia di riforma fondiaria, cit., pag. 5. (62) Sul carattere della novità cfr. CHELI, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1974, pag. 279; cfr. SANDULLI, L’attività normativa della Pubblica Amministrazione, Napoli, 1970, pag. 89; cfr. D’ATENA, Aldo M. Sandulli ed i confini della normatività, in Dir. e soc., 2004, pag. 470. (63) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 141; cfr. ESPOSITO, La validità delle leggi, Padova, 1934, pag. 95, il quale afferma che non vi è “atto dello Stato, valido e giuridicamente rilevante che non crei diritto, anche se poi esso, per ragioni formali od estrinseche, sia caratterizzato come “amministrativo” o “giurisdizionale”; cfr. FODERARO, Il concetto di legge, Milano, 1948, pag. 143, il quale sottolinea come il carattere della novità non possa “riguardarsi come carattere esclusivo della norma, essendo possibile di riscontrare tale elemento anche in manifestazioni differenti dell’attività dello Stato”. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 315 5. Problematica dell’amissibilità delle leggi-provvedimento nell’ordinamento giuridico italiano. Alla luce di quanto fin qui delineato, occorre ora accertare con maggiore attenzione se e in quali limiti le leggi-provvedimento siano ammissibili nell’ordinamento giuridico; la questione assume caratteri in parte diversi a seconda che si tratti delle cosiddette “esecutive” o “innovative”. Per le prime viene soprattutto in rilievo il principio della separazione dei poteri, con il quale è fondato il dubbio di un contrasto con l’assunzione da parte delle Camere di competenze istituzionalmente proprie dell’Amministrazione; per le seconde, invece, è l’esigenza dell’eguaglianza che si fa valere, nel presupposto che questa non sia diversamente tutelata se non con il conferire alla legge i caratteri della generalità e dell’astrattezza (64). La tematica prospettata è soltanto un aspetto della più ampia questione che sorge dall’attribuzione a “poteri” distinti delle due funzioni della formazione della legge e della sua attuazione a casi concreti, visto come l’esercizio della seconda possa far conseguire il risultato di alterare il significato e la portata delle norme. La giurisprudenza costituzionale (65) ha, nel tempo, avallato un indirizzo favorevole alle leggi-provvedimento, ammettendone la legittimità anche quando sono l’espressione di un legislatore regionale. L’argomento principale, infatti, con il quale si è soliti partire per sostenerne la legittimità riguarda il mutamento strutturale e funzionale che si è verificato all’interno dei moderni ordinamenti giuridici in relazione all’organizzazione del potere (66). Si argomenta, inoltre, dai dati specifici ricavabili dalla Costituzione, che una generalizzata riserva di provvedimento che fondi, a favore dell’Amministrazione, una pretesa all’esercizio esclusivo della potestà amministrativa sia da escludere, in quanto non è individuabile alcuna disposizione costituzionale che preveda un ambito specifico a favore dell’apparato di Governo (67), né è ricavabile dal principio del giusto procedimento (68). Questo incentivato dal (64) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, cit., pag. 47. (65) È difficile sintetizzare la giurisprudenza costituzionale in tema di legge-provvedimento; si considerino, senza pretesa di esaustività, tra le altre le sentenze n. 60/1957, n. 68/1961, n. 13/1962, n. 40/1964, n. 3/1965, n. 95/1966, n. 190/1986, n. 143/1989, n. 369/1990, n. 66/1992, nn. 62 e 250/1993, n. 437/1994, nn. 62, 248, 347/1995, nn. 2 e 153/1997, n. 211/1998. (66) Cfr. MORTATI, Le leggi provvedimento, cit., pag. 50. (67) Cfr. SANDULLI, Legge, forza di legge, valore di legge, in Riv. trim. dir. pubbl., 1957, pag. 271; cfr. VIGNOCCHI, Il potere regolamentare dei Ministri, Napoli, 1957, pag. 64. (68) Cfr. CRISAFULLI, Principio di legalità e “giusto procedimento”, in Giur. cost., 1962, pag. 130, il quale afferma che “la circostanza che, in molti casi, la stessa Costituzione riservi il concreto provvedere ad autorità non amministrative, ma giudiziarie, e che talvolta, nel diritto positivo vigente, proprio per fini di maggiore tutela e garanzia, compiti di natura amministrativa siano affidati ad organi giudiziari, induce a ritenere che il principio del giusto procedimento non implichi una riserva in favore dell’amministrazione come apparato”. 