Avvocatura dello Stato

ISTITUZIONALE

Discorso di insediamento dell’Avvocato Generale Ignazio Francesco Caramazza

Ultimo aggiornamento: 04/11/2010 15:21:00
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SOMMARIO

1. - Saluti e ringraziamenti
2. - Origini preunitarie dell’Istituto
3. -  La regia Avvocatura erariale e l’Avvocatura dello Stato
4. - L’Avvocatura dello Stato dal 1948 ad oggi
5. - La funzione consultiva
6. - L’organizzazione interna dell’Avvocatura dello Stato e l’aggiornamento professionale
7. - Attualità e criticità
8. - Il contributo fornito dalla digitalizzazione
9. - Auspici di miglioramento
10.- Conclusioni

 

 
1.- Saluti e ringraziamenti
Signor Presidente della Repubblica,
a nome di tutta l'Avvocatura dello Stato, desidero esprimerLe i sensi della più viva gratitudine per aver voluto onorare, con la Sua partecipazione, questa cerimonia di insediamento.
Siamo particolarmente lusingati che essa si svolga al cospetto del Capo dello Stato, sommo garante della Costituzione e dell'unità nazionale, che si è sempre dimostrato attento e sensibile ai problemi del diritto e della difesa dello Stato e delle sue Istituzioni democratiche, nella Sua prestigiosa esperienza di parlamentare e di uomo di Stato.
Mi sia anche consentito rivolgere un sentito ringraziamento al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente della Corte Costituzionale, alla Vice Presidente del Senato della Repubblica, al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ai Ministri, ai giudici costituzionali, al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, ai Sottosegretari di Stato e ai Presidenti delle commissioni parlamentari presenti in questa sala.
Un ringraziamento fervido ai Presidenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti e al Procuratore Generale della Corte di Cassazione.
Un sentito grazie anche agli illustri rappresentanti delle Autorità indipendenti ed al Capo di Stato Maggiore della Marina che rappresenta il Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Un grato saluto a tutti i magistrati presenti, a tutte le altre Autorità civili e militari, al Presidente del Consiglio Nazionale Forense ed a tutti i colleghi del libero foro cui tanti e profondi legami di comune milizia forense ci legano, a tutti i colleghi dell'Avvocatura dello Stato con sentimenti di stima ed amicizia.
Saluto, ancora, con simpatia le organizzazioni sindacali del personale togato e non togato e con affetto tutto il personale amministrativo dell’Avvocatura dello Stato.
Un grato saluto, infine, a tutti coloro che hanno voluto, con la loro presenza, onorare questo Istituto.
Un sentimento di sincera e particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, signor Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per la fiducia che mi è stata accordata con la nomina a questa carica e per le lusinghiere parole che ha voluto rivolgere all’Istituto ed a me personalmente, che costituiscono, per me e per tutti coloro che operano nell’Avvocatura, un ambìto riconoscimento del nostro impegno professionale ed uno stimolo per la nostra attività futura.
Un omaggio di stima, di amicizia e di affetto  vorrei da ultimo, ma non certo per ultimo, indirizzare agli Avvocati Generali che mi hanno preceduto nella carica, e che con saggezza e prestigio hanno in questi anni del nuovo secolo guidato l'Istituto: Luigi Mazzella già Ministro della funzione pubblica e ora giudice della Corte Costituzionale, e Oscar Fiumara, che da ultimo ha retto il nostro Istituto e al quale ho l'onore ed il privilegio di succedere.
Nella solennità che a questa cerimonia conferisce la presenza del Capo dello Stato, nelle parole del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella partecipazione di tante Autorità, di tanti illustri personaggi e colleghi, mi sia consentito cogliere un “augurio di buon lavoro”. Un augurio che mi è particolarmente gradito per la consapevolezza che ho della gravità dei miei compiti e delle responsabilità che assumo verso le Istituzioni dello Stato e verso la Comunità nazionale.