316 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 fatto che autorevole dottrina (69) sostiene che l’elemento che distingue la legislazione non risiede nel particolare contenuto dell’atto ma nella sua forma, ossia nel procedimento di formazione (70). Questa posizione si ritrova nella sentenza n. 190 del 1986 della Corte costituzionale con la quale si dichiara la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge regionale siciliana n. 90 del 1976, che disponeva la decadenza dei Consigli di amministrazione di tre enti regionali, in riferimento agli artt. 24, 25 e 113 Cost. che attengono a garanzie apprestate rispetto ad atti diversi da quelli legislativi. Tale pronuncia, come, del resto, l’indirizzo della giurisprudenza costituzionale in tema di leggi-provvedimento, non appare tenere nella giusta considerazione il fatto che al cittadino, all’interno della strutturazione procedimentale dell’azione amministrativa, devono essere riservati alcuni spazi di intervento che gli consentano di esprimere le proprie ragioni, in modo che principi di valore costituzionale, quali l’audizione degli interessati e il contraddittorio, non siano sminuiti. Ne consegue che nel momento stesso in cui lo Stato decida di intervenire nell’ambito socioeconomico lo deve fare secondo le modalità proprie del procedimento amministrativo e non nella forma della legge-provvedimento, pena “la vanificazione di alcune garanzie costituzionali la cui importanza è senz’altro pari a quella della tutela dei valori giurisdizionali assicurata dagli artt. 24, 25 e 113 e consistente principalmente nella configurazione del c.d. diritto alla giurisdizione” (71). Questo significa che quale che sia il contenuto di un atto legislativo esso non può annullare lo spazio tutelato dalla Carta costituzionale a favore dell’iniziativa soggettiva per difendere i propri diritti soggettivi e i propri interessi legittimi. Ne deriva che la legge parlamentare non può assumere i caratteri di norma individuale e concreta, poiché verrebbe meno quel margine che, al contrario, la norma generale ed astratta crea tra sé ed il provvedimento di attuazione del suo precetto e che permette al cittadino di ricorrere ai rimedi giurisdizionali che l’ordinamento ha approntato per una efficace salvaguardia delle situazioni giuridiche soggettive. Tale impostazione è espressione piena della concezione della democrazia secondo la quale i diritti di libertà, nello loro tradizionale configurazione di diritti pubblici soggettivi, subiscono una decisa trasformazione (72) e diven- (69) Cfr. MODUGNO, Legge in generale, in Enc. dir., vol. XXII, Milano, 1973, pag. 888. (70) Cfr. PIRAINO, Ancora sulle leggi-provvedimento, in Le Regioni, 1-2, 1987, pag. 170, il quale afferma che “poiché riferimenti ad un presunto e necessario carattere normativo delle leggi mancano anche in tutte le altri disposizioni costituzionali che regolano la funzione legislativa ed anzi vi sono numerosi articoli che prevedono espressamente leggi con contenuto concreto, non c’è dubbio che si può affermare che la Costituzione non impone alle leggi nessun carattere di generalità ed astrattezza e quindi non impedisce nessuna legge dal carattere provvedimentale”. (71) Cfr. PIRAINO, Ancora sulle leggi-provvedimento, cit., pag. 174. (72) Cfr. AMATO, Libertà (diritto costituzionale), in Enc. dir., vol. XXIV, Milano, 1974, pag. 274; cfr. COMOGLIO, La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, pag. 9. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 317 tano “modo di emersione dei processi di liberazione che uniscono gli individui e la comunità nello sforzo di ordinare la convivenza” (73). Altro dato rilevante concerne la difficoltà di ricorrere allo strumento di tutela nei confronti di una legge ritenuta dal cittadino incostituzionale, visto il carattere non immediato del ricorso al sindacato della Corte costituzionale. L’orientamento del giudice delle leggi, tuttavia, non muta e sul tema sono particolarmente significative le pronunce n. 225 e 226 del 1999 (74), le quali, sebbene diverse per tipologia di giudizio, dato che la prima segue una questione incidentale di legittimità e la seconda giudica un conflitto di attribuzione, esprimono una ricostruzione giuridica unitaria, individuabile nella complementarietà delle due motivazioni, agevolata dal riferimento alla medesima situazione normativa. Il sindacato, infatti, verteva sugli artt. 17, 18 e 19 della legge regionale n. 86 del 1983 che disponeva che per ciascun parco regionale lombardo venga “formato un piano territoriale di coordinamento, avente natura ed effetti di piano territoriale regionale”; le questioni sottoposte alla Corte costituzionale non riguardano il procedimento di approvazione dei piani dei parchi lombardi in sé considerato, quanto l’atto conclusivo dello stesso, ossia, la circostanza che l’atto finale di approvazione del piano da parte del Consiglio regionale sia una legge (75). Nel caso affrontato dalla sentenza n. 225, il Piano è stato approvato e il Tar Lombardia, dubitando della costituzionalità della legge di approvazione, ha sospeso il giudizio rinviando la questione incidentale alla Corte costituzionale, mentre nella situazione della sentenza n. 226 il Tar lombardo aveva dinanzi un piano ancora in itinere, semplici deliberazioni di giunta e procedeva ad annullarle, da qui il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Lombardia. I due giudizi, come si evince, vertono sulla stessa questione giuridica consistente nel dubbio di compatibilità con il sistema costituzionale del procedimento di approvazione per legge dei piani territoriali predisposti dalla Regione. Di nuovo il quesito se una legge-provvedimento leda o meno il diritto di difesa costituzionalmente garantito dagli artt. 113 e 24 della Costituzione. In questo caso, la Corte costituzionale rigetta l’istanza non perché abbia giudicato la ragionevolezza della legislazione lombarda ma per aver svolto una valutazione che si concentra sulla struttura stessa della legge intesa come atto giuridico piuttosto che analizzandone il contenuto; infatti, la Corte muove da un attento esame della legislazione lombarda, la quale prevede un procedimento per la formazione, l’adozione, la verifica e l’approvazione del piano territoriale di coordinamento del Parco naturale, suddiviso in due fasi distinte aventi natura e finalità diverse. La prima fase, di natura prettamente amministrativa, si sostan- (73) Cfr. PIRAINO, Ancora sulle leggi-provvedimento, cit., pag. 176. (74) Cfr. Corte cost., sent. 225 e 226/1999, in Giur. cost., 1999, pag. 2010. (75) Cfr. SIMONCINI, La legge “senza valore” (ovvero, della necessità di un giudizio sulla ragionevolezza delle scelte normative), in Giur. cost., 1999, pag. 2027. 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 zia nella delibera di adozione della proposta di piano elaborata dall’ente gestore e nella delibera adottata dalla giunta regionale, attività che sono oggetto del sindacato del giudice amministrativo nella misura in cui siano suscettibili di ledere immediatamente le posizioni dei soggetti interessati per la cogenza degli strumenti di salvaguardia che esse comportano. La seconda fase, invece, di carattere legislativo, prende avvio con la presentazione al Consiglio regionale del progetto di legge da parte della giunta e assume il valore di formale iniziativa della legge di approvazione del piano. L’indagine, dunque, vuole evidenziare il rapporto esistente tra le due fasi e la modalità mediante la quale si realizza il principio costituzionale di garanzia dei diritti; la Corte afferma che “configurate le due fasi, l’una amministrativa (…) e l’altra legislativa di mera approvazione del piano (…) è evidente che gli eventuali vizi della fase amministrativa di formazione, adozione e modifiche del piano del parco non sono sanati né comunque coperti dalla approvazione con legge regionale del piano stesso” (76). Si introduce quella che è stata definita la “terza via” (77), argomentando la pronuncia di rigetto sulla base di una interpretazione adeguatrice della legislazione sottoposta a giudizio, differente da quella avanzata dal giudice a quo, secondo la quale la legge regionale non viola il principio costituzionale di tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione poiché consente l’impugnazione delle delibere di adozione del piano. Il potenziale annullamento che ne deriverebbe comporterebbe l’effetto di privare la legge del suo oggetto, prefigurando, quindi, una legge che, come afferma la Corte costituzionale, non fa assumere al suo contenuto “valore di legge”. Si evince che la Corte ritenga, per la parte del piano approvato coincidente con la delibera di adozione annullata, che la legge non debba essere più applicata (78); viene scardinato il principio per cui la forma di legge attribuisce necessariamente il valore di legge, con la conseguente sindacabilità della Corte costituzionale. Nelle pronunce in esame si pone una distinzione tra adozione e approvazione, e i soggetti che nel giudizio a quo si sono ritenuti lesi nel loro diritto di difesa dall’approvazione del piano con legge regionale si sentono rispondere dalla Corte che questo loro diritto è garantito dalla legge stessa perché avrebbero potuto impugnare l’atto di adozione, autonomo da quello di approvazione per ciò che concerne il procedimento, il contenuto e gli effetti (79). Questa (76) Cfr. Corte cost., sent. 225/1999, cit., punto 4 considerato in diritto. (77) Cfr. SIMONCINI, La legge “senza valore”, cit., pag. 2035. (78) Cfr. MODUGNO, Legge in generale, in Enc. giur., 1973, pag. 893, il quale argomenta sul concetto di legge senza “valore di legge” e lo considera in riferimento ad un atto legislativo che può essere sindacato nel suo oggetto da altre autorità giudiziarie e non esclusivamente dalla Corte costituzionale. (79) Cfr. SIMONCINI, La legge “senza valore”, cit., pag. 2037 e 2046, il quale definisce la legge “senza valore”, come “un nuovo fantasma destinato a vagare indefinitamente nel panorama del nostro sistema delle fonti, già popolato di non pochi mostri”. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 319 presa di posizione accresce l’esigenza del ricorso ad un giudizio sulla ragionevolezza della scelta normativa, a patto che tale valutazione abbia una sua precisa e definita consistenza, e non venga, invece, considerata come una sorta di vizio di legittimità residuale, invocabile soltanto quando altre violazioni specifiche, di tipo formale o materiale, non siano imputabili. Nel caso riportato, infatti, appare irrazionale prevedere una procedura che coinvolga i cittadini e permetta loro di impugnare atti fondamentali della stessa procedura e poi non considerare tali eventualità nell’approvazione legislativa finale dell’atto. L’episodio, nell’ottica del presente studio, richiede un nuovo giudizio di ragionevolezza, particolarmente attento alla logica e alla razionalità del sistema delle fonti, intesi anche come valori costituzionali. Occorre, pertanto, rifarsi al concetto di ragionevolezza impiegato dalla Corte costituzionale mediante l’esposizione di un altro caso giurisprudenziale significativo in tema di leggi-provvedimento. Nella sentenza n. 137 del 2009 il giudice delle leggi argomenta riguardo la particolare attenzione con cui il legislatore deve applicare il canone della ragionevolezza affinché il ricorso ad una legge-provvedimento non costituisca una violazione dei principi di eguaglianza e di imparzialità. Nel caso di specie, il Tar del Lazio sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 e della Tabella B della legge regionale laziale n. 28 del 2006, recante il bilancio di previsione della Regione Lazio per l’esercizio finanziario 2007, che stabilivano il concorso della Regione alle iniziative di carattere sociale, culturale e sportivo a livello locale, mediante la previsione diretta sia dei soggetti destinatari dei contributi sia dell’importo specifico del contributo assegnato a ciascun beneficiario. Sempre il Tar del Lazio, dopo aver evidenziato che si era in presenza di una legge provvedimento, affermava la lesione degli articoli 3, 97 e 117 della Costituzione, in quanto non era riscontrabile nella disposizione la delineazione di una procedura idonea e trasparente dell’azione amministrativa regionale per la ripartizione dei contributi tra gli enti individuati, con conseguente violazione del principio di eguaglianza. In relazione all’art. 117 Cost., che impone alla potestà legislativa regionale concorrente il rispetto dei principi generali cui si informa la legislazione statale, il Tar Lazio richiamava l’art. 12 della legge n. 241 del 1990, secondo la quale la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici sono subordinate alla predeterminazione e alla pubblicazione da parte delle amministrazioni dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi. La Corte costituzionale, nel suo giudizio, conferma la qualificazione della disposizione impugnata come legge-provvedimento, evidenziando che si tratta di un norma idonea ad incidere su un numero determinato di destinatari, con contenuto particolare e concreto. Poi, la Corte ritorna su quanto già consolidato nella sua giurisprudenza, ossia che non è preclusa alla legge ordinaria, e nep- 320 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 pure alla legge regionale, la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidati alla Pubblica Amministrazione, non riscontrando un divieto di adozione di leggi di siffatta natura. Tuttavia, la Corte sottolinea che queste leggi sono ammissibili entro limiti non solo specifici, come il rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle controversie in corso, ma anche generali, finalizzate alla salvaguardia del principio di ragionevolezza e non arbitrarietà, in modo che la loro legittimità vada valutata in relazione ad un contenuto specifico. Pertanto, qualora il legislatore ponga in essere una attività di tipo particolare e concreto devono risultare i criteri ai quali si sono ispirate le scelte e le relative modalità di attuazione (80). Ciò premesso, il giudice delle leggi dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 e della tabella B della legge della Regione Lazio n. 28 del 2006 rilevando il contrasto con l’art. 3 della Costituzione, posto che non è stato rispettato il principio di eguaglianza nella sua nozione di parità di trattamento. In questa sentenza, si rileva che la norma impugnata pone un percorso privilegiato per la distribuzione di contributi in danaro, con prevalenza degli interessi di alcuni soggetti collettivi a discapito di quelli, parimenti meritevoli di tutela, di altri enti esclusi, con pregiudizio per l’interesse generale. Con la sentenza n. 190 del 2011, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale, per violazione degli obblighi comunitari, e quindi per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., delle disposizioni contenute in due leggi regionali, rispettivamente della Regione Lombardia e della Regione Toscana, in materia di “caccia in deroga” (81). La Corte ricorda che la direttiva comunitaria n. 147 del 2009 consente determinate deroghe al divieto generale di cacciare le specie protette, ma richiede, in linea con la giurisprudenza comunitaria della sentenza 8 giugno 2006, causa C-118/94, che le misure derogatorie siano accompagnate da una adeguata e puntuale motivazione, idonea a far riferimento, in modo esplicito e circostanziato, alla sussistenza di tutte le condizioni prescritte dalla direttiva, la quale persegue il fine di limitare le deroghe allo stretto necessario e di permettere la vigilanza degli organi comunitari (82). Pertanto la Corte afferma che il rispetto del vincolo europeo “impone l’osservanza dell’obbligo della puntuale ed espressa indicazione della sussistenza di tutte le condizioni in esso specificamente indicate, e ciò a prescindere dalla natura (amministrativa ovvero legislativa) del tipo di atto in concreto utilizzato per l’introduzione della deroga al divieto di caccia e di cattura degli (80) Cfr. DICKMANN, La legge in luogo di provvedimento, cit., pag. 917, e Processo legislativo e limiti della legge, Napoli, 2006, pag. 237. (81) Cfr. Corte cost., sent. n. 190/2011, in www.giurcost.org (82) Cfr. MASSA, L’istanza cautelare è assorbita e qualcuno (forse) ci lascia le penne, in www.dirittiregionali.org. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 321 esemplari appartenenti alla fauna selvatica stabilito agli articoli da 5 a 8 della medesima direttiva”. Sulla base di queste considerazioni, i giudici costituzionali riscontrano un vizio di motivazione nelle due leggi impugnate dal Governo; infatti, per quanto concerne la legge della Regione Lombardia n. 16 del 2010, la Corte osserva che “vi è la completa omissione di qualsiasi cenno in ordine alla sussistenza delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla direttiva”, mentre con riferimento alla legge della Regione Toscana n. 50 del 2010, riguardante il prelievo di richiami vivi, sottolinea che il preambolo contiene “lo sviluppo di qualche ulteriore linea argomentativa” rispetto alla precedente legge toscana sullo stesso oggetto, già dichiarata illegittima con la sentenza n. 266 del 2010. Tuttavia, in relazione a quest’ultimo caso, la Corte giudica insufficiente, perché apodittica, la motivazione, in quanto “non diversamente che per il passato, è fondata su di una mera petizione di principio la affermazione secondo la quale “Non esiste al momento altra condizione soddisfacente a fronte delle richieste pervenute se non quella del metodo delle catture” (punto 11 del preambolo della legge regionale n. 50 del 2010), non essendo affatto chiarito perché una campagna di allevamento in cattività, tempestivamente promossa e realizzata, non sia idonea a fornire il fabbisogno necessario di richiami vivi, in tal modo costituendo, (…) una valida alternativa alla cattura dei medesimi”. Questa sentenza è importante perché collega al carattere provvedimentale di una atto legislativo l’onere di una adeguata motivazione, riconoscendo, implicitamente, che l’intervento siffatto si inserisce nell’ambito dell’azione amministrativa. Inoltre, si ricordi la sentenza n. 231 del 2014, con la quale la Corte costituzionale ribadisce che la natura di “norma-provvedimento” di una legge, da sola, non incide sulla legittimità della disposizione; la Corte conferma il proprio orientamento secondo il quale la legittimità costituzionale della legge provvedimento deve essere valutata in relazione al suo specifico contenuto, essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore. La Corte ritiene che il diritto di difesa non sia pregiudicato ma sia caratterizzato dal regime tipico dell’atto legislativo adottato, trasferendosi dall’ambito della giustizia amministrativa a quello proprio della giustizia costituzionale. In conclusione, nonostante la giurisprudenza costituzionale sia di segno diverso, si pone con forte criticità la questione che l’attività amministrativa esercitata dalla legge formale comporti un grave depauperamento delle garanzie poste a tutela degli amministrati, a sostegno della tesi che questo fenomeno, nell’ordinamento costituzionale italiano, rappresenti una preoccupante anomalia (83). Infatti, l’avocazione a livello legislativo della cura in concreto di in- (83) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 283. 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 teressi collide con il “sistema di amministrazione pubblica sub lege”, in cui “la definizione dell’interesse pubblico è rimessa al legislatore” (84), e con la definizione di amministrazione in senso funzionale, secondo la quale essa consiste in un “procedimento di messa in atto di norme […] grazie al quale determinate regole sono tradotte in decisioni specifiche, per casi singoli” (85). Ne consegue che la qualificazione dell’azione amministrativa come “esecutiva” va intesa come indicativa di un’attività che presuppone la legge, perché da essa trae origine, legittimazione, ragione (86). La legge-provvedimento, dunque, non risulta compatibile con l’attribuzione che l’ordinamento costituzionale effettua a favore dell’Esecutivo o di altro soggetto del potere amministrativo di provvedere concretamente alla cura degli interessi pubblici (87). Il concetto che ne è alla base richiede che sia un soggetto diverso dal legislatore ad avere il compito della cura degli interessi della collettività mediante un potere che, se esercitato correttamente, sia in grado di soddisfare il confronto tra quegli interessi e le specificità mostrate dal caso concreto e rappresentate dagli stessi interessi coinvolti nella fattispecie (88). La funzionalità istituzionale dell’amministrazione viene modellata dal carattere costituzionale dell’interesse pubblico, il quale va considerato dalla Pubblica Amministrazione nel processo di contemperamento degli interessi individuati dalla legge con gli interessi degli amministrati e, a volte, anche con altri interessi pubblici che per legge vanno integrati nella valutazione discrezionale amministrativa. Tutti questi interessi devono, pertanto, essere ac- (84) Cfr. CANNADA BARTOLI, Interesse (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XXII, Milano, 1972, pag. 1, il quale afferma che la realizzazione degli interessi pubblici astratti fissati dal legislatore “è, di volta in volta, l’interesse pubblico concreto dell’amministrazione”. Inoltre cfr. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi, Milano, 1939, pag. 75, il quale riflette sul carattere modale dell’attività amministrativa rappresentata dal suo essere attuazione della legge; cfr. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, pag. 367, il quale sostiene che l’interesse primario non sempre è chiaramente individuato dalla norma attributiva del potere ma da tutto il contesto normativo nel quale la norma è collocata. (85) Cfr. PETERS, The Politics of Bureaucracy, (1995), traduzione italiana La pubblica amministrazione, Bologna, 1999, pag. 7. (86) Cfr. GASPARRI, I concetti di legislazione, amministrazione e politica nella terminologia della Costituzione, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, 1959, pag. 28, il quale afferma che “nel concetto dell’ “eseguire” (da ex e sequor) è compresa non solo l’idea del “venir dopo” nello spazio o nel tempo; ma anche, contrassegnata appunto dall’ “ex”, l’idea del “trarre origine” oppure, sul piano logico, “ragione” (esecuzione di un progetto) o ancora, sul piano giuridico, che qui ci interessa, “legittimazione” (esecuzione di un comando)”. (87) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 284. (88) Cfr. RANELLETTI, Il problema della giustizia nella pubblica amministrazione e i diritti soggettivi, (1948), ora in Scritti giuridici scelti, II. La giustizia amministrativa, a cura di FERRARI e SORDI, Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza di Camerino, Napoli, 1992, pag. 345, il quale afferma che “quella libertà non si può eliminare ed è normale nell’attività di amministrazione, poiché non è possibile regolarne con precisione lo svolgimento in tutti i campi e le direzioni dell’attività dello Stato, non essendo possibile prevedere tutte le circostanze di fatto, tutti gli atteggiamenti e le esigenze dell’interesse pubblico, alla soddisfazione del quale l’amministrazione deve dirigere la sua attività”. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 323 quisiti e valutati dal potere amministrativo, e il caso concreto va inteso “non come una entità suscettibile di mera rilevazione e descrizione, ma come il risultato di un’attività che è conoscitiva e creativa al tempo stesso, in quanto ha inizio con l’esame di una situazione ancora indefinita e tende innanzitutto a discernere i “dati” da impegnare nella formulazione del problema” (89). La legge-provvedimento, secondo questa impostazione, produce una alterazione della legalità procedimentale e una compressione del procedimento amministrativo, il quale è stato autorevolmente definito “giuridicamente necessario” (90); tale concettualizzazione parte dal fatto che il processo di traduzione degli interessi pubblici previamente fissati dalla norma ha avuto nel tempo un arricchimento di garanzie procedimentali offerte dall’ordinamento, in modo da assicurare la piena partecipazione degli interessati alla determinazione amministrativa, unita ad una maggiore verificabilità delle scelte operate dall’amministrazione (91). La legislazione è dunque andata in questa direzione: si pensi alla legge sul procedimento amministrativo, alla ridefinizione dell’organizzazione amministrativa, anche essa oggetto di significative riforme finalizzate a meglio precisare la definizione del rapporto tra indirizzo politico e gestione amministrativa, nell’ottica della responsabilizzazione dell’amministrazione. Ancora, si ricordi la legge n. 205 del 2000 che ha innovato mediante l’introduzione di nuovi istituti in tema di tutela cautelare e di risarcimento del danno procurato dalla lesione dell’interesse legittimo, rispondendo in maniera più adeguata alle aspettative di tutela degli amministrati (92). Emerge la diversità giuridica dell’attività legislativa rispetto all’attività amministrativa; infatti l’amministrazione ha il compito di individuare con completezza, mediante l’istruttoria, tutti gli interessi coinvolti nella propria determinazione, valutandoli comparativamente con gli interessi pubblici che la norma le affida e motivando le sue scelte anche in relazione a proposte eventualmente formulate dai soggetti coinvolti nel procedimento. Questi elementi non sono riscontrabili nei confronti dei destinatari della (89) Cfr. LEDDA, Determinazione discrezionale e domanda di diritto, in Studi in onore di Feliciano Benvenuti, vol. III, Modena, 1996, pag. 959. (90) Cfr. SCOCA, Attività amministrativa, in Enc. dir., Agg., vol. VI, Milano, 2002, pag. 98, il quale osserva che “è in crescita la rilevanza giuridica dell’attività amministrativa come tale, la quale da nozione meramente ricognitiva evolve in nozione giuridica (ponendosi come fattispecie accanto all’atto e al provvedimento)”. (91) Cfr. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, pag. 252. Inoltre cfr. SATTA, Responsabilità della pubblica amministrazione, in Enc. dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, pag. 1376. (92) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 288, la quale afferma che “la forza del principio di differenziazione tra previa legge generale recante previsioni astratte ed esercizio della funzione amministrativa secondo specifiche modalità imposte dall’ordinamento non può che risultare più pregnante alla luce della consolidata esperienza della legge 241/90”. 324 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 legge-provvedimento, il cui iter di formazione parlamentare non prevede affatto un dovere giuridico di prendere in considerazione gli interessi coinvolti dalla legge, non configurandosi un dovere di contemperamento dell’interesse pubblico con gli interessi privati. A questo si aggiunge che, in ossequio al principio di imparzialità ex art. 97 Cost., un atto amministrativo che incide direttamente sulla sfera giuridica soggettiva del destinatario deve essere assunto con la garanzia della neutralità della valutazione compiuta, il cui rispetto è salvaguardato dalla legge a contenuto generale ed astratto che consente lo svolgimento del procedimento amministrativo. La legge-provvedimento si pone inoltre in contrasto con l’art. 28 Cost., che impone la responsabilità diretta in capo ai funzionari e dipendenti pubblici per gli atti condotti in violazione di diritti, in quanto annulla il suddetto meccanismo di imputabilità. Va poi riaffermata la lesione degli artt. 24 e 113 della Costituzione e la centralità della questione delle aspettative di tutela giurisdizionale (93). La denuncia del fatto per il quale la forma legislativa degli atti provvedimentali preclude l’accesso alla tutela davanti al giudice amministrativo è rafforzata dai “margini sempre più adeguati e penetranti ricavati dal giudice amministrativo nel sindacato sull’attività amministrativa” (94). Sul tema, si è analizzata la posizione della Corte costituzionale, ora si precisa che quest’ultima ha inteso la garanzia dell’art. 113 Cost. nel senso che contro gli atti amministrativi è sempre ammessa tutela giurisdizionale in sede ordinaria ed amministrativa e non nel senso che la garanzia stessa debba essere apprestata nei confronti degli atti a carattere puntuale e concreto in qualunque forma adottati (95). Altra questione rilevante riguarda poi l’art. 118 Cost., il quale può valere come parametro di legittimità costituzionale nei confronti della legge-provvedimento (96). Infatti, la revisione del Titolo V della Costituzione apre la strada per nuove interpretazioni delle relazioni tra legislazione ed amministrazione (97) e, in particolare, l’art. 118 Cost. salvaguardia non solo l’autonomia (93) Cfr. FERRAJOLI, Aspettative e garanzie. Prime tesi di una teoria assiomatizzata del diritto, in Logos dell’essere. Logos della norma, Bari, 1999, pag. 907. (94) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 291. Inoltre cfr. MAZZAROLLI, Sui caratteri e i limiti della giurisdizione esclusiva: la Corte costituzionale ne ridisegna l’ambito, in Dir. proc. amm., 2005, pag. 239, il quale riflette sul tema del risarcimento del danno ingiusto anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, in riferimento alla sentenza della Consulta n. 204 del 2004, in Giur. cost., 2004, pag. 2181, in cui si afferma che il potere riconosciuto al giudice amministrativo dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000 costituisce “uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio (e/o confermativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione”. (95) Particolarmente importante sul tema la sentenza di Corte costituzionale n. 143 del 1989 e n. 331 del 1988, in Giur. cost., 1988, pag. 1359. (96) Cfr. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, cit., pag. 291. (97) Cfr. PASTORI, La funzione amministrativa nell’odierno quadro costituzionale. Considerazioni introduttive, in Annuario 2002 AIPDA, Milano, 2003, pag. 463; cfr. CAMERLENGO, Dall’amministrazione CONTRIBUTI DI DOTTRINA 325 degli enti locali ma anche l’individualità della funzione amministrativa (98). Tuttavia, questa posizione può prestarsi a critiche basate sul fatto che non è prevista, in capo agli enti locali, la legittimazione processuale dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi degli artt. 127 e 134 della Costituzione (99). In ogni caso, la tesi merita attenzione ed è stato autorevolmente rilevato che il problema delle leggi-provvedimento è strettamente legato con l’assetto costituzionale dello Stato (100), aspetto che risulta ulteriormente sottolineato dalla riforma del Titolo V che ha voluto evidenziare la posizione costituzionale del livelli di governo locali e regionali (101). La diversa formulazione dell’art. 118 Cost., infatti, pone che la funzione amministrativa è stata “pensata innanzitutto come funzione a se stante, in