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2.- Origini preunitarie dell’Istituto
 L’Avvocatura dello Stato - una delle più antiche istituzioni dello Stato unitario - rappresenta originale soluzione di uno dei grandi problemi posti dall’assoggettamento dello Stato al giudizio dei suoi giudici, capitolo quanto mai delicato della giustizia amministrativa non comprensibile - come insegnava Mario Nigro - se non attraverso la storia.
 Mi sia consentito dunque un breve riferimento al passato, necessario per comprendere il presente e forse anche azzardare qualche accenno al futuro.
 Il problema dello Stato in giudizio e del come possa essere organizzata la sua difesa suole generalmente essere collegato al principio della divisione dei poteri ed è considerato figlio della Rivoluzione francese sotto l’etichetta dell’assoggettamento dell’esecutivo al giudiziario.
 E’ questa una semplificazione riduttiva che appiattisce cento anni di storia in una sintesi imprecisa, in quanto il problema nacque ben prima della rivoluzione francese e questa, lungi dall’assoggettare l’esecutivo al giudiziario volle creare, invece, un’amministrazione senza giudice. Bisogna, infatti, attendere la seconda metà dell’ottocento perché quell’assoggettamento possa considerarsi realizzato. In Francia come in Italia come in molti altri Paesi a regime amministrativo.
 Per la verità l’esigenza che lo Stato, quanto meno in qualche suo aspetto, debba essere assoggettato al giudizio è stata avvertita anche in tempi antichissimi. Il diritto romano dell’età imperiale, come è noto, distingueva l’Aerarium - patrimonio pubblico - dal Fiscus, patrimonio non personale ma privato dell’imperatore, affidatogli perché potesse provvedere - da privato qual era - ad amministrare i servizi di Stato. Il fisco come tale era dunque soggetto al giudizio ordinario. La natura essenzialmente privata del diritto elaborato dai romani e la particolare valenza costituzionale della carica imperiale rendono peraltro scarsamente produttiva ogni comparazione diacronica con quel sistema. L’evocazione dell’advocatus fisci come predecessore va quindi relegata nel campo delle suggestioni romantiche.
 L’età di mezzo, con la sua assoluta confusione di poteri, risospinse il problema nell’indistinto e bisogna attendere i regimi preliberali dell’assolutismo illuminato per vedere ricomparire il concetto e vederlo anzi precisare in termini dogmatici di assoluta chiarezza. Mentre nell’assolutismo puro vigeva il principio - consacrato nell’editto di Saint Germain - della assoluta inassoggettabilità a giudizio della pubblica Amministrazione, nei regimi di assolutismo illuminato - si parla della Prussia di Federico II il Grande, dell’Austria di Maria Teresa, della Toscana di Pietro Leopoldo di Lorena - si distingueva l’attività pubblica, ad actum principis, posta in essere iure imperii, come tale non giustiziabile (ma, a differenza che nell’assolutismo puro, già autolimitantesi con le regole della cameralistica e del diritto di polizia) dall’attività privata, iure gestionis, dello Stato inteso come ente patrimoniale, come tale assoggettata al sindacato dei giudici ordinari.
 Si tratta dei famosi giudici di Berlino che già conosceva il mugnaio di Sans-Souci, si tratta dei giudici ordinari di Firenze, cui Pietro Leopoldo commise le cause riguardanti fisco, regalie e patrimonio, affidandone la difesa ad un avvocato regio all’uopo istituito nel 1777.
 Al tardo settecento prerivoluzionario va dunque datata la nascita del problema della difesa dello Stato in giudizio e nella stessa epoca va collocata la prima soluzione adottata, quella lorenese dell’avvocato regio, predecessore dell’Avvocatura erariale del 1876 e dell’attuale Avvocatura dello Stato italiana.
 Interessante notare in proposito la singolare modernità della ratio legis enunciata dal sovrano lorenese, che, per essere illuminato, era pur sempre un sovrano assoluto, il quale precisò che la magistratura dell’Avvocato regio veniva istituita: «per la difesa delle cause interessanti il Fisco, le Regalie ed il Nostro Patrimonio ... le quali vogliamo siano trattate e difese con puro spirito di verità e di giustizia e che l’interesse del Fisco non prevalga mai alla ragione dei privati».

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3.- La regia Avvocatura erariale e l’Avvocatura dello Stato
 Per una singolare eterogenesi, l’antico istituto lorenese, ispirato, come si è visto, a principi quanto mai progressisti, fu trapiantato nello Stato italiano in funzione di controspinta conservatrice.
 La riforma del 1865, ispirata al modello inglese, mediato dalla Costituzione belga del 1831, aveva devoluto al giudice ordinario, come giudice unico, la competenza a decidere anche le cause in cui fosse parte una pubblica Amministrazione e per oltre un decennio era fiorita la primavera di una giurisprudenza liberale costante in tutte le Cassazioni del Regno e modellata su quella belga, che garantiva ai cittadini il risarcimento dei danni causati da provvedimenti autoritativi. Era un’affermazione ante litteram del principio di risarcibilità degli interessi legittimi e che era evidentemente troppo in anticipo sui tempi e troppo avanzata per la società italiana di fine ottocento. Governo e Parlamento corsero ai ripari con una controspinta conservatrice che consistette nella istituzione, nel 1876, della Regia Avvocatura Erariale, modellata sull’Avvocato Regio di Toscana, con il dichiarato intento di apprestare difese atte a contenere i poteri del giudice nei confronti delle Amministrazioni pubbliche.
 Il che subito puntualmente avvenne attraverso la vittoriosa affermazione dell’antico principio della assoggettabilità dello Stato al giudizio solo per la sua attività iure gestionis.
 Il cittadino italiano restava quindi del tutto privo di tutela nei confronti dell’attività autoritativa delle amministrazioni pubbliche, sottratte a qualunque sindacato. L’esigenza di giustizia nell’amministrazione attraversò allora l’inverno del più profondo scontento fino alla istituzione, nel 1889, della IV sezione del Consiglio di Stato propugnata da Silvio Spaventa ma fortemente appoggiata anche dal primo Avvocato Generale Giuseppe Mantellini. L’Avvocatura sostenne anche - e con successo - dinanzi alla Cassazione romana la natura giurisdizionale del nuovo organo. Prendeva così vita, anche in Italia, come in Francia, un giudice amministrativo.
 L’Avvocatura cresceva, quindi, abbandonando le originarie dimensioni meramente patrimonialistiche per assurgere alla difesa delle Amministrazioni anche nella loro principale epifania di potere esecutivo, tanto che la sua denominazione mutò da Avvocatura erariale in Avvocatura dello Stato.
 La storia dell’istituto fino alla seconda guerra mondiale fu quella dell’avvocato di una parte “che è un po’ meno parte dell’altra”, come disse argutamente Piccardi, utilizzando una locuzione ambivalente che se, da un lato, accolla all’avvocato pubblico l’onere di difendere le cause in nome di un principio di legalità (“prima giudice che avvocato”, diceva Mantellini), dall’altro dà atto del fatto che l’avvocato dello Stato godeva, all’epoca, di privilegi processuali assai significativi. Ricordo soltanto, esemplificativamente, nel processo civile, il principio del solve et repete vigente nelle cause tributarie, che rendeva inammissibile ogni reclamo del contribuente non preceduto dal pagamento del tributo e nel processo amministrativo il principio della presunzione di legittimità dell’atto amministrativo.
 Fino alla Costituzione repubblicana potremmo dunque dire, sinteticamente, che l’avvocatura dello Stato fu il difensore delle prerogative del potere esecutivo di fronte al giudiziario.
 In quel torno di anni si delineò, peraltro, con precisione, una caratteristica essenziale dell’istituto, che ne fa tuttora un unicum nel panorama comparato delle possibili forme di difesa dello Stato in giudizio.
 L’avvocatura venne infatti disciplinata come organo tecnico costituito da un corpo di avvocati incardinato con rilevanza meramente esterna al vertice dell’apparato esecutivo - oggi la Presidenza del Consiglio - e distinto da tutte le singole branche dell’Amministrazione rappresentate, difese e consiliate.
 Il che consente unitarietà di indirizzo sia nella consultazione legale che nella strategia difensiva, entrambe adottate nell’ottica di una difesa dello Stato nella sua complessità al di là di contingenti interessi particolari.
Scelta, questa, lungimirante, se si considera che anche nel settore privato, all'impellente e quotidiana esigenza dei grandi gruppi economici e anche di associazioni con finalità sociali e culturali di confrontarsi con leggi e ordinamenti disparati e complessi, la professione forense risponde costituendo grandi studi associati, capaci di prestare, in modo efficace, la propria assistenza specialistica su vari fronti e in varie materie, garantendo, al tempo stesso, un indirizzo unitario e complessivo alla cura degli interessi tutelati.

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4.- L’Avvocatura dello Stato dal 1948 ad oggi
 La Costituzione repubblicana e l’evolvere della società e dell’ordinamento giuridico italiano nell’ultimo sessantennio hanno comportato, come è ovvio, anche per l’Avvocatura importanti innovazioni.
 Va ricordato, anzitutto, che l’Istituto ha assunto nuovi compiti di particolare rilievo.
 In primis, la partecipazione ai giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale, nei quali l’Istituto interviene in difesa della legittimità delle leggi o delle competenze statuali in conflitto con quelle regionali o del Governo come potere dello Stato in conflitto con altri poteri o in materia di ammissibilità di referendum.
 Occorre ricordare, in secondo luogo, la rappresentanza e la difesa dello Stato italiano dinanzi ai Collegi comunitari ed internazionali sanzionata dalla Legge 3.4.1979 n. 103 che ha razionalizzato e cristallizzato in norma scritta una consuetudine ormai ben radicata.
 Gli esempi più importanti sono la Corte di Giustizia della Unione Europea e la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, dinanzi alle quali l’Avvocatura rappresenta e difende l’Italia come soggetto di diritto sovranazionale ed internazionale, nonché, nei casi più delicati, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
 Orbene, non occorrerà certo dilungarsi per chiarire come, in entrambe le tipologie di giudizio adesso ricordate, l’Istituto operi non già in difesa dello Stato-amministrazione o anche, più in generale, del Potere esecutivo ma offra, a seconda dei casi, una collaborazione dialettica per la tutela dello Stato-ordinamento o rappresenti gli interessi dello Stato “come personificazione anche esterna di tutta la comunità nazionale”.
 Un altro ampliamento della sfera di competenza dell’Istituto è stato effettuato, attraverso la concessione del patrocinio ex artt. 43 e 48 T.U. 1933, n. 1611 a numerosi Stati stranieri, attraverso la rappresentanza e difesa delle loro rappresentanze diplomatiche e ad organizzazioni internazionali quali la Commissione Europea, la Banca Europea degli Investimenti e la F.A.O..
 Ulteriore ampliamento non solo quantitativo delle competenze dell’Avvocatura è, poi, l’attribuzione ad essa della consulenza e difesa in pro di nuovi soggetti pubblici di particolare rilevanza quali le Autorità Indipendenti o di garanzia e le Agenzie.
 Nel contenzioso tradizionale – civile, amministrativo e penale – l’Avvocatura dello Stato sconta, da un lato, la perdita di tutti i privilegi processuali del passato, con conseguente piena equiordinazione al difensore della parte privata, dall’altro deve affrontare la marea montante di una crescente litigiosità, particolarmente avvertita nelle cause contro la pubblica amministrazione, l’area delle cui responsabilità è enormemente aumentata sia nel civile che nell’amministrativo per il sinergico operare di legislazione e giurisprudenza.
 A ciò si aggiungano le radicali modifiche introdotte di recente nel processo civile con:
- la riforma del giudizio per cassazione, suscettibile di determinare, nella pratica, un’attenta selezione di avvocati cassazionisti per la complessità della tecnica richiesta;
- il rigoroso regime generalizzato delle decadenze nel giudizio di merito e l’esecutività delle sentenze di primo grado, che aumentano in modo particolare le difficoltà e la complessità della difesa delle Amministrazioni, anche tenuto conto del possibile contemporaneo svolgersi del giudizio di cognizione in fase di merito e del connesso procedimento esecutivo, in relazione ai tempi tecnici delle relazioni procedimentali tra Istituzione di difesa ed Amministrazioni assistite;
- la stabilità dei provvedimenti cautelari e d’urgenza che impone assoluta tempestività e snellezza operativa nella trattazione dei rispettivi procedimenti;
- l’aumentato numero dei procedimenti speciali;
- la valorizzazione del cd. giudicato implicito anche in tema di giurisdizione, con drastica restrizione dei limiti di esperibilità del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, già inciso da precedenti interventi legislativi rispetto all’originaria disciplina codicistica;
- il passaggio al giudice civile del lavoro della giurisdizione sul pubblico impiego privatizzato.
Quanto al processo amministrativo non può non constatarsi un analogo radicale mutamento con
- la riforma del sistema dei ricorsi amministrativi con la perdita di essenzialità e di centralità del ricorso gerarchico;
- l’istituzione del giudice amministrativo di primo grado, che, in una  con la riforma anzidetta, ha determinato l’esplosione della domanda di giustizia amministrativa ed una significativa evoluzione della tradizionale giurisprudenza del Consiglio di Stato;
- la profonda revisione della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo con esclusione della giurisdizione sull’impiego alle dipendenze della P.A. (salvo che per alcune categorie “non contrattualizzate”) ed il notevole ampliamento della sfera della giurisdizione esclusiva, che porta ormai a configurare il giudice amministrativo come il giudice del diritto pubblico dell’economia;
- l’ampliamento dei poteri del giudice amministrativo, con l’introduzione del procedimento cautelare atipico, anche ante causam, e l’attribuzione dello strumento della tutela risarcitoria, nonché le novità della disciplina processuale specificamente inerenti alla decisione in forma semplificata ed ai motivi aggiunti, con tendenziale configurabilità del rapporto, e non più dell’atto, come oggetto del giudizio amministrativo;
- il contemporaneo aumento di protezione assicurato dall’ordinamento a posizioni sostanziali, con l’affermazione di risarcibilità degli interessi legittimi, il riconoscimento di interessi collettivi e dei consumatori nel sistema di tutela  della concorrenza, dei valori ambientali e culturali, l’affermazione della categoria degli interessi legittimi pretensivi.
Tale radicale mutamento si è concluso con il codice del processo amministrativo, di recente entrato in vigore, che ha razionalizzato l’impetuosa – e talvolta disordinata – evoluzione della giustizia amministrativa, bruscamente acceleratasi nell’ultimo quindicennio.
 Tale codice segna, in estrema sintesi, la piena equiordinazione al processo civile di quello amministrativo, ormai fornito di un completo istrumentario cautelare, probatorio e decisorio. Il che, se assicura alla parte privata il più giusto dei processi, assegna però all’avvocato pubblico il più difficile dei compiti.
 Il Codice del processo amministrativo, infatti, nel pur lodevole intento di accorciare la durata dei processi, introduce alcuni termini talmente brevi che sono di difficile rispetto per il libero foro ma di pressoché impossibile rispetto per l’Avvocatura dello Stato, questa volta “un po’ meno parte dell’altra” nel senso non di privilegio ma di minorata difesa.
 Non si è tenuto, infatti, conto della doppia isteresi burocratica che ineludibilmente sconta la parte pubblica. Ogni atto notificato presso l’Avvocatura dello Stato deve essere, infatti, protocollato in arrivo, dare vita ad un nuovo affare da assegnare ad un avvocato o essere inserito in affare già esistente, essere fotocopiato o scannerizzato ed inviato all’Amministrazione competente presso la quale dovrà compiere un suo iter per arrivare alla scrivania del funzionario competente a stendere il documentato rapporto da inviare all’Avvocatura. Rapporto essenziale perché l’Avvocatura possa produrre i documenti e redigere le sue difese ed anch’esso bisognoso di doppi tempi burocratici per arrivare dalla scrivania del funzionario ministeriale a quella dell’avvocato dello Stato.
Non sempre è possibile, infatti, ricorrere all’uso dell’e-mail e si fa presente che la sola Avvocatura Generale dello Stato riceve nell’anno oltre 71.000 atti notificati (71.585 nel 2009) con picchi giornalieri prossimi alle 600 unità.
Perciò non posso che cogliere con favore l'auspicio che il nuovo codice, il cui straordinario significato non può essere sottaciuto, non sia considerato un punto d'arrivo nel percorso diretto ad assicurare effettività e pienezza alla tutela del privato nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ma si ponga anche e soprattutto come punto di partenza di un'evoluzione che tenga conto di tutti gli interessi delle parti in gioco.

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5.- La funzione consultiva
Non meno importante della funzione di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato è la funzione consultiva, per la quale si è spesso posto il problema di analogie e differenze con quella del Consiglio di Stato.
E’ stato in proposito rilevato come esegesi letterale e storico-sistematica convergano insieme a qualificare la seconda, quale “consulenza giuridico-amministrativa” originariamente prestata in pro del Monarca assoluto, come ausilio di merito; la prima, quale “consulenza legale” sin dall’origine data ad un esecutivo soggetto al giudiziario, come consiglio di legittimità.
L’intuizione è acuta ma non appagante, in quanto riduttiva di entrambe le funzioni consultive.
Sembra più aderente alla realtà normativa attuale riportare la funzione di consulenza del Consiglio di Stato a quella valutazione in veste neutra ed imparziale che è propria della giurisdizione dallo stesso Consiglio esercitata ed alla quale, quindi, la consulenza va assimilata.
La funzione di consulenza dell’Avvocatura dello Stato va ricondotta, invece, alla matrice unitaria, afferente in ogni caso alla funzione propria dell’avvocato, che non è solo quella di assistenza legale per le controversie in atto, ma anche di prevenzione di quelle meramente potenziali.
In questo senso la consulenza dell’Avvocatura è funzione immanente e necessaria allo svolgimento dell’azione amministrativa, dovendo essa per legge assicurare la difesa giudiziaria non a favore dell’interesse contingente e parziale della singola amministrazione, ma a tutela degli interessi pubblici generali nel rispetto del principio di legalità.
Ciò non significa che tale consulenza debba avere dimensioni riduttivamente “giudiziarie” nel senso di rigorosa correlazione con liti in atto o in potenza, poiché il “caso” o la “questione” (o – più spesso – la serie aperta ed indeterminata di numerosissimi “casi” o “questioni”) che il parere dell’Avvocatura considera vanno intesi non nella accezione processuale tradizionale ma in quella ben più vasta derivante dalla intera gamma di giudizi cui istituzionalmente partecipa: non solo quindi giudizi penali, civili o amministrativi, ma ogni tipo di giudizio (costituzionali, nel loro complesso e diverso atteggiarsi, internazionali e comunitari). Una consulenza, dunque afferente ad ogni tipo di rapporto: dal rapporto particolare già costituito a quello da costituire con atti contrattuali privatistici o con strumenti pubblicistici; dalla conformità delle leggi alla Costituzione, ai limiti di attribuzione dei soggetti istituzionali pubblici statali e non statali; dall’ammissibilità di un referendum popolare alla conflittualità tra Stato e Regione o tra poteri dello Stato; alla ricerca di un consenso sulla regola iuris da applicare per la corretta composizione sia di contrastanti interessi pubblici, diversamente graduati nell’unità dell’ordinamento, sia di interessi pubblici confliggenti con quelli privati, individuali o di gruppo fino al contenzioso internazionale e comunitario.
 In tale dilatata dimensione del “giudizio” ben può dirsi che ogni consulenza dell’Avvocatura è ad esso funzionalizzata in quanto sempre riferibile al parametro del sindacato di un atto o di un comportamento alla stregua di una norma invocabile dinanzi ad un “giudice”.
 La funzione consultiva dell’Avvocatura si affianca così (per gli organi che possono fare capo ad entrambi gli istituti) a quella del Consiglio di Stato ispirandosi agli stessi criteri giustiziali ma con poteri ed in vista di obbiettivi diversi.
 L’una è funzione ausiliaria dell’attività di Governo e come tale si estende ad ogni profilo di legalità coinvolto dai quesiti in veste, come si è visto, neutra ed imparziale; l’altra è funzione di prevenzione degli esiti negativi di un giudizio, intesa l’espressione nella lata accezione suindicata.
 Trattasi, come è evidente, di funzione di particolare importanza, perchè opera in via preventiva in quanto volta sia a favorire la legalità dell’azione amministrativa, sia a prevenire il sorgere del contenzioso o a risolvere in via transattiva un contenzioso insorto, con conseguente effetto deflattivo della litigiosità.
 In considerazione di tutto quanto ora detto, una delle mie prime preoccupazioni è stata quella di creare per gli affari consultivi un canale privilegiato atto a consentirne il disbrigo quanto più possibile celere ed attento.

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6.- L’organizzazione interna dell’Avvocatura dello Stato e l’aggiornamento professionale
 Per quanto attiene alla struttura interna dell’Istituto giova richiamare la legge di riforma n. 103 del 1979 che ha introdotto il principio di collegialità sia nella trattazione delle questioni più delicate attraverso la istituzione del Comitato Consultivo, sia nel governo dell’Istituto, attraverso l’istituzione del Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato, elettivo per metà dei suoi componenti, che ha, fra i suoi compiti principali di governo del personale togato, il rendere parere o deliberare sulle assegnazioni di sede, i trasferimenti, gli avanzamenti di carriera, il conferimento di incarichi o la relativa autorizzazione. Compiti che acquistano particolare rilevanza nella valutazione meritocratica dei risultati dell’attività professionale degli avvocati.
 Altro importante contenuto della legge è la disciplina della autonomia professionale sia dell’Istituto nei confronti delle Amministrazioni assistite che dei singoli avvocati nella trattazione dei loro affari.
 L’autonomia dell’Istituto fa sì che ad esso e ad esso soltanto spetti la scelta tecnica del responso da offrire in sede consultiva e della linea difensiva da adottare in sede contenziosa, fermo il potere in capo al Ministro (o a diverso organo di vertice dell’organismo pubblico difeso) di adottare con atto non delegabile la decisione definitiva sull’esercizio del potere di azione o di impugnazione. L’autonomia dell’avvocato, in caso di divergenza di opinioni con la dirigenza dell’Istituto, fa sì che esso possa chiedere che sul disaccordo si pronunci il Comitato Consultivo e l’esonero dalla trattazione del parere o della causa se la sua tesi risulti disattesa dall’organo collegiale.
 L’Avvocato dello Stato italiano è dunque “avvocato” nel pieno e nobile senso della parola, con la differenza, rispetto al collega del libero foro, che il soggetto pubblico da lui rappresentato e difeso è soggetto al vincolo costituzionale del rispetto del principio di legalità.
Non gli si attaglia, quindi, il motto scritto sulla volta a cupola dello studio dell’Attorney General degli Stati Uniti d’America (da cui dipendono gli organismi di difesa in giudizio di quel Paese, le Procure ed il Solicitor General): «gli Stati Uniti vincono la loro causa ogni qualvolta è fatta giustizia nei loro tribunali».
Il motto, scritto circolarmente e senza punteggiatura, ha due significati a seconda che lo si legga come sopra trascritto o che lo si legga come segue: «ogni qualvolta è fatta giustizia nei loro Tribunali, gli Stati Uniti vincono la loro causa».
Il primo significato comporta l’atarassica accettazione di ogni sentenza, quale che essa sia, con un pieno e preventivo consenso ad un pronunciato normalmente reso in unico grado. Il secondo postula il sospetto di una istituzionale prevaricazione dell’esecutivo sul giudiziario.
L’Avvocatura dello Stato italiano non può, quindi, condividere quel motto né nella prima né nella seconda accezione.
Non nella prima perchè l’Avvocato dello Stato italiano sposa la causa che difende, e se convinto della fondatezza delle sue tesi, si arrende al giudizio sfavorevole solo dopo aver percorso tutti i gradi di impugnazione (non a caso previsti dal nostro ordinamento).
Non nella seconda, perchè lo Stato italiano non gode di alcun privilegio in causa, scontando, anzi, se mai, qualche sfavorevole pregiudizio nei confronti dell’operare pubblico.
Quanto all’aggiornamento professionale, deve rilevarsi che esso è assolutamente necessario in un periodo caratterizzato, come lo è il nostro, da profonde trasformazioni dell’ordinamento giuridico. Di tale aggiornamento l’Istituto deve darsi carico. Carico, peraltro non pesante sia per l’elevatissimo livello di preparazione dei colleghi che entrano in carriera attraverso due successive rigorosissime selezioni concorsuali, sia perchè l’attività di avvocato seriamente svolta è di per sé uno stimolo all’aggiornamento.
 Comunque è tradizione che l’Avvocato Generale, con il prezioso ausilio degli uffici di supporto, dirami tempestivamente circolari illustrative di ogni legge rilevante in materia di giustizia ed è altresì tradizione che, in occasione di ogni importante riforma – quale ad esempio il codice del processo amministrativo - vengano organizzati dei seminari tematici.
 
Torna al sommario 7.- Attualità e criticità
 Nell’esame della situazione attuale la prima constatazione che si impone è quella del preoccupante aprirsi di una forbice fra aumento della quantità degli affari e forza-lavoro disponibile.
Gli affari legali nuovi, che erano 41.275 nel 1976, sono stati nel 2009 ben 209.988.
Gli avvocati e procuratori dello Stato erano 276 nel 1976 e sono oggi 370.
Le date di riferimento non sono prese a caso. Nel 1976 fu pubblicato infatti uno studio storico su “L’Avvocatura dello Stato” in occasione del centenario dell’Istituto. In esso si rappresentava l’inadeguatezza della consistenza dei ruoli organici “ormai giunta ad un punto di rottura” ed il conseguente pregiudizio all’efficienza ed all’esistenza stessa dell’Istituto; ciò in quanto rispetto ai 276 posti dell’organico professionale dell’epoca il numero annuale di nuovi affari era di 41.275. Orbene, mentre il ruolo organico si è incrementato da allora del 34%, passando da 276 a  370 unità, il numero annuale dei nuovi affari si è incrementato di più del 408,75%, passando da 41.275 a 209.988 nel 2009!
Gli impiegati amministrativi, poi, che erano 951 nel 1986, sono oggi soltanto 878.
A ciò si aggiunga che non si sono più potuti assumere impiegati amministrativi per concorso pubblico sin dallo stesso anno 1986.
Il personale di concorso, destinato alla scomparsa per esaurimento, rappresenta oggi meno della metà della forza lavoro non togata, perché i ricambi (parziali) dei pensionamenti sono avvenuti mediante comandi, distacchi o mobilità, e quindi attraverso strumenti non altrettanto selettivi del concorso ad hoc.
Ciononostante, lasciatemi dire con orgoglio che l’efficienza dell’Istituto non è diminuita ed il controllo di risultato e l’analisi costi-benefici della assistenza legale forniti dall’Avvocatura danno risultati altamente positivi.
 Posso permettermi di dire questo senza essere accusato di presunzione perchè i risultati cui faccio riferimento non sono certo merito mio ma degli Avvocati Generali che mi hanno preceduto, di tutti i colleghi avvocati e procuratori e di tutto il personale amministrativo che hanno fin qui operato.
 Scriveva alcuni decenni fa un giurista della statura di Arturo Carlo Jemolo : “Quante volte sento affermare che lo Stato è sempre servito peggio dei privati, mi sorge spontanea l’obbiezione: Però c’è l’Avvocatura dello Stato. In questo crederei arduo dimostrare che vi sia grande impresa che dal lato dell’assistenza legale ottenga un servizio migliore di quello che presta l’Avvocatura”.
 Credo che le cifre dimostrino che quelle parole di alto apprezzamento sono ancora attuali.
Faccio riferimento ad un recente studio della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione ripreso dal “Sole 24 Ore” (che ha dedicato al tema due intere pagine) dal quale si desume che il costo che lo Stato sopporta per l’esistenza e la gestione dell’Avvocatura è di  164,4 milioni di euro annui, comprensivi di ogni voce ivi compresi i redditi figurativi degli immobili utilizzati, e gli onorari riscossi nelle cause vinte, e che ogni causa – quale che sia la sua durata ed il numero di gradi di giudizio – costa quindi allo Stato in media   € 785.
Da quello studio risulta ancora che le cause vinte sono pressoché i due terzi del totale (si precisa che la statistica relativa è stata condotta in modo assolutamente rigoroso, di talché sono considerate vinte solo le cause in cui la domanda avversaria è totalmente rigettata, e quindi se chi pretendeva 1000 ha ottenuto 1 la causa si considera persa).
 Visto quanto sopra sembra legittimo domandarsi se esiste altro sistema di difesa in giudizio altrettanto economico ed efficiente. Lo studio della Scuola Superiore concludeva testualmente che “a differenza di molti altri settori della P.A., la gestione del contenzioso dello Stato tramite un organo interno è di gran lunga più economica di una difesa affidata a professionisti esterni”. Il che è stato ampiamente dimostrato da esperienze recenti e meno recenti. Aggiunge ancora lo studio che il vantaggio economico è monetizzabile in un risparmio del 90% sul costo di mercato e che a tale vantaggio se ne aggiungono altri non monetizzabili e “funzionali” quali la uniformità e imparzialità della condotta processuale, la coerenza fra attività consultiva e contenziosa, le sinergie difensive ai vari livelli di giurisdizione, la garanzia di riservatezza, la assoluta selettività dei sistemi di reclutamento del personale togato.
“Ciò – aggiunge ancora la relazione – nonostante l’attuale carico di lavoro sia rappresentato dalla impressionante cifra di 550 nuovi affari contenziosi all’anno pro capite”. Il che, aggiungiamo noi, considerata la durata media dei processi in Italia, significa che ogni avvocato dello Stato ha sul ruolo circa 4000 affari pendenti.

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8.- Il contributo fornito dalla digitalizzazione
La gestione di una tale massa di lavoro ha ricevuto un indubbio aiuto dall’informatica, attraverso il varo di alcune iniziative di digitalizzazione della nostra attività promosse a più riprese dal Governo, al quale va il mio sentito ringraziamento.
Senza l’informatizzazione di alcune attività fondamentali dell'Istituto non avremmo potuto far fronte con efficacia alla mole di lavoro sempre crescente ad organici sostanzialmente invariati. Essa occupa un ruolo strategico per lo svolgimento dei compiti istituzionali.
Gli sforzi compiuti ed i risultati raggiunti con le risorse a disposizione costituiscono un grande traguardo. Abbiamo modernizzato le tecnologie con un’operazione perfettamente riuscita, migliorando la piattaforma tecnologica del nostro sistema, con il duplice obiettivo, da un lato, di migliorare e accelerare la gestione dei servizi interni e, dall'altro, di "aprire l'Istituto all'esterno", attraverso la consultabilità delle sue banche-dati da parte delle pubbliche amministrazioni.
In tale contesto si inserisce il potenziamento e miglioramento del nostro sito istituzionale, in linea con le recenti direttive ministeriali in materia, e finalizzato a fornire, tramite internet, informazioni corrette, puntuali e sempre aggiornate, nonché ad erogare servizi sempre più fruibili.
L'uso della posta elettronica è ormai capillare e sono ampiamente sviluppati i progetti di scambio con le amministrazioni e con le giurisdizioni. L’accesso informatico alle banche dati del giudice amministrativo - che consente di conoscere in tempo reale lo stato del giudizio e gli atti depositati – e la consultabilità dei dati presenti in buona parte delle cancellerie civili sono già una realtà, e sono in fase avanzata lo studio del fascicolo elettronico e della gestione telematica del processo, sia civile che amministrativo.
Sono fermamente convinto dell'importanza delle nuove tecnologie nello sviluppo della nostra attività. L’Avvocatura è infatti una pubblica Amministrazione e perciò guarda con attenzione alle iniziative del Governo per lo sviluppo del nuove tecnologie, alla luce del nuovo Piano d'azione europeo per la Società dell'informazione e l'ICT (la c.d. "Europe's Digital Agenda" per il 2020).
Pur se di fronte ai giudici perfettamente paritaria rispetto ai colleghi del libero foro, l'Avvocatura è e resta una Istituzione pubblica, con la conseguente necessità di contenere la spesa, armonizzare l’efficienza del proprio servizio in accordo con le giurisdizioni e trovare nelle amministrazioni le collaborazioni e le effettive soluzioni per rendere insieme un servizio migliore alla collettività.
Queste sono state e continuano ad essere le nostre priorità. E lo sono anche per il legislatore, che ha previsto il contributo dell’Avvocatura dello Stato nelle determinazioni da assumere su alcune innovazioni tecnologiche relative al processo civile.

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9.- Auspici di miglioramento
 L’ausilio dell’informatica è stato, come si è visto, di grandissimo aiuto, ma  la sproporzione fra forza lavoro (rimasta sostanzialmente immutata) e carico di affari (enormemente aumentato) è tale che nemmeno una completa e perfetta digitalizzazione arriverebbe a colmare il fossato: risultato per il quale occorrerebbero più uomini e più mezzi.
Non a caso il già citato studio così concludeva “I pochi risparmi che si sono ottenuti in questi anni riducendo costantemente l’organico amministrativo (passato negli ultimi 7 anni da un totale nazionale di 951 unità a 871) non appaiono significativi rispetto al vantaggio ottenibile con una migliore e più produttiva difesa in giudizio.
In una situazione quale quella fotografata nella relazione della SSPA, investimenti diretti ad adeguare sia l’organico degli avvocati (fermo a circa trenta anni fa, a fronte di un contenzioso all’epoca di 55.000 affari annui, ad oggi più che triplicato) che del personale amministrativo, potrebbero garantire un ritorno in termini economici per cause vinte, ben superiore al loro costo.
Notevoli risultati si potrebbero ottenere portando il costo di ciascuna causa da €785 del 2006, a soli €900.
Ciò consentirebbe, ad esempio, di assumere 80 tra avvocati e procuratori, 50 impiegati e 50 dirigenti.
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Un maggior numero di avvocati, in quella che si può certamente definire una delle più grandi scuole di diritto in Italia (per la peculiarità del ruolo dell’Avvocatura e la estrema varietà dell’attività svolta), avrebbe anche il vantaggio di poter fornire al Governo una quota di collaboratori e consulenti di certo superiore a quella odierna, consentendo così di trasferire nell’attività amministrativa e legislativa il notevole bagaglio di esperienza dell’Avvocatura dello Stato.”
Indubbiamente un incremento di uomini e di mezzi renderebbe l’Istituto ancora più efficiente ma la coscienza della drammatica temperie  economica che, a livello planetario, stiamo vivendo mi induce a limitare le mie aspettative di innovazioni normative a quelle che sono a “costo zero” e che si rendono però necessarie a compensare alcune distorsioni che si sono verificate o stanno per verificarsi come effetti collaterali di mutamenti normativi e di esigenze sociali.
So bene che la prassi protocollare delle cerimonie di insediamento non prevede che vengano avanzate richieste di riforme o anche solo di innovazioni normative se non sotto forma di segnalazione dell’emergenza di esigenze portate dai tempi nuovi che si offrono all’attenzione degli organi politici competenti per le iniziative che saranno ritenute opportune.
Il Governo ed il Parlamento, in questa  legislatura, hanno dimostrato particolare attenzione ai problemi dell’Avvocatura, attraverso l’adozione di provvedimenti da tempo attesi. Mi riferisco, in particolare, alla legge 18.6.2009 n. 69 che ha affrontato e ridisciplinato il problema della ripartizione degli onorari spettanti agli avvocati e procuratori dello Stato per le cause vinte e per gli incarichi arbitrali espletati, attribuendo una quota di essi al personale amministrativo.
E’ stato così razionalizzato il sistema e ristabilita una antica tradizione, improvvidamente interrotta negli anni ’70.
La stessa legge ha esteso all’Avvocatura dello Stato la facoltà di notificare gli atti a mezzo posta, già concessa al libero foro, con notevoli benefici per l’attività di Istituto.
Il Decreto Legge 1°.7.2009 n. 78, convertito in legge 3.8.2009 n. 102 ha, poi, completato il passaggio dallo Stato all’INPS del contenzioso di invalidità civile, eliminando ogni legittimazione passiva in materia dei Ministri dell’Interno e dell’Economia, con conseguente risparmio di una pesante attività di protocollazione ed archivio ed eliminazione di non pochi contrasti giurisprudenziali.
Tale particolare attenzione dimostrata da Governo e Parlamento per l’Avvocatura dello Stato attraverso l’adozione dei provvedimenti ora indicati, che erano da lungo tempo attesi e per i quali esprimo il ringraziamento più sentito, mi spingono a segnalare due emergenze meritevoli di particolare attenzione.
La prima riguarda la situazione di sofferenza dei Procuratori dello Stato, cioè dei giovani avvocati che dell’Istituto sono il domani. Due successivi innalzamenti dell’età pensionabile hanno determinato una sorta di blocco del ruolo che impedisce alla maggior parte di essi il passaggio alla qualifica di avvocato in tempi ragionevoli.
Mi permetto di insistere su questo problema risolvibile con facilità ed a costo zero, come analiticamente esposto nelle opportune sedi, perchè la componente giovane rappresenta il futuro e la garanzia di continuità dell’Istituto e non mi sentirei in pace con la mia coscienza se non mi rendessi interprete anche in questa sede della loro legittima aspettativa.
Del pari a costo zero - o addirittura comportante un risparmio di spesa - sarebbe lo snellimento della procedura del concorso a Procuratore dello Stato, al quale partecipano, per un numero di posti in genere inferiore a dieci, migliaia di candidati, con conseguente dispendio di tempo e di risorse umane ed economiche.
Un terzo problema di cui tenere conto è il progressivo mutamento della struttura statuale per effetto del massiccio trasferimento di potestà e funzioni dello Stato alle autonomie locali e ad entità sovranazionali.
D’altronde il malessere rivendicativo delle autonomie locali è fenomeno non solo italiano ma è ormai fenomeno endemico europeo. I casi della Spagna, dell’Inghilterra, del Belgio, persino della supercentralistica Francia sono sotto i nostri occhi.
In tale contesto, alla erosione dello Stato dal basso per effetto delle spinte autonomistiche, si accompagna la sua compressione dall’alto ad opera della Unione Europea.
 Credo proprio che il crollo del muro di Berlino con quel che lo ha accompagnato e seguito, se non ha segnato la fine della storia, ha messo però, fine a quel terribile “secolo breve” di cui ha scritto Hobsbawm ed ha accelerato il processo di trasformazione degli Stati nazionali.
 D’altronde ogni epoca storica ha il suo modello politico di perfetta vita associata.
 Per mille anni il mondo civile visse nella convinzione che l’impero romano fosse l’unico modello statuale valido, tanto è vero che, dopo il suo crollo, nel buio e nella confusione di un medio evo privo di punti di riferimento politici precisi, gli sforzi dei migliori, per un altro millennio, furono tesi alla ricostituzione di quell’impero, cui l’affermarsi della Chiesa di Roma aveva aggiunto l’appellativo di Sacro.
 Quel “Sacro Romano Impero” che non era sacro, non era romano, ma, soprattutto, non fu mai un impero.
 E’ solo nel XVII secolo che si consolidò – e venne teorizzata da Jean Bodin – una nuova forma di aggregazione politica, lo Stato nazionale, forma che ci ha accompagnato fino ai giorni nostri.
 Ebbene lo Stato nazionale come modello di entità politica è in crisi di trasformazione, come già profetizzava anni fa Massimo Severo Giannini, anche se questa trasformazione non potrà mai giungere – come Ella, Signor Presidente della Repubblica giustamente ha di recente ribadito – ad intaccare l’unitarietà dello Stato italiano, sancita dall’articolo 5 della nostra Costituzione come principio fondamentale e quindi non soggetto neanche a revisione costituzionale.
Nondimeno la crescita delle autonomie sembra inarrestabile e bisogna quindi ragionevolmente prevedere un sensibile mutamento della fisionomia del contenzioso pubblico, indotta dalla riduzione di competenze degli organi periferici dello Stato e dalla prevedibile nuova dimensione del contenzioso costituzionale fra Stato e Regioni.
 Il che non potrà non riflettersi sulla struttura organizzativa dell’Avvocatura, nei modi e nelle misure che risulteranno necessari a riforma compiuta, quando tutta la normativa delegata sarà stata adottata ed opererà a regime.

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10.- Conclusioni
Nell'accingermi a concludere, desidero rivolgere un pensiero affettuoso ed un saluto cordiale a tutti i colleghi che operano nel nostro Istituto ed in particolare ai giovani che da poco hanno intrapreso la nostra attività e che rappresentano il futuro dell’Avvocatura.
Un caldo saluto, desidero anche rivolgere al personale amministrativo dell'Avvocatura, del quale, nell'esercizio della mia attività professionale e nel lungo periodo in cui sono stato Segretario Generale, ho avuto modo di apprezzare le qualità professionali e lo spirito di dedizione.
Signor Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, non posso nasconderLe che all'atto della nomina ho avvertito una qualche preoccupazione suscitata dalla consapevolezza delle responsabilità connesse alla carica; per superarla sono state e mi sono di grande aiuto la stima e la fiducia accordatemi dal Governo nonché la ferma convinzione che l'Avvocatura dello Stato che sono stato chiamato a dirigere rappresenta un solido Istituto con radici antiche ma capace di affrontare i tempi nuovi e che ha sempre svolto e continua a svolgere, come Ella ha voluto amabilmente rilevare, in modo altamente positivo il proprio compito di consulenza e difesa dell'Amministrazione.
Sono consapevole del fatto che il particolare momento storico attraversato dal Paese richiede impegni non formali ma concreti nello svolgimento delle funzioni e  realismo ed equilibrio nell'azione quotidiana. Doti tutte che credo siano nelle corde dell’Istituto.
In coerenza con questa convinzione, penso di poter assicurare a Lei, Signor Presidente della Repubblica ed a Lei, Signor Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che l'Avvocatura dello Stato continuerà a svolgere nel modo più impegnato, con spirito di servizio, i propri compiti istituzionali nell'interesse del Paese.
Le sue tradizioni ultrasecolari, che ci trasmettiamo di generazione in generazione di servitori dello Stato, sono la migliore garanzia dell’affidabilità della nostra Istituzione.
Grazie Signor Presidente della Repubblica, grazie Signor Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri della disponibilità e della fiducia e grazie a tutte le Autorità e a tutti i presenti per la cortese attenzione.