linea con l’intuizione già presente nell’art. 97 Cost., da organizzarsi secondo criteri e canoni propri” (102), in modo da essere ripartita tra i vari livelli di governo, tutti dotati di pari dignità costituzionale, ai sensi dell’art. 114 Cost., secondo il principio di sussidiarietà. Si prospetta un sistema policentrico, destinato ad organizzarsi mediante fonti secondarie. alla legge, nel modello della sussidiarietà negoziata, in AA.VV., Itinerari di sviluppo del regionalismo italiano, a cura di VIOLINI, Milano, pag. 231. (98) Cfr. FERRARI, I Comuni e l’urbanistica, in Il governo del territorio, Atti del VI Convegno nazionale A.I.D.U., Pescara, 29-30 novembre 2002, a cura di CIVITARESEMATTEUCCI, FERRARI, URBANI, Milano, 2003, pag. 135, il quale afferma che nel nuovo assetto costituzionale la salvaguardia del ruolo dell’ente locale e la sua tutela nei confronti dello Stato e della Regione si impernia “sulla generale riserva costituzionale delle funzioni amministrative ai Comuni […]. La legge-provvedimento statale o regionale trova qui il parametro di giudizio”; inoltre cfr. SPUNTARELLI, La ratio della legge regionale in sostituzione di provvedimento amministrativo: tre argomentazioni non condivisibili di una sentenza della Corte costituzionale, in Giur. it., 2003, pag. 851, la quale afferma che si può prospettare “la possibilità di riconsiderare il principio di riserva di amministrazione fino a ritenerlo parametro di legittimità costituzionale delle leggi in sostituzione di provvedimento sotto il profilo del loro contrasto con il principio di sussidiarietà costituzionalizzato nel nuovo art. 118”. (99) Cfr. BIN, Il nuovo Titolo V: cinque interrogativi (e cinque risposte) su sussidiarietà e funzioni amministrative, in www.forumcostituzionale.it, 2 gennaio 2002; in relazione al progetto di riforma costituzionale della Commissione Bicamerale cfr. GUZZETTA, L’accesso di Province e Comuni alla giustizia costituzionale nella prospettiva della riforma costituzionale. Profili problematici, in Prospettive di accesso alla giustizia costituzionale, Atti del seminario di Firenze, 28-29 maggio 1999, a cura di ANZON, CARETTI, GRASSI, Torino, 2000, pag. 266. (100) Cfr. DOGLIANI, Riserva di amministrazione?, in AA.VV., Legge in sostituzione di atto amministrativo - Atti preparatori e attuativi di atto legislativo - Responsabilità del legislatore e responsabilità dell’amministrazione e verso l’amministrazione, Atti del XLVI Convegno di Studi di Scienza dell’amministrazione, Varenna - Villa Monastero, 21-23 settembre 2000, Milano, 2001, pag. 98. (101) Cfr. MANFREDI, Leggi provvedimento, forma di Stato, riserva di amministrazione, in Foro amministrativo, CdS, 2003, pag. 1303. (102) Cfr. PASTORI, L’amministrazione del nuovo Titolo V della Costituzione: continuità e discontinuità, Relazione al Convegno Federalismo e regionalismo in Europa organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Insubria durante i giorni 22-23 novembre 2002, in www.uninsubria.it, il quale inoltre afferma che nella nuova formulazione costituzionale “si sancisce la competenza generale residuale di amministrazione dei comuni, a cui fa riscontro il carattere speciale della competenza amministrativa di tutte le altre istituzioni”. 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO - N. 3/2015 In questo contesto, è stata teorizzata una riserva di amministrazione e si argomenta che, se Stato e Regioni potessero intervenire tramite leggi-provvedimento nell’ambito delle funzioni amministrative attribuite a Comuni, Province o Città metropolitane, la richiamata norma di cui all’art. 118 Cost. finirebbe per esserne sostanzialmente privata di significato (103). Il riconoscimento dell’esistenza di una qualunque forma di riserva di amministrazione rappresenta di per se stessa un limite al potere legislativo e richiama la netta distinzione concettuale tra legislazione e amministrazione. Questa impostazione conduce a far venire meno il primo presupposto logico su cui si basa la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale non possono ravvisarsi limiti contenutistici alla legge (104). Pertanto, la legge-provvedimento non mette in pericolo soltanto il principio di separazione dei poteri (105) ma si scontra in maniera manifesta con il concetto stesso di “amministrazione” delineato dalla Costituzione, che impone compiti e modalità precise ai poteri pubblici, i quali sono tenuti ad esercitarli nel rispetto dei diritti e degli interessi della collettività. (103) Cfr. MANFREDI, Leggi provvedimento, forma di Stato, riserva di amministrazione, cit., pag. 1303. (104) Cfr. MANFREDI, Leggi provvedimento, forma di Stato, riserva di amministrazione, cit., pag. 1304. (105) Cfr. SCOCA, Condizioni e limiti alla funzione legislativa nella disciplina della pubblica amministrazione (riflettendo sul pensiero di Aldo M. Sandulli), in Aldo M. Sandulli (1915-1982). Attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, 2004, pag. 196. Finito di stampare nel mese di dicembre 2015 